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Igiaba Scego (Roma, 1974) è una scrittrice italiana di origine somala

Dopo la laurea in Letterature straniere si occupa di scrittura, giornalismo e di ricerca incentrata sul
dialogo tra culture e la dimensione della transculturalità e della migrazione. Le sue opere sono
piene di riferimenti autobiografici e si caratterizzano per il precario equilibrio tra le due realtà
culturali d'appartenenza, quella d'origine (somala) e quella vissuta nella quotidianità (italiana),
restituendo abilmente la doppiezza della dimensione sincretica in cui l'autrice è cresciuta.
La scrittura nasce da un’esigenza ovvero la necessità di essere plurima, di vari posti.

“La mia casa è dove sono”

è un racconto molto autobiografico perché attraverso la sua storia raccontare come può essere un
percorso di migrazione che è composito anche dal momento in cui bisogna combattere per i diritti
e soprattutto contro gli stereotipi. Le storie dell’altrove sono in realtà comuni, sono unite dalla
lingua e dai sogni.
Viene raccontata la storia della sua famiglia intrecciata alla storia della Somalia . Il padre è un ex
ministro degli esteri somalo che decide di venire in Italia negli anni 50’ per ‘studiare democrazia’.
Con la dittatura di Siade Barre e l’esilio il padre di Igiaba decide di vivere a Roma in cui ha avuto la
sensazione che si potesse ricominciare a sognare. Per ben due anni durante la guerra Igiaba on
avrà notizie della madre che è rimasta in Somalia e che la ha sempre spronata a sognare e
scrivere. Si racconta quindi di due paesi e due patrie distinte che si fondono tra i ricordi della
scrittrice. Ora sente di appartenere ad entrambi i mondi. Ma Mogadiscio non è più come lei la
ricorda, ora è distrutta. La Somalia è divisa da una guerra civile succeduta alla dittatura di Siade
Barre. Dalla ricchezza originale la famiglia di Igiaba è poi caduta in povertà, è dovuta ricorrere
all’aiuto della chiesa e delle mense. E’ stata per anni schiaffeggiata e insultata ma c’è stata una
maestra che l’ha sempre spronata a scrivere. Da allora ha capito l’importanza di comunicare e di
relazionarsi e raccontare la sua storia. E’ un’immigrata di seconda generazione perciò non
dimentica le sue radici ma insieme cerca una nuova identità ed appartenenza. E’ una sorta di
memoir , c’è il desiderio di raccontare ed esprimere e far capire. Vuole dire che molti figli di
migranti sono come tartarughe: la casa se la portano dietro. Ha un significato molto tragico, il luogo
non è quello di partenza né quello di arrivo, ma è quello immaginario, di integrazione e di
inclusione.
E’ una specie di toponomastica della memoria, si costruisce piano piano la sua identità sempre
più meticcia e composita. La spinge a collocarsi dove vuole lei, non dove vogliono gli altri. Le
identità sono in continuo cambiamento e non si finisce mai di combinarle.
PROFILO STORICO DELLA SOMALIA:
Le origini del colonialismo italiano risalgono alla seconda metà dell’800’, in particolare l’interesse
era nato quando nel 1869 si aprì il Canale di Suez che poteva permettere: 1)comunicazione
diretta tra Mediterraneo e Mar Rosso e anche 2)colmare il ritardo riguardo le conquiste coloniale
che le altre potenze avevano guadagnato.
Giocavano un ruolo fondamentale anche le grandi compagnie commerciali private, lo Stato
subentrerà solo nel 1882 : nascita colonialismo italiano.
La Somalia non era ancora uno stato unitario ma ancora un insieme di tribù nomadi e sultanati
stranieri. Anche la Francia e la Gran Bretagna erano interessati e da qui ne deriva la Somalia
britannica e quella francese. L’Italia prende principalmente la parte che riguarda la costa
sull’Oceano Indiano (Terra di Punt) che comprende Mogadiscio.
Tra il 1885/91 l’Italia acquisisce il controllo sui porti di Mogadiscio, Brava, Merca e Uarsceik
gettando le basi per il protettorato della Somalia italiana diventata vera e propria colonia a partire
dal 1905.
Nel corso degli anni 20’ il fascismo contribuisce in maniera determinante , ci fu un’occupazione
territoriale da parte del governo italiano.
Dopo la conquista di Addis Abeba nel 1936 la Somalia italiana, Etiopia ed Eritrea entrano a far
