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Fichte

1. Perch per Fichte la filosofia deve essere dottrina della scienza?


Perch la dottrina della scienza quel sapere
assolutamente certo e infallibile che si identifica con lesposizione del
sistema dello spirito umano.
Tale sapere prende la forma di una scienza della scienza, ossia di una teoria
volta a mettere in luce il principio primo ossia lIo su cui si fonda ogni
scienza, per poi dedurre da esso ogni realt.
POSSIBILE RISPOSTA:

2. Qual il principio primo del sapere?


Il principio primo del sapere , per Fichte, lIo stesso.
Infatti, ogni altro preteso principio (ad es. la legge di identit: A =
A)presuppone lIo ed posto dallIo: Noi siamo partiti dalla proposizione:
A = A, non come se da essa si potesse dedurre la proposizione: Io sono, ma
perch dovevamo partire da una qualunque proposizione certa, data nella
coscienza empirica. Ma anche nella nostra spiegazione si visto che non la
proposizione: A = A il fondamento della proposizione: Io sono, ma che
piuttosto questultima il fondamento della prima. A sua volta, lIo non
posto da altri, ma si configura come unattivit auto-creatrice che si pone da
s.
Per deduzione Fichte intende la dimostrazione e la giustificazione
sistematica di tutte le proposizioni della filosofia per mezzo dellIo. A
differenza di quella kantiana, che una deduzione trascendentale o
gnoseologica, cio diretta a giustificare le condizioni soggettive della
conoscenza (le categorie), la deduzione fichtiana una deduzione assoluta o
metafisica, poich intende servirsi dellIo, che a sua volta indeducibile,
essendo dato a se stesso tramite un atto di intuizione intellettuale, per
spiegare lintero sistema della realt: Tutto il dimostrabile deve essere
dimostrato tutte le proposizioni debbono essere dedotte tranne quel primo e
supremo principio.
Per intuizione intellettuale Fichte intende lauto-intuizione immediata che
lIo ha di se stesso in quanto attivit auto-creatrice. Attivit per la quale
conoscere qualcosa (se medesimi o gli oggetti) significa fare o produrre tale
qualcosa ed esserne, implicitamente o esplicitamente consapevoli. Uno dei
testi pi significativi ed accessibili di Fichte afferma: chiamo intuizione
intellettuale questintuizione di se stesso di cui ritenuto capace il filosofo,
nelleffettuazione dellatto con cui insorge per lui lio. Essa la coscienza
immediata che io agisco, e di ci che agisco: essa ci per cui so qualcosa
perch la faccio. Che una tale facolt dellintuizione intellettuale esista, non
si pu dimostrare per concetti, ne si pu sviluppare da concetti quello che
essa . Ognuno deve trovarla immediatamente in se stesso, altrimenti non
imparer mai a conoscerla. La richiesta di dimostrargliela per ragionamenti
POSSIBILE RISPOSTA:

ancor pi sorprendente di quella, ipotetica, di un cieco nato di spiegargli,


senza chegli debba vedere, che cosa sono i colori. E pero possibile
dimostrare a ciascuno nella sua esperienza personale da lui stesso ammessa
che questintuizione intellettuale presente in tutti i momenti della sua
coscienza. Io non posso fare un passo, muovere una mano o un piede, senza
lintuizione intellettuale della mia autocoscienza in queste azioni; solo merce
questintuizione so di essere io a compierli, solo in forza di essa distinguo il
mio agire, e me in esso, dalloggetto, in cui mimbatto, dellazione.
Chiunque si attribuisce unattivit fa appello a questintuizione. In essa la
fonte della vita, e senza di essa la morte.
Inoltre 1)lintuizione intellettuale, come risulta dal passo citato, presente a
ciascuno, sebbene raggiunga la piena coscienza di se solo nel filosofo. 2)
Con il concetto di intuizione intellettuale Fichte attribuisce alluomo
quellintuito creatore che Kant attribuiva solo a Dio.

3. Che cos lIo per Fichte?


Per Io Fichte intende il principio assolutamente primo,
assolutamente incondizionato, di tutto Lumano sapere , ovvero unattivit
autocreatrice, libera, assoluta ed infinita. In Fichte assistiamo quindi ad una
sorta di enfatizzazione metafisica dellIo, che da semplice condizione del
conoscere (comera llo penso di Kant) diviene la fonte del reale, cio
Dio.
LIo viene anche definito come Autocoscienza. LAutocoscienza di cui parla
Fichte si identifica con lIo, ovvero con la consapevolezza che il soggetto ha
di se medesimo. Consapevolezza che sta alla base di ogni conoscenza.
Infatti, io posso avere coscienza di un oggetto qualsiasi solo in quanto ho
nello stesso tempo coscienza di me stesso: Non si pu pensare
assolutamente nulla senza pensare in pari tempo il proprio Io come cosciente
di se stesso; non si pu mai astrarre dalla propria autocoscienza. In quanto
Autocoscienza, lIo risulta quindi, per definizione, unattivit che ritorna
sopra di s.
POSSIBILE RISPOSTA:

