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ITALO SVEVO

Ettore Schmitz, che utilizzerà lo pseudonimo di Italo Svevo, nasce a Trieste il 19 dicembre 1861, da benestante
famiglia ebrea. Il padre è proprietario di una vetreria ed educa i figli alla futura attività di uomini d’affari,
infatti Ettore frequenta il collegio in Germania e impara il tedesco, il francese e l’inglese e le tecniche di
commercio.

Nel 1878 i fratelli Schmitz rientrano a Trieste: Ettore si iscrive all'Istituto superiore commerciale anche se le
sue aspirazioni segrete erano la letteratura e un viaggio a Firenze, dove avrebbe voluto recarsi per studiare
correttamente la lingua italiana.

L'azienda familiare fallisce ed Ettore a cerca un lavoro e viene assunto presso la filiale triestina della di Vienna
con le mansioni di addetto alla corrispondenza francese e tedesca.
Sempre più deciso nel voler approdare la carriera di scrittore, nella biblioteca civica di Trieste, dopo il lavoro,
Ettore dedica molte ore alla lettura dei classici italiani: Boccaccio, Machiavelli, e di altri autori contemporanei,
Tolstoj, Flaubert, Zola, Balzac e Stendhal.

 Inizia ad appassionarsi al teatro e diviene un commentatore di spettacolo sui giornali di Trieste, poi
comincia a scrivere anche alcune commedie.
Sceglie poi lo pseudonimo di Italo Svevo per sottolineare la sua doppia appartenenza alla cultura italiana e a
quella tedesca (infatti Suebia era l’antico nome attribuito alla Germania) e pubblica presso l'editore triestino
Vram, a sue spese, il suo primo romanzo "Una vita" (1892), che verrà ignorato dalla critica e dal pubblico.
Nel 1898 pubblica “Senilità” ed anche stavolta non ottiene successo, la critica gli rimprovera un uso troppo
modesto della lingua italiana preso dalla forte delusione interromperà la sua vocazione letteraria per ben 25
anni, anche se nel mentre scrive comune novelle, favole e raccolte senza pubblicarle mai.

La sua vita viene inondata da una serie di lutti, il fratello, poi il padre ed in fine la madre, trova conforto nella
presenza di una sua lontana cugina Livia Veneziani; si innamora di lei e si sposano nel 1896, avranno una
figlia, Letizia.

Nel 1899 lascia definitivamente il lavoro alla banca, inizia ad occuparsi come dirigente dell'industria del
suocero e inizia a viaggiare per affari in diversi paesi europei.
Così eleva il suo rango ad uomo borghese, serio e laborioso e cerca di sopprimere la sua vocazione letteraria in
quanto la sua stessa moglie non condivide questa passione.
Per non lasciarsi travolgere dalla letteratura ricomincerà a suonare il violino e troverà conforto nel fumo

Nel 1905 il crescente sviluppo delle attività aziendali pongono Italo Svevo nella necessità di perfezionarsi
nella lingua inglese; si rivolge a James Joyce, scrittore irlandese giunto a Trieste qualche anno prima per
insegnare l'inglese alla Berltz Scholl.

L'amicizia fra i due nasce da subito. Entrambi interessati alla letteratura si scambiano valutazioni sui propri
lavori. Joyce, dopo la lettura dei due romanzi di Svevo, esprime all'amico parole di consenso e
d'incoraggiamento, che fanno riemergere nello scrittore gli stimoli e la convinzione per poter riprendere il
lavoro.

Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale Svevo si dedica alla conoscenza della letteratura inglese;
cominciò ad interessarsi alla psicanalisi traducendo "La scienza dei sogni" di Sigmund Freud, mentre continua
a raccogliere appunti e riflessioni per la scrittura di un romanzo futuro.

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 Porta a compimento il suo terzo romanzo, "La coscienza di Zeno" (1923), pubblicato dalla casa editrice
Cappelli, ancora una volta a sue spese, e ancora una volta sottovalutato dalla critica italiana.

