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Georg Wilhelm Friedrich Hegel nacque nel 1770 a Stoccarda. Durante i suoi studi
all’Università di Tubinga strinse amicizia con Schelling e Holderlin.
Si schiera tra i sostenitori della Rivoluzione francese, la quale suscita in lui un grande
entusiasmo ed esercita sul suo pensiero un’influenza duratura.
A Jena inizia lo studio universitario, distaccandosi gradualmente dal movimento romantico e
dagli ideali rivoluzionari.
● La tesi di fondo
Per “idealismo” Hegel intende la teoria dell’idealità (non-reale) del finito; convinzione che
il finito si risolva dialetticamente nell’infinito.
“Non riconoscere il finito come un vero essere” (Scienze della logica)
Per poter seguire proficuamente lo svolgimento del pensiero di Hegel risulta indispensabile
aver chiare, sin dall’inizio, le tesi di fondo del suo idealismo:
a) la risoluzione del finito nell’infinito;
b) l’identità fra ragione e realtà;
c) la funzione giustificatrice della filosofia.
A. Finito e infinito
Con la prima tesi Hegel intende dire che la realtà non è un insieme di sostanze autonome,
ma un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione di esso.
Tale organismo coincide con l’Assoluto e con l’Infinito, mentre i vari enti del mondo,
essendo manifestazioni di esso, coincidono con il finito.
Di conseguenza, il finito, come tale, non esiste, perché è un’espressione parziale
dell’Infinito. Infatti, come la parte non può esistere se non in connessione con il Tutto, così il
finito esiste unicamente nell’infinito e in virtù dell’infinito:
il finito, in quanto è reale, non è tale, ma è lo stesso infinito.
L’hegelismo si configura come una forma di monismo (unica realtà divina) panteistico:
ovvero come una teoria che vede nel finito(mondo) la manifestazione dell’infinito(Dio).
Tuttavia il panteismo di Hegel si differenzia da quello moderno:
Giordano Bruno e per Spinoza l’Assoluto è una Sostanza statica che coincide con la
Natura.
Per l’idealista Hegel invece l'Assoluto si identifica con un Soggetto spirituale(Dio) in
divenire, di cui tutto ciò che esiste è un “momento” o una “tappa” di realizzazione.
Infatti, dire che la realtà non è “Sostanza”, ma “Soggetto”, significa dire, che essa non è
qualcosa di immutabile e di già dato, ma un processo di auto-produzione che soltanto con
l’uomo (= lo Spirito), giunge a rivelarsi per quello che è veramente:
“Il vero - scrive Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito - è l’intero. Ma
l’intero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto devesi
dire che esso è essenzialmente Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità ...”
B. Ragione e realtà
Il Soggetto spirituale infinito che sta alla base della realtà viene denominato da Hegel con
il termine di Idea o di Ragione, intendendo con queste espressioni l’identità di ragione e
realtà.
Idea/Ragione: l’Idea indica l’Assoluto concepito come ragione in atto, ovvero come unità
dialettica di pensiero ed essere, concetto e cosa, ragione e realtà, soggetto e oggetto,
infinito e infinito. La Ragione indica la realtà stessa in quanto idea.
Da ciò il noto aforisma in cui si riassume il senso stesso dell’hegelismo:
«Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale»
Con la prima parte della formula, Hegel intende dire che la razionalità non è pura idealità,
astrazione, schema, dover-essere, ma la forma stessa di ciò che esiste, poiché la ragione
“governa” il mondo e lo costituisce.
Con la seconda parte della formula, Hegel intende affermare che la realtà non è una
materia caotica, ma il dispiegarsi di una struttura razionale (l’Idea o la Ragione) che si
manifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell’uomo.
Per cui, con il suo aforisma, Hegel non esprime la semplice possibilità che la realtà sia
penetrata o intesa dalla ragione, ma la necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e
ragione. Tale identità implica anche l’identità tra essere e dover-essere, in quanto ciò che
è risulta anche ciò che razionalmente deve essere.