4. Perch lIo viene definito come attivit autocreatrice e quali


caratteristiche possiede?
LIo unattivit autocreatrice poich esso, a differenza
delle cose, che sono quello che sono, pone o crea se stesso: Ci il cui essere
(o la cui essenza) consiste puramente nel porsi come esistente, lIo come
soggetto assoluto; LIo quel che esso si pone. Questa prerogativa
dellIo viene illustrata da Fichte con il concetto di Tathandlung.
Tathandlung un termine caratteristico che usa Fichte per alludere al fatto
che lIo , nello stesso tempo, attivit agente (Tat) e il prodotto dellazione
stessa (Handlung), ovvero che lIo ci che egli stesso si crea o produce
(esse sequitur agere: noi siamo quel che ci facciamo). LIo pone se stesso
ed in forza di questo puro porsi per se stesso [...]. Esso , in pari tempo,
lagente e il prodotto dellazione; ci che attivo e ci che prodotto
POSSIBILE RISPOSTA:

dellattivit.
Inoltre in quanto attivit auto-creatrice, lIo risulta strutturalmente libert.
Lassoluta attivit la si chiama anche libert. La libert la
rappresentazione sensibile dellauto-attivit.
In quanto attivit creatrice ed auto-creatrice, lIo , per definizione, un
essere assoluto, ovvero un ente in-condizionato ed infinito che non dipende
da altro, ma da cui tutto il resto dipende.
In quanto assoluto, lIo infinito. Infatti, tutto ci che esiste esiste
soltantonellIo e per lIo, il quale, di conseguenza, ha tutto dentro di s e
nulla fuori di s: In quanto assoluto lIo infinito e illimitato. Esso pone
tutto ci che ; e ci che esso non pone, non (per esso; fuori di esso non
ce nulla). Quindi, in questo riguardo, lIo abbraccia in s tutta la realt....
LIo detto anche, con linguaggio kantiano, Io puro, poich esso si
identifica con unattivit scevra (= pura) da condizionamenti empirici.

5. Quali sono i momenti del processo dialettico dellIo?


I principi della Dottrina della scienza, ossia le
cosiddette proposizioni fondamentali della deduzione fichtiana, sono tre. La
prima afferma che LIo pone se stesso. La seconda che LIo pone un nonio. La terza che LIo oppone nellIo ad un io divisibile un non-io
divisibile.
In altri termini, la prima proposizione stabilisce come il concetto di Io in
generale si identifichi con quello di unattivit auto-creatrice ed infinita.
La seconda stabilisce che lIo non solo pone se stesso, ma oppone anche a se
stesso qualcosa che, in quanto gli opposto non-io. Tale non-io tuttavia
posto dallIo ed e quindi nellIo.
II terzo principio mostra come lIo, avendo posto il non-io, si trovi ad
essere limitato da esso, ovvero ad esistere sotto forma di un io divisibile (=
molteplice e finito ) avente di fronte a s altrettanti oggetti divisibili.
II secondo principio, osserva Fichte, non risulta, a rigore, deducibile dal
primo poich la forma dellopporre cos poco compresa nella forma del
porre, che le anzi piuttosto opposta. II che un modo per dire che il finito
non risulta deducibile dallinfinito, ossia che fra lassoluto e il finito v un
intervallo, uno iato, una soluzione di continuit.
Tutto ci non toglie, come risulta chiaro soprattutto dalla terza ed ultima
parte della Dottrina della scienza che il non-io funzioni da urto
indispensabile per mettere in moto lattivit dellIo e si configuri quindi
come condizione necessaria affinch vi sia un soggetto reale: Lattivit
dellIo procedente allinfinito deve essere urtata in un punto qualunque e
respinta in se stessa [...]. Che questo accada, come fatto, non si pu
assolutamente dedurre dallIo, come pi volte stato ricordato; ma si pu
certamente dimostrare che questo fatto deve accadere, affinch una
coscienza reale sia possibile
In altri termini, pur essendo indeducibile, in assoluto, dallequazione Io = Io,
il non-io risulta indispensabile per spiegare lesistenza di una
coscienzaconcreta, la quale postula necessarimente la
struttura bipolare soggetto-oggetto, attivit-ostacolo, posizione- opposizione:
quellopposto non fa se non mettere in movimento lIo per lazione, e senza
POSSIBILE RISPOSTA:

tale primo motore al di fuori di esso, lIo non avrebbe mai agito; e poich la
sua esistenza non consiste se non nellattivit, non sarebbe neppure esistito.

6. Che cos il Non-Io?


Non-Io. Con questo termine Fichte intende il mondo
oggettivo in quanto posto dallIo ma opposto allIo; Nulla posto
originariamente tranne lIo; questo soltanto posto assolutamente. Perci
soltanto allIo si pu opporre assolutamente. Ma ci che opposto allIo
=Non-io. Non-io, oggetto, ostacolo, natura, materia ecc. in
Fichte sono tutti termini equivalenti. In concreto, il non-io si identifica con la
natura interna (il nostro corpo e i nostri impulsi) ed esterna (le cose prive di
ragione).
POSSIBILE RISPOSTA:

7. Cosa intende Fichte per io finito?


Lio finito o divisibile o empirico lIo, il quale,
avendo posto il non-io, si trova ad essere limitato da esso, cio ad esistere
concretamente sotto forma di un individuo condizionato dalla natura (interna
ed esterna) e per il quale la purezza dellIo assoluto rappresenta solo un
ideale o una missione.
POSSIBILE RISPOSTA:

8. Come pu essere descritto il rapporto tra lIo e gli io finiti?


Il rapporto fra lIo infinito e gli io finiti pu essere
descritto dicendo che lIo non tanto la sostanza o la radice metafisica degli
io finiti, quanto la loro meta ideale. Anzi, linfinito per luomo pi che
consistere in unessenza gi data, si configura come dover-essere e missione.
Tanto pi che lIo infinito coincide con un Io assolutamente libero, ossia con
uno spirito scevro di ostacoli e di limiti. Situazione che per luomo
rappresenta una semplice aspirazione. Di conseguenza, dire che lIo infinito
la missione o il dover-essere dellio finito significa dire che luomo uno
sforzo infinito verso la libert, ovvero una lotta inesauribile contro il limite.
Infatti, se luomo. riuscisse davvero a vincere tutti i suoi ostacoli, si
annullerebbe come Io, cio come attivit.
POSSIBILE RISPOSTA:

