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UMBERTO SABA

La scrittura di Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli, si presenta come una costante
autobiografia.
Tra gli eventi che Saba riconosce come determinanti nella formazione della sua personalità figura in
primo luogo il dramma della sua nascita, avvenute a Trieste il 9 marzo del 1883 in un clima di
tragedia familiare.
La madre, infatti, di origini ebraiche era stata abbandonata durante la gravidanza dal marito
che l’aveva sposata soltanto un anno prima.
L’assenza del padre condizionerà fortemente l’infanzia e la giovinezza di Saba.
Il sentimento materno per questo abbandono si riflette sul bambino fin dalla sua venuta al mondo.
Il piccolo viene affidato a una balia fine quattro anni, quando viene separato bruscamente da lei
per ritornare alla casa materna.
Questo traumatico allontanamento sarà in seguito identificato da Saba come una delle radici della
propria sofferenza esistenziale.
La malinconia della vita accanto alla madre viene in parte attenuata dalle sterminate letture
dell’infanzia, compiute da solo e orientate soprattutto verso i classici della letteratura italiana.
Ben presto Saba dà inizio alla sua attività poetica accolta con freddezza ostile dalla madre, ma
con un affettuoso incoraggiamento dalla zia (a casa della quale madre figlio si erano trasferiti dopo
l’abbandono paterno).
Nel 1903 si trasferisce a Pisa, dove frequenta alcuni corsi universitari, che vengono però interrotti
a causa del primo manifestarsi di una malattia nervosa che lo accompagnerà per tutta la vita.
Nel 1905 va a Firenze dove conosce Lina, che sposerà pochi anni dopo e dalla quale avrà una
figlia:Linuccia.
Nel 1910 Saba decide di pubblicare privatamente il suo primo volume di versi: Poesie.
Questa fu la prima volta in cui il poeta abbandonò il cognome Poli per assumere lo pseudonimo di
Umberto Saba, probabilmente in onore della sua balia Peppa, il cui cognome era Sabaz.

Per aiutare il lettore a comprendere la sua poesia Saba elabora un articolo intitolato “quello che
resta da fare ai poeti” in cui descrive gli elementi fondamentali della propria poetica.
Allo scoppio della prima guerra mondiale Saba sostiene l’intervento militare dell’Italia, da cui
si attende la liberazione di Trieste dal dominio austriaco.
A causa delle frequenti crisi nervose, però, egli non venne inviato al fronte.
Nel 1929, nuovamente colpito da gravi crisi nervose decide di sottoporsi alle cure dello
psicanalista Edoardo Weiss, allievo di Sigmund Freud.
Saba aderì con entusiasmo alla psicoanalisi ritenendola uno straordinario strumento di indagine
della propria interiorità e del mondo.
Dopo la promulgazione delle leggi antisemite nel 1938 e lo scoppio della seconda guerra mondiale,
per mettere a riparo dalle persecuzioni se stesso e la propria famiglia Saba uscì dalla comunità
ebraica.
I riconoscimenti pubblici attesi per tutta la vita arrivarono solamente intorno ai suoi sessant’anni,
quando gli vennero attribuiti i premi prestigiosi.
Umberto Saba morì infine il 25 agosto del 1957.

APPUNTI:
È Triestino come Italo Svevo.
Era omosessuale ma sposerà Lina, profondamente innamorata di lui. La madre era molto rigida.
Descrive affetti e ambienti domestici, non ci sono epopee, guerre e gesti eroici.
La sua poesia è preghiera.
LA POETICA: TRIESTE E GLI ANTICHI
Saba ha un rapporto ambivalente con la propria città natale: Trieste, che da un lato gli pare
arretrata e lontana dalle tendenze più nuove della letteratura, ma dall’altro risulta anche essere una
città aperta alle novità della cultura e della filosofia mitteleuropea.
L’essere nato a Trieste, infatti, gli consente di entrare in contatto diretto con gli studi di Freud
che influenzarono profondamente il suo modo di pensare e la sua scrittura.
Da una parte egli prova un profondo amore per l’antico, cioè per la tradizione letteraria italiana,
dall’altra si sente attratto anche dalle nuove visioni del mondo capace di scardinare i luoghi
comuni del pensiero e di rivelare le più nascoste verità dell’animo umano.
Questa mescolanza di tradizione e modernità caratterizza tutta la formazione di Saba.
Tra i 16 e i 19 anni egli matura una vera e propria passione per il poeta Leopardi, di cui restano
segni visibili nella sua opera. Oltre ad echi stilistici, lessicali ed immagini si riscontrano anche
influenze tematiche, come la rappresentazione della scissione interiore dell’io e il contrasto tra il
desiderio di solitudine del poeta e il suo bisogno di integrazione nel mondo.
Sono presenti anche occasionali riferimenti letterari a Foscolo e a Dante.
Il suo legame con la tradizione letteraria italiana resta particolarmente visibile anche nella scelta di
avvalersi delle forme metriche tradizionali, a partire dal verso endecasillabo.