parte dell’ Africa orientale italiana: unità amministrativa in cui l’Impero riunisce i suoi possedimenti
nella zona orientale del continente. Gli interessi inglesi ed italiani erano in conflitto con l’avvento
della 2GM.
L’esercito italiano invade il Somaliland ma in poche settimane l’esercito inglese ristabilisce i
confini.
Con il Trattato di Parigi (1947) l’Italia rinuncia a tutti i suoi possedimenti coloniali in Africa.
L’ONU si occupa poi della decolonizzazione. Stati Uniti e Gran Bretagna concordano nell’affidare
all’Italia il compito di decolonizzare l’Africa, partendo da una Amministrazione Fiduciaria con la
Risoluzione 289-A del 1949 per un periodo di dieci anni che avrebbe portato poi alla totale
indipendenza. Fu difficile però la convivenza tra autorità italiana e Lega dei giovani (nazionalisti e
indipendentisti).
Ci fu comunque l’elezione del primo parlamento somalo (1956).
L’indipendenza verrà ottenuta solo il 1 Luglio 1960. La Repubblica di Somalia nasce dalla fusione
della Somalia italiana con il Somaliland (ormai indipendente alla Gran Bretagna). Il primo
presidente fu Aden Abdullah Osman Daar, la questione dei confini incerti non è mai stata
veramente risolta e affrontata.
Nel 1964 la Lega ottiene successo e tre anni dopo Abdirashid Ali Sharmarke poi assassinato.
Subentra Siad Barre comandante e capo dell’esercito che con un colpo di stato proclama la
Seconda Repubblica, abrogando e sospendendo tutte le istituzioni dello Stato.
La dittatura di Barre durò dal 1969 al 1991 ed in un primo tempo prevedeva un programma
illuminato e progressista che prevedeva anche l’istruzione obbligatoria e estensione delle cure
mediche e promuovere diritti civili delle donne.
Nel 1970 Barre aderisce al marxismo e al partito socialista che portò all’accentramento del potere
nelle sue mani. Gioca il nazionalismo e dunque ingaggia un conflitto con l’Etiopia per la regione
dell’Ogaden e subisce un’umiliante sconfitta ponendosi anche contro l’Unione Sovietica. Fu poi
attaccato militarmente a nord e minacciato politicamente a sud e alla perdita di consenso risponde
con atteggiamenti sanguinosi (es. strage Stadio di Mogadiscio verso chi manifestava dissenso).
La situazione precipita e si passa ad una vera e propria guerra civile, uno dei più sanguinosi nella
storia d’Africa. La Somalia rimase senza governo e si passò all’anarchia e disordine sociale. Si
fronteggiarono per il potere due personaggi dell’Unite Somali Congress cioè Ali Mahdi Muhammad,
eletto presidente e il generale Mohammed Farah Aidid. La comunità internazionale sembra
impotente.
Il segretario generale dell’Onu Boutros Ghali nel 1992 denuncia la totale inazione nei confronti del
popolo somalo. Interviene Clinton che dispone l’invio di truppe per ristabilire la pace. Accade nel
1992, viene approvata la Risoluzione 794 che autorizza l’invio del contingente militare statunitense
(Unitaf). Ci furono dei fraintendimenti tra Onu e Stati Uniti che rinegoziarono i termini. Subentra
all’Unitaf una nuova forza internazionale. Il bilancio rimane tragico e l’intervento non va a buon
fine. I warlords, signori della guerra, erano i protagonisti capi clan che sfruttavano l’anarchia per
affermare il predominio sulle diverse zone del paese per interessi economici locali.
L’iniziativa diplomatica riprende nel 1999 con Ismail Omar Guelleh che dopo una conferenza crea il
Governo nazionale di transizione (gnt) e l’investitura del presidente Abdulqassim Salad Hassan.
A partire dal 2006 cresce il consenso per le Corti islamiche, organizzazioni di quartiere che
assolvono ad alcune funzioni governative: controversie locali, ordine pubblico, assistenza per la
popolazione.
Nel 2007 torna nelle mani del governo provvisorio grazie all’Etiopia e gli Stati Uniti preoccupati di
una possibile infiltrazione di Al Qaeda tra le milizie islamiche. Gli scontri tra le milizie islamiche e le
truppe etiopi e forze filogovernative portano il paese allo scompiglio.
Solo nel 2008 si firma un accordo di pace che sancisce la fine degli scontri.
La Somalia rimane ancora oggi un paese dilaniato da conflitti interni e attentati terroristici e
carestie. L’unico governo riconosciuto è quello federale di transizione guidato da Hassan Hussein.
Al dramma si aggiungono anche la carestia e la pirateria navale.