9. Che cosa il processo dialettico per Fichte?

Dialettica. Con questo termine, tipico di Hegel, si intende


il principio gi presente in Fichte sin dalla Dottrina della scienzadel 1794
della struttura triadica della vita spirituale (tesi antitesi sintesi) e il
concetto di una sintesi degli opposti per mezzo della determinazione
reciproca. Gli opposti o i contrari di cui parla Fichte sono lIo (la tesi) ed il
non-io (lantitesi) e la sintesi loro reciproca determinazione.
POSSIBILE RISPOSTA:

10. Fichte effettua unanalisi di due modi di far filosofia. Se ne


propongano le definizioni e si illustri come avviene la scelta tra le due.
POSSIBILE RISPOSTA:

I due modi di far filosofia sono: il dogmatismo e

lidealismo.
II dogmatismo, secondo Fichte, quella posizione filosofica che consiste
nel partire dalla cosa in s e dalloggetto per poi spiegare, su questa base, lio
o il soggetto. In virt delle sue premesse, lidealismo, che una forma di
realismo in gnoseologia e di naturalismo in metafisica, finisce sempre per
sfociare nel determinismo e nel fatalismo: ogni dogmatico conseguente
per necessit fatalista, nega del tutto quellautonomia dellIo su cui
lidealista costituisce, e fa dellIo nientaltro che un prodotto delle cose, un
accidente del mondo: il dogmatico conseguente per necessita anche
materialista
Lidealismo, filosofia scelta da Fichte, quella posizione filosofica che
consiste nel partire dallIo e dal soggetto per poi spiegare, su questa base, la
cosa o loggetto: II contrasto tra lidealista e il dogmatico consiste
propriamente in ci: se lautonomia dellio debba essere sacrificata a quella
della cosa o viceversa; Lessenza della filosofia critica consiste in ci, che
un Io assoluto viene posto come assolutamente incondizionato e non
determinabile da nulla di pi alto; Nel sistema critico la cosa ci che
posto nellIo; nel dogmatico, ci in cui lIo stesso posto.
La difesa della autonomia e incondizionatezza dellIo fa s che lidealismo si
configuri, per definizione, come una dottrina della libert.
La scelta fra idealismo e dogmatismo secondo Fichte dipende da come si
come uomini, ossia da unopzione etica di fondo, in quanto lindividuo
fiacco e inerte sar spontaneamente portato al dogmatismo e al naturalismo,
mentre lindividuo solerte e attivo sar spontaneamente portato
allidealismo: La ragione ultima della differenza fra idealista e dogmatico
[...] la differenza del loro interesse. Linteresse supremo, principio di ogni
altro interesse, quello che abbiamo per noi stessi. II che vale anche per il
filosofo. La scelta di una filosofia dipende da quel che si come uomo,
perch un sistema filosofico non uninerte suppellettile, che si pu lasciare
o prendere a piacere, ma animato dallo spirito delluomo che lha. Un
carattere fiacco di natura o infiacchito e, piegato dalle frivolezze, dal lusso
raffinato e dalla servit spirituale, non potr mai elevarsi allidealismo

11. Che cosa la conoscenza per Fichte?


Per conoscenza Fichte intende lazione del non-io sullio.
Egli si proclama realista e idealista al tempo stesso: realista perch ammette
uninfluenza del non-io sullio; idealista perch ritiene che il non-io sia un
prodotto dellIo. Prendendo le distanze sia dallidealismo dogmatico (che
vanifica loggetto), sia dal realismo dogmatico (che vanifica il soggetto),
Fichte scrive: La dottrina della scienza dunque realistica.Essa mostra che
assolutamente impossibile spiegare la coscienza delle nature finite se non
si ammette lesistenza di una forza indipendente da esse, affatto opposta a
loro, e dalla quale quelle nature dipendono per ci che riguarda la loro
esistenza empirica [...]. Tuttavia, malgrado il suo realismo, questa scienza
non trascendente, ma resta trascendentale nelle sue pi intime profondit.
Essa spiega certo ogni coscienza con qualcosa, presente indipendentemente
da ogni coscienza; ma anche in questa spiegazione non dimentica di
conformarsi alle sue proprie leggi; ed appena essa vi riflette su, quel termine
indipendente diventa di nuovo un prodotto della sua propria facolt di
pensare, quindi qualcosa di dipendente dallIo, in quanto deve esistere per
lIo (nel concetto dellIo); Questo fatto, che lo spirito finito deve
necessariamente porre al di fuori di s qualcosa di assoluto (una cosa in s),
e tuttavia, dallaltro canto, riconoscere che questo qualcosa esiste solo per
esso ( un noumeno necessario), quel circolo che lo spirito pu
infinitamente ingrandire, ma dal quale non pu mai uscire. Un sistema che
non bada punto a questo circolo un idealismo dogmatico, poich
propriamente solo il circolo indicato ci limita e ci rende esseri finiti; un
sistema che immagini di esserne uscito un dogmatismo trascendentale
realistico. La dottrina della scienza tiene precisamente il mezzo tra i due
sistemi ed un idealismo critico che si potrebbe chiamare un real-idealismo,
o un ideal-realismo...
Per immaginazione produttiva Fichte intende latto inconscio attraverso cui
lIo pone, o crea, il non-io, ovvero il mondo oggettivo di cui lio finito ha
coscienza: ogni realt ogni realt per noi, si capisce, come del resto non
pu intendersi altrimenti in un sistema di filosofia trascendentale non
prodotta se non dallimmaginazione; nella riflessione naturale, opposta a
quella artificiale della filosofia trascendentale [...] non si pu indietreggiare
se non fino allintelletto, e in questo si trova poi, certamente, qualcosa
di dato alla riflessione, come materia della rappresentazione; ma del modo
come ci sia venuto nellintelletto, non si coscienti. Da qui la nostra salda
convinzione della realt delle cose fuori di noi e senza alcun intervento
nostro, perch non siamo coscienti della facolt che le produce. Se nella
riflessione comune noi fossimo coscienti, come certo possiamo esserlo nella
riflessione filosofica, che le cose esterne vengono nellintelletto solo per
mezzo dellimmaginazione, allora vorremmo di nuovo spiegare tutto come
illusione, e per questa seconda opinione avremmo torto non meno che per la
prima .
POSSIBILE RISPOSTA:

12. Che cosa la morale per Fichte?

La morale, per Fichte, consiste nellazione dellIo sul


non-io e assume la forma di.un dovere volto a far trionfare, al di l di ogni
ostacolo, lo spirito sulla materia. Dovere che esprime il senso di quello
sforzo che lIo: Il mio mondo oggetto e sfera dei miei doveri, e
assolutamente niente altro...
Lo sforzo (Streben), che Fichte definisce un concetto importantissimo per
la parte pratica della dottrina della scienza coincide con lessenza stessa
delluomo, inteso come compito infinito di auto-liberazione dellIo dai
propri ostacoli: Lio infinito, ma solo per il suo sforzo; esso si sforza di
essere infinito. Ma nel concetto stesso dello sforzo gi compresa la finit....
In altri termini, Fichte riconosce nellideale etico il
verosignificato dellinfinita dellIo. LIo infinito (sia pure tramite un
processo esso stesso infinito) poich si rende tale, svincolandosi dagli oggetti
che esso stesso pone. E pone questi oggetti perch senza di essi non potrebbe
realizzarsi come attivit e libert.
POSSIBILE RISPOSTA:

13. Perch per Fichte si pu parlare di subordinazione della ragion


teoretica alla ragion pratica?
Primato della ragion pratica, Con questa espressione
Kant aveva designato il fatto che la morale ci da, sotto forma di postulati,
ci che la scienza ci nega (la libert, limmortalit e Dio). Fichte intende
invece, con essa, il fatto che la conoscenza e loggetto della conoscenza
esistono solo in funzione dellagire: <<La ragione non pu essere neppure
teoretica, se non pratica; Tu non esisti per contemplare e osservare
oziosamente te stesso o per meditare malinconicamente le tue sacrosante
sensazioni; no, tu esisti per agire; il tuo agire e soltanto il tuo agire determina
il tuo valore. Noi agiamo perch conosciamo, ma conosciamo perch
siamo destinati ad agire; la ragion pratica la radice di ogni ragione.
Di conseguenza, il criticismo etico di Kant diviene, con Fichte, una forma
di moralismo metafisico che vede nellazione la ragion dessere e lo scopo
ultimo delluniverso.
POSSIBILE RISPOSTA:

14. Come pu essere definito lIdealismo di Fichte?


Il pensiero del primo Fichte stato denominatoidealismo
soggettivo ed etico in quanto fa dellIo o del soggetto il principio da cui
tutto deve essere dedotto e concepisce lazione morale come la chiave di
interpretazione della realt (= moralismo).
POSSIBILE RISPOSTA:

15. Qual il fine delluomo per Fichte?


POSSIBILE RISPOSTA:

Secondo Fichte il fine delluomo in societ quello di

farsi liberi e di rendere liberi gli altri, in vista della completa unificazione e
concordia di tutti gli individui: E uno degli impulsi fondamentali
delluomo quello di poter riconoscere fuori di se esseri razionali simili a lui
[...]. Luomo destinato a vivere in societ, deve vivere in societ; se vivesse
isolato non sarebbe uomo compiutamente....
La missione del dotto, in quanto educatore e maestro dellumanit, e quella
di additare i fini essenziali del vivere insieme e di segnalare i mezzi idonei
per il loro conseguimento, in vista del perfezionamento progressivo della
specie.

16. Qual la missione delluomo?


In conclusione, il compito supremo
delluomo (comesingolo, come essere sociale e come dotto) quello di
avvicinarsi indefinitamente alla perfezione: II fine ultimo delluomo
quello di sottomettere ogni cosa irrazionale e dominare libero secondo la
sola sua legge, fine che non affatto raggiungibile e tale deve eternamente
rimanere se luomo non deve cessare di essere uomo per diventare Dio.
Dallo stesso concetto di uomo ricaviamo che il suo fine irraggiungibile e la
via che porta ad esso infinita. Non dunque il raggiungimento di questo fine
la missione delluomo. Ma egli pu e deve perpetuamente avvicinarsi ad
esso e questo infinito avvicinarsi al fine la sua missione di uomo, cio di
essere razionale eppur finito, sensibile eppur libero. Quel pieno accordo con
se stesso si chiama perfezione nel pi alto significato della parola;
laperfezione dunque il pi alto e irraggiungibile fine delluomo e
ilperfezionamento allinfinito la sua missione. Egli esiste per divenire
sempre migliore e per rendere tale tutto ci che materialmente e moralmente
lo circonda; di conseguenza per divenire sempre pi felice.
POSSIBILE RISPOSTA:

Schopenhauer

1. Spiega perch per Schopenhauer il mondo rappresentazione e


Volont.
Il mondo come volont e rappresentazione.
Schopenhauer intitola in questa maniera il suo capolavoro perch come il
mondo da un lato, in tutto e per tutto, rappresentazione, cos , dallaltro
lato, in tutto e per tutto, volont.
La rappresentazione (Vorstellung) la realt in quanto oggetto di
conoscenza da parte di un soggetto: tutto ci che esiste per la conoscenza
adunque questo mondo intero solamente oggetto in rapporto al soggetto,
intuizione di chi intuisce; in una parola, rappresentazione, Tutto... deve
inevitabilmente aver per condizione il soggetto, ed esiste solo per il soggetto.
POSSIBILE RISPOSTA:

II mondo rappresentazione. Schopenhauer fa coincidere lambito della


rappresentazione con lambito del fenomeno, in senso kantiano. Tuttavia,
tale concetto, oltre che avere una valenza pi marcatamente
coscienzialistico-soggettivistica (ossia di entit che esistedentro la coscienza)
presenta, in Schopenhauer, dei connotati metafisici ed orientaleggianti
estranei al kantismo. Tale la dottrina del fenomeno come
di unillusione che si frappone tra noi e la cosa in s, a guisa di un velo (il
velo di Maya di cui parla la sapienza indiana) che copre il volto vero delle
cose.
La Volont di vivere (Wille zum Leben) il noumeno del mondo, ovvero
lessenza nascosta delluniverso: Non soltanto in quei fenomeni che sono
affatto simili al suo proprio negli uomini e negli animali egli dovr
riconoscere, come pi intima essenza, quella medesima volont; ma la
riflessione prolungata lo condurr a conoscere anche la forza che ferve e
vegeta nella pianta, e quella per cui si forma il cristallo, e quella che volge la
bussola al polo, e quella che scocca nel contatto di due metalli eterogenei, e
quella che si rivela nelle affinit elettive della materia, come repulsione ed
attrazione, separazione e combinazione.... Poich ci che la volont sempre
vuole la vita, puntualizza Schopenhauer, tuttuno, e semplice
pleonasmo, quando invece di volont senzaltro diciamo volont di
vivere. Essendo al di l del fenomeno e delle sue forme costitutive (lo
spazio, il tempo e la causa), la Volont unica, aspaziale, atemporale ed
incausata e si configura, in sostanza, come un eterno e cieco impulso, di cui
tutto ci che esiste manifestazione od oggettivazione.
Il concetto di volont in Schopenhauer non coincide con il concetto di
volont cosciente, ma con quello, pi generale, di energia o impulso. Di
conseguenza, la Volont cosmica pu essere sia inconsapevole (come accade
nella materia) sia consapevole (come accade nelluomo).

2. . Che cos il noumeno per Schopenhauer e come differisce tale


concetto dal pensiero kantiano?
La cosa in s di cui parla Schopenhauer non un
concetto-limite che serva soprattutto a rammentarci i confini della
conoscenza, ma una realt assoluta che si nasconde dietro lingannevole
trama del fenomeno. Realt che Schopenhauer, a differenza di Kant,
ritieneconoscibile. Infatti, argomenta il filosofo, se noi fossimo soltanto
conoscenza e rappresentazione, ovvero unalata testa dangelo, non
potremmo mai uscire dal mondo fenomenico, ossia da una rappresentazione
puramente esteriore di noi e delle cose. Ma poich siamo dati a noi medesimi
non solo come rappresentazione, ma anche come corpo, non ci limitiamo a
vederci dal di fuori, bens ci viviamo anche dal di dentro,godendo e
soffrendo. Ed proprio questa esperienza di base che permette alluomo di
squarciare il velo del fenomeno e di rendersi conto che la cosa in s
nientaltro che la volont di vivere.
POSSIBILE RISPOSTA:

3. Che cosa sono le idee per Schopenhauer?


Schopenhauer considera le idee (nel senso platonico del
termine) come la prima ed immediata oggettivazione della Volont, ovvero
come linsieme degli archetipi delle cose: Per idea intendo adunque ogni
determinato ed immobile grado di obiettivazione della Volont, in quanto
esso cosa in s, e sta quindi fuor della pluralit. Codesti gradi stanno ai
singoli oggetti, come le loro forme eterne, o i loro modelli.
POSSIBILE RISPOSTA:

4. Quali sentimenti esistenziali nascono dalla Volont?


Dolore, piacere e noia. Dire che lessere Volont
equivale a dire, secondo Schopenhauer, che lessere costitutivamente
dolore. Infatti, volere significa desiderare, e desiderare significa trovarsi in
uno stato di tensione e di mancanza, che nessun appagamento pu colmare.
Tant che per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno dieci
insoddisfatti. Del resto, una soddisfazione che plachi temporaneamente i
desideri precipita luomo in una situazione altrettanto negativa, che quella
della noia. O il dolore o la noia: ecco il destino delluomo. Lesistenza del
piacere non contraddice affatto questa verit. Infatti, ci che gli uomini
chiamano piacere nientaltro che una cessazione momentanea dal dolore,
ossia lo scarico da uno stato preesistente di tensione. Momento cui
succedono inevitabilmente nuovi desideri (e quindi nuovi dolori) oppure la
noia. Da ci il pessimismo.
POSSIBILE RISPOSTA:

5. Pessimismo e ottimismo: che significato hanno per Schopenhauer e


quale dei due rappresenta la realt?
Il pessimismo metafisico, scelto dal filosofo per
descrivere la cruda realt, deriva dalla constatazione che essere = dolore,
in quanto luniverso solo Volont inappagata, ossia il teatro di una vicenda
di cui la sofferenza costituisce la legge immanente.
Lottimismo, in tutte le sue forme (metafisiche, sociali e storiche), viene
definito da Schopenhauer come un pensare iniquo e come un amaro
scherno dei mali senza nome patiti dallumanit.
POSSIBILE RISPOSTA:

6. . Che cos e quale valenza ha lamore procreativo per Schopenhauer?