Piuttosto difficili sono invece i rapporti di Saba con i letterati contemporanei: egli infatti
disprezza le provocazioni futuriste e crepuscolari e si sente estraneo all’oscurità espressiva dei poeti
ermetici.
Ciò nonostante intrattenne un rapporto di reciproca stima con il poeta Eugenio Montale.

LE ISPIRAZIONI FILOSOFICHE:
Vero e proprio maestro di vita è per Saba il filosofo Frederich Nietzsche che egli legge verso la
fine degli anni 20 privilegiandone l’aspetto contemplativo, cioè l’elogio dell’ozio e la spinta
all’indagine interiore.
Nietzsche rappresenta per Saba il filosofo della ricerca coraggiosa della verità sul comportamento
e sull’interiorità dell’uomo, lo studioso che indaga oltre l’apparenza delle cose.
Una profonda influenza esercitano sul suo pensiero e sulle sue opera anche Freud e la psicanalisi.
Saba considera quest’ultima una rivoluzione di enorme portata in quanto utile strumento per
indagare l’inconscio e per combattere le angosce individuali, ma anche per comprendere i fenomeni
della storia più complessi e drammatici, come il nazionalismo e il razzismo.

IL CANZONIERE:
Il canzoniere si configura come un’opera complessa: ogni poesia in esso contenuta è il racconto di
una situazione e del suo riflesso nell’anima del poeta.
Saba, infatti, ha sempre voluto sottolineare lo stretto legame tra la sua poesia e la sua vita,
dichiarando apertamente di voler dare al canzoniere la fisionomia di un romanzo lirico, cioè di un
racconto della propria esistenza alla ricerca del suo significato.
I testi contenuti sono frutto di un instancabile revisione, Saba infatti, aveva cercato fino alla morte
una conclusione capace di illuminare il significato compiuto dell’opera, ovvero il senso della sua
intera vita.
Vediamo come per Saba la poesia assuma la funzione di uno strumento terapeutico che svela le
cause profonde della sofferenza individuale e contribuisce perciò a superarla.
Le sezioni del canzoniere sono disposte in ordine cronologico e sono tra loro collegate, addirittura
ci sono casi in cui il primo verso di una poesia si collega sintatticamente all’ultimo di quella
precedente.
La scelta di un titolo volutamente generico come Canzoniere si spiega con l’intenzione di rendere
omaggio alla tradizione poetica italiana (di cui il canzoniere di Petrarca è l’emblema) ma anche
con la volontà di alludere al carattere onnicomprensivo dell’opera, vera e propria sintesi di tutta
la vita.
Sebbene l’origine della poesia sia nel dolore, la lettura del canzoniere non lascia al lettore
l’impressione di una inguaribile sofferenza esistenziale.
Infatti, oltre al dolore, c’è anche il suo superamento.
Il poeta, pur sapendo di dover affrontare la sofferenza non vuole abbandonarsi allo sconforto e lotta
per cercare una via d’uscita.
Il primo rimedio è senz’altro la poesia che assume una funzione consolatrice.
Il secondo modo di reagire al dolore consiste nell’accettazione piena della vita e nella
disponibilità ad aggrapparsi alle piccole cose.
Lo sguardo del poeta è diverso dalle altre persone, è più profondo e lo porta a sentirsi attratto
dall’esistenza degli esseri semplici come gli animali, i fanciulli o gli esclusi.