Per un secolo Italia e Somalia sono state unite per caso. L’Italia era ancora consunta dalla povertà
ed indebolimento dettato dal recente raggiungimento dell’Unità. L’unica eredità che poteva
condurre al colonialismo era quella Mazziniana, la Chiesa era del tutto ostile alle conquiste
coloniali perciò si parla di un atto controvoglia e anche l’accostamento alla Somalia è del tutto
fortuito e casuale. Nel 1888 furono gettate le basi della colonia somala da parte di Umberto 1, si
trattava comunque di un magro acquisto. L’anno dopo vennero messi in vendita alcuni porti tra cui
Mogadiscio e Brava che gli inglesi volettero assegnare alla potenza meno pericolosa. La Somalia
era una terra del tutto sconosciuta ma si ricorda bene il carattere difficile dei suoi abitanti però
l’epoca richiedeva recensioni entusiaste. Nessuno però investiva concretamente in questa terra,
né imprese private del nord, né capi come Giolitti o famiglie come Filonardi per cui non ci fu
nessun investimento, opere pubbliche, né migliorie ma solo cruda gestione e sfruttamento dei diritti
doganali.
Igiaba parla di “BUUFIS”. I giovani sono soggetti a questo concetto e viene esplicato come il
sentimento/desiderio di voler andare in Europa. Bisognerebbe comprendere che la migrazione non
è un fenomeno transitorio e in altri paesi funziona meglio la sua gestione non perché siano paesi
buoni e caritatevoli ma perchè anche ad esempio nell’iter della cittadinanza si segue un filo
piuttosto logico. E la parola ‘integrazione’ è una parola che già in sé presuppone il fatto che
bisogna disintegrarsi da qualcosa. Le storie hanno una grande importanza perché siamo esseri
relazionali e lo scambio può diventare tale solo attraverso la condivisione.
-CAPITOLO 1: IL DISEGNO OVVERO LA TERRA CHE NON C’E’:
le fiabe somale sono fiabe molto terrorizzanti e crude, non sono per nulla fiabesche ma sono molto
reali, forse anche troppo. Le storie erano il miglior modo che aveva per pensare alla vita reale,
vivere non era un regalo e la si doveva conservare ogni giorno come gesto di volontà. Si rende
conto che l’Europa e l’Africa in realtà hanno molto in comune, Roma non è poi così diversa da
Mogadiscio. Tutta questa consapevolezza inizia a Manchester giorno in cui Nura (sua nuora)
aveva cucinato il pollo e a lei per la prima volta era piaciuto, ma non era questa la grande
rivelazione. Provava un certo sentimento di “saudade”: senso di nostalgia, di rimpianto per
l’assenza di qualcosa che si desidera ardentemente, qualcosa di perduto o non ancora raggiunto. I
protagonisti di questa storia sono Igiaba, suo cugino O, suo fratello Abdul e suo figlio Deq.
