Aron Hector Schmitz nacque da un’agiata famiglia borghese di origine ebraica il 19 dicembre 1861 a Trieste (che sino al 1918 non fa parte dello Stato italiano) e che quindi era una città di confino, in cui convergevano tre civiltà, quella italiana, quella tedesca e quella slava. Lo scrittore stesso, perciò decide di adottare lo pseudonimo letterario di Italo Svevo, per segnalare come in lui confluiscono sia la cultura italiana che quella tedesca. Gli studi del ragazzo furono indirizzati dal padre verso la carriera commerciale. Nel 1873, con i fratelli Adolfo ed Elio, Ettore fu mandato in collegio in Germania, dove studiò materie utili per quel tipo di attività e si impadronì perfettamente del tedesco. Nel 1878 a diciassette anni ritornò a Trieste e si iscrisse all'Istituto Superiore per il Commercio, frequentandolo per due anni. Nel 1880, in seguito ad un investimento industriale sbagliato, il padre fallì: Svevo conobbe così l'esperienza della declassazione, passando dall’agio borghese ad una condizione di ristrettezza. Fu costretto a cercar lavoro e si impegnò presso la filiale triestina della Banca Union di Vienna, presso cui rimase poi per diciannove anni. Ma il lavoro impiegatizio era per lui arido ed opprimente. IL SALTO DI CLASSE SOCIALE E L'ABBANDONO DELLA LETTERATURA Nel 1895 morì la madre, a cui lo scrittore era molto legalo. In seguito incontrò una cugina, molto più giovane di lui, Livia Veneziani e se ne innamorò, con lei poi si sposò ed ebbe anche una figlia di nome Letizia. Il matrimonio segnò una svolta fondamentale nella vita di Svevo perché mutava radicalmente la condizione sociale dello scrittore, essendo che, i Veneziani erano proprietari di una fabbrica di vernici antiruggine per navi, che era ben inserita nel mercato internazionale. Così Svevo, per uscire dalle ristrettezze in cui viveva, abbandonò l’impiego alla banca ed entrò nella ditta dei suoceri. Questo per lui fu un salto di classe sociale perché da una modesta condizione Svevo si trovò proiettato nel mondo dell'alta borghesia. I suoi orizzonti si allargarono a dimensioni internazionali, perché per lavoro dovette compiere numerosi viaggi in Francia e in Inghilterra. Venne così a contatto con un mondo tutto diverso da quello intellettuale in cui era vissuto sino allora. Divenuto quindi uomo d'affari e dirigente industriale, lasciò l'attività letteraria, guardandola con sospetti come qualche cosa di insidioso e malsano, che poteva disturbare o addirittura compromettere la sua nuova vita attiva e produttiva. IL PERMANERE DEGLI INTERESSI CULTURALI Negli anni tra l'ingresso nell'attività industriale e lo scoppio della Prima guerra mondiale ci fu per Svevo l’incontro con James Joyce: insegnava a Trieste e Svevo prese da lui lezioni di inglese, lingua di cui aveva bisogno per i suoi viaggi. Tra Joyce e Svevo nacque una stretta amicizia, destinata a durare nel tempo. Joyce sottopose a Svevo le sue poesie e i suoi racconti di Gente di Dublino e Svevo fece leggere a Joyce i due romanzi pubblicati, ottenendo giudizi lusinghieri e l'incoraggiamento a proseguire l'attività letteraria. LA RIPRESA DELLA SCRITTURA L’occasione per il riemergere in piena luce degli interessi letterari fu offerta dalla guerra. Poiché la fabbrica di vernici fu requisita per ordine delle autorità austriache, Svevo si trovò libero e poté riprendere la sua attività letteraria. Sotto questa spinta, l'anno successivo alla fine del conflitto, nel 1919, pose mano al suo terzo romanzo, la coscienza di Zeno, che venne pubblicato nel 1923. Negli anni successivi alla Coscienza progetto un quarto romanzo, sempre con protagonista Zeno, di cui scrisse ampi frammenti; inoltre stese una serie di racconti e alcuni testi teatrali. L’11 settembre del 1928, però, ebbe un incidente d'auto, presso Treviso, e due giorni dopo morì, in conseguenza delle ferite riportate. IL PRIMO ROMANZO: UNA VITA IL TITOLO E LA VICENDA Svevo iniziò il suo primo romanzo nel 1888 e lo pubblicò a proprie spese nel 1892 presso un piccolo editore triestino. Avrebbe voluto intitolarlo “Un inetto”, ma, sconsigliato dall'editore, che riteneva tale titolo poco accattivante, si risolse per il più neutro “Una Vita”. È la storia di un giovane, Alfonso Nitti, che abbandona il paese e la madre per venire a lavorare a Trieste, dopo che la morte del padre, medico condotto, ha lasciato la famiglia in ristrettezze. Si impiega presso la banca Maller, ma il lavoro gli appare arido e mortificante. L'occasione per un riscatto dalla sua vita vuota e solitaria, gli è offerta da un