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21/11/2018

MARIO TOBINO

Autore toscano. Non nasce per essere scrittore, ma diventa scrittore per esprimere attraverso la
scrittura una delle sue priorità: è uno psichiatra, vuole rendere pubblico il suo desiderio di
rivoluzionare il pensiero comune che la società aveva sulla malattia mentale, classificata come “di
serie B” e giudicata non curabile. Il malato mentale non aveva più diritti e non veniva considerato
come persona. La malattia era un problema mondiale. Si era emarginati, rinchiusi in manicomio,
dove non si era curati, ma emarginati. C’erano elettroshock per eliminare la memoria, considerata la
causa della malattia. Non c’era ricerca sulla malattia mentale. Il malato mentale non è come gli altri,
si pensa che non ci siano speranze. MT vuole dar voce ai malati e vuole che la malattia diventi
gestibile dalla scienza medica. Negli anni 70-80 la scienza e la società stavano cambiando opinione, si
voleva dare opportunità anche ai malati mentali.

Anni 70: processo legislativo per chiudere i manicomi e spostare i malati negli ospedali comuni.

‘78: legge 180 (Basaglia); chiusura e abbattimento dei manicomi e spostamento in uno spazio
speciale degli ospedali dei malati mentali.

Noi siamo stati i primi ad attuare cambiamenti nelle cure e nella considerazione del malato mentale.

Tobino usa la sua conoscenza per scrivere dei libri che mostrassero questa impellente necessità.

Nasce a Viareggio e muore ad Agrigento. Voleva restituire libertà al malato. Scriverà anche libri più
generici, diventa scrittore a tutto tondo, ma il corpus centrale delle sue opere è l’attenzione per il
disagiato mentale.

PER LE ANTICHE SCALE

Libro più significativo, che maggiormente mette a fuoco questa necessità. Serie di 12 racconti che
narrano la situazione del malato, la vita che conduce. La storia si sviluppa in un castello lucchese,
trasformato prima in un convento e poi in una struttura manicomiale. Libro sicuramente
autobiografico, nonostante si cambino i nomi. Il protagonista è il dottor Anselmo (alter-ego di
Tobino). Ogni racconto vuole scuotere le coscienze e portare a considerare la malattia mentale per
avere diritto di ricerca. Tobino descrive i primi tempi del cambiamento delle cure per le malattie
mentali.

DAVVERO ANSELMO E’ VICINO ALLA VERITA’? (pag. 322)

Siamo nel castello ormai fatiscente, dove Anselmo farà una duplice scoperta. Tutte le intuizioni che
farà Anselmo troveranno la loro realizzazione pratica durante quella mattinata. Anselmo ha
un’intuizione: non dobbiamo ascoltare i malati attraverso le loro parole (senza senso), ma nel loro
tono non verbale, nei gesti ecc. Anselmo fa due scoperte: la prima è quella di ascoltare i malati con il
linguaggio non verbale, la seconda è che la follia nasce dalle situazioni di vita, quando ci mettiamo
alla prova e magari non riusciamo a superare la prova. Quindi non nasce da noi, ma da situazioni,
circostanze. Il simbolo della follia è il gelo, il freddo: il contrario dell’amore e dell’affetto. Lucia si
esprime non con le parole, ma con la musica appena arriva il pianoforte. Capiamo che forse ha
subito una scelta familiare e forse voleva fare proprio la musicista. Poi, quando si alza sbattendo il
coperchio, sembra chieda “Avete capito ora?”, tornando poi in sé. Tobino ci spinge all’ascolto.

