Sei sulla pagina 1di 10

GIOVANNI VERGA

Giovanni Verga nasce a Catania il 2 settembre 1840. Cresce in una famiglia antiborbonica e liberale, studia nella scuola privata di Antonino Abate, che

partecipa attivamente ai moti del 48. Acquisisce una cultura romantica e patriottica, cresce leggendo i classici come Promessi Sposi o Ultime lettere di Jacopo Ortis,

opere straniere come quelle di Dumas o Sue. Nel 1857 scrive Amore e Patria, il suo primo romanzo sulla Guerra di Indipendenza, rimasto incompleto e con

poco successo. L’anno dopo, quindi, si iscrive alla facoltà di Legge dell’Università di Catania per tre anni, poi con il consenso della famiglia la lascia e si dedica

all’attività letteraria, pubblicando I carbonari della montagna, il secondo romanzo storico. Nel 1860 si si arruola nella Guardia nazionale catanese, istituita dopo

lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, che avevala funzione di sostenere il nuovo regime unitario; resta li per 4 anni, nel mentre scrive un altro romanzo storico,

Sulle lagune, che racconta un amore contrastato durante l’occupazione austriaca a Venezia.

La Sicilia non dà a Verga un giusto valore alle sue potenzialità quindi si trasferisce a Firenze nel 1865, già da un anno capitale d’Italia. Il distacco dalla famiglia,

specialmente dalla madre, gli provoca tanti sensi di colpa, attenuati però dalla voglia di successo, nella convizione di poter diventare famoso, nella volontà di

riscattare i sacrifici della famiglia fatti per lui e di superare il senso della propria inadeguatezza di provinciale. A Firenze incontra molti artisti, come Prati e

Aleardo Aleardi, o attori, come Tommaso Salvini, e politici come Bakunin. Conosce Capuana, si immerge nella vita attiva letteraria e nel 1871 si afferma con il

romanzo Storia di una capinera, i cui protagonisti sono donne travolte dalla passione, analizzate psicologicamente, con una scrittura ancora molto convenzionale.

Nel 1872 si trasferisce a Milano e viene introdotto negli ambienti letterari da Salvatore Farina: conoscerà Praga, i salorri della contessa Maffei, De Roberto e

Giacosa. Due anni dopo decise di pubblicare Nedda, una novella incentrata sulla vita di un’umile raccoglitrice di olive, avvicinandosi al mondo popolare

siciliano, passaggio che segna la svolta stilitista dei suoi prossimi testi. Nella seconda metà degli anni Settanta, Verga inaugura una nuova stagione della sua

produzione: comunica al suo nuovo editore l’inizio della stesura di un bozzetto marinaresco ambientato in Sicilia, che sarà I Malavoglia, pubblica Rosso Malpelo,

La Marea (titolo provvisorio che sarà poi sostituito daI Vinti), la raccolta di novelle Vita dei campi e Novelle rusticane. I Malavoglia vengono pubblicati nel 1881

ma non riscuotono molto successo quindi Verga decide di andare all’estero per promuoverle (va a Parigi nell’anno dell’esordio teatrale con Cavalleria

rusticana). Continua a pubblicare, come Mastro-don Gesualdo (1889), I ricordi del capitano d’Arce (1891) e Don Candeloro (1894). Nello stesso anno incontra la

contessa torinese Dina Castellazzi di Sordevolo, con cui instaura una relazione che durerà tutta la vita.

Nel 1893 torna in Sicilia, dove rimarrà fino alla morte fatta eccezione per alcuni viaggi. Si dedica maggiormente al teatro, con La Lupa e Dal tuo al mio. Da

questi testi emerge un nuovo atteggiamento di Verga, frutto della reazione ai mutamenti del nuovo secoli, sottoforma di sfiducia nei confronti del gene-re

umano, mosso, come gli appare, principalmente da egoismo e interesse personale. Si oppone risultando disincantato, reazionario, chiuso alle novità culturali

esociali; i suoi contatti con il mondo intellettuale si limitano alla frequentazione di De Roberto, che gli trasmette la passione per la fotografia, e di Capuana. Nel

1903, però, il filosofo Benedetto Croce dedica a Verga un saggio che gli riaccende l’interesse della critica per la sua opera. Nel 1920, viene nominato senatore a

vita e, in occasione dei suoi ottant’anni, assiste al Teatro Massimo di Catania ai festeggiamenti in suo onore e al discorso ufficiale tenuto da Luigi Pirandello.

Colpito da paralisi cerebrale muore a Catania il 27 gennaio 1922.