Avevano tutti il dolore della stessa perdita, la Somalia, ma avevano passaporti diversi. Abdul era
inglese, si era trasferito in Gran Bretagna; il cugino O invece ha cittadinanza finlandese anche se
da lì era scappato per i naziskin e si era anche lui fiondato in Gran Bretagna. L’idea che si evince
del fratello Abdul è di un ragazzo che amava tanto disegnare ma che viene convinto che il disegno
sia una macchia, nulla di importante, continuava a disegnare i suoi ricordi. Ha una buona
considerazione del fratello che appare come un sognatore rassegnato che ha in sé anche della
bontà d’animo. Fa mille lavori per sopravvivere. Lei invece era italiana e i somali non capivano il
perché di questa scelta dato che l’Italia ha per lungo tempo colonizzato la Somalia. La verità è che
l’Italia ha dimenticato tutto quel che è stato quel periodo di colonizzazione, non ci sono riscontri
nella realtà odierna, non era la peggior scelta possibile. Era il paese che Igiaba sentiva come suo.
Tutto si scatena da una domanda “dov’è seppellita la nonna” e di lì si dibatte su come si
Mogadiscio e ci si sfida su chi la conosca meglio e si arriva a disegnare una grande mappa
colorata . Pur consapevoli che ormai è una città fantasma. Consapevoli di questo amalgamavano i
ricordi e continuavano a sognare. Era incredibile come le conoscenze fossero le stesse anche se
Igiaba era vissuta a Roma, aveva avuto la stessa istruzione (Pascoli e la scuola italiana,ecc) quindi
in realtà è come se fossero cresciuti nello stesso posto. E’ il segno di un colonialismo che cancella
tutta la storia somala. Igiaba aveva più dimestichezza con le strade e i quartieri di Roma però in
quella cartina c’era una parte delle sue radici. Il nipotino chiede se questa città esista ancora,
Igiaba non risponde ma risponde sua madre dicendo che esiste, mente. E dice anche che quella
disegnata non è la città di Igiaba, non le appartiene, lo è ma è un controsenso. Deve completare la
mappa e lei dopo pochi giorni comprende che deve completare la mappa con quel che per lei è
familiare e le appartiene: alcuni nomi di monumenti, strade di Roma. Ciò nonostante quella
Mogadiscio era anche la sua città e con lei si addolorava per la distruzione di questa. Sa di essere
un’equilibrista, conseguenza della migrazione forzata perciò “la casa ce la portavamo alle spalle”.
Si dice inoltre che per le ‘ajuza’ (vecchie comari) è IBLIS (diavolo) in persona a mormorare parole
sbagliate all’orecchio del ‘muezzin’ (addetto a pronunciar preghiere, ora lo faceva senza
convinzione).
trama matrifocale: la madre racconta dal suo punto di vista che è femminile. Costruzione di un
terzo spazio che sarebbe rappresentato dalla lingua che non è più lingua matrigna.

