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ITALO SVEVO

Vita (1861 – 1928)


La declassazione e il lavoro impiegatizio
Italo svevo è lo pseudonimo letterario di Aron Hector Schmitz, nacque a Trieste, proviene da una famiglia di
ebrei, fu mandato in collegio in Germania dove cominciò ad apprezzare scrittori tedeschi come Goethe: dall’età di
20 anni circa comincia a collaborare col giornale triestino “L’indipendente” con articoli letterari e teatrali. La
rivista era di orientamento liberal-nazionale e irredentista: politicamente Svevo era vicino a posizioni
irredentistiche e manifestava interesse anche per il socialismo.
Nel 1880 il padre a causa di un investimento finanziario sbagliato fallisce: Svevo ne rimane molto influenzato e
conosce l’esperienza della declassazione. Svevo lavora per 19 anni presso la filiale triestina di una banca e trova
questo impiego arido ed opprimente (la sua esperienza coincide con quella di Alfonso Nitti in “Una vita”). In
questi anni comincia a dedicarsi alla stesura di “Una vita”, pubblicata nel 1892 con lo pseudonimo di Italo Svevo.
Il salto di classe sociale e l’abbandono della letteratura
Nel 1895 muore la mamma, a cui Svevo era molto legato: al funerale incontra una cugina, Livia Veneziani, di cui
si innamora e la sposa lo stesso anno.
Il matrimonio segna una svolta fondamentale nella vita di Svevo:
 sul piano psicologico l’inetto si può finalmente identificare con la figura del pater familias
 sul piano sociale Svevo abbandona l’impiego in banca e comincia a lavorare presso la ditta dei suoceri e si
trova proiettato nel mondo dell’alta borghesia: si trasforma da intellettuale in dirigente d’industria e il nuovo
lavoro gli permise di fare diversi viaggi in Francia e Inghilterra.
 abbandona l’attività letteraria, forse anche a causa dell’insuccesso del suo secondo romanzo “Senilità”
(pubblicato nel 1898).
Il permanere degli interessi culturali
Oltre al matrimonio ci sono altri due eventi importanti che hanno segnato la figura di Svevo:
 l’incontro con James Joyce, con cui stabilì una stretta amicizia: Joyce fece leggere a Svevo “Dubliners”,
mentre Svevo fece leggere i suoi due romanzi a Joyce, che li apprezzò molto e incoraggiò l’autore a non smettere
l’attività letteraria.
 l’incontro con la psicoanalisi (tra il 1908 e il 1910): il cognato aveva sostenuto una terapia con Freud, delle cui
teorie Svevo condivideva e si ritrovava in molti punti.
La ripresa della scrittura
A seguito di questi due eventi, Svevo riprende la scrittura, con l’occasione dello scoppio della prima guerra
mondiale. Alla fine del conflitto, nel 1919 cominciò a comporre il suo terzo romanzo, “La coscienza di Zeno”: ma
come avvenne per i due romanzi precedenti, l’opera non suscitò alcuna risonanza. Grazie a Joyce, che ne
riconobbe il valore, il romanzo conquistò larga fama in Francia e su scala europea. In Italia il romanzo rimase
pressoché ignorato da tutti, tranne che da Montale.
La fisionomia intellettuale di Svevo
Bisogna tenere presente il particolare contesto in cui si forma Svevo:
 Triste infatti fino al 1918 non fa parte dello stato italiano, ed è quindi una città di confine, in cui confluiscono
tre civiltà diverse: italiana, tedesca e slava. Lo pseudonimo stesso sta a significare questo confluire di civiltà: Italo
(cultura italiana) Svevo (cultura tedesca).
 Non va neanche trascurata la sua provenienza da una famiglia ebrea: si pensa che la figura dell’inetto si possa
identificare con quella dell’ebreo nella civiltà europea.
 Svevo non coincide quindi con la figura tradizionale dello scrittore italiano, l’intellettuale puro: la scrittura
letteraria non fu la sua professione, ma un’attività che correva parallela a quella quotidiana.

La cultura di Svevo
I maestri di pensiero
Il pensiero di Svevo fu influenzato da tre filosofi: per primo Schopenhauer, che affermava un pessimismo radicale
indicando come unica via di salvezza dal dolore la contemplazione e la rinuncia; in seguito Svevo conobbe
Nietzsche, da cui poté trarre l’idea del soggetto come pluralità di stati in fluido divenire; per ultimo ebbe come
riferimento Darwin, l’autore che professava i concetti di “selezione naturale” e di “lotta per la vita”.