Tobino fa scarso uso di verbi perché lascia priorità al sostantivo, non vuole disturbare il lettore nella
comprensione del soggetto (soprattutto omette gli ausiliari).
CARLO CASSOLA

Nasce a Roma, ma la sua esistenza è intrisa di cultura toscana. E’ uno degli autori più complessi. Il
suo è un pensiero sofisticato, quasi filosofico. E’ un uomo di grande cultura, scrive molti libri.
Attraversa 3 fasi:

1. Momento di analisi fortemente intimista: scava nell’anima e nelle coscenze, si occupa delle
sfaccettature più intime e private dell’anima.
2. Diventa un neorealista propriamente detto. Si impegna nella Reistenza e nella politica, anche
dopo gli anni della guerra.
3. Torna alla fase un po’ più personale. Questa fase è la più ricca e interessante, poiché viene
arricchito dalla seconda fase.

Non aderisce totalmente a nessuno dei tre periodi, ma mantiene l’idea che la narrazione sia un
racconto dell’anima.

Cassola parte da un presupposto: compito del letterato narratore/romanziere è quello di raccontare


la vita. Secondo Cassola tutte le vite sono degne di essere raccontate, al di là di quello che è successo
in quella vita. E’ la vita in sé che merita di essere narrata. Anzi, tanto più è povera di avvenimenti,
tanto più merita di essere raccontata, poiché l’autore si soffermerà sulla vita stessa. La conseguenza
di questo presupposto è che la vita, perché possa essere raccontata nella sua nuda interpretazione,
occorre che lo scrittore si spogli di ogni condizionamento e racconti la vita sotto il limite della sua
coscienza critica poiché solo se si pone sotto i limiti di quella coscienza può non definire una vita
piena di cose o vuota di cose. Per questo la teoria di Cassola si chiama TEORIA DEL SUBLIMINE (o
TEORIA SUBLIMINARE).

--- Libro: Vite di uomini non illustri di Pontiggia (esempio dell’ideale di Cassola) ---

IL TAGLIO DEL BOSCO

Racconto spartiacque, dove lui abbandona la fase dell’intimismo per diventare neorealista. E’ una
serie di 9 racconti. Il racconto omonimo contiene il tema neorealista e quello intimista. I protagonisti
sono un boscaiolo e un carbonaio. Scritto nel ‘48, pubblicato prima in una rivista a puntate e
pubblicato qualche anno dopo da Einaudi (‘59). La trama è esile. E’ un racconto di vite non illustri,
poco significative. Racconta del boscaiolo Guglielmo a cui è appena morta la moglie, che insieme a
un gruppo di colleghi boscaioli compra il diritto di tagliare un bosco in Maremma per fare del
carbone. Cassola proprio in quel periodo perde la moglie (unico aspetto autobiografico). Guglielmo
va nei boschi anche un po’ per riprendere il contatto con la natura e recuperare la voglia di vivere.
L’operazione dura 5/6 mesi, quindi presuppone il sottrarsi dalla realtà e uno scioglimento del dolore
causato dall’essere rimasto vedovo. (pag. 340)

28/11/2018

GUGLIELMO PETRONI

L’abbiamo già incontrato nel Nome delle Parole. Sta cominciando una mutazione antropologica. Nato
a Lucca nel 1911. Come Pratolini parte da una famiglia molto povera, è autodidatta. Sarà assunto
dalla Rai come responsabile della terza rete. Si trasferisce a Roma, aderisce ai movimenti antifascisti,
è uno dei più esposti e combattivi nemici del sistema: viene arrestato a maggio ‘44. Alla fine di
questa prigionia racconterà nel libro Il mondo è una prigione la sua esperienza da carcerato e di
come è riuscito a scampare al carcere grazie agli alleati.

