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PRIMA GUERRA MONDIALE

Nel 1914 in Europa scoppiò la prima guerra mondiale, che vide


scontrarsi Russia, Francia e Inghilterra da un lato, contro
Austria-Ungheria e Germania dall’altro. L’Italia decise di entrarvi nel
1915 per conquistare Trento e Trieste, all’epoca ancora
austriache.All’inizio, tutti i paesi coinvolti erano convinti che la guerra
sarebbe durata poco. Per questo, nessun governo si preoccupò di come
assicurare l’approvvigionamento dell’esercito e della popolazione nel
lungo periodo. Ben presto il conflitto divenne invece una lunga guerra di
posizione e l’alimentazione dei soldati e della popolazione divenne un
grosso problema.

Neanche l’Italia, entrata in guerra nel giugno del 1915, si era


preoccupata di programmare la produzione e il consumo di beni
alimentari. Dopo l’ingresso in guerra, la produzione di grano interna
iniziò subito a risentire della mancanza di uomini. I soldati provenivano
infatti soprattutto dal settore agricolo. In loro assenza, i lavori nelle
campagne venivano svolti da donne, vecchi e bambini, spesso senza
l’aiuto degli animali da lavoro, che erano stati requisiti dall’Esercito.

Per la popolazione divenne difficile procurarsi il cibo, sia per la scarsità,


sia per il prezzo sempre più elevato. Il Governo italiano intervenne
stabilendo leggi sempre più severe per controllare la produzione e il
consumo di beni alimentari, specialmente di quelli “di lusso”, come lo
zucchero e la carne. Dal 1917 si limitarono gli acquisti dei generi
alimentari attraverso una apposita tessera (la tessera annonaria) e si
fece una campagna propagandistica per la limitare i consumi.

Appositi “Comitati” furono istituiti in tutte le città, con lo scopo di tenere


conferenze alla popolazione e spiegare come “viver bene mangiando
poco”. L’opera di propaganda interessò anche le scuole, dove ai ragazzi
veniva spiegata l’utilità di coltivare un piccolo orto o di allevare conigli.

La guerra, dunque, non fu un affare riservato ai soli soldati al fronte, ma


tutta la nazione venne chiamata a sostenere lo sforzo bellico e il cibo
quotidiano fu uno dei problemi che più assillò sia i soldati al fronte, che
la popolazione civile. Proprio l’impossibilità di procurarsi i beni alimentari
fu uno dei fattori che contribuirono alla sconfitta della Germania.

SECONDA GUERRA MONDIALE

Anche durante la Seconda guerra mondiale, le ristrettezze


interessavano l’alimentazione come tutti gli aspetti della vita.

Prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, l’alimentazione


degli italiani aveva già iniziato a peggiorare. Nei primi anni Trenta i
problemi partono dal pane. Nonostante gli sforzi del Regime fascista,
che aveva avviato la cosiddetta “Battaglia del grano”, la produttività
agricola rimane scarsa, specialmente al Sud. La farina di grano non è
per tutti e l’uso di surrogati, come le farine d’orzo e di lenticchie, è
piuttosto diffuso.

I prezzi di pasta e pane bianco sono alti e la propaganda fascista ne


scredita il consumo a favore del riso. Nel 1935 l’Italia subisce le sanzioni
internazionali, a causa della guerra coloniale in Etiopia.

In quegli anni la dieta di una famiglia operaia consisteva


indicativamente in:

● Colazione a base di pane, frutta e poco latte o formaggio. Non


era diffuso come oggi il consumo di cibi dolci.
● Per pranzo una minestra di brodo vegetale con pasta, patate e/o
legumi.
● Per cena pane o polenta con companatico economico.

Ovviamente durante la Seconda guerra mondiale l’alimentazione variava


in base alle località e alla vita in città o in campagna. La carne non era
molto presente nei pasti della settimana, mentre era consistente il
consumo di legumi e patate e ortaggi.

Con l’entrata nella Seconda guerra mondiale del giugno 1940, le


esigenze dell’esercito diventano prioritarie, così il Regime al fine di
ridurre i consumi dei civili al minimo indispensabile. Viene introdotta la
tessera annonaria, che resterà in vigore fino al 1949. Si trattava di una
carta personale che stabiliva il razionamento, permettendo di prenotare
gli alimentari e in seguito anche il vestiario.
Il razionamento è diverso in base alle fasce d’età e di conseguenza le
tessere hanno colori diversi: verde per i bambini fino a otto anni, azzurro
dai nove ai diciotto anni e grigio per gli adulti. Il venditore staccava il
cedolino di prenotazione apponendo la propria firma e in seguito si
potevano ritirare i prodotti prenotati, in una o due date stabilite. Le date
di prenotazione e ritiro erano annunciate sui manifesti e sui giornali.

Il vino, di cui prima della Seconda guerra mondiale all’interno


dell’alimentazione si faceva largo uso, pur non essendo in tessera è
difficile da reperire. Il pepe e le spezie sono introvabili, fattore che
insieme alla scarsità di sale rende ancor più complicata la produzione di
salumi e insaccati.

L’apporto calorico fornito da questo razionamento ammonta a circa


1.100 chilocalorie al giorno, uno fra i più bassi d’Europa. Questo
sistema, peraltro, non garantisce la reperibilità dei prodotti. Anche per
questo motivo, si diffonde il mercato nero. Produttori e commercianti
talvolta preferiscono nascondere la merce per venderla illegalmente a un
prezzo molto maggiore.

Niente può essere sprecato, pertanto nelle riviste destinate al pubblico


femminile si elencano ricette per riciclare gli scarti, come le bucce e i
torsoli di mela o i gambi delle verdure, ma non mancano le proposte più
“estreme”, come fare la marmellata senza zucchero e la crema senza
uova. Il caffè è bandito e introvabile.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’alimentazione è sempre più
carente di frutta, che essendo in gran parte prodotta al Sud Italia non
può più raggiungere il Centro-Nord.

Nelle città, del resto, la situazione è ben più grave che nelle campagne.
Il problema alimentare si acuisce nei territori amministrati dalla
Repubblica di Salò.

Se con la Seconda guerra mondiale l’alimentazione per i civili era


diventata un tormento quotidiano, per i partigiani la situazione è ancor
più grave. Per chi combatteva senza poter contare sui rifornimenti
militari ufficiali, l’alimentazione era un problema che si affrontava alla
giornata. In alcune zone del Nord, i magazzini abbandonati dell’esercito
italiano diventano una prima fonte di approvvigionamento. A parte
questo, i viveri venivano acquistati dai contadini, che talvolta
regalavano oppure offrivano spontaneamente le provviste ai partigiani.
Non erano infrequenti gli espropri e i furti a danno dei ricchi e dei
proprietari fascisti. Come forma di pagamento, si utilizza anche il rilascio
di buoni del Comitato di liberazione nazionale.

L’alimentazione e i momenti di condivisione del cibo rappresentavano


l’occasione principale per socializzare, confrontarsi, sentirsi Resistenza
ed essere compagni, nel pieno senso del termine. D’altra parte
l’etimologia stessa della parola “compagno” deriva da uno dei gesti più
elementari e semplici dell’umanità: la condivisione del pane.

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