Le opere di Hegel sono costellate di osservazioni piene di ironia a proposito dell’ “astratto” e
moralistico dover-essere che non è, dell’ideale che non è reale. Tutte quante insistono sul
fatto che il mondo, in quanto è, è razionalità dispiegata, ovvero ragione reale e realtà
razionale che si manifesta attraverso una serie di momenti necessari, che non possono
essere diversi da come sono.
Hegel, secondo uno schema tipico della filosofia romantica, ritiene che la realtà costituisca
una totalità processuale necessaria, formata da una serie ascendente di “gradi” o
“momenti”, che rappresentano, ognuno, il risultato di quelli precedenti ed il presupposto di
quelli seguenti.
C. La funzione della filosofia
Coerentemente con il suo orizzonte teorico, fondato sulle categorie di totalità e di
necessità, Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel prendere atto della
realtà e nel comprendere le strutture razionali che la costituiscono:
“Comprendere, ciò che è, è il compito della filosofia, poiché c iò che è è la Ragione”.
A dire come dev’essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi; giacché
sopraggiunge quando la realtà ha compiuto il suo processo di formazione.
La filosofia deve dunque “mantenersi in pace con la realtà” e rinunciare alla pretesa
assurda di determinarla e guidarla. Deve soltanto elaborare in concetti, il contenuto reale
che l’esperienza le offre, dimostrandone, con la riflessione, l’intrinseca razionalità.
L’autentico compito che Hegel ha inteso attribuire alla filosofia (e ha cercato di realizzare
con la sua filosofia) è la giustificazione razionale della realtà, della presenzialità, del fatto.
Questo compito egli l’ha affrontato con maggiore energia nei confronti della realtà politica,
dello Stato : infatti può sembrare ovvio che il mondo naturale sia razionale, in quanto
regolato da leggi necessarie, mentre è più d ifficile riconoscere che qualsiasi costruzione
storica dell’uomo sia una necessità razionale, e che quindi debba essere accettata così
com’è.
E. La Dialettica
Come si è visto, l'Assoluto, per Hegel, è fondamentalmente divenire.
La legge che regola tale divenire è la dialettica, che rappresenta, la legge (ontologica) di
sviluppo della realtà e la legge (logica) di comprensione della realtà.
Nel par. 79 dell'Enciclopedia, Hegel distingue tre aspetti del pensiero:
1. l'astratto/intellettuale;
2. il dialettico o negativo-razionale;
3. lo speculativo o positivo-razionale.
Il momento astratto/intellettuale consiste nel concepire l’esistente sotto forma di una
molteplicità di determinazioni statiche e separate le une dalle altre. In altri termini, il
momento intellettuale (che è il grado più basso della ragione) è quello per cui il pensiero si
ferma alle determinazioni rigide della realtà, limitandosi a considerarle nelle loro differenze
reciproche e secondo il principio di identità e di non-contraddizione (secondo cui ogni cosa
è se stessa ed è assolutamente diversa dalle altre).
Il momento dialettico o negativo-razionale consiste nel mostrare come le determinazioni del
momento astratto siano unilaterali ed esigono di essere messe in movimento, ovvero di
essere relazionate con altre determinazioni. Infatti, poiché ogni affermazione sottintende
una negazione, in quanto per specificare ciò che una cosa è bisogna implicitamente chiarire
ciò che essa non è, risulta indispensabile procedere oltre il principio di identità e mettere in
rapporto le varie determinazioni con le determinazioni opposte.
Il terzo momento, quello speculativo o positivo-razionale, consiste invece nel cogliere
l’unità delle determinazioni opposte, cogliere il particolare della molteplicità, ossia nel
rendersi conto che tali determinazioni sono aspetti unilaterali di una realtà più alta che li
ri-comprende o sintetizza entrambi.