I rapporti con il marxismo e la psicoanalisi
La sua breve simpatia per il socialismo lo portò per un certo periodo a conformarsi con il pensiero marxista, da cui
trasse la chiara percezione dei conflitti di classe e la consapevolezza che tutti i fenomeni, compresa la psicologia
individuale, sono condizionati dalle realtà delle classi: ciò significa che la nostra psiche è tale perché è collocata in
un certo contesto.
Del marxismo però non condivise le concrete proposte politiche come la dittatura del proletariato e la
collettivizzazione, ma preferì prospettive di tipo utopistico.
Della psicoanalisi, invece, lo interessavano le tortuosità della e le ambivalenze della psiche profonda: Svevo non
apprezzò però la psicoanalisi come terapia, perché la riconosceva solo come strumento conoscitivo e letterario,
capace di indagare la realtà psichica.
I maestri letterari
Sul piano letterario gli autori che più lo influenzano sono i romanzieri realisti francesi dell’Ottocento, Balzac,
Stendhal e Flaubert. In particolare da “Madame Bovary” di Flaubert prende il “bovarismo” (= la maniera
impietosa di rappresentare la miseria della coscienza del piccolo borghese) e lo applica ai personaggi sveviani: per
esempio il bovarismo è un tratto caratterizzante dei due eroi dei suoi primi due romanzi (Alfonso Nitti e Emilio
Brentani).
Influenze minori arrivarono anche da altri autori, come Zola (romanziere naturalista), Bourget (romanziere
psicologico), Dostoievskij, che si addentra nella psiche, Swift e Dickens (umoristi inglesi) e infine il già citato
Joyce.

Il primo romanzo: UNA VITA


Il titolo e la vicenda
Svevo iniziò il suo primo romanzo nel 1888, il titolo originario era “un inetto”, ma venne sconsigliato dall’editore.
L’opera suscitò scarsissimo interesse nella critica e nel pubblico.
Il protagonista è Alfonso Nitti, che abbandona il paese e la madre per venire a lavorare a Trieste, dopo che la
morte del padre ha lasciato la famiglia in ristrettezze: Alfonso trova un impiego presso una banca, ma il lavoro
non lo gratifica e li appare arido e mortificante. Il giovane quindi, evade con la mente e vagheggia, passando il suo
tempo in letture presso la biblioteca comunale. L’occasione di cambiare la sua vita vuota e solitaria si presenta
quando viene invitato a casa del padrone della banca (Maller) e fa conoscenza con Macario, un giovane brillante e
sicuro di sé che rispecchia tutto ciò che Alfonso vorrebbe essere. Alfonso conosce anche Annetta, figlia di Maller,
che seduce nonostante non provi sentimenti per lei: Alfonso potrebbe cambiare la sua vita e fare il salto di classe
sposando la ricca ereditiera, ma spinto da un’inspiegabile paura si allontana da Annetta e Trieste adducendo come
scusa una malattia della madre. Al suo ritorno al paese trova effettivamente la madre gravemente malata, che
muore. Il protagonista torna a Trieste, credendo di aver scoperto nella rinuncia e nella contemplazione la sua vera
natura (Schopenhauer), ma quando scopre che Annetta si è fidanzata con Macario è invaso da dolorosa gelosia: da
questo momento Alfonso commette solo errori irreparabili. Viene trasferito in banca ad un compito meno
importante, affronta il signor Meller per lamentarsi e il suo comportamento viene interpretato come un ricatto,
chiede un incontro ad Annetta, a cui si presenta il fratello che lo sfida a duello: Alfonso decide di trovare nella
morte una via di scampo sentendosi incapace alla vita.
I modelli letterari
“Una vita” ha legami sia con il romanzo della scalata sociale (in cui un giovane provinciale ambizioso si propone
di conquistare il successo nella società cittadina) anche se in realtà Alfonso Nitti si limita a sognare il successo, sia
con il romanzo di formazione (che segue il processo attraverso cui un giovane si forma alla vita).
L’“inetto” e i suoi antagonisti
L’inettitudine è sostanzialmente una debolezza, un’insicurezza psicologica, che rende l’eroe incapace alla vita.
