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3) LA CENSURA DI AUSCHWITZ
Nel luglio 1943 Mussolini viene arrestato. Levi, che ha stretto legami con attivisti antifascisti,
decise di entrare nella Resistenza e si unisce a un gruppo partigiano attivo in Valle d’Aosta. La
mattina dicembre del 1943 viene catturato dai fascisti. Dopo un breve periodo di detenzione,
affermò di essere di razza ebraica e per questo motivo venne inviato al campo di raccolta di Fòssoli.
Furono deportate anche le amiche Vanda Maestro, con il quale Levi ebbe una relazione amorosa e
Luciana Nissim. I prigionieri pensavano di arrivare a un campo gestito da italiani, ma il comando
era stato appena assunto dalle SS. Quella sorta di limbo durò un mese, in seguito i 650 ebrei furono
deportati verso la Germania. Vennero trasferiti in pullman e lì avvennero le prime percosse, gli
ordini in tedesco che non venivano compresi e l’operazione di stipare 650 persone in dodici vagoni
adibiti al trasporto merci.
Il viaggio durò 4 giorni e 4 notti tra le persone ammassate nei vagoni, senz’acqua ne servizi igienici.
Il treno arrivo ad Auschwitz nel febbraio 1944; uomini e donne furono subito divisi. In ogni gruppo
fu fatta una scelta sommaria: alcuni a destra, altri a sinistra e così per le donne. Levi venne poi a
sapere che quella scelta sommaria aveva deciso della loro permanenza in vita.
Levi riuscì a sopravvivere fino alla liberazione del campo, avvenuta nel gennaio del 1945.riuscì a
salvarsi a causa del contagio di scarlattina e dovette rimanere in infermeria; mentre il suo amico
Alberto, che possedeva gli anticorpi perchè già contagiato in infanzia, dovette affrontare la
cosiddetta “marcia della morte”. Levi assistette all’abbandono del campo e rimase fortunosamente
salvo, poiché nella fuga, i nazisti non eseguirono l’ordine di sterminare i prigionieri dell’infermeria.
La liberazione nel ’45 non rappresentò una gioia perchè l’uomo era oppresso dalla vergogna, dalla
vergogna di essere uomo e di aver assistito a ciò che l’uomo può fare.
Dopo una lunga peregrinazione e un avventuroso viaggio di ritorno, tutti fatti narrati anni più tardi
nella Tregua, Levi giunse a casa nell’ottobre del 1945.
6) IL BRUTTO POTERE
Nel saggio del 1983, Il brutto potere, Levi afferma la mancanza di retroazione nel mondo
contemporaneo; tutto gli sembra precipitare verso la perdita di energia, verso l’entropia e una forza
nera che porta al caos.
Si tratta di un vero e proprio approdo ad un pensiero tragico, che prevede l’uomo in lotta con un
nemico che non potrà mai sconfiggere e ha come ultimo grande risultato l’abissale ricerca de I
sommersi e i salvati.
Nel 1987 non dovette più trovare ragioni per resistere a una tale forza; anche la tromba delle scale
gli sembrò una risposta, un’uscita definitiva nel “giù” senza possibilità di retroazione.
SE QUESTO È UN UOMO
2) VIAGGIO ALL’INFERNO
La sua non è una testimonianza, ma un a ricerca delle cause che hanno portato al lager. E si noti
l’oscillazione linguistica tra “campo di distruzione” e “lager”: Levi deve inventare le definizioni per
una realtà che non aveva nome né in italiano né in tedesco. Per quanto concerne l’italiano, il
termine campo di concentramento riguarda una situazione diversa, di ammassamento delle persone,
ma non indica la precipua funzione di annientamento fisico tramite selezione per le camere a gas. Il
discorso per quanto riguarda il termine lager, in tedesco significa soltanto “campo” e non fu usato
da testimoni parlanti altre lingue. Levi usa come termine per indicare l’idea lata del sistema che
includeva campi di concentramento e di sterminio.
L’odio per lo straniero, il razzismo trasformato in sistema di pensiero hanno portato alla costruzione
dei lager; comprendere quel percorso non è solo doveroso per poter evitare il ripetersi di quelle
esperienze, ma richiede uno sforzo di analisi rigorosa e precisa nei concetti e nelle forme.