-CAPITOLO 2 : TEATRO SISTINA:


il teatro Sistina ha un ruolo importante perché è proprio lì che il padre di Igiaba, assistendo ad un
concerto di Nat King Cole, cantante jazz afroamericano, ha realizzato che se si fosse mai trovato
in pericolo avrebbe trovato rifugio in Roma che ai suoi occhi sembrava la città giusta per
ricominciare, e piena di magia. Tra il 1950 e il 1960 fece un viaggio a Roma, non era il suo primo
viaggio, era ormai un politico serio ed affermato e il futuro lo avrebbe portato a diventare ministro
degli Esteri negli anni 60’. La sua infanzia era consunta dal fascismo che però in età adulta aveva
cercato di liberarsene. Racconta ad Igiaba che il fascismo uccideva ogni tipo di creatività. Come
primo lavoro aveva provato a fare il venditore di orologi al porto e già da allora aveva iniziato ad
ardere in lui il desiderio di fare politica. Si parla di “SIYAASI”: politica e si faceva per questa ogni
tipo di sacrificio. Nel 1941 l’Italia fu cacciata dalle sue colonie, prima della fine della guerra. Molti
somali iniziarono a studiare per organizzare movimenti politici e in questo momento Alì Omar
Scego dirigeva le azioni di polizia cittadina. Frequentava a Roma la scuola di politica che
sembrava un percorso obbligato verso l’indipendenza. Tutti gli stati dopo la fine del colonialismo e
l’inizio dell’indipendenza cercavano di sfruttare lo sbandamento delle potenze europee per
rivendicare l’autogoverno. La Somalia era piuttosto arretrata perciò si decise per un
“TRUSTEESHIP SYSTEM”: AMMINISTRAZIONE FIDUCIARIA da parte di un terzo stato per un
numero di anni da stabilire. Significava rimandare l’idea di autogoverno. Fu l’unico caso in cui
questo mandato fu affidato ad un ex potenza coloniale, sconfitta anche nell’ultima guerra (Italia). Si
scoprì che vi era un forte interesse economico per tutte le potenze europee. Si insegnò presto un
malcostume e una corruzione che portò a generare dei quadri dirigenti asserviti e corrotti e
compromessi. Quando arrivarono gli inglesi si tornò a respirare perché durante il colonialismo gli
italiani non hanno mai permesso di creare quadri diligenti somali. Il grande sogno era quello di
riunire tutti i territori somali in un unico stato. Questo è il significato della bandiera che presenta
una stella al centro (sogno di grandezza) e le cinque punte rappresentano le cinque zoni in cui
vivono i somali. Per gli italiani era questione di prestigio, per i somali di esistenza. Fu costretto ad
abbandonare la Somalia con la dittatura di Siad Barre che proponeva di collaborare con la dittatura
militare, Alì Omar scelse l’esilio a Roma per provare a riscrivere la sua storia e la democrazia.
Quando andò al concerto ormai era un politico affermato, mancava poco all’indipendenza (1 Luglio
1960). Il cantante notò il padre e i suoi due colleghi e li fece sedere avanti, nonostante la miopia.
Fu la svolta per Alì Omar e il suo sogno romano. Importante è per Igiaba la figura del padre che
considera come un uomo valoroso e come un “libro di storia in 3d”

-CAPITOLO 3: PIAZZA SANTA MARIA SOPRA MINERVA:


piazza in cui è presente l’ elefantino del Bernini che trova simile alla madre. Entrambi esuli, infatti
per Igiaba è un pezzo d’Africa che non dovrebbe trovarsi qui. Stesso parallelismo che si può
compiere con la chiesa presente che è stata bruciata, simile alla memoria delle donne che talvolta
hanno la necessità e l’obbligo di dover tacere. La madre è un esempio di donna che ha usato la
parola proprio quando era necessario. E’ esule proprio perché è anche lei a metà, con le radici da
una parte ma il corpo a un’altra, è un’identità spogliata. Racconta della sua nascita che non è stata
vista come una manifestazione di festa collettiva ma fredda e privata. Si noti la differenza tra
Occidente e Oriente che grava principalmente alla mamma di Igiaba. La mamma era una
pastoressa che viveva per gli animali e nella boscaglia si parla anche di un sistema di tradizioni
sbaglio ed equivoco per mezzo del racconto dell’infibulazione. Dice di sentirsi la “mappa di sua
madre” che l’ha disegnata per intera, senza tagli. Racconta anche il motivo del suo nome che per
lei manifesta un grande atto d’amore nei confronti del padre (si era innamorato di una donna che
aveva questo nome). Dice che ha dovuto rimappare la sua vita per ben tre volte: 1)dopo
l’infibulazione, era diventata adulta. 2)dalla boscaglia alla città 3)dal suo paese alla terra straniera.
Dovette quindi non ricostruire, non modificare o rinnovare, semplicemente tracciare nuove linee
perché lo spazio attorno stava cambiando. Non aveva mai avuto la possibilità di studiare e di
leggere anche se è sempre stata una donna intelligentissima. Si evince una descrizione del tutto
vivida della madre di Igiaba che è un capo saldo nella sua vita e ne apprezza tutte le virtù e
caratteristiche. Per lei la madre era ‘il paradiso’: niente può gratificare un figlio quanto il gesto e la
parola di una madre. Viene anche descritta come una “nomade delle savane orientali”. Era anche
donna molto rigida, vincolata dalle tradizioni.