Il successo de "La coscienza di Zeno" arriva grazie all'amico James Joyce, il quale, ricevuto e letto il libro, ne
rimane entusiasta; convince Svevo a inviare il testo a critici e letterati francesi, i quali esprimeranno un
assoluto apprezzamento e decretandone uno straordinario successo in campo europeo.
In Italia è Eugenio Montale a scrivere su "L'Esame", nel dicembre 1925, il saggio critico "Omaggio a Svevo",
sulle tre opere ricevute dall'autore stesso, ponendolo sul piano più alto della letteratura contemporanea.
Svevo riprende con entusiasmo la propria produzione letteraria: scrive i racconti "La madre", "Una burla
riuscita", "Vino generoso", "La novella del buon vecchio e della bella fanciulla", tutte pubblicate nel 1925.
Nel 1928 inizia a scrivere quello che doveva diventare il suo quarto romanzo "Il vecchione", rimasto purtroppo
incompiuto. A due giorni di distanza da un grave incidente automobilistico Italo Svevo muore il 13 settembre
1928 a Motta di Livenza.

L’INETTO
La produzione letteraria di Svevo è influenzata dalle teorie di Schopenhauer e Darwin i quali credono che è
l'individuo più adatto e forte riuscirà a prevalere al destino, successivamente mescola queste teorie con la
psicoanalisi e dichiara che l'individuo più adatto è colui che è sempre disponibile a cambiare ed evolversi.

Egli introduce nella coscienza di Zeno il termine abbozzo (capace di evolversi) che si rifà alla figura dell'inetto:
uomo inadatto alla vita e che si isola in quando non riesce a relazionarsi, è incapace di realizzare le proprie
ambizioni ed incerto.

L'inetto, dubbioso e pigro è protagonista dei suoi tre romanzi, egli rifiuta la concezione del superuomo
presuntuoso e superiore di d'Annunzio e rifiuta anche gli uomini comuni, i vinti del realismo.

Alfonso, Emilio e Zeno sono considerati tre fratelli, tutti pervasi dall'inetto, inoltre li accomuna il desiderio di
volersi affermare in ambito amoroso, affiancandosi a donne sicure di se, loro si propongono di salvarle ma
alla fine sono costretti a rinunciare a questo amore a causa dell'inetto.

Inoltre è comune la figura dell'antagonista, che è considerato un rivale in ambito amoroso e rende l'inetto
ancora più inadeguato e inferiore, l'antagonista tal volta è anche rappresentato dai padri, fratelli o medici.

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UNA VITA
Svevo inizia la stesura del romanzo una vita nel 1886, la sua pubblicazione viene rifiutata dall'editore Treves
così nel 1892 decide di pubblica a sue spese presso l'editore Vram cambiando gli anche il titolo che sarebbe
dovuto essere un inetto.

Trama
Il protagonista è Alfonso Nitti che ha 22 anni a causa di problemi economici è costretto a lasciare il paese di
campagna per trasferirsi a Trieste dove diventa un impiegato della banca Mahler, in questo tempo il suo
desiderio era quello di diventare letterario.

Egli si trasferisce presso la famiglia Landucci che avrebbe voluto far sposare Alfonso con la loro figlia Lucia egli
riesce a frequentare il salotto di Annetta figlia del suo titolare di lavoro, e si innamora Infatti per sedurla egli
accetta la proposta di scrivere un romanzo insieme, ma dopo un po' di tempo si accorge che le idee della
ragazza sono scadenti.
Ben presto inizia una relazione con lei, ma non ne è realmente soddisfatto; non intendendo sposarla, e
sperando di poter cambiare vita e coltivare la sua passione letteraria, fugge nel suo paesino per un mese e
mezzo e trova la madre gravemente malata.