Nel capitolo Il viaggio, il ritmo cambia improvvisamente quando si giunge alla notizia della
deportazione e ai preparativi per il viaggio. Allora il passaggio dalla descrizione generale dei fatti
alla reazione individuale di fronte all’annuncio della quasi certa condanna a morte conduce a vedere
le differenze di comportamento, di addio alla vita; e queste differenze vengono descritte grazie
all’uso ritmato della paratassi, all’accumulazione di frasi coordinate.
Sono gli spazi bianchi a segnalare i passaggi. Iniziano i primi segnali dell’opera di
disumanizzazione che i tedeschi vogliono compiere; gli uomini vengono chiamati “pezzi”, questa
riduzione degli uomini è un’anticipazione narrativa che collega il momento della partenza al
momento dell’arrivo, dove è possibile vedere l’opera compiuta, l’uomo disumanizzato dalla
metamorfosi indotta che i tedeschi hanno compiuto con l’immane operazione di ingegneria genetica
e sociale dei lager.
L’arrivo ad Auschwitz è preparato accuratamente: il convoglio viene fatto giungere a destinazione
di notte, gli ordini urlati in lingua straniera, la divisione tra uomini e donne e la sommaria
distinzione tra chi è abile al lavoro e chi no. Il racconto riprende e segue la vicenda degli uomini
abili al lavoro: caricati su un autocarro vengono inviati verso l’inferno. Non a caso emergono qui i
primi richiami danteschi: a parte l’indicazione “andiamo tutti giù” che è legata all’idea di perdita di
potenza della materia ma anche all’immaginario dantesco, il soldato che li accompagna sul camion
è una sorta di parodia del Caronte dantesco. E nel capitolo successivo, Sul fondo, si trova la porta
del nuovo inferno, sulla quale non c’è la triplice scritta, ma una scritta irridente e amara “il lavoro
rende liberi”.
LE RADICI DELL’ES
2) LILÍT
Nel 1981 compare una nuova raccolta di racconti, Lilít, che a differenza delle precedenti presenta
un’inedita tripartizione degli argomenti; ogni sezione prende il nome da un tempo, e magari da un
modo verbale: passato prossimo, futuro anteriore, presente indicativo.
Al soggetto che è la prima parte di passato prossimo, e che si apre di più al lettore nelle altre due
sezioni: futuro anteriore e presente indicativo. La tripartizione è però anche il segnale di una
mescola non riuscita, di un libro che nasce da spunti diversi e porta in sé diverse anime. I racconti
apparvero su “La stampa” a partire dal 1976. La prima sezione, riguardante un passato dichiarato
prossimo, è dedicata ad Auschwitz, alla persecuzione degli ebrei.
Il più riuscito è forse proprio il racconto che dà il titolo alla raccolta, con la disputa tra l’ebreo pio e
quello incredulo a proposito dell’interpretazione della creazione della donna da parte di dio nel libro
della Genesi. Secondo una lettura cabalistica della Torah, dio creò la donna due volte: la prima
donna non sarebbe stata Eva, bensì Lilít che, ribellatasi, divenne una diavolessa che tenta di
soffocare i neonati e ruba lo sperma perduto dagli uomini per generare piccoli diavoli. A loro volta,
questi si presenteranno al funerale del defunto padre per reclamare la loro parte d’eredità. Ma lo
scandalo enorme, che porta il male sulla terra, è che dio ha abbandonato la sua compagnia, la sua
stessa presenta nel creato e ha iniziato una relazione con Lilít.
La seconda sezione, futuro anteriore, è anche più eterogenea. Alcuni racconti sono ancora ispirati ad
articoli apparsi su “Scientific American”, altri riprendono in vario modo il tema della panspermía
enunciato in Quaestio de centauris, altri hanno a loro volta origini difficilmente rintracciabili.
Andrà qui posta attenzione al tema della natura nemica, che ritornerà e sarà esplicitato da Levi ne Il
brutto potere del 1983.
La terza sezione del libro, presente indicativo, presenta ancora congerie di argomenti: si va dai
racconti etologici, alla ricerca artistica nel passato, a quella poliziesca su un disegnatore di
svastiche, a ricerche di persone immaginarie.
2) LEVI E L’EBRAISMO
Primo Levi aveva ricevuto l’iniziazione alla religione ebraica nell’adolescenza, ma poi si era
distaccati dalla religione e aveva fatto a meno di dio.