Svevo creando il personaggio dell’inetto non si limita solo a ritrarre una condizione psicologica, sa anche
individuare le radici sociali di quella debolezza: Alfonso è un piccolo borghese, declassato da una condizione
originariamente più elevata ed è un intellettuale ancora legato alla cultura umanistica. Questi due fattori sociali lo
rendono “diverso” nella solida società borghese triestina. La sua diversità lo paralizza ed è sentita come
inferiorità: l’impotenza sociale diventa impotenza psicologica. Per questo motivo tramite l’evasione nei “sogni da
megalomane” Alfonso riesce a sentirsi realizzato, sebbene si tratti di una maschera fittizia, un’immagine
consolatoria di sé, che lo risarcisce dalle frustrazioni reali.
Gli antagonisti sono costituiti da tutti i personaggi che possiedono e mostrano prerogative che mancano ad
Alfonso: per primo il signor Maller, vera incarnazione della figura del padre, possente e terribile, quindi Macario,
perfettamente adatto alla vita, che gli sottrae la donna, oggetto dei suoi desideri di scalata sociale.
L’impostazione narrativa
La narrazione è condotta da una voce “fuori campo” che si riferisce ai personaggi con la terza persona. Il narratore
è impersonale, non interviene con commenti o ampie intrusioni (come accadeva nei Promessi Sposi, per esempio).
Nel romanzo predomina la focalizzazione interna al protagonista e il punto di vista da cui sono presentati gli
eventi narrati è collocato nella coscienza di Alfonso. Ciò significa che tutto passa attraverso il filtro della sua
soggettività: il lettore vede le cose come le vede Alfonso e sa solo ciò di cui egli è a conoscenza.
Il secondo romanzo: SENILITA’
La pubblicazione e la vicenda
Il secondo romanzo di Svevo, Senilità, esce nel 1898, e ottiene meno successo del primo.
Il protagonista è Emilio Brentani, 35enne, lavora in una società assicurativa triestina e gode di una certa
reputazione in ambito cittadino per aver pubblicato anni prima un romanzo. Vive con la sorella Amalia, che lo
accudisce, e spesso si appoggia all’amico Stefano Balli, scultore e uomo di forte personalità che ottiene un enorme
successo con le donne: egli incarna una sorta di figura paterna per Emilio. L’insoddisfazione per la propria
esistenza mediocre e vuota, spinge Emilio a cercare il godimento nell’avventura con una ragazza del popolo,
Angiolina, conosciuta per caso; Emilio vorrebbe imitare il comportamento di Stefano, cioè sedurre la ragazza
senza impegnarsi, ma divertendosi soltanto, in realtà egli se ne innamora perdutamente e la idealizza nella sua
fantasia come una creatura angelica. Quando scopre la vera natura di Angiolina, bugiarda, cinica e piena di
amanti, Emilio impazzisce di gelosia assumendo comportamenti ossessivi. Emilio entra in uno stato di
disperazione profonda e definisce il suo rapporto con Angiolina la sua “gioventù”: cerca quindi di riallacciare i
legami con Angiolina, ma dopo averla posseduta ne rimane disgustato perché la ragazza non è più la figura
idealizzata della sua mente, ma donna reale, di carne, che lui disprezza.
L’amico Balli si interessa ad Angiolina per usarla come modella per una delle sue sculture e la ragazza se ne
innamora: a questo punto la gelosia patologica di Emilio si concentra tutta sull’amico.
Nel frattempo la sorella Amalia si innamora di Stefano, Emilio se ne accorge e, furibondo, allontana l’amico da
casa, distruggendo i sogni della sorella, che si ammala di polmonite. Emilio lascia il capezzale di Amalia morente
per incontrarsi con Angiolina, deciso ad abbandonarla definitivamente e dedicarsi alla sorella: ma Emilio
scoprendo un ennesimo tradimento si lascia trasportare dall’ira e insulta violentemente Angiolina. Dopo la morte
di Amalia, Emilio si chiude nel guscio della sua senilità, guardando alla sua avventura come un “vecchio” alla sua
“gioventù”. Nei suoi sogni egli fonde insieme le due figure di Angiolina e Amalia in un’unica figura, pensosa e
intellettuale, che diviene il simbolo della sua utopia socialista.
La struttura psicologica del protagonista
Il secondo romanzo, a differenza del primo, non offre più un quadro sociale completo, ma si sofferma
principalmente su quattro personaggi centrali e sulla loro indagine psicologica.
