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ITALO SVEVO

VOLUME 5 P. 708
VITA ( collegamento con Kafka , Freud e Joyce )
Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz, nasce a Trieste, allora territorio dell’impero
asburgico, il 19 dicembre 1861, da padre ebreo tedesco, Francesco Schmitz, e madre italiana,
Allegra Moravia. Gli studi di Svevo, iniziati in Baviera e proseguiti nel 1878 a Trieste, vengono
indirizzati dal padre verso la carriera commerciale, ma il giovane Svevo contemporaneamente si
dedica alla lettura di scrittori tedeschi, come Goethe, Schiller, Heine, manifestando il suo grande
interesse letterario. Fa parte di un’agiata famiglia borghese ma nel 1880, in seguito ad un
investimento industriale sbagliato, l’azienda paterna fallisce e Svevo si trova a vivere l’esperienza
della declassazione sociale passando dall’agio borghese ad una condizione di ristrettezza. Italo
Svevo è costretto a cercare lavoro e ad impiegarsi presso la filiale triestina della Banca di Vienna,
presso cui rimane per un ventennio. Parallelamente coltiva la sua passione letteraria cominciando a
scrivere. Esordisce con una breve novella Una lotta, apparsa sull’”Indipendente” nel 1888, dove due
anni dopo, nell’ottobre 1890, pubblica anche il racconto L’assassinio di via Belpoggio.
A proprie spese, nel 1892 Svevo pubblica il suo primo romanzo Una vita e nel 1898 Senilità.
Una vita e Senilità raccontano le storie di due sconfitti, anzi di due predestinati alla sconfitta, di due
mediocri, di due inetti. La voluta banalità delle loro vicende contrasta rispetto al gusto prevalente
dell’epoca in cui prevalevano figure di tipo d’annunziano, eroi scaltri e dall’indole combattiva.
Anche per questo motivo queste due opere non incontrano i gusti del pubblico e della critica di quei
tempi e non trovano un editore disposto a puntare su di loro. Lo scarso successo di questi primi due
romanzi induce Italo Svevo ad abbandonare l’attività letteraria.
Svevo giura a se stesso che non avrebbe mai più dedicato del tempo al "vizio" della letteratura.
- Nel 1895 muore la madre, a cui lo scrittore era molto legato.
- Nel 1896 Italo Svevo sposa la cugina Livia Veneziani, molto più giovane di lui e l’anno
successivo nasce la sua unica figlia, Letizia. Questo matrimonio segnerà per lui una svolta
dal punto di vista sociale perché i suoceri sono ricchi industriali, ciò permette a Svevo di
lasciare l’impiego in banca per entrare come dirigente nella ditta dei suoceri ed uscire
definitivamente dalla situazione di ristrettezza economica. A decenni di distanza da Senilità
e Una vita, due eventi inducono Italo Svevo a riprendere l’attività letteraria:
L’incontro nel 1905 con James Joyce ( monologo interiore e flusso di coscienza ) il celebre
scrittore irlandese, che viveva allora a Trieste dove insegnava inglese presso la Berlitz School e che
diede dei giudizi lusinghieri sui due romanzi pubblicati in precedenza da Svevo. Egli diventa suo
allievo e nel frattempo tra i due nasce una stima profonda , questo incontra segna una svolta perché
Joyce gli riesce a dare il giusto incoraggiamento per continuare a scrivere Suo cognato aveva
iniziato una terapia psicanalitica con Freud , l’incontro con la psicoanalisi e con le opere di Freud,
ancora sconosciuti in Italia, che avviene tra il 1908 e il 1910. L’occasione è data dal cognato di
Svevo che in quegli anni aveva sostenuto una terapia a Vienna con Freud. Egli legge diversi testi di
Freud . A causa della prima guerra mondiale , la sua famiglia deve fuggire , e durante questo
dramma della guerra lui ne approfitta per scrivere il suo terzo romanzo “ la coscienza di Zeno “
Nel 1919, Svevo inizia il suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, che viene pubblicato nel 1923.
Come per i due precedenti romanzi, l’opera passa inosservata. Grazie a James Joyce, a cui Svevo
invia il romanzo, l’opera, tradotta in francese, conosce immediatamente una larga fama in Francia,
dove, all’epoca, Joyce si era trasferito a vivere, e successivamente in Europa. L’Italia continua
invece ad ignorare il valore di Svevo e l’unica voce a suo favore è quella di un giovane poeta,
Eugenio Montale, che entusiasta del romanzo gli dedica un ampio saggio su una rivista letteraria.