Quando fa ritorno a Trieste Annetta si era fidanzata con il cugino Macario, così Alfonso subisce un
declassamento dal proprio ufficio in quanto fu accusato di ricatti, così egli chiede ad Annetta un incontro per
poter dichiarare false quelle accuse, ma a questo incontro si presenta il fratello di Annetta che lo sfida a
duello, Alfonso decide di non affrontare questo duello e scappa senza alcuna spiegazione e si suicida per
soffocamento causato dal gas della sua stufa.
A differenza dei vinti dei romanzi veristi, Alfonso Nitti non è sconfitto da cause sociali, ma interiori, infatti il
suo suicidio non ha nulla di eroico se lo si paragona a quello dell’Ortis di Foscolo o del Werther di Goethe: è
solo l’ultimo atto della sua inettitudine.
 L’inettitudine di Alfonso pieno di paure emerge quando viene messo a confronto con la determinazione di
Macario, personaggio sicuro;
Svevo rappresenta l’antagonismo nella “lotta per la vita” tra “lottatori” e “contemplatori”.
Il contemplatore Alfonso è debole e passivo, inadeguato, mentre il lottatore Macario è più energico.

La sua vicenda è narrata in terza persona; Svevo assume nei suoi confronti una prospettiva critica piuttosto
severa, il narratore è estraneo alla vicenda però, a differenza del romanzo naturalistico in cui il narratore
rimane totalmente estraneo, interviene a giudicare e a commentare con interventi esplicativi ed a volte
ironici, evidenziando il netto divario tra la sua coscienza dei fatti e quella più limitata del protagonista.

In Alfonso si evince il particolare legame morboso con sua madre, il romanzo inizia con una lettera della
madre indirizzata ad Alfonso, poi egli si allontana dalla sua casa ma preso dalla sofferenza vi fa ritorno e cerca
di farsi perdonare dalla madre che non voleva il distacco.
Ancor prima della pubblicazione dei testi di Freud teorizza il rapporto morboso madre-figlio.

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SENILITÀ
Emilio Brentani, intellettuale fallito di 35 anni. In passato Emilio ha pubblicato un romanzo che non ha
riscosso alcun successo e così si è ritrovato a condurre una vita da umile impiegato di modeste condizioni
economiche. Emilio incontra per caso una giovane popolana, Angiolina Zarri, la cui bellezza colpisce il
protagonista che spera di poter vivere con lei una storiella sentimentale, un’avventura poco impegnativa.

Angiolina ha una vitalità prorompente e aperta ed Emilio, privo di energia vitale e sempre in attesa di
occasioni che non si realizzano mai, spera di godere di questa vitalità, pur mantenendo la distanza che il
divario sociale tra loro impone. Egli si illude di poter condurre questa storia d’amore ma in realtà ne rimane
vittima. Idealizza la figura di Angiolina che vede come un angelo e chiama col nome francese “Ange”. Emilio
viene coinvolto sempre più fortemente dalla passione per Angiolina quanto più ella si rivela inafferrabile e
distante.

Emilio aspira a vivere come il suo amico scultore, Stefano Balli, figura in completa contrapposizione,
personaggio attivo, spregiudicato, sicuro di sé e assolutamente a suo agio in ogni situazione, artista di poco
successo ma con un grande successo personale, soprattutto con le donne.

Emilio vive con la sorella Amalia, grigia e malinconica figura di zitella, che vive con lui nella stessa inerzia e
votata alla rinuncia, scossa dalla vicenda del fratello che la abbandona per inseguire il suo amore, capisce che
anche lei che si è innamorata segretamente fino alla follia (e alla morte) di Stefano Balli, un amore impossibile
e silenzioso.

Quando Emilio scopre la verità, durante un delirio della sorella, chiede all’amico di non frequentare più la sua
casa. Ma quando la sorella, per abuso di etere, si ammala di polmonite richiama il Balli ed i due uomini con
l’aiuto di una vicina assistono la moribonda. Emilio scoperto un nuovo tradimento di Angiolina abbandona la
sorella sul letto di morte ma poi ci ripensa, ritorna e le resta accanto fino a quando muore.

Emilio trova la forza di interrompere la relazione con Angiolina e torna a vivere nella mediocrità, ricordando le
due donne.

