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GIOVANNI VERGA.

LA VITA.
Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840 in una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Egli
studia alla scuola privata dello scrittore e giornalista Antonino Abate trasmette la passione per
la letteratura e vivaci ideali patriottici, tanto che a soli sedici anni compone una bozza di
romanzo storico, Amore e patria, rimasto inedito. L’impresa della spedizione dei Mille
compiuta in Sicilia da Garibaldi lo segnerà profondamente, tanto da rimanere sempre fedele al
culto del Risorgimento e dell’unità nazionale. Nel 1861-62 dirige alcuni giornali patriottici e
pubblica il romanzo storico I carbonari della montagna con il denaro ricevuto dal padre per
completare gli studi giuridici. Nel frattempo, si arruola per 4 anni nella Guardia Nazionale di
Catania, istituita dopo l’arrivo di Garibaldi in Sicilia. Nel 1863 pubblica a puntate su una rivista
fiorentina un nuovo romanzo ambientato a Venezia, Sulle lagune, in cui lo sfondo storico è
intrecciato al tema dell’amore sfortunato. All’età di 25 anni, Verga lascia la Sicilia per recarsi a
Firenze. Lì comincia a frequentare gli ambienti culturali alla moda e aspira prepotentemente al
successo: non a caso il protagonista del suo nuovo romanzo, Una peccatrice (1866), è un
giovane scrittore che ottiene fama e ricchezza. A Firenze conosce i poeti tardo-romantici e i
pittori macchiaioli che lo mettono in contatto con il realismo francese di metà secolo. A questi
anni risale anche l’inizio dell’amicizia con Luigi Capuana che avrà un ruolo centrale nella sua
evoluzione artistica. Nel 1870 lo scrittore ottiene successo con Storia di una capinera,
pubblicato a puntate su una rivista popolare di moda. Ispirato a un fatto di moda, il romanzo
narra la vicenda di una fanciulla, costretta dalla matrigna a farsi monaca contro la sua volontà e
a rinunciare all’amore. Alla fine del 1872 Verga decide di trasferirsi a Milano, dove la vita
culturale è più moderna e avanzata. Rimarrà nella città lombarda per vent'anni e qui scriverà le
sue opere principali, godendosi appieno la vita culturale e mondana dei teatri e dei salotti.
Verga comporrà romanzi i cui protagonisti sono giovani nobili o artisti in cerca di affermazione
e donne bellissime e fatali il tutto arricchito da duelli, lusso sfrenato, malattie inguaribili-che gli
garantiranno il successo del pubblico. Di questo genere sono Eva del 1873, Tigre reale e Eros
usciti nel 1875 e, anni dopo. Il marito di Elena, pubblicato nel 1882. Nei romanzi milanesi si
percepiscono i contatti con gli ambienti della scapigliatura, ma è indubitabile anche una certa
componente autobiografica nella creazione di una serie di personaggi ambiziosi che si sono
allontanati dalla terra di origine. La svolta poetica di Verga avviene nel 1878 con la
pubblicazione della novella Rosso Malpelo, prima opera verghiana che segue le tecniche
dell’impersonalità proposte dal naturalismo francese e prima di una serie di novelle ambientate
in Sicilia, raccolte in Vita dei campi. Nel 1880, lo scrittore inizia una relazione con Giselda
Fojanesi che durerà alcuni anni e l’anno seguente, nel 1881, egli pubblica I Malavoglia, primo
romanzo del ciclo dei Vinti che mostra i risvolti negativi del progresso e che realizza
perfettamente la tecnica dell’impersonalità. L’opera tuttavia non ottenne il successo desiderato
dall’autore che rimase profondamente deluso. Nelle opere successive, l’autore descrive in modo
crudo e realistico la società e le relazioni tra i suoi componenti, puntando l’accento su aspetti
legati all’egoismo. Nel 1888 pubblica il secondo romanzo del ciclo dei Vinti, Mastro-don
Gesualdo, il cui protagonista incarna la perdita dei valori umani e degli affetti in cambio del
successo economico. Nel 1893 Verga torna definitivamente a Catania. Il ritorno nella sua città
natale ha sicuramente a che fare con la crescente sfiducia dell’autore di poter conquistare il
pubblico moderno, ormai orientato verso opere lontane dal verismo. Dopo il ritorno in Sicilia,
nello scrittore predomina un senso di stanchezza e distacco: egli lavora a lungo sul terzo
romanzo del ciclo dei vinti, La duchessa di Leyra, ma non riesce ad applicarvi le tecniche
veriste, pertanto l’opera rimarrà incompiuta. Negli anni successivi, egli si rivolgerà al teatro con
la Lupa e Dal tuo al mio, dramma che descrive le lotte dei lavoratori in una zolfara (giacimenti
di zolfo). In ambito politico, egli assume atteggiamenti sempre più conservatori, approvando
dapprima la repressione dei moti a Milano attuata dal generale Beccaris e poi dichiarando la sua
ostilità al movimento socialista. Nel 1915 si schiera a favore degli interventisti per il primo
conflitto mondiale e successivamente guarderà con simpatia agli ideali del movimento fascista.
