Sei sulla pagina 1di 5

SVEVO

LA VITA
Nato a Trieste nel 1861 da una agiata famiglia ebrea, Italo Svevo (il cui vero nome è Ettore Schmitz)
compie studi commerciali nella sua città e in un collegio in Baviera. Nel 1880, in seguito ai dissesti
finanziari del padre, è costretto a impiegarsi presso una banca di Trieste. In questo periodo scrive
alcune commedie, racconti e il suo primo romanzo, Una vita, pubblicato nel 1892. Nel 1892 muore il
padre e incontra la cugina Livia Veneziani, che sposerà quattro anni dopo. Nel 1898 pubblica il
secondo romanzo, Senilità. Entrato a far parte dell'industria del suocero, annuncia il proposito di
abbandonare la letteratura e di dedicarsi all'attività industriale svolta anche all'estero e in particolare in
Inghilterra, dove comincia a studiare inglese.
A Trieste conosce Joyce, di cui segue le lezioni tra il 1906 e il 1907. Tra i due nasce una solida
amicizia, poco dopo Svevo comincia ad appassionarsi al pensiero di Freud. Nel 1919 si apre la fase
del ritorno alla letteratura. Tra il 1919 e il 1922 scrive il suo capolavoro, La coscienza di Zeno,
pubblicato nel 1923. Muore nel 1928 in seguito a un incidente d'auto. Tramite Joyce' e Montale la sua
fama crebbe prima in Francia e poi in Italia.

FORMAZIONE
● appartenenza alla Triste mitteleuropea
● cultura complessa e contraddittoria
● diversi modelli culturali di riferimento

UNA CULTURA COMPLESSA E CONTRADDITTORIA


Nella cultura di Svevo confluiscono filoni di pensiero contraddittori e, a prima vista, difficilmente
conciliabili: da un lato il positivismo, la lezione di Darwin, il marxismo; dall'altro il pensiero negativo
di Schopenhauer e di Nietzsche. Questi spunti contraddittori sono in realtà assimilati da Svevo in
modo originalmente organico.

LA POETICA E I CONCETTI-CHIAVE
Il rifiuto della psicoanalisi come terapia rivela nello Svevo della Coscienza di Zeno una difesa dei
cosiddetti "malati" rispetto ai "sani'". La nevrosi per Svevo è anche un segno positivo di non
rassegnazione e di non adattamento ai meccanismi alienanti della civiltà che obbliga all'obbedienza
delle leggi morali, alla disciplina e al lavoro, sacrificando così la ricerca del piacere. L'ammalato è
colui che non vuole rinunciare alla forza del desiderio. Per questo l'ultimo Svevo difende la propria
"inettitudine", che è una forma di resistenza all'alienazione circostante. Rispetto all'uomo efficiente
ma del tutto integrato nei meccanismi inautentici della società borghese, egli preferisce essere un
"dilettante", un "abbozzo" rispetto a possibilità diverse. La letteratura è concepita da Svevo come
recupero e salvaguardia della vita: definitivamente «morta» è solo la vita che non viene raccontata.
Soltanto se l'esistenza sarà narrata o «letteraturizzata», filtrata cioè attraverso il «raccoglimento» della
letteratura, sarà possibile sottrarsi «alla vita orrida, vera» facendo rivivere nella parola letteraria
l'esperienza vitale del passato, i desideri e le pulsioni che nella realtà sono spesso repressi e soffocati.
I PRIMI DUE ROMANZI
● romanzi in terza persona (narratore critico)
● protagonisti piccolo-borghesi
● motivo dell' inettitudine
● duplice livello di consapevolezza (punto di vista del protagonista VS punto di vista del
narratore
● importanza della letteratura e del ruolo dell’intellettuale piccolo borghese

Al centro della ricerca di Svevo, in tutti e tre i suoi romanzi (Una vita, Senilità, La coscienza di Zeno),
sta l'investigazione degli autoinganni e cioè lo svelamento delle "razionalizzazioni" che nascondono la
spinta delle pulsioni inconsce.