2.1 La produzione letteraria di Verga si può dividere in diverse stagioni narrative, in corrispondenza delle sue vicende personali:
- Prima stagione tra le prime due fasi della vita, quella storico-patriottica e quella successiva dei romanzi d’intrattenimento, e abbia inizio con i

romanzi del periodo milanese, che risentono della formazione culturale dell’autore:

Quando era in Sicilia, esempi sono I carbonari della montagna e Sulle lagune, entrambi con sfondo di episodio di insurrezione storica, uno

in Calabria e l’altro a Venezia.

Quando era a Firenze, viene influenzato dagli ambienti culturali cittadini, quindi abbandona gli scenari storico-patriottici e si dedica al

romanzo d’intrattenimento con intreccio erotico. Un esempio è nel romanzo Una peccatrice (dove i protagonisti sono la contessa Narcisa

Valderi, che possiede i tratti tipici della donna fatale e il letterato Pietro Brusio), oppure il romanzo epistolare Storia di una capinera (che

narra le vicende di Maria, orfana di madre, costretta alla vita monastica e impazzita per amore. Per questo si ispira alla Monaca di

Diderot e della monaca di Monza dei Promessi sposi).

- La seconda stagione inizia da Milano fino alla morte, quando intraprende l’inclinazione verista e Naturalista francese. Quanto era a Milano, al centro

degli ideali amorosi stavano ancora i protagonisti maschili, che si scontrano con la realtà misera, corrotta e innaturale della società moderna,

descritta come fatalmente destinata alla corruzione morale e al dominio del denaro, con una concezione fallimentare del progresso e un’idea di arte

che prefigurano la successiva svolta verista.

In una lettera al critico Felice Cameroni del 18 luglio 1875, Verga definisce il concetto di “vero”: l’arte ha il compito di scavare nei comportamenti mondani e

fatui per raccontare, con veridicità e senza filtri, i sentimenti, i valori e le virtù che si degradano dietro la facciata del benessere e del godimento materiale.

- Un esempio è il romanzo Eva del 1873, il cui protagonista è pittore Enrico Lanti che, arrivato a Firenze dalla Sicilia per trovare fortuna, si

innamora di Eva, una ballerina di varietà. La donna, per amore, abbandona la sua professione e va a vivere con lui in condizioni di miseria, ma i

problemi materialisi impongono sulla coppia, corrodendone il sentimento e anche la vena artistica. I due perciò si separano: Eva torna alla vita

lussuosa e artificiale del suo passato, mentre Enrico, vendutosi ai gusti del pubblico e rinunciando ai propri ideali artistici, trova il successoma senza

alcun piacere, morendo anzi solo e infelice. Da questo si percepisce un’immagine sconfortante della società moderna, del progresso edell’artista, il

quale, ormai, per realizzarsi e trovare unacollocazione deve rinunciare ai propri ideali di vitae accettare dei compromessi. Una grande novità è la

presenza di un’alternanza di punti di vista; la vicenda, infatti, è raccontata da un amico del protagonista, il narratore-testimone: il protagonista

prende la parola per presentare direttamente la propria storia. L’oscillazione tra sguardi diversi sulla realtà e la duplice prospettiva del racconto

permettono all’autore di evitare la narrazione soggettiva: la molteplicità di punti di vista è quindi preludio dell’«eclissi» dell’autore.

- Altri esempi sono i romanzi Tigre reale ed Eros, che hanno come soggetto la debolezza morale di protagonisti attratti dall’erotismo di donne

seduttrici e nocive, i cui comportamenti fanno risaltare la fragilità dei valori tradizionali e incrinano istituzioni come la famiglia. Anche qui viene

descritto l’ambiente aristocratico-borghese, i cui personaggi e le cui vicende possono essere letti come una sorta di documento sulla società

contemporanea. In entrambi è presente un narratore-testimone che pone una distanza tra l’autore, il narratore e il protagonista, e che, prendendo

spunto dal modello di Madame Bovary di Flaubert, pone l’inizio dell’inclinazione verista.
2.2 Durante il soggiorno a Milano, nel 1874, pubblica sulla «Rivista italiana» il racconto Nedda, che si basa sulla narrativa filantropico-sociale. Tratta delle

vicende della giovane Nedda, rimasta orfana di madre, che lavora in un podere come raccoglitrice di olive. Rimane incinta dopo una breve relazione con il

contadino Janu, che muore subito dopo in un incidente sul lavoro. La protagonista rimane sola, povera e isolata dal resto del paese per la sua condizione

disonorevole, mentre la figlia che dà alla luce, debole e malata, muore di stenti. Questo racconto è importante perché Verga sceglie per la prima volta

un’ambientazione siciliana, narra di personaggi e luoghi del mondo rusticano, il narratore si contrappone alla coscienza del personaggio, manca di otni

passionali, prediligie uno sfondo nuovo, duro e misero.