Nel capitolo conclusivo del romanzo il protagonista alla ricerca di un nuovo equilibrio interiore recupera il
valore dell’esperienza vissuta operando una metamorfosi nel ricordo attribuendo ad Angiolina tutte le qualità
di Amalia.

L’INETTO
In questo romanzo l’atteggiamento dell’inetto è complicata da un senso di precoce invecchiamento, di
“senilità”, che non si riferisce solo all’età di Alfonso, bensì alla condizione interna.
Svevo definisce Emilio il “fratello maggiore di Alfonso”, perché anche Emilio come Alfonso è un essere debole
e passivo, timido e imbarazzato, in preda all'agitazione. La differenza è che Emilio non è più un giovane (come
Alfonso), ma un uomo adulto, che vive una condizione di paralisi e di invecchiamento precoce, con un distacco
dalle cose e dalle persone che somiglia a quella che si raggiunge in vecchiaia.

Nel rapporto con Angiolina emerge la profonda immaturità psicologica di Emilio nell’idealizzazione romantica
con cui egli insiste a nascondere a se stesso la realtà. Emilio trasforma la sorella e la carriera in un dovere che
ostacolano il suo lasciarsi andare a vivere pienamente la sua vita, camuffando la propria inettitudine con il
senso di responsabilità.
Emilio vive un’anzianità precoce perchè rinuncia alla vita, preferisce “lasciarsi vivere” rassegnandosi alla stasi
e all’inerzia. La senilità è un atteggiamento nei confronti della vita, il ripiegarsi in una «triste inerzia». Emilio è
un personaggio senile pur non essendo vecchio perché è vecchio dentro, nell'animo e nella volontà. La
«senilità» è una condizione interiore
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La coscienza di Zeno.
Con Zeno viene messa a fuoco la figura dell’inetto quale rappresentante dell’uomo contemporaneo,
abulico e infelice, incapace di assumersi responsabilità. Le nevrosi di Zeno destano simpatia nel lettore che
per alcuni aspetti riconosce in esse anche le proprie debolezze.

TRAMA
Il protagonista è Zeno Cosini, un benestante borghese triestino, che scrive un diario, seguendo il consiglio
del suo psicanalista Dottor S, in cui narra gli episodi basilari e significativi della sua vita.

Il romanzo si struttura in una Prefazione e sette capitoli:


Prefazione:
Il primo capitolo consiste nella prefazione scritta dal dottor S., lo psicanalista che ha avuto in cura Zeno,
che in poche righe spiega che ha deciso di divulgare le memorie del suo paziente per vendetta, dato che
quest'ultimo ha abbandonato la terapia. Il dottore non farà più apparizione come narratore ma è
identificato come interlocutore nel diario di Zeno.

Capitolo 2 –il preambolo:


Da questo capitolo in poi la narrazione è fatta da Zeno che è dunque sia il protagonista che il
narratore.
Il Dottor S. dice a Zeno di scrivere la sua autobiografia come cura, in modo da facilitare la riemersione dei
ricordi remoti. Non si tratta di un vero diario perché il tema della narrazione non è la vita del protagonista
ma la storia della sua malattia.
La malattia che lo affligge è l’inettitudine che qui assume le peculiarità di una patologia psicologica, una
nevrosi che si manifesta attraverso il senso di insoddisfazione costante, l’angoscia, la paura incontrollabile,
il conflitto costante con l’ambiente che lo circonda.

Capitolo 3 – Il fumo:
Zeno inizia il suo diario partendo dal vizio del fumo che mette in evidenza la sua nevrosi basata sul continuo
rinviare ciò che si ripromette di fare.
Il protagonista, fumatore accanito fin da giovane, racconta del proprio dipendere dal vizio del fumo, e dei
suoi ricorrenti, quanto inutili, tentativi di liberarsene. Ogni sigaretta, si ripromette Zeno sarà l’ultima e
riempie di questo suo buon proposito, con le scritte “ultima sigaretta”, il suo taccuino.
In realtà, ogni volta, dopo aver assaporato con estremo piacere e soddisfazione, proprio per il fatto che sarà
quella definitiva, l’ultima sigaretta, a quella ne seguono altre in un rincorrersi di decisioni prese e subito
dopo disattese, la sua vita è improntata sulla mancanza di volontà e sull’incapacità di perseguire fino in
fondo un proposito.

