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Nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di origini nobiliari e di tradizioni liberali. Seguì gli studi nella sua città,
dove si iscrisse alla facoltà di Legge, ma non li terminò, tutto preso dalle vicende storico-politiche (dopo lo sbarco di
Garibaldi in Sicilia), e da una precoce attività letteraria che lo portò, nel 1861, alla pubblicazione del suo primo
romanzo di intonazione storico-romantica I carbonari della montagna. Nel 1865, insofferente della vita di provincia,
si trasferì a Firenze (in quel momento capitale del nuovo Regno D'Italia) e, poco dopo, a Milano dove si inserì nei più
brillanti e dinamici ambienti letterari, a contatto con gli artisti più ansiosi di rinnovamento culturale. Intanto
continuava intensa la sua opera di scrittore con romanzi che riproponevano ambienti ricco-borghesi e vicende di
esasperato romanticismo. L'incontro con Luigi Capuana, di cui condivise le teorie sul Verismo, lo indirizzò verso una
più concreta osservazione della realtà tanto che, con idee rinnovate, scrisse le sue opere maggiori, ispirate proprio
alla poetica verista. Dal 1893 il Verga tornò, per periodi sempre più lunghi, nella sua casa di Catania e lì si spense nel
1922. La lingua per lui è strumento essenziale.
Le idee e la poetica
Nell'attività letteraria del Verga si possono distinguere due periodi:
- il primo, cioè quello degli esordi, risente del filone del romanzo storico e della narrativa romantica e passionale, di
ambiente aristocratico e ricco-borghese (I carbonari della montagna, Eros, Eva, Tigre reale, Storia di una capinera,
Una peccatrice);
- il secondo, che ha inizio nel 1874 con la novella Nedda, ha caratteristiche assolutamente nuove, orientato com'è
alla scoperta e alla descrizione del vero. Non più costruzioni della fantasia, ma la realtà diventa molla di ispirazione
per lo scrittore che osserva fatti e personaggi con occhio obiettivo, quasi scientifico, senza lasciarsi coinvolgere a
esprimere giudizi personali: proprio come richiedevano i canoni del verismo. Protagonisti delle nuove opere
verghiane sono gli umili, studiati e descritti con linguaggio scarno ed espressivo nella triste, e spesso inutile, lotta del
vivere quotidiano. Il Verga infatti, è convinto che la vita umana sia dominata dal fato, una forza cieca e
incontrollabile, alla quale gli uomini, a qualunque ceto sociale appartengano, non possono opporsi perché
risulteranno sempre dei Vinti. In questa visione amara della vita consiste il suo pessimismo che dà alle sue opere un
tono desolato e drammaticamente epico. Così il Verga verista risulta non solo il più grande scrittore tra quelli della
sua corrente, ma è sicuramente uno dei migliori prosatori dell'Ottocento italiano, dopo il Manzoni.
Ecco le sue opere maggiori:
Vita dei campi (1879-1891): 8 novelle, tra cui Cavalleria Rusticana (da cui fu tratta l'opera di Mascagni), Jeli il pastore,
La Lupa, Rosso Malpelo, Libertà.
I Malavoglia (1881): è il primo romanzo di una serie intitolata I Vinti, rimasta incompiuta, in cui lo scrittore manifesta
la sua visione amara della vita.
Il romanzo narra le disavventure di un'umile famiglia di pescatori di Acitrezza (Catania) che cercarono di migliorare le
loro condizioni economiche. Infatti il capofamiglia, padron 'Ntoni, compra a credito un carico di lupini per rivenderlo
a Riposto con un modesto guadagno. Ma la barca, la Provvidenza, fa naufragio, causando la perdita dei lupini e la
morte dii Bastianazzo, il figlio di padron 'Ntoni, che lascia la moglie Maruzza e cinque figli. D'ra in poi la malasorte si
accanisce contro i Malavoglia che per pagare il debito sono costretti a vendere la casa. Di li a poco Luca muore nella
battaglia di Lissa. Muoiono anche Maruzza e il nonno. Il primogenito 'Notni, che da quando ha fatto il servizio
militare in continente non si rassegna alla miseria dei pescatori, si dà al contrabbando e finisce in galera dopo aver
ferito un doganiere. Lia, la sorella minore, abbandona il paese e non tornerà più. Mena dovrà rinunciare a sposarsi
con Alfio e rimarrà in casa ad accudire i figli di Alessi, il minore dei fratelli che continuando a fare il pescatore,
ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare la <<casa del nespolo>> che era stata venduta. Quando 'Ntoni, uscito di
prigione, tornerà al paese, si renderà conto di non poter restare perchè si sente indegno del focolare domestico di
cui ha profanato le leggi e la sacralità.
