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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA ―LA SAPIENZA‖

Facoltà di Lettere e Filosofia

Dottorato di ricerca in Etnologia e Etnoantropologia

Ciclo XXII

Oltre il turismo. Scenari di mutamento nell'arcipelago


di Capo Verde.

Direttore della Scuola di dottorato Tutor


Prof. Alessandro Lupo Prof. Alberto Sobrero
Co- tutor
Prof.Alessandro Simonicca

Tesi di Dottorato di
Damiano Gallinaro, matr.419843

(A.A. 2010 - 2011)


INDICE

Indice p. 2-3
Introduzione: La comunità dei viaggianti. Antropologi, turisti e viaggiatori p.4-5

Capitolo I: Immagini dall’arcipelago.

1.1 Oltre il turismo: turisti e alieni p. 8-13


1.2 Dove Capo Verde resiste p. 13-15
1.3 Luoghi e sguardi p. 15-16
1.4 La Riscoperta di Capo Verde p. 16-23
1.5 Le fasi della ricerca p.23-27
1.6 Prima della partenza: campi non situati e teorie confutabili p. 28
1.7 Forum, blogs e social networks p. 29-31

Capitolo II: Il Frame work teorico

2.1 Luoghi, contesti e teorie p. 33


2.2 Modelli teorici p.33-37
2.3 Insularità e turismo. Teoria dei luoghi p. 38-40
2.4 Spazio, tempo e ricerca sul campo p. 40
2.5 Le basi metodologiche della ricerca p. 40-41
2.6 Etnometodologia p. 41-43
2.7 Geografia culturale e semiotica per il turismo p. 43-44

Capitolo III: ― O mundo que o turista criou‖. Mutamenti, resistenze, reazioni,


riconfigurazioni dello spazio turistico e sociale delle isole di Capo Verde

3.1 Modelli di resistenze e riconfigurazioni dello spazio p.47-50


3.2 Dove i mondi collidono. O mundo que o turista criou. p.50-51
3.3 Luoghi, palco e retropalco p.51 -53
3.4 Santa Maria das Dores ilha do Sal p.54-79
3.4.1 Sal:Note storiche p.55-57
3.4.2 Geografie dello spazio e dei luoghi p.57-61

2
3.4.3 Processo al Paradiso e rimozione del ricordo. L‟invisibile rivelato p. 61-67
3.4.4Corpi in contatto p. 67 – 78
3.4.5 Conclusioni p. 78-79
3.5 Sal Rei ilha da Boavista p.80 - 105
3.5.1 Lo spazio umano “bubista” p. 81-83
3.5.2La guerra dei terreni p. 83- 90
3.5.3 L‟altra Sal Rei. Barracas p. 90-96
3.5.4 La terza Sal Rei. p. 90-101
3.5.5 Vita quotidiana in una padaria p. 101-103
3.5.6 Segnali di mutamento p. 103-105
3.6 Vila do Maio ilha do Maio p. 106-109

CAPITOLO IV: ―O mundo onde Cabo Verde resiste‖. Viaggio alla ricerca della
caboverdianidade. Ruolo dei nuovi insiders e cooperanti nel contesto sociale delle isole di
Sotavento. Cases studies

4.1 L'altro volto del turismo e della cooperazione nell‟arcipelago p. 112-117


4.2 Brava a ilha das flores, da musica e da emigraçao p. 117-122
4.3 Fogo. Il ritorno del luogo etnologico- Cha das Caldeiras. Il fenomeno dei do gooders, medici e
vacanze solidarie p.123-141
4.3.1 Il coraggio di vivere con il Vulcano: Cha das Caldeiras p.125
4.3.2 Note Storiche p. 126–128
4.3.3 Storie di Cha p. 128-132
4.3.3 COSPE, Cappuccini e Volontari: Il ruolo dei do –gooders p. 132–138
4.4 Cidade Velha ( Santiago) Una cooperativa al contrario: il fallimento della cooperazione allo
sviluppo “fai da te” di Anna e Alberto p. 139-145

CONCLUSIONI: Oltre il malinteso p. 145- 147


Commiati e Ringraziamenti p. 148-150
Bibliografia p. 151-157
Indice mappe e figure p. 158

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Introduzione: La comunità di viaggianti. Antropologi, turisti e viaggiatori.

Nell'arcipelago di Capo Verde si confrontano due mondi distinti: o mundo que o turista
criou, il mondo costruito dal turista e o mundo em quem Cabo verde resiste. L‟esplorazione e la
comprensione di questa realtà in mutamento ha posto fin dall‟inizio una serie di difficoltà pratiche
e teoriche che soltanto gradualmente si sono chiarite e risolte. Si trattava prima di tutto di riflettere
sulla natura e sulle modalità di rappresentazione di un “campo” fatto di mobilità, di storie senza
radici, d‟incontri di viaggio spesso in luoghi improbabili e inusuali, di etnografie brevi e intense.
Una buona parte della ricerca ha preso forma grazie a contatti anche del tutto occasionali, con
persone che hanno deciso di vivere in queste dieci isole per una serie infinita di motivi, per turismo,
lavoro, emigrazione. Bisognava pensare alla ricerca come a un viaggio attraverso spazi diversi e
frammentari, un farsi e disfarsi delle identità da leggersi fra le pagine di James Clifford e quelle di
Marc Augè1. Un aeroporto, un porto, possono essere anch‟essi luoghi in cui avviene l‟incontro,
anche se si tratta di spazi di transito in cui tutto è in movimento.
Come emergerà dalla lettura delle pagine che seguono, anche il turista e il viaggiatore, come
l'antropologo, scrivono e “creano mondi”, mappe del territorio; gli uni e gli altri, anche solo per
forza di cose, finiscono per condividere spazi, mezzi di trasporto, difficoltà della vita quotidiana.
L'antropologo, però, deve cogliere qualcosa di più e in primo luogo deve osservarsi mentre osserva
il mondo, deve complicare le cose piuttosto che semplificarle.
Così mi scriveva Antonio Danise, autore un bellissimo diario di viaggio nelle isole (2009) in
una lettera da Maio: “…mi sembra che tu non abbia colto la realtà su Maio, io ci ho vissuto per
qualche settimana lo scorso anno e non mi sembrava ci fossero tutti questi problemi… ma forse
abbiamo due modi differenti di vedere le cose…”.
Lavorare sul turismo, sulle conseguenze di questo fenomeno nei territori interessati dallo
sfruttamento, inevitabilmente finisce per essere un lavoro su quelle che Goffman (1969) ha definito
backregions e frontregions, retropalco e facciata, su quello che accade dietro le quinte del Paradiso

1
La decostruzione del concetto di campo come luogo di co-residenza dell‟antropologo con la comunità studiata viene
operata da Clifford nella riflessione introduttiva al libro “Strade” (1999) . L‟antropologo americano opera una
riformulazione del concetto di campo , includendo in esso le pratiche di transizione ed attraversamento, dando un ruolo
di valore al viaggio del ricercatore verso il campo e i suoi continui andirivieni tra campo e luogo di residenza nonché il
riconoscimento delle pratiche di viaggio messe in atto dai membri della comunità studiata. Applicato all‟ambito del
turismo, il ripensamento del campo in termini di viaggio consente di comprendere le dinamiche e i contatti interculturali
che esso implica e al tempo stesso l‟interdipendenza tra viaggio e contesto socioculturale che l‟ha prodotto. E‟ questa
una modalità di ricerca multi situata fondata su una pratica etnografica sempre più svincolata dai luoghi locali e su una
nozione di campo come spazio multidimensionale. Una sorta di campo mobile.

4
dei turisti. La parte più consistente della ricerca ha focalizzato proprio la costruzione di questi
scenari: per un verso, quel che sta dietro i Resort e dietro le settimane all inclusive; per altro verso,
la ricerca di luoghi in cui il retropalco vince sulla facciata facendo emergere un volto più
“autentico” della capoverdianità.
I due versanti della ricerca trovano un loro punto di convergenza nella sovrapposizione
degli hosts e dei guests e dei loro rispettivi ruoli all‟interno dello spazio turistico capoverdiano.
Prima però di iniziare l‟analisi del materiale etnografico è necessaria una presentazione del
luogo della ricerca e del frame teorico e metodologico che è alla base della stessa.

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CAPITOLO I

IMMAGINI DALL’ARCIPELAGO

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L’Arcipelago di Capo Verde

Figura 1

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1.1 Oltre il turismo: turisti e alieni

La mappa che si trova nella pagina precedente rappresenta l‟Arcipelago di Capo Verde nella
sua interezza. Come si può vedere, il mondo insulare capoverdiano è già suddiviso geograficamente
in due aree ben precise: il Gruppo delle Isole di Barlavento che comprende le isole di Sal, Boa
Vista, São Nicolau, Sant‟Antão, São Vicente e Santa Luzia e il Gruppo di Sotavento che
comprende le isole di Maio, São Tiago (Santiago), Fogo e Brava. Nel corso della ricerca ho avuto
modo di visitare tutte le isole dell‟arcipelago, eccettuate l‟isola di São Nicolau e l‟isola disabitata di
Santa Luzia, e nel corso di questo viaggio alla ricerca dei luoghi in cui svolgere il lavoro di campo
ho raccolto storie e immagini che portano alla luce la diversità fisica, culturale e umana delle isole.
Ogni isola mi appariva come un mondo a parte, in alcuni casi difficile da decifrare e spesso nella
rivelazione di questo mondo insulare, le immagini hanno svolto un ruolo importante e, quindi,
proprio da una collezione d‟immagini vorrei iniziare questo viaggio nella complessità turistica
dell‟arcipelago capoverdiano.
La prima immagine è tratta dal libro “Il bacio della sfinge” di Jorge Canifa Alves (2009),
scrittore capoverdiano nato nell‟isola di São Vicente, ma che ha vissuto gran parte della sua vita in
Italia, prima di riscoprire, solo in un secondo momento e gradualmente, la sua anima capoverdiana.
Jorge conosce l‟Italia e gli italiani, questi “alieni” che almeno tre volte la settimana, in
qualunque periodo dell‟anno, approdano a Capo Verde attraverso l‟aeroporto internazionale
Amilcar Cabral dell‟Isola di Sal. E Jorge che conosce bene gli italiani sa come descriverli: ” E’
entrato improvvisamente con occhiali scuri sugli occhi… sul naso, circospetto. Smorfia di disgusto
e superiorità sul viso, rosso di fresca lampada. Cammina sulla punta di piedi come se avesse paura
di scottarsi o contaminarsi. Forse si crede più leggero dell’aria. E’ appena atterrato a Sal. E’ un
alieno? No, un italiano…turista” ( Canifa Alves, 2009 p. 4).
L‟immagine che ci dona Jorge è forte, vivida, e chi ha viaggiato nelle Isole di Capo Verde,
sa che è un‟immagine vera, reale, anche se, naturalmente, come tutte le immagini solo parziale.
Nei tre anni che, con molte pause, ho passato nell‟arcipelago, le immagini si sono
susseguite, sovrapposte. Spesso si è trattato d‟immagini catturate in alcuni scatti fotografici, oppure
di brevi video “rubati” nel corso del viaggio. Storie raccolte, però, sempre con pudore, timore, quasi
avendo paura di turbare una realtà di cui non ho mai dimenticato di essere ospite. Perché, per
quanto si cerchi di restare sulla soglia e di non calpestare il mondo altrui, non lo si farà mai
abbastanza e si rischierà sempre di non trovare la distanza giusta