-CAPITOLO 4: LA STELE DI AXUM:


molto importante in tutto il racconto i riferimenti geografici, i posti, luoghi e le storie è la sua
geografia personale.
Questa stele era posta in piazza di Porta Capena ma ora non c’è più perché è stata restituita alla
Somalia, era un chiaro riferimento e ricordo al periodo della colonizzazione italiana. Si dice che
questa statua fosse appartenuta e legata alla regina di Saba che per apprendere la saggezza si
era recata da Salomone del quale si era innamorata e stanca dal viaggio aveva dormito sotto
questa stele. La stele però ce l’ha fatta ed è tornata nella sua patria. Lo stesso vuoto che ora
pervade piazza di porta Capena è il vuoto/assenza che ha Igiaba legato al nonno Omar e lo zio
Osman, entrambi morti prima della sua nascita e conosciuti solo tramite foto. Ma allo stesso tempo
molto presenti nella sua vita ma allo stesso tempo assenti. Il nonno era quasi bianco e per questo
la nonna fu restia a sposarlo sembrava quasi straniero e questo aveva anche destabilizzato la
stessa Igiaba, inoltre viene definito come un uomo molto duro e severo ma molto intelligente tanto
da essere scelto per fare il traduttore somalo-italiano. Si era messo al servizio di Rodolfo Graziani
che utilizzava la popolazione locale per i suoi scopi. Si dice che fosse un generale italiano esperto
di guerre coloniali che operò alla conquista della Libia e poi nominato anche governatore della
Somalia, fu definito gerarca fascista. Fu fautore di molte brutture tra cui numerosi stermini in Africa
e distruzioni di interi quartieri, colpiva quella parte della popolazione che lottava per la pace. Il
nonno non era quindi colpevole, era in equilibrio tra sfruttatori e sfruttati e tra vittime e carnefici, lo
faceva per sopravvivenza. Si parla anche dell’incontro con Vittorio Emanuele 3 che fu un incontro
molto divertente per la statura di quest’ultimo (non si inchinarono). Il nonno fu un grande uomo
perché promotore dell’indipendenza e ministro del primo governo somalo anche e soprattutto
contro il fascismo che lui stesso aveva servito. Lo zio invece era stato pugnalato a morte perché
ritenuto seccatore, era infatti troppo democratico e un modernizzatore in politica che quindi
cercava di imporre idee rivoluzionarie e progressiste. La morte dello zio segnava per l’intera
famiglia l’inizio della maledizione, catastrofe, disgrazia della famiglia. La memoria gioca un ruolo
importante perché grazie a questa li ha sempre sentiti vicini nonostante fossero estranei. Si riesce
a far rivivere una persona ogni volta che la si ricorda, le ha paura di questo oblio ed è per questo
che vorrebbe un monumento che ricordi le vittime del colonialismo italiano.

-CAPITOLO 5: STAZIONE TERMINI:


letteralmente significa ‘tra le terme’ dal latino ma per Igiaba la stazione Termini è il punto di
incontro, di partenza e di arrivo. E’ la principale stazione ferroviaria e che per lei è portatrice di
sogni e speranze, ci si illude di poter andare da qualsiasi parte. Si narra di un funerale dovuto ad
un’imbarcazione naufragata al largo di Lampedusa principalmente di somali che approdavano in
Italia per scappare dalla guerra e dalla povertà, non erano portatori di criminalità. Partecipa a
questo funerale tutta la diaspora somala e per la prima volta fa sentire sul serio la sua voce e la
sua importanza. Si sentiva un senso di comunità, come non c’era mai stato prima. Dice che quel
funerale andava fatto alla stazione Termini, non al Campidoglio (troppo regale per loro) che è
l’unica che ha dato accoglienza, dava l’idea che la Somalia fosse dietro l’angolo e creava l’illusione
di ritornare in patria. Ora era ben diversa, era ripulita e piena di negozi ma era un posto che le
apparteneva. Congiungeva due delle vie principali di Roma frequentate assiduamente da
Mohamed, fratello di Igiaba, che era arrivato in Italia successivamente (ad 8 anni) perché la
famiglia preferiva prima costruire delle solide basi. Si parla di lui come di una persona carismatica,
ironica e buona. Lui accettò quasi subito questa nuova realtà, a scuola non andava molto bene
perché la scuola non se ne importava molto e dava la colpa a lui. Glorioso fu il momento in cui
ricevettero il passaporto, dopo del tempo. L’Italia è un paese molto ingiusto anche a causa della
legge Bossi-Fini. Era stato chiamato per il servizio militare obbligatorio ed era un grande vanto che
ci fosse un nero, aveva anche subito episodi di nonnismo.

