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AGOTA KRISTOF

Ágota Kristóf (Csikvánd (Ungheria) 30 ottobre 1935 – Neuchâtel, 27


luglio 2011) è stata una scrittrice ungherese naturalizzata svizzera.
Come autrice, si è espressa quasi esclusivamente in francese che
tuttavia non riuscirà mai a padroneggiare pienamente nella scrittura:
una circostanza che la portò a definire se stessa un’ANALFABETA.
Durante l’adolescenza viene mandata in un collegio femminile. Nel 1956,
all’età di 21 anni - in seguito all'intervento in Ungheria dell'Armata
Rossa per soffocare la rivolta popolare contro l'invasione sovietica -
fugge con il marito e la figlia in Svizzera e si stabilisce a Neuchâtel,
dove vivrà fino alla morte. Non perdonerà mai al marito la decisione di
allora, presa per paura di essere arrestato dai sovietici. A Neuchâtel,
Ágota Kristóf impara il francese, che adotterà per la sua scrittura
letteraria. nel 1988 de Le grand cahier. I personaggi dei racconti di
Kristóf sono spesso segnati dalla condizione esistenziale dell'erranza,
l'impossibilità di riattingere ai luoghi delle proprie origini.

- analfabeta primario strumentale è una persona che non ha mai


imparato a leggere e scrivere.
– analfabeta di ritorno strumentale è una persona che ha forse imparato,
è andata a scuola per alcuni e a volte per molti anni, ma in età
postscolastica ha vissuto una tal vita da disimparare completamente, da
non sapere usare lo strumento dell’alfabeto.
– analfabeta funzionale è la persona che decifra uno scritto, che sa
apporre e riconoscere la propria firma, ma non corrisponde al livello di
alfabetizzazione funzionale definito già nel 1952 dall’UNESCO come
capacità di andare oltre l’alfabetizzazione strumentale, e cioè di metterla
pienamente a frutto sviluppando la capacità di leggere e di scrivere un
texte (dice la versione francese) o uno statement (dice l’inglese) su
problemi e fatti della vita quotidiana di interesse sociale. è una
condizione che tutti possiamo sfiorare: ( es. in un tribunale quando ci
impappiniamo dinanzi alla controinterrogazione di un abile avvocato). E’
la condizione iniziale di fronte alla scrittura francese di Agota.
Questi tre tipi di analfabeti, gli strumentali primari e di ritorno e i
funzionali, coesistono e si mescolano tra noi. In Svizzera non avrei
avuto nessuna possibilità se avessi scritto in ungherese. Però ho
continuato a scrivere anche nella mia lingua madre per un bel po’ di
tempo, almeno cinque anni.
Scrivere per me voleva dire anche cancellare tantissimo. Cancellavo in
particolare gli aggettivi e le immagini che non appartenevano al mondo
reale, concreto, ma che nascevano dalle emozioni.
In L’analfabeta racconta di aver imparato una lingua attraverso il corpo:
nella fabbrica di orologi una donna le insegnava i nomi delle parti del
corpo e degli oggetti attraverso il linguaggio corporeo. C’è voluto molto
tempo, dodici anni direi, perché cominciassi a scrivere in francese.
Prima ho tentato di capire come suonavano in francese le mie poesie
ungheresi. Poi ho iniziato ad assemblare frasi, testi brevissimi, ma è
accaduto tutto molto lentamente. Ho iniziato con i testi teatrali. Ho
terminato un paio di commedie, e qualcuno mi ha suggerito di mandarle
a una radio. Volevo raccontare di come io e mio fratello Jenő avevamo
vissuto la guerra.
Ha scritto i tre libri della Trilogia della città di K in cui voleva parlare
della sua infanzia durante la guerra, vissuta con mio fratello maggiore.
Lasciai l’autobiografia e riorganizzai quei capitoli per uno struttura
romanzesca. sembra indicarci che solo attraverso il dolore possiamo
avere un’opportunità di comprendere gli altri, il mondo.
E così scrivere in francese è stata una necessità oltre che una sfida.