Emilio Brentani è il fratello carnale di Alfonso Nitti: anch’egli è un piccolo borghese declassato e al tempo stesso
un intellettuale. Dal punto di vista psicologico Emilio è un debole, un inetto, che ha paura di affrontare la realtà, e
per questo si costruisce un “sistema protettivo” che si oggettiva nella chiusura entro in nido domestico che si
compendia nella figura materna della sorella Amalia.
In Emilio nasce però un senso di inquietudine, spinto dal desiderio di provare godimento e piaceri, che identifica
in Angiolina, simbolo di pienezza vitale: sarà proprio la relazione con la donna a far venire alla luce l’inettitudine
di Emilio ad affrontare la realtà. Questa inettitudine è soprattutto immaturità psicologica.
L’inetto e il super uomo
Emilio maschera ai propri occhi la sua immaturità psicologica, si auto-inganna; egli non coincide con l’immagine
dell’individuo borghese (modello di uomo proposto dalla società Ottocentesca), né con quella dell’uomo forte,
sicuro, capace di dominare la realtà. Per questo si appoggia all’amico Stefano, che risulta essere il personaggio
complementare, il “superuomo”.
Nel suo romanzo Svevo riesce a rappresentare il ritratto di un tipo sociale rappresentativo, l’intellettuale piccolo
borghese di un periodo di crisi.
La cultura di Emilio Brentani
Emilio filtra costantemente la sua realtà attraverso schemi letterari, rivelando la sua dipendenza da una
tradizionale cultura umanistica: Emilio vede Angiolina sia come donna in figura angelica (tradizione stilnovistica)
sia come donna fatale, donna tigre (impostazione tardo romantica e dannunziana). Ciò che l’analisi di Svevo mette
in luce è che i principi filosofici e politici professati da Emilio sono solo maschere che il personaggio indossa per
nascondere ai suoi stessi occhi la sua debolezza, per costruirsi immagini di sé più gratificanti e consolanti.
L’impostazione narrativa
“Senilità” è un romanzo focalizzato quasi totalmente sul protagonista (come “Una vita”), i fatti sono filtrati
sistematicamente attraverso la sua coscienza e sono presentati come li vede lui: ma poiché Emilio è portatore di
una falsa coscienza e si costruisce continuamente maschere, alibi, autoinganni, la sua prospettiva è deformante, il
suo punto di vista è inattendibile.
Questa inattendibilità viene denunciata da Svevo attraverso tre procedimenti narrativi:
 interventi del narratore: la voce del narratore interviene, nei punti essenziali, con commenti e giudizi per
smentire e correggere la prospettiva del protagonista.
 ironia oggettiva: spesso davanti alle menzogne e agli alibi più vistosi di Emilio, il narratore tace, non interviene
direttamente a smentire, chiarire e correggere; basta il contrasto che si viene a creare tra gli autoinganni di Emilio
e la realtà oggettiva.
 la registrazione del linguaggio di Emilio sia nelle battute del discorso diretto sia nel discorso indiretto libero: il
linguaggio di Emilio appare stereotipato, pieno di espressioni enfatiche, melodrammatiche, ad effetto e allo stesso
tempo banali.
Questi tre procedimenti sono la più chiara testimonianza dell’atteggiamento critico di Svevo nei confronti del suo
eroe: Svevo fornisce una critica lucidissima di tutta una mentalità e di tutta una cultura in un dato momento
storico.

T2 Il ritratto dell’inetto
Sono le pagine iniziali del romanzo, da cui emerge già con chiarezza la fisionomia del protagonista.
È il brano in cui Emilio insiste nel chiarire con Angiolina che le sue intenzioni non sono serie e che i due
dovrebbero procedere cauti: la menzogna si sviluppa su due livelli: 1) Emilio adduce come scusa di non potersi
impegnare seriamente con la ragazza per i doveri a cui è legato; 2) mente anche a sé stesso per motivare il
proposito di non intrecciare un legame serio citando “famiglia” e “carriera”. Infatti quella che lui considera
famiglia è la convivenza con la sorella, mentre la carriera non è che un “modesto impieguccio”.
Nel brano Angiolina viene descritta come “il volto illuminato dalla vita”, “raggiante di gioventù e bellezza”,
caratteristiche che non corrispondono alla reale donna, ma filtrate dalla prospettiva di Emilio che trasfigura la
ragazza in simbolo.