-CAPITOLO 6: TRASTEVERE:
è simbolo della Roma di un tempo e dell’illusione al ritorno ad un mondo antico e divide due parti
che non saranno mai più saldate. Le ricorda una poesia di Gloria Anzaldua che raccontava delle
ossa disperse di una santa che si cercano esattamente come facciamo noi. Le strade di Trastevere
sono come quelle ossa che si stanno cercando, come i somali della diaspora, dispersi in tutto il
mondo per la guerra civile. Disegna uno scheletro umano seduto sulla Terra, segno di speranza
che si ricompongano. Ora Trastevere è una zona glamour, non è più come un tempo. Lei l’aveva
visitata in un momento di necessità in cui il padre era lontano per lavoro e stava cercando di
fondare solide basi per il tanto atteso ritorno in Somalia, mancavano cibo e soldi e grazie ad
un’amica vennero a conoscenza della Caritas che alle prime ore del mattino distribuiva con un
sorriso i beni di prima necessità, era proprio lì che ritrovava un pezzo della sua terra, in quella
mescolanza di persone. Si parla anche di un padre che nonostante la paura era sorridente e
giocherellone ma soprattutto fiducioso anche se alcuni investimenti andavano male (si occupava di
commercio). Sarebbero stati i proprietari dei cinematografi moderni di Mogadiscio se solo la
guerra non avesse distrutto tutto. La madre fa capire ad Igiaba che non bisogna vergognarsi se si
chiede aiuto, è solo una situazione momentanea e soprattutto non sono le uniche ad essere in
questa situazione. Si parla anche di una chiesa opportunista e costruita nel momento in cui non
offre la mensa senza che vi sia la presenza alla liturgia (nella chiesa della Giustiniana).

-CAPITOLO 7: STADIO OLIMPICO:


all’inizio era un’opera monumentale che celebrava gli sfarzi del regime fascista ma
fortunatamente ha avuto una sorte diversa , era infatti stato utilizzato per le Olimpiadi del
1960 di cui Igiaba si ricorda Abebe Bikila che percorse a piedi nudi molti chilometri e vinse.
Era per lei una vittoria simbolica, vincere in quello stadio che era stato per molto tempo
teatro di atrocità commesse a discapito di popoli africani. Sulla mappa disegna i piedi nudi
di questo atleta e la sua medaglia d’oro. Per un continente che non sarà più costretto a
fuggire da sé stesso. Andava spesso allo stadio tra il 1990 e il 1992, era diventata la sua
ragione di vivere, per raggiungere il nirvana. Alcuni episodi calcistici hanno per le il valore
della identificazione e della coesione sociale. Contemporaneamente il corpo di Igiaba
cresceva e lei si scontrava ed entrava in rapporto conflittuale con questo perché non le
piaceva il suo aspetto fisico, ecc. diceva di voler essere trasparente, neutra. La madre
scomparve nella guerra e per molto tempo non si ebbero più sue notizie. I vecchi ormai
non erano più portatori di saggezza, anzi erano un peso e i giovani non facevano altro che
cercare di salvaguardarli esattamente come avevano fatto con zia Faduma che era una
donna molto imponente, antica e immensa. L’affetto dall’Occidente all’Oriente veniva
mercificato sotto forma di denaro, spedito tramite call center, le banche non esistevano. In
Igiaba si crea un forte senso di colpa per stare “dalla parte sbagliata”, un forte senso di
inadeguatezza che la porta a diventare bulimica. La guerra ormai faceva parte anche della
sua vita nonostante non la stesse vivendo in prima persona. Quando la guerra è iniziata lei
si era recata ad una festa e da lì che inizia a mettersi e mani in gola per vomitare. Cerca di
estinguere i sensi di colpa per il suo vivere nell’opulenza che è l’esatto opposto della
situazione presente nella sua patria. Era stata travolta da un rozzo amore sedicenne che
l’aveva portata a rivalutare le priorità, da allora matura questo senso di colpa infondato
dovuto principalmente all’assenza della madre. Non appena la madre ritorna la trova nel
mezzo della sua trascuratezza più totale. Cercava di sfogare la sua rabbia vomitando cibo
e studiando molto in maniera tale che nulla fosse evidente (subiva anche insulti sulla
carnagione da parte di professori). Si interrogava e non accettava la maggior parte delle
sue caratteristiche fisiche africane che poi con il tempo ha imparato ad apprezzare ed
amare. La guerra è nata per una buona motivazione: opporsi alla dittatura di Siade Barre
ma si è poi trasformata in guerra fratricida tra clan per contendersi il potere. La guerra è
cambiata perché si è perso di vista il motivo principale e soprattutto le comunicazioni
funzionano in maniera molto più efficace. Lo stadio quindi ha non solo valore liberatorio
dal momento che si recava per dimenticarsi dei problemi ma anche luogo in cui si ritrova a
fine racconto con la cugina per festeggiare il suo non essere più bulimica. La guerra cerca
ancora qualcosa da distruggere ma in realtà non resta più nulla. Ognuno si sta
arrendendo. Paragona inoltre la sua famiglia all’atleta Marlene Ottey perché sapeva
sopportare la sconfitta a testa alta, nonostante fosse arrivata seconda. Inoltre le due pietre
che costituivano la casa della madre, che si era recata in Somalia per ricostruire un futuro,
si parla di “laba dhagax” che sono l’unica cosa che sono rimasta dopo la distruzione
dell’intera città di Mogadiscio.