Nel 1920, in occasione del suo 80 compleanno, vengono organizzate cerimonie solenni in suo
onore a Roma, a cui tuttavia lo scrittore non prende parte, data la sua scelta di ritirarsi a vita
privata. Verga muore a Catania il 27 gennaio 1922.
LA POETICA E L’IDEOLOGIA.
Dopo le prime prove, ispirate a un romanticismo patriottico, trasferitosi a Firenze e in seguito a
Milano, Verga abbandona il tema storico-politico per descrivere la realtà contemporanea,
raccontando episodi di amori tormentati e passionali. Determinante nell’orientare la produzione
di Verga in questo periodo è la ricerca del successo, che induce lo scrittore ad adeguare la
materia dei suoi nuovi romanzi ai gusti dei lettori. Fondamentali nella scelta di un realismo è
anche il contatto di Verga con gli ambienti scapigliati milanesi e la presa di coscienza da parte
dell’autore della crisi degli ideali risorgimentali (e degli ideali in genere), a cui segue il
maturarsi di un'idea di società cinica e materialista, in cui l'arte è destinata a essere ridotta a
merce. In un mondo dominato dal progresso e dal successo economico l'arte non può più
aspirare a nobili obiettivi. Con il mondo rappresentato, lo scrittore siciliano ha però un rapporto
contraddittorio: da un lato si rende conto delle patologie che quella società produce, dall'altro è
attratto dal lusso e dai piaceri della mondanità ed è affascinato dalle figure di donne bellissime e
"fatali". Lo stile è molto diverso rispetto alla grande narrativa verghiana successiva: si può
infatti definire "eccessivo”, enfatico, spesso addirittura melodrammatico.
LA SVOLTA VERISTA.
A cavallo tra il 1877 e il 1878 Verga partecipa in prima persona alla definizione del verismo
italiano, il cui principale teorico è l'amico Luigi Capuana e nel 1878 pubblica Rosso Malpelo.
Appassionato lettore di Zola, Verga accoglie e sviluppa nelle sue opere l'idea di una narrativa
ispirata al materialismo positivistico, che si faccia documento realistico della società tra verso
una scrittura basata sul principio dell'"impersonalità “che lo scrittore siciliano interpreta in
modo ben più rigoroso di Zola. L'influenza del naturalismo è evidente anche nell'intenzione da
parte di Verga di realizzare un "ciclo di romanzi: il progetto è annunciato in una lettera scritta a
24 aprile 1878 da Verga all'amico Salvatore Paola Verdura (→TBOL). Di grande importanza è
l'idea che alla descrizione di differenti ambienti debba corrispondere l’invenzione di un livello
linguistico e uno stile di volta in volta differenti.
Verga teorizza la sua adesione alla poetica dell'impersonalità soprattutto nell'importante lettera
dedicatoria al Farina, inserita nella prefazione dell’opera L’amante di Gramigna, che fa parte
della raccolta Vita dei Campi. Nello scritto Verga espone la teoria dell’impersonalità e intende
lasciar parlare i fatti, così che la mano dell'artista resti completamente invisibile.
