Sei sulla pagina 1di 4

Approfondimenti

Pirandello: Luigi Pirandello può dirsi vicino alla corrente letteraria del verismo, corrente che
nasce sotto influenza del clima del positivismo che ha un’assoluta fiducia nella scienza. Alcuni
considerano lo scrittore vicino alla corrente del decadentismo, corrente nella quale l’intellettuale
conosce il vero problema della società… Pirandello da parte sua conosce i problemi della società
ma quello che lo porta ad uscire e a superare il decadentismo è l’io che entra in crisi. Nel saggio
l’umorismo pubblicato nel 1908 egli distingue il comico dall’umoristico. Il primo lo definisce la
percezione del contrario, il secondo la riflessione del contrario. Nel comico prevale la superficialità
e la risata; nell’umoristico prevale la compassione e la riflessione. Crisi della realtà la realtà e
quindi la verità non esiste, è solo un punto di vista. Crisi dell’identità che lo porta a formulare una
crisi dell’io, in un articolo del 1990 Pirandello scrisse che il nostro spirito è composto da così tanti
frammenti distinti tra loro che possono o disgregarsi o ricomporsi in un nuovo aggregamento e
questo porta ad una nuova personalità che pur fuori dalla coscienza dell’io normale, ha una propria
coscienza a parte (concetto dello sdoppiamento dell’io). L’unico mezzo che ha l’uomo per
recuperare la propria identità è la follia; in opere come Enrico V o il berretto a sonagli il tema della
follia è centrale, in queste stesse opere Pirandello fornisce addirittura una ricetta per la pazzia: dire
sempre la verità infischiandosene delle convenzioni sociali. Solo abbandonando le convenzioni
sociali l’uomo può ascoltare la propria interiorità e vivere secondo le proprie leggi, calando la
maschera e percependo se stesso. All’inizio del XIII capitolo de il fu Mattia Pascal, Pirandello
espone metaforicamente la sua filosofia del lanternino, attraverso il monologo che Anselmo Paleari
rivolge a Mattia Pascal dove la piccola lampada rappresenta il sentimento umano, lampada che non
riesce ad alimentarsi se non tramite le illusioni di fede e ideologie varie (i lanternoni) e che
altrimenti provoca l’angoscia del buio che lo circonda all’uomo. Contrasto tra vita e forma dove
la forma è ciò che appare e la vita è ciò che è; attraverso questi concetti Pirandello elabora il
relativismo psicologico che si esprime in due sensi: orizzontale, nel rapporto interpersonale e
verticale, nel rapporto che una persona ha con se stessa. Il relativismo psicologico e conoscitivo si
scontra con il problema di incomunicabilità tra gli uomini: dato che ogni persona ha un proprio
modo di vedere la realtà. Questa incomunicabilità provoca solitudine ed esclusione dalla società.
L’uomo reagisce al relativismo attraverso tre tipiche reazioni:
-reazione passiva nella quale l’uomo accetta la maschera e il ruolo da recitare attribuitogli;
-reazione ironico-umoristica nella quale l’uomo non si rassegna alla maschera ma la accetta con
atteggiamento ironico;
-reazione drammatica nella quale l’uomo si accorge del relativismo e si rende conto che
l’immagine che lui ha sempre avuto di sé non è quella che hanno gli altri, volendo togliersi la
maschera, agisce con disperazione perché non riesce a toglierla e finisce con l’accettarla
sprofondando piano piano nella pazzia.
Pirandello definisce il teatro addirittura più vero della vita, introducendo il concetto di teatro dello
specchio.