Nel 1877, Vergia, Capuana, Felice Cameroni e Roberto Sacchetti creano un gruppo per aderire al programma del Naturalismo sostenuto in Francia da Zola

(nello stesso anno Zola pubblica L’amazzatoio, che viene recensito da Capuana sul «Corriere dellaSera» e proposto come modello teorico di riferimento). Per le

problematiche sociali, scoppia la questione meridionale, che vede da un lato le nuove teorie letterarie, dall’altro la descrizione dei problemi sociali del Sud.

Segnano la definitiva rottura di Verga dagli ideali romantico-risorgimentali e incidono sulla forma, sugli scopi e sulle tematiche della sua nuova produzione

verista.

Da questo momento, con le raccolte di novelle Vita dei campi e Novelle rusticane, Verga privilegia l’ambientazione siciliana con tutte le sue convenzioni sociali e

strutturali, intendendo il passaggio non come ritorno alle origini malinconico, ma come ponte verso un nuovo tipo di poetica, attraverso uno studio della realtà

umana, delle leggi naturali, intendendo il testo come documento umano.

2.3 Verga si presenta al movimento verista con una lettera aperta indirizzata a Salvatore Farina, che diventa la prefazione alla novella L’amante di Gramigna, la

quale si basa su tre principi: determinismo storico, sociale e psicologico, l’impersonalità, il realismo linguistico e stilistico. Si affianca al Naturalismo per certi

aspetti ma per la altre due impostazione ci si allontana anche:

- Positivistica, perché riconducibile all’idea che si possano conoscere solo i fatti oggettivi e verificabili, ovvero quelli ai quali si applicano i criteri

dell’analisi scientifica; inserisce nel racconto il metodo della storia naturale, riprendendo la teoria evolutiva di Darwin: la società è regolata dalle

stesse leggi presenti in natura, e l’evoluzione della specie avviene attraverso la selezione naturale, dove soccombono i più deboli.

- Determinista, perché riconoducibili all’idea che le scelte individuali e i comportamenti dell’uomo siano determinati da impulsi naturali che

dipendono da fattori storici, dall’ambiente in cui vive e dal condizionamento ereditario. A differenza di Zola, però, Verga pone meno attenzione al

metodo scientifico, preferisce l’osservazione alla sperimentazione, coglie il progresso delle classi popolari fino a quelle più elevate, sceglie sfondi

miseri e rurali siciliani, si concentra sui meccanismi che che condizionano le scelte dei singoli all’interno della comunità.

I naturalisti pensano di poter modificare la società con le loro indagini mentre in Verga verista prevale il pessimismo e il fatalismo: il romanzo ha solo funzione

di denuncia, il romanziere è l’osservatore oggettivo, senza giudizio personale, è presente un approccio scientifico e conservatore, senza cercare soluzioni o

miglioramenti. Il tutto porta a un’accettazione della realtà e a una concezione fondata sull’immobilismo della storia.
2.4 Verga, quindi, aderisce al Naturalismo ma si vede anche come un verista, cercando il presupposto teorico su cui fondare la tecnica narrativa

dell’impersonalità. Deve raccontare la realtà in modo oggettivo, senza far entrare psicologia o idealogia, quindi i racconti si devono raccontare da sé, azzerrando

i punti di vista del narratore, che diventa anonimo, si ecclissa. Ad esempio, in Rosso Malpelo, il punto di vista del narratore è quello cinico, utilitaristico e

superstizioso della comunità dei minatori, inconciliabile con quello dell’autore, men-re nel romanzo I Malavoglia diverrà multiforme, in così da coincidere con

quello dell’intera comunità arcaico-rurale di Aci Trezza in cui sono ambientati i fatti. Si crea un effetto di straniamento nel lettore, dovuto a due fattori:

- L’inconciliabilità tra il punto di vista del narratore e quello dell’autore. Il lettore, quindi, non riesce a identificarsi nella mentalità e nel sistema

divalori proposti dal narratore;

- L’uso della lingua, in quanto “la forma deve essere inerente col soggetto”, ovvero in cui la prospettiva linguistica e culturale dei personaggi rispecchi

quella dell’ambiente rappresento. Si adatta ai diversi modi di dire, alle forme gergali ed alle espressioni tipiche.

- Uso del discorso indiretto libero, che consiste nell’introduzione all’interno di un discorso indiretto inserti di discorso diretto, ma senza virgolette e

senza premettere il verbo “dire”. Un esempio lo si ritrova nell’incipit di Rosso Malpelo.