Hegel trova la contrapposizione tra intelletto e ragione:
❏ l’Intelletto è un modo di pensare statico che immobilizza gli enti considerandoli
soltanto nella loro reciproca esclusione (fase immediata del pensiero); l’intelletto nella
prospettiva hegeliana è l’organo del finito.
❏ La Ragione è un modo di pensare dinamico, capace di cogliere la concretezza del
reale.
❖ Ragione dialettica, nega le determinazioni astratte dell’intelletto,
mettendole in relazione con le determinazioni opposte.
❖ Ragione speculativa, coglie l’unità degli opposti realizzandone la
sintesi.
L’itinerario dalla coscienza comune alla coscienza filosofica è segnato da una serie di tappe
ideali che Hegel chiama figure, che costituiscono fasi della storia dell’umanità, fasi che
l’uomo [percorre verso una progressiva conquista della verità], deve ripercorrere per
elevarsi alla coscienza filosofica, ovvero al punto di vista dell’Assoluto. Ma queste tappe
sono anche “manifestazioni dell’Assoluto” perché, tutti gli eventi della storia non sono altro
che momenti necessari del divenire dell’Assoluto, della totalità infinita. Quindi la
Fenomenologia descrive la via che conduce l’individuo al sapere assoluto, ma descrive
anche, e soprattutto, la via attraverso la quale l’Assoluto stesso giunge
all’autocoscienza (l’Assoluto si autoconosce attraverso il filosofo).
La Fenomenologia è la storia romanzata della coscienza, la quale esce dalla sua
individualità, raggiunge l’universalità e s riconosce come Ragione (= realtà), e realtà
(=Ragione).
Il ciclo della Fenomenologia può essere riassunto usando la figura della “coscienza
infelice”: essa è quella che non sa di essere tutta la realtà, perciò si trova scissa in
differenze, opposizioni o conflitti dai quali è internamente tormentata e dai quali esce solo
arrivando alla coscienza di essere Tutto.
La Fenomenologia dello Spirito è costituita da 6 tappe fondamentali:
★ COSCIENZA
★ AUTOCOSCIENZA
★ RAGIONE
★ SPIRITO
★ RELIGIONE
★ SAPERE ASSOLUTO
Le prime tre tappe descrivono l’innalzamento dalla coscienza individuale finita alla
ragione come consapevolezza filosofica.
Le ultime tre tappe descrivono il dispiegarsi della coscienza che ha conquistato il punto
di vista dell’Assoluto.
B. La Coscienza
Nella prima tappa si trova la Coscienza intesa come ciò che si rapporta a un “oggetto”,
ovvero a qualcosa di percepito come “esterno da sé. La Coscienza si articola a sua volta in
tre momenti: certezza sensibile, percezione e intelletto.
➢ Certezza sensibile: essa appare come la forma di conoscenza più
ricca e sicura; in realtà è la più povera, vuota, essa è solo
“apparentemente certa”, nulla di determinato, da solo informazione
su una singola cosa, essa attinge a un generico “questo/a”. La
certezza sensibile si nega poiché proprio nella sua immediatezza si
profila la dualità tra ciò che è in sé e ciò che è per la coscienza: il
“questo” dipende dall’io che la considera, dal momento che ciò che
“qui e ora” (davanti a me) e “per me” è un cosa. La certezza sensibile
è la certezza di un io generico e universale. Relazione dialettica tra
soggetto senziente (dotato di sensi) e oggetto sentito.
➢ Percezione: passaggio dal sapere immediato al sapere mediato; la
percezione esplicita la distinzione tra soggetto senziente e oggetto
sentito, che era implicitamente presente nella certezza sensibile.
Il generico “questo” diventa la “cosa”, percepita dall’io come sostanza
a cui ineriscono diverse proprietà. Hegel intende dire che gli oggetti
insiemi di proprietà che la coscienza “unifica”. L’oggetto si risolve
interamente nel soggetto.
