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Dopo la laurea in Letterature straniere si occupa di scrittura, giornalismo e di ricerca incentrata sul
dialogo tra culture e la dimensione della transculturalità e della migrazione. Le sue opere sono
piene di riferimenti autobiografici e si caratterizzano per il precario equilibrio tra le due realtà
culturali d'appartenenza, quella d'origine (somala) e quella vissuta nella quotidianità (italiana),
restituendo abilmente la doppiezza della dimensione sincretica in cui l'autrice è cresciuta.
La scrittura nasce da un’esigenza ovvero la necessità di essere plurima, di vari posti.
è un racconto molto autobiografico perché attraverso la sua storia raccontare come può essere un
percorso di migrazione che è composito anche dal momento in cui bisogna combattere per i diritti
e soprattutto contro gli stereotipi. Le storie dell’altrove sono in realtà comuni, sono unite dalla
lingua e dai sogni.
Viene raccontata la storia della sua famiglia intrecciata alla storia della Somalia . Il padre è un ex
ministro degli esteri somalo che decide di venire in Italia negli anni 50’ per ‘studiare democrazia’.
Con la dittatura di Siade Barre e l’esilio il padre di Igiaba decide di vivere a Roma in cui ha avuto la
sensazione che si potesse ricominciare a sognare. Per ben due anni durante la guerra Igiaba on
avrà notizie della madre che è rimasta in Somalia e che la ha sempre spronata a sognare e
scrivere. Si racconta quindi di due paesi e due patrie distinte che si fondono tra i ricordi della
scrittrice. Ora sente di appartenere ad entrambi i mondi. Ma Mogadiscio non è più come lei la
ricorda, ora è distrutta. La Somalia è divisa da una guerra civile succeduta alla dittatura di Siade
Barre. Dalla ricchezza originale la famiglia di Igiaba è poi caduta in povertà, è dovuta ricorrere
all’aiuto della chiesa e delle mense. E’ stata per anni schiaffeggiata e insultata ma c’è stata una
maestra che l’ha sempre spronata a scrivere. Da allora ha capito l’importanza di comunicare e di
relazionarsi e raccontare la sua storia. E’ un’immigrata di seconda generazione perciò non
dimentica le sue radici ma insieme cerca una nuova identità ed appartenenza. E’ una sorta di
memoir , c’è il desiderio di raccontare ed esprimere e far capire. Vuole dire che molti figli di
migranti sono come tartarughe: la casa se la portano dietro. Ha un significato molto tragico, il luogo
non è quello di partenza né quello di arrivo, ma è quello immaginario, di integrazione e di
inclusione.
E’ una specie di toponomastica della memoria, si costruisce piano piano la sua identità sempre
più meticcia e composita. La spinge a collocarsi dove vuole lei, non dove vogliono gli altri. Le
identità sono in continuo cambiamento e non si finisce mai di combinarle.
PROFILO STORICO DELLA SOMALIA:
Le origini del colonialismo italiano risalgono alla seconda metà dell’800’, in particolare l’interesse
era nato quando nel 1869 si aprì il Canale di Suez che poteva permettere: 1)comunicazione
diretta tra Mediterraneo e Mar Rosso e anche 2)colmare il ritardo riguardo le conquiste coloniale
che le altre potenze avevano guadagnato.
Giocavano un ruolo fondamentale anche le grandi compagnie commerciali private, lo Stato
subentrerà solo nel 1882 : nascita colonialismo italiano.
La Somalia non era ancora uno stato unitario ma ancora un insieme di tribù nomadi e sultanati
stranieri. Anche la Francia e la Gran Bretagna erano interessati e da qui ne deriva la Somalia
britannica e quella francese. L’Italia prende principalmente la parte che riguarda la costa
sull’Oceano Indiano (Terra di Punt) che comprende Mogadiscio.
Tra il 1885/91 l’Italia acquisisce il controllo sui porti di Mogadiscio, Brava, Merca e Uarsceik
gettando le basi per il protettorato della Somalia italiana diventata vera e propria colonia a partire
dal 1905.
Nel corso degli anni 20’ il fascismo contribuisce in maniera determinante , ci fu un’occupazione
territoriale da parte del governo italiano.