2.5 I personaggi della raccolta Vita dei campi sono i diversi, cioè persone emerginate o disadattate per motivi sociali, economici o morali. Vengono scelti loro

perché, dato la loro visione disinteressata della realtà e della società,

- riflettono di più sulle cose, hanno maggior slancio sociale, osservano lucidamente la crudezzza della realtà, svuotandola di false consolazioni e

prospettive illusorie;

- Verga ci si ritrova in loro in quanto le sue origini agrarie lo fecero escludere dalla società industriale;

- Hanno la condizione di impotenza e di estraneità che l’artista vede nella società moderna.

I personaggi nella raccolta Novelle rusticane sono i diversi affiancati dai potenti, cioè quelle persone che hanno come unico scopo l’accumulo di denaro e

vivono drammi legati all’avidità, alla miseria e alla degradazione morale. I personaggi nella raccolta Per la vie sono gli emarginati, gli sbandati, malavitosi,

vagabondi e prostitute nello sfondo cittadino milanese. Con questi, Verga si rifà alla realtà metropolitana indagata da Flaubert, Zola o Maupassant. Nelle

novelle Vagabondaggio (1887), l’atto di vagabondare è cinicamente legata al tornaconto personale o alla disperazione.

L’interesse per gli esclusi e gli emarginati è elaborato nel ciclo di romanzi I Vinti, iniziato nel 1878, finito nel 1882. Nella prefazione ai Malavoglia è presente

un documento programmatico in cui Verga afferma di voler descrivere la darwiniana lotta per la vita dalle classi infime a quelle più altolocate, per offrire un

affresco delle aspirazioni, delle passioni e dei destini che muovono e segnano l’uomo in quanto essere sociale. Parte dalla lotta per i bisogni naturali di pescatori

e contadini, fino all’avidità di richezza dei borghesi. Questa logisca ascensionale si rifà venne teorizzata da Edmond de Goncourt, che aveva espresso la volotà

di ritrarre nel romanzo realista tutti gli strati sociali. In Verga, però, non si attua completamente perché solo i primi due romanzi, I Malavoglia e Mastro-

donGesualdo, vengono completati e pubblicati, mentre della Duchessa di Leyra ci restasolo l’abbozzo dei primi capitoli.
VITA DEI CAMPI

3.1 Vita dei campi è una raccolta di otto novelle scritte a partire dal 1878 e pubblicate poi dall’editore Treves nel 1880. Ci sono storie di passioni primitive,

miseria, soprusi e sfruttamento, con personaggi vittime di pregiudizi, superstizioni e diffidenze. Lo sfondo è la Sicilia arretrata e sofferente, ancora organizzata

sul latifondo e basata su leggi arcaiche e immutabili. Non ci sono giudizi da parte di Verga, descrive solo frammenti di vita, osservati prima come documenti

singoli e poi inseriti in un sistema universale.

Un esempio è nel primo racconto, Fantasticheria, che è un resoconto di un viaggio fatto in compagnia dell’amica milanese Paolina Greppi, con la quale sosta

quarantotto ore ad AciTrezza. Paolina vede il mondo siciliano come agreste e arretrato, mentre Verga le consiglia di vedere il tutto da più vicino, cercando i

motivi per cui le persone sono costrette alla rassegnazione coraggiosa e a una vita di stenti. Teorizza l’ideale dell’ostrica, che si attacca allo scoglio, anche se è una

posizione scomoda, cosi da non essere divorata da altri pesce.

Nasce l’idea della letteratura come documento, fornendosi di dati oggettivi e testimonianze. Esempio è in Rosso Malpelo, sulla quale ha pesato l’Inchiesta in

Sicilia di Franchetti e Sonnino, in particolare il capitolo dedicato al lavoro dei ragazzi (i «carusi») nelle zolfare siciliane, che raccontava le condizioni disumane

di lavoro di fanciulli tra gli otto e gli undici anni, soffermandosi in particolare sulla condizione degli orfani e sul loro sfruttamento. Verga cerca di trasmettere

al lettore anche gli aspetti emotivi e psicologiciche li accompagnano.

Esistono diversi tipi di narrazione:

- Narratore colto, cioè Verga stesso;

- Narratore polifonico, come in Jeli il pastore o nella Lupa;

- Narratore eterodiegetico, cioè assente dalla storia narrata

L’impersonalità narrativa ha ancora tratti romantici, legati alle passioni erotico-amorose e lirico-simbolici, soprattutto nella descrizione dei paesaggi
I MALAVOGLIA

4.1 Nel 1875, Verga comunica al suo editore di voler scrivere un bozzetto marinaresco. Tre anni dopo, inizia la stesura di cinque romanzi, sotto il titolo complessivo di Marea

(successivamente sostituito dal titolo I Vinti). Un mese piiù tardi, comunica a Capuana di voler abbandonare il genere del bozzetto e scrivere un romanzo intitolato I Malavoglia, a

cui si dedica dal 1878 al 1880 e pubblicato nel 1881.