• L'eclisse dell'"autore": La narrazione "impersonale" non reca alcuna traccia della visione del
mondo dell'autore (che sembra quasi 'eclissarsi') a differenza del narratore onnisciente
tipicamente ottocentesco (Manzoni, Balzac ecc.), che non solo fornisce informazioni sui luoghi
e circostanze in cui avvengono le azioni, ma interpreta e giudica la psicologia e gli stati d'animo
dei personaggi.
• La regressione del narratore: In particolare nei racconti e romanzi ambientati nel ceto
popolare, Verga attribuisce la narrazione a una voce anonima, che sembra far parte della stessa
collettività. Il narratore parla la stessa lingua dei personaggi e condivide con essi persino la
superstizione e l'ignoranza;
• Il narratore popolare: Conseguenza dell'artificio della regressione è la comparsa, nei testi
verghiani d'ambiente popolare, di un narratore (individuale o collettivo) appartenente al mondo
dei personaggi. Tipico di quest’ultimo è l'uso di modi di dire, frasi proverbiali, riferimenti a
eventi passati del paese.
• Il discorso indiretto libero è una particolare modalità narrativa, finalizzata a riprodurre con
immediatezza il contenuto di discorsi o pensieri di un personaggio: un discorso indiretto che
accoglie dentro di sé elementi, inserti e strutture grammaticali del discorso diretto (da qui la
definizione di discorso indiretto libero).
• Lo straniamento È un procedimento che consiste nel mostrare un fenomeno o dei valori
normali come strani presentandoli da un'ottica diversa da quella comune. Ad esempio nei
Malavoglia l'onestà dei protagonisti è presentata dal punto di vista straniante (distaccato) dei
loro compaesani che giudicano tutto in base ai loro interessi economici.
La visione della realtà umana maturata da Verga si fonda su una riflessione critica relativa ai
cambiamenti economici, sociali e politici di un'Italia in cui si sta avviando il processo di
industrializzazione. Manca però a Verga la fiducia che la scienza e l'azione sociale possano
produrre effettivi miglioramenti nella società. Quella di Verga è infatti una concezione
pessimistica, fatalista, in cui la realtà è vista come tragicamente immobile e regolata in modo
esclusivo dalle leggi "naturali" dell'egoismo e della lotta darwiniana per la sopravvivenza. Il
pessimismo verghiano è enunciato forse nella maniera più radicale dal lucidissimo protagonista
della novella Rosso Malpelo.
L'impossibilità di un vero progresso all'interno della storia è il principio su cui si basa il ciclo
dei Vinti, ovvero un progetto di cinque romanzi (di cui Verga concluse solo i primi due, I
Malavoglia e Mastro-don Gesualdo) incentrati sulla lotta per il miglioramento delle condizioni
di vita e l'affermazione sociale di personaggi appartenenti a tutte le classi sociali. Tale lotta è
arricchita di difficoltà, brevi successi, delusioni, e culmina in un'inesorabile sconfitta. Da qui il
titolo scelto da Verga per il ciclo: i Vinti. Di fronte al mito trionfalistico del progresso, l’autore
sceglie di rappresentarne il risvolto negativo, i costi umani che comporta. Da lontano, come
scrive nella Prefazione ai Malavoglia, il progresso è grandioso, visto da vicino rivela
sofferenza, meschinità, egoismi.
Nelle novelle di Verga, sono ancora presenti alcuni valori positivi come la famiglia, il lavoro, la
casa. L’attaccamento a questi valori è l’unico modo, secondo l’autore, che i deboli hanno per
contrastare la modernità divoratrice del progresso. Tale considerazione di Verga viene da lui
stessa definita ideale dell’ostrica: come quest’ultima vive al sicuro attaccata al suo scoglio, così
la povera gente può vivere meglio se aggrappata alle proprie radici, lontano dall’aggressività dei
cambiamenti storici ed economici. D’altra parte, anche nelle comunità in cui si riescono a
preservare questi valori sono presenti comunque disvalori.
ALLA RICERCA DEL VERO.