invito a casa del padrone della banca, Maller. La figlia di Maller, Annetta, ha anch'essa ambizioni letterarie e sceglie Alfonso come collaboratore nella stesura di un romanzo. Alfonso, pur senza amare Annetta, la seduce e la possiede. A questo punto avrebbe la possibilità di trasformare radicalmente la propria vita, sposando Annetta. Alfonso invece, preso da un'inspiegabile paura, fugge da Annetta e da Trieste, adducendo come pretesto una malattia della madre. Tornato al paese, trova effettivamente la madre gravemente ammalata. Dopo la sua morte ritorna di nuovo a Trieste. Alfonso, sentendosi «incapace alla vita», decide di cercare nella morte una via di scampo. SENILITÀ LA PUBBLICAZIONE E LA VICENDA Il secondo romanzo di Svevo, “Senilità”, esce nel 1898, sempre a spese dell'autore. Il protagonista, Emilio Brentani, trentacinquenne, vive di un modesto impiego presso una società di assicurazioni triestina. Egli ha attraversato la vita con prudenza, evitando i pericoli ma anche i piaceri, appoggiandosi alla sorella Amalia, con vive e che lo accudisce insieme all'amico Stefano Balli che era uno scultore. L'insoddisfazione per la propria esistenza vuota e mediocre spinge però Emilio a cercare il godimento nell'avventura, che egli crede «facile e breve», con una ragazza del popolo, Angiolina, conosciuta casualmente. Emilio si propone semplicemente di divertirsi senza impegnarsi. Ma in realtà si innamora perdutamente della ragazza. La scoperta della vera natura di Angiolina, che ha numerosi amanti e si rivela cinica e mentitrice, scatena la sua gelosia, che assume dei veri e propri caratteri ossessivi. Ma egli nonostante tutto non riesce a staccarsi dalla ragazza. Nel frattempo la sorella Amalia vive un’avventura parallela e analoga alla sua perché si innamora di Stefano Balli. Emilio, accortosene, allontana l’amico da casa sua, ma così facendo distrugge la vita della sorella che a questo punto cerca l’oblio nell’etere (anestetico), minando il suo fisico già debole, che soccombe alla polmonite. Dopo la morte della sorella, Emilio tornò a rinchiudersi nel guscio della sua senilità, guardando alla sua avventura come un “vecchio” alla sua “gioventù”. LA COSCIENZA DI ZENO IL NUOVO IMPIANTO NARRATIVO Il terzo romanzo di Svevo appare ben venticinque anni dopo Senilità, nel 1923. Erano stati, quelli, anni non solo cruciali nell’evoluzione interiore dello scrittore, ma anche densi di trasformazioni radicali nell'assetto materiale della società europea. Si pensi solo al fatto che, in mezzo, si era verificato il fenomeno della Prima guerra mondiale. Per gran parte la Coscienza è costituita da un memoriale, o confessione autobiografica, che il protagonista Zeno Cosini scrive su invito del suo psicoanalista, il dottor S. (SIGMUND), a scopo terapeutico. II TRATTAMENTO DEL TEMPO Nuovo e originale, nell'impianto narrativo, è anche il particolare trattamento del tempo, quello che Svevo chiama «tempo misto». Il racconto, nonostante l'impostazione autobiografica, non presenta gli eventi nella loro successione cronologica. La narrazione va continuamente avanti e indietro nel tempo, seguendo la memoria del protagonista, che sì sforza, per obbedire allo psicoanalista, di ricostruire il proprio passato. Gli argomenti dei vari capitoli sono: il vizio del fumo e i vani sforzi per liberarsene, la morte del padre, la storia del proprio matrimonio, il rapporto con la moglie e la giovane amante, la storia dell'associazione commerciale con il cognato e alla fine si colloca il capitolo Psico- analisi, in cui Zeno sfoga il proprio rancore contro lo psicoanalista e racconta la propria presunta guarigione. LE VICENDE Il protagonista-narratore è una figura di "inetto". Incostante, negli anni giovanili conduce una vita oziosa e scioperata, passando da una facoltà universitaria all'altra, senza mai giungere ad una laurea e senza dedicarsi ad alcuna attività seria. Il padre, facoltoso commerciante, non ha la minima stima per il figlio e i rapporti con lui sono improntati alla più classica ambivalenza: pur amandolo sinceramente, Zeno, con il suo ozio e la sua inconcludenza negli studi, non fa che procurargli amarezze e delusioni. Quando si trova sul letto di morte, il padre lascia cadere un poderoso schiaffo sul viso del figlio che lo assiste, e Zeno resta nel dubbio angoscioso se il gesto sia il prodotto dell'incoscienza dell'agonia o scaturisca da una deliberata intenzione punitiva, e cerca quindi disperatamente di costruirsi alibi e giustificazioni per pacificare la propria coscienza, per dimostrare