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La ricerca è partita da un‟analisi di quello che è il cuore del turismo, l‟incontro tra visitati e
visitanti, hosts e guests, ponendo, però, maggiore attenzione alla relazione che si viene a instaurare,
giorno dopo giorno, tra coloro che nel luogo sono nati (insiders), e coloro che hanno deciso di
scegliere quel luogo come “patria elettiva” in cui lavorare, vivere (outsiders) e che per un motivo o
per un altro decidono di voler diventare qualcosa di più di un ospite. Sia la prima sia la seconda
parte della ricerca che, apparentemente, possono sembrare poco legate, hanno, invece, nel ruolo che
i nuovi insiders giocano all‟interno dello spazio turistico capoverdiano, il punto di partenza e arrivo
comune.
L‟antropologo, il turista, il nativo (ma la parola non mi sembra significare molto) offrono
spesso interpretazioni della realtà diametralmente opposte. Il presente è oggetto di una reinvenzione
continua, mentre il passato è letto attraverso la lente dell‟idealizzazione, e il futuro è aperto a diversi
scenari, secondo come si atteggiano le relazioni tra nativo e turista.
Gli stessi luoghi sono soggetti a continue interpretazioni, divenendo spesso simboli
connotati con significati diversi nella mappa che ognuno di noi costruisce del territorio in cui vive2.
Le comunità originarie e i turisti non possono, tuttavia, essere considerate come totalità separate,
non è possibile isolare il turismo e il turista dal contesto in cui i fenomeni accadono (Ivone dos
Passos Maio 2006).
Mentre scrivo, tornano alla mente disordinate una serie d‟immagini, legate ad un fatto che in
qualche modo ha finito per segnare la storia recente dell‟isola di Sal, e ha influito sui rapporti già
difficili tra mondi diversi che dividono uno stesso spazio limitato.
L‟immagine forte è quella di una buca nel terreno dell‟Oasi di Fontona, località semi
desertica situata a pochi chilometri da Espargos, capoluogo dell‟Isola di Sal. In questo luogo quasi
dimenticato, l‟8 Febbraio del 2007 sono state uccise e sepolte due ragazze italiane, Dalia Saiani e
Giorgia Busato, e forse una delle due è stata sepolta ancora viva,. Una terza, Agnese, si è salvata
perché creduta morta, e da allora non ha mai avuto la forza di parlare di quello che è accaduto
quella sera.
All‟Oasi di Fontona non si arriva agevolmente è possibile raggiungerla soltanto con un
fuoristrada o a piedi prendendo un sentiero che nasce dalla via principale che dell‟isola, la strada
che collega Santa Maria ad Espargos. Molti a Sal si fanno domande di questo genere: come mai le
ragazze avevano scelto di accettare l‟invito dell‟ex ragazzo di Dalia di incontrarsi in un posto così
lontano dal paese, un posto difficilmente raggiungibile? Perché Dalia aveva portato con sé le due

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La mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata, questo principio, reso famoso da Alfred Korzybski e
ripreso da Gregory Bateson in Mente e Natura (1984), opera a vari livelli. Dare un nome è sempre classificare e
tracciare una mappa è essenzialmente lo stesso che dare un nome. Ogni esperienza è, quindi, oggettiva e si sostanzia in
un‟immagine. Ogni oggetto e quindi, di conseguenza, anche ogni esperienza sono creazioni di chi le vive e quindi per
natura non oggettive.

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amiche che non c‟entravano niente con tutta la storia? Per paura o perché aveva bisogno di
testimoni? Insomma non è che un po‟ se la sono cercata quelle ragazze? Perché la terza amica,
minorenne all‟epoca dei fatti, non ha mai parlato? Siamo certi che i veri colpevoli siano Santus
Rosario e il suo amico?
L‟immagine diviene mossa, sfocata, ognuno vede una realtà differente, e la stessa Oasi di
Fontona, considerata quasi inaccessibile da alcuni, in altri discorsi, invece, è situata “appena fuori
da Espargos, un posto facilmente accessibile per i pic nic domenicali”.
L‟intera vicenda e lo stesso procedimento giudiziario a carico dei due responsabili diventa il
campo per un confronto, per una diversa interpretazione dei fatti, per dinamiche culturali che lo
scrittore capoverdiano Germano Almeida descrive in modo efficace nel romanzo “ I due Fratelli”3
(G. Almeida, 1995).
La riflessione sulle immagini mi ha guidato durante tutto questo cammino di ricerca, ed ecco
affiorarne un‟altra, un‟immagine che sembra tratta dal libro Le Città Invisibili di Calvino (1996). Il
luogo questa volta è Sal Rei, il piccolo capoluogo dell‟isola di Boavista. Situata a pochi minuti
d‟aereo dall‟Isola di Sal, l‟isola sta vivendo, quasi specularmente a quest‟ultima, uno sviluppo
turistico velocissimo e sregolato. Sal Rei è una, ma a seconda dalla prospettiva da cui la si guarda,
può sembrare formata da più città nascoste, come la città di Valdrada descritta da Marco Polo a
Kublai Khan nelle Città Invisibili: “… il viaggiatore vede arrivando due città: una dritta sopra il
lago e una riflessa capovolta. Non esiste o avviene cosa nell’una Valdrada che l’altra Valdrada
non ripeta … Non tutto quel che sembra valere sopra lo specchio resiste se specchiato. Le due città
gemelle non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico … le due
Valdrada vivono l’una per l’altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano”.
Da una parte abbiamo l‟”aldeia” storica, con i suoi ritmi lenti, dove ancora è possibile
vedere i pescatori, dopo la battuta di pesca, passare il loro tempo al porto giocando a carte o
aspettando la sera bevendo grogue e parlando del più e del meno. Basta, però, superare le saline,
arrivare a ridosso delle dune e appena a pochi metri da quella che è la nuova periferia, esiste
un‟altra città, la città delle Barracas, la township di 3500 persone che si è formata durante la
costruzione do mundo que o turista criou, e in cui, spesso senza i servizi essenziali, vivono persone
provenienti dal vicino continente africano e dalle altre isole dell‟arcipelago. Un luogo, in cui la vita
ha i suoi ritmi e le sue leggi, la sua economia, le sue tradizione e dove vengono mutuati modi di

3
Germano Almeida, nel romanzo “I due fratelli” racconta la storia di un omicidio passionale avvenuto in un piccolo
villaggio dell‟interno dell‟isola di Santiago. Uno dei fratelli, Andrè, ritorna nel suo villaggio natale dal Portogallo per
uccidere il fratello, per difendere il suo onore e quello della sua famiglia. Il fratello, infatti, avrebbe avuto una relazione
con la moglie di Andrè, e il villaggio, seguendo leggi antiche, aspetta giustizia per ristabilire la “pace sociale” e i ruoli
all‟interno del villaggio. Germano Almeida ricostruisce le varie fasi del processo, svelando il conflitto tra moralità e
verità processuale con quella che è invece è la “verità” della gente, che considera Andrè innocente.

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vivere che ognuno porta dal suo paese natale, sviluppando un‟economia informale che finisce per
essere più viva di quella reale.
Nelle Barracas si perpetua anche il “bairrismo”( campanilismo) tra badju4 e sampadiudu5,
tra le due anime capoverdiane, quella più africana e quella più europea, che Sobrero ha delineato
con chiarezza e poesia nel suo bel libro su Capo Verde Hora de Bai (1998). Le Barracas sono
l‟”altra città”, quella che molti fanno finta di non vedere, che spesso si cerca di evitare anche nei
discorsi, ma i cui rapporti con “Sal Rei” sono forti e continui.
Poi c‟è, ancora, un‟altra Sal Rei, quella “residenziale”, dei condomini dei “brancos”, di
quegli outsiders che cercano di diventare insiders . Un‟altra Sal Rei non completamente avulsa dal
tessuto dell'aldeia storica, e che con quella ha contatti quotidiani: la spesa negli stessi luoghi, gli
spazi condivisi, la creazione giorno dopo giorno di un‟intimità comunque difficile da sostenere.
La vera terza Sal Rei, è quella rappresentata dal Resort Riu, vera e propria città-stato a 8 km
dal paese, posta ad appena 500 metri dall‟aeroporto internazionale e a cui si arriva direttamente
dall‟aeroporto. Come in una moderna prigione di lusso i turisti vengono tradotti direttamente in
quel mondo fatato e finto in cui passeranno dai sette ai dieci giorni. Un esilio dorato, dove gli
“alieni” descritti da Jorge Canifa, riducendo al minimo il fastidio del contatto con i locali, finiscono
per passare gran parte del loro periodo da favola.
Sono tutte immagini provenienti dalle isole Barlavento6, quella parte dell‟arcipelago che è
stata più soggetta allo sfruttamento del territorio da parte d‟improvvisati imprenditori venuti, come i
conquistadores secoli fa, a comprare la terra e le persone ( le maestranze come le definiva con un
concetto arcaico un improvvisato imprenditore incontrato in aereo) per pochi euro. Uno
sfruttamento a cui non sono immuni neppure São Vicente e il suo capoluogo Mindelo, culla di una
parte della cultura capoverdiana, e in parte le isole di Sant'Antao e di São Nicolau. In queste ultime
due isole, però, il territorio montuoso e la costa non adatta al turismo, sono riusciti finora a fermare
4
La definizione di badiu è complessa. Badiu vengono tradizionalmente chiamati gli abitanti delle aree rurali più
interne di Santiago , ma dagli altri capoverdiani dello Barlavento viene spesso utilizzato in senso dispregiativo. Badiu
viene considerato colui che è testardo, introverso, poco disponibile, sospettoso, permaloso. Anche se la cultura badiu
nasce nel cuore di Santiago nel concelho di Santa Catarina (Assomada), quindi, il concetto è divenuto, con il tempo, un
modo di rapportarsi al mondo. Nel caso delle Barracas, però, il contrasto avviene proprio tra i due mondi geografici dei
badiu (Santiago) e dei sampadjudu (Sant‟AntãoSant‟Antão, São Vicente).
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Il concetto di sampadjudu, ha la sua radice nell‟altra forma di estar no mundo del popolo capoverdiano, la cultura
kriol. Il kriol è disponibile ha una maggiore apertura mentale , interesse per lo straniero, e capacità di assorbimento e
adattamento. Non è solo uno stato d‟animo, perché geograficamente, mentre la cultura badiu ha il suo cuore a Santiago,
quella kriol, storicamente ha il suo cuore a São Vicente, a Mindelo.
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Come già è chiaro dalla mappa l‟arcipelago di Capo Verde è geograficamente suddiviso in due aree, le isole di
Barlavento (Sopravento) le più vicine anche geograficamente all‟Europa, e le isole di Sotavento (Sottovento). La
suddivisione geografica, è anche grossomodo una suddivisione culturale. Joao Lopes Filho nei suoi Apontamentos
etnograficos(1976) evidenzia questa differenza rilevando come nelle isole Barlavento, le più vicine all‟Europa, ci siano
maggiori segni di una europeizzazione mentre nelle isole Sotavento s‟incontrano maggiori tracce di una cultura più
vicina alle radici africane dell‟arcipelago. Anche se il saggio di Joao Lopes è molto datato, ancora oggi è possibile
notare questa differente radice culturale, e soprattutto nell‟isola di Santiago è possibile trovare tracce dell‟”anima
africana” delle isole.