Nel secondo Ottocento, con i racconti degli scapigliati e poi dei veristi, anche in Italia afferma il
genere della moderna narrazione breve, che in Europa stava conoscendo uno straordinario
sviluppo. Nel decennio più creativo della sua attività di scrittore (1880-1889), Verga scrive un
gran numero di novelle, inserite in otto raccolte. Dopo l'accoglienza entusiastica del pubblico e
dei critici per la novella Nedda (1874 La storia patetica di una raccoglitrice di olive) già nel
1876 mette insieme la prima raccolta (Primavera e altri racconti). A partire da questi anni la
narrazione breve diverrà il genere in cui Verga attuerà diverse sperimentazioni stilistiche e
tematiche. La sperimentazione compiuta dall’autore nel campo novellistico non si limita alla
descrizione del popolare e contadino siciliano, ma si proponeva di rappresentare in modo
realistico altri contesti e categorie sociali. Le tecniche narrative sono man mano adattate alle
diverse circostanze e realtà sociali che l’autore vuole descrivere. Rimane inoltre stabile la
prospettiva realistica, ma col passare degli anni, essa diventa sempre più negativa la percezione
che l’autore ha della realtà sociale, in cui vede esprimersi l’egoismo della lotta per la
sopravvivenza all’interno di rapporti degradati e falsi
VITA DEI CAMPI.
La stagione verista si apre con lo straordinario racconto Rosso Malpelo (1878), che presenta
molti degli elementi caratteristici di questo nuovo stile letterario. L'ideazione dei racconti che
entreranno a far parte di Vita dei campi è contemporanea a quella dei Malavoglia, con cui
condivide l'ambientazione siciliana e l'applicazione delle nuove tecniche narrative. Alcune
novelle testimoniano uno stretto rapporto con il romanzo: in particolare, nella novella
Fantasticheria sono delineati i principali personaggi dei Malavoglia. Il volume è stato
pubblicato nel 1880 e raccoglie otto novelle, tutte precedentemente uscite in diverse riviste tra
l'agosto 1878 e il luglio 1880: Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, Cavalleria
rusticana, La Lupa, L'amante di Gramigna, Guerra di Santi, Pentolaccia. I protagonisti sono
contadini, pastori, minatori siciliani che si muovono in una campagna arcaica in cui domina il
latifondo e che non ha in genere, nulla di idillico (pastorale, bucolico) e nostalgico.
LE NOVELLE RUSTICANE.
Le Novelle rusticane sono una raccolta di novelle composte da Giovanni Verga a cavallo tra il
1881 e il 1882 in cui appaiono tutte le tematiche del verismo come le condizioni socio-
economiche della Sicilia dell'epoca, le vicende degli umili, l'accumulo della "roba". L’ambiente
naturale e sociale in cui svolgono le vicende è lo stesso di Vita dei campi. Tuttavia, in questo
caso, c’è una prevalenza del tema economico e vengono meno quei personaggi quasi
"leggendari" che nelle novelle della raccolta precedente si contrapponevano all'inautenticità
(falsità) dei rapporti sociali: non a caso la maggior parte dei titoli fa riferimento a concetti o
entità astratte (La roba, Malaria, Libertà). Miseria, rassegnazione, malattia sono descritte
all'interno di un paesaggio ostile, quasi proiezione simbolica di uno stato di abbandono, in
particolare nella novella Malaria. Quest'ultima, come I Malavoglia, mette al centro la decadenza
di una famiglia e rappresenta in modo esemplare la rassegnazione di fronte al dominio del
fattore economico. Da questa condizione per Verga è impossibile riscattarsi e i tentativi di
cambiamento hanno sempre esiti negativi, come risulta evidente nella novella Libertà, in cui
emergono le posizioni politiche e ideologiche dell'autore. Nella novella, si ritrae con crudo
realismo la violenza inutile dei contadini, che sfogano la loro rabbia massacrando i
"galantuomini" del paese: alla fine saranno ristabiliti i rapporti sociali precedenti alla rivolta. Il
protagonista della novella più nota delle Rusticane, La roba, Mazzarò, è forse l'unico "eroe"
presente nella raccolta, anche se in senso completamente negativo. Egli lotta tutta la vita per il
possesso della "roba", che diventa per lui un'ossessione e annulla ogni altro sentimento; alla fine
della vita impazzisce, dopo essersi reso conto che dovrà inevitabilmente abbandonare, morendo,
tutte le proprietà che ha accumulato. Il pessimismo di Verga è presente in tutte le Novelle
rusticane: il desiderio di libertà è trasformato in violenza irrazionale; anche chi sembra ottenere
il successo economico vive una vita di stenti al servizio di uno scopo - accumulare, possedere
che alla fine si rivela in tutta la sua inutilità.