a sé stesso di essere privo di ogni colpa nei confronti del padre e della sua morte. Privato della figura paterna, l'inetto Zeno, che ha sempre bisogno di appoggiarsi ad un "padre", va subito in cerca di una figura sostitutiva, e la trova in Giovanni Malfenti, uomo d'affari. Zeno decide di sposare una delle sue figlie, si direbbe solo per “adottarlo" come padre. Si innamora della più bella, Ada, ma con il suo comportamento goffo e stravagante sembra far di tutto per alienarsi i sentimenti della ragazza. Respinto da lei, rivolge la domanda di matrimonio alla sorella minore Alberta, e, al rifiuto anche di questa, fa la sua proposta alla sorella più brutta, Augusta. In realtà Augusta si rivela la donna dì cui egli ha bisogno, amorevole come una madre e capace di creargli intorno un clima di dolcezza affettuosa e di sicurezza. Zeno è "malato": la sua malattia è la nevrosi (disturbo psichico). Egli proietta nella malattia la propria inettitudine, ed attribuisce la colpa dei propri malanni al fumo: la sua esistenza è pertanto costellata dai tentativi di liberarsi dal vizio, nella convinzione che solo così potrà avviarsi verso la "salute ', non solo fisica ma morale e sociale. Alla moglie Zeno affianca la giovane amante Carla, una ragazza povera che egli finge di proteggere in modo paterno. Il rapporto però è reso difficile e ambiguo dai sensi di colpa di Zeno verso la moglie, sinché Carla lo abbandona per un uomo più giovane. Il romanzo termina poi in chiave apocalittica, con una riflessione di Zeno sull'uomo costruttore di ordigni, che finiranno per portare ad una catastrofe cosmica. TESTI ANALIZZATI DALLA COSCIENZA DI ZENO IL FUMO Oltre all'inettitudine, un altro problema di Zeno Cosini è il vizio del fumo, di cui non riesce a liberarsi. Il protagonista, infatti, ricorda di aver iniziato a fumare già nell'adolescenza a causa del rapporto conflittuale col padre, al quale inizialmente rubava soldi per comprare le sigarette; in seguito, dopo essere stato scoperto, raccoglie i sigari fumati a metà sparsi per casa. Nonostante più volte si sia riproposto di smettere, non vi riesce proprio, e per questo si sente frustrato. I numerosi sforzi e tentativi non portano però a nessun risultato. Ogni volta che prova a smettere di fumare, Zeno decide di fumare un'ultima sigaretta (U.S.) e di annotare la data di questa. Dopo numerosi fallimenti Zeno si rende conto che fumare "ultime sigarette" è per lui un'esperienza piacevolissima, in quanto quelle assumono ogni volta un sapore diverso, causato dalla coscienza che dopo quelle non potrà fumarne più. Zeno si rivolge a medici, riempie libri e addirittura pareti con la sigla U.S., ma non riesce a smettere proprio di fumare: il tentativo dura moltissimi anni e non si realizza mai. Il continuo rimandare un evento è tipico del nevrotico, che, in questo caso, può gustare sempre di più l'ultima sigaretta. Il considerare il fumo responsabile del suo malessere, sarà identificato dallo psicanalista come un riflesso del senso di colpa nei confronti del padre. LA PSICO-ANALISI/LA PROFEZIA DI UN’APOCALISSE COSMICA Il capitolo è un complesso di lettere scritte da Zeno, dove afferma che il dottore gli ha diagnosticato il complesso di Edipo (Per complesso di Edipo s'intende la competizione che un figlio inconsciamente nutre per il padre, dovuta alla proiezione amorosa nei confronti del genitore di sesso opposto (madre)). La più famosa è quella del 3 maggio 1915 dove dice di voler interrompere la terapia psicanalitica perché non ci crede e secondo lui ormai non può più guarire. Questo perché Zeno dice di essere nato con la malattia e secondo lui la malattia è una convinzione dell'uomo, da cui si può guarire non con delle cure ma solo con la persuasione della salute, cioè convincendosi di essere guarito. In quest'ultimo capitolo, Zeno tiene un diario, che in seguito invierà al Dottore per comunicargli il suo punto di vista. Il diario di Zeno si compone di quattro parti, contrassegnate dalle date di quattro giorni distinti negli anni di guerra 1915-1916. Nella riflessione conclusiva, Zeno si considera completamente guarito, perché ha scoperto che la "vita attuale è inquinata alle radici" e che rendersene conto è segno di salute, non di malattia. Nel finale apocalittico, Zeno inizia a riflettere sugli ordigni costruiti dall'uomo che secondo lui porteranno alla distruzione del mondo prima o poi. Questa è una riflessione inquietante che può definirsi quasi profetica, poiché sembra riferirsi ai futuri ordigni atomici usati nella seconda guerra Mondiale.