Sei sulla pagina 1di 3

LUIGI CAPUANA

Nasce in Sicilia, conosce Verga nel 1864 e diventa critico teatrale del quotidiano «La Nazione», attività che ispira il libro Il teatro italiano

contemporaneo. Nel 1877 si trasferisce a Milano, inzia a collaborare con il «Corriere della sera» come critico letterario e teatrale, e recensisce

L’ammazzatoio di Zola. Nel 1879 scrive Giacinta, primo esempio di letteratura naturalistica in Italia, in quanto ospita un caso di psicopatologia

femminile e mette insieme alcune suggestioni della medicina positivista, con il principio dell’ereditarietà e con il Determi-nismo. Capuana valorizza

per primo l’opera di Verga, nella sua recensione del 1881 ad I Malavoglia.

Nel 1881 inizia la stesura del suo capolavoro, Il marchese di Roccaverdina, che pubblicherà vent’anni più tardi. Il romanzo racconta il dramma

psicologico di un nobile che costringe la sua amante Agrippina, di umili condizioni, a sposarsi con un suo sottoposto Rocco, per non disonorare il

proprio nome. Il marchese è accecato dalla gelosia, tanto da uccidere lo sposo ed incolpare dell’omicidio un contadino. La vicenda diviene un caso

clinico di psicosi poiché il rimorso conduce il marchese alla follia. Se in un primo momento la superiorità sociale del nobile sembra trionfare a scapito

delle persone più umili, in realtà il protagonista incarna già la figura dell’antieroe novecentesco, che si arrovella tra i sensi di colpa e i dubbi, fino a

perdere la ragione. Il tormento nella coscienza, la centralità dei rapporti di forza e le relazioni sociali sono analizzati secondo la relazione individuo -

sfondo storico e sociale.

Capuana pubblica anche due raccolte di novelle, Le appassionate (1893) e Le paesane (1894), che, con stile realistico ed ironico, raccontano i

personaggi, la vita e le abitudini della provincia siciliana. Sul piano teorico, negli Studi sulla letteratura contemporanea (1880-82) Capuana raccoglie le

sue recensioni su Zola e Verga, al fine di promuovere la narrativa come uno studio di documenti umani, attraverso il metodo oggettivo e impersonale.

Nel 1898 pubblica Gli ismi contemporanei, dove prende le distanze dal metodo sperimentale di Zola e dall’impegno politico-sociale delle sue opere, e

ribadisce, come Francesco De Sanctis, la priorità della forma e l’autonomia del testo. Il Verismo di Capuana si concentra più sugli aspetti legati

all’elaborazione letteraria dei temi trattati che sulla loro funzione di denunciare le problematiche sociali.
FEDERICO DE ROBERTO

Federico De Roberto nasce a Napoli il 16 gennaio 1861 da un ufficiale napoletano eda una nobile siciliana. Si trasferisce a Catania, dove studia e si

iscrive all’università, che abbandona per dedicarsi al giornalismo. A partire dagli anni Ottanta, collabora a diversi giornali nazionali ed entra in

contatto con Verga e Capuana. Si crea uno stile personale e riunisce le sue riflessioni in una raccolta di recensioni di opere italiane e francesi, intitolata

Arabeschi. Pubblica due raccolte di novelle di matrice verista: La sorte(1887) e Documenti umani (1888). Dal 1889, soggiorna a Milano e, con Verga,

frequenta gli ambienti letterali, nei quali affina il suo stile, sviluppando una particolare attenzione per i comportamenti e per la psicologia dei

personaggi: nasce il ciclo dei tre romanzi dedicati agli Uzeda di Francalanza (antichi viceré di Sicilia)

- L’illusione (1891); - I Viceré (1894); - L’imperio (pubblicato postumo nel 1929).

Tra il 1908 e il 1913 soggiorna a Roma. Quando scoppia la Grande Guerra, torna a Catania, poi la morte di Verga e la malattia della madre lo

portano alla depressione. Si isola, si impoverisce e muore il 26 luglio 1927 a Catania, pochi mesi dopo la scomparsa della madre.

