VITA - Nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di proprietari terrieri. La sua formazione culturale fu irregolare
e si suddivise in diverse fasi: 1) inizialmente si dedicò alla letteratura romantica e più avanti alla lettura di opere di
scrittori francesi moderni; si recò a Firenze nel 1865 dove entrò in contatto con la vera e propria società letteraria
italiana. 2) Si trasferì a Milano dove entrò in contatto con l’ambiente della Scapigliatura, sempre legato ad un
clima romantico. 3) Nel 1878 avvenne la svolta verso il Verismo con la pubblicazione del racconto di “Rosso
Malpelo”, nel 1880 “Vita dei campi”, nel 1881 il primo romanzo del Ciclo dei Vinti “I Malavoglia”, nel 1889 il terzo
“Mastro-don Gesualdo”. A Milano soggiornò per lunghi periodi, alternati con ritorni in Sicilia, però nel 1893 tornò
a vivere definitivamente a Catania. Qui abbandonò la letteratura dedicandosi esclusivamente alle proprietà
agricole. Allo scoppio della prima guerra mondiale prese posizioni politiche conservatrici ed interventiste,
schierandosi dalla parte dei nazionalisti, pur sempre mantenendo un atteggiamento distaccato e non
impegnandosi in modo attivo. Morì nel gennaio del 1922, anno dell’inizio del Fascismo.
I ROMANZI PREVERISTI La produzione letteraria di Verga cominciò con i romanzi scritti a Firenze e Milano: si
tratta di romanzi alcuni sentimentali, altri che criticano una società materialista tutta orientata verso il piacere
ed il lusso. In questi romanzi emerge la protesta anti capitalista di Verga tipica della Scapigliatura, secondo cui
l’intellettuale veniva emarginato nella società borghese dominata dal principio del profitto. In realtà questi
romanzi appartengono ad un clima ancora tardo romantico, con un linguaggio molto emotivo e sentimentale,
ancora lontano dal Naturalismo.
LA SVOLTA VERISTA Verga, in altre opere precedenti, si era già dedicato alla rappresentazione del vero, tipica del
Naturalismo, ma era ancora legato ad uno stile e linguaggio romantico. Difatti si parla di “svolta verista” come una
conversione, poiché Verga già si stava avvicinando al mondo naturalista, i suoi due principi fondamentali: la
concezione materialistica della realtà e l’impersonalità. La svolta si verificò con il racconto di “Rosso Malpelo”, in
cui cominciò a trattare delle classi sociali più basse. Nonostante ciò comunque non vuole abbandonare gli
ambienti dell’alta società per quelli popolari: vuole analizzare prima le classi più basse perché meno complesse,
le considera come il punto di partenza del suo studio dei meccanismi della società, per poi applicare lo stesso
metodo con quelle più alte.
LA TECNICA NARRATIVA La tecnica narrativa di Verga è originale e si distacca dalla letteratura tradizionale sia
italiana che straniera. Si basa sul principio della regressione del punto di vista: il narratore assume il punto di
vista dei personaggi invece che esprimere il proprio; il narratore deve nascondersi, entrare nella psicologia del
personaggio e poi farlo parlare. L’autore e il narratore si abbassano al livello della mentalità dei personaggi, che è
primitiva e superstiziosa. Di conseguenza anche il linguaggio non è quello che utilizzerebbe l’autore, ma è il
linguaggio dei personaggi, fatto di modi di dire, proverbi, imprecazioni popolari, con una sintassi elementare e
a volte scorretta. Esiste nelle sue opere il discorso indiretto libero → quando il narratore dà indirettamente la
parola ai suoi personaggi e si omettono i verbi di dire o di pensare che introducono il miglioramento delle parole
dei personaggi.
