Sei sulla pagina 1di 3

GIOVANNI VERGA

LA VITA
Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840, da una famiglia di agiati proprietari terrieri, con ascendenze nobiliari.
Compì i primi studi presso maestri privati.

I suoi studi superiori non furono regolari: iscrittosi a diciotto anni alla Facoltà di Legge a Catania, non terminò i corsi,
preferendo dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico.

Nel 1865 Verga lascia la provincia e si reca una prima volta a Firenze. Vi torna nel 1869 deciso a soggiornarvi a lungo,
consapevole del fatto che per divenire scrittore autentico doveva liberarsi dai limiti della sua cultura provinciale e
venire a contatto con la vera società letteraria italiana.

A MILANO: LA SVOLTA VERSO IL VERISMO

Nel 1872 si trasferisce a Milano, che era allora il centro culturale più vivo della penisola e più aperto alle sollecitazioni
europee. Frutto di questo periodo sono tre romanzi, Eva (1872), Eros (1875) e Tigre reale (1875), ancora legati a un
clima romantico. Nel 1878 avviene la svolta capitale verso il Verismo, con la pubblicazione del racconto Rosso Malpelo.
Seguono nel 1880 le novelle di Vita dei campi, nel 1881 il primo romanzo del ciclo dei Vinti, I Malavoglia, nel 1883 le
Novelle rusticane e Per le vie, nel 1884 il dramma Cavalleria rusticana, nel 1887 le novelle di Vagabondaggio. Del 1889
è il secondo romanzo del ciclo, Mastro-don Gesualdo. Negli anni successivi Verga lavora assiduamente al terzo, La
Duchessa de Leyra, ma non riesce a portarlo a termine.

A Milano soggiorna per lunghi periodi, alternati con ritorni in Sicilia. Dal 1893 torna a vivere definitivamente a Catania.
Dopo il 1903, l'anno di rappresentazione dell'ultimo dramma, Dal tuo al mio, lo scrittore si chiude in un silenzio
pressoché totale. La sua vita è dedicata alla cura delle sue proprietà agricole ed è ossessionata dalle preoccupazioni
economiche. Le lettere di questo periodo mostrano un inaridimento assoluto, anche della passione che fu la più
importante della sua vita, per la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo.

Muore nel gennaio del 1922.

LA SVOLTA VERISTA

Nel 1878 esce un racconto: si tratta di Rosso Malpelo, la storia di un garzone di miniera che vive in un ambiente duro e
disumano, narrata con un linguaggio nudo e scabro, che riproduce il modo di raccontare di una narrazione popolare. È
la prima opera della nuova maniera verista, ispirata ad una rigorosa impersonalità.

Verga possedeva strumenti ancora approssimativi e inadatti, poco personali e inquinati da una convenzionale maniera
romantica. L'approdo al Verismo è quindi una svolta capitale ma non una brusca inversione di tendenza.

Con la conquista del metodo verista Verga non vuole affatto abbandonare gli ambienti dell'alta società per quelli
popolari. Anzi, come afferma nella prefazione ai Malavoglia, si propone di tornare a studiarli proprio con quegli
strumenti più incisivi di cui si è impadronito.

LA POETICA DELL'IMPERSONALITÀ

Il nuovo metodo narrativo dello scrittore si basa sul concetto di impersonalità.

Già nel 1879, secondo la sua visione, la rappresentazione artistica deve possedere l’«efficacia dell'essere stato», deve
conferire al racconto l'impronta di cosa realmente avvenuta; per far questo deve riportare «documenti umani»; ma
non basta che ciò che viene raccontato sia reale e documentato: deve anche essere raccontato in modo da porre il
lettore «faccia a faccia col fatto nudo e schietto», in modo che non abbia l'impressione di vederlo attraverso «la lente
dello scrittore». Per questo lo scrittore deve: "eclissarsi" cioè non deve comparire nel narrato con le sue reazioni
soggettive, le sue riflessioni, le sue spiegazioni, come nella narrativa tradizionale. L'autore deve «mettersi nella pelle»
dei suoi personaggi, «vedere le cose coi loro occhi ed esprimerle con le loro parole».

In tal modo la sua mano «rimarrà assolutamente invisibile» nell'opera, tanto che l'opera dovrà sembrare «essersi fatta
da sé», «esser sorta spontanea come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore».
Il lettore avrà l'impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi.
Verga ammette che questo può creare una certa confusione alle prime pagine: però solo così, evitando l'intromissione
dell'autore che spiega e informa, si può creare «l'illusione completa della realtà» ed eliminare ogni
artificiosità letteraria.

LA TECNICA NARRATIVA

Nelle sue opere effettivamente l'autore si "eclissa", si cala «nella pelle» dei personaggi, vede le cose «coi loro occhi» e
le esprime «con le loro parole». A raccontare infatti non è il narratore "onnisciente" tradizionale.

È allo stesso livello dei personaggi.

Non è propriamente qualche specifico personaggio a raccontare, ma il narratore si mimetizza nei personaggi stessi,
adotta il loro modo di pensare e di sentire, si riferisce agli stessi criteri interpretativi, agli stessi principi morali, usa il
loro stesso modo di esprimersi. E come se a raccontare fosse uno di loro, che però non compare direttamente nella
vicenda e resta anonimo. Tutto ciò si impone con grande evidenza agli occhi del lettore perché Verga, nei Malavoglia e
nelle novelle, rappresenta ambienti popolari e rurali e mette in scena personaggi incolti e primitivi, contadini,
pescatori, minatori, la cui visione e il cui linguaggio sono ben diversi da quelli dello scrittore borghese.