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la “nuova conquista”, ed è ancora possibile, nelle vallate che dai monti scendono verso la costa
(ribeiras), trovare tracce di quel mondo che è descritto in alcuni importanti romanzi capoverdiani,
come Chiquinho di Baltasar Lopez7 e Famintos, l‟epopea del popolo capoverdiano raccontata da
Luis Romano.
Adilson, una giovane guida turistica incontrata nelle Saline di Pedra de Lume sull‟isola di
Sal, luogo da poco acquistato da un imprenditore italiano, non ha esitato a definire, con amarezza e
lucidità, il rapporto che si è venuto a creare, in breve tempo, tra gli italiani e i capoverdiani.
Secondo Adilson, è chiaro che si è passati da una colonizzazione portoghese che seguiva i modelli
classici dello sfruttamento, ad una nuova e più subdola forma di colonizzazione, quella
commerciale e turistica, in cui i nuovi padroni si spingono a privatizzare non solo le spiagge, ma
addirittura la storia, lasciando al popolo ancora schiavo le briciole dello sfruttamento delle
ricchezze dell‟isola.
Gli italiani hanno avuto, indubbiamente, un ruolo predominante nello sviluppo del turismo
nell‟Isola di Sal, prima, e Boavista poi, benché non sempre il giudizio su di loro sia analogo a
quello di Adilson. C'è chi, al contrario, vede negli imprenditori italiani la salvezza dalla fame e dalla
miseria: è il caso di molti degli africani che vivono nelle Baraccas, e di chi, come molti cittadini di
Sal e Boavista, vedono in questa invasione il tentativo di mettersi in gioco alle spalle degli altri.
Darò conto di queste differenti visioni nel corso del lavoro, ma i segni di questa
italianizzazione, che segue le linee di quella che è stata chiamata in Portogallo algarvizzazione8, in
Spagna majorchizzazione9, e che Lozano Giotart ha delineato in un suo recente libro “Geografia del
turismo” (2008), sono evidenti e sono stati espressi in maniera chiara, vivida e amara dal fotografo
Salvador nel libro fotografico di Germano Almeida “ Viagem pela istoria das ilhas” (G. Almeida,
2005).
Tutte queste immagini sono un tentativo di presentare un mondo costruito da e per il turista.
Un mondo che, prendendo spunto da un'antica querelle tra Freyre e Baltasar Lopez, sul ruolo svolto

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Il romanzo di Baltasar Lopes ha ora, finalmente, anche un‟edizione italiana edita da Edizioni lavoro (2008)
8
Si parla di algarvizzazione facendo riferimento al processo di turistizzazione della regione dell‟Algarve, nel sud del
Portogallo, dove alcune località come Albufeira sono state del tutto ricostruite per venire incontro alle esigenze dei
turisti provenienti soprattutto dall‟Inghilterra. Nel paese di Albufeira gradualmente si è arrivati all’inglesizzazione della
vita quotidiana, tanto da far quasi sparire la lingua portoghese dai menu e dalle pubblicità. Lo stesso modo di vivere , di
mangiare, è stato ricreato su misura per il turista inglese, questo a scapito di piatti tradizionali e tradizioni portoghesi.
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Maiorca è stata una delle prime isole turistizzate del mediterraneo, insiema a Ibiza, e in cui si sono sperimentati molti
dei successi delle forme standardizzate all inclusive. Nel tempo lo sfruttamento turistico aveva comportato grossi
problemi ambientali e in seguito alla scoperta di altri luoghi in cui sperimentare la cosiddetta “settimana charter”, gli
imprenditori isolani hanno saputo individuare nel turismo residenziale una nuova forma più sostenibile di turismo. Al
momento, dopo l‟abbattimento di alcuni ecomostri che avevano deturpato l‟ambiente isolano, il turismo di residenza è il
segmento più importante dell‟economia isolana. Il 20% della popolazione residente è rappresentata da tedeschi che
vivono in piccole enclaves sulla costa, in piccoli villaggi in cui si è ricostruito una Germania in miniatura. La rilevanza
del fenomeno è tale che, nelle elezioni del 2002, tra i partiti in lizza era presente una lista formata completamente da
tedeschi residenti nell‟isola.

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dai portoghesi nella formazione della “nazione creola” capoverdiana, ho chiamato “o mundo que o
turista croiu”, un mondo “costruito”, finto, dove la storia stessa delle isole è travolta e annullata.
Esiste, però, un altro Capo Verde, quello che dai capoverdiani che hanno dovuto lasciare la
loro isola, viene considerato il paese vero e reale. Il mio amico Domingos, una sera a Sal, mi disse:
“ Se vuoi cercare la vera Capo Verde, devi andare nelle isole Sotavento, a Santiago, ad
Assomanda, a Fogo, l’isola in cui sono nato … a Cha das Caldeiras… qui (a Sal) non c’è nulla,
solo della gente persa tra una tradizione che non accetta più e una modernità che travolge”.
Non solo Domingos, anche Padre Ima, parroco di Sal e originario di Santiago, e Odetta, da
anni cooperante nell‟arcipelago, continuavano a spingermi a cercare Capo Verde altrove, ad andare
oltre il turismo e il turista. L‟invito era di viaggiare in nave verso Praia, la capitale dell‟arcipelago,
come ancora fa chi, e sono tanti, non può permettersi un viaggio in aereo. E da Praia, sempre in
nave, viaggiare verso Fogo e Brava, dove secondo la maggior parte dei capoverdiani, batte ancora il
cuore (o meglio uno dei tanti cuori) della cultura e della tradizione capoverdiana.

1.2 Dove Capo Verde resiste

Prima di iniziare un‟indagine sistematica del fenomeno turistico, ci sono altre immagini che
vorrei offrire: immagini legate in questo caso a quella parte dell‟arcipelago, le isole Sotavento, dove
si è svolto il viaggio alla ricerca dell‟altro mondo capoverdiano. Altre immagini non univoche,
sicuramente interpretabili, ma meno sfocate e mutevoli delle precedenti.
La prima immagine è quella di Praia, non come appare dalla nave, da dove è possibile
vedere solo il Porto e la città vecchia (il Platò), ma come appare dall‟aereo, quando in fase di
atterraggio sorvola la città. L‟immensa disordinata periferia appare quasi subito, fagocitando ogni
testimonianza storica. Una immensa periferia fatta di “sabbia, ferro e mattoni” di case mai
veramente costruite, lasciate a metà, perché in fin dei conti nessuno o quasi pensa di vivere
veramente per sempre a Praia. Si viene e si va, chi cerca lavoro e viene dalle campagne dell‟interno
o da altre isole, chi è in viaggio d‟affari, i cooperanti, gli antropologi, tutti s‟incontrano e a volte si
scontrano, in una città che ,almeno, in apparenza, non sembra avere una vera identità.
Ripensando al tempo passato nell‟isola di Santiago la prima immagine non è, tuttavia, legata
alla città di Praia , ma a Cidade Velha, il piccolo abitato, recentemente diventato patrimonio
dell‟Unesco, che nel secolo XVI conobbe un età di splendore, come la prima capitale delle isole e
centro di riferimento per l‟intera Africa Occidentale. Le immagini legate a Cidade Velha sono tante,
vivide, reali, come la bella e triste vicenda di Anna e Alberto, del loro Ristorante e BeB, del loro

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piccolo esperimento, drammaticamente non riuscito, di “Cooperazione fai da te”. Un tentativo di
“essere capoverdiani”, che ho potuto seguire in quasi tutte le sue fasi, fino alla morte per malattia di
Alberto e alla nascita progressiva di un pregiudizio, coltivato nel tempo ed esploso nel dolore, da
parte di Anna.
La storia di Anna e Alberto che chiuderà questo lavoro, è da considerare il culmine di tutta
la ricerca, il momento in cui tutti i nodi della ricerca sono venuti dolorosamente al pettine. Nel loro
esperimento si trovano racchiusi tutti i lati belli e brutti della cooperazione.
La Cooperazione quella vera, fatta d‟investimenti, di progetti, di idee e, purtroppo anche di
molti errori, vive e opera nell‟isola di Fogo. Anche qui le immagini si susseguono: l‟Ospedale São
Francisco, l‟”ospedale di Padre Ottavio” come da tutti viene definito, il lavoro con luci ed ombre
del Cospe, le vigne a Cha das Caldeiras, ma soprattutto la gente, in questo caso il popolo che vive
sul vulcano, con i suoi ritmi tradizionali, “ad altra velocità”. La cultura capoverdiana, rivive e
rinasce nella capitale dell‟isola, a São Felipe, vero cuore culturale delle isole Sotavento, sicuramente
la città più completa a livello architettonico, con i suoi Sobrados, edifici coloniali storici restaurati,
e i suoi piccoli musei.
Un‟altra immagine dall‟arcipelago è quella di Vila Nova Sinora, verdissimo e pacifico
capoluogo dell‟isola di Brava, coperta dal suo “cappello perenne” di nubi. Qui il turismo è ancora
un‟eccezione, sono pochi gli avventurosi che ancora oggi cercano di raggiungere l‟isola dopo
interminabili viaggi in nave. Brava sembra chiusa nel suo isolamento, legata al ricordo e alle
mornas del suo interprete maggiore Tavares. Isola di emigrazione per eccellenza, dove si parla più
inglese che creolo e dove è ancora possibile trovare quella Capo Verde che è stata narrata in alcuni
importanti lavori del romanziere foguense Texeira da Silva10.
Il viaggio per immagini è quasi terminato. Rimane l‟ultima, quella dell‟antropologo nel suo
studio, davanti allo schermo di un computer, fogli sparsi sul tavolo, appunti ritrovati tra i tanti
quaderni che formano il diario di campo, mentre cerca di dare un senso compiuto non solo alle
immagini, ma anche alle voci, alle intuizioni che ha custodito per anni e che spesso ha cercato con
fatica di esprimere.
Anche l‟antropologo, infatti, come il turista, il viaggiatore, crea dei mondi, con il suo
sguardo e con la sua scrittura ( Nash 2001, Galani Moutafi 2000, Paerregaard 2002). Narra, o tenta
di narrare, una parte di un mondo che non sarà mai suo, e che probabilmente altri vedranno in modo
differente, ma comunque, un mondo, che, per un certo periodo della vita, diviene parte del suo

10
Texeira da Silva, medico e scrittore, è uno dei padri della letteratura capoverdiana. Nei suoi racconti e romanzi ha
ricostruito la vita quotidiana nelle isole di Fogo e Brava dalla fine dell‟800 fino alla metà del 900. Soprattutto nella
raccolta di racconti “Contra mar e vento” e nel romanzo “Ilheu de Contenda”, ricostruisce il tessuto sociale foguense
attraverso una collezione di storie di vita di marinai e immigrati costretti a lasciare la propria isola per cercare fortuna
all‟estero, e ricostruzioni della vita quotidiana di chi rimane nell‟isola.

14
quotidiano, spesso disorientandolo e portandolo alla costruzione di legami che vanno oltre la
ricerca.

1.3 Luoghi e sguardi

Le immagini che ho riportato narrano dei miei luoghi, dei luoghi della mia ricerca. In modo
analogo la mente del turista è uno spazio che si riempie progressivamente, e in modo spesso
stereotipato e codificato, di immagini di luoghi. Si tratta di immagini, simboli, figure che
influiscono direttamente sulla scelta della destinazione, creando nei visitatori un orizzonte di attesa
che protegge dall‟ignoto assoluto. Se si guarda alla costruzione dello stereotipo capoverdiano, si
vede come l‟enfasi venga posta soprattutto, sulla componente visuale, che si consolida in una serie
di scene, simboli, arrivando a ricreare un sistema di significati culturali con cui il visitatore
interagisce, fino a creare una realtà del tutto immaginaria.
Se fino a qualche anno fa si sceglieva come meta per una vacanza Capo Verde e si visitava
un‟agenzia di viaggio, nella maggior parte dei casi veniva proposta una sola isola, Sal, “l’isola di
Capo Verde”, per definizione. Solo negli ultimi anni, con l‟apertura di Boavista al turismo di massa,
nell‟immaginario turistico, Capo Verde e diventato un arcipelago, formato magari unicamente da
due isole. Spesso il turista rimane sorpreso nello scoprire che l‟Arcipelago è formato da ben dieci
isole e tutte tanto differenti.
Le isole di Sal e Boavista sono state del tutto ricreate dal turista e per il turista, proprio per
rappresentare quello che un turista cerca nella sua settimana di vacanza: sole, mare, tranquillità, in
un luogo paradisiaco. La costruzione del mondo turistico non si ferma mai. A distanza di pochi
mesi, ritornando nell‟arcipelago per una delle fasi della ricerca sul campo, le due isole, erano già
mutate in maniera irreversibile. Come riflette Urry (1995), è un mondo che cambia molto
velocemente e in molte direzioni: cambia nello sguardo del turista, che crea un luogo da sogno,
nello sguardo del capoverdiano che in quel luogo è nato e che spesso non comprende come stia
cambiando, nello sguardo e nella storia dei nuovi migranti che vengono dal continente africano in
cerca di maggior fortuna, e che finiscono per vivere la propria vita spesso nei cantieri di case che
loro stessi stanno costruendo e che mai abiteranno. C‟è poi lo sguardo dell‟emigrante capoverdiano
che ritorna dal suo caminho longi e che stenta a riconoscerla, perché stravolta dallo “sguardo
creativo” del nuovo padrone, uno straniero per il quale questa terra è quasi sempre,
semplicemente, un luogo dalle notevoli possibilità economiche.