Italo Svevo, già in condizioni di salute precarie, muore il 13 settembre 1928 a causa di un collasso a
seguito di un incidente automobilistico, nell’ospedale di Motta di Livenza. Solo a partire dagli anni
Sessanta verrà riconosciuto il valore delle sue opere letterarie. Italo Svevo fa parte di quella
generazione di autori, Proust, Joyce, Woolf, Pirandello, che, all’inizio del Novecento rinnovano
totalmente la struttura narrativa. I fatti narrati nei suoi romanzi, incentrati sulla crisi della società
borghese e sulla mancanza di certezze, acquistano significato in relazione alle emozioni e ai
pensieri dei personaggi, la cui psicologia viene scandagliata con i nuovi strumenti psicoanalitici.
L’origine triestina di Svevo costituisce un fattore determinante per la sua produzione letteraria,
infatti Trieste è una città aperta agli influssi delle correnti europee, il che comporta il distacco dal
verismo regionalistico nostrano, la struttura psicologica dei suoi romanzi e lo stile antiletterario. La
Trieste del tardo Ottocento è un ambiente dinamico dove un’attivissima borghesia imprenditoriale e
la mescolanza di popoli, lingue e culture diverse, contribuiscono a farne un centro culturale
cosmopolita e mitteleuropeo, che si distacca dalle tendenze e dai problemi della contemporanea
cultura italiana.
SVEVO PERCUSSORE DEL ROMANZO MODERNO
Svevo può essere considerato un precursore del romanzo moderno, nelle sue opere vi sono già gli
elementi tipici del nuovo modo di far letteratura: l’analisi psicologica dei personaggi, grazie alla
scoperta dell’inconscio, il dissolvimento delle categorie temporali e causali, l’utilizzo del discorso
indiretto libero e del monologo interiore. La sua letteratura si pone come studio delle contraddizioni
e delle complicazioni dell’esistenza dell’individuo, come analisi degli squilibri dell’io. L’opera di
Svevo indaga i caratteri contradditori della realtà e le zone inesplorate ed oscure della soggettività,
senza nessun compiacimento di tipo decadente. Si interessa alla filosofia di Schopenhauer
incentrandosi sull’osservazione delle caratteristiche della “volontà” umana determinata non da
razionalità ma da motivazioni che spingono l’uomo ad ingannare se stesso e a rimanere schiavo
delle proprie illusioni. Questa prospettiva emerge nel suo primo racconto “L’assassinio di via Bel
poggio”, in cui il protagonista, un assassino, vive una sorta di frattura tra azione e “volontà” che lo
costringe, preda di una forza interna ossessiva, a confessare il proprio delitto. Il suo capolavoro "La
coscienza di Zeno" è la storia di un’autoanalisi: Zeno Corsini, agiato commerciante triestino, decide
di ripercorrere in un diario le tappe fondamentali della sua esistenza, alla ricerca delle cause delle
proprie nevrosi. Il personaggio di Zeno è emblematico della condizione esistenziale incerta e
tormentata dell’uomo moderno. E’ un inetto a vivere, incapace di agire nella realtà.
I protagonisti dei suoi tre romanzi sono dei letterati falliti:
- Alfonso scrive un romanzo a quattro mani con Annetta e, alla fine, si suicida (Una vita);
- Emilio è ancora una volta un letterato annoiato e deluso (Senilità);
Zeno Cosini scrive un diario che è definito dal dottore che lo ha in cura un cumulo di "tante verità e
bugie", togliendo così l'eventualità che possa essere un racconto reale (La coscienza di Zeno).I tre
romanzi sono incentrati su un unico tema: l’inetto, il protagonista si scopre inetto a vivere, è un
malato, il disagio esistenziale determina la sua nevrosi, ma alla fine del percorso (nell’ultimo
romanzo) capisce che la malattia è ciò che lo distingue dai “cosiddetti sani” e determina il segno
distintivo della sua qualità e diversità.
STILE
Svevo vede nella letteratura e nella scrittura degli strumenti di conoscenza della realtà. Per lui la
letteratura deve essere libera da formalismi, retorica e perfezione linguistica. Il lessico di Svevo è
essenziale e povero, utilizza una sintassi elementare, usa termini tecnici e dialettalismi triestini,
calchi dal tedesco, plurilinguismo. Il suo stile antiletterario e antiretorico riflette, il mondo reale e le
assurdità e contraddizioni della vita di ogni giorno. Svevo ricorre ad una nuova tecnica narrativa in
cui il protagonista tramite il ricordo si auto analizza . Il narratore non è più esterno e onnisciente
(come per la narrativa ottocentesca) ma interno e partecipe. Le categorie spazio-temporali si
dissolvono, lo spazio diventa secondario, vi è una rinuncia alla ricostruzione dettagliata dello
scenario storico e sociale, il tempo è quello della coscienza che prevale nettamente sulla narrazione
dei fatti che segue il flusso della coscienza (come per Joyce) e porta all’analisi dell’interiorità
problematica del personaggio e al monologo interiore.