➢ Intelletto: consiste nella capacità di cogliere gli oggetti non come tali,
ovvero non in base alle qualità sensibili che sembrano costituirli, ma
come “fenomeni”, cioè come risultati di una “forza” che agisce sul
soggetto secondo una legge determinata. Per Hegel l’essenza vera
dell’oggetto (che è ultrasensibile) non si può cogliere tramite
l’intelletto. Quindi, poiché il fenomeno è soltanto nella coscienza, la
coscienza ha risolto l’intero oggetto in se stessa ed è diventata
coscienza di sé: AUTOCOSCIENZA.
C. Autocoscienza
La seconda tappa dell’itinerario fenomenologico è costituito dalla “Autocoscienza” che,
attraverso i singoli momenti, impara a sapere che cosa essa sia propriamente.
L’attenzione passa dall’oggetto al soggetto, ovvero all’attività creata dall’io, considerato
nei suoi rapporti con gli altri.
❖ Servitù e signoria:
L’Autocoscienza si manifesta, dapprima, come caratterizzata dall’appetito e dal desiderio,
ossia come tendenza ad appropriarsi delle cose e a far dipendere tutto da sé.
Ma l’Autocoscienza necessita di altre autocoscienze in grado di darle la certezza di essere
tale: l’uomo acquista coscienza di sé, si afferma come autocoscienza, solo se riesce a farsi
riconoscere da altri uomini, da altre autocoscienze.
“l’autocoscienza raggiunge il suo appagamento solo in un’altra autocoscienza.”
L’uomo però non rispetta l’altro nella sua diversità, ma vuole appropriarsene, vuole ridurlo a
una cosa propria (perché l’autocoscienza si manifesta come tendenza a far dipendere
tutto da sé) e di conseguenza nasce in maniera necessaria una lotta tra i due uomini la cui
posta in gioco è proprio il riconoscimento.
Il riconoscimento deve passare attraverso un conflitto, e non attraverso l’amore (pensiero
giovanile di Hegel in cui “l’amore è il miracolo per cui ciò che è due diviene uno, senza
eliminare la dualità”), perché, solo attraverso “la lotta per la vita e per la morte”
l’autocoscienza può realizzarsi. Ma poiché ogni autocoscienza ha bisogno dell’altra, la
lotta non deve avere come esito la morte di una delle due, ma il soggiogamento (vincita) di
una all’altra. Nasce, cosí, la dialettica tra “padrone” e “servo” (che corrisponde, nella
storia, alla civiltà antica).
Il “padrone” ha rischiato nella lotta la sua vita e nella vittoria è diventato, di conseguenza,
padrone.
Il “servo” ha avuto timore della morte e, nella s confitta, per aver salva la vita fisica, ha
accettato la condizione di schiavitù ed è diventato come una “cosa” dipendente dal
padrone.
Il padrone usa il servo e lo fa lavorare per sé, limitandosi a “godere” delle cose che il servo
fa per lui. Ma, in questo tipo di rapporto, si sviluppa un movimento dialettico, che finirà col
portare al rovesciamento delle parti. Infatti il padrone finisce col diventare “dipendente
dal servo”, perché può appropriarsi delle cose solo attraverso il lavoro del servo (il padrone
rimane inerte(ozioso)). Il servo invece, p er mezzo del lavoro, finisce per diventare
indipendente, perché impara a dominare se stesso (AUTODISCIPLINA) e impara a
dominare le cose, trasformandole, imprimendo in esse, una forma che è il riflesso
dell’autocoscienza.
La figura della dialettica Padrone-Servo è stata apprezzata soprattutto dai marxisti, i quali
hanno visto in essa un’intuizione dell’importanza del lavoro e della dialettica della storia,
nella quale, grazie all’esperienza della sottomissione, si generano le condizioni per la
liberazione. Resta tuttavia una differenza fondamentale tra Marx ed Hegel: infatti la figura
hegeliana non si conclude con una rivoluzione sociale o politica, ma con la coscienza
dell’indipendenza del servo nei confronti delle cose e della dipendenza del padrone nei
confronti del lavoro servile.