Non solo, ma questo anonimo narratore, tipico delle opere verghiane che trattano di ambienti popolari, Vita dei campi,
I Malavoglia, Novelle rusticane, non informa esaurientemente sul carattere e sulla storia dei personaggi, né offre
dettagliate descrizioni dei luoghi dove si svolge: ne parla come se si rivolgesse a un pubblico appartenente a quello
stesso ambiente, che avesse sempre conosciuto quelle persone e quei luoghi.

Di conseguenza anche il linguaggio non è quello che potrebbe essere dello scrittore, ma un linguaggio spoglio e
povero, punteggiato di modi di dire, paragoni, proverbi, imprecazioni popolari, dalla sintassi elementare e talora
scorretta, in cui traspare chiaramente la struttura dialettale.

L’IDEOLOGIA VERGHIANA: IL «DIRITTO DI GIUDICARE» E IL PESSIMISMO

Verga ritiene dunque che l'autore debba "eclissarsi" dall'opera perché non ha il diritto di giudicare la materia che
rappresenta. Ma tale risposta sposta semplicemente la questione. Perché non ha diritto di giudicare? Alla base della
visione di Verga stanno posizioni radicalmente pessimistiche: la società umana è per lui dominata dal meccanismo
della lotta per la vita, un meccanismo crudele, per cui il più forte schiaccia necessariamente il più debole. Gli uomini
sono mossi non da motivi ideali (generosità), ma dall'interesse economico, dalla ricerca dell'utile, dall' egoismo, dalla
volontà di sopraffare gli altri.

Come legge di natura, essa è immodificabile: perciò Verga ritiene che non si possano dare alternative alla realtà
esistente, né nel futuro, in un'organizzazione sociale diversa e più giusta, né nel passato, nel ritornare a forme superate
dal mondo moderno, e neppure nella dimensione del trascendente la sua visione è rigorosamente materialistica e atea
ed esclude ogni consolazione religiosa, ogni speranza di riscatto dalla negatività dell'esistente in un'altra vita.

Ma se per Verga la realtà, per negativa che sia, è data una volta per tutte, senza possibilità di modificazioni, si può
capire perché egli non ritiene legittimo, per lo scrittore che la rappresenta, proporre giudizi. Se è impossibile
modificare l'esistente, ogni intervento giudicante appare inutile e privo di senso, e allo scrittore non resta che
riprodurre la realtà così com'è, lasciare che parli da sé, senza farla passare attraverso alcuna «lente» correttiva.

IL VALORE CONOSCITIVO E CRITICO DEL PESSIMISMO

Questo pessimismo conservatore non implica affatto, nella visione di Verga, e tanto meno nella rappresentazione
letteraria, un'accettazione acritica della realtà esistente, una sorta di connivenza con essa. Anche se non dà giudizi
correttivi, Verga rappresenta con grande acutezza l'oggettività delle cose, e le cose parlano da sé, eloquentemente. Il
pessimismo non è dunque un limite della rappresentazione verghiana, ma al contrario è la condizione del suo valore
conoscitivo e critico.

Anche se le opere veriste di Verga hanno per gran parte al centro la vita del popolo, non si riscontra in esse
quell’atteggiamento populistico che affligge tanta letteratura del secondo Ottocento, che consiste nella pietà
sentimentale per le miserie degli uomini delle classi sociali più basse.
Tracce di una simile tematica umanitaria e sociale si possono trovare nella materia in astratto di alcune opere veriste di
Verga:

 Rosso Malpelo
 I Malavoglia
 Mastro Don Gesualdo
 La Lupa

IL VERISMO DI VERGA E IL NATURALISMO ZOLIANO

Verga prese come modello letterario Zola, che all’ora faceva parte del naturalismo francese.

Verga si ispirò proprio al ciclo dei Rougon-Macquart per la realizzazione del Ciclo de Vinti, tuttavia, fra i due autori ci
sono delle differenze:

• Emile Zola è un naturalista francese, mentre Verga è un verista italiano.

• Zola narra le sue vicende attraverso una visione ancora tipica della borghesia del tempo, quindi, ancora con un
linguaggio ricercato e colto, inoltre il narratore interviene nella narrazione con giudizi sui personaggi. Verga invece
utilizza sempre il principio dell’impersonalità.

• Per il naturalismo e quindi per Zola, la scrittura (letteratura) deve analizzare in modo scientifico la realtà, essa è uno
strumento scientifico che può contribuire a cambiare la realtà. Per Verga al contrario, la realtà è immobile, non può in
nessun modo essere cambiata

Queste visioni diverse della realtà dei due autori derivano anche dall’ambiente in cui essi sono nati e cresciuti.

Emile Zola vive nella Francia già industrializzata e progressista, inoltre fa parte della Borghesia, ovvero la classe
trainante di quella società. Al contrario Verga nasce a Catania in un periodo in cui il sud e l’Italia in generale sono
ancora molto arretrati se paragonati cono il resto dell’Europa. Inoltre, al sud la società di quest’epoca è ancora fondata
sulle tradizioni, attaccata alla famiglia. Perciò egli ha una visione immobile, passiva e in un certo senso anche
rassegnata.

Potrebbero piacerti anche