Prima della deportazione era però soggiunto un evento che aveva fatto nascere in lui la coscienza di
essere ebreo: le leggi razziali avevano avuto come risultato quello di rinvigorire il senso di
appartenenza a una cultura e a una tradizione, religiosa e culturale, negli ebrei italiani.
Ad Auschwitz aveva potuto avere un primo approccio con la cultura ebraica, un approccio falsato
dalla condizione del lager. Più approfondito fu il contatto che ne ebbe durante i mesi di
vagabondaggio in Polonia e durante il viaggio di ritorno verso l’Italia.
Negli anni però, Levi fu catalogato come scrittore ebreo: il fatto di essere stato deportato ad
Auschwitz per motivi razziali, l’aver scritto del lager e della condizione degli ebrei laggiù, lo
facevano classificare tra gli scrittori ebrei, benché egli si sentisse, semmai, uno scrittore italiano e
avesse riflettuto in Se questo è un uomo sulla condizione umana, non su quella ebraica in
particolare. Questa situazione si acuì con la pubblicazione di Se non ora quando?. In realtà, anche
stavolta, quello di Levi era un ebraismo acquisito intellettualmente, attraverso lo studio per giungere
a una cultura ebraica, quella dell’Europa orientale, che non esisteva più.
SCONFINAMENTI
1) L’ALTRUI MESTIERE
Nel 1985 Levi pubblica sempre da Einaudi un volume di articoli apparsi, prevalentemente su “La
Stampa”, e scritti in gran parte nel decennio precedente, tra il 1976 e il 1985. Si trattava di articoli
che sconfinavano in materie di cui non era specialista ma che attiravano la sua curiosità.
Questi articoli e altri entrarono a far parte del volume L’altrui mestiere col titolo Lo scriba. In quel
1984 Levi aveva acquistato un calcolatore munito di un programma di videoscrittura.
Il primo approccio fu segnato dalla paura dell’ignoto, dal pregiudizio di dover sapere tutto della
macchina e dalla paura di perdere il testo composto. Proprio l’immaterialità del testo, l’abbandono
del supporto cartaceo e la virtualizzazione del testo furono i traumi del passaggio dalla
composizione a mano o a macchina alla videoscrittura.
Il computer di allora aveva necessità che il programma di avvio fosse inserito dall’esterno sul
supporto di un disco magnetico, questo fatto ricordò a Levi un proprio racconto, Il servo, inserito in
Vizio di forma e in cui riparava la vecchia leggenda del rabbino Arié e dell’invenzione del golem:
quella porzione di materia, ossia di caos riceveva la legge che lo faceva muovere e obbedire sotto
forma di un versetto della Torah che gli veniva infilato in bocca; solo così il golem poteva prendere
vita e funzionare. L’analogia con il computer gli sembrò subito evidente.
Il computer fu però nel 1984 una sfida che lo fece sentire al passo coi tempi e gli fece sparire
l’uggia del sopravvissuto al suo tempo.
3) LEVI TRADUTTORE
Con Lasciapassare per Babele, un articolo apparso su La Stampa il 5 novembre 1980, Primo Levi
affrontava il problema della traduzione a partire, ancora una volta, dal racconto biblico della torre di
Babele.
Levi fa discendere alcune motivazioni della diffidenza per lo straniero e una delle cause del
razzismo.
L’articolo proseguiva con l’indicazione di alcune difficoltà conosciute da ogni traduttore: la
polisemia assunta da certi termini nelle diverse lingue, i “falsi amici” ecc, e terminava con un breve
accenno ai sentimenti ambivalenti che prova l’autore tradotto verso il suo traduttore.
IL BRUTTO POTERE
1) Il BRUTTO POTERE
A partire almeno dal 1983, questo modello di lettura del mondo si tinge di un profondo pessimismo:
la scoperta dell’antimateria, di una forza negativa volta all’in giù, gli sembra la conferma che il caos
e l’entropia finiscano per prevalere nella natura.
Contro questa forza che conduce al caos possiamo combattere col cervello o con meccanismi che
rientrano nel principio dell’omeòstasi e che, attraverso la retroazione, consentono di ripristinare
l’equilibrio.