15
Luoghi, Sal e Boavista soprattutto, in cui la mobilità sociale è incredibile, travolgente, in cui
gli sguardi si sovrappongono creando spazi effimeri. Nelle due isole, infatti, sono davvero pochi
coloro che possono essere identificati come “salensi”11 e “bubisti”12, si tratta di isole in cui con
incredibile velocità aprono e chiudono ristoranti, alberghi, pensioni, in cui si vive per poco tempo,
il tempo per un lavoro o per un‟impresa. Molti luoghi che per un certo periodo possiedono una
connotazione identitaria forte, che divengono il punto d'incontro di un'intera comunità, a distanza
di pochi mesi, spesso, non esistono più, cambiano nome e clientela, o restano malinconicamente
chiusi. Solo alcuni resistono al tempo: il Pontone di Santa Maria e la Piazzetta dove c‟è il Cafè
Cultural sull‟ isola di Sal, Piazza S. Isabel a Sal Rei, nell‟isola di Boavista.
Ma in fondo cosa significa parlare di un luogo? Cos'è un non luogo? Cosa avviene in un
luogo? Come questo luogo cambia? Quali storie vengono narrate e quali eventi sono così
determinanti da cambiarne il destino?
Si è accennato al caso dell'omicidio di Fontona, ci sono però, altri eventi che possono essere
considerati “fondanti”della nuova identità di alcuni luoghi dell‟arcipelago. E‟ il caso dell'apertura
dell'Aeroporto Internazionale a Boavista, che ha portato alla nascita delle altre due città, o della
cooperazione internazionale e del ruolo dei cappuccini a Fogo, “l‟isola della cooperazione”, eventi
che hanno portato, nelle due isole, in modo differente, alla costruzione di legami e l‟affermarsi di
luoghi come Cha das Caldeiras.
Ed è ancora il caso del Ristorante Kusa di Kasa, dove si apre e si chiude la mia ricerca,
cartina di tornasole del bene e del male dell'impatto degli stranieri su una parte della società
capoverdiana. Prima però di analizzare i luoghi e le loro voci è necessario presentare il luogo
geografico che tutti questi luoghi contiene: l'arcipelago di Capo Verde.

1.4 La riscoperta di Capo Verde

Le isole di Capo Verde sono una scoperta abbastanza recente nel panorama che
l‟antropologia del turismo ha anche definito il turismo delle 4S (Sand, Sea, Shore and Sex). Uno dei
motivi dell‟assenza di Capo Verde dal panorama delle destinazioni turistiche fino all‟inizio degli
anni novanta del novecento, è sicuramente la tardiva indipendenza dal Portogallo, raggiunta solo nel
1975 in seguito ad una lunga lotta di resistenza unitamente alla Guinea Bissau.

11
Così vengono chiamati tradizionalmente gli abitanti dell‟isola di Sal.
12
Gli abitanti dell‟isola di Boavista oltre che bubisti sono anche conosciuti come kabrere, dall‟attività principale che si
svolgeva nell‟isola, l‟allevamento delle capre.

16
Non è oggetto specifico di questo studio un‟analisi approfondita della storia e della
geografia dell‟Arcipelago su cui comunque esistono molti studi storici e sociologici13. E‟
necessario, però, accennare ad alcuni momenti storici che possono servire ad inquadrare meglio
l‟arcipelago di Capo Verde.
Sulla data certa della loro scoperta e sull‟identità dei primi navigatori che le raggiunsero vi
sono ancora incertezze e dubbi, ma è probabile che furono scoperte in due viaggi successivi, e più
precisamente, le prime cinque del gruppo orientale, Santiago, Fogo, Maio, Boa Vista e Sal tra il
1456 e il 1460, mentre le rimanenti tra il 1460 e il 1462.
Nel 1455 Alvise Cà da Mosto, avvista le isole di Capo Verde, e ritenta l‟impresa l‟anno
successivo unitamente ad Antonio da Noli, conosciuto anche come Antoniotto Usodimare. Fu
proprio in questo viaggio, quindi, che i due navigatori avrebbero scoperto le isole di Capo Verde.
Tuttavia è opinione di alcuni studiosi che le isole fossero già conosciute dagli arabi della costa
occidentale dell‟Africa
Le Isole orientali furono scoperte, secondo lo storico portoghese Barras, da Antonio da Noli,
e da Diogo Gomes, mentre quelle del gruppo occidentale furono scoperte da Diogo Alfonso, che
accompagnava Antonio da Noli nella successiva spedizione di popolamento di Santiago.
La colonizzazione fu difficile. La prima isola ad essere popolata fu Santiago che venne
divisa in due capitanie, il capitanato meridionale sotto il governo di Antonio da Noli con capitale
Ribeira Grande, e il capitanato del Nord, governato da Diogo Gomes con capitale Alcatrazes.
Quest‟ultima capitania ebbe, però, vita effimera. Della stessa città di Alcatrazes è ora difficile
trovare anche le rovine, che sono state individuate in un luogo geografico compreso tra la spiaggia
di São Francisco, posta alla periferia di Praia, e le calette della costa che da Praia porta a Pedra
Badejo.
Il popolamento dell‟isola maggiore avvenne attraverso quello che era chiamato il commercio
triangolare, la tratta degli schiavi, e lo stesso schema si perpetuò nella vicina isola di Fogo. Le altre
isole ad essere popolate furono Brava nel gruppo delle Sotavento, e nel gruppo delle Barlavento
Sant‟Antão e São Nicolau. Di più recente popolamento sono le isole di São Vicente, Sal e Boavista,
e Maio. Questa nota storica è fondamentale perché il popolamento successivo e la diversa
conformazione fisica delle isole, comporterà un diverso sfruttamento del suolo e una diversa
relazione tra padrone e schiavo che, secondo l‟antropologo capoverdiano João Lopes Filho (2007),
potrebbe essere la base di alcune delle differenze tra badju e sampadjudu.

13
Nel corso degli anni su Capo Verde e sulla sua storia e spazio sociale si sono prodotte molte opere. Si rinvia alla
bibliografia per una rassegna delle maggiori opere consultate durante la ricerca. Si segnalano più specificamente quelle
che sono state utilizzate per la ricostruzione storica dell‟arcipelago in questo paragrafo: Joao Lopes Filho (1976,2003 e
2007), Vaschetto (1987), Sobrero(1996), Germano Almeida (2003), Barbe (2004), Green (1999)

17
La vita delle isole è scandita, per secoli, dall‟intervallarsi di lunghi periodi di seca e fome, e
proprio a causa di questo fenomeno, la percentuale di popolazione residente delle isole è sempre
stata soggetta a repentini scarti.
La dominazione portoghese, poi, vive alterne vicende e per un lungo periodo Capo Verde
viene quasi abbandonata a se stessa, estrema provincia dell‟Impero. Tra il XVII e il XVIII secolo
inizia, infatti, il declino del Portogallo, con annessione al Regno di Spagna, e il contemporaneo
declino delle isole di Capo Verde. I governatori spagnoli si disinteressano delle isole, e le continue
scorribande dei pirati, diventano una vera e propria piaga, al pari della siccità e delle carestie.
La situazione non cambia quando l‟arcipelago ritorna, nel 1640, sotto il controllo esclusivo
del Portogallo. Durante il periodo coloniale portoghese la colonia di Capo Verde e quella della
Guinea Bissau vengono amministrate congiuntamente come unica provincia d‟oltremare fino al
1870. La lunga colonizzazione comune è alla base dei legami forti tra i due popoli che porteranno
alla lotta comune per l‟indipendenza.
L‟estrema povertà del suolo isolano e le difficili condizioni economiche hanno portato, da
sempre, la popolazione capoverdiana alla ricerca di migliori condizioni di vita non solo nella
metropoli, ma anche negli Stati Uniti, e in un secondo momento in Europa. Il fenomeno
emigrazione è così rilevante che, da studi statistici dell‟INE (Instituto Nacional de Estatistica), sono
quasi di più i capoverdiani residenti all‟estero, che quelli residenti nell‟Arcipelago.
Un momento fondamentale per la vita culturale dell‟Arcipelago è la nascita della rivista
“Claridade” che lega insieme diverse anime della ricca produzione culturale capoverdiana degli
anni trenta del novecento e dà inizio, seppur indirettamente, a quel movimento di reazione alla
colonizzazione da parte della Metropoli che porterà alla nascita di una riflessione intensa sui mali
dell‟arcipelago.
Dopo la seconda guerra mondiale, si manifestano segni d‟insofferenza e rivolta tra la
popolazione nei confronti del regime portoghese, e nel 1956 nasce il PAIGCV (Partito Africano
dell‟Indipendenza della Guinea e Capo Verde). Il triste leader di questa resistenza è Amilcar Cabral,
non a torto considerato il “Che Guevara” d‟Africa.
Dopo l‟indipendenza, ottenuta il 5 luglio 1975, l‟arcipelago, fino al 1990 , è governato da
un partito unico di impostazione marxista (PAICV) che, seguendo una politica di socialismo
nazionalista, non permise interventi e investimenti da parte di capitale estero nell‟economia
capoverdiana. Il turismo in questo periodo non era una delle priorità di sviluppo. Nel primo Piano
Nazionale di Sviluppo (PND) del 1982 – 1985, infatti, c‟è solo un riferimento al turismo, che
rappresentava un valore residuale del PIL (2%).

18
Il secondo PND (1986 – 1990) registra la creazione di un capitolo specifico dedicato al
turismo. Nel piano di sviluppo, il turismo viene visto ancora come un‟attività di difficile
evoluzione, limitata da alcuni fattori: la dipendenza dalle importazioni, la carenza di servizi e
prodotti turistici, e la mancanza di collegamenti aerei diretti con i maggiori paesi europei. Si
riconosce, però, per la prima volta il turismo come attività prioritaria, vengono definiti alcuni
obiettivi di lungo termine e un primo tentativo di promozione del turismo interno.
Nel 1991, a seguito della vittoria delle prime elezioni multipartitiche da parte del MPD
(Movimento per la Democrazia), un partito di centro nato da una costa del PAICV, iniziano da parte
del governo una serie di liberalizzazioni che portano ai primi investimenti di capitale estero nelle
isole. Il terzo PND (1992 – 1995), figlio di una nuova impostazione liberista, si caratterizza per il
processo di liberalizzazione dell‟economia e contiene per la prima volta una strategia di sviluppo
turistico. In questo periodo il turismo rappresenta il 10% degli investimenti, ma ha ancora un valore
residuale in termini di crescita economica, anche se c‟è una prima apertura all‟investimento estero.
Nel 1995 l‟MPD si assicura la maggioranza assoluta dei voti (il 60%) e questo gli consente
di continuare nella privatizzazione e nella vendita delle imprese statali: sono gli anni della scoperta
di Capo Verde come meta del turismo internazionale.
14
L‟isola che prima di tutte vien viene “turistizzata”, è l‟isola di Sal. L‟isola di Barlavento,
è quasi del tutto desertica con pochi rilievi e praticamente del tutto circondata da lunghe spiagge
sabbiose. La fortuna turistica dell‟isola è data dalla presenza dell‟unico (almeno fino al 2005)
aeroporto internazionale dell‟arcipelago, nato sulle fondamenta di quello costruito dall‟Italia nel
1939 come scalo per gli aerei che dovevano raggiungere il Sudamerica, e più tardi divenuto scalo
importante per compagnie brasiliane, argentine e sudafricane.
Fino agli anni „60, proprio l‟aeroporto e l‟Acampamento, gli uffici e gli alloggi del personale
delle compagnie aeree, erano il cuore della vita sociale dell‟isola. Ancora negli anni „90, quando
iniziano le costruzioni dei primi Resort, il paese di Santa Maria, futura cartolina del turismo
capoverdiano, era un piccolo villaggio di pescatori di appena un centinaio di anime, e nel complesso
l‟isola aveva solo due alberghi, quello fatto costruire dall‟Aeroflot per i suoi equipaggi e il
Morabeza costruito verso la metà degli anni sessanta da una coppia di belgi.