Questa idealizzazione di Angiolina viene assunta da Emilio come antidoto alla sua “senilità”, sentita come una
vera e propria malattia: l’opposizione malattia-salute è del personaggio, non dell’autore, e non è che un sogno
evasivo come tanti altri.
La narrazione è etero diegetica e il narratore non si eclissa, anzi, interviene frequentemente a giudicare e
commentare, anche con un sarcasmo eloquente.

Il terzo romanzo: LA COSCIENZA DI ZENO


Il nuovo impianto narrativo
È il terzo romanzo di Svevo, scritto 25 anni dopo “Senilità”, elemento che spiega la diversità dell’opera dalle due
precedenti. Tra i primi due romanzi e la coscienza, infatti, avvengono trasformazioni radicali nell’assetto materiale
della società europea, basti solo pensare allo scoppio della 1° guerra mondiale: il romanzo di Svevo non poteva
non risentire di questa diversa atmosfera., mutando prospettive e soluzioni narrative. Svevo abbandona il modulo
del romanzo Ottocentesco di matrice naturalistica, e adotta soluzioni nuove: per esempio gran parte della
“coscienza” è costituita da un memoriale (= una confessione auto-biografica) che il protagonista Zeno scrive per il
suo psicanalista. Al testo del memoriale si aggiunge anche una sorta di diario di Zeno, in cui egli spiega i perché
dell’abbandono della terapia presso il dottor S. e si dichiara guarito.
Il romanzo essendo narrato dal protagonista stesso dietro la finzione narrativa dell’autobiografia ha pertanto un
impianto auto diegetico.
Il trattamento del tempo
Svevo definisce il tempo “tempo misto”, dal momento che il racconto, nonostante l’impostazione auto-biografica,
non presenta gli eventi nella loro successione cronologica lineare, ma in un tempo soggettivo, che mescola piani e
distanze, in cui il passato (il tempo del vissuto) riaffiora continuamente e si intreccia con infiniti fili al presente (il
tempo del racconto) in un movimento incessante, in quanto resta presente nella coscienza del personaggio
narrante.
La struttura del racconto non è lineare, ma spezzata dalla narrazione: la ricostruzione del proprio passato operata
da Zeno si raggruppa attorno ad alcuni temi fondamentali, a ciascuno dei quali è dedicato un capitolo. La
narrazione va continuamente avanti e indietro nel tempo, seguendo la memoria del protagonista. Dopo la
prefazione del Dottor S. ed un preambolo in cui Zeno racconta i propri tentativi di risalire alla prima infanzia, gli
argomenti dei vari capitoli sono: il vizio del fumo e i vani sforzi per liberarsene, la morte del padre, la storia del
proprio matrimonio, il rapporto con la moglie e la giovane amante, la storia dell’associazione commerciale con il
cognato Guido; alla fine si colloca il capitolo “Psico-analisi” in cui Zeno si dichiara guarito.
Trama
Zeno Cosini, il protagonista dell'opera, proviene da una famiglia ricca e vive nell'ozio ed in un rapporto
conflittuale con il padre, che si rifletterà su tutta la sua vita. Nell'amore, nei rapporti coi familiari e gli amici, nel
lavoro, egli prova un costante senso di inadeguatezza e di "inettitudine", che interpreta come sintomi di una
malattia. In realtà solo più tardi scoprirà che non è lui a essere malato, ma la società in cui vive.
Divisione in capitoli
- prefazione
È questo uno dei capitoli più importanti, dato che rappresenta una finzione ben congegnata. Si tratta di poche
righe firmate dal dottor S., lo psico-analista che ha in cura Zeno, il quale espone l'origine del libro. A causa
dell'ingiustificata interruzione della terapia da parte di Zeno, proprio nel momento in cui essa stava dando i suoi
frutti, il dottore, profondamente ferito nel suo orgoglio professionale, decide di vendicarsi del paziente,
pubblicando quelle memorie che lui stesso aveva consigliato a Zeno di scrivere come parte integrante della cura.
Tali memorie, in cui Zeno ha accumulate menzogne e verità, non sono altro che i capitoli successivi del libro.
- preambolo
Zeno spiega le difficoltà di "vedere" la propria infanzia e, ogni qual volta prova ad abbandonarsi alla memoria,
cade in un sonno profondo.
- il fumo
Il protagonista parla della sua malattia del fumo, narrando fatti che coprono tutta la sua vita.