IL PESSIMISMO DI VERGA Alla base del pensiero di Verga c’è una visione pessimistica del mondo: la società
umana è per lui dominata dalla legge della lotta per la vita, in cui il più forte schiaccia necessariamente il
debole. Gli uomini si disinteressano dai valori morali e sono solo spinti dall’interesse economico, dall’egoismo e
dalla volontà di sopraffare gli altri. Per Verga questa legge è una legge di natura, universale, che di conseguenza
non può essere modificata: da questa convinzione deriva il suo pessimismo. Inoltre la sua è una visione
materialistica e atea che esclude ogni consolazione religiosa. A causa di questo pessimismo un’altra caratteristica
che distingue le sue opere veriste è l’assenza di giudizio nei confronti della società, appunto egoista ed
esclusivamente interessata al profitto. Per Verga giudicare è inutile e senza senso perché la realtà non può essere
modificata. La letteratura quindi non può contribuire a cambiare o migliorare la realtà, ma si limita
semplicemente a studiarla e riprodurla fedelmente. Il pessimismo di Verga proviene da una sua posizione
conservatrice, contro le ideologie progressiste contemporanee che ritiene dannose per la società. Data l’assenza
di giudizio, Verga non propone delle alternative per il cambiamento della società ma ne mette in luce tutti gli
aspetti negativi in modo preciso e oggettivo. Si distacca dalla concezione secondo cui il progresso aiuta a
migliorare la società. Per lui il progresso distrugge tutto e tutti indipendentemente: anche il mondo della
campagna, che introduce nelle sue opere, non rappresenta un’alternativa al mondo industriale delle città, anzi
anche lui è dominato dall’interesse economico, sull’egoismo e sulla sopraffazione che pongono gli uomini in
costante conflitto tra di loro.
ROSSO MALPELO
Il racconto di Rosso Malpelo è quello che da inizio alla fase verista di Verga. Fu raccolto nel volume della Vita dei
Campi e pubblicato nel 1880. Verga da questo racconto comincia ad applicare i concetti fondamentali del
Verismo:
Trama: Il protagonista è Rosso Malpelo, un ragazzo chiamato così per il colore dei suoi capelli. Nessuno ricorda il
suo vero nome ma nella tradizione popolare siciliana i capelli rossi sono indice di cattiveria. Tutti trascurano e
trattano con disprezzo Malpelo, comprese la madre e la sorella che pensano che Malpelo rubi i soldi dello
stipendio che doveva portare a casa, e il ragazzo sviluppa un carattere scorbutico: il suo unico punto di
riferimento è il padre, Mastro Misciu, con il quale lavora in una cava di sabbia. Le cose cambiano quando un
giorno Mastro Misciu, per pochi soldi accetta di lavorare all’abbattimento di un pilastro all’interno della cava.
Questo pericoloso lavoro gli costa la vita: finisce sepolto sotto una montagna sabbia. La morte del padre colpisce
profondamente Malpelo che diventa ancora più cattivo. Alla cava arriva un nuovo lavoratore, un ragazzino
soprannominato “Ranocchio” perché zoppo. Tra Malpelo e Ranocchio nasce uno strano rapporto: da un lato
Rosso Malpelo protegge il nuovo arrivato ma dall’altro lo picchia e lo maltratta frequentemente per fargli
comprendere quel modo di vivere così crudele. Un giorno viene ritrovato il cadavere di Mascio Misciu e Malpelo
inizia a custodire come tesori gli oggetti appartenuti al padre, indossando i suoi vestiti. Nel frattempo muore
anche l’asino grigio e poco dopo Ranocchio si ammala di tubercolosi e muore. A questo punto Rosso Malpelo,
persi il padre, l’asino grigio e l’amico Ranocchio, rimane totalmente solo. Non gli resta che continuare a lavorare
nella cava ed accetta di esplorare una galleria abbandonata da cui non uscirà più.
Tecnica narrativa:
● Impersonalità e regressione del punto di vista: Rosso Malpelo viene associato ad un ragazzo malizioso e
cattivo per via dei suoi capelli rossi: non si tratta del punto di vista di Verga, ma quello della comunità che si
basa su delle convinzioni primitive e superstiziose. Questo è un perfetto esempio di regressione del punto di
vista, nello specifico un esempio di straniamento, che consiste nel far apparire strano agli occhi del pubblico
quello che, invece, appare normale agli occhi dei protagonisti (in realtà per noi avere i capelli rossi è una
cosa normale, ma in Rosso Malpelo leggiamo che avere i capelli rossi si associa all’essere una persona
cattiva).