14
Lozano Giotart (2008) , individua differenti modalità di turistizzazione. Si è già parlato di balearizzazione o
maiorchizzazione, come prototipi di uno spazio turistico aperto sempre più specializzato sul turismo di massa. Il
modello non nasce da una pianificazione a lungo termine, si passa, infatti, da una clientela di elite si passa nel XIX
secolo, al turismo di massa eliotropico, senza uno sviluppo regolato. Il modello delle Isole Canarie è differente dal
modello rappresentato dalla balearizzazione. E' stato con il turismo di massa degli anni 70, che le Canarie hanno visto
un vero e proprio boom. L'eliotropismo in particolare durante i mesi invernali, sembra essere la motivazione principale
che spinge i turisti provenienti dalla città, a cercare il mare d‟inverno. Il modello canario si distingue per l'esistenza di
due tipi di località turistiche: una grande località balneare aperta e specializzata e una nebulosa di piccoli poli turistici,
ed è il modello a cui tende Capo Verde.

19
Nel corso degli anni „90 l‟intero arcipelago vive un‟accelerazione verso un‟economia
liberista e aperta all‟investimento estero. Nel 1991 viene promulgata la prima legislazione in
materia, la Lei Base do Turismo, che impone l‟inserimento dello sviluppo turistico nella politica
globale dello sviluppo del paese. Contemporaneamente inizia a serpeggiare anche un certo
malcontento nei confronti della politica liberistica del MPD.
Proprio agli inizi degli anni novanta un imprenditore bresciano di nome Stefanina
letteralmente “scopre” l‟arcipelago di Capo Verde, dando inizio ai suoi primi investimenti nell‟isola
di Sal, e divenendo di fatto, il principale artefice della nuova imprenditoria.
L‟isola di Sal vede aumentare a vista d‟occhio massicci interventi infrastrutturali quasi tutti
dovuti a italiani e portoghesi, a cui si accompagna un aumento vertiginoso della domanda turistica,
e un boom demografico legato alla crescita di nuove opportunità di lavoro.
Gli investitori non si fermano allo sfruttamento di una sola isola. Boavista, l‟isola che dista
appena otto minuti d‟aereo da Sal, ha, infatti, caratteristiche fisiche tali da consentire ulteriori
investimenti nel turismo balneare. Come Sal, anche Boavista è uno spazio quasi vuoto da riempire e
da sfruttare, visti i suoi 32 km di bellissime spiagge bianche, e la mancanza di vincoli paesaggistici.
La fine degli anni novanta vede la costruzione dei primi alberghi nell‟isola, con
un‟accelerazione nei primi anni del decennio successivo in seguito all‟apertura del nuovo aeroporto
internazionale. Lo sviluppo sregolato dell‟isola, la vendita di terreni a prezzi irrisori, il boom
dell‟edilizia, portano a conseguenze devastanti e al sorgere di problemi prima inesistenti.
Proprio all‟inizio degli anni „90, a seguito dell‟entrata in vigore della Lei Base do Turismo,
vengono create con decreto legge le Zone Turistiche Speciali (ZTE), distinte in due tipi: le Zone di
Sviluppo Turistico Integrale (ZDTI) e le Zone di Riserva e Protezione Turistica (ZRPT). La
gestione, l‟amministrazione e la pianificazione delle ZDTI sono di responsabilità dello Stato e delle
Società di Sviluppo Turistico, negli ultimi anni però, l‟applicazione di questa normativa è stata più
volte disattesa e aggirata tanto che la Società di SviluppoTuristico delle isole di Maio e Boavista
(SDTBM), l‟unica creata a seguito del Piano di Sviluppo, è stata sciolta a causa di un grosso
scandalo in cui era coinvolto anche il governo centrale.
Con il quarto PND (1997 – 2000), prosegue la politica di liberalizzazione e di promozione
del settore privato. Nel corso degli anni il flusso turistico è sensibilmente aumentato, ma ancora si
incontrano problemi di crescita dovuti anche alla scarsa preparazione del personale, e una serie di
vincoli paesaggistici e legali. Il Governo dichiara di considerare il turismo come settore
fondamentale di sviluppo economico e il suo sviluppo deve seguire i tre criteri della sostenibilità:
ambientale, economica e sociale.

20
Ma la realtà è ben diversa, e la sostenibilità è solo una parola che rimane sulla carta. E‟
sull'onda emotiva di questo malcontento che il PAICV, riesumando i valori più autentici della
resistenza, inizia una campagna elettorale basata sulla salvaguardia dell‟ambiente e lotta alla
disoccupazione. Nel 2000 il PAICV si aggiudica le elezioni amministrative, e nel gennaio 2001 le
legislative. E‟ in questo periodo, tuttavia, che il governo capoverdiano, anche se in ritardo e con
errori che si ripeteranno in seguito, comprende che il futuro economico delle isole è quasi
unicamente posto nel turismo, e che è necessario stabilire delle regole precise.
Il quinto PND (2002 – 2005) propone le linee maestre per promuovere un turismo
sostenibile nell‟arcipelago, un turismo che deve evolversi attraverso un aumento dell‟efficienza
dell‟amministrazione, la diversificazione del prodotto, la formazione delle risorse umane, lo
sviluppo delle iniziative nelle isole di Boavista e Maio. Nel 2004 la Direzione Generale per lo
Sviluppo del Turismo (DGDT) presenta il Piano Strategico di Sviluppo Turistico (PEDT), con un
orizzonte temporale di dodici anni.
Nella ricostruzione di questo quadro normativo e politico si è parlato soprattutto delle isole
che più di altre hanno subito il fenomeno della turistizzazione. Le isole di Barlavento vivono uno
sviluppo turistico differenziato, legato alla differente conformazione fisica e umana delle stesse. São
Vicente è da sempre l‟isola più aperta al mondo, con il suo Porto Grande che è stato fondamentale
per le carboniere fino agli anni „50. Il porto ha vissuto successivamente, un lento declino e solo
ultimamente sono stati avanzati nuovi tentativi di sviluppo. São Vicente è l‟isola della musica e
della cultura: a Mindelo, città cosmopolita e più “europea” della capitale Praia, sono nate le
maggiori iniziative editoriali e si sono sviluppati i movimenti letterari che hanno fondato la
ricchissima cultura capoverdiana, e ancor adesso la città si propone come simbolo della cultura e
della musica capoverdiana.
L‟isola di Sant‟Antão dista soltanto una mezzora di nave da São Vicente da cui è divisa da
un turbolento canale. Ancora una volta il viaggiatore si trova davanti un mondo a parte. Sant‟Antão
è l‟isola delle montagne e del verde, delle scogliere, e del mare impetuoso, delle Ribeiras che
attraversano le montagne e dove esistono ancora oggi piccoli villaggi raggiungibili solo a dorso di
mulo o a piedi. Qui il turismo ha avuto una storia differente, non essendoci posto per la costruzione
di Resort o Alberghi che permettessero il classico turismo balneare. Le sole spiagge si trovano nella
zona Nord dell‟isola, ma sono pressoché irraggiungibili, anche se qualcosa sta cambiando nei
dintorni del capoluogo Porto Novo. Gli sforzi d‟investimento nel turismo, quindi, si sono
concentrati nella costruzione di piccole pensioni nei paesi di Ponta do Sol e di Ribeira Grande, e di
piccoli lodge eco compatibili nelle Ribeiras, dedicati a chi vuole riscoprire il turismo di natura, la
solitudine e il contatto con ritmi di vita che hanno un sapore antico.

21
Diversa è anche la nazionalità dei turisti che svolgono le vacanze nell‟isola. Mentre le isole
di Sal, Boavista e Maio sono visitate maggiormente da turisti italiani e portoghesi (e recentemente
dell‟Est europeo e del Regno Unito) più avvezzi alla ricerca della vacanza sole, mare e relax,
Sant‟Antão, ma anche São Nicolau, Brava e Fogo, sono isole che vengono visitate prevalentemente
da turisti di nazionalità francese, tedesca, olandese, che più di altri cercano una vacanza attiva .
Lo sviluppo diseguale e frammentario del turismo nell‟ arcipelago, è dovuto principalmente
alla conformazione fisica delle stesse isole, che pur raggruppabili per similitudini (isole desertiche e
con lunghe spiagge, isole montagnose) sono realmente differenti una dall‟altra per popolamento e
per storia e tradizioni, tanto da formare, ogni isola, un mondo a parte. Questo è tanto più evidente se
si visitano le isole del gruppo di Sotavento, dove, fatta eccezione per l‟isola di Maio, le isole poco
si conformano all‟idea di sviluppo del turismo balneare. L‟isola di Fogo, come già accennato, è
stata interessata da uno sviluppo turistico complesso e che risulta molto interessante ai fini della
nostra ricerca. La presenza di un vulcano attivo, e di una zona, quella della caldera, in cui i terreni
coltivati a vitigno consentono la produzione di un vino dal sapore di cenere, ha portato negli anni
novanta alla presenza di alcune ONG che hanno inciso sullo sviluppo economico e culturale
dell‟isola. La presenza, poi, dell‟Ospedale São Francisco creato e gestito al momento della ricerca
dai Frati Cappuccini, presenti a Capo Verde fin dai primi anni del novecento, ha dato inizio al
fenomeno che in antropologia del turismo viene chiamato dei “do-gooders” (il turista con il
trolley), una modalità di turismo solidale, che avremo modo di analizzare successivamente.
Ancora più peculiare è la realtà che si vive nella vicina isola di Brava che, collegata da una
sola nave settimanale a Praia (Isola di Santiago), vive una sorta di beato isolamento, evidenziato
ancor di più dalla continua coltre di nubi che ricopre l‟isola e che nasconde anche visivamente il
capoluogo, Vila Nova Sintra. L‟isola vive di pesca, di pastorizia e dello sfruttamento dei verdissimi
orti dovuti al particolare microclima. Il turismo è quasi del tutto inesistente e l‟isola si popola
soltanto nel periodo di giugno e luglio, quando, i tanti immigrati negli States ritornano per passarvi
le vacanze estive.
Ancora più complessa è la situazione turistica che vive Santiago, l‟isola più grande
dell‟arcipelago. L‟isola avrebbe tutti gli ingredienti per avere uno sviluppo turistico equilibrato, la
presenza di montagne, alcune belle spiagge sabbiose, e soprattutto la presenza dell‟antica cultura
badiu, con le sue tradizioni e le sue feste, nel cuore dell‟isola. La diversità di ambienti e culture,
consentirebbe lo sviluppo di varie tipologie di turismo da quello residenziale, a quello balneare, a
quello di natura a quello culturale, visto che, se si eccettua la presenza a Fogo della Casa della
Memoria e del Museo Municipale, gli unici musei si trovano a Santiago (il Museo Etnografico a
Praia, il Museo delle Tradizioni ad Assomada, il costituendo Museo della Resistenza a Tarrafal).