DOPO LE RUSTICANE.
Prima della pubblicazione del Mastro-don Gesualdo, alla cui stesura Verga è impegnato fin dal
1882, escono ancora tre raccolte di novelle: Per le vie (1883), Drammi intimi (1884) e
Vagabondaggio (1887). La prima raccolta comprende racconti di ambientazione milanese e
operaia. Verga intendeva completare l'indagine sociale iniziata in ambiente contadino con Vita
dei campi, rivolgendo questa volta l'attenzione al proletariato urbano. Sempre presente è il tema
economico, messo ancor più in evidenza dal divario tra la ricchezza e la povertà cittadina; gli
ambienti sono anche più squallidi di quelli campestri. Nel complesso, domina la tristezza, la
delusione nella possibilità di vivere sentimenti autentici, la solitudine, rappresentata in modo
drammaticamente esemplare dalla novella finale, L'ultima giornata, in cui il protagonista, senza
lavoro e privo di relazioni umane, muore suicida buttandosi sotto un treno. Le altre due raccolte
analizzano i diversi contesti sociali e sperimentano soluzioni narrative che verranno realizzate
nel Mastro-don Gesualdo.
MASTRO-DON GESUALDO.
Verga inizia a lavorare al Mastro-don Gesualdo, secondo romanzo del ciclo dei Vinti, nel 1881,
lo stesso anno in cui pubblica I Malavoglia, accolti freddamente dalla critica e dal pubblico. La
stesura del nuovo romanzo impegnerà Verga per lunghi. Pubblicato a puntate sulla «Nuova
antologia» (1888), alla fine Mastro-don Gesualdo esce in volume presso l'editore Treves nel
1889. È lo stesso anno in cui D'Annunzio pubblica Il Piacere, espressione di una sensibilità
letteraria del tutto nuova. Il verismo è in crisi e si stanno affermando modelli diversi, ma Verga
non intende tradire i presupposti teorici della sua poetica: con il nuovo romanzo allarga l'ambito
di indagine, adattando lo stile ad ambienti sociali più elevati e a stati d'animo più complessi. Ne
nasce un nuovo capolavoro, incentrato questa volta su un unico personaggio nodale, Mastro don
Gesualdo, di cui il romanzo segue l'ascesa economico-sociale e la decadenza, fino alla morte.
I fatti narrati si svolgono nella prima metà dell'Ottocento e gli avvenimenti storici influenzano
direttamente gli eventi. Verga ambienta anche questa volta il romanzo in Sicilia, in particolare
nella cittadina di Vizzini, presso Catania e nella campagna circostante. Le ambientazioni sono
parte fondamentale della narrazione: caratterizzano infatti l'appartenenza sociale dei personaggi
e focalizzano l'attenzione sul tema dell'ascesa sociale ed economica. Protagonista assoluto del
romanzo è Gesualdo Motta solitario "eroe della roba". La sua capacità di accumulare denaro
attraverso la rinuncia e il sacrificio è ripagata con un inevitabile sconfitta. Piu che dal punto di
vi economico, Gesualdo un vinto sul piano umano. Per la "roba" è disposto a vendere l'anima
ma in questo modo perde la sua identità e soprattutto la possibilità di instaurare qualsiasi
legame affettivo: incompreso dalla sua famiglia d'origine, che lo invidia è distante e
sostanzialmente disprezzato anche dalla moglie e dalla figlia. Termina così i suoi giorni nella
più disperata solitudine. Intorno al protagonista che primeggia ruotano figure di classi sociali
diverse, ma quasi tutte negative: da una parte la nobiltà decaduta dei Trao dei Leyra, i cui
rappresentanti si rivelano egocentrici e disutili alla società; dall'altra, i personaggi di umili
origini che, non avendo fatto fortuna come lui, lo invidiano e cercano anch'essi in ogni modo di
approfittare della sua ricchezza. Forse l'unico personaggio del romanzo che par essere definito
positivo (a cui è dato però pochissimo spazio nella narrazione) è la giovane contadina Diodata,
la serva-amante di Gesualdo, in cui si intravede un ultimo residuo dei veri valori, un affetto
sincero. Nella sua ascesa economica, Gesualdo ha qualcosa di epico, di eroico. Tuttavia non si