L’AMORE AMBIVALENTE:
Una delle cause principali del dolore umano, e quindi di quello del poeta è l’amore.
In primo luogo c’è il problematico amore per la madre: Saba parla spesso dell’ambivalenza
affettiva che aveva caratterizzato la sua infanzia contesa tra due madri.
L’opposizione tra la madre e la balia sono infatti riconosciuti da Saba, sulla base delle teorie
Freudiane, come l’origine della propria nevrosi.
L’immagine della madre ha nel Canzoniere sempre i connotati della gravezza e della sofferenza
ed è contrapposta a quella del padre, infantile e spensierato, e a quella consolatoria della balia.

La stessa ambivalenza affettiva che il poeta ha vissuto con la madre si ripete con la moglie Lina,
verso la quale si mescolano in lui amore ed odio, soprattutto dopo la crisi coniugale che la
allontana temporaneamente dal poeta.
Un amore più lieve è quello che il poeta prova per il mondo delle fanciulle, che per la loro grazia e
leggerezza sono definite cose leggere e vaganti.
Saba dichiara spesso la propria avversione per la donna-moglie-madre e la predilezione invece per
le giovinette, disposte alla gioia perché non ancora gravate dal peso della vita.
Le fanciulle sono spesso assimilate agli dei e sono chiamate con dei diminutivi dal suono
infantile, mentre i fanciulli hanno spesso nomi mitologici.

Nei versi di Saba domina la forza vitale dell’eros, che rappresenta una testimonianza del suo più
generale amore per la vita.
Pur nel tormento della nevrosi, infatti, Saba non è mai stato affascinato dal mito romantico della
morte ed è stato interamente poeta della vita opponendosi nettamente al suicidio.
Tra gli amori di Saba occupa un posto di rilievo quello della sua città.
Il suo legame con Trieste è di tipo filiale ed è molto ambivalente.
Egli la ama profondamente, ma sente di non essere ricambiato e si affligge perché i suoi
concittadini sono poco disposti a riconoscere le sue doti di poeta.

LA LINGUA:
La poesia di Saba presenta una sintassi ricca di figure retoriche di posizione, come anastrofi e
iperbati, che attribuiscono alla lingua una patina arcaica.
La novità della sua poesia, consiste però nell’usare la lingua della tradizione per descrivere gli
abissi della coscienza indagati dalla moderna psicoanalisi.
Sul piano lessicale mescola parole molto comuni e generiche con altre arcaiche e poetiche.

A MIA MOGLIE:
Nella poesia il poeta paragona sua moglie alle femmine di alcuni animali domestici: una giovane
gallina che cammina impettita come una regina; una mucca gravida (giovenca); una lunga cagna
che rivolge uno sguardo adorante e geloso; una pavida coniglia che aspetta il cibo e prepara il nido
per partorire; una rondine lieve che annuncia la primavera; una provvida formica e un ape, e in
generale a tutte le femmine degli animali che per la loro natura semplice e lontana dai tormenti della
ragione avvicinano a Dio.
Il fatto che il poeta abbia deciso di paragonare la sua giovane moglie una gallina può sembrare
offensivo, ma in realtà questo animale aveva un’importanza particolare per il poeta: per lui era una
sorta di animale sacro che durante la sua infanzia si aggirava libero per la cucina di casa e che
ricorre nelle sue poesie e nei suoi racconti con significativa insistenza.
Gli animali piacciono molto a Saba perché sono autentici e istintivi, lontani dalle funzioni a cui
sono costretti gli uomini, ed è per questo che, come sottolinea nel primo e nell’ultimo verso che
sono identici, avvicinano a Dio.
La poesia si presenta formalmente come una preghiera, una specie di litania di lode strutturata in
strofe simili e scandite da rime semplici.
L’immagine della donna che emerge da questa poesia è quella di una donna bella, tenera, gelosa,
timorosa, lieve, fedele e laboriosa, ma anche quella di una madre come la mucca e la coniglia.
La figura della madre non era ben vista dal poeta ed è per questo che se si legge la poesia un livello
più profondo, dietro questo elogio si può cogliere anche una non intenzionale denigrazione della
donna.
La stessa moglie, come racconta Saba, quando lesse la poesia non colse l’intenzione elogiativa ma
ne rimase molto amareggiata.