● Straniamento e pessimismo: nonostante Malpelo sia cresciuto in un contesto disumano come quello della
cava, conservava comunque valori importanti come la pietà, l’amicizia e il senso di giustizia. Verga però
esercita un processo di straniamento che fa apparire questi valori strani quando dovrebbero essere
normali. Lo straniamento ha la funzione di negarli e renderli impraticabili in una società dominata dalla
legge della lotta per la vita, in cui il più forte vince sui più deboli e i sentimenti ed ideali non hanno
importanza. Con la scelta di narrare dal punto di vista degli operai della cava Verga esprime tutto il suo
pessimismo.
● Straniamento inverso: ciò che abitualmente dovrebbe sembrare strano, quindi il disinteresse e l’insensibilità
per i sentimenti e i valori, finisce per essere normale.
Analisi
➔ Verga si distacca dalle tendenze romantiche che idealizzavano il mondo rurale come una realtà a sé,
innocente ed autentica: attraverso il racconto di Rosso Malpelo dimostra come anche il mondo rurale sia
dominato dalle stesse leggi che regolano gli strati della società più evoluti (la legge della lotta per la vita).
➔ Inizialmente, a causa del narratore che riprende il pensiero della comunità, le azioni di Malpelo non
riescono ad essere comprese. Poi però emerge il suo punto di vista: Malpelo ha una visione pessimista della
realtà perché comprende perfettamente i meccanismi della legge della lotta per la vita, in cui prevale il più
forte e il debole viene inevitabilmente schiacciato, quindi si comporta di conseguenza.
➔ Rapporto con Ranocchio: Malpelo lo picchia, ma perché tenta di fargli comprendere anche a lui come
sopravvivere in quella realtà disumana della cava, in realtà gli vuole bene.
➔ Verga utilizza la figura di Rosso Malpelo come tramite per proiettare il suo pessimismo, il suo atteggiamento
consapevole ma allo stesso tempo rassegnato a causa di una realtà che non si può modificare: non c’è
speranza di cambiare le cose e quindi non propone neanche delle alternative (assenza di giudizio e commenti
personali).
Obiettivi dell’opera: 1) è una testimonianza del sistema di valori dell’epoca, fortemente condizionato
dall’ambiente sociale, che è responsabile di strutturare la mentalità dei personaggi, 2) descrive la realtà così
com’è, in modo oggettivo e reale, esponendo fatti veri, 3) la denuncia dei problemi sociali proviene dall’interno,
lo stesso Verga viveva sulla propria pelle la realtà siciliana, che era molto statica ed arretrata.
NEDDA
Nedda la varannisa (così chiamata perché viene dal borgo di Viagrande), è la storia di un'umile raccoglitrice di
olive che si svolge nelle campagne siciliane. La sua figura e la sua storia diventano la personificazione del
pessimismo verghiano.
Verga narra come un giorno, davanti al caminetto con il fuoco acceso, si ricordò di una fiamma vista ardere un
giorno nel camino della fattoria del Pino alle pendici dell'Etna. Intorno a quella fiamma, si stanno asciugando una
ventina di ragazze, raccoglitrici di olive, fradice di pioggia. Una sola tra loro resta in disparte, Nedda, diminutivo di
Bastianezza. Alle domande delle compagne, la fanciulla povera e timida, narra della sua miseria e della madre
gravemente malata. Alla fine della settimana, con i pochi soldi della paga, Nedda parte per ritornare a casa.
Nel tragitto incontra Janu, un giovane del suo paese che è stato a lavorare a Catania. Giunta a casa, trova la
madre quasi agonizzante e poi la donna muore. Dopo averla seppellita, Nedda accetta una nuova occupazione ad
Aci Catena.
Il lavoro è ora più redditizio e consente alla ragazza maggiore serenità; Janu dopo pochi incontri, le chiede di
sposarlo. Fra i due nasce un rapporto passionale e gioioso, ma che non porta alla felicità. Nedda infatti mostra
presto i segni infamanti di una gravidanza prematrimoniale; come se non bastasse, Janu si ammala di malaria e
tuttavia, per affrettare le nozze, non rinuncia a lavorare. Cade però da un ulivo e muore tra le braccia di Nedda.
La fanciulla rimane sola: abbandonata, disprezzata, sfruttata; presto le muore anche la figlioletta che ha avuto da
Janu e in cui Nedda aveva riposto tutte le speranze per raggiungere una felicità che, ovviamente, non arriva.