tratta di un personaggio positivo: pur muovendosi su uno sfondo ancora per certi versi arcaico,
egli incarna la moderna cultura del progresso, guardata da Verga in modo critico. All'etica
capitalistica, Gesualdo sacrifica il proprio tempo, un rapporto autentico con la; ma soprattutto
rinuncia ai veri affetti come quello per la fedele Diodata. Oltre che degli eventi e della malattia
che lo ucciderà, Gesualdo è vittima di sè stesso e dei falsi valori su cui ha costruito la sua
esistenza, autocondannandosi all'isolamento e all'emarginazione. Dal punto di vista narrativo e
stilistico, in Mastro-don Gesualdo, il procedimento della "regressione" del narratore e la
presenza di un narratore popolare non sono così evidenti come nei Malavoglia o in Rosso
Malpelo e questo può dare l'impressione di un romanzo per certi aspetti più "tradizionale”. Ciò
che soprattutto caratterizza il nuovo romanzo verghiano è la centralità assoluta del punto di
vista del protagonista: le vicende di Gesualdo sono presentate sia attraverso le sue parole che
attraverso i suoi pensieri.
I MALAVOGLIA.
I Malavoglia (1881) sono considerati il capolavoro di Verga. Ambientato in un borgo di
pescatori presso Catania, il romanzo narra le vicende della famiglia Toscano, soprannominata i
Malavoglia", negli anni d'Italia. La stesura dei Malavoglia impegnò Verga per non pochi anni
 La 21 settembre 1875, in una lettera all'editore Treves, lo scrittore accenna per la prima
volta alla composizione di Padron 'Ntoni, da cui prende avvio la progettazione del
romanzo e sulla quale incideranno in modo rilevante le riflessioni teoriche che in
parallelo Verga andava sviluppando.
 Nella lettera a Paolo Verdura del 21 aprile 1878 il bozzetto è già diventato un romanzo
 Il 24 agosto 1879 Verga pubblica la novella Fantasticheria in cui preannuncia i
personaggi del romanzo, indicando il tema centrale attorno al quale ruoteranno le loro
vicende.
 Nel gennaio 1881 Treves pubblica I Malavoglia. Il coraggioso tentativo di Verga di dar
vita a una narrazione radicalmente realista non viene premiato dal pubblico dei lettori.
LA VICENDA.
I Toscano, soprannominati Malavoglia, sono una famiglia unita di pescatori, che vive ad Aci
Trezza, un paesino presso Catania. La famiglia è composta dal nonno, padron, Ntoni, dal figlio
Bastianazzo, dalla moglie di quest’ultimo Maruzza, detta La Longa, e da cinque nipoti: 'Ntoni,
Luca, Mena, Alessi e Lia. I Malavoglia possiedono la casa dove abitano (la «casa del nespolo»)
e una barca (la Provvidenza). Nel 1863 il nipote maggiore 'Ntoni è chiamato al servizio di leva
sul continente, mettendo in difficoltà la famiglia che non può più contare sulle sue braccia.
Padron 'Ntoni decide di tentare un'operazione commerciale, acquistando a credito dall'usuraio
zio Crocifisso un carico di lupini (legumi) per rivenderli. Ma una tempesta fa naufragare la
Provvidenza. Il carico di lupini è perduto e nel naufragio muore Bastianazzo. Inizia per i
Malavoglia una sequenza di eventi negativi e luttuosi. Quando, rimessa in sesto la barca,
sembrano riprendersi e sperano di pagare il debito, muore Luca, il secondogenito. Un secondo
naufragio della barca costringe il nonno a vendere la casa del nespolo allo zio. Quando la madre
Maruzza muore di colera, 'Ntoni cerca fortuna altrove. Ritornato al paese povero come era
partito, si dà al contrabbando e finisce in carcere per aver accoltellato il brigadiere don Michele,
che ha una relazione con Lia, la sorella minore. La famiglia Malavoglia si disgrega: Lia, ormai
compromessa, fugge in città; Mena, su cui pesa il disonore della famiglia, si rifiuta di sposare il
carrettiere Alfio, di cui pure è innamorata; il nonno muore solo nell'ospedale di Catania. Una
sera ricompare 'Ntoni, uscito di prigione. Alessi gli offre di restare nella famiglia, ma egli si
rende conto che è ormai uno sradicato (disadattato, esiliato) e se ne va per sempre.
