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UMBERTO SABA

La vita di Umberto Saba fu segnata da un grave malessere esistenziale che si manifestò dalla prima giovinezza fino alla morte. Il poeta fu
soggetto a crisi nervose e depressive che nemmeno la psicanalisi riuscì a scongiurare. Concause di questo malessere furono anche le
discriminazioni razziali di cui egli fu vittima in quanto figlio di madre ebrea, e le difficoltà economiche con cui spesso dovette fare i conti.
Alle origini delle angosce vi sono però traumi infantili causati dal problematico rapporto con i suoi genitori. Con questa premessa la poesia
di Saba era destinata in partenza a farsi racconto ininterrotto della sua vita, diventando diario e autobiografia. 

La vita
Umberto Saba nacque a Trieste (all’epoca parte dell’impero asburgico, quindi tedesco) nel 1883 da Rachel Coen, ebrea, ed Ugo Poli che
aveva combinato un matrimonio d’interesse con la donna per far fronte al proprio dissesto economico. L’unione ebbe durata breve dato che
consumata la dote della moglie l’uomo lasciò il tetto coniugale ancor prima che il poeta nascesse. L’assenza del padre non costituì l’unica ferita
infantile del poeta, a questa si aggiunse il rifiuto da parte della madre che appena nato lo affidò ad una balia, a causa del ricordo che le
provocava: l’abbandono da parte del marito e la condanna alla povertà. Il piccolo Umberto fu così allevato dalla nutrice, Peppa, più volte
ricordata da Saba nelle proprie poesie. L’infanzia nascosta a casa di Peppa fu un tempo idilliaco e il vero strappo si ebbe quando la madre tre
anni dopo rivolle Umberto con sé. La separazione dalla balia e l’ingresso nell’ambiente cupo e austero della madre produssero nel bambino un
trauma lacerante che ne avrebbe segnato per sempre la vita.

Saba non portò a termine i suoi studi e legge da autodidatta molti libri, in particolare molti classici italiani. Nel 1903 si reca a Pisa per seguire
alcuni da uditore alcuni corsi universitari e dove lo coglie la prima crisi di nevrastenia: da quel momento la depressione lo tormenterà per tutta
la vita.

Nel 1905 recò a Firenze con il desiderio di sprovincializzare la propria cultura ed “italianizzarsi” meglio (analogia con Svevo).
Nel 1907 viene chiamato al servizio di Leva che, pur essendo Triestino, sceglie di svolgere come un normale cittadino Italiano.
Scoppiata la prima guerra mondiale si dichiara interventista, così come la maggior parte dei letterati dell’epoca, cosa di cui si vergognerà
profondamente; viene, in seguito, richiamato alle armi con mansioni di retrovia o di amministrazione, ma l’ambiente militare gli risulta estraneo
ed odioso.

Nel 1918 il riacutizzarsi dei suoi disturbi nervosi lo obbliga ad un ricovero ospedaliero e farà rientro a Trieste solo nel 1919, nel frattempo
passata all’Italia. Qui sperimenta vari lavori fino a trovare finalmente la tanto desiderata stabilità economica dopo aver rilevato la Libreria
Antica e Moderna. Negli anni successivi, mentre si riacutizzano le sue crisi di nevrastenia, Saba frequenta il concittadino Italo Svevo e coltiva
un’assidua corrispondenza con Eugenio Montale e per contrastare la depressione che da tempo lo affliggeva fa ricorso per la prima volta alla
Psicoanalisi che però non lo guarisce  la terapia non riuscì a scongiurare le sue crisi depressive ma gli offrì una chiave per meglio conoscere il
suo complesso mondo interiore.