IL MONDO E’ UNA PRIGIONE


Fa parte dell’Autobiografia carceraria come genere (es. Primo Levi con Monowitz, Silvio Pellico con
Le mie prigioni, Oscar Wilde). E’ un libro sulla Resistenza, ma non solo poiché è soprattutto un libro
che parla dell’anima. E’ inseribile nel contesto del Neorealismo, mette a nudo l’anima dell’autore. Il 3
maggio ‘44 viene arrestato. Viene portato a Regina Coeli, detenzione di 33/34 giorni terribili per lui.
Soffre pesantemente sia dal punto di vista della dignità che fisico. Quando viene liberato dalle forze
alleate ha la sensazione di essere stato un eroe per non aver coinvolto altri compagni. Alcuni di
sinistra l’hanno criticato per l’elogio al mondo della Resistenza e dei Partigiani. A noi interessa
quando lui viene liberato, quando prova spaesamento, disagio, senso di estraneità. Si rende conto
che la vera prigione non è una costruzione fisica, ma noi stessi quando non siamo in armonia con noi
stessi, parte di un sistema. Essere libero non conta nulla se non siamo noi dentro liberi. E’ una
manifestazione inaspettata di disagio quella che leggiamo nelle prime pagine. La liberazione diventa
il momento in cui l’autore misura che pur essendo libero fisicamente non è libero internamente.
Rimpiange assurdamente il periodo in cui era dentro. (pag. 384)

IL REALISMO CRITICO
Il Realismo nasce anche per portare a galla qualche stortura del genere umano. Il Realismo Critico
critica alcune realtà tra le più devastanti, disumananti.

Autori significativi:

 Alberto Moravia: Ce l’ha con la crisi di valori, l’apparente futilità di una classe borghese
emergente che si sta affiancando al fascismo. Denuncia questo mondo valoriale che si sta
dissolvendo. Gli indifferenti denuncia completa di questa borghesia che diventa testimonial
del disvalore. E’ romano.
 Ennio Flaiano: Odia, denuncia, critica la guerra, in particolare la dimensione della guerra
coloniale, di conquista, che induce i cosiddetti civilizzati ad andare su altri luoghi a
strapparne la cultura. E’ un omicidio dove il più forte può tranquillamente uccidere. E’
pescarese.
 Leonardo Sciascia: E’ siciliano, di Agrigento. Costruirà tutta la sua vita per combattere contro
la mafia. In particolare quella mafia che si intreccia col potere politico.

ALBERTO MORAVIA

Nasce a Roma nel 1907, il suo vero nome è Pincherle, non Moravia. Si ammala da ragazzino di una
malattia simile alla tubercolosi, i medici la identificano piuttosto in fretta. Vive in un ospedale sulle
Dolomiti per tutta l’infanzia e l’adolescenza, a Cortina d’Ampezzo in un sanatorio. Ha dovuto
scolarizzarsi da solo ed ha potuto personalizzare la sua educazione scolastica. Nel ‘29 a 22 anni scrive
il suo capolavoro Gli indifferenti.

Anche per Moravia il problema dell’uomo è l’incomunicabilità. Pavese si autocolpevolizza (si suicida),
Moravia condivide solo l’idea che questo sia l’unico vero problema dell’uomo. La prima fase della
letteratura di Moravia lo porta a ritenere che questo sia l’unico vero problema, ritiene che sia alla
base della crisi della borghesia (che è voglia di apparire senza sostanza, divertirsi senza sostanza,
sesso non contestualizzato nell’amore, futilità ecc.). Occorre anche fare dei compromessi, ricorrere
alla mediazione. Ed ecco che al moralista Moravia viene in mente che pur di entrare in sintonia si
debba ricorrere a compromessi: va bene tutto purchè due o più persone entrino in sintonia. Quindi il
moralista Moravia diventa la morale Moravia. E’ un uomo di grande impulsività. Ci tiene ad
esprimere il proprio pensiero. E’ sempre in lite col mondo. Era sposato con Elsa Morante. Lei era
esattamente il contrario: dava il meglio di sé quando era in pace col mondo. Erano due opposte
polarità.