Capitolo 4 – La morte del padre:


Il capitolo “La morte del padre” racconta del rapporto conflittuale con il padre, ricco di silenzi e
fraintendimenti.
La figura paterna in quanto figura che incarna la maturità suscita odio in Zeno, anche se egli non lo confessa
neppure a se stesso, rimuovendo, nell’accezione freudiana, questo sentimento per adeguarsi alle
convenzioni borghesi in base alle quali il sentimento filiale deve essere inevitabilmente di amore e rispetto.

Capitolo 5 – La storia del mio matrimonio:


Il capitolo “La storia del mio matrimonio” parla del rapporto con le donne. Zeno ha un rapporto conflittuale
e immaturo anche con le donne.
Decide improvvisamente di sposarsi. Inizia a frequentare le tre sorelle Malfrenti, figlie di un uomo d’affari
triestino. Zeno si innamora della primogenita Ada, la più bella, Ada era interessata al più disinvolto Guido
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Speier. Finisce quindi per sposare quella che gli piace di meno, Augusta, la più brutta delle tre sorelle con un
occhio strabico. Augusta rappresenterà per lui un affetto tiepido ma anche sincero e in grado di garantirgli
una vita coniugale regolare e serena. In lei Zeno trova una seconda madre che lo accudisce e lo ama. Anche
in questa situazione il personaggio di Zeno si caratterizza come inetto, inetto alla vita che non è in grado di
fare delle scelte e che si lascia trascinare dagli eventi, per cui, pur essendo amante della vita da scapolo
senza regole, alla fine Zeno finisce per accettare passivamente le regole del matrimonio.

Capitolo 6 – La moglie e l’amante


Zeno, per conformarsi agli usi della società dell’epoca, diviene l’amante di Carla Greco, una povera ragazza
che gli rimarrà fedele per tutto il periodo della relazione ma che, come tutto, non lo coinvolge in maniera
profonda.

Capitolo 7 – Legame d’affari con Guido:


Narra dell'impresa commerciale portata avanti da Zeno con Guido Speier, marito di Ada, e del rapporto con
il cognato nei confronti del quale Zeno prova forte antipatia e un sentimento di rivalsa.
I due cognati sono estremamente diversi, Guido è una persona espansiva e brillante, ma anche superficiale
e incapace, Zeno è inconcludente, insicuro e passivo.

L’azienda va in completa rovina, sia a causa dell’inadeguatezza e la disattenzione di Guido sia per la
svogliatezza e l’incertezza di Zeno.
Guido simula un suicidio, pensando così di salvare il proprio onore e di riuscire ad avere un ulteriore
prestito dalla famiglia della moglie. Le cose vanno però diversamente perché per errore sbaglia la dose del
sonnifero e muore.
Zeno dovendosi occupare delle questioni pratiche ed economiche legate alla morte del cognato, cerca di
riavvicinarsi ad Ada, sembra che tra loro possa nascere qualcosa ma anche questa situazione si conclude in
niente.

Capitolo 8 - Psico-analisi (Conclusione)

Nella conclusione del racconto Zeno ha sospeso la terapia e rifiuta e condanna con disprezzo la psicoanalisi
che non gli ha arrecato alcun beneficio ed è anzi stata fonte di nuove malattie dell’animo.