Oltre all'inettitudine, il suo grande problema è il vizio del fumo, del quale non riesce a liberarsi. Il protagonista,
infatti, ricorda di aver iniziato a fumare già nell'adolescenza a causa del rapporto conflittuale con il padre. A
quest'ultimo rubava inizialmente soldi per comprare le sigarette e in seguito, dopo essere stato scoperto,
raccoglieva i sigari fumati a metà sparsi per casa. Nonostante più volte si sia riproposto di smettere, non vi riesce e
per questo si sente frustrato. I tentativi si moltiplicano, e anche gli sforzi, ma il problema non viene risolto.
Ogni volta che prova a smettere di fumare, Zeno decide di fumare un'«ultima sigaretta» (U.S.) e di annotare la
data di questa. Dopo numerosi fallimenti Zeno si rende conto che fumare "ultime sigarette" è per lui un'esperienza
piacevolissima, in quanto quelle assumono ogni volta un sapore diverso, causato dalla coscienza che dopo quelle
non potrà fumarne più.
- la morte di mio padre
Zeno rievoca il rapporto conflittuale con suo padre, dando particolare attenzione ai suoi ultimi giorni di vita. Si
tratta di una relazione ostacolata dall'incomprensione e dai silenzi. Il padre non ha alcuna stima del figlio, tanto
che, per sfiducia, affida l'azienda commerciale di famiglia a un amministratore esterno, l'Olivi. A sua volta il
figlio, che si ritiene superiore per intelletto e cultura, non stima il padre e sfugge ai suoi tentativi di parlare di
argomenti profondi.
Il più grande dei malintesi è l'ultimo, che avviene in punto di morte: quando il figlio è al suo capezzale, il padre
(ormai incosciente) lo colpisce con la mano. Zeno non riuscirà mai a capire il significato di quel gesto. Alla fine
Zeno preferisce ricordare il padre come era sempre stato: "io divenuto il più debole e lui il più forte".
- la storia del mio matrimonio
Zeno parla delle vicende che lo portano al matrimonio.
Il protagonista conosce tre sorelle, le figlie di Giovanni Malfenti, con il quale Zeno ha stretto rapporti di lavoro e
per il quale nutre profonda stima, al punto che lo vedrà come una figura paterna dopo la morte del padre. La più
attraente delle figlie è la primogenita ,Ada, a cui il protagonista fa la corte. Il suo sentimento però non è
ricambiato, perché ella lo considera troppo diverso da lei e incapace di cambiare, oltre che già promessa sposa a
Guido (che lei ama). Anche dopo il rifiuto, Zeno è sempre attratto dalla sua bellezza esteriore ed interiore.
Tuttavia, ormai deciso a chiedere in sposa una delle sorelle Malfenti, si dichiara ad Alberta che ugualmente lo
respinge. Egli finisce quindi per sposare Augusta, la terza delle sorelle Malfenti (quella che meno gli piaceva e
che aveva assicurato alle altre sorelle di non sposare mai).
Nonostante questo, il protagonista arriverà a nutrire per la moglie un amore sincero, anche se ciò non gli impedirà
di stringere una relazione con un'amante, Carla. Augusta costituisce nel romanzo una figura femminile dolce e
tenera, che si prodiga per il proprio marito. In lei Zeno trova la figura materna che cercava e un conforto sicuro.
- la moglie e l’amante
Il conflittuale rapporto di Zeno Cosini con la sfera femminile (la sua patologia è stata bollata dallo psicologo
come sindrome Edipica) è evidenziato anche dalla ricerca dell'amante. Zeno accenna a tale esperienza come un
rimedio per sfuggire al “tedio della vita coniugale”. Carla è solo una “povera fanciulla”, che inizialmente suscita
in lui un istinto di protezione. All'inizio Zeno e Carla sono legati da una relazione basata sul semplice desiderio
fisico, ma successivamente essa viene sostituita da una vera e propria passione. Anche Carla subisce dei
cambiamenti: prima insicura, diventa poi una donna energica e dignitosa e finisce con l'abbandonare il suo amante
a favore di un maestro di canto, che Zeno stesso le aveva presentato. Zeno non smetterà mai di amare la moglie
Augusta (che dimostra verso di lui un atteggiamento materno e gli comunica sicurezza). Verso la conclusione del
suo rapporto con Carla, invece, maturerà per quest'ultima un sentimento ambivalente che si avvicinerà all'odio.