GLI INDIFFERENTI

Vuole denunciare e portare alla gogna pubblica una classe che si sta disfacendo di fronte ad una
perdita di tutti i punti di riferimento. Si parla di una famiglia completamente sbandata, sbagliata. I
protagonisti sono Mariagrazia, vedova, il suo amante Leo, due figli di Mariagrazia e Lisa, la vecchia
amante di Leo che avrà un altro ruolo. L’unico assente ingiustificato in questa famiglia è l’amore.
Tutto il resto compare: voglia di apparire, sesso, disuguaglianza ecc. I due stanno insieme, ma una
per avere una persona vicino che la possa far rimanere nella borghesia, l’altro perché vorrebbe la
casa di Mariagrazia. I due figli, Carla e Michele, sono egoisti, divisi, egocentrici, divisi, molto
superficiali, conoscono poco le trame affettive della vita. Il rapporto tra Mariagrazia e Leo si sgretola.
Leo, stanco del rapporto con Mariagrazia, corteggia la figlia Carla: gli interessa una cosa sola. Lisa, ex
amante di Leo, per vendicarsi (altro elemento importante, la gelosia) del fatto che Leo stia con
Mariagrazia, corteggia Michele. E’ un contesto assolutamente perverso. La domanda del lettore è se
Carla accetterà il corteggiamento del patrigno. Michele, quando sa che Leo sta corrompendo la
sorella, prova un moto di profonda rabbia: gli chiede un appuntamento e si presenta armato per fare
giustizia. Gli spara, ma si era dimenticato di caricare la pistola: IMPOTENZA DEL BENE DI FRONTE AL
MALE. (pag. 422)

Carla andrà all’appuntamento.

ENNIO FLAIANO

Critica la guerra coloniale. Ne è stato vittima, inconsapevole protagonista (è andato nel Corno
d’Africa). E’ soprattutto un giornalista, sceneggiatore, non è un grande romanziere, ha scritto
praticamente solo un libro. E’ di un’ironia tagliente, di una personalità artistica poliedrica. Il suo
unico libro è di grandissimo livello, lo scrive non tanto per sé. Longanesi alla fine della guerra gli
chiede di far esordire la sua casa editrice con una sua collana, convinto che il suo libro sarebbe stato
un’opera d’arte. Flaiano in tre mesi consegna il testo all’editore, che scopre che è uno dei più grandi
successi del ‘900. Il libro è Tempo d’uccidere, ha il ritmo e il contesto del giallo. La storia è
ambientata in Africa.

TEMPO D’UCCIDERE

Siamo nel Corno d’Africa durante la guerra coloniale. Il protagonista è un soldato. Un giorno, per un
ascesso, chiede di andarsi a curare. Si fa accompagnare da un compagno, l’automezzo precipita in un
crepaccio, quindi il soldato prosegue a piedi. Durante questo percorso verso l’ambulatorio incontra
un’indigena che fa il bagno in un piccolo ruscello. I due si scambiano sguardi di amicizia,
condivisione, complicità, è il non verbale che agisce. Tra i due si sviluppa subito un rapporto di
empatia, si vogliono bene. Decidono di trascorrere il resto del giorno e la notte assieme.
Improvvisano un bivacco, accendono un fuoco e poi si assopiscono. Lui dorme con un occhio aperto
per paura delle bestie notturne, infatti si avvicina una bestia e lui le spara. Una di queste pallottole
rimbalza e colpisce la ragazza. Il soldato si accorge che la ferita è molto seria e si apre un dibattito
nella coscienza di questo soldato, che ha tre soluzioni: portarla all’ambulatorio, lasciarla lì e scappare
via per non dover rispondere alle domande dei superiori o ucciderla, nascondere il cadavere e
scappare. Alla fine la uccide perché è più comodo, è una scorciatoia. Si sente legittimato a farlo. Il
grande valore che vuole trasmettere Flaiano è che in una situazione negativa (come può essere la
guerra) molto probabilmente la scelta individuale di coscienza sarà altrettanto negativa, di uguale
segno. Tre elementi escono dalla narrazione di questo libro:
1. Ineluttabilità del destino: siamo figli, vittime passive, schiavi di quello che il destino decide
2. Preterintenzionalità delle cose umane: il gesto che noi facciamo è spesso fuori dal nostro
controllo
3. Impostazione analitica che ci fa capire quanto il nostro io superiore agisca su di noi (lapsus)

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