è una preghiera alla moglie. Accosta la donna agli animali: gallina, giovane mucca gravida
(giovenca), lunga cagna, pavida coniglia, rondine, provvida formica.

AMAI:
Il poeta dichiara di aver amato le parole molto usate, che nessun poeta sceglieva, le rime comuni e
prive di originalità, è proprio per questo di difficile impiego.
Egli ha inoltre sempre amato la verità nascosta nel profondo di sé e dimenticata, che riaffiora
con dolore.
Egli ama i propri lettori e anche la propria opera di cui, in un bilancio conclusivo, riconosce il
valore.
Amai è un autoritratto intellettuale e sentimentale, che Saba traccia quando ha già superato i
sessant’anni.
In tre brevi strofe è contenuta un’importante dichiarazione di poetica, con cui Saba compie una
difesa appassionata delle scelte espressive della propria poesia.
Si può parlare in questo senso di metapoesia, ovvero di una poesia in cui l’autore riflette sulla
poesia stessa.

L’esordio suona come una provocazione attraverso l’orgogliosa rivendicazione di originalità:


nell’affermare che nessuno tra i poeti contemporanei usava avvalersi della lingua quotidiana, così
poco poetica, né delle rime più comuni, vecchie e scontate, il poeta lascia intendere che occorre
coraggio e anche talento per usare ancora, come ha fatto lui, quella lingua e quelle rime riuscendo
ad attribuire loro un valore nuovo.

La seconda strofa chiarisce quale sia il vero oggetto della poesia e ricostruisce il sofferto
percorso conoscitivo del poeta.
Egli afferma di aver sempre amato la verità, di aver voluto indagare nelle profondità dell’anima
per far riaffiorare ogni aspetto rimosso del passato.
L’originalità del poeta consiste dunque nella scelta di avvalersi del linguaggio della tradizione per
esprimere i contenuti del tutto nuovi nel panorama letterario dell’epoca, come la teoria
psicoanalitica freudiana.
La terza strofa si concentra infine sul destinatario della poesia.
Saba manifesta spesso nei suoi scritti il proprio desiderio di apprezzamento e affetto ed anche in
questa poesia l’esibito apprezzamento per la propria scrittura e la dichiarazione d’amore per i
lettori non sono in realtà che è una ricerca di riconoscimento, un’estrema richiesta di attenzione.
CITTÀ VECCHIA:
Il testo è scandito in tre momenti:
-il primo è narrativo;
-il secondo è descrittivo;
-il terzo racchiude nei tre versi finali una sentenza conclusiva, come sintesi fra il momento
oggettivo della narrazione e quello soggettivo della descrizione.

La lirica evidenzia alcuni temi più caratteristici di Saba:


•l'attrazione per i personaggi delle classi più umili, in quanto dotati di maggiore vitalità e di
minore consapevolezza (è il cosiddetto populismo di Saba);

•una religiosità istintiva, legata alla convinzione che tutti gli esseri viventi siano partecipi della
medesima realtà superiore (il Signore, cioè il principio della vita, s’agita in tutte le creature, anche
le più semplice, così come nel poeta stesso);

•l'idea che la vita sia sostanzialmente dolore.

Si può definire come un viaggio attraverso la città, attraverso il male che c'è nella vita, in cui
scopre la presenza di Dio.
La poesia trova la sua forza proprio nella descrizione sentimentale del poeta nei confronti del
mondo descritto.
La poesia nasce da abitudini semplici, quotidiane; la città sembra un prolungamento della
casa. Il poeta sa riconoscere, negli aspetti più umili della vita, il senso dell’infinito, dell’assoluto.

La prima strofa è una quartina. La poesia si piega alla ricerca di quei moduli classici.
Viene descritta una catabasi.
La città vecchia è il centro storico che conduce al porto. È Trieste.
Piano piano si manifesta la gente. Nel lupanare gli uomini si fanno merci.
È una preghiera.
Il dragone è un soldato.
Ultima terzina: qui dove più turpe è la via sento il mio pensiero farsi più puro in compagnia degli
umili.

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