Svevo: Svevo concepisce la letteratura come recupero e salvaguardia della vita, solo di quella
narrata sarà possibile evitarne la perdita dei momenti importanti della vita e rivivere in questo modo
l’esperienza vitale del passato. La vita può essere difesa solo dall’inetto, dall’ammalato o dal
nevrotico e da chi è diverso all’interno della società. Una caratteristica della poetica di Svevo è il
contrasto tra ciò che è razionale e ciò che è ideale. Nei primi romanzi di Svevo vi sono richiami sia
al verismo che al naturalismo e questo lo vediamo nel suo impegno nel descrivere le differenti
categorie sociali, nell’attenzione ai particolari minuti caratterizzanti un personaggio e nella capacità
di rappresentazione completa della figura umana. All’autore interessa il modo di atteggiarsi
dell’uomo di fronte alla realtà che si risolve infine con la sconfitta dell’uomo che diviene un
antieroe. I protagonisti dei tre romanzi Alfonso Nitti, Emilio Brentani e Zeno Cosini sono
completamente affini, uomini incapaci di vivere per questo vengono anche definiti antieroi perché
non sanno vivere come gli altri ma a differenza loro, sono pienamente consapevoli del proprio
fallimento. I protagonisti sono vittime del caso e delle strutture sociali e della loro indefinibile
Approfondimenti
malattia che è formata da quella che Petrarca chiamava accidia e che Svevo chiama senilità. Per
scrivere l’autore adotta l’espediente del memoriale, il libro viene infatti concepito come una
confessione psicoanalista ispirata ai metodi di Freud; la narrazione avviene in un tempo misto
perché non segue una successione cronologica. All’interno di questo memoriale l’autobiografia
appare come una giustificazione da parte di Zeno che vuole mostrarsi innocente da ogni colpa nei
rapporti col padre, con la moglie, con l’amante e con il rivale Guido anche se i suoi impulsi ostili e
aggressivi sono abbastanza evidenti. Il suo personaggio si costruisce attraverso il suo ricordare ed è
come se non esistesse, sicché Zeno stesso non è altro che la sua coscienza. Attraverso la tecnica del
monologo interiore che Svevo riprende da Joyce avviene da parte di Zeno una trascrizione
immediata senza ordine razionale di tutto ciò che di tumultuoso si agita nella sua coscienza. Zeno
Cosini è un inetto per definizione, il cui nome inizia con l’ultima lettera dell’alfabeto e al contrario
le sue donne posseggono tutte un cognome che inizia per A come ad indicare l’irraggiungibilità
della donna.

Tozzi: le opere di Tozzi, autore rivalutato fortemente solo dopo la morte, segnano un importante
passaggio nella storia della narrativa italiana del 900 perché egli proponendo una forma di romanzo
ripiegata sull’interiorità umana si colloca tra la fine del naturalismo e le nuove dimensioni poetiche
e psicoanalitiche. Egli si interessa molto di psicologia senza conoscere però la psicoanalisi di Freud;
la realtà gli si impone con la violenza massiccia dell’incubo dell’esperienza personale per poi essere
trascritta sotto forma di incubo, nelle sue opere: in esse si riscontra il complesso di Edipo. Anche i
personaggi di Tozzi sono degli inetti, uomini inadeguati a reggere le nuove richieste che la vita gli
fa, essi sono incapaci di… e vivono una sorta di sbandamento di fronte alle cose. Tozzi viene oggi
riconosciuto ma in vita non fu molto famoso, egli fu un duro narratore di novelle. Tozzi si può
collocare nella corrente artistica dell’espressionismo, il suo espressionismo non è però
comunicativo perché non agisce sulla metrica ma esso agisce sulla visione perché è esattamente la
visione che lui mette per iscritto: la scrittura diventa l’esorcizzare dei suoi incubi. Nel romanzo
bestie sono narrati 69 frammenti, i brani disposti in maniera frammentaria ricordano quasi un’opera
lirica. L’aspetto principale dell’opera è la disforia cioè la negatività di ciò che si legge all’interno
dell’opera: un soggetto, un io che a volte è aspro e positivo, a volte è ingenuo e sciocco; al termine
dell’esperienza di questo soggetto appare una bestia, un animale. Il motivo dell’apparizione di
quell’animale è incomprensibile e immorale, è presente un’allegoria vuota perché essa non ha
nessuna spiegazione.
Da un brano di bestie *quando agli occhi dell’autore arrivano i moscerini inizia il suo incubo, si
passa dal realismo all’antirealismo. È presente il vuoto allegorico, privo di preciso referente
mentale.