22
Ma Praia non decolla a livello turistico: è una città senza fascino che negli ultimi anni ha visto
crescere senza alcuna regola e in assenza di ogni genere di servizi, quartieri periferici in cui vivono
capoverdiani e in gran misura africani provenienti dal continente. Così il turismo nell‟isola della
capitale è ancora basato su un turismo di transito, e l‟unico vero luogo che attrae il turista straniero
è la bella spiaggia di Tarrafal, posta, rispetto alla capitale, nel punto estremo dell‟isola.
E‟ di recente pubblicazione il Plano Estrategico para o Desenvolvimento do Turismo em
Cabo Verde [2010- 2013] curato dal Ministerio de Economia Crescimento e Competitividade –
Direcçao Geral do Turismo che presenta la situazione turistica aggiornata e cerca di proporre un
modello di sviluppo “sustentado”. La fotografia che emerge dalla lettura delle 132 pagine del
documento poco si distacca da quanto visto finora e conferma la linea del governo capoverdiano
tesa ad un aumento della competitività internazionale e alla promozione di uno sviluppo turistico
integrato, tenuto conto anche del recente ingresso del paese nel novero dei Paesi con Rendimento
Medio.
La maggior parte del flusso turistico ( i dati sono riferiti al 2008) è concentrato nelle isole di
Sal (57%), Santiago (20,1%), Boavista (9,9 %) e São Vicente (7,6%). Gli europei rappresentano l‟
85% dei turisti: Portogallo (20%) , Regno Unito (18%), Italia (17%), Spagna (12%).
Gli obiettivi che il Governo capoverdiano si propone di raggiungere nel 2013 sono: un
flusso annuale di 500.000 turisti; l‟aumento dell‟impiego nel turismo del 60%, e soprattutto il
miglioramento dei benefici per la popolazione residente, attraverso l‟adozione di ben 13 azioni
strategiche.

1.5 Le fasi della ricerca

La ricostruzione di questo quadro turistico preliminare, è stato oggetto della prima fase della
ricerca sul campo svolta nei mesi di ottobre-novembre del 2007. Quello che mi sembrava
importante, in questa prima fase, era una “survey” sulla situazione turistica dell‟arcipelago,
necessaria per la scelta dei luoghi in cui realizzare la ricerca .
Ho destinato questa parte della ricerca ad una valutazione dell’impatto sociale del turismo
sulla realtà socio-culturale esistente nelle isole. Questo anche per la mancanza di studi specifici.
Solo nel 2009, infatti, è stato approntato un primo studio preliminare sulla situazione del turismo a
Capo Verde, nell‟ambito di un Master in Antropologia Sociale e Culturale dell’ Universidade de
Lisboa, Instituto de Ciencias Sociais15.

15
Maria do Carmo Farias Daun – Lorena Santos, Turismo em Cabo Verde: um estudo exploratorio, Mestrado em
Antropologia Social e Cultural, Universidade de Lisboa – Instituto de Ciencias Sociais,2009

23
Come rileva Alessandro Simonicca (2004) in una sua recente riflessione, l‟insularità è
tendenzialmente una condizione etnologica. Dal punto di vista culturale, infatti, ogni isola tende ad
essere un mondo a sé, e anche per via di questa chiusura verso l‟esterno, ad essere caratterizzato da
una “fragilità costitutiva”.
La letteratura antropologica sull‟argomento è sterminata e comprende ricerche che prendono
in considerazione la realtà turistica di paesi insulari che vanno dalle isole del Mediterraneo fino alla
Polinesia, per questo si è imposta fin dall‟inizio una scelta di fonti e case studies che potessero
risultare utili a comparare la realtà capoverdiana con altre similari16.
Durante il lavoro di ricerca bibliografica, ho cercato di privilegiare le fonti provenienti da
Università e Centri di Ricerca sul turismo limitrofi per geografia e cultura all‟arcipelago di Capo
Verde. I riferimenti sono stati la Escuela Especial do Turismo dell’Università di Lanzarote, che da
qualche anno ha iniziato, anche sulla scorta dell‟esperienza vissuta dalle Canarie, una serie di
ricerche sul turismo nell‟intera Macaronesia ( formata dagli arcipelaghi di Capo Verde, Canarie,
Madeira e Azzorre ), le maggiori università costiere del Brasile, nonché il Dipartimento di
Etnologia e il CEA (Centro de Estudos Africanos) dell’ISCTE di Lisboa.
Nella prima fase della ricerca nell‟arcipelago, ho cercato di trarre dai contatti con le
Istituzioni e le comunità residenti nei luoghi, le maggiori informazioni possibili al fine di verificare
alcune delle “suggestioni” emerse prima della partenza. La prima parte della ricerca (2007) si è
svolta nelle Isole Barlavento, principalmente nelle isole di Sal e Boavista e successivamente nelle
isole di São Vicente e Sant’Antão. Nelle prime due isole non essendo presenti delegazioni di
Istituzioni pubbliche se si eccettuano la Camara Municipal e la UNOTUR (l‟Unione degli Operatori
Turistici dell‟isola di Sal), gli interlocutori privilegiati sono stati gli operatori del turismo, sia
stranieri sia locali, gli imprenditori immobiliari e più in generale chiunque a vario titolo è venuto, e
viene a contatto giornalmente con il fenomeno.
Lo stesso è avvenuto anche a Sant‟Antão, dove però i contatti con le istituzioni sono stati più
stretti, mentre diverso è stato l‟approccio a São Vicente. A Mindelo i principali interlocutori sono
stati principalmente la Camara Municipal, gli istituti di cultura francese e portoghese, l‟Isieg nella
persona dell‟ing. João Dias, presidente del Corso di Laurea in Gestão Hotelaria e do Turismo.
L‟incontro a Mindelo con l‟antropologa capoverdiana Isa Dora Lelis Silva, che da tempo si occupa
di turismo e sviluppo nell‟arcipelago, mi ha consentito un feedback importante sulle tematiche
oggetto della ricerca.

16
Si rimanda alla bibliografia per un quadro esaustivo dei lavori prodotti sul rapporto tra insularità e turismo. Tra i
contribuiti più significativi si segnalano quelli di Boissevan (1992), Briguglio et al. (1996), Bull (1995), Kohn (1997),
More (1970), Rozenberg (1995), Veiga (1998)

24
La seconda parte della ricerca, nell'anno 2007, si è svolta nelle Isole Sotavento e in
particolare nelle isole di Maio, Fogo e Santiago. A Santiago ho avuto modo di accedere agli archivi
della Caboverde Investimentos (ex Promex), dell‟INE (Istituto Nacional de Estatistica) e della
Polizia Giudiziaria, nonché al materiale raccolto nell‟Archivio Storico Nazionale in cui è possibile
ripercorrere, seppure solo in parte, la recente storia urbana e sociale delle isole dal 1980 al 1998
circa.
Per il periodo che va dal 1999 al momento dello svolgimento della ricerca, il materiale non
era stato ancora catalogato e archiviato. L‟incontro con il presidente del Corso di Laurea in Gestão
Hotelaria e do Turismo dell‟Università Jean Piaget, mi ha consentito di poter accedere ad un nutrito
corpus di lavori effettuati dagli studenti del Corso sul fenomeno turismo a Capo Verde, lavori che si
sono andati ad aggiungere al materiale raccolto all‟Isieg e mi hanno concesso una panoramica
interessante sul come il turismo viene visto dagli “insiders”.
Sempre a Praia ho ottenuto un contatto proficuo con alcuni professori e studenti dell‟UniCV,
L‟Università Statale di Capo Verde, che ha da poco iniziato il suo cammino. La dott.sa Glaucia
Nogueira, segretaria del rettorato e giornalista de “A Semana”, è stata fondamentale nel fornirmi i
contatti utili nelle Istituzioni, come prezioso è stato l‟incontro con la dott.sa Filomena Ribeiro della
Direzione Generale del Turismo. La visita e la residenza nel centro turistico di Tarrafal con visita al
Campo di Concentramento salazarista di Chao Bom e a Cidade Velha, unico sito di Capo Verde
candidato ad essere inserito dall‟Unesco nel patrimonio dell‟umanità, mi hanno portato alla
riflessione sulle potenzialità inespresse del patrimonio culturale capoverdiano17.
Momento cruciale per la ricerca è stato fin da questa prima fase, il soggiorno a Cidade
Velha presso il BeB gestito da Anna e Alberto. I due italiani, rappresentano uno dei pochi veri
tentativi quasi riusciti di outsiders divenuti realmente insiders ( e quindi riconosciuti come tali dai
capoverdiani). La loro capacità di “essere l’altro”, è dimostrata dal gesto estremo della donazione
del Ristorante che avevano aperto, a quattro ragazze capoverdiane che sono diventate le effettive
proprietarie del locale di cui Anna e Alberto detengono solo delle piccole quote.
Dal Ristorante passavano molti italiani e cooperanti stranieri residenti nelle isole e anche per
me risiedervi è stato fondamentale perché mi ha aiutato ad entrare maggiormente in contatto con la
realtà capoverdiana senza molti filtri, arrivando a comprendere le ragioni di alcuni comportamenti e
abitudini che mi restavano fino a quel momento abbastanza oscure. E‟ stato un periodo
fondamentale anche per la scelta degli argomenti da affrontare nella ricerca. Il confronto continuo

17
Sul futuro Museo della Resistenza di Cha o Bom, un mio paper “
no Dsenvolvimento Turistico da Vila do Tarrafal – Cabo Verde”, presentato in occasione del Seminario di Museologia
organizzato dall‟Università di Porto nell‟Ottobre del 2009, è stato pubblicato in
em Museologia dos Paises de Lingua Portguesa e Espanhola , Volume 3, pp. 114-123, Univ. do Porto ed.

25
con Anna e Alberto e le ragazze che gestivano il Ristorante Kusa di Kasa, mi ha portato a rivedere
alcune idee iniziali e a focalizzare il mio interesse sul rapporto tra vecchi e nuovi residenti in uno
spazio urbano limitato ad una serie di villaggi costieri.
Il periodo di ricerca passato a Maio è stato uno dei più intensi a livello umano. A Vila do
Maio, capoluogo dell‟isola, in quel periodo era in atto un vero e proprio scontro tra la comunità
italiana e quella maiense. Il contrasto tra residenti capoverdiani e italiani, latente da qualche tempo,
era esploso, e si erano verificati alcuni atti di aggressione fisica. Attraverso i contatti con
rappresentanti delle due maggiori comunità residenti del villaggio (quella capoverdiana e quella
italiana), ho iniziato a ricostruire la storia recente di questo scontro, che negli ultimi tempi si stava
riproponendo con sempre maggior forza, tanto da portare alcuni italiani a lasciare l‟isola.
Sull‟isola di Fogo, invece, la mia attenzione si è concentrata principalmente sull‟attività
svolta sull‟isola dai frati cappuccini, di cui si è già accennato. Negli ultimi anni, i frati hanno aperto
un Ospedale e recentemente un Residence, “ Le Case del Sole”, il cui compito sarebbe quello di
essere un mezzo per ricavare i soldi per sostenere la struttura medica. Durante la ricerca sono, però,
venute alla luce, attraverso le confidenze di alcuni operatori sanitari operanti nell‟Ospedale, tutte le
incoerenze nella gestione dell‟intera opera. Secondo la testimonianza di alcuni medici, per molti il
periodo di quindici giorni di lavoro come volontari nell‟ospedale, si riduce spesso ad una sorta di
vacanza “solidale”.
Nello stesso periodo ho avuto contatti con il personale del COSPE, ONG di Firenze, che fin
dai primi anni novanta lavora con la popolazione residente nella Caldera del vulcano per la
produzione del pregiato vino di Fogo e con Monique Widmer, direttrice del Museo della Memoria,
con cui ho potuto avviare un proficuo scambio di sensazioni sulla realtà che vive l‟isola di Fogo e
l‟arcipelago in generale.
La visita seppur breve all‟isola di Brava, mi ha convinto ad inserire Vila Nova Sintra tra i
luoghi della seconda fase della ricerca, per la pressoché totale assenza di turisti e per l‟immagine
ancora viva di come doveva essere l‟arcipelago prima dell‟avvento del turismo di massa.
Questa prima Valutazione d’Impatto Sociale del turismo sulla società e sull‟economia delle
Isole di Capo Verde ha fatto emergere vari punti di riflessione e varie tematiche che sono state già
affrontate dalla letteratura etnologica negli ultimi anni.
Argomenti come la sostenibilità dell‟ambiente e del turismo, l‟insularità, il ciclo di vita di un
sito turistico, il rapporto esistente tra turismo e crescita della criminalità, spaccio di droga e
prostituzione nei siti oggetto di turismo di massa, i cambiamenti socio culturali repentini che
portano anche in breve tempo ad una “rinegoziazione” dell‟identità, sono stati affrontati in numerosi
recenti studi ( Scarduelli 2005, Simonicca 2004 e 2006, Lage 2000, Aime 2005, Graburn 2001,