-CAPITOLO 8: ESSERE ITALIANO PER ME:


Igiaba in Somalia è stata molto poco ed è per via anche di alcune discriminazioni che aveva deciso
di non parlare più questa lingua nonostante frequentasse una scuola italiana. Si isolava e veniva
presa in giro sia dai compagni che dai genitori che pensavano fosse portatrice di malattie. Per
integrarsi a tutti i costi eliminò ogni tipo di riferimento linguistico somalo. Il meglio per loro era
sinonimo di bianco e il nero non rappresentava un’alternativa. Le serie tv contribuivano molto a
creare un distacco tra loro, erano spesso rappresentati uomini con carnagione scura che avevano
la mansione di schiavi e per questo Igiaba fu obbligata allo scherno e alla derisione e
discriminazione. Non aveva amici e la madre la spiava mentre era sola. Un giorno cercò di farle
capire come in realtà ci fosse una stessa parità tra neri ed italiani, lo fece raccontando storie che
da sempre l’hanno salvata. Fece comprendere come non solo tutti hanno risorse ma anche come
le storie offrono sempre una soluzione. Da lì iniziò ad essere orgogliosa della sua carnagione nera
e anche grazie alla sua fiducia la invogliò, assieme alla maestra delle elementari a utilizzare anche
l’italiano. Da allora fu una persona loquace ed era come se fosse partorita di nuovo, ricominciò a
vagare e sognare durante le lezioni. La maestra le disse che per ogni parola detta le avrebbe
raccontato storie. Imparò a far conoscere la sua terra con orgoglio e tutti ne erano affascinati. Da lì
capì che non solo le parole ma anche la memoria e le storie l’avrebbero salvata. Ora vive a
Torpignattara che è l’Asia a Roma, ritrova l’etnicità e la globalizzazione. Essere italiani è essere
contaminati da tante culture (frittura mista), frutto di mescolanza e contaminazioni. Essere italiani
per lei non ha risposta è tutto e niente. Ricorre ancora una volta ad un racconto di Karen Blixen
(scrittrice danese) che in un suo racconto alla risposta ‘chi sei’ risponde ‘ti racconterò la mia storia’
ed è esattamente questa la chiave per risolvere tutto. La memoria è uno specchio frantumato , è
uno scarabocchio, la memoria è brandelli ed è selettiva. Igiaba è un frutto di questi due caos
intrecciati e la mappa non è altro che lo specchio di questi anni di cambiamenti .

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