Una vita
● modello naturalistico (impianto narrativo ben scandito e oggettività rappresentativa)
● opposizione io-società
● fallimento dell’alternativa umanistico-filosofica e impossibilità del riscatto della letteratura
● rifiuto della volontà e della vita
Protagonista del primo romanzo sveviano, Una vita (1892), è un impiegato con ambizioni letterarie,
Alfonso Nitti, che si sente "diverso" e vorrebbe apparire superiore rispetto all'umanità meschina che lo
circonda. La sua frustrazione lo induce a tentare il salto di classe seducendo Annetta Maller, la figlia
del padrone della banca presso cui lavora. Ma a questo punto, inaspettatamente, il meccanismo
dell'affermazione sociale s'inceppa. Il protagonista infatti è un inetto, incapace di approfittare della
situazione così decide di fuggire preso da paura fuori dalla città, dalla madre. Ma morta la madre
decide di ritornare alla banca, ma tutti lo evitano e viene addirittura declassato in ufficio. Annetta si è
fidanzata con un suo rivale, Macario che rappresenta il contrario speculare dell'inettitudine di Alfonso.
Consapevole della propria sconfitta, Alfonso preferisce rinunciare alla lotta e suicidarsi.
Alfonso fallisce così sia come ideologo sia come letterato ribelle. Il narratore critico non condivide
certo la posizione del protagonista che esalta romanticamente il valore della cultura: anzi la letteratura
non solo è indicata come un valore superiore, ma anzi appare degradata a gioco di società e a
strumento di seduzione. L'assenza di volontà di Alfonso è legata inoltre, come tutti i protagonisti
sveviani, al conflitto risolto con una figura paterna forte e vincente (Macario e Maller).
La struttura dell'opera si ispira diversi modelli romanzeschi: romanzo verista, romanzo di formazione,
romanzo psicologico. Per quanto riguarda la lingua e lo stile il romanzo è caratterizzato da una prosa
dimessa (voce narrante e protagonista sono distaccati) e dell'utilizzo della focalizzazione interna che
fa emergere la nuova dimensione dell'inconscio.

Senilità
● rifiuto del Naturalismo
● accettazione legge sociale
● senilità interiore
● conflitto tra spinte ideologiche contrapposte

Senilità viene scritto fra il 1892 e il 1897, e pubblicato nel 1898. È la storia di un impiegato letterato
trentacinquenne, Emilio Brentani, che trascorre un'esistenza opaca e grigia insieme alla sorella
Amalia. Sogna però un'avventura «facile e breve», come quelle di cui è esperto l'amico Stefano Balli.
Quando Emilio incontra Angiolina, una bella popolana, sembra che la vita gli conceda finalmente una
tale possibilità. Ma egli subito idealizza Angiolina si scopre essere una ragazza che obbedisce solo
agli stimoli occasionali della passione e dell'interesse immediato. Quando se ne accorge Angiolina gli
appare rozza e volgare ma dopo aver tentato di lasciarla si accorge di non riuscire a vivere senza la sua
“giovinezza”. Ma la ragazza si innamora di Balli ed Emilio chiede quindi all'amico di non frequentare
più casa sua. Amalia travolta dalla passione poiché ama il segreto Balli, decide di bere l’etere e si
ammala gravemente e morirà. Ma il tentativo di uscire dalla senilità in cui ha sempre vissuto fallisce,
e alla fine Emilio resterà solo, senza Amalia e senza Angiolina.

Il protagonista, Emilio Brentano, accetta le consuetudini borghesi e vi si uniforma. All'opposizione


io-società e letteratura-vita del precedente romanzo segui quella fra desiderio e repressione, principio
di piacere e principio di realtà. È presente dunque un conflitto fra eros e convenzione borghese, fra
vita e senilità. Al motivo sociale dell'impiegato del letterato piccolo borghese si aggiunge quello
intimo della “senilità”. Quest'ultima potrebbe essere vinta se migliorassi mette in discussione la sua
vita normale e tranquilla ma egli è privo di coraggio di decisione. Egli tenta dunque di “normalizzare”
Angiolina educandola all'idea di normalità borghese. Angiolina dunque rappresenta l'irriducibilità del
reale agli schemi ideologici del letterato piccolo borghese e come la realtà sfugge alla volontà di
controllo di dominio.
È presente dunque un “quadrilatero perfetto” di personaggi: da un lato due uomini contrapposti
Stefano Balli ed Emilio Brentano, dall'altro due donne contrapposte Amalia e Angiolina. Si possono
stabilire però altre due coppie formate per similarità e fra loro contrapposte: da un lato a maglie di
Emilio sconfitti frustrati, dall'altra Balli e Angiolina spregiudicati fortunati con l'altro sesso.
Sul piano delle forme narrative invece si hanno due punti di vista: quello della focalizzazione interna
corrispondente alla prospettiva di Emilio, e quello del giudizio critico del narratore che interviene
smettendo protagonista o facendo intuire attraverso l'ironia quanto la sua coscienza sia falsa e di
comodo.