26
Smith 2001). Studi provenienti non solo dagli Usa, dal Regno Unito e dalla Francia, dove maggiore
è l‟attenzione dell‟antropologia verso il complesso fenomeno del turismo contemporaneo, ma anche
dal Portogallo, come, a titolo di esempio i recenti lavori dell‟Univerdidade Nova di Lisbona. Si è
rivelato importante anche lo studio di alcune tesi di laurea e di dottorato di studiosi della Escuela
Especial di Lanzarote nelle Canarie e di alcune università brasiliane, dove sono nati negli ultimi
anni specifici Dipartimenti e Corsi di Laurea che studiano la complessità del fenomeno turismo in
contesti fragili come le isole.
Era necessaria, dopo questa prima fase, una scrematura e una scelta dei luoghi che potessero
essere il campo della ricerca su queste tematiche. La scelta è caduta su alcuni luoghi esemplificativi:
il villaggio di Santa Maria nell‟isola di Sal, prototipo del turismo balneare, il villaggio di Sal Rei e
la limitrofa favela (Barracas), sottoprodotto di quel turismo, l‟isola di Fogo, caratterizzata da forme
di turismo solidale, Brava, per la pressoché totale assenza di turismo e per concludere Cidade
Velha di Santiago, luogo in cui ho vissuto per molto tempo nel corso della ricerca e che è stato il
cuore dell‟osservazione di quel piccolo tentativo di turismo solidale purtroppo non del tutto riuscito.
L‟incontro (e spesso lo scontro) tra hosts e guests negli spazi in cui si è svolta la ricerca, e
l‟individuazione e lo studio di quelle che sono le strategie di resistenza (o di reazione) da parte della
popolazione locale all‟ingresso dei nuovi residenti, mi ha portato ad utilizzare alcune delle
metodiche poste dall‟Etnometodologia. L‟interesse per questa metodologia, di cui si parlerà tra
breve, è dovuto al fatto che la stessa propone strumenti atti alla conoscenza e all‟interpretazione dei
“metodi” con cui i locali “leggono” un evento. Altri importanti spunti per l‟analisi dei luoghi e del
cambiamento mi sono venuti dalla lettura di saggi di semiotica per il turismo e la geografia
culturale.
La seconda (giugno-luglio 2008) e la terza fase della ricerca (gennaio e luglio 2009 e
febbraio 2010), hanno rappresentato il cuore della ricerca. Le due fasi, infatti, sono state dedicate
all‟analisi delle dinamiche relazionali nelle varie piccole comunità scelte per la ricerca, nonché alla
disamina delle diverse teorie antropologiche che sul rapporto tra hosts and guests. In questa seconda
fase ho iniziato ad allargare il campo della ricerca, individuando quella porzione di mondo
capoverdiano dove il turismo ha avuto uno sviluppo differente e dove resiste quella
caboverdianidade mai del tutto chiaramente definita.

27
1.6 Prima della partenza: campi non situati e teorie confutabili

Come emerge dalla riflessione introduttiva, non sempre un progetto è facilmente


identificabile fin dall‟inizio, si va avanti spesso per intuizioni, idee raccolte nel cammino e talvolta
perse perché non scritte, non rielaborate, non vissute. Ma è soprattutto la ricerca sul campo che
delinea e precisa il percorso da seguire, le tematiche da affrontare, spesso mettendo in crisi anche le
poche certezze del ricercatore.
Il paese di Sal Rei (Isola di Boavista), già nel 2005, quando visitai Capo Verde per la prima
volta come semplice viaggiatore, sembrava vivere a due differenti velocità. Da una parte gli
stranieri (forasteiros), non sempre definibili esclusivamente come turisti, dall‟altra, quasi al
margine, alcune volte quasi senza farsi notare, coloro che più di altri avrebbero diritto a vivere gli
spazi dell‟isola (residentes), da un‟altra ancora gli africani provenienti dal continente (migrantes).
La stessa sensazione di separazione spaziale l‟avevo percepita durante la mia breve visita a
Santa Maria, sull‟Isola di Sal. Da una parte il vecchio villaggio di pescatori, con i ristoranti “tipici”
e i bairros capoverdiani e africani, dall‟altra, come separati, i Resort All inclusive. Due mondi che
quasi sembravano non toccarsi, separati dalla strada principale d‟accesso a Santa Maria, e che
ancora oggi vivono di contatti occasionali legati ai momenti in cui i “turisti col braccialetto” (come
vengono definiti dai senegalesi che vendono souvenir), vengono a contatto con la realtà locale. Una
realtà quasi mai vissuta, però, direttamente, ma sempre mediata dalla presenza degli animatori che
fanno da filtro verso l‟esterno.
Ancora di più m‟incuriosiva investigare su quale rapporto legasse i nuovi residenti stranieri
(per la maggior parte italiani) e i capoverdiani. Avevano spazi condivisi? Oppure ogni gruppo
viveva degli spazi “identitari”. La condivisione di spazi si limitava a luoghi da considerare comuni
per forza di cose come ad esempio la Banca, la Posta, l‟Ospedale ?
Da queste riflessioni è partito il lungo e tortuoso cammino che ha portato a questo lavoro.
Un cammino iniziato già prima della partenza attraverso l‟analisi di quella che era l‟immagine
turistica di Capo Verde in Italia.

1.7 Forum, blogs e social networks.

Prima della partenza, e durante tutta la prima fase della ricerca, nel tentativo di
documentarmi il più possibile sull'arcipelago, dando ascolto a più voci e a più interpretazioni sulla
sua storia, sulla sua realtà sociale, mi è stata utile l'analisi di numerosi siti internet. In particolare

28
l‟analisi dei Forum ospitati dal sito www.caboverde24.com, un “luogo” in cui “innamorati” delle
isole, residenti, turisti, si scambiano idee sulla vita quotidiana, spesso esprimendo apertamente
(perché protetti da realtà virtuali) pareri su ciò che accade nell'arcipelago e che sarebbero difficile
da esprimere nella realtà per la paura di essere vittima di qualche pregiudizio. L‟analisi dei post
contenuti nel sito è stata una buona base di partenza al fine di individuare alcuni nuclei problematici
all‟interno delle isole.
Il sito in questione insieme a quello curato da Anna e Alberto Motosso www.cvfaidate.com
e a www.caboverde.com di Edoardo de Gioannini è uno dei più completi, e uno dei pochi da cui è
possibile farsi un‟idea complessiva dell‟arcipelago. Il sito ha cinque versioni: italiana, portoghese,
tedesca, inglese, spagnola; ogni versione contiene un forum, suddiviso per topics. Nell'analisi del
forum non sono rimasto passivo, leggendo e analizzando unicamente i post: io stesso ho proposto
temi di discussione su tematiche legate al turismo sostenibile nelle isole, provocando un confronto
su alcune tematiche scottanti.
Data la rilevanza numerica dei post contenuti nei cinque forum e la necessità comunque di
analizzarli tutti mi, dopo un‟iniziale analisi dei soli argomenti attivi, ho deciso di orientare la ricerca
per temi (topics), attraverso lo strumento “ricerca avanzata” presente nel forum.
In tutti i forum ho cercato, quindi, i messaggi che contenessero i seguenti topics che mi
sembravano utili ai fini della ricerca:
- Per nome dell’isola (Sal, Boavista,Santiago,Fogo etc.)
- Omicidio delle italiane
- Massacro delle italiane
- Delitto a Santa Maria
- Droga
- Turismo culturale
- Turismo di massa
- Turismo sostenibile
- Turismo sessuale e riproduttivo
- Problemi sociali
- Sesso
- Solidarietà
- Poligamia

L'analisi dei messaggi contenuti nel forum è proseguita parallelamente alla ricerca di
campo, ed anzi si può considerare una sorta di campo parallelo, non situato a livello geografico, ma

29
al tempo stesso reale, anche questo una sorta di viaggio tra le isole. L‟incontro con alcune persone
che ho incontrato a Sal e Boavista, è stato favorito proprio da uno scambio di mail e messaggi sul
forum, e nell‟analisi dei contenuti è stato possibile individuare quelli che, secondo i frequentatori
dello stesso, sono da considerare i punti di non ritorno nella vita turistica delle isole. La data
dell‟omicidio avvenuto nell‟Isola di Sal, rappresenta uno spartiacque tra quello che era e quello che
è e sarà, il momento in cui il Paradiso mostra “la sua vera faccia” secondo alcuni, il momento in cui
“si deve prendere coscienza del male fatto a queste isole” secondo altri. L‟analisi dei messaggi
contenuti nel Forum, ha confermato come, dal giorno della morte di Dalia e Giorgia, il dibattito
intorno all‟omicidio e alla realtà capoverdiana sia divenuto molto più intenso e come talvolta sia
scaduto in offese dirette, soprattutto, nei confronti di quelle turiste che vanno in vacanza
nell‟arcipelago in cerca di avventure sessuali con quelli che, la letteratura antropologica e non solo,
ha definito beachboys, big bamboo, e che dai salensi vengono definiti aventurieros. Da quella data,
il 7 febbraio 2007, e per circa un anno, il tono delle riflessioni nel Forum cambia, emergono una
serie di problematiche che fino ad allora erano taciute, prima dell‟inizio di una inevitabile fase di
oblio sulla vicenda delittuosa.
Anche la creazione di alcune pagine dedicate alla mia ricerca su alcuni social networks,
Ning e Facebook, mi ha consentito di entrare nel campo e coinvolgere più persone nella ricerca, in
modo da creare un feedback continuo. Il sito da me curato e ospitato da Ning
(antropologiaturismo.ning.com)18, in cui era possibile consultare materiale prodotto durante la
ricerca, è diventato con il tempo uno spazio per ricercatori e amanti delle isole in cui condividere
idee e costruzioni del mondo capoverdiano.
Quanto le nuove tecnologie creino nuovi campi e quanto questi campi interagiscono con il
“campo reale” o campo situato, è stato molto evidente in tutto l‟arco temporale della ricerca. Nel
corso del mese di Gennaio del 2009, ho deciso di aprire una pagina sul social network Facebook in
cui, provocatoriamente, proponevo un pacchetto All inclusive nell‟esclusivo Baraccas Village
Resort Boavista19. La finta pagina pubblicitaria conta al momento 107 fans, per lo più persone che
in qualche modo hanno una visione “sostenibile” del turismo nelle isole, e aveva come obiettivo
denunciare, seppure in modo ironico, l‟insostenibile situazione che si vive nella township nata alla
periferia di Sal Rei.
Qualche mese dopo l‟apertura della finta pagina pubblicitaria, uno dei miei contatti a Boa
Vista mi inviò una mail in cui mi raccontava come la mia iniziativa avesse creato non poche

18
Al momento il sito internet non è più consultabile a causa delle mutate condizioni di utilizzo da parte del portale
Ning. E‟ in progetto il trasferimento di tutto il materiale su un portale analogo.
19
Di seguito il link della pagina Facebook: www.facebook.com/group.php?gid=49489959667

30
tensioni tra gli “imprenditori” immobiliari dell‟isola che vedevano nella pagina un pericolo per i
loro affari.
Questa influenza reciproca tra i diversi campi, quello reale e quello “virtuale” sarà una
caratteristica che accompagnerà le tre differenti fasi e momenti differenti anche a livello temporale,
della mia ricerca.
Prima di presentare e analizzare i case studies che sono il cuore di questa ricerca e indagare
le dinamiche legate all‟evoluzione e alla costruzione del mondo turistico capoverdiano, è necessaria
una presentazione del frame work teorico e metodologico.