Dopo la conquista di Addis Abeba nel 1936 la Somalia italiana, Etiopia ed Eritrea entrano a far
parte dell’ Africa orientale italiana: unità amministrativa in cui l’Impero riunisce i suoi possedimenti
nella zona orientale del continente. Gli interessi inglesi ed italiani erano in conflitto con l’avvento
della 2GM.
L’esercito italiano invade il Somaliland ma in poche settimane l’esercito inglese ristabilisce i
confini.
Con il Trattato di Parigi (1947) l’Italia rinuncia a tutti i suoi possedimenti coloniali in Africa.
L’ONU si occupa poi della decolonizzazione. Stati Uniti e Gran Bretagna concordano nell’affidare
all’Italia il compito di decolonizzare l’Africa, partendo da una Amministrazione Fiduciaria con la
Risoluzione 289-A del 1949 per un periodo di dieci anni che avrebbe portato poi alla totale
indipendenza. Fu difficile però la convivenza tra autorità italiana e Lega dei giovani (nazionalisti e
indipendentisti).
Ci fu comunque l’elezione del primo parlamento somalo (1956).
L’indipendenza verrà ottenuta solo il 1 Luglio 1960. La Repubblica di Somalia nasce dalla fusione
della Somalia italiana con il Somaliland (ormai indipendente alla Gran Bretagna). Il primo
presidente fu Aden Abdullah Osman Daar, la questione dei confini incerti non è mai stata
veramente risolta e affrontata.
Nel 1964 la Lega ottiene successo e tre anni dopo Abdirashid Ali Sharmarke poi assassinato.
Subentra Siad Barre comandante e capo dell’esercito che con un colpo di stato proclama la
Seconda Repubblica, abrogando e sospendendo tutte le istituzioni dello Stato.
La dittatura di Barre durò dal 1969 al 1991 ed in un primo tempo prevedeva un programma
illuminato e progressista che prevedeva anche l’istruzione obbligatoria e estensione delle cure
mediche e promuovere diritti civili delle donne.
Nel 1970 Barre aderisce al marxismo e al partito socialista che portò all’accentramento del potere
nelle sue mani. Gioca il nazionalismo e dunque ingaggia un conflitto con l’Etiopia per la regione
dell’Ogaden e subisce un’umiliante sconfitta ponendosi anche contro l’Unione Sovietica. Fu poi
attaccato militarmente a nord e minacciato politicamente a sud e alla perdita di consenso risponde
con atteggiamenti sanguinosi (es. strage Stadio di Mogadiscio verso chi manifestava dissenso).
La situazione precipita e si passa ad una vera e propria guerra civile, uno dei più sanguinosi nella
storia d’Africa. La Somalia rimase senza governo e si passò all’anarchia e disordine sociale. Si
fronteggiarono per il potere due personaggi dell’Unite Somali Congress cioè Ali Mahdi Muhammad,
eletto presidente e il generale Mohammed Farah Aidid. La comunità internazionale sembra
impotente.
Il segretario generale dell’Onu Boutros Ghali nel 1992 denuncia la totale inazione nei confronti del
popolo somalo. Interviene Clinton che dispone l’invio di truppe per ristabilire la pace. Accade nel
1992, viene approvata la Risoluzione 794 che autorizza l’invio del contingente militare statunitense
(Unitaf). Ci furono dei fraintendimenti tra Onu e Stati Uniti che rinegoziarono i termini. Subentra
all’Unitaf una nuova forza internazionale. Il bilancio rimane tragico e l’intervento non va a buon
fine. I warlords, signori della guerra, erano i protagonisti capi clan che sfruttavano l’anarchia per
affermare il predominio sulle diverse zone del paese per interessi economici locali.
L’iniziativa diplomatica riprende nel 1999 con Ismail Omar Guelleh che dopo una conferenza crea il
Governo nazionale di transizione (gnt) e l’investitura del presidente Abdulqassim Salad Hassan.
A partire dal 2006 cresce il consenso per le Corti islamiche, organizzazioni di quartiere che
assolvono ad alcune funzioni governative: controversie locali, ordine pubblico, assistenza per la
popolazione.