Novelle rusticane (1884).
Mastro Don Gesualdo (1889): è il secondo romanzo del ciclo I Vinti, che doveva comporsi di cinque romanzi, ma
l'autore si limitò ai primi due pensando di avere già dimostrato in essi la tesi che si era proposto: l'uomo, qualunque
sia la sua posizione nella vita, è un vinto della vita stessa e deve sottomettersi al destino. Ne è un esempio mastro
Gesualdo, un manovale che è diventato ricco e rispettato a forza di duro lavoro e di sacrifici. Si innalza anche
socialmente, sposando la nobile Bianca Trao che lo sposa per riparare un fallo, ma non lo ama. Nasce Isabella che
non è figlia di Gesualdo, ma egli la considera sua e la fa educare nei collegi più aristocratici. Morta Bianca, che a poco
a poco si era affezionata al marito, Isabella si mostra ostile al padre sebbene egli sia disposto a soddisfare tutti i suoi
capricci, anche quello di sposare un duca squattrinato che dissipa il patrimonio che don Gesualdo ha accumulato in
tutta una vita. Quando Gesualdo si ammala, Isabella lo relega in una stanzetta del suo palazzo dove il povero vecchio
muore solo, sognando la sua casa e i suoi poderi, e rimpiangendo quella roba destinata a scialacquatori che non la
amano. (Continua...)
Don Candeloro E C. (1894).
Pascoli La vita
Pascoli nacque in Romagna da una famiglia numerosa di contadini benestanti, colpita però tragicamente quando il
poeta aveva solo 12 anni dalla morte del padre Ruggero. Conclusi gli studi iniziò una carriera d’insegnante liceale e
poi universitario, senza mai crearsi una famiglia propria, ma vivendo all’ombra del nido familiare, composto da
madre (scomparsa però prematuramente), sorelle e fratelli. In età matura acquistò una casa di campagna in
Garfagnana (alta Toscana), in cui ricreò le condizioni di vita della sua infanzia campagnola. La sua fu un’esistenza
appartata e borghese, lontanissima da quella, per fare un esempio, eccentrica e ambiziosa di D’Annunzio.
Poetica
Pascoli identifica il poeta con il fanciullino: colui che sa scoprire, oltre le apparenze, un mondo segreto e spesso
inquietante, avvolto nel mistero e dominato dalla presenza della morte. Il fanciullino vive nel suo habitat naturale
della campagna e del nido, in cui può trovare rifugio dai mali del mondo e dalle sofferenze della vita adulta. Legati al
simbolo principale del nido sono gli altri motivi tematici pascoliani, in particolare i morti di famiglia e gli animali, ma
anche le piante e i lavori della campagna. Elaborando queste immagini, che tornano ossessivamente nei suoi versi,
Pascoli ha saputo rinnovare in profondità la poesia italiana, avviandola sulla strada aperta dal Simbolismo europeo.
Raccolte poetiche e stile
Le principali raccolte poetiche di Pascoli sono Myriace e Canti di Castelvecchio, ispirate dallo sguardo ingenuo e dal
linguaggio istintivo del poeta-fanciullo. Gli stessi motivi simbolici, accostati però a una dimensione più narrativa,
caratterizzano anche i Poemetti. Un tono più elevato contrassegna i Poemi conviviali, che danno voce alla cultura
classicista di Pascoli. Meno felici altre raccolte, come Odi e Inni, intonate a temi civili e spesso nazionalistici, lontani
dalla poetica del fanciullino. Nelle sue raccolte maggiori Pascoli utilizza il linguaggio di una poesia fanciulla,
fortemente originale e nuova sul piano linguistico ed espressivo.
Saba Biografia:
Umberto Saba (Trieste 1883-Gorizia 1957) ebbe un'infanzia difficile. La madre, ebrea fu abbandonata dal marito
prima della sua nascita. Umberto, per rivalsa, cambiò il cognome del pare, Poli, con lo pseudonimo Saba che in
ebraico significa pane. Ebbe una carriera scolastica piuttosto breve perché dovette trovarsi presto un lavoro, ma,
dopo le sterminate letture dell'infanzia, lesse per conto proprio i classici italiani. Nel 1903 esordì come poeta
pubblicando a sua spese il volume di versi Il mio primo libro di poesia.