ANALISI Nedda segna l’inizio del secondo periodo dell’attività verghiana: l'autore tratta temi noti ma li ambienta
in un ambito contadino e rurale; i personaggi sono gli umili, gli ultimi, che tentano di trovare un modo di vivere
migliore, ma invano. Da questo momento in poi l’autore ritorna all’ambiente siciliano e alla descrizione nuda e
cruda delle miserie umane: la strada verso Vita dei campi e I Malavoglia è ormai tracciata. Nedda è un
personaggio di passaggio verso le opere veriste del narratore siciliano; ma già nella drammatica conclusione di
questa storia si può forse intravedere, attraverso la voce di Nedda stessa, qualcuno dei futuri protagonisti di “Vita
dei campi”.
LA LUPA
La protagonista di questa novella è gnà Pina, chiamata dalla gente del posto “la lupa”. Verga la descrive
sottolineando la mentalità popolare dell’epoca: “Era alta, magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da
bruna e pure non era più giovane” e continua la descrizione sottolineando che “Le donne si facevano la croce
quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell’andare randagio e sospettoso della lupa
affamata[...]”. La lupa quindi è un’esclusa, una reietta della società con atteggiamenti quasi diabolici,
animaleschi. Ha una figlia di nome Maricchia, una bella ragazza che, avendo una madre così snaturata, soffre
perché consapevole che nessuno la prenderebbe mai in moglie.
La situazione degenera quando Pina si innamora di Nanni, un ragazzo tornato dal servizio militare che lavora nei
campi vicino casa sua. Nanni, però, vuole sposare Maricchia. Pur di averlo vicino e per poterlo sedurre, La lupa
costringe Maricchia al matrimonio, così da vivere accanto all’oggetto del proprio desiderio. Una volta sposati i
due giovani vanno a vivere proprio nella casa della gnà Pina che cerca di sedurre Nanni finchè non cede. La figlia
della lupa, in un primo momento subisce la situazione ma poi intima alla madre di non continuare più a
corrompere il marito. Questo non avviene e Maricchia la denuncia e chiede di allontanare la madre da casa.
Nanni convocato dalle forze dell’ordine, per giustificare il suo ripetuto adulterio, confessa la propria disperazione
di fronte alla Lupa e alla tentazione che lei rappresenta.
La Lupa, però, non vuole andar via di casa. Passano i giorni e la situazione precipita quando Nanni viene colpito
dal calcio di un mulo rischiando di morire. La sua condizione è grave al punto che il giovane necessita
dell'estrema unzione ma il prete si rifiuta di confessarlo con la suocera dentro casa. Di fronte a questo la lupa
decide di andarsene. Inizia così un periodo di serenità che, però, viene interrotto quando la donna inizia di nuovo
a perseguitare il giovane che, guarito, sta conducendo una vita tranquilla. Nonostante le preghiere di Nanni la
donna non vuole lasciarlo in pace e non si piega neanche di fronte alle minacce di morte. Così brutalmente finisce
il racconto, con Nanni che uccide la lupa che non oppone resistenza.
ANALISI - La gnà Pina, la Lupa, emerge dal racconto quale incarnazione di una sessualità istintiva e animalesca.
E' immagine di una femminilità primitiva e inquietante e il povero Nanni è praticamente sotto il suo incantesimo
e può uscirne solo attraverso un atto di rottura forte, come l’assassinio. La Lupa appare una donna-demone e
contro queste forze ancestrali e misteriose non c'è rimedio: l'uomo non può che essere semplice strumento e,
insieme, vittima. Questo è un elemento sul quale Verga insiste, ovvero il potere demoniaco di seduzione della
protagonista: la lupa sembra infatti una creatura dell'inferno, tanto è in grado di attrarre gli uomini a sé, fino al
punto che essi non riescono più a liberarsi di questo maleficio. La lupa è senza alcun dubbio un personaggio
originale, attivo che, al contrario degli altri personaggi verghiani, non è affatto attaccata alla “sua roba”, anzi è
pronta a sacrificarla per ottenere ciò che vuole. È inoltre lontana dalla morale religiosa della comunità
popolare. L’omicidio finale a colpi di scure rappresenta una forma di purificazione ed è altamente significativo: la
lupa, un elemento scomodo ed estraneo alla comunità, viene definitivamente eliminata.
NOVELLE RUSTICANE
Le Novelle Rusticane ripropongono personaggi e ambienti della campagna siciliana, in una prospettiva più amara
e pessimistica, che porta in primo piano il dominio esclusivo dei moventi economici dell'agire umano.