4.2 Verga vuole sperimentare e lo si capisce dalla struttura narrativa, che è frammentaria, influenzata da quella della novella, del romanzo e dal narratore assente. Infatti, nei

Malavoglia domina una narrazione «episodica e molecolare», costruita attraverso la giustapposizione di blocchi narrativi. Composto da quindici capitoli, I Malavoglia racconta le

vicende siciliane della famiglia Toscano tra il 1863 e il 1877 o 1878 (la data non può essere ben definita perché i riferimenti cronologici dell’ultima parte del romanzo sono incerti).

Il titolo è un nomignolo affibbiato ironicamente alla famiglia, secondo l’abitudine popolare. (4.3)Il racconto si può dividere in due parti principali:

- La prima incentrata sul debito contratto dalla famiglia Malavoglia, che rimane stretta nella morsa dell’usura

- La seconda incentrata il traviamento di ’Ntoni, fino al contrabbando e al processo che lo escludono irrimediabilmente dalla società.

Sono temi in linea col Romanco sperimentale zoliano, affrontano

- problematiche sociali e storiche, con dati e informazioni di carattere sociologico, etnologico e antropologico

- usi religiosi, cerimonie legate al matrimonio, pratiche e consuetudini connesse alla malattia e alla morte

- questione delle tasse, corruzione delle amministrazioni locali, il parassitismo diffuso, l’usura, il problema delle imposte municipali, la condizione dei piccoli proprietari

terrieri soggetti all’usura, che vanno poi in rovina.

Verga non parte dall’osservazione della realtà di Aci Trezza (paese dove è ambientato il romanzo), per darci un’idea della Sicilia, ma basa sui documenti e sui ricordi della sua terra

per costruire un modello di vita popolare del paese. Scrive il tutto mentre è a Milano, quindi soggetto a molti sentimenti verso la terra natale, che non fanno trapelare sentimenti

nostalgici in quanto c’è una piena adesione al Verismo.

La famiglia Toscano è composta da padron ‘Ntoni, dal figlio Bastianazzo, dalla nuora Maruzza e cinque nipoti. Il loro soprannome è Malavoglia ma contrariamente a questo titolo,

sono pescatori da molte generazioni, sono proprietari di una casa e di una barca, nominata Provvidenza. La famiglia per provvedere alle spese della dote della nipote Mena e sopperire

all’assenza del nipote ‘Ntoni, partito per la leva militare, tenta l’avvio di un commercio dei lupini. Ne compra un carico indebitandosi con l’usurario zio Crocifisso, ma i lupini si

avariano e si perdono in mare con una tempesta, che uccide anche il figlio Bastianazzo.

Il debito con l’usuraio e la morte del figlio sono l’inizio della rovina della famiglia: quando il nipote ‘Ntoni torna a casa, deve lavorare a giornata insieme a suo nonno per risarcire il

debito e riparare la barca. L’altro nipote Luca muore in battaglia e la nave viene di nuovo rovinata da una tempesta. Il padron sceglie di ripagare il debito, avendo anche la possibilità

legale di non farlo ma il segretario, rivale in amore per Barbara, lo fa cadere in miseria e gli toglie la casa, di cui era proprietaria la famiglia da generazioni.

La famiglia si trasferisce in città, è affascinata dal progreso della società e il nipote ‘Ntoni, dopo la morte di Maruzza, parte per Trieste in cerca di fortuna. Torna povero com’era

partito, non si riconosce più nei valori morali con cui era cresciuto e si fa mantenere da Santuzza, proprietaria di un’osteria. Cacciato poco dopo, cerca lavoretti e si dedica al

contrabbando; dopo aver accoltellato il brigandiere Michele, che lo aveva scoperto in suoi traffici illeciti, viene processato. Durante il processo, l’avvocato per difenderlo mette in ballo

il disonore di sua sorella, giustificando il gesto di ‘Ntoni come difesa dell’onore familiare. La sorella Lia scappa a Catania e, nella stessa città, muore il padron ‘Ntoni solo e malato.

Solo il nipote Alessi, il più saggio, riesce a riprendersi la casa e ci ritorna ad abitare insieme alla moglie e alla sorella. Il fratello ‘Ntoni, dopo ciqnue anni di carcere, torna a casa ma si

sente un estraneo quindi parte verso un destino incerto.