Dopo la partecipazione alla prima guerra mondiale rilevò a Trieste una vecchia libreria antiquaria a cui si dedicò fino
agli anni della vecchiaia, trovandovi sia il sostentamento economico sia un rifugio e la possibilità di dedicarsi alla
poesia. La tranquilla occupazione di libraio fu interrotta dalla persecuzione razziale e dalla seconda guerra
mondiale che lo costrinsero alla clandestinità. Alla fine della guerra, dopo brevi soggiorni a Roma e Milano, rientrò a
Trieste e vi trascorse gli ultimi anni di vita segnati dalla perdita della moglie e da periodiche crisi di nevrosi, ma anche
da riconoscimenti per la sua grandezza poetica e sprazzi creativi da cui nascono le ultime raccolte di versi.
La prima pubblicazione importante è Poesie del 1911, cui seguirono, nel 1912, le liriche Coi miei occhi.
Nel 1921 Saba raccolse nella prima edizione del Canzoniere tutte le poesie scritte precedentemente.
La chiarezza e la profondità sono i due aspetti fondamentali della poesia di Umberto Saba che si apprezza per la
grande semplicità descrittiva anche nella rappresentazione di emozioni e sentimenti profondi, per l'uso chiaro e
univoco delle parole, per il rigore morale.
Saba ama la vita nella molteplicità del suo manifestarsi e ne canta tutti gli aspetti, anche più umili e quotidiani. Solo
apparentemente semplice, la sua poesia è motivo di riflessione sui vari momenti della vita di ogni giorno, la calda
vita a cui il poeta desidera partecipare in una profonda comunione affettiva.
Montale
Montale, nelle sue opere, è stato un autorevole interprete di quella crisi dell'io e della società che caratterizza tanta
letteratura del Novecento. La sua è una visione assai differente rispetto a quella di Giuseppe Ungaretti, l'altro poeta
classico del secolo. Infatti:
• Ungaretti parte da una posizione di dolore e pena, ma giunge poi a un'affermazione, sia pure sofferta, di
fede religiosa e di speranza;
• Montale invece non ha mai abbandonato la convinzione della negatività e aridità della vita: un'idea
magistralmente espressa fin dal suo primo libro di versi, Ossi di seppia (1925) e confermata nelle sue ultime opere.
Così come mancò a Montale il conforto nella fede, gli mancarono anche le speranze e le soluzioni promesse dalle
ideologie (incluso il marxismo), verso cui nutrì sempre diffidenza e freddezza. L'aridità, la negatività montaliane
suonarono, negli anni del fascismo, anche come una denuncia delle false certezze su cui la cultura del tempo
riposava, con i suoi programmi di ritorno all'ordine, con i suoi miti imperiali. Non a caso l'editore degli Ossi di seppia
fu Piero Goberti, uno dei più lucidi intellettuali antifascisti, costretto all'esilio e alla morte precoce a Parigi nel 1926.
Ma anche nel corso degli anni successivi e nelle altre raccolte di versi via via pubblicate, la poesia montaliana non
intende abbellire la realtà o nascondere il male di vivere, né dissimulare quella disarmonia (un non sentirsi a posto,
un inadattamento, come Montale stesso lo definì) che lo scrittore avvertiva in se stesso, nella storia e nell'esistenza
umana. Intende invece dichiararla, senza compiacimenti, ma con la dignità del testimone. E' un atteggiamento
paragonabile al pessimismo di Giacomo Leopardi, e che ha diversi punti di contatto anche con la filosofia tipicamente
novecentesca dell'esistenzialismo.
Tale visione negativa del vivere viene espressa da Montale in un poetare scabro ed essenziale: Avrei voluto sentirmi
scabro ed essenziale, dichiara infatti il celebre inizio di una lirica del suo primo libro, in cui il poeta si rivolge al mare e
alla sua azione purificatrice. Ora, questa essenzialità va intesa a più livelli: filosofico, stilistico e tematico, simbolico.
Levi Biografia
Primo Levi nacque a Torino nel 1919 da una famiglia ebraica di agiata borghesia, originaria delle valli cuneesi. Studiò
al liceo D’Azeglio di Torino e nel 1941 si laureò in chimica. A causa della sua origine razziale fu costretto a impieghi
semiclandestini, prima in una cava di amianto vicino alla sua città, poi alla Wander di Milano; intanto maturava le sue
idee politiche affiancandosi alle formazioni partigiane della Valle D’Aosta. Il 13 Dicembre 1943 fu catturato e
internato nel campo di Fossoli (Vicino a Modena); nel Febbraio 1944 fu deportato ad Auschwitz in Polonia e
assegnato al sottocampo di Monovitz. Vi rimase fino alla liberazione del campo da parte delle truppe russe, gennaio
1945. Il ritorno a casa fu faticoso e Levi rientrò in Italia soltanto nell’ottobre di quello stesso anno, costretto a seguire
itinerari assai complicati a causa della ritirata tedesca dai vari Paesi europei. Una volta a casa si impiegò in
un’industria di vernici e pubblicò subito il racconto della sua esperienza nei lager Se questo è un uomo, ma senza
molto successo. Il successo gli venne nel 1958 con la edizione presso l’Editore Einaudi. Da allora la sua attività
letteraria fu abbastanza regolare, con la pubblicazione di opere di vario genere, sia in volume sia su i giornali e
riviste. Morì suicida a Torino nel 1987.