Pavese: Nasce in provincia di Cuneo, nel cuore delle Langhe, un luogo che sarà sempre presente
nel suo cuore e nelle sue poesie. Quando nel 1943 l’Italia venne occupata dai tedeschi egli si rifugiò
tra le colline piemontesi. Nel 1950 dopo aver vinto un premio strega, la depressione ha la meglio ed
egli si toglie la vita in un albergo di Torino.
Il mestiere di vivere è la sua opera più completa, un vero e proprio diario iniziato nel 1935 dove egli
affronta il tema della solitudine;
La casa in collina ancora una volta è presente il tema della solitudine e la sua incapacità di prendere
parte alla storia, è presente sia l’italiano che il dialetto venendo così superata la prima fase del
realismo;
La bella estate raccolta di tre romanzi brevi che lo porta a vincere il premio strega del 1950;
La luna e i falò è invece il suo ultimo romanzo.
La tematica spesso presente in paese è la guerra partigiana; egli sarà influenzato dalla narrativa
statunitense e dal verismo italiano, la sua descrizione della realtà nasce soprattutto dall’uso dei
dialoghi. Nelle sue poesie c’è un continuo scavo interiore, vede l’infanzia come una dimensione
ormai lontana che riesce però a recuperare attraverso la scrittura. Parla della città e la modernità che
Approfondimenti
trasformano la natura e della minaccia della falsità del mondo: le immagini che hanno gli altri di noi
sono false ma anche l’immagine che noi abbiamo di noi stessi, lo è. Viene quindi fuori un io
inesistente (richiamo a Pirandello).

Sbarbaro: La rivista fiorentina la voce nel 1911 propone di portare avanti, insieme alla
avanguardie, un rinnovamento delle arti e una ricerca di nuovi valori. I vociani attraverso i valori
ottocenteschi vogliono cercare di proporre dei nuovi valori: usano per primi il verso libero,
rinunciando completamente agli schemi metrici; sviluppano la ricerca esistenziale, una ricerca
interiore che ha bisogno di essere libera per esprimersi; si afferma la poetica del frammento
ovvero l’uso del componimento breve, lirico e della fusione tra prosa e poesia (già utilizzato dal
poeta Baudelaire). Tra i vociani è importante il nome di Camillo Sbarbaro.
Camillo Sbarbaro nasce a Santa Margherita nel 1888 (coetaneo di Ungaretti), muore a Savona nel
1967, dopo una vita molto schiva: a causa degli studi irregolari e di vari percorsi travagliati. Sembra
trovare la sua dimensione nell’insegnamento ma presto viene licenziato perché obbligato a prendere
la tessera del partito fascista, al quale si rifiuta di aderire. La poesia di Sbarbaro è una poesia molto
pessimista, la poetica indaga gli scarti, le periferie urbane degradate dove vivono gli ubriachi e le
prostitute. L’interesse di Sbarbaro è per gli emarginati, i dimenticati. È presente nelle poesie la
metafora del deserto dove è presente il vuoto fisico, il deserto dell’anima, una vita arida e priva di
speranza (richiamo a Montale che lo considera il suo maestro). Lo stile è asciutto e semplice, viene
usato il verso libero e il linguaggio è diretto. La sua raccolta poetica più famosa è pianissimo (una
poesia sottovoce).

Taci, anima stanca di godere 


e di soffrire (all'uno e all'altro 
vai rassegnata). 
Nessuna voce tua odo se ascolto: 
non di rimpianto per la miserabile 
giovinezza, non d'ira o di speranza, 
e neppure di tedio. 
Giaci come 
il corpo, ammutolita, tutta piena 
d'una rassegnazione disperata. 
Noi non ci stupiremmo, 
non è vero, mia anima, se il cuore 
si fermasse, sospeso se ci fosse 
il fiato... 
Invece camminiamo. 
camminiamo io e te come sonnambuli. 
E gli alberi son alberi, le case 
sono case, le donne 
che passano son donne, e tutto è quello 
che è, soltanto quel che è.
La vicenda di gioia e di dolore 
non ci tocca. Perduta ha la sua voce 
la sirena del mondo, e il mondo è un grande 
deserto. 
Nel deserto 
io guardo con asciutti occhi me stesso.

Poesia diretta e comprensibile tipica caratteristica dei vociani nel vedere il nuovo; al centro della poesia vi è
questo senso di vuoto, l’assenza di sentimento e prospettive. Il poeta dialoga con la propria anima, con se
stesso. Tedio la noia; vi è un riferimento al fatto che sente la vita talmente piatta che se smettesse di vivere,
non si stupirebbe neanche; le cose sono solo quello che sono (il poeta si omologa alla società); il poeta
prende atto del vuoto e continua a camminare.
Approfondimenti

Potrebbero piacerti anche