4.4 I personaggi nei Malavoglia non hanno una messa in scena, il lettore è scaraventato nella loro realtà, con le loro relazioni umani, nei loro fatti e discorsi, creandogli

disorientamento. Verga crea un’illusione completa della realtà, costruendo uno schema di contrapposizioni in cui ogni margine si bipartisce in altre opposizioni. L’esempio principale è

la polarità tra

- la famiglia Toscano, onesta e con valori morali;

- i compaesani di Aci Trezza, con un’ideologia utilaristica basata sull’interesse e sul tornaconto individuale, diventando antagonisti della famiglia.

Nella famiglia Toscano si crea un’altra polarita tra:

- ’Ntoni, i suoi nipoti e sua sorella Lia, che scelgono la strada dei guadagni facili e della degradazione morale;

- Il resto della famiglia che continua a seguire il proprio modello morale.

I personaggi si possono dividere anche secondo le antinomie semplice/complesso, comunità/individuo, risolto/irrisolto. Esempi di personaggi semplici sono ‘Ntoni e altri abitanti del

paesino, in quanto si identificano pienamente con il ruolo svolto all’interno della comunità

4.5 Nei Malavoglia, Verga non interviene mai, resta invisibile, in modo da non togliere l’essenza al mondo che deve rappresentare. La storia, quindi, è narrata da testimoni anonimi il

cui punto di vista è molto distante da quello dell’autore: proviene dalla scena popolare, oppure è un coro della comunità, oppure è stesso uno dei personaggi. Per questo motivo, si

parla di plurivocità narrativa, in quanto il narratore camvbia e appartiene ogni volta a una differente realtà linguistica, sociale e ideologica. Questo effetto viene ampliato dallo sfondo,

pieno di chiacchiericci, pettegolezzi e piccoli riti quotidiani del paese, tutti molto inutili ma particolari della realtà sociale, e dalle dispute politiche nella farmarcia o le vicende

matrimoniali di una coppia. Queste vicende donano all’opera il primato dello sfondo, in quanto mette in luce, oltre le minuzie del quotidiano, le grandi questioni economiche e sociali.

Stati d’animo e psicolgoia non vengono descritti ma fatti intuire dalle azioni che il personaggio compie: aderendo al verismo, infatti, l’autore fotografa il personaggio e l’ambiente in

cui questi si muove, cossichè il lettore osserva e ricava da ciò che appare in superficie alcuni elementi della sua condizione sociale, della sua psicologia e dimensione interiore. Per

avere questo effetto, l’uso perfetto della lingua gioca un ruolo fondamentale, in quanto il narratore si deve adattare ogni volte al personaggio. Inoltre, Verga crea un linguaggio

originale, partendo dall’italiano e arricchendolo con termini e modi di dire tipici siciliani e costruzioni sintattiche proprie del parlato, con tutte le loro sgrammaticature. È presente

una stretta relazione tra lingua e soggetto che parla: nella prefazione, si parla della forma inerente al soggetto, cioè Verga vuole individualizzare ogni persona, prende le distanze da un

linguaggio formale che mascheri le differenze sociali e culturali e sceglie una lingua in grado di esprimere «la fisionomia» dell’intelletto e del contesto sociale dei personaggi.

4.6 La prefazione dei Malavoglia funge da manifesto di poetica: l’opera si pone contro il progresso e, a differenza di Zola che guarda alle conquiste del mondo moderno nel loro valore

complessivo, Verga vuole rappresentare la società del progresso secondo l’ottica dei vinti (influenzato anche dall’ambiente milanese), che guardano gli sconfitti rimanere per le strade

come emarginati, deboli e umili. Si sottolineano gli effetti che la lotta per il benessere e per il progresso ha sulle fasce più deboli, su chi, dimenticato, subisce passivamente degli eventi

che non riesce a controllare.

I membri della famiglia Toscano hanno il desiderio di cambiare le loro condizioni di vita, mossi dall’eco arrivato fin ad Aci Trezza del progresso e dei mutamenti della società

moderna. Il loro mutamento sociale inizia con la decisione d’intraprendere il commercio dei lupini, da trasportare con la Provvidenza. Incontra molti ostacoli, come:

- la tempesta che stronca la loro nuova attività commerciale;

- l’epidemia di colera uccide la Longa,

- la leva militare e la guerra sottraggono ’Ntoni e Luca alla famiglia e alla pesca

- la crisi commerciale e agricola fanno crollare il prezzo del pesce e creano penuria di viveri.