❖ Stoicismo e scetticismo
Il raggiungimento dell’indipendenza dell’io nei confronti delle cose, trova la sua
manifestazione filosofia nello scetticismo e non nello stoicismo.
Lo stoicismo ha una visione del mondo che celebra l’autosufficienza e la libertà del saggio
nei confronti di ciò che lo circonda. Nello stoicismo l ’autocoscienza, che pretende di
svincolarsi dai condizionamenti con la realtà (passioni, affetti, ricchezze, ecc…), ritenendosi
libera, raggiunge invece un’astratta libertà interiore.
Lo scetticismo ha invece una visione del mondo che sospende l’assenso su tutto ciò che è
comunemente ritenuto vero e reale.
Di conseguenza lo scetticismo è per sé (ossia in modo consapevole) ciò che lo
stoicismo è in sé (ossia in modo inconsapevole).
Tuttavia, lo scetticismo, secondo Hegel, si autocontraddice, perchè, da un lato dichiara
che tutto è vano e non-vero, mentre dall’altro pretende di dire qualcosa di reale e vero.
❖ La Coscienza infelice
Un’altra figura celebre dell’Autocoscienza è quella della Coscienza infelice, che descrive la
condizione della coscienza tipica della religione ebraica e del Cristianesimo medievale.
La Coscienza infelice è la coscienza che vive se stessa come coscienza finita, mortale,
che per esistere deve ancorarsi a una realtà assoluta, infinita, del tutto estranea alla
coscienza stessa, questa realtà assoluta è Dio trascendente, padrone assoluto della vita e
della morte. Opposizione tra l’uomo e dio, tra finito e infinito.
Nel Cristianesimo si cerca di rendere accessibile il Dio trascendente per mezzo del Dio
incarnato (Gesù Cristo); tuttavia, secondo Hegel, la pretesa di cogliere l’Assoluto in una
figura storica è destinata al fallimento, perché Cristo, vissuto in uno specifico e irripetibile
periodo storico, risulta pur sempre lontano, e quindi per la Coscienza rimane separato,
estraneo. Di conseguenza, anche con il Cristianesimo, la Coscienza continua ad essere
infelice e Dio continua a configurarsi come un “irraggiungibile al di là che sfugge”.
Nella figura della Coscienza infelice ogni accostamento dell’uomo alla Divinità trascendente
significa una mortificazione, un’umiliazione, un sentire la propria nullità, e da ciò deriva
appunto l’infelicità.
Manifestazioni di questa infelicità sono le soto-figure della devozione, del fare e della
mortificazione di sé:
● la devozione: è il pensiero sentimentale e religioso che non si è ancora elevato al
concetto (quindi alla Coscienza speculativa). In altri termini, il pensare della
devozione “resta un vago brusio di campane o una calda nebulosità, un pensare
musicale che non arriva mai al concetto”.
● Il fare o l’operare: è il momento in cui la Coscienza, rinunciando a un contatto
immediato con Dio, cerca di esprimersi nel desiderio, che dirige sul mondo e non
più su Dio, e nel lavoro, da cui trae il proprio godimento. Tuttavia la Coscienza
Cristiana riconosce il frutto del proprio lavoro come un dono di Dio. Essa avverte
come dono di Dio anche le proprie capacità e forze. In tal modo essa si umilia
ulteriormente e riconosce che ad agire è sempre e soltanto Dio.
● La mortificazione di sé: negazione dell’io a favore di Dio. Personalità tanto misera
quanto infelice.
Il passaggio alla ragione è il passaggio del singolo dopo avere toccato il punto più basso il
quale è destinato a trapassare dialetticamente nel punto più alto, quando la Coscienza si
rende conto di essere, lei stessa Dio, ovvero il soggetto assoluto (passaggio storico dal
Rinascimento all’età moderna).
D. Ragione
L’Autocoscienza era il momento in cui la coscienza aveva preso se stessa come oggetto,
ma il suo culmine nella coscienza infelice mostra l’impossibilità di comprendere se stessa
restando entro i limiti di sé.