IL SISTEMA DEI PERSONAGGI E I LUOGHI DELL’AZIONE.
Il nucleo familiare dei Malavoglia è presentato al lettore nell'apertura del romanzo. Padron
'Ntoni (Antonio), marinaio e pescatore esperto, è il capostipite della famiglia. Egli è il custode
della tradizione e il difensore di una saggezza antica, espressa nei proverbi popolari a cui
continuamente ricorre. È un personaggio epico, che rimane sempre uguale a sè stesso e parla un
unico linguaggio. La sua onestà, il suo ostinato attaccamento ai valori tradizionali porteranno la
famiglia alla rovina. Suo opposto è il nipote maggiore 'Ntoni, che porta il suo stesso nome.
Dopo aver conosciuto la città di Napoli, 'Ntoni non riesce più ad accettare la vita dura di paese.
Egli cercherà prima inutilmente di fare fortuna altrove, poi si darà a una vita oziosa e
vagabonda e poi al contrabbando, per finire infine in prigione. Quando torna a casa dopo gli
anni passati in carcere, scopre che l'unico orizzonte accogliente era quello da cui ha voluto
allontanarsi e dove non gli è più possibile tornare perché si sente ormai irreparabilmente
"diverso". ‘Ntoni è diviso tra due mondi, estraneo ad entrambi. Si trova sempre fuori posto,
conosce la crisi, il dubbio e per questo si può considerare il personaggio più moderno del
romanzo. Bastianazzo (Sebastiano) e la moglie Maruzza (Mara detta la Longa) aderiscono ai
valori del lavoro, dell'obbedienza e della famiglia propugnati da padron 'Ntoni e sono destinati a
uscire di scene in modo tragico. La stessa dedizione alla famiglia la si trova in Luca, che accetta
senza protestare di prestare servizio militare al posto del fratello ‘Ntoni e muore nella battaglia
di Lissa. Tra le due ragazze della famiglia Malavoglia troviamo di nuovo un’opposizione: Mena
accetta l'etica del sacrificio e della rinuncia, mentre Lia è una ribelle come il fratello 'Ntoni.
Infine Alessi (Alessio), il più legato al nonno: tenace lavoratore, sposa la Nunziata e riesce a
riscattare la casa del nespolo. Alessi è il personaggio a cui è affidata la ricomposizione dell'etica
patriarcale. L’apparato di personaggi minori produce quella dimensione sociale della piccola
comunità su cui si misura l’onore della parola data e la dignità familiare. Nel complesso sono
rappresentati nel romanzo una quarantina di personaggi, ognuno con una caratteristica precisa:
attraverso le loro azioni e le loro parole, Verga riproduce in modo realistico le consuetudini e la
quotidianità di un piccolo paese siciliano. Fanno da sfondo alla vicenda i centri della comunità,
dove il popolo si riunisce e dove circolano veloci le informazioni che tendono l'immagine
pubblica dei Toscano con la loro vita privata. Non ci si allontana mai dai luoghi familiari al
narratore popolare, coerentemente con la poetica verista. Sempre presente nella vita e nei
pensieri degli abitanti del villaggio di pescatori, infine, il mare che alla fine del romanzo è
oggetto dell'ultimo sguardo di 'Ntoni, prima di allontanarsi per sempre da Aci Trezza.
IL DOCUMENTO DI UN MONDO CHE STA SCOMPARENDO.