LA COSCIENZA DI ZENO
● ordine tematico della narrazione
● ironia (usata per analizzare la società contemporanea)
● inettitudine del protagonista (Zeno personaggio)
● inattendibilità del narratore (Zano che scrive)
● assenza di giudizio del narratore su fatti e personaggi
● tema della malattia
● psicoanalisi (Freud)
● prosa analitica, senza retorica e abbellimenti (mancano giudizi)
Il titolo e la struttura
La coscienza di Zeno uscì nel 1923, venticinque anni dopo Senilità. Il titolo del romanzo riflette la
consapevolezza, da parte dell'autore, del suo carattere sperimentale e d'avanguardia. È evidente infatti
che Svevo gioca sulla varietà dei significati e sulla potenziale ambiguità del termine italiano
"coscienza" che può intendersi in positivo come pure in negativo, cioè come consapevolezza delle
proprie azioni e delle loro motivazioni, oppure come loro inconsapevolezza: in altre parole, la
"coscienza di Zeno" può anche intendersi come la "incoscienza di Zeno”.
Il romanzo è suddiviso in sette capitoli preceduti da una brevissima Prefazione. A parte I Prefazione,
che nella finzione del racconto risulta scritta dallo psicoanalista che ha in cura Zeno, dottor S., tutta la
restante narrazione è attribuita a Zeno, che dunque è protagonista e narratore. Ma si tratta di un
narratore nevrotico e dunque inattendibile; come pure egualmente inattendibile risulta il dottor S.,
deliberato rovesciamento ironico della figura dello psicoanalista. Se sono inattendibili l’esposizione
dei fatti e la loro interpretazione proposta dai due narratori, e se l'autore non interviene in prima
persona a dare una versione plausibile degli eventi narrati, al lettore non resta che avanzare lui delle
ipotesi interpretative, collaborando alla ricostruzione del significato di quanto sta leggendo. In tal
senso, La coscienza di Zeno appare come un esempio tipico di "opera aperta": un'opera, cioè, il cui
significato è, secondo le intenzioni stesse dell'autore, plurivoco, e il cui lettore è pertanto invitato a
collaborare alla costruzione del senso.Il carattere aperto della narrazione è sottolineato anche
dall'ambiguità, dall'ambivalenza e dall'ironia dei procedimenti formali: l'ironia è un tratto costitutivo
dell'opera e serve a rendere doppio il suo senso.

Il tempo narrativo
Zeno narrante, mediante la memoria destinata allo psicoanalista, compie un'indagine per ricostruire
come è nata la sua nevrosi. Si suppone quindi che il livello di consapevolezza dello Zeno che scrive
sia più alto di quello dello Zeno di cui si scrive. Ma con l'esperienza della psicoanalisi il rapporto tra
l'io narrante e l'io narrato non è gerarchico, nel senso che l'io narrante è istituzionalmente superiore,
per la sua maggiore consapevolezza, all'io narrato. L'insicurezza dell'io narrante produce una serie di
dubbi e di interrogazioni. Pertanto Zeno non può condurre ordinatamente la narrazione, seguendo il
tempo oggettivo. Il tempo della narrazione diventa allora il tempo interiore della coscienza, un tempo
«impuro» e «misto». All'ordinato susseguirsi degli avvenimenti secondo una disposizione lineare
subentra un loro continuo intersecarsi secondo diversi piani temporali e al sovvertimento della
dimensione tradizionale del tempo corrisponde il sovvertimento della gerarchia tradizionale dei fatti
narrati.

Un romanzo psicoanalitico
La coscienza di Zeno è un romanzo psicoanalitico, nel senso che senza la psicoanalisi non sarebbe
mai stato scritto. La conoscenza della teoria freudiana è stata determinante per la sua concezione e per
la sua struttura. Svevo riprende non il Freud positivista, ma il Freud più moderno secondo cui l'analisi
è «interminabile». Essa non è un passivo rispecchiamento di ciò che è dato oggettivamente, ma una
«costruzione» che analista e analizzato compiono insieme. Nonostante il dottor S., per alcuni critici
Sigmund Freud, venga messo in ridicolo e ogni sua parola posta in dubbio, la dissacrazione a cui
Svevo sottopone la psicoanalisi ufficiale del suo tempo è volta a rendere evidente come ogni
spiegazione in chiave casuale sia arbitraria e come ogni vera analisi non possa che essere
«interminabile». Svevo si avvicina, in tal senso, al relativismo delle opere più mature di Freud. Il
romanzo in tal senso si conclude con una guarigione solo apparente. La malattia di Zeno viene a far
parte della malattia di un'intera civiltà, destinata alla scomparsa per autodistruzione.

Potrebbero piacerti anche