Nel 2007 torna nelle mani del governo provvisorio grazie all’Etiopia e gli Stati Uniti preoccupati di
una possibile infiltrazione di Al Qaeda tra le milizie islamiche. Gli scontri tra le milizie islamiche e le
truppe etiopi e forze filogovernative portano il paese allo scompiglio.
Solo nel 2008 si firma un accordo di pace che sancisce la fine degli scontri.
La Somalia rimane ancora oggi un paese dilaniato da conflitti interni e attentati terroristici e
carestie. L’unico governo riconosciuto è quello federale di transizione guidato da Hassan Hussein.
Al dramma si aggiungono anche la carestia e la pirateria navale.
Per un secolo Italia e Somalia sono state unite per caso. L’Italia era ancora consunta dalla povertà
ed indebolimento dettato dal recente raggiungimento dell’Unità. L’unica eredità che poteva
condurre al colonialismo era quella Mazziniana, la Chiesa era del tutto ostile alle conquiste
coloniali perciò si parla di un atto controvoglia e anche l’accostamento alla Somalia è del tutto
fortuito e casuale. Nel 1888 furono gettate le basi della colonia somala da parte di Umberto 1, si
trattava comunque di un magro acquisto. L’anno dopo vennero messi in vendita alcuni porti tra cui
Mogadiscio e Brava che gli inglesi volettero assegnare alla potenza meno pericolosa. La Somalia
era una terra del tutto sconosciuta ma si ricorda bene il carattere difficile dei suoi abitanti però
l’epoca richiedeva recensioni entusiaste. Nessuno però investiva concretamente in questa terra,
né imprese private del nord, né capi come Giolitti o famiglie come Filonardi per cui non ci fu
nessun investimento, opere pubbliche, né migliorie ma solo cruda gestione e sfruttamento dei diritti
doganali.
Igiaba parla di “BUUFIS”. I giovani sono soggetti a questo concetto e viene esplicato come il
sentimento/desiderio di voler andare in Europa. Bisognerebbe comprendere che la migrazione non
è un fenomeno transitorio e in altri paesi funziona meglio la sua gestione non perché siano paesi
buoni e caritatevoli ma perchè anche ad esempio nell’iter della cittadinanza si segue un filo
piuttosto logico. E la parola ‘integrazione’ è una parola che già in sé presuppone il fatto che
bisogna disintegrarsi da qualcosa. Le storie hanno una grande importanza perché siamo esseri
relazionali e lo scambio può diventare tale solo attraverso la condivisione.
-CAPITOLO 1: IL DISEGNO OVVERO LA TERRA CHE NON C’E’:
le fiabe somale sono fiabe molto terrorizzanti e crude, non sono per nulla fiabesche ma sono molto
reali, forse anche troppo. Le storie erano il miglior modo che aveva per pensare alla vita reale,
vivere non era un regalo e la si doveva conservare ogni giorno come gesto di volontà. Si rende
conto che l’Europa e l’Africa in realtà hanno molto in comune, Roma non è poi così diversa da
Mogadiscio. Tutta questa consapevolezza inizia a Manchester giorno in cui Nura (sua nuora)
aveva cucinato il pollo e a lei per la prima volta era piaciuto, ma non era questa la grande
rivelazione. Provava un certo sentimento di “saudade”: senso di nostalgia, di rimpianto per
l’assenza di qualcosa che si desidera ardentemente, qualcosa di perduto o non ancora raggiunto. I
protagonisti di questa storia sono Igiaba, suo cugino O, suo fratello Abdul e suo figlio Deq.