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Durante il periodo storico della Guerra Fredda, il termine blocco sovietico, o


orientale, definiva l’Unione Sovietica e i suoi alleati dell'Europa centrale e
dell'Europa orientale: (Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania Est, Ungheria,
Polonia, Romania e, fino agli anni sessanta, l'Albania). Il blocco orientale si
contrapponeva al blocco occidentale. Il termine "blocco orientale" è anche
usato come sinonimo di Patto di Varsavia (un'alleanza militare guidata
dall'Unione Sovietica), o di Comecon (un'organizzazione economica
internazionale di stati comunisti).
La rivoluzione ungherese del 1956 fu una sollevazione armata di spirito
antisovietico dell’allora Ungheria socialista che durò dal 23 ottobre al 10 - 11
novembre 1956. Inizialmente contrastata dai Servizi Segreti ungheresi, venne
alla fine duramente repressa dall'intervento armato delle truppe sovietiche.
Morirono molti ungheresi pro e contro la rivoluzione, e anche soldati sovietici .
Furono gli ungheresi che lasciarono il proprio Paese rifugiandosi in
Occidente. La rivoluzione portò a una significativa caduta del sostegno alle
idee del comunismo nelle nazioni occidentali. La rivolta ebbe inizio a partire
da una manifestazione pacifica di alcune migliaia di studenti. Ma le premesse
della rivoluzione si trovano nella morte del
Segretario generale del Partito Comunista Sovietico, Iosif Stalin, avvenuta nel
1953 (tre anni prima della rivoluzione) e nella denuncia della politica
repressiva e dittatoriale di Stalin durante il Ventesimo Congresso del Partito
Comunista Sovietico.
Questi due eventi avevano indebolito il potere dell’Unione Sovietica e da
questo indebolimento erano nate già altre sollevazioni nei Paesi del Blocco
orientale. In poco tempo molte migliaia di ungheresi si aggiunsero ai
manifestanti e la manifestazione si trasformò in una rivolta contro la presenza
sovietica in Ungheria. La rivolta si trasformò in controllo su molte istituzioni e
su un vasto territorio. Dopo varie vicissitudini, il Partito dei Lavoratori
Ungheresi nominò primo ministro Imre Nagy che concesse gran parte di
quanto richiesto dai manifestanti, finendo per interpretare le loro istanze,
identificandosi con la rivoluzione in corso. Nelle fabbriche si formarono
consigli operai, perlopiù di orientamento anarco-sindacalista, che
proclamarono lo sciopero generale. In alcune regioni le forze sovietiche
riuscirono a fermare l'attività rivoluzionaria. Il 4 novembre l'Armata Rossa
arrivò alle porte di Budapest con uomini e carri armati, ed iniziò l'attacco
trovando un'accanita resistenza nei centri operai. La rivoluzione ungherese fu
stroncata nel giro di sei giorni dalla repressione sovietica. Il cessate il fuoco fu
dichiarato il 10 novembre 1956.

“L’ANALFABETA”:
“Leggo. E’ come una malattia” e che quasi alla fine della sua storia dice “cinque anni dopo essere giunta in
Svizzera parlo il francese, ma continuo a non saperlo leggere. Sono tornata analfabeta. Io che leggevo già a
quattro anni”.
Si comprende la vera essenza del racconto, che narra la storia di una donna costretta a fuggire dalla
persecuzione. Agota, la protagonista del romanzo, non si perde mai di coraggio, affronta ogni cosa con
grande dignità, anche l’impossibilità di farsi comprendere, anche la difficoltà di inventarsi un modo per
riuscire a farsi aiutare e trova la sua salvezza nella praticità che la spinge a non arrendersi mai neanche
davanti all’evidenza di un quasi insuccesso. Ma la sua salvezza reale, quella dello spirito, sembra arrivare
grazie alla scrittura.
Quando infatti, operaia stanca e distrutta dal rumore delle macchine, ma stimolata dall’assenza di pensiero
che il lavoro di gesti ripetitivi le dà, inizia a trascrivere poesie che inventa in fabbrica e finisce di scrivere il
suo primo libro.
La vita non delude la sua aspettativa e riesce con caparbietà e forza d’animo nel suo obiettivo principale,
che è quello di integrarsi in un altro paese.
sembra una favola a lieto fine, ma è la storia reale di una guerra che ha colpito interi Paesi e famiglie, e che
è stata affrontata in modi diversi, uno dei quali è quello descritto in questa piccola autobiografia.

