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UMBERTO SABA

La vicenda personale di Saba, le sue doti intellettuali, la sua opera lo


collocano in una dimensione diversa da quelle linee dominanti nella
letteratura italiana. Saba, nato a Trieste nel 1883, ha origini ebraiche. La
madre è ebrea, il padre abbraccia l‟ebraismo per potersi sposare. Il suo vero
nome è Umberto Poli (solo nel 1910 prese lo pseudonimo Saba) Il padre
abbandonò ebraismo e moglie non appena nasce Umberto; fino a tre anni il
piccolo fu affidato a Peppa, balia slovena, cattolica. Nella sua casa riconobbe
una sorta di “paradiso”. Il suo vero nucleo familiare, invece, era attraversato
da conflitti personali che si annodavano a quelli religiosi. Molti traumi e
molte angosce resero Umberto un giovane adulto segnato da nevrosi; In
Ernesto c’è il racconto di un adolescente smarrito, che si rapporta ad un
mondo di adulti incomprensibili, ostili, lontani, talvolta predatori. La
formazione, dopo il ginnasio a Trieste, avviene all’Università di Pisa. Tra il
1905 e il 1906 fu a Firenze, per tentare di entrare in contatto con il vero
dibattito culturale. Dopo aver prestato servizio militare tra Firenze e Salerno,
rientrò a Trieste. Qui incontra Carolina Wofler, tenta di imbastire una vita
normale: la sposa, nasce Linuccia. Nel 1910 nasce il suo primo volume
Poesie. Dominava “La Voce” e la sua lirica sembrava un frutto fuori
stagione. 1912 esce Con i miei occhi, che poi prenderà il titolo di Trieste e
una donna. Tra il „13 e il „14 la famiglia –tentando di arginare una grossa
crisi- fu tra Bologna e Milano. Lo scoppio della guerra lo vide coinvolto in
mansioni amministrative. A conflitto ultimato, tornò a Trieste dove acquistò
una libreria. Continua a scrivere, elabora la prima stesura del Canzoniere. La
malattia nervosa si fa sentire: nel 1929 S è in cura presso lo psicoanalista
Weiss, cerca di approfondire Freud, che insieme a Nietzsche, gli sembra
offrire chiavi di accesso all‟uomo. Per il precipitare della situazione politica,
colpito dalle leggi razziali affidò al fedele commesso la sua libreria. Continui i
viaggi a Milano per approvvigionarla di volumi rari . Dovette nascondersi con
la famiglia a Firenze, dove riceveva le visite di Montale. Nel „45 si trasferì a
Roma, si accostò al PCI. Fu poi a Milano, dove s‟impegnò ancora a
sistemare il Canzoniere . Rientrò a Trieste, la malattia lo spingeva a reiterati
ricoveri. Nel 1953 lavorava ad Ernesto, lasciato incompiuto ed apparso nel
1975.

LA POESIA

Saba rifiuta ogni legame tra la poesia e la modernità. La parola poetica è


voce, sentimento, autenticità. È lontano dalle avanguardie, la poesia è
emotiva ed emozione essa stessa, legata alle occasioni della vita. I modelli
sono gli autori della grande tradizione, lontani dalle teorizzazioni
contemporanee. La poesia non è artificio, formalismo, astrazione: è voce
sincera, “naturale, onesta” lontana da ogni pretesa di guidare la storia. Nel
1911 inviò alla “Voce” –che lo respinse l‟articolo “Quel che resta da fare ai
poeti”, in cui afferma che la poesia non può guidare la storia né tendere alla
perfezione. Per questo S recupera le forme della poesia tradizionale, le cui
convenzioni formali sono per lui sicurezza. Intreccia il linguaggio letterario
con quello quotidiano; ricerca la dimensione “infantile”, poiché la poesia
può dare corpo ai desideri accumulati nell’infanzia. Il mondo del bambino S
è leggero, cordiale, senza angoscia e oppressione, impostato alla
comunicazione, candido, pieno d‟amore. I nodi irrisolti però gravano sul
carattere: secondo Debenedetti dietro la parola si affacciano La negazione,
lampi di un male sotterraneo. La sua passione per la vita e la ricerca di
affetto sono minacciate da una colpa, da un’ossessione, dai traumi vissuti
che rivelano la faccia negativa del mondo. La sua poesia così oscilla tra
l’affermazione positiva del valore del mondo e la negazione radicale. S è in
contatto con il “negativo”, anche grazie ad una coscienza culturale di respiro
europeo. L’arte negativa era stata affermata nella prima metà del secolo. S,
anche per questa prospettiva, nega tanto lo storicismo quanto le
avanguardie. Dalla grande cultura europea -da Leopardi, Nietzsche e Freud-
riceveva l‟impulso ad andare a fondo nelle contraddizioni umane

Il canzoniere

Ha la valenza di un romanzo: S scelse, riorganizzò, accorpò i testi perché


dessero il senso della sua vita. “C‟è per Heine ma anche per Petrarca, che
aveva distillato una poesia capace di allontanare la realtà, in cui attutire e
stemperare i contrasti. S voleva un libro in cui si depositassero i segni della
vita in tutta la sua impurità, nel miscuglio di gioie e dolori, nell’emergere di
una realtà frantumata. Non c‟è la ricerca di una bellezza assoluta ma della
bellezza possibile, in un mondo quotidiano. Il C è un cerchio che salda
infanzia e vecchiaia, luoghi, amori, volti, sogni. Si celebra la vita familiare, la
campagna, la logica alta del mondo animale Trieste . La città è sfondo: è
viva, sempre familiare, sempre capace di riflettere un ricordo.

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