Queste disgrazie che colpiscono la famiglia mostrano che l’ideale dell’ostrica e i vecchi valori morali della famiglia sono ormai inutili e improponibili. Verga, tramite illusione e disdetta,

rappresenta la divisione netta tra le classi sociali e da un pessimismo antiprogressista: una famiglia di una classe disagiata se prova a emanciparsi e a elevarsi economicamente e

socialmente è destinata alla sconfitta per opera dello stesso contesto storico. A differenza di quanto avviene nei romanzi naturalisti, il determinismo di Verga sfocia nella rassegnazione

e nella coscienza dell’impossibilità di modificare la società e la storia.


LE NOVELLE RUSTICANE

Nel 1883 Verga pubblica Novelle rusticane, una seconda raccolta di dodici novelle stamapte prima su giornali e riviste e poi in un unico volume. I personaggi

vivono in campagne e quartieri popolari delle citta siciliane, appartengono a diverse classi sociali, come contadini, preti, medici che, seppur distinti per classi

sociali, sono tutti uniti da un destino comune, quello di essere figli di una società segnata dalla violenza e dalla sopraffazione. Un esempio è il reverendo

Mazzarò della Roba, oppure Cosimo di Cos’è il Re, il cui potere rimane sempre inalterato perche potere ed economia appartengono a un ordine immutabile.

Verga attua un riflusso dal mito alla storia, in quanto dapprima che la storia era vista come scrigno di valori morali, ora rivela i propri squilibri e le proprie

distorsioni. Al contrario dei Malavoglia, dove i personaggi potevano sperare nel futuro, in questo nuova fase letteraria, Verga guarda alla fame alla miseria, ai

climi aridi e malsani del mondo della Sicilia, prende atto del disagio oggettivo presente in quelle terre, senza illusione o distorsione. Accetta la misera, ammette

la rassegnazione, lasciando il desiderio di uscire dalla condizione sociale, abbandonando ogni ambizione personale.

Motivo ricorrente nelle Novelle è la roba, cioè l’ansia di conquistare beni e la lotta per il loro possesso. Il pessimismo si sposta dal singolo individuo alla storia

in generale, fatta di sopraffazione ed egoismo. Un esempio si trova nella novella Libertà, in cui viene raccontata la rivolta dei contadini di Bronte, soffocata nel

sangue dal generale Nino Bixio e dai garibaldini. La rabbia degli insorti nasce dalla miseria e si manifesta con gesti incontrollati e spietati anche contro donne e

bambini, come nel caso del figlio del notaio, di soli undici anni. Qui si legge tutta la sfiducia di Verga: non si può cambiare l’ordine prefissato delle cose, lascia

spazio a una narrazione più oggettiva, impersonale, senza speranze.

SCRITTURA TEATRALE

Verga compone altre due raccolte di novelle: I ricordi del capitano d’Arce nel 1891 e Don Cande-loro e C.i. nel 1894. In queste opere, tratta

- tema dell’amore nel mondo aristocratico;

- tema della vita a teatro, utilizzando ironia e sarcasmo nel racconto di un puparo e della sua compagnia.

Nell’ultimo periodo di vita, si dedica prevalentemente alla scrittura teatrale, come La Lupa, Cavalleria rusticana, La caccia al lupo e La caccia alla volpe. Progetto

più importante è il dramma Dal tuo al io, in scena nel 1903, che mostra come il tornaconto individuale prevalga nelle relazioni umane e mette in discussione il

sostegno delle ideologie, come quella socialista, che vedono nella lotta all’interesse privato la propria principale ragion d’essere. Verga per il teatro prende

spunto da Zola, ma lo considera come una forma d’arte inferiore e primitiva, sia per il testo spesso modificato e innaturale, sia per la presenza del pubblico,

mutabile in relazione al tempo e al luogo.

Negli ultimi anni di vita, la vena artistica di Verga si affievolisce, contrapposta a un pessimismo che si trasforma col passare del tempo in scetticismo,

impedendogli di trovare degli spunti per la sua scrittura. Forse, per questo, interrompe la stesura al secondo capitolo della Duchessa di Leyra.
MAESTRO DON GESUALDO

Maestro-Don Gesualdo è il secondo romanzo dei ciclo dei Vinti, pubblicato nel 1888 a Milano. L’anno dopo esce l’edizione in volume, con un testo diverso sul piano strutturale e di

contenuti, accusandolo di essere non solo rivenduto ma anche interamente rifatto. Il volume è composto da ventuno capitoli, riuniti in quattro parti, che narrano della vita del

muratore Gesualdo Motta.