1) ESORDIO: racconta che sin dalla tenera età di 4 anni inizia a leggere
correntemente e lei questa la chiama “grande malattia”. La guerra è appena
iniziata e lei vive in un paese senza acqua ed elettricità. Il padre è l’unico
maestro della città. Questa sua passione porta però anche a dei rimproveri e
disprezzi perché viene scambiata per pigrizia e nullafacenza

2) DALLA PAROLA ALLA SCRITTURA: inizia in seguito a creare storie tant’è che
chiede alla nonna di non leggerle ma di farle raccontare. La mente inizia a
vagare e piano piano i personaggi prendono forma. La cosa che le piace di più
è raccontare storie a suo fratello minore Tila che crede a tutto quello che
racconta (es. adozione). Ha anche un altro fratello che si chiama Yano e che
senza di lei si annoia e spesso si fa punire per solidarietà. La voglia di scrivere
verrà quando termineranno questi felici momenti di infanzia e arriveranno i
giorni cattivi in cui separata da ogni affetto entrerà in collegio in una città
sconosciuta. Per sopportare il dolore della disperazione l’unica soluzione sarà
scrivere.

3) POESIE: a 14 anni entra in collegio sovvenzionato dallo Stato. Dice che è molto
severo tant’è che le sembra un incrocio tra convento e orfanotrofio. La sua
routine è serrata e comprende esercizi, pasti e studio. Non è permesso
nient’altro. Piange continuamente perché si sente privata della sua libertà e
anche dei suoi affetti più cari. I libri presenti sono privi di interesse e allora
inizia a scrivere un diario in cui annota tutte le sue infelicità. Ha perso anche la
sua casa che ora è occupata da stranieri. Piange soprattutto l’infanzia perduta .
Tra le lacrime la notte si materializzano delle frasi, prendono il ritmo e
diventano poesie.

4) CLOWNERIE: gli anni 50 portano con sé una grande povertà e questa si avverte
anche in collegio. Nel paese sono tutti poveri proprio per questo lei si fa
prestare tutto. Dalle scarpe ai vestiti. Non può permettersi di chiedere soldi ai
suoi genitori. Il padre è in prigione e la madre vive in un angusto scantinato.
Per guadagnare qualche soldo con qualche amica si inventa degli spettacoli nel
quale fa imitazioni dei professori, questo la rende felice perché riesce a far
ridere. Accettano in cambio ogni tipo di bene, dal cibo ai vestiti.

5) LINGUA MATERNA E LINGUA STRANIERA: All’inizio era convinta che esistesse


una sola lingua che era quella che parlava la sua famiglia e nel suo paese. Poi
capisce che esistono altre lingue (ad esempio quella degli zigani che si
trovavano alla frontiera ma pensava fosse una lingua inventata). All’età di 9
anni avevano traslocato ed erano andati a vivere in una città n cui si parlava
tedesco. Per lei questa era una lingua nemica perché le ricordava i soldati che
avevano invaso il suo paese e anche la dominazione austriaca. A 10 anni aveva
un’ortografia perfetta grazie alle sue numerose letture ed era una delle più
brave della classe. Impara al ginnasio anche il russo che nessuno conosce. E c’è
una resistenza passiva nell’impararlo. Al suo arrivo in Svizzera a 21 anni si
imbatte in un’altra lingua che lei reputerà ostile: il francese. Riesce a parlarlo
ma non lo conosco, non lo parla senza errori e non lo scrive senza dizionario.
Questa lingua sta uccidendo la sua lingua materna.