LA ROBA
TRAMA Il tema dell’opera è l'avarizia e l’attaccamento ai beni materiali. “La roba” è una ricchezza che si misura
in pascoli, terre, animali, fattorie,: Il protagonista dell’opera, ambientata a Catania, è Mazzarò, un contadino.
Mazzarò è un uomo che ha sacrificato tutto nella sua vita, con fatica, per accumulare più beni materiali possibili,
ma è incapace di godere dei benefici che possono scaturire da questa ricchezza. Non ha famiglia, vive in
condizioni di povertà per non sprecare le sue ricchezze, lavora come un mulo nei campi. Ha allontanato tutti
nella sua vita, per paura che potessero sottrargli la sua roba. Sleale nei confronti di chi lavora per lui e
ossessionato dall’accumulo della ricchezza, Mazzarò vive nel terrore della morte: che fine faranno i sacrifici e i
traguardi di una vita intera quando morirà? Non avendo eredi né conoscenti, va in fumo anche la possibilità di
trasferire i suoi beni a qualcuno. Il pensiero di non poter portare con sé i suoi beni nella vita ultraterrena lo fa
addirittura impazzire e il testo si conclude con una "Roba mia, vientene con me!”
ANALISI Ma Mazzarò non si scontra soltanto con avversari umani, con la società ma anche con la natura stessa.
Questa tensione porta Mazzarò ad uccidere le anatre e tacchini per portare con sé nella morte la roba.
Mazzarò quindi è un vinto, ovvero battuto dalla natura, vinto anche perchè è solo.
Come accumula il denaro? Riesce ad impossessarsi di molte terre del barone perché non si occupava in maniera
efficiente delle sue proprietà. Non fa cose oneste, truffava anche molti contadini, dicendo che le terre erano
fertilissime → Quindi riesce a guadagnare sia grazie al duro lavoro, ma anche grazie alla sua furbizia nel fregare
barone e contadini.
La roba era ricchezza fatta di materia contadina, non soldi.
La frase finale = conferma che non c’è stato nessun cambiamento nel personaggio di Mazzarò. Verga attraverso
questo pezzo vuole che noi prendiamo atto di quello che significa questo gesto. Noi dobbiamo provare
straniamento, non come le persone descritte nel racconto. >> Il lettore dalla lettura dei fatti si trova in una
condizione di straniamento, una distanza dalla logica che si vede all’interno del racconto.
MALARIA
“Malaria” è uno scritto di Giovanni Verga pubblicato nel 1883. La novella è ambientata in Sicilia. In quel periodo,
gli abitanti sono soggetti ad un’epidemia mortale di malaria, la quale ormai è come fosse una cosa normale.
Verga racconta i destini di tre uomini diversi in tre situazioni diverse: scrive di Massacro Croce, di compare
Carmine (detto anche “Ammazzamogli”) e di Cirino “lo scimunito”. Nella parte finale del testo, le sorti dei tre
personaggi, finora analizzate separatamente, vengono riunite in un unico destino, un’unica condizione che
sembra imprigionare tutti gli abitanti del paese.
In questa novella, come nelle altre della raccolta, è presente il tema della lotta per la vita: l’uomo è in continua
lotta con la sua condizione determinata entro cui è nato, andando quindi contro altri uomini di diverse condizioni
nel tentativo di uscire dalla propria. Nella novella, i personaggi principali (e tutti gli abitanti del paese)
appartengono alla categoria dei vinti. I vincitori, in questo caso, sono la malaria e il progresso: la prima perché
affligge, il secondo perché i personaggi sembrano proprio essere vinti dalla “marea del progresso”, come scrive
ne “I Malavoglia”. Inoltre è presente il tema della “religione della roba”, tipico della raccolta: l’uomo non ha più
fede nei grandi valori, ma solo nel materiale, cioè l’utile.
L’opera è accostabile ad un’altra novella del Verga, “Rosso Malpelo”, perché il personaggio, proprio come
compare Carmine, giunge ad una “disperata rassegnazione” nei confronti della propria condizione (l’oste, dopo
aver cercato di medicare i figli malati, si era rassegnato alla loro morte). Ancora, “Malaria” è paragonabile a I
Malavoglia, in cui è presente la cosiddetta “marea del progresso” che travolge i vinti, i quali alzano le braccia
disperate che cercano aiuto: è la stessa sorte degli abitanti del paesello, soprattutto di Carmine, costretto a
perdere il lavoro per colpa della ferrovia.