MONOLOGO INTERIORE James Joyce e Svevo
Il monologo interiore è una tecnica espressiva che si diffonde largamente nella narrativa del
secondo Ottocento e consiste nel riprodurre direttamente il flusso di pensieri che si svolgono nella
mente di un personaggio, il discorso interno della suo pensiero. Stilisticamente viene realizzato sia
con l’utilizzo del virgolettato sia attraverso lo stile indiretto libero. Si differenzia dallo stream of
consciousness , “flusso di coscienza” (ampiamente utilizzato in area anglosassone), in quanto il suo
linguaggio rimane di tipo comunicativo mentre il flusso di coscienza nel riprodurre la vita interiore
con le sue complicazioni, ha carattere tumultuoso, disgregato, incontrollabile. Nella narrativa spesso
le due tecniche si mescolano attraverso sovrapposizioni e combinazioni tra il metodo più
comunicativo del monologo interiore e quello più disgregato del flusso di coscienza.
“ UNA VITA “
Una vita è il primo romanzo di Italo Svevo e, quando venne pubblicato nel 1892, a spese
dell’autore, passò del tutto inosservato nel panorama letterario italiano. Il titolo inizialmente era Un
inetto, ma era stato rifiutato dall’editore, così Svevo aveva ripiegato sull’attuale titolo, che richiama
il romanzo di Guy de Maupassant Une vie. Con il titolo precedente l’autore intendeva evidenziare la
natura del protagonista e il suo pessimismo. Vari sono i modelli possibili di Una vita: da una parte il
romanzo naturalista e realista ottocentesco, dall’altra i moderni racconti basati sull’analisi
psicologica e interiore dei personaggi. La storia ruota intorno ad Alfonso Nitti, trasferitosi da poco a
Trieste dal paese natale, dopo aver trovato lavoro da impiegato presso la banca Maller. Un giorno
viene invitato a casa del banchiere, dove si riunisce un salotto letterario, guidato dalla figlia di
Maller, Annetta. Qui, Alfonso cerca il suo modo di emergere socialmente, mostrando le sue
ambizioni letterarie. Conosce quindi Annetta con cui intreccia una relazione amorosa, un rapporto
tra una donna capricciosa e volubile e un uomo desideroso di riconoscimento sociale e artistico. Fa
amicizia, inoltre, anche con Macario, giovane ambizioso e sicuro di sé. Per Alfonso sembra essere
giunto il momento più favorevole (è sul punto di sposare Annetta), ma l’uomo, improvvisamente,
ritorna nel suo paese, in una sorta di fuga dalla sua nuova vita per dedicarsi nuovamente alla
speculazione interiore e per assistere la madre malata, che muore poco dopo. Il ritorno di Alfonso a
Trieste non corrisponde al recupero della situazione precedente: Annetta sta per sposarsi con il
cugino, al protagonista viene affidato una mansione meno importante in un altro ufficio e i suoi
tentativi di riottenere il favore della famiglia Maller sortisce l’effetto opposto. Alfonso, ormai, si
sente odiato e perseguitato dai Maller, che ormai pensano che questo voglia ricattarli. Il
protagonista chiede ad Annetta di poterla incontrare per chiarire la situazione, ma all’appuntamento
si presenta il fratello, che sfida l’uomo a duello. Alfonso, vittima della sua inettitudine e credendo
che Annetta desideri la sua morte, si suicida. La notizia del suo decesso viene affidata dall’autore a
una fredda, impersonale e ipocrita lettera della Maller, in cui viene dichiarata, falsamente,
sconosciuta la ragione del gesto dell’impiegato. Svevo in Una vita presenta per la prima volta la
figura centrale dei suoi romanzi e di opere di altri autori coevi o di poco successivi, l’inetto:
incapace di vivere con gli altri, caratterizzato da un continuo senso di inadeguatezza, dedito
all’introspezione e paralizzato nel momento della scelta. Alfonso Nitti incarna questo personaggio,
non riuscendo ad integrarsi nel mondo alto-borghese che la famiglia Maller incarna, impossibilitato
a godere delle gioie che la vita gli concede, ma concentrato sulla propria drammatica condizione di
uomo. La realtà del protagonista, dopo il ritorno a Trieste, diventa priva di ideali e desideri e
culmina con la sua stanca resa di fronte alla propria inettitudine, il suicidio finale. Tutta l’esistenza
di Alfonso sembra caratterizzata da un pessimismo e una negatività di fondo, sempre pronti ad
esplodere e intaccare la superficiale serenità ottenuta. Non a caso, Svevo ammette di essere stato
influenzato, nella stesura del romanzo, dalla filosofia di Arthur Schopenhauer: e in effetti nel
romanzo ritorna costante il tema della volontà individuale, debole e insufficiente ad affrontare la
realtà del mondo, e quello della negatività della vita sociale, da cui l'uomo d'eccezione dovrebbe
distaccarsi, rifiutando la sorte mediocre degli uomini comuni.
