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Giovanni Verga

LA VITA

La formazione e le opere giovanili


Nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di agiati proprietari terrieri, con ascendenze nobiliari. Ebbe una formazione
irregolare, prima attraverso maestri privati poi con una Facoltà di Legge mai conclusa, e ciò lo caratterizzerà da tutti gli
altri scrittori contemporanei: si forma su testi francesi tendenzialmente di consumo. Nel 1865 Verga lascia la provincia e
si reca una prima volta a Firenze, per poi stabilirsi a Milano nel 1872.

A Milano: la svolta verso il Verismo


Qui entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura. Nel 1878 avviene la svolta decisiva verso il Verismo, con la
pubblicazione del racconto “Rosso Malpelo”. Seguono nel 1880 le novelle di “Vita dei campi”, nel 1881 il primo romanzo
del ciclo dei Vinti, I Malavoglia ecc. A Milano soggiorna fino al 1893, data in cui torna a vivere definitivamente a Catania.
Dal 1903 lo scrittore si chiude in un profondo silenzio. La sua vita è dedicata alla cura delle sue proprietà agricole.
Morirà nel 1822.

I ROMANZI PREVERISTI

Emblematico è il romanzo “Eva”. Esso racconta la storia di un giovane pittore siciliano che, nella Firenze capitale, brucia
le sue illusioni e i suoi ideali artistici nell’amore per una ballerinetta, simbolo della corruzione di una società
“materialista”, tutta protesa verso i piaceri, che disprezza l’arte e l’asservisce al suo bisogno di lusso. L’intellettuale
emarginato e declassato. Alcuni caratteri sono comuni alla Scapigliatura:
 Aspra polemica antiborghese;
 Rimpianto della bellezza del passato;
 Degradazione del Bello nella realtà moderna;

LA SVOLTA VERISTA

In Verga stava maturando una vera e propria crisi, che si conclude con lo scritto di Rosso Malpelo, la storia di un garzone
di miniera che vive in un ambiente duro e disumano, narrata con un linguaggio nudo e scabro, che riproduce il modo di
raccontare di una narrazione popolare.
Il cambio così vistoso di temi e di linguaggio inaugurato da Rosso Malpelo, e quindi l’approdo al Verismo, è una svolta
nella carriera di scrittore di Verga, ma non una brusca inversione di tendenza. E’ come il frutto di una chiarificazione
progressiva di idee già sviluppate, possibile grazie al superamento di quegli strumenti ancora approssimativi e inadatti,
poco personali e inquinati da una convenzionale maniera romantica, con la conquista di strumenti concettuali e stilistici
più maturi: la concezione materialistica della realtà e l’impersonalità.
Verga si propone di tornare a studiare gli ambienti dell’alta società con questi strumenti più incisivi, partendo però dalle
“basse sfere” poiché in esse i meccanismi che regolano la società sono più semplici da individuare.

LA POETICA DELL’IMPERSONALITÀ

La rappresentazione artistica deve possedere l’ “efficacia dell’essere stato” (deve conferire al racconto l’impronta di
cosa realmente avvenuta), per far questo deve riportare “documenti umani”; ma non basta che ciò che viene raccontato
sia reale e documentato: deve anche essere raccontato in modo da porre il lettore “faccia a faccia col fatto nudo e
schietto”, in modo che non abbia l’impressione di vederlo attraverso la “lente dello scrittore”. Il lettore avrà
l’impressione di assistere ai fatti che si svolgono sotto i suoi occhi. A tal fine il lettore deve essere introdotto nel mezzo
degli avvenimenti, senza che nessuno gli spieghi gli antefatti e gli tracci un profilo dei personaggi, del loro carattere e
della loro storia (sparisce il narratore onnisciente). Solo in questo modo si può creare l’ “illusione completa della realtà”
ed eliminare ogni artificiosità letteraria. Con l’impersonalità non si vuol negare in assoluto ogni legame tra scrittore e
opera, ma si vuol definire un procedimento tecnico, di un modo di dar forma all’opera, di conseguire determinati effetti
artistici, ovvero quello di “celare” l’azione e la presenza del narratore dietro la storia.
LA TECNICA NARRATIVA