- storia di un’associazione commerciale
Incapace di gestire il proprio patrimonio, Guido prega Zeno di aiutarlo a mettere in piedi un'azienda. Egli dice a se
stesso di accettare per "bontà", ma in realtà lo fa per un oscuro desiderio di rivalsa e di superiorità nei confronti
del fortunato rivale in amore che, nel frattempo, ha sposato Ada. Anche Guido, peraltro, nei ricordi di Zeno
appare come un inetto e comincia, per inesperienza, a sperperare il suo patrimonio e a tradire la moglie con la
giovane segretaria Carmen, mentre Zeno ha la soddisfazione di essere incaricato da Ada di aiutare e proteggere il
marito. Questi, dopo un'ennesima perdita (ha infatti iniziato a giocare in borsa) simula un tentativo di suicidio, per
indurre la moglie a sovvenzionarlo con la propria dote. Più tardi ritenterà il colpo astuto, ma (per un banale gioco
della sorte) si ucciderà davvero. Zeno, impegnato a salvarne (per quanto è possibile) il patrimonio, non riesce a
giungere in tempo al suo funerale, accodandosi al corteo funebre sbagliato. Per questo è accusato da Ada, divenuta
nel frattempo brutta e non più desiderabile per una malattia di avere in tal modo espresso la sua gelosia e il suo
malanimo verso il marito.
- psico analisi
Nel capitolo precedente si era concluso il racconto imposto dal medico a Zeno. Questi però lo riprende per
ribellarsi al medico, che crede non l'abbia guarito. Zeno tiene un diario, che in seguito invierà al Dottore per
comunicargli il suo punto di vista. Il diario di Zeno si compone di tre parti, contrassegnate dalle date di tre giorni
distinti negli anni di guerra 1915-1916. Nella riflessione conclusiva, Zeno si considera completamente guarito,
perché ha scoperto che la "vita attuale è inquinata alle radici" e che rendersene conto è segno di salute, non di
malattia.
L’inattendibilità di Zeno narratore
Zeno è un narratore inattendibile: l’autobiografia contenuta nel memoriale è tutta un tentativo di
autogiustificazione di Zeno, che vuole dimostrarsi innocente da ogni colpa nei rapporti con il padre, con la moglie,
con l’amante, con Guido. Queste menzogne però non sono intenzionali, ma autoinganni inconsapevoli.
La funzione critica di Zeno
A differenza di Emilio di “Senilità”, Zeno non è solo oggetto di critica, ma anche soggetto. La “diversità” di Zeno,
la sua “malattia”, funziona da strumento straniante nei confronti dei cosiddetti “sani” e “normali”. Zeno nella sua
condizione di “inetto” è inquieto e disponibile alla trasformazione, mentre i “sani” sono cristallizzati in una forma
rigida, immutabile. In Zeno vi è un disperato bisogno di salute, normalità: vorrebbe essere un buon padre di
famiglia, attivo, ed abile uomo d’affari. A questo punto Zeno sconvolge le gerarchie tra salute e malattia, perché
scopre che la “salute atroce” degli altri, è anch’essa malattia, la vera malattia: converte salute in malattia,
facendoli diventare due concetti ambigui e incerti.
L’inettitudine e l’apertura del mondo
L’inetto a differenza dei due primi romanzi appare mutato: è un essere in divenire, che può ancora evolversi verso
altre forme , mentre i sani, che sono già in sé perfettamente compiuti in tutte le loro parti, sono incapaci di
evolversi ulteriormente. L’inettitudine non è più considerata come un marchio d’inferiorità, anzi, predispone
l’inetto in questione a una condizione aperta, disponibile a ogni forma di sviluppo, che si può considerare anche
positivamente. Poiché Zeno non è più un eroe del tutto negativo , ma possiede una fisionomia più aperta, si spiega
bene perché la presenza di un narratore esterno al narrato non sia più necessaria, come era invece nei due romanzi
precedenti.
In “La coscienza di Zeno” non ci sono più punti di riferimento fissi, essendo la realtà totalmente aperta e ambigua
in cui forza e debolezza, salute e malattia sono sconvolte nelle loro gerarchie abituali
La voce narrante inattendibile di Zeno è ben diversa dalla prospettiva inattendibile di Alfonso e Emilio: questa
può essere smentita dalla voce esterna, Zeno no, è l’unica fonte del narrare.

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