La Ragione nasce nel momento in cui la Coscienza, abbandonato il vano sforzo di unificarsi
con Dio, si rende conto di essere lei stessa Dio, il Soggetto assoluto, in altri termini
acquisisce “la certezza di essere ogni realtà”. E’ questa la posizione propria dell’idealismo:
l’unità di pensiero ed essere. Questa “certezza di essere ogni realtà” sorge nel
Rinascimento, si sviluppa durante l’età moderna e ha il suo culmine nell’Idealismo.
● La Ragione osservatrice: la giustificazione della certezza della Ragione inizia con
un “inquieto cercare”, che si rivolge al mondo della natura. Da qui inizia la fase del
naturalismo ed empirismo nel Rinascimento. L’osservazione della natura parte dalla
descrizione, si approfondisce con la ricerca e con l’esperimento, si trasferisce poi
nel dominio del mondo organico passando infine all’ambito della Coscienza
stessa, la psicologia.
❏ Fisiognomica: determina il carattere dell’individuo attraverso i tratti
della sua fisionomia.
❏ Frenologia: conoscere il carattere della forma e delle protuberanze
del cranio.
La Ragione, pur cercando altre cose, cerca in realtà se stessa: cerca di riconoscersi
nella realtà oggettiva che le sta dinanzi.
Ma in questa esasperata ricerca di sé arriva al punto di proclamare che
“l’essere dello spirito è un osso”
Sperimenta così, la sua crisi, riconoscendosi di nuovo come qualcosa di distinto nel
mondo.
● La Ragione attiva: dalla Ragione osservatrice si passa alla Ragione attiva, nel
momento in cui ci si rende conto che l’unità di io e mondo non è qualcosa di dato
ma qualcosa che deve venir realizzato. Tuttavia, questo sforzo individuale è
destinato a fallire.
❏ “il piacere e la necessità”: è la prima figura in cui l’individuo deluso
dalla scienza e dalla ricerca naturalistica, si getta nella vita e va alla
ricerca del proprio godimento. L’autocoscienza nella ricerca del
piacere incontra però la necessità del destino, che la travolge
spietatamente:
“Egli prendeva la vita, ma con ciò afferrava piuttosto la morte.”
❏ “la legge del cuore e il delirio della presunzione”: seconda figura,
l’individuo, dopo aver cercato di abbattere i responsabili dei mali del
mondo, entra in conflitto con altri presunti portatori del vero progetto di
miglioramento della realtà.
❏ “la virtù e il corso del mondo”: la virtù è un agire in grado di
procedere oltre l’immediatezza del sentimento e delle inclinazioni
soggettive. Ma il contrasto tra virtù e r ealtà concreta si conclude con
la sconfitta della virtù.
● L’individualità in sé e per sé: Hegel vuole dimostrare come l’individualità, pur
potendo raggiungere la propria realizzazione, rimane, in quanto tale, astratta e
inadeguata.
❏ “Il regno animale dello spirito e l’inganno”: Hegel vuole dire che
agli sforzi e alle ambizioni universalistiche della virtù subentra
l’atteggiamento della dedizione ai propri compiti. Ma c’è un inganno,
in quanto l’individuo tende a spacciare la propria opera come “la cosa
stessa”, ovvero come il dovere morale stesso; mentra essa esprime
soltanto il proprio interesse.
❏ “La ragione legislativa”: l’autocoscienza, avvertendo l’inganno
cerca in se stessa delle leggi che valgano per tutti, ma esse si
rivelano autocontraddittorie.
❏ “La ragione esaminatrice delle leggi”: l’autocoscienza cerca delle
leggi assolutamente valide: tuttavia essa appare costretta a porsi al
di sopra delle leggi e quindi, a ridurne la validità.
Con queste figure Hegel intende fare capire che, se ci si pone dal punto di vista
dell’individuo, si è inevitabilmente condannati a non raggiungere mai l’universalità.