Nelle sue opere effettivamente l’autore si “eclissa”, si cala “nella pelle” dei personaggi, vede le cose “coi loro occhi” e le
esprime “con le loro parole”. Il punto di vista dello scrittore non si avverte mai nelle opere di Verga: la “voce” che
racconta si colloca tutta all’interno del mondo rappresentato, è allo stesso livello dei personaggi. Il narratore di
mimetizza nei personaggi stessi, adotta il loro modo di pensare e di sentire le cose. E’ come se a raccontare fosse uno di
loro, così il lettore ha davvero l’impressione di trovarsi faccia a faccia col fatto nudo e schietto. Un classico esempio è
“Rosso Malpelo”, la prima opera verista di Verga, in cui si rivela una visione primitiva e superstiziosa della realtà,
estranea alle categorie razionali di causa ed effetto, che vede nell’individuo “diverso” un essere segnato come da
un’oscura maledizione, che occorre temere e da cui è necessario difendersi. Egli parla dei personaggi come se si
rivolgesse ad un pubblico appartenente a quello stesso ambiente, che avesse sempre conosciuto quelle persone e quei
luoghi. Inizialmente il lettore infatti è disorientato, non comprende bene i personaggi, ma li conosce con il proseguire
della narrazione, attraverso ciò ch essi stessi fanno o dicono, o attraverso ciò che altri personaggi dicono di loro. Di
conseguenza anche il linguaggio è spoglio e povero, ricco di modi di dire, paragoni, proverbi, con sintassi scorretta ecc.

IL “DIRITTO DI GIUDICARE” E IL PESSIMISMO

Verga: “Chi osserva questo spettacolo della lotta per l’esistenza non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a
trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente coi colori
adatti”. Perché non ha diritto di giudicare? La risposta risiede nella visione pessimistica della vita di Verga. La società
umana sarebbe dominata dal meccanismo della lotta per la vita, un meccanismo crudele, per cui il più forte schiaccia;
tale meccanismo, essendo la legge di natura, universale, che governa qualsiasi società, in ogni tempo e luogo, è
immodificabile; allora, se tale negatività della vita è insuperabile, il giudizio, che si fonda sulla fiducia nella possibilità di
modificare il reale, diventa inconsistente, inutile, errato. In altre parole, se è impossibile modificare l’esistente, ogni
intervento giudicante appare inutile e privo di senso. La letteratura può solo avere la funzione di studiare ciò che è dato
una volta per tutte, e di riprodurlo fedelmente, “senza passione”.

IL VALORE CONOSCITIVO E CRITICO DEL PESSIMISMO

Tale pensiero di Verga lo connota inevitabilmente come un conservatore. Verga è infatti contro le ideologie progressiste
contemporanee, democratiche e socialiste, che egli giudica fantasie infantili o interessati inganni. Nonostante ciò non
manca in Verga la critica verso la realtà. Una critica non protesa a dire “come sarebbe meglio” ma semplicemente a
sottolineare le cose negative della realtà: la disumana lotta per la vita (Schopenhauer), lo sfrenarsi delle ambizioni e
degli interessi, il trionfo dell’utile e della forza (Hobbes), ecc. Verga si vanta di compiere una critica oggettiva, tanto che
in lui è assente ogni forma di pietismo sentimentale verso il popolo, sentimento dilagante nel suo tempo. Egli tratta
invece le problematiche del popolo (come nel Rosso Malpelo e nei Malavoglia) in modo distaccato, anzi, regredendo
nell’ottica popolare ne da una visione che può essere quella di una persona del popolo stesso. Quindi Verga non è
fiducioso nel progresso, non compatisce il popolo perché non ritiene che mai si potrà pervenire ad una situazione
migliore, e quindi non ritiene che mai neanche in passato vi sia stata una società migliore (non ricorrerà mai alla
mitizzazione del mondo rurale) anche perché riconoscere questo contraddirebbe il suo pessimismo universale.

LE DIFFERENZE TRA ZOLA E VERGA

1. Contesto di provenienza:
 Zola: Realtà dinamica della Francia, dove si registra un forte sviluppo economico.
 Verga:Realtà arretrata e statica del Meridione d’Italia.
2. Ideologia:
 Zola: La società è regolata da leggi spiegabili scientificamente.
 Verga: La società è regolata da rapporti di sopraffazione immutabili.
3. Finalità della letteratura:
 Zola: La letteratura ha funzione conoscitiva e la conoscenza può migliorare la società.
 Verga: La letteratura ha una funzione conoscitiva, ma non può modificare la realtà.
4. Tecnica narrativa:
 Zola: Impersonalità come distacco scientifico dalla materia analizzata; il narratore commenta.
 Verga: Impersonalità intesa come “eclisse” del narratore: non esprime giudizi e non dà spiegazioni.
IL CICLO DEI VINTI

Nel suo “ciclo dei Vinti” Verga (prendendo a modello i Rougon-Macquart di Zola) intende tracciare un quadro sociale,
delineare “la fisionomia della vita italiana moderna”, passando in rassegna tutte le classi. Criterio unificante è il principio
della lotta per la sopravvivenza, in cui ha sempre la meglio il più forte. Ma Verga decide però di dedicarsi ai “vinti”, che
“piegano il capo dotto il piede brutale dei sopravvegnenti”. Nella prefazione: “Il movente dell’attività umana che
produce la fiumana del progresso” è preso “alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali”.