A livello stilistico non possiamo parlare di leopardismo per Levi; ma di sicuro e forse per la
maggior ragione che per Leopardi, possiamo parlare di pessimismo cosmico per l’ultimo Levi, che
non trova più forze da opporre alla distruzione; nel mondo il ciclo di retroazione si è spento e
nessuna forza consente di ristabilire i parametri di omeòstasi.
La stupidità, il caos, il groviglio sono intrinseci alla materia: la hyle primigenia di cui parlavano i
presocratici, la roccia con la quale Levi si confrontava in montagna, e anche l’uomo in quanto
materia, e tutti i suoi manufatti, ricevono in eredità la loro quota di caos o stupidità.
4) RACCONTI E SAGGI
Il volume Racconti e saggi fu pubblicato dall’editrice “La Stampa” alla fine del 1986, come raccolta
di scritti apparsi sul quotidiano; sembra che Levi volesse intitolarlo Il fabbricante di specchi, titolo
che è stato assunto nelle traduzioni straniere. Contiene materiali eterogenei per argomento e data di
composizione.
1) I SOMMERSI E I SALVATI
Nel 1979, Levi annunciava il progetto di un libro in cui sarebbe tornato a meditare su Auschwitz e
sulla realtà concentrazionaria. Una riflessione storica sui lager e sulla loro ricezione nel mondo di
quasi quarant’anni dopo.
La domanda su come avesse potuto svilupparsi una simile officina di distribuzione non aveva
ancora trovato risposte soddisfacenti. Levi continuava a pensare ai rapporti interni al lager, alle
situazioni e alle posizioni dei prigionieri che erano diverse e variegate nella gerarchia dei campi,
alla condizione dei sopravvissuti, alla difficoltà di comunicare, alle reazioni dei tedeschi. Il punto di
partenza era una riflessione manzoniana sul male, sul potere che il male ha di corrompere anche chi
lo subisce.
Il libro non fu scritto di getto, ma fu pensato per anni e le poche parti già pubblicate furono
variamente rimodellate e ripensate da Levi per confluire nel progetto complessivo. Il volume uscì
nel 1986, presso Einaudi e in questa versione definitiva alla prefazione seguono otto capitoli e una
conclusione.
2) COLPA E MEMORIA
Questo straordinario libro di indagine sull’uomo e sui meccanismi che usa per interagire con il male
e con il dolore ha ispirato numerose riflessioni sulla memoria e la testimonianza.
a) PREFAZIONE
La prefazione accenna a temi molto dibattuti sui lager; in primo luogo, come potevano non sapere i
tedeschi dei campi di concentramento? A questa domanda Levi risponde che la mancata diffusione
della verità sui lager costituisce una delle maggiori colpe collettive del popolo tedesco, e la più
aperta dimostrazione della viltà a cui il terrore hitleriano lo aveva ridotto: una viltà entrata nel
costume e così profonda da trattenere i mariti dal raccontare alle mogli, i genitori ai figli; senza la
quale, ai maggiori eccessi non si sarebbe giunti, e l’Europa ed il mondo oggi sarebbero diversi.
Un altro tema deve poi essere affrontato e detto una volta per tutte: nella storia umana i massacri, i
genocidi, i campi di concentramento si sono tristemente ripetuti, ma quello nazista si distingue per
la volontà di estirpare un popolo attraverso una macchina burocratica che sfrutta prima la forza
lavoro del prigioniero e poi il suo stesso corpo materiale.
b) Memoria dell’offesa
Levi affronta un problema epistemologico col quale il giudice e lo storico hanno sempre a che fare e
che spesso l’uomo comune sottovaluta o non prende in considerazione: la memoria non è fatta solo
di registrazioni, ma nel suo meccanismo agiscono altri fattori, volontari o involontari, che
modificano la registrazione dei ricordi.
C’è una forza nella natura che porta verso la perdita, verso l’annullamento, della vita come dei
ricordi personali; è quella, già ricordata, che porta alla morte, al ritorno della materia, allo stato di
caos, al giù senza ritorno.