Durante il Fascismo la politica razziale del regime spinge nel 1938 Saba a cercare rifugio in Francia, a Parigi, e rientrato a Trieste riesce a
scampare alle persecuzioni antiebraiche grazie al suo “sangue misto”, dovendo però lasciare la gestione della libreria. Dopo l’armistizio dell’8
settembre 1943, per evitare la deportazione nei Lager, i Saba scappano a Firenze dove vivono mesi terribili, costretti a cambiare spesso domicilio
per non cadere nelle mani dei nazisti.

La clandestinità è alleviata dalle frequenti, coraggiose visite di Eugenio Montale  numerosi letterati dell’epoca, siccome uomini di cultura,
aiutavano gli ebrei a nascondersi perché comprendevano la situazione e non l’accettavano. Montale stesso si era ritrovato ad aiutare i Saba a
nascondersi diverse volte.

Nel 1945 Saba scende a Roma, già liberata dalle forze alleate dal Nazisti e in seguito, con molti altri intellettuali, si accosta al partito comunista
italiano, del quale però non abbraccia l’ideologia della lotta di classe  I letterati/intellettuali si avvicinavano come ideologia al comunismo
poiché sapevano quanto gli esseri umani fossero tutti uguali fra di loro e come non ci fosse nessuna differenza tra gli uni e gli altri.

Alla fine del 1945, le difficoltà economiche lo spingono a trasferirsi a Milano in cerca di migliori occasioni di lavoro e tornato a Trieste nel
1947, è nuovamente preda della depressione che lo porterà a fare uso di Oppio. Negli anni a seguire, la sua nevrastenia peggiorerà
inesorabilmente e Saba mediterà più volte il suicidio; convinto di essere divenuto un peso inutile e dimenticato da tutti, Saba muore in una
clinica di Gorizia il 25 Agosto 1957.

Il Canzoniere  la sua opera più importante, in riferimento al “canzoniere” di Petrarca. Saba aveva come obbiettivo quello di raccogliere i
propri versi presentandoli come un’opera unitaria.

La capra  Il poeta incontra per caso una capra solitaria ed in essa vede l’essere umano, destinato per tutta la vita a stare solo; per quanto una
persona si possa considerare parte di una famiglia, questa rimarrà per sempre isolata. L’uomo, sin dai tempi, cerca di attaccarsi agli affetti per
nascondere il fatto di essere solo.

 Nell’opera la capra “legata” indica il condizionamento sociale a cui l’uomo è legato indissolubilmente.
 La capra “sazia d’erba” rappresenta come la società porti l’uomo a sopravvivere e quindi come lo sfami e lo sazi.
 “bagnata dalla pioggia”  uomo è pervaso da tutti i problemi che possono capitare nella vita
 “belava”  ricerca della libertà con tutti i rischi che ne comporta; l’uomo cerca di essere sé stesso e di lasciarsi andare.
 “una capra dal viso semita”  previsione dell’olocausto e delle difficoltà che dovranno affrontare gli ebrei.
A mia moglie  in questa opera Saba paragona la moglie alle femmine di alcuni animali, che possano meglio attribuirsi alla sua descrizione.
All’inizio paragona sua moglie alla gallina per il suo modo di camminare e per il tono di voce quando si lamentava. In seguito, la paragona ad
una giovenca gravida, la cui voce fa venir voglia di regalarle qualcosa per consolarla, ad una cagna fedele, che dietro agli occhi dolci nasconde
un’anima forte, ad una coniglia timorosa ed indifesa ed infine alla rondine per la grazia giovanile.

Saba utilizza questi animali sono simbolo di offesa, soprattutto se riferite a donne, ad esempio: la gallina è l’emblema della scarsa intelligenza, la
giovenca di scarsa bellezza, la cagna di scarsa pudicizia e la coniglia di scarso coraggio. Il poeta infatti con questa poesia vuole suscitare un po’
di scandalo e qualche risata, capovolgendo i valori negativi di questi paragoni ed attribuendo alle femmine degli animali una serie di virtù.

Animali lontani dal condizionamento sociale, riescono a farsi comprendere meglio dalle persone.

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