Nelle prime due raccolte di novelle, compaiono ambientazioni contadine e paesane, secondo il modello verghiano, ma anche ambienti di altri classi

sociali, come quella della nobiltà parassitaria e della borghesia che vive nella sua orbita. Anche se il racconto è oggettivo (nel parlare del disfacimento

delle classi altolocate, segnate da infedeltà e disastri familiari, da rovine economiche e debiti), l’autore individua le cause non nelle condizioni

ambientali ma nella psicologia e nella fragilità umana. L’opera più importante di De Roberto è il ciclo di tre romanzi sulla nobile stirpe catanese degli

Uzeda di Francalanza, iniziata tra la fine del Regno delle Due Sicilie e i primi decenni del Regno d’Italia.

Il primo romanzo, L’illusione, ha come protagonista la nobile siciliana Teresa Uzeda, cugina del capostipide della famiglia. Lo sfondo è quello di una

società nobiliare e patriarcale, nella quale viene raccontata la biografia di questa donna, fatta di illusioni giovanili, tradimenti e cedimenti che la

porteranno all’infelicità e al disincanto dell’età adulta. Viene utilizzata l’impersonalità tramite il discorso indiretto libero (non come Verga tramite la

regressione del narratore).

Il secondo romanzo, I vicerè, narra le vicende degli Uzeda di Francalanza nel periodo che va dal 1855 al 1882. È una famiglia dilaniata all’interno ma

compatta nella difesa dei propri privilegi. L’inganno, l’avidità e l’arroganza caratterizzano:

- i conflitti feroci tra il primogenito Giacomo e il contino Raimondo per l’eredità;

- la ricerca dell’utile personale da parte delle figure religiose (don Blasco e il monaco benedettino Ludovico);

- le carriere politiche del vecchio Gaspare, duca d’Oragua, e del giovane Consalvo. Entrambi sono interessati al potere e al mantenimento dei

privilegi economici e sociali della famiglia, minacciati dal nuovo assetto politico-istituzionale. Per salvaguardare questi, si adattano e

cambiano bandiera politica in relazione alle trasformazioni della storia, senza alcun ideale o principio morale.

La vicenda è narrata dal punto di vista di Giovannino Radalì, che paga con il suicidio la frustrazione personale di non poter aver in sposa Teresa

Uzeda (che viene concessa a suo fratello) e la delusione storico-politica di non assistere a un ricambio delle classi dirigenti dopo l’Unità d’Italia. Si

riconosce la totale diffidenza dell’autore nel processo di unificazione e negli ideali risorgimentali, e la sfiducia in un possibile riscatto economico e

sociale della Sicilia.


La storia è protagonista ma è raccontata attraverso la cronaca, le azioni, i dialoghi, le considerazioni dei singoli personaggi. Non è un racconto storico

data la mancanza di una tesi di fondo, ma più un racconto verista. Il discorso è spesso lasciato alla voce dei protagonisti, che seguono la propria

soggettività e il proprio interesse personale. Il loro linguaggio è costruito sui modi di dire sui proverbi e su alcune espressioni del parlato, spesso

ironicamente in collisione con la loro aristocraticità. L’intreccio di queste voci soggettive danno la forma di una polifonia narrativa, che anticipano

l’Espressionismo di inizio Novecento.

Altro tema è la teoria sulla razza, ripresa in chiave ironico - parodica: gli Uzeda sottolineano la loro appartenenza a una stirpe che li rende originali e

famosi, ma questo loro orgoglio è solo per il perseguimento e il mantenimento del loro potere.

Il terzo romanzo, L’imperio, fu iniziato nel 1894 e ha una struttura narrativa duplice: racconta in parallelo:

- le vicende dell’ultimo discendente degli Uzeda, Consalvo, all’interno del contesto politico romano. Il principe intraprende un’importante

carriera politica;

- la vita del giornalista Federico Ranaldi, che, fedele agli ideali risorgimentali, osserva la corruzione della politica romana e la mancanza di

scrupoli del nobile deputato. L’uomo torna al suo paese con un totale rifiuto della società moderna. Pensato come continuazionedei Viceré,

il romanzo fu poi lasciato incompiuto dall’autore e pubblicato postumosoltanto nel 1929

Potrebbero piacerti anche