Le idee e le tematiche
L’esperienza letteraria di Primo Levi (laureato in chimica!) nasce dal bisogno di raccontare le mie cose come egli
stesso dice, quindi di partecipare ad altri, in forma quasi verbale, le sue esperienze. Tutte le sue opere hanno questo
fondo di autobiografismo, più o meno evidente, ma nelle prime, più che nelle successive, l’intento autobiografico
non è disgiunto da un intento morale, dal bisogno cioè di essere ascoltato perché chi lo ascolta si ponga delle
domande e rifletta su certi problemi. Il mettere per scritto l’esperienza del lager è volere indurre tutti a conoscere, a
giudicare, a non dimenticare, affinché quelle tristi vicissitudini siano un riscatto pagato per le generazioni future: che
non debbano mai fare o subire altrettanto!
Opere principali
SE QUESTO E’ UN UOMO (1948): è il racconto dell’esperienza dolorosa del lager scritto, come l’autore confessa, per il
bisogno di far sapere agli altri quello che succedeva in quei campi di concentramento nazisti; per la necessità di
proporre a tutto il mondo la domanda se questo è un uomo, quando lo si costringe alla più assoluta abiezione,
calpestandone ogni senso di dignità. Il libro racconta con misurata pacatezza e con un equilibrio poetico che lo rende
una delle più umane testimonianze della disumana vita dei deportati.
LA TREGUA (1963): anche in quest’opera Levi ritorna alla sua esperienza del campo di concentramento. Racconta,
infatti, della liberazione del lager e della lunga peregrinazione del ritorno, una sorta di pietosa odissea che è anche
tregua, vacanza, periodo di sospensione fra il non vivere di Auschwitz e la paura di vivere del ritorno: dove avremmo
attinto la forza per riprendere a vivere?... Ci sentivamo vecchi di secoli, oppressi da un anno di ricordi feroci, svuotati
e inermi.
Calvino Poetica:
Al contrario la sua opera appare mutevole, sollecitata dal gusto dell’esperimento e dal desiderio di superare gli
ostacoli tecnici del suo mestiere.
Ciò non esclude che in Calvino si possano riscontrare delle costanti:
• da un lato, l’accento di meraviglia e di divertimento con cui egli presenta ogni vicenda; nasce da qui la ricerca
della leggerezza, la prima delle sei qualità che Calvino (nelle sue tarde Lezioni americane) additò quale tratto tipico e
caratterizzante della scrittura letteraria;
• dall’altro, l’osservazione della società e del mondo circostante, quella vena di bonaria quotidianità che
modera l’invenzione e la riavvicina costantemente alla realtà.
Dopo il 1945, davanti ai gravi problemi dell’Italia da ricostruire; quasi tutti gli autori di quegli anni. Dopo il 1945,
davanti ai gravi problemi dell'Italia da ricostruire, quasi tutti gli autori intendevano realizzare una letteratura
impegnata dal punto di vista e sociale; precisamente su tali presupposti era nata la corrente del Neorealismo.
Tuttavia anche in queste opere, che sono le più realistiche di Calvino, affiora il gusto per la pura invenzione, per il
favoloso e il sorprendente; un gusto destinato a svilupparsi nel tempo ma che già trasse lo stesso Calvino nella prima
delle Lezioni americane: Quando ho iniziato la mia attività, il dovere di rappresentare il nostro tempo era
l'impegnativo categorico di ogni giovane scrittore. Cercavo di cogliere una sintonia tra il movimentato spettacolo del
mondo, ora drammatico ora grottesco, e il ritmo interiore picaresco e avventuroso che mi spingeva a scrivere. Presto
mi sono accorto che, tra i fatti della vita che avrebbero dovuto essere la mia materia prima e l'agilità scattante e
tagliente che volevo animasse la mia scrittura, c'era un divario che mi costava sempre più sforzo superare.
Opera dopo opera, la scrittura di Calvino tenderà ad allontanarsi dai fatti della vita per prediligere invece l'avventura,
la fantasia (ciò che lui chiama il ritmo interiore), spostandosi verso l'invenzione ai limiti del reale e oltre.