La trasformazione dei ricordi ha un naturale nemico: i fatti. Molto più facile è manipolare le
intenzioni, arrivando perfino a sopprimere i ricordi sgradevoli. Non a caso i nazisti erano molto
abili a proteggere le coscienze degli addetti ai lavori sporchi. L’allontanamento dai fatti, dalla verità,
può avere come ultima conseguenza l’abbandono della realtà, e questo forse è successo durante la
fine del Terzo Reich.
c) La zona grigia
Una delle preoccupazioni maggiori di Levi riguardava il comprendere, far comprendere l’esperienza
del lager agli altri comportava delle semplificazioni: la narrazione o la comunicazione devono
ricorrere a degli schemi comunemente accettati, e questi possono causare equivoci, fraintendimenti,
equiparazioni tra avvenimenti totalmente diversi.
d) La vergogna
Il tema della vergogna del sopravvissuto era già emerso dalle pagine di Se non ora quando? E nella
poesia Il superstite. Il capitolo si apre con la constatazione che il momento della liberazione, come
era già stato narrato nella Tregua, non fu momento di gioia; assaliva il prigioniero un senso di
angoscia, di vergogna per quanto subito, per la destituzione dalla condizione umana, e insieme un
senso di vuoto, di paura del futuro. Vi si aggiungeva un vago senso di colpa per non essersi ribellati
e aver combattuto eroicamente fino alla morte.
Il senso di vergogna del sopravvissuto è dovuto ad altro. Chi è rimasto in vita ad Auschwitz lo ha
fatto perchè era riuscito a ottenere una razione alimentare ulteriore, visto che quella del campo era
insufficiente a sopravvivere per più di tre mesi. Il senso di colpa proviene da quello, dal fatto di aver
raggiunto una posizione di superiorità rispetto al grande numero dei “sommersi”, di coloro che non
ce l’hanno fatta a sopravvivere.
Ma non è solo la causa della propria sopravvivenza a inquietarlo, quanto un dubbio che cresce a
poco a poco in lui a proposito della testimonianza stessa. Se egli fosse stato salvato per deporre di
fronte agli uomini, come pretendeva l’amico, sarebbe comunque stato un testimone imperfetto, solo
chi è morto ha raggiunto la conoscenza ultima del lager.
E’ questo un tema che Levi svolge fino in fondo, quasi in una sorta di ansia di discolparsi
dimostrando che la sua esperienza è stata imperfetta, che il testimone perfetto non poteva esistere,
poiché, come in ogni caso di omicidio, questi coincide con il morto.
L’attenzione di Levi si sposta sulla condizione del prigioniero testimone, sugli impulsi che lo
spingono ad attestare della realtà del lager.
3) COMPRENDERE, NON PERDONARE
Dopo il nucleo dei primi tre saggi dedicati all’analisi interna del lager e della trasmissione che di
quell’esperienza è stata fatta dai sopravvissuti, seguono gli altri 5 saggi dedicati per lo più a
problemi di ricezione di quell’esperienza da parte di chi non l’ha vissuta. Il quarto saggio,
Comunicare, riguarda il problema della comunicazione linguistica all’interno del lager e il fatto che
capire gli ordini urlati in lingua straniera fosse un discrimine per la sopravvivenza iniziale; ma
anche il fatto che poter comunicare i propri pensieri a qualcuno fosse un bisogno essenziale del
lager, alla pari del trovare nutrimento per il corpo. Il quinto saggio riguarda l’analisi della violenza
inutile all’interno del lager: ad Auschwitz non solo incombeva quotidianamente la morte, ma la
violenza gratuita era costruita inizialmente dalla privazione del pudore, delle più elementari regole
igieniche, dalla costrizione a ferree e stupide regole da caserma, fino al lavoro inutile e vessatorio.
Ci sono però due capitoli, il sesto e l’ottavo che affrontano un altro aspetto: quello del rapporto con
i possibili alleati o nemici dei suoi libri su Auschwitz. Il primo in particolare istituisce un confronto
a distanza con Jean Améry, un filosofo sopravvissuto ai campi di sterminio e morto suicida nel
1978, dopo aver sostenuto una linea di intransigenza contro l’oblio dell’offesa. Levi e Améry non si
incontrarono direttamente ma entrarono in contatto grazie a una comune conoscente.
Améry aveva definito Levi “il perdonatole”, definizione che egli non accetta.
Credo che la distanza tra di loro derivi in parte dalla diversa impostazione culturale, in parte dal
manzonismo di Levi che cerca di proteggere la vittima dalla continuazione della violenza nella sua
anima.
Che Levi non fosse un “perdonatole”, ma un uomo che cercava di non essere oppresso dal
risentimento in modo da poter condurre una vita serena, è confermato dal capitolo Lettere ai
tedeschi.