Al termine del romanzo Svevo, tramite il personaggio di Zeno, fa una amara riflessione sulla condizione
esistenziale dell’uomo. Attraverso il protagonista che si dichiara completamente sano, Svevo rivela che la
malattia interiore che affliggeva Zeno è una condizione comune a tutta l’umanità, è congenita in quanto
insita nella civiltà dell’epoca che il progresso da una parte ha migliorato ma dall’altra ha irrimediabilmente
compromesso. Il progresso è in realtà per l’uomo è solo degenerazione e malattia, dovuti alla continua
ricerca di qualcosa che la sete di denaro e potere e il desiderio di possesso non possono dare.

Analisi del romanzo


Italo Svevo esce dalla crisi letteraria e filosofica da cui era nato il Decadentismo, con posizioni molto diverse
rispetto a Pascoli e a D’Annunzio, approdando ad una visione dell’arte molto più problematica di quella del
Decadentismo. Se con i poeti simbolisti e con gli stessi Pascoli e D’Annunzio era ammessa una sorta di
verità, pur se non univoca e granitica ma utile a dare spiegazione dell’esistere, con Svevo e Pirandello la
possibilità di arrivare a una qualsiasi verità viene negata. La realtà è multiprospettica e dinamica, in
evoluzione e mutazione, pertanto che la verità assoluta non esiste.

La modernità della visione di Svevo sta nell’idea di fare della coscienza di un personaggio il centro del
romanzo, coscienza considerata nell’ottica della psicanalisi di Freud, si tratta di una coscienza problematica,
contraddittoria, in cui la parte istintiva e la parte razionale si contrastano in continuazione.
E’ una coscienza che mente, a se stessa e agli altri, che distoglie lo sguardo dalle cause del proprio disagio.
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La coscienza di Zeno non è, come potrebbe apparire a prima vista, un’autobiografia di Zeno, ma è la storia
della sua malattia. La narrazione verte infatti sulla malattia del protagonista-narratore, e non sulla sua vita.
Di conseguenza la materia narrativa segue un percorso basato sulla specificità del tema: la vicenda non
ripercorre le tappe cronologiche della vita dell’uomo (infanzia, fanciullezza, maturità), ma quelle della
“malattia dell’anima”. La malattia in questione altri non è se non l’inettitudine che assume le caratteristiche
di una vera e propria nevrosi, una patologia di natura psicologica che si manifesta in diversi modi: senso di
insoddisfazione costante, angoscia, paura incontrollabile, conflitto costante con l’ambiente in cui il soggetto
vive, sensazione di inadeguatezza, ecc.

L’utilizzo della psicoanalisi, nonostante Svevo non abbia alcuna fiducia nel suo potere terapeutico, è
strumentale perché ritenuto dallo scrittore molto efficace in campo letterario per le possibilità che apre
nella comprensione dei meccanismi che regolano il comportamento dell’individuo.

“La coscienza di Zeno” non è un romanzo basato sulla rappresentazione oggettiva e precisa di una realtà
sociale come nei romanzi naturalisti, né il resoconto semplice di una vicenda biografica, ma è la narrazione
di una coscienza in cui convivono sia le verità che le falsità, tanto l’ammissione quanto l’inganno.

Svevo afferma l’esistenza di un nuovo tipo di verità, in contrapposizione alla verità basata sull’autorevolezza
del punto di vista (ipse dixit), basata su una cooperazione tra il lettore e l’opera.

Stile

Zeno utilizza un lessico moderno: il testo di Italo Svevo è pervaso di un sottile umorismo ed è scritto con un
linguaggio semplice e vivace, vicino al parlato in cui si inseriscono espressioni tecniche, ripetizioni,
metafore, similitudini e giochi di parole che danno un tono ironico alla narrazione. L’ironia è una
componente stilistica fondamentale: ogni avvenimento presenta aspetti ironici.

L’elemento tecnico-stilistico più originale è il discorso indiretto libero che è alla base de.
A differenza del romanzo ottocentesco in cui il narratore si caratterizzava per la sua credibilità (narratore
oggettivo), nel romanzo di Svevo la voce narrante appare inattendibile, è insicuro e incerto nell’interpretare
le vicende del proprio passato e può solo immaginare ed avanzare delle ipotesi interpretative.

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