Trama: Sotto il dominio borbonico, tra il 1820 e 1848, in Sicilia, viene descritta la lotte tra due mondi: quello dell’aristocrazia tardofeudale in declino e la crescita della borghesia

terriera e imprenditoriale, che punta ad acquisire le terre delle famiglie in declino. Il romanzo si incentra su maestro-don Gesualdo, un muratore con granfiuto per gli affari: partendo

da una condizione di un manovale, accumula grandi ricchezze, la cosidetta roba, diventa capomaestro, poi ottiene appalti di opere pubbliche e infine ottiene il controllo della

produzione agricola di un territorio vastissimo.

Per avere un riscatto anche a livello sociale, lascia la domestica Diodata con cui aveva avuto due figli, per sposare l’aristocratica Bianca Trao. Da questo matrimonio nasce Isabella,

forse concepita dalla relazione precedente della madre, e viene viziata fin da piccola. Comunque scappa col cugino e per difendere l’onore della famiglia viene data in sposa al duca di

Leyra, che accetta per la sua ricca dote. Gesualdo, dopo la morte della moglie e colpito da un cancro, si trasferisca dal genero a Palermo, dove assiste al tramonto di tutti i suoi

successi e capisce che la roba accumulata si è polverizzata nel nulla. È rimasto solo, non ha affetti ne priorità della vita, e muore, in una stanza vuota senza l’affetto neanche dei

servitori.

Il narratore assume una prospettiva corale dei suoi personaggi. Lo sfondo non è un contesto omogeneo: la cittadina del protagonista è Vizzini, è abitata da braccianti, operai ed

aristocratici. La narrazione del coro è quindi affidata a personaggi di ogni estrazione sociale, ognuno dei quali parlano col proprio linguaggio e il proprio stile, tramite anche il

discorso indiretto libero (voce di una popolana si mescola con quella di una nobile ad esempio). L’ital iano parlato, infatti, si alterna con l’italiano colto e mondano dei salottini biliari.

La plurità della narrazione dona una lettura discordante e molteplce, attuando pienamente la tecnica dell’impersonalità, si apre a un realismo totale che va verso alle opere di Honoré

de Balzac.

Mastro-Don Gesualdo è ossessionato dal denaro, viene travolto dalla sua stessa amizione. Ha un’identità sociale ambigua, come se fosse sdoppiata: il nome è formato, infatti, da due

appellativi contrapposti:

- mastro, manovale di origine popolana; - don, un epiteto che si usa davanti ai nomi dei nobili e dei possidenti.

Questo tentativo di unire due ruolo sociali fallisce e costringe Gesualdo a:

- tagliare i ponti con la famiglia d’origine, i cui membri sono da lui considerati volgari, inetti e fannulloni;

- interrompere anche la sua relazione sentimentale con Diodata, per prendere una moglie che sia all’altezza delle sue ambizioni;

- allontanare tutti gli affetti per la propria affermazione e per la passione che ha per la roba.

Al contrario, però, avviene una sciccione sociale in quanto, da un lato resta un uomo d’affari che cerca di raggiungere il proprio interesse economico, dell’altro un uomo solo e con

una vita senza senso, di tre famiglie diverse ma non appartente a nessuno di queste. È distante da:

- dal padre Nunzio, capofamiglia ma vecchio patriarca che procura solo problemi finanziari;

- dalla moglie Bianca, aristocratica ma con l’obbiettivo di vivere secondo il senso superiorità generato dall’orgoglio di casta;

- dalla figlia, che conosce il padre quanto lui è in punto di morte, con una completa indifferenza.

Il racconto si conclude con Gesualdo che muore solo e infelice, illuso dal successo del progresso. Anche i domestici, nei suoi ultimi istanti di vita, mostrano il loro fastidio nel dover

accudire un uomo appartenente alla loro stessa classe sociale, osservando cond istacco le atroci sofferenze, senza rispetto neppure per il suo cadavere. Il don diventa stesso lui un cosa,

un uomo-roba che ha cercato per tutta la vita.


È un romanzo realistico, con pathos nostalgico e ironico. Lo sfondo rimanda al disicanto di un’epoca ormai passata, è un romanzo senza mito, in quanto viene spazzato via il mito del

successo individuale ed economico. Le preoccupazioni del protagonista finiscono con confisca dei propri beni, dovuta alle spese del duca di Leyra, che polverizza, insieme agli averi di

mastro-don Gesualdo, tutti gli sforzi e i sacrifici da lui impiegati per accumularli. La roba mostra la propria inconsistenza e fugacità e l’identificazione tra la vita e la roba su cui il

protagonista fonda la propria esistenza si rivela una scelta priva di senso.

Potrebbero piacerti anche