La novella affronta temi simili ad un’opera di Leopardi, “Dialogo della Natura e di un Islandese”: il tema
principale è quello della condizione di dolore che la natura riserva all’uomo, determinato da un destino di
sofferenza già scritto (la malaria che affligge l’uomo senza via di scampo). Inoltre, entrambe le opere terminano
con un finale ironico: in “Malaria” Carmine viene assunto a lavorare nella ferrovia, che disprezzava con tutto se
stesso, mentre nel dialogo di Leopardi l’islandese viene divorato dalla natura, la quale sosteneva di non voler far
del male all’uomo.
LIBERTÀ
Pubblicata nel 1883 nella raccolta Novelle rusticane. Qui Verga ci racconta di un fatto realmente accaduto, la
vicenda di Bronte dopo la rivolta della povera gente che voleva espropriare per poi dividere le terre dei
benestanti.
A Bronte la popolazione gridava nella piazza più grande la parola "Libertà" e alcuni sventolavano un fazzoletto
rosso dal campanile. Durante il tumulto, Don Antonio fu ucciso mentre cercava di fuggire e, mentre passava a
miglior vita, si chiedeva perché lo avessero ferito a morte. Anche il reverendo supplicava di non essere ucciso
Don Paolo fu ucciso davanti alla propria casa, proprio davanti alla moglie che aspettava il marito per dar da
mangiare ai figli. Il figlio del notaio Neddu, un ragazzo di undici anni, fu ammazzato mentre chiedeva ancora di
essere risparmiato, dopo aver visto il padre morire. Era già ferito quando supplicava i garibaldini di non ucciderlo
ma un boscaiolo, finendolo, si giustificava dicendo: "Tanto sarebbe stato un notaio, succhiasangue anche lui!".
I rivoltosi ammazzavano chiunque fosse ricco, perciò la baronessa aveva fatto fortificare la sua abitazione e i suoi
servi. Dall'abitazione sparavano contro la folla che comunque riusciva a sfondare il cancello per cercare la
baronessa. Una volta trovata fu ammazzata, insieme ai tre figli. La rivolta cominciò a sedarsi solo verso la sera.
Per rispetto alle vittime, la domenica successiva non fu celebrata messa e si pensò a come dividere le terre dei
ricchi che erano stati uccisi. Tutti si guardavano minacciosamente perché non sapevano come fare: tra di loro non
c'erano periti per misurare la grandezza dei lotti di terreno o notai per registrarne la proprietà. Il giorno
successivo si apprese inoltre che il generale Nino Bixio sarebbe arrivato a Bronte per cercare giustizia. Non
appena arrivò iniziò infatti a fucilare i colpevoli che non erano riusciti a fuggire.
Successivamente a Bronte arrivarono i giudici che interrogarono i colpevoli e li portarono in città per il processo.
Le cose in paese tornarono come prima, infatti ai ricchi vennero restituite le loro terre e ai poveri non restò che
ritornare ai loro lavori nei campi dei benestanti.
Il processo ai colpevoli durò a lungo, fino a quando tutti gli imputati furono ascoltati da una giuria composta dai
ricchi e dai nobili, i quali ogni volta si rallegravano di non essere nati e vissuti a Bronte in quegli anni. Fu infine
pronunciata la sentenza e un carbonaro, a cui erano state rimesse le manette, rimase sbigottito perché non
aveva assaporato la libertà di cui avevano tanto parlato.
La libertà è un titolo amaramente ironico, perché tutta la novella muove da una rivolta per costruirla, ma alla fine
non viene raggiunta. Dopo diversi anni che i rivoltosi erano in carcere, uno di questi che era uscito al termine
della novella dice: "Ma se mi avevano detto che c'era la libertà".