POSSIBILE RISPOSTA:

Lamore, inteso come eros, per Schopenhauer

nientaltro che uno stratagemma di cui si serve il genio della specie


persedurre lindividuo e indurlo alla perpetuazione della vita. Di
conseguenza, lamore procreativo va condannato.

7. Quali sono le vie di liberazione dal dolore?


Le vie di liberazione dal dolore sono le varie tappe
attraverso cui luomo cerca di liberarsi dalla volont di vivere e si
identificano con larte, la morale e lascesi.
Larte, per Schopenhauer, la contemplazione delle idee, ossia la
conoscenza pura e disinteressata degli aspetti universali ed immutabili della
realt. Di conseguenza, a differenza della storia, la quale si dirige a ci che
spazio- temporalmente delimitato, larte, che opera del genio, riproduce
lessenziale e il permanente in tutti i fenomeni del mondo.
Proprio per questo suo carattere contemplativo, e per questa sua capacita di
dirigersi verso un mondo di forme non toccate dalla ruota del tempo, larte
libera lindividuo dalla catena dei desideri e dei bisogni, elevandolo al di
sopra del dolore e del tempo.
Tuttavia, la liberazione prodotta dalle varie arti, al culmine delle quali
Schopenhauer colloca la musica, ha pur sempre un carattere parziale e
temporaneo, che coincide con i momenti fugaci e preziosi in cui ha luogo:
Non diviene ella adunque per lui... un quietivo della volont; non lo redime
per sempre dalla vita, ma solo per brevi istanti, e non ancor una via a uscir
dalla vita, ma solo a volte un conforto nella vita stessa....
La morale, per Schopenhauer, non sgorga da un imperativo categorico
dettato dalla ragione, ma da un sentimento di piet o di compassione nei
confronti del prossimo, ossia da una partecipazione, immediata e
incondizionata, ai dolori altrui. La piet etica si concretizza in due virt
cardinali: la giustizia e la carit: Questa piet lunica base effettiva di una
giustizia spontanea e di ogni carit genuina. La giustizia, rappresentata dal
principio consiste nel non fare del male agli altri e perci costituisce soltanto
laspetto negativo della piet. La carit, che Schopenhauer riassume nel
principio omnes, quantum potes, juva, coincide con la volont attiva di fare
del bene al prossimo, ossia con laspetto positivo della piet.
Lascesi, che nasce dallorrore delluomo per lessere, lesperienza per la
quale lindividuo, cessando di volere la vita ed il volere stesso, si propone
di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere mediante
una serie di accorgimenti (castit, umilt ecc.) al culmine dei quali sta
ilnirvana.
POSSIBILE RISPOSTA:

8.Pu il suicidio essere una via di liberazione dal dolore per


Schopenhauer?
POSSIBILE RISPOSTA:

Schopenhauer respinge il suicidio poich vede in esso una

malcelata forma di attaccamento alla vita (il suicida vuole la vita, ed solo
malcontento delle condizioni che gli sono toccate) che, per di pi, sopprime
soltanto una manifestazione fenomenica della Volont e non la Volont in se
stessa.

Kierkegaard

1. Qual la categoria fondamentale che Kierkegaard introduce


innovativamente nellambito della filosofia?
La categoria fondamentale quella dellesistenza che
sostituisce quella tradizionale dellessenza Lesistenza lo specifico modo
dessere delluomo nel mondo. Modo che risulta definito dai concetti
interdipendenti di singolarit, possibilit, scelta, angoscia, disperazione e
fede.
POSSIBILE RISPOSTA:

2. Qual la valenza del Singolo nella filosofia di Kierkegaard?


Il Singolo , per Kierkegaard, la
categoria propriadellesistenza umana, filosoficamente concepita come realt
irriducibile al concetto e cristianamente intesa come valore assoluto. Ecco
taluni passi delDiario che insistono eloquentemente su tale nozione:
Lesistenza corrisponde alla realt singolare, al singolo (ci che gia insegn
Aristotele); essa resta fuori del concetto che comunque non coincide con
essa. Per un singolo... lesistenza (essere o non essere) qualcosa di molto
decisivo; un uomo singolo non ha certo unesistenza concettuale; II
Singolo la categoria attraverso la quale debbono passare, dal punto di
vista religioso, il tempo, la storia, lumanit; In ogni genere animale la
specie e la cosa pi alta... Solo nel genere umano a causa del cristianesimo
... lindividuo pi alto del genere; Se io dovessi domandare un epitaffio
per la mia tomba, non chiederei che quel Singolo, anche se ora questa
categoria non capita. Lo sar in seguito; Con questa categoria il
Singolo, quando qui tutto era sistema su sistema, io presi polemicamente di
mira il sistema, ed ora di sistema non si parla pi; A questa categoria
POSSIBILE RISPOSTA:

legata assolutamente la mia possibile importanza storica. I miei scritti


saranno presto dimenticati, come quelli di molti altri. Ma se questa categoria
era giusta, se questa categoria era al suo posto, se io qui ho colpito nel segno,
se ho capito bene che questo era il mio compito, tuttaltro che allegro,
comodo e incoraggiante: se mi sar concesso questo, anche a prezzo di
inenarrabili sofferenze interiori, anche a prezzo di indicibili sacrifici
esteriori: allora io rimango e i miei scritti con me....