6) LA MORTE DI STALIN: nel Marzo 1953 si assiste alla sua morte di Stalin e la
tristezza è d’obbligo, non si fanno lezioni e tutto il paese è a lutto. Era un padre
e poi successivamente un faro luminoso. L’indottrinamento era grande ed
efficace sulle giovani menti. Il vero ‘terremoto’ è arrivato ben 36 anni dopo ed
era una risposta dei popoli. Solo allora è orto veramente. Aveva molte vittime
sulla coscienza ed è stato anche lui ad optare per un ruolo nefasto che la
dittatura doveva avere nei confronti della letteratura ecc. L’unione sovietica si
imponeva sui paesi più piccoli soffocando anche la loro cultura ed identità
nazionale. Si racconta dello scrittore austriaco Bernhard che era capace di
criticare e fustigare anche con humor il suo paese e la società. Lo prende
come esempio per tutti coloro che pretendono di essere scrittori.
7) LA MEMORIA: quando viene a sapere di un bambino turco che è morto per il
freddo mentre attraversava il confine inizialmente giudica poi si rende conto
che anche lei nel 1956 lo ha fatto con suo marito e la bambina molto piccola.
Cercavano di superare la frontiera tra Ungheria ed Austria illegalmente. Erano
una decina di persone con molti bambini. Attraversano un bosco e situazioni
impervie. Ungheria= prigione per aver superato il confine illegalmente oppure
essere sparati dalla guardie di confine russe. Vengono ospitati da una famiglia
di contadini molto cordiale che li aiuta anche con la loro figlia. Ha pochi ricordi
di tutto questo , come se la memoria non volesse ricordare. Sembra un sogno,
ha perso una parte importante della sua vita. Ha lasciato in Ungheria il suo
diario e le sue prime poesie e anche tutti i cari senza avvisarli. Ma soprattutto
ha perso la sua appartenenza ad un popolo.

8) GENTE FUORI POSTO: dal villaggio austriaco dove erano arrivati passano poi
a cercare un paese che li accolga: la Svizzera. Arriveranno prima a Losanna e
poi a Zurigo in cui verranno trattati molto bene. Conosce solo qualche parola
in tedesco che usa per chiedere il necessario per la figlia. Una volta si perde e
non riesce più a trovare il centro profughi. Ritorna dopo anni a Zurigo:
continua a non riconoscere la città e a non sapere la lingua tedesca ma non ha
più paura di perdersi, ora può permettersi un taxi e non è più un’ungherese
smarrita, ora è una scrittrice. Se fosse rimasta in Ungheria la sua vita sarebbe
stata sicuramente più povera, dura ma anche meno solitaria e più felice.
L’unica certezza è che avrebbe scritto in qualsiasi posto e in qualsiasi lingua.

9) IL DESERTO: da Zurigo vengono subito trasferiti in un paesino Neuchâtel.


Viene assunta in una fabbrica di orologi ed è proprio nei tempi morti che le
viene in mente di continuare a scrivere poesie. Per lei questo è il deserto
sociale, culturale. E’ vuoto, silenzio e nostalgia di casa. Materialmente la
situazione va meglio (casa, lavoro, soldi) e sanno di essere al sicuro perché i
russi non arriveranno fino in Svizzera. Nonostante questo lei non ha paura dei
russi, sa di aver perso il suo paese. La Svizzera rappresenta un deserto che
bisogna attraversare per raggiungere “integrazione” e “assimilazione”. Molti
non ce la fanno e o si uccidono oppure ritornano in Ungheria a costo di essere
imprigionati per aver varcato il confine.
10) COME SI DIVENTA SCRITTORI? Bisogna senza dubbio continuare a
scrivere e crederci con fiducia e ostentazione. Inizialmente le speranze in
Svizzera erano praticamente nulle. Inizia a pubblicare e scrivere dei pièce in
lingua francese dedicandosi quindi al teatro. Dall’incarico di lavorare con
alcuni bambini nasce l’esigenza di ricordare la sua infanzia con i suoi fratelli e
scrivere, per caso, un romanzo. I suoi testi vengono letti alla radio e così
diviene un’autrice radiofonica. Finalmente poi riesce a pubblicare il suo
romanzo “il grande quaderno” che ora è tradotto in molte lingue.

11) L’ANALFABETA: la vicina di casa sua amica le racconta con entusiasmo di


alcune donne straniere che lavorano in fabbrica e non sanno il francese. Per lei
non è niente di nuovo perché è esattamente quello che ha passato lei appena
arrivata in Svizzera. Si sente analfabeta perché non lo sa né parlare né leggere,
si iscrive all’università e finalmente ha accesso alle letture francesi. Non
riconosce le parole, quasi fosse una ribellione involontaria. Diventa anche
un’appassionata di dizionari, prova anche a scrivere in francese come se fosse
una sfida. Il francese non è una lingua che ha scelto, è stata imposta dal caso e
dalle circostanze. Sa che non riuscirà mai a scrivere come i francesi di nascita
ma per lei sarà una sfida.

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