“ SENILITA’ “
Senilità è il secondo romanzo di Italo Svevo; venne scritto tra 1892 e 1897, ma venne pubblicato
l’anno successivo, prima su un quotidiano triestino, “L’indipendente” e poi a spese dell’autore. Lo
scarso successo portò Svevo a un silenzio letterario di venticinque anni. Venne riscoperto e
ripubblicato nel 1927 a Milano, in seguito al clamore letterario dovuto alla pubblicazione della
Coscienza di Zeno e alla critica positiva a questo romanzo da parte di Eugenio Montale. La trama
(ispirata a vicende autobiografiche, come afferma Svevo stesso) ruota intorno alla storia d’amore tra
Emilio Brentani e Angiolina. Emilio, impiegato con velleità letterarie, vive un’esistenza monotona e
grigia con la sorella Amalia, quando incontra la giovane Angiolina, di cui si innamora. La donna,
tuttavia, fin dal primo istante si dimostra meno coinvolta del protagonista ed è anzi attratta da
diversi uomini, tra cui Stefano Balli, amico di Emilio e scultore, di cui è innamorata pure Amalia. Il
legame tra Emilio e la giovane, che doveva rimanere libero e disimpegnato, si dimostra invece ben
più complesso, poiché Angiolina, donna opportunista e infedele, può controllare i sentimenti di
Emilio. Questo, geloso della sorella per la presenza di Balli in casa sua, allontana l’uomo da casa.
Amalia si ammala di polmonite, a causa dell’abuso di etere, e muore. Emilio interrompe la relazione
con Angiolina, non cessando tuttavia di amarla. In seguito, scopre che la donna è scappata a Vienna
con un cassiere di una banca. Il protagonista ritorna a vivere la sua esistenza grigia e mediocre in
solitudine, ricordando le donne amate, Amalia e Angiolina, unendo nella memoria l’aspetto dell’una
con il carattere dell’altra. Come il personaggio di Una vita, Alfonso Nitti, anche Emilio Brentani
incarna la figura dell’inetto, incapace di vivere davvero, ma imprigionato nei suoi sogni e illusioni,
in un continuo ed inconsapevole autoinganno. Sono entrambi due sconfitti dalla realtà a cui non
riescono appartenere. Il primo si suiciderà, ponendo fine al senso di inutilità e inadeguatezza che lo
attanaglia; fine simile a quella della sorella del protagonista di Senilità, che illusa dell’amore di
Stefano a causa delle sue stesse fantasie, nel momento della delusione amorosa perde il contatto
definitivo con la realtà, abbandonandosi all’abuso di etere, che la condurrà alla morte. Per “senilità”
Svevo - come spiega nella nuova prefazione al romanzo del 1927 - intende proprio l’inettitudine del
protagonista, che lo rende incapace da affrontare la vita e la realtà stessa, chiuso com’è nella sua
interiorità. Questa esasperazione di autoanalisi assume carattere rilevante anche nella forma e nella
sintassi del romanzo; Svevo espone il racconto secondo la coscienza e psicologia di Emilio,
seguendo quindi i suoi sentimenti e le sue considerazioni. Diventa centrale nel funzionamento del
romanzo non più la struttura spazio-temporale delle vicende, ma i moti dell’animo e le reazioni agli
eventi dei personaggi, avvicinandosi sempre più alla struttura e alla forma de La coscienza di Zeno,
in cui il protagonista diventa il narratore delle vicende, raccontate dal suo punto di vista e attraverso
la sua visione personale dei fatti.
“ LA COSCIENZA DI ZENO “

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