I MALAVOGLIA
L’intreccio
La storia di una famiglia di pescatori siciliani, i “Malavoglia”. Essi possiedono una casa e una barca, la Provvidenza, che
consentono loro una vita “relativamente felice” e tranquilla. Nel 1863 però il giovane ‘Ntoni, figlio di Bastianazzo e
nipote di padron ‘Ntoni, deve partire per il servizio militare. La famiglia, privata delle sue braccia, si trova in difficoltà,
dovendo pagare un lavorante. A ciò si aggiunge una cattiva annata per la pesca, e il fatto che la figlia maggiore, Mena,
abbia bisogno della dote per sposarsi. Padron ‘Ntoni, per superare le difficoltà, pensa di intraprendere un piccolo
commercio: compera a credito dall’usuraio zio Crocifisso un carico di lupini, per rivenderli in un porto vicino. Ma la barca
naufraga nella tempesta, Bastianazzo muore e il carico va perduto. Comincia qui una lunga serie di sventure che
disgregano il nucleo familiare: ‘Ntoni, che ha conosciuto la vita delle grandi città, non si adatta più ad una vita di dure
fatiche e di stenti. Finisce così per dare una coltellata alla guardia doganale. Al processo ‘Ntoni ottiene una condanna
mite per le attenuanti d’onore, ma Lia, ormai disonorata, fugge dal paese e finisce in una casa di malaffare in città.
L’ultimo figlio, Alessi, riesce a riscattare la casa del nespolo, continuando il mestiere del nonno.

L’irruzione della storia


Il romanzo è proprio la rappresentazione del processo per cui la storia penetra in quel sistema arcaico, disgregandone la
compattezza, rompendone gli equilibri, sconvolgendone le concezioni ancestrali. La storia e la modernità si presentano
innanzitutto con la coscrizione obbligatoria, che sottrae braccia al lavoro, mettendo in crisi la famiglia. A ciò poi si
aggiungono le tasse, la crisi della pesca, il treno, ecc che suscitano le reazioni ostili dei paesani. I Malavoglia, sono
costretti a diventare “negozianti”, da pescatori che erano sempre stati; e, in conseguenza al fallimento della loro
iniziativa, subiscono un processo di declassazione, passando dalla condizione di proprietari di casa e barca a quella di
nullatenenti, costretti ad “andare a giornata” per vivere. Tutta la vicenda è vista soggettivamente dagli stessi personaggi,
rendendo l’immagine di una realtà statica, perché così essi sono abituati a concepirla.

Modernità e tradizione
‘Ntoni è uscito dall’universo chiuso del paese, è venuto in contatto con la realtà moderna, conoscendo la metropoli del
continente, Napoli; per questo non può più adattarsi ai ritmi di vita ancestrali del paese -> Emblematico è il suo conflitto
col nonno. Sotto l’azione di tutte queste forze innovatrici, la famiglia si disgrega. E’ vero che alla fine Alessi riuscirà a
ricomporre un frammento dell’antico nucleo familiare, ma ciò non implica un ritorno perfettamente circolare alla
condizione iniziale, molti sono i morti e molti gli allontanati: le ferite sono immedicabili. Non solo, il romanzo non si
chiude affatto con questa parziale ricomposizione dell’equilibrio, bensì con la partenza di ‘Ntoni dal villaggio. E’ un finale
emblematico: il personaggio inquieto, che già aveva messo in crisi quel sistema, se ne distacca per sempre,
allontanandosi verso la realtà del progresso, delle grandi città, della storia.

Il superamento dell’idealizzazione romantica del mondo rurale


La disgregazione di quel mondo e l’impossibilità dei suoi valori. Se, come si è visto, ancora nella prima fase del suo
verismo persisteva in Verga una componente di nostalgia romantica per la realtà arcaica della campagna. I malavoglia
segnano proprio il superamento irreversibile di tali tendenze. Il mondo rurale, per Verga, prima ancora di essere
investito dalle forze disgregatrici della modernità, era già dominato al suo interno dalla stessa legge della lotta per la vita
che regola il mondo del moderno e del “progresso”, e lo era da sempre, perché quella legge, per Verga, regola ogni tipo
di società, in ogni tempo e ad ogni livello della scala sociale.

La costruzione bipolare del romanzo


Ne risulta una particolare costruzione bipolare. Si tratta di un romanzo corale, fittamente popolato di personaggi, senza
che spicchi un protagonista. Ma questo “coro” si divide nettamente in due: da un lato si collocano i Malavoglia,
caratterizzati dalla fedeltà ai valori puri; dall’altro la comunità del paese, caratterizzata dal carattere pettegolo e cinico.
Questo gioco di punti di vista ha una funziona importantissima. L’ottica del paese ha il compito di straniare
sistematicamente i valori ideali proposti dai Malavoglia. Quei valori, onestà, disinteresse, altruismo, visti con gli occhi
della collettività appaiono “strani”, non vengono compresi, anzi, vengono stravolti e deformati.
http://it.wikipedia.org/wiki/Naturalismo_e_Verismo_(confronto)

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