Avevano tutti il dolore della stessa perdita, la Somalia, ma avevano passaporti diversi. Abdul era
inglese, si era trasferito in Gran Bretagna; il cugino O invece ha cittadinanza finlandese anche se
da lì era scappato per i naziskin e si era anche lui fiondato in Gran Bretagna. L’idea che si evince
del fratello Abdul è di un ragazzo che amava tanto disegnare ma che viene convinto che il disegno
sia una macchia, nulla di importante, continuava a disegnare i suoi ricordi. Ha una buona
considerazione del fratello che appare come un sognatore rassegnato che ha in sé anche della
bontà d’animo. Fa mille lavori per sopravvivere. Lei invece era italiana e i somali non capivano il
perché di questa scelta dato che l’Italia ha per lungo tempo colonizzato la Somalia. La verità è che
l’Italia ha dimenticato tutto quel che è stato quel periodo di colonizzazione, non ci sono riscontri
nella realtà odierna, non era la peggior scelta possibile. Era il paese che Igiaba sentiva come suo.
Tutto si scatena da una domanda “dov’è seppellita la nonna” e di lì si dibatte su come si
Mogadiscio e ci si sfida su chi la conosca meglio e si arriva a disegnare una grande mappa
colorata . Pur consapevoli che ormai è una città fantasma. Consapevoli di questo amalgamavano i
ricordi e continuavano a sognare. Era incredibile come le conoscenze fossero le stesse anche se
Igiaba era vissuta a Roma, aveva avuto la stessa istruzione (Pascoli e la scuola italiana,ecc) quindi
in realtà è come se fossero cresciuti nello stesso posto. E’ il segno di un colonialismo che cancella
tutta la storia somala. Igiaba aveva più dimestichezza con le strade e i quartieri di Roma però in
quella cartina c’era una parte delle sue radici. Il nipotino chiede se questa città esista ancora,
Igiaba non risponde ma risponde sua madre dicendo che esiste, mente. E dice anche che quella
disegnata non è la città di Igiaba, non le appartiene, lo è ma è un controsenso. Deve completare la
mappa e lei dopo pochi giorni comprende che deve completare la mappa con quel che per lei è
familiare e le appartiene: alcuni nomi di monumenti, strade di Roma. Ciò nonostante quella
Mogadiscio era anche la sua città e con lei si addolorava per la distruzione di questa. Sa di essere
un’equilibrista, conseguenza della migrazione forzata perciò “la casa ce la portavamo alle spalle”.
Si dice inoltre che per le ‘ajuza’ (vecchie comari) è IBLIS (diavolo) in persona a mormorare parole
sbagliate all’orecchio del ‘muezzin’ (addetto a pronunciar preghiere, ora lo faceva senza
convinzione).
trama matrifocale: la madre racconta dal suo punto di vista che è femminile. Costruzione di un
terzo spazio che sarebbe rappresentato dalla lingua che non è più lingua matrigna.
-CAPITOLO 6: TRASTEVERE:
è simbolo della Roma di un tempo e dell’illusione al ritorno ad un mondo antico e divide due parti
che non saranno mai più saldate. Le ricorda una poesia di Gloria Anzaldua che raccontava delle
ossa disperse di una santa che si cercano esattamente come facciamo noi. Le strade di Trastevere
sono come quelle ossa che si stanno cercando, come i somali della diaspora, dispersi in tutto il
mondo per la guerra civile. Disegna uno scheletro umano seduto sulla Terra, segno di speranza
che si ricompongano. Ora Trastevere è una zona glamour, non è più come un tempo. Lei l’aveva
visitata in un momento di necessità in cui il padre era lontano per lavoro e stava cercando di
fondare solide basi per il tanto atteso ritorno in Somalia, mancavano cibo e soldi e grazie ad
un’amica vennero a conoscenza della Caritas che alle prime ore del mattino distribuiva con un
sorriso i beni di prima necessità, era proprio lì che ritrovava un pezzo della sua terra, in quella
mescolanza di persone. Si parla anche di un padre che nonostante la paura era sorridente e
giocherellone ma soprattutto fiducioso anche se alcuni investimenti andavano male (si occupava di
commercio). Sarebbero stati i proprietari dei cinematografi moderni di Mogadiscio se solo la
guerra non avesse distrutto tutto. La madre fa capire ad Igiaba che non bisogna vergognarsi se si
chiede aiuto, è solo una situazione momentanea e soprattutto non sono le uniche ad essere in
questa situazione. Si parla anche di una chiesa opportunista e costruita nel momento in cui non
offre la mensa senza che vi sia la presenza alla liturgia (nella chiesa della Giustiniana).