IL CICLO DEI VINTI
Nel 1878 Verga inizia a progettare un ciclo di romanzi, il Ciclo dei Vinti. Il suo obiettivo è quello di presentare un
quadro generale della società concentrandosi su tutti i livelli, dai ceti popolari, alla borghesia terriera fino
all’aristocrazia. Ciò che regola tutte le classi sociali è la legge per la sopravvivenza, secondo cui prevale il più forte
schiaccia i più deboli, una vita dominata dall’interesse economico, dall’egoismo e dalla volontà di sopraffare gli
altri. In questo ciclo di romanzi Verga si sofferma sui più “deboli”, vittime di questa legge, ovvero i vinti (da qui il
nome dell’opera). Il Ciclo dei Vinti è composto da 5 romanzi: 1) I Malavoglia= viene rappresentato il ceto
popolare, il più basso della società, 2) Mastro-don Gesualdo= rappresenta la borghesia terriera, un borghese che
tenta di mantenere la sua ricchezza o fare il salto verso la nobiltà, 3) La Duchessa di Leyra = tratta del tema
dell’ambizione aristocratica, 4) L’onorevole Scipioni= tratta del tema dell’ambizione politica, 5) L’uomo di lusso =
tratta del tema dell’ambizione artistica
Trama:
La storia comincia poco dopo l’unità d’Italia. ‘Ntoni viene chiamato per fare il servizio militare a Napoli, però ciò
è un problema per Ntoni e Bastianazzo che si ritrovano con un uomo in meno a lavorare. Inoltre c’era anche la
questione di Mena che aveva bisogno della dote per sposarsi. Anche Luca poi viene chiamato a fare il servizio
militare. Quindi a Padron ‘Ntoni rimaneva solo Bastianazzo come forza lavoro dal momento che le donne non
erano adatte alla pesca. Per questo motivo decidono di prendere in prestito un carico di lupini dall’usuraio Zio
Crocifisso più un ragazzo che potesse aiutarli per cercare di rivenderli in un porto vicino. Bastianazzo e il ragazzo
partono con la barca ma c’è una tempesta che li fa naufragare: i due muoiono e perdono tutto il carico di lupini.
Da questo momento in poi alla famiglia dei Malavoglia va tutto storto: arriva il colera che fa ammalare e morire
la Longa e Luca muore nella battaglia di Lissa. Anche ‘Ntoni, che durante il servizio militare a Napoli era entrato
in contatto con una realtà fatta di movimenti, commerci e divertimento, non accetta più una vita di fatiche e duro
lavoro del paesino e comincia ad assumere un atteggiamento ribelle: discute con Don Michele, che corteggiava
la sorella minore Lia, e lo accoltella senza però ucciderlo; finisce in prigione per cinque anni ma oramai la
reputazione di Lia è rovinata, per questo se ne va a Palermo a fare la prostituta. Mena, dopo che l’onore della
famiglia è crollata, si arrende allo stesso destino degli altri e non si sposerà più. Alessi è l’unico che si salva,
lavora tanto per sistemare la casa del nespolo ma Padron ‘Ntoni muore prima di vederla. Si sposerà con
Annunziata e avrà figli.
Modernità e tradizione:
Padron ‘Ntoni rappresenta la tradizione per eccellenza con la sua visione arcaica e l’attaccamento ai valori
tradizionali, mentre ‘Ntoni rappresenta la modernità, incarna il senso di insoddisfazione di una vita statica una
volta entrato in contatto con la realtà dinamica della grande città di Napoli. È proprio a partire da ‘Ntoni che si
può delineare la struttura del romanzo: il romanzo si apre e si chiude con la partenza di ‘Ntoni dal villaggio, ma
non è una struttura ciclica perfetta perché non viene ristabilito del tutto l’equilibrio iniziale, nonostante Alessi
riesce a recuperare la casa del nespolo.
Il superamento dell’idealizzazione romantica del mondo rurale:
Se nella fase verista iniziale Verga appare ancora legato ad alcuni concetti propri del Romanticismo, con i
Malavoglia li abbandona del tutto: secondo la concezione romantica il mondo rurale, luogo in cui è ambientato
un romanzo, è una realtà a sé che si distacca dal mondo corrotto delle città, fatto di industrie e banche. Con il
racconto dei Malavoglia Verga rappresenta invece la disgregazione di quel mondo e l’impossibilità dei suoi
valori. Non solo lo supera, ma arriva alla convinzione che non sia mai esistito, poiché la legge della lotta per la
sopravvivenza che regola il mondo, è universale, quindi valida in ogni tempo ed a ogni livello sociale.