La tragica vicenda della famiglia Malavoglia si inquadra in uno scenario storico specifico: il
romanzo può essere considerato uno spaccato della vita in Sicilia subito dopo l'Unità d' Italia,
quando nell'isola, agiscono forze contrastanti, tra mantenimento dei valori tradizionali e spinte
al cambiamento. Il rinnovamento sociale ed economico irrompe anche nella quotidianità del
piccolo paese di pescatori, sconvolgendo un mondo sempre uguale a sé stesso, fino ad allora
lontano dalla Storia. Il contatto con quest’ultima è vissuto dalla piccola comunità in modo
negativo, a partire dall’arruolamento (leva) obbligatorio imposta dallo stato, che costituisce il
principale motore delle disgrazie che travolgono la famiglia Malavoglia. Il nuovo governo
impone inoltre nuove tasse, particolarmente care per una comunità di piccoli pescatori e le
innovazioni tecnologiche, simbolo del progresso, sono viste dalla comunità paesana in modo
ostile o diffidente. Nel complesso, emerge nel romanzo una realtà lontanissima dalla sanità
popolare: il mondo di Aci Trezza non è un mondo idillico, ma una società feroce dove vige la
legge del più forte e migliora la posizione sociale con l’inganno. La scalata sociale, l’egoismo,
l’assenza di solidarietà dominano la comunità e solo i Malavoglia mantengono degli altri ideali
e sono fedeli ai valori patriarcali, tuttavia, proprio per questo, essi rappresentano il mondo del
passato, destinato alla sconfitta di fronte all’avanzata modernità. Il conflitto tra valori,
patriarcali e modernità si insinua all'interno della stessa famiglia Malavoglia. Padron 'Ntoni e il
giovane 'Ntoni, i due personaggi principali del romanzo, rappresentano infatti due visioni del
mondo contrapposte. Il nonno trova sicurezza nella rassicurante ripetitività delle azioni, che
accomuna gli uomini al mondo naturale. Al nipote sembra invece che le novità della storia, il
movimento, le città, siano portatori di progresso, benessere. Il fatalismo pessimista proprio della
visione verghiana non può però conformarsi con questa ribellione e vederne un esito positivo.
Proprio perché ha tradito le proprie origini, 'Ntoni non può essere che il vinto per eccellenza
nella storia dei Malavoglia.
LE TECNICHE NARRATIVE E LE SCELTE STILISTICO-LINGUISTICHE.
L'obiettivo di realizzare una narrazione in personale nei Malavoglia è affidato alla presenza di
una “voce corale” anonima: le vicende dei Malavoglia sono narrate in modo immediato,
attraverso il filtro di un punto di vista collettivo in sui riflette la comunità. Il romanzo realizza
con particolare coerenza l'artificio della regressione: il narratore popolare spesso dà la parola,
attraverso il discorso diretto, ai membri della comunità paesana, senza introdurre commenti,
utilizzazioni ripetizioni tipiche della cultura orale, formule, nomignoli, proverbi e immagini
tratte dalla vita popolare. È usato molto spesso il discorso indiretto libero senza privilegiare la
voce di un personaggio specifico: si ha in questo modo l'impressione di essere di fronte a una
visione degli avvenimenti legata all'opinione di tutti. L'inconciliabilità tra il punto di vista della
voce narrante e la prospettiva dell'autore (e presumibilmente dei lettori) provoca un effetto di
straniamento. Dal punto di vista linguistico, per rappresentare il mondo dei Malavoglia, l’autore
non ricorre al dialetto e utilizza raramente un lessico espressamente siciliano. Se da una parte
egli vuole seguire i principi del verismo - per cui il testo deve rispecchiare la realtà dei
personaggi, anche quella linguistica - dall'altra sente la necessità di adoperare una lingua
comprensibile da un numero di lettori il più ampio possibile per non relegare (destinare) la
propria opera ad una cerchia ristretta. La soluzione trovata da Verga è quella di scrivere in un
italiano che si configuri come il siciliano parlato del ceto popolare. Ciò viene realizzato
attraverso la sintassi: c’è dunque la prevalenza di periodi brevi, contrassegnati di frequente da
ripetizioni. Sempre tipico del parlato l'uso ridondante dei pronomi. Infine, il lessico risente
dell’influenza dialettale per la presenza di espressioni proverbiali.

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