3. Come si manifesta lantihegelismo di Kierkegaard?


Lantihegelismo di Kierkegaard parte integrante della
sua difesa dellesistenza. Ad Hegel Kierkegaard rimprovera soprattutto: 1)
la mentalit pagana, ossia la tendenza a ritenere la specie (lUmanita, lo
Spirito ecc.) pi importante dellindividuo; 2) la concezione della filosofia
come scienza oggettiva (cio distaccata e disinteressata) e non come
riflessione soggettiva nella quale il singolo direttamente coinvolto;3) la
conseguente scissione fra speculazione filosofica e vita vissuta, ossia
ledificazione di un sistema nel quale non trova posto e fondamento la
condizione effettiva in cui il filosofo, al pari di tutti gli altri uomini,
costretto a vivere: Succede della maggioranza dei filosofi sistematici,
riguardo ai loro sistemi, come di chi si costruisse un castello e poi se ne
andasse a vivere in un fienile: per conto loro essi non vivono in quellenorme
costruzione sistematica. Ma nel campo dello spirito ci costituisce
unobiezione capitale. Qui i pensieri, i pensieri di un uomo, debbono essere
labitazione in cui egli vive... altrimenti sono guai (Diario,I, p. 243); 4) la
tendenza a mediare e a conciliare ci che nella vita concreta non risulta
affatto mediabile e conciliabile; 5) lidentificazione panteistica fra uomo e
Dio, e quindi lincapacit di cogliere linfinita differenza qualitativa che
separa il finito dallinfinito.
POSSIBILE RISPOSTA:

4. Quali concetti trascina con s la centralit della categoria


dellesistenza?
Possibilit. Secondo Kierkegaard lesistenza non
unentit necessaria e garantita, ma un insieme di possibilit che obbligano
luomo ad una scelta e che implicano una componente ineliminabile
dirischio. Ogni possibilit infatti, oltre che possibilit-chesi, anchepossibilit-che-non: Di solito la possibilit di cui si dice ch cosi
lieve, sintende come possibilit di felicit, di fortuna ecc. Ma questa non
affatto la possibilit; questa uninvenzione fallace... No, nella possibilit
tutto ugualmente possibile..., la possibilit la pi pesante di tutte le
categorie.
Scelta. Secondo Kierkegaard esistere significa scegliere. Infatti, la scelta non
POSSIBILE RISPOSTA:

una semplice manifestazione della personalit, ma costituisce o forma la


personalit stessa, che sceglie vivendo o vive scegliendo. In altri termini,
lindividuo non quel che , ma ci che sceglie di essere. Tant vero che
persino la rinuncia alla scelta una scelta, sia pure un tipo di scelta per causa
della quale luomo rinunzia a farsi valere come io: La scelta decisiva per
il contenuto della personalit; con la scelta essa sprofonda nella cosa scelta e
se essa non sceglie, appassisce in consunzione.

5. Secondo Kierkegaard lesistenza delluomo avviene secondo stadi


esistenziali. Descrivili.
Gli stadi dellesistenza sono i modi fondamentali di
vivere e di concepire lesistenza. Modi che per Kierkegaard sono
essenzialmente tre: la vita estetica, etica e religiosa. I primi due sono
descritti in Aut-Aut e il terzo in Timore e Tremore. Secondo Kierkegaard
questi stadi non possono hegelianamente addizionarsi (et-et) e fondersi in
una finale sintesi conciliatrice di tipo dialettico, ma si presentano come
reciprocamente escludentisi fra di loro (aut-aut). Tant che il passaggio
dalluno allaltro postula sempre una rottura o un salto, accompagnato da
un cambiamento radicale di mentalit.
Lo stadio estetico la forma di vita in cui luomo immediatamente ci
che , ossia il comportamento di colui che, rifiutando ogni vincolo o
impegno continuato, cerca lattimo fuggente della propria realizzazione,
allinsegna della novit e dellavventura. Infatti, lesteta, che trova il suo
simbolo pi significativo nel Don Giovanni di Mozart (ma anche nelle
coscienze inquiete dellEbreo errante e del Faust di Goethe), si propone di
fare della propria vita unopera darte da cui sia bandita la monotonia e nella
quale, viceversa, trionfino le emozioni inedite (Godi la vita e vivi il tuo
desiderio, insegna lesteta, per il quale ogni donna non che uno spunto
poetico messo al servizio della propria raffinata ricerca del piacere).
Tuttavia, al di l della sua apparenza gioiosa e brillante, la vita estetica
destinata alla noia (che segue alla vanit del piacere) e
alfallimento esistenziale. Infatti, vivendo attimo per attimo ed evitando il
peso di scelte impegnative (ossia scegliendo di non scegliere), lesteta,
secondo Kierkegaard, finisce per rinunciare ad una propria identit e per
avvertire, con disperazione, il vuoto della propria esistenza senza centro e
senza senso.
Lo stadio etico il momento in cui luomo, scegliendo di scegliere, ossia
assumendo in pieno la responsabilit della propria libert, si impegna in un
compito, al quale rimane fedele. Infatti, a differenza della vita estetica, la
quale tenta di evitare la ripetizione e cerca ad ogni istante il nuovo, la vita
etica si fonda sulla continuit e sulla scelta ripetuta che lindividuo fa di se
stesso e del proprio compito. In altri termini, nella vita etica (che
simboleggiata dallo stato matrimoniale) lindividuo si sottopone ad una
forma o ad un modello universale di comportamento, che implica, al
posto del desiderio delleccezionalit, la scelta della normalit (La
morale scrive Kierkegaard propriamente il generale e, in quanto
generale, ci che vale per tutti). Tuttavia, pur collocandosi su di un piano
pi alto rispetto alla vita estetica, la vita etica destinata anchessa al
POSSIBILE RISPOSTA:

fallimento. Infatti, luomo etico non pu fare a meno di riconoscere la


propria finitudine peccaminosa e quindi di pentirsi. Inoltre, nellambito
della generalit della vita etica e della connessa ritualit dei suoi
comportamenti, lindividuo non riesce a trovare veramente se stesso e la
propria singolarit genuina. Tanto pi che esiste, in ognuno, unansia di
infinito che non si lascia racchiudere nei limiti di una tranquilla esistenza di
marito e di impiegato. Da ci il bisogno di unesperienza pi profonda e
coinvolgente grazie a cui lindividuo vincendo langoscia e la
disperazione che lo costituiscono come uomo e che giacciono al fondo di
ogni vita, anche della pi fortunata e felice possa davvero realizzarsi come
singolo e nelle sue aspettative migliori. Tale la vita religiosa.
Lo stadio religioso lo stadio della fede, intesa come rapporto assoluto con
lAssoluto (Timore e tremore), ossia lo stadio in cui lindividuo, andando al
di la della limitatezza della vita etica, si apre totalmente a Dio, riuscendo a
vincere (anche se non ad eliminare completamente) langoscia e la
disperazione che lo costituiscono come uomo. Fra lo stadio etico e quello
religioso esiste un abisso, incarnato dalla figura di Abramo. Infatti, lo stadio
religioso, lungi dal ridursi alle tranquillizzanti verit della ragione e
delletica, costituisce la dimensione dello scandalo e del paradosso (come
testimoniano le principali credenze del cristianesimo: si pensi allidea di un
Dio che si fa carne e che muore sulla croce per i nostri peccati).

6. Che cosa sono langoscia e la disperazione per Kierkegaard?


Langoscia di cui parla Kierkegaard il sentimento del
possibile, cio quello stato d animo esistenziale che sorge dinanzi alla
vertigine della libert e alle infinite possibilit negative che incombono
sulla vita e sulla personalit delluomo. Per questi suoi caratteri, langoscia
diversa dalla paura che si prova al cospetto di una situazione determinata e
ad un pericolo preciso. Inoltre, essa un sentimento
tipicamente umano.Tant che viene provata solo da chi ha spirito: pi
profonda langoscia pi grande e luomo. Lunico modo efficace
per contrastare langoscia e i suoi tormenti (nessun grande inquisitore tien
pronte torture cos terribili come langoscia; nessuna spia sa attaccare con
tanta astuzia la persona sospetta, proprio nel momento in cui pi debole, ne
sa preparare cos bene i lacci per accalappiarla come sa langoscia; nessun
giudice, per sottile che sia, sa esaminare cosi a fondo laccusato come
langoscia che non se lo lascia mai sfuggire, ne nel divertimento, ne nel
chiasso, ne sotto il lavoro, ne di giorno, ne di notte...) non laccortezza
umana, ma la fede religiosa in Colui al quale tutto possibile.
La disperazione. Mentre langoscia si riferisce al rapporto delluomo con il
mondo, la disperazione si riferisce al rapporto delluomo con se stesso, in cui
consiste propriamente lio. In questo rapporto, se lio vuol essere se stesso,
poich finito e quindi insufficiente a se stesso, non giunger mai
allequilibrio e al riposo. Viceversa, se non vuol essere se stesso, urta anche
qui contro unimpossibilit di fondo. Nelluno e nellaltro caso, ci si imbatte
nella disperazione, che unautentica malattia mortale, non perch conduca
alla morte dellio, ma perch il vivere la morte dellio, cio la negazione
POSSIBILE RISPOSTA:

del tentativo umano di rendersi autosufficienti o di evadere da se. Ma se ogni


uomo, lo sappia o meno, malato di disperazione, lunica terapia efficace
contro di essa la fede, ossia quella condizione in cui lio, pur orientandosi
verso se stesso e pur volendo essere se stesso, non si illude sulla sua
autosufficienza, ma riconosce la sua dipendenza da Colui che lo ha posto e
che, solo, pu garantire la sua realizzazione. Luomo deve quindi volere la
disperazione, poich riconoscendosi in preda ad essa egli puvolgersi alla
ricerca di una salvezza.
La disperazione di cui parla Kierkegaard non la disperazione finita che
discende dalla perdita di beni mondani (ad es. di una persona cara o di un
patrimonio); ma la disperazione infinita che discende dalla propria
insufficienza esistenziale. Infatti, se la prima costringe luomo a
rinchiudersi in se e nel finito, la seconda lo spinge ad uscire fuori di se e
ad aprirsi allAssoluto: Eppure mia intima convinzione che la vera
salvezza delluomo nel disperarsi. Qui appare di nuovo limportanza
divolere la propria disperazione, di volerla in senso infinito, in senso
assoluto, poich un simile volere identico allassoluta dedizione. Se invece
voglio la mia disperazione in senso finito, la mia anima ne soffre, poich
cos il mio essere pi profondo non giunge a prorompere nella disperazione,
ma al contrario si richiude in essa, si indurisce. Cos la disperazione finita
un rinchiudersi nel finito, la disperazione assoluta un dischiudersi
allinfinito.

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