31
CAPITOLO II

IL FRAME WORK TEORICO

32
2.1 Luoghi, contesti e teorie.

Dalla metà degli anni novanta ad oggi, come già evidenziato, l‟impatto del turismo di massa
nei villaggi principali delle isole ha portato a cambiamenti geografici e socio culturali molto
repentini ed evidenti.
In una recente visita nella regione dell‟Algarve il presidente della Repubblica di Capo
Verde, ha dichiarato che la regione portoghese e la sua “capitale”, Albufeira, sono il modello verso
cui tendere. E, in effetti, di quella che viene chiamata “algarvizzazione”, ci sono segni evidenti
nell'isola di Sal e parzialmente a Boavista.
Lo sviluppo turistico delle isole nel bene e nel male, più che richiamare il modello
dell‟Algarve rimanda, tuttavia, a quello delle vicine Isole Canarie20, arcipelago che per
conformazione fisica, presenta molte similitudini con Capo Verde (Correia e Silva 2004). A Gran
Canaria è già avvenuto che tedeschi, inglesi e svedesi si siano spartiti l‟isola, giungendo persino a
cambiare nome alle spiagge (come che in parte è già accaduto sull‟isola di Boa Vista, dove la
spiaggia di Curralinho è da qualche tempo conosciuta con il nome di Santa Monica, per la
somiglianza con la nota spiaggia statunitense). Nei negozietti di souvenir di Sal oggi si vendono le
stesse conchiglie, le stesse magliette, le stesse miniature di tartarughe che si vendono anche alle
Canarie o in Brasile. Tutto è standardizzato basta solo cambiare il nome della località impresso sui
souvenir.
Nelle aldeias scelte come campo della ricerca si evidenziano dei tratti di evoluzione e
trasformazione comuni, inquadrabili astrattamente in alcuni dei modelli proposti dall'antropologia
del turismo nel corso degli anni. Un contributo importante viene anche dalla geografia culturale
(Vallega 2003) e, naturalmente, dalla geografia del turismo (Lozato-Giotart 1985 e op. cit.) Ma
principalmente mi è sembrato necessario valutare questi modelli nella realtà concreta, osservare
direttamente lo scenario per riconoscerlo nelle sue storie e rendere vive le “mappe” che ognuno
costruisce.

2.2 Modelli teorici.

L‟antropologia ha iniziato a studiare il turismo con notevole ritardo. Le ragioni di questo


ritardo sono molteplici (Callari Galli, 2001). Si è ritenuto in primo luogo che l‟antropologia non
dovesse occuparsi di qualcosa di “frivolo”, come una vacanza. La seconda ragione rinvia
20
Sullo sviluppo turistico delle Isole Canarie può essere interessante la lettura del contributo di K. More (1970), che
ricostruisce la “turstiizazione” di un piccolo villaggio di pescator: Los Santos, e quello più recente di McLeod (1999)

33
direttamente a quello che era, ed è ancora adesso in parte, il cuore della ricerca antropologica: la
ricerca in mondi diversi. Questo interesse primario respingeva ai margini l‟interesse per lo studio di
tratti culturali che invece apparivano tipici della civiltà occidentale e in particolare di alcuni suoi
gruppi ristretti ed elitari, quali quelli che, fino ai primi anni cinquanta e sessanta del secolo scorso,
potevano permettersi una vacanza. La stessa visione del turista come “sfruttatore” e consumatore di
luoghi e comunità aveva allontanato l‟antropologia da quella che veniva considerata un‟esperienza
banale.
Negli ultimi decenni tuttavia, l‟antropologia è tornata sempre più spesso at home,
affrontando temi, come il turismo, prima tralasciati. Negli anni ‟60 diversi studi affrontano
questioni direttamente o indirettamente legate al turismo. E‟ caso, ad esempio, del lavoro di T.
Nunez (1963), sulle conseguenze dell‟impatto socioculturale dei soggiorni di fine settimana degli
statunitensi su una comunità messicana. “Ufficialmente” la storia dell‟antropologia del turismo
inizia, tuttavia, nel 1978, con la pubblicazione di due opere collettanee: Hosts and Guests: The
anthopology of Tourism (1978) curato da Valene Smith e Tourism. Passport to development?
Prespectives on the social and cultural effects of Tourism in Developing Countries (1978) a cura di
E. De Kadt.
In una prima fase gli antropologi hanno messo particolarmente in luce i dislivelli di potere
esistenti nella relazione tra comunità ospitanti e comunità ospitate, una relazione che non segue
sempre schemi ben precisi. I prestiti causati dal contatto tra le due culture tendono per forza di cose
ad essere asimmetrici, ed è da questa base che parte la riflessione di Nash (1981) sul turismo quale
forma d‟imperialismo industriale o di neocolonialismo.
Questo tipo di generalizzazioni mettono, tuttavia, in ombra gran parte della variabilità
interculturale che anche il contatto turistico implica. Nell‟analizzare il fenomeno turistico è
necessario prevedere una grande quantità di variabili e di tipi di relazione, in diversi contesti e con
diverse modalità, tenendo conto della inevitabile differenza di potere e di “posizione” tra i gruppi
che s‟incontrano. La stessa polarizzazione in hosts and guests21 o in insiders e outsiders, è utile, ma
per molti versi limitativa e inadeguata, non fosse altro perché il fenomeno turistico innesta
cambiamenti i cui effetti possono verificarsi anche dopo molti anni in modo imprevisto e inatteso.
Alcuni autori hanno dimostrato come il termine “paese ospite”, in realtà, finisca per unire
tutta una serie di figure che con il turista hanno rapporti profondamente differenziati, comprendendo
alcuni individui che traggono benefici dal turismo, altri che lavorano in strutture adibite

21
Sulla problematica del rapporto tra ospitanti e ospitati è stato prodotto molto da parte degli antropologi del turismo
fin dai primi anni settanta. Tra i più importnati contributi si segnalano: Aramberri (2001), Barreto (2004), Berno (1999),
Carderira Da Silva (2004), Graburn (2001), Grillo R. et al.(2000), Sherlock (2001), Waldren (1996 e 1997)

34
all‟accoglienza, altri che hanno con i turisti solo dei rapporti occasionali e altri ancora che ignorano
completamente la presenza dei turisti nel loro paese (Harrison 1992).
Gli stessi confini simbolici di una comunità, sono mutevoli, interpretabili in modo diverso,
tanto da mettere in discussione la stessa percezione del sé e dell‟altro. Alcuni nuovi residenti nelle
isole di Capo Verde sviluppano, per altro verso, forme diverse di rapporto con il nuovo territorio.
Lungo questi percorsi il turismo diviene un movimento di cose e di idee capaci di produrre flussi di
immagini e di sguardi reciproci tra insiders e outsiders. Il contatto con l‟altro cambia lo stesso
turista, e lo stesso turista è “agito” dai locali. L‟antropologia del turismo si è soffermata molto su
quelli che sono gli effetti dell‟”incontro”, benché generalmente abbia riservato al polo degli guests
una attenzione maggiore di quella dedicata al polo degli hosts.
Uno dei primi tentativi di sistematizzazione della materia è rappresentato dalla Teoria
Stadiale di Norohna (Simonicca, 1998). Secondo questa teoria in una prima fase, nel primo stadio,
la nuova destinazione viene scoperta da pochi anticipatori, nel secondo alcuni impresari locali
iniziano ad organizzare le infrastrutture idonee per la crescita del turismo, nel terzo irrompe il
turismo di massa e la gestione diviene extra-locale. La costruzione di Norohna è stata molto
criticata per la troppa linearità e per la sottovalutazione dei contesti, limiti evidenti anche
nell‟applicazione al caso capoverdiano.
Un seconda sistemazione teorica è proposta da Peck e Lepie. Il modello politico a tre uscite,
distingue tre tipi diversi di sviluppo: il modello a crescita rapida, il modello a crescita lenta, e il
modello di sviluppo di transito. Nel modello a crescita rapida, grandi imprese internazionali
acquistano, lottizzano e vendono la terra per un mercato generalmente non locale, con un profitto
che rimane quasi del tutto fuori dalla comunità. E‟ ciò che sta avvenendo a Sal e in parte già è
avvenuto e avviene a Boavista. Nel modello a crescita lenta, controllata soprattutto dagli
imprenditori locali, i nuovi arrivati si integrano perfettamente e gradualmente con la popolazione
locale ed è ciò che si può intravedere, ad esempio, nelle isole in cui prevale il turismo sostenibile,
Sant‟Antão, São Nicolau Brava e in parte nell‟area Cidade Velha (Santiago). Nel modello di
sviluppo di transito il flusso turistico è rappresentato dai vacanzieri del weekend o visitatori di
eventi speciali. Questo modello è rinvenibile approssimativamente nell'isola di Maio (vacanzieri
del weekend), a Espargos sull'isola di Sal (turismo di transito legato all‟aeroporto internazionale) o
a São Vicente e nella capitale, Praia ( turismo legato al festival internazionale di musica e al turismo
d‟affari).
Un terzo modello proposto in letteratura è quello dello sviluppo organico, proposto da
Cohen (1984). A seconda del ruolo che giocano i locali all‟interno del sistema, Cohen individua due
fasi di sviluppo: la fase dello sviluppo organico e quella dello sviluppo indotto. Nella fase di

35
sviluppo organico, sono i residenti ad avere un ruolo centrale. Di fronte alla crescente domanda
proveniente dai visitatori, infatti, i locali prendono coscienza del potenziale turistico del sito e si
propongono come parte attiva nello sviluppo dello stesso. Nel modello caratterizzato dallo sviluppo
indotto, invece, sono gli esterni che, al fine di attrarre i turisti verso nuove località, consentono la
conseguente crescita di opportunità di sviluppo per i locali, specialmente nel settore della fornitura
di servizi.
Il Modello dello spazio turistico (Butler, 1993 e 1996), invece, analizza il tipo di reazione
che le comunità sviluppano nei confronti dell‟impatto. E‟ la teoria che almeno nella prima fase della
ricerca ha guidato il mio lavoro di campo. In questo modello le varie dimensioni spaziali sono
interpretabili in base ad una scala tarata sulla reazione del gruppo sociale ospitante (Scala Doxey-
Butler), secondo uno spettro che va dall‟entusiasmo iniziale fino all‟indifferenza o alla
manifestazione di ostilità.
La scala individua cinque possibili livelli:
- Grande sito turistico, viene impiantato sulla spiaggia di un piccolo centro, con forte
cambiamento ambientale, medio contatto interpersonale e intenso uso delle risorse (es. Isola di
Sal);
- Grande sito costruito mediamente a 5 km da un piccolo centro, con debole grado di
cambiamento ambientale, contatto interpersonale e uso delle risorse (Isola di Boavista);
- Ridotta attrazione turistica in una grande città, con debole grado d‟impatto complessivo
(Praia);
- Esteso spazio turistico in una grande città, con debole impatto complessivo;
- Esteso spazio turistico in grandi città, con grande impegno di risorse, medio contatto con i
turisti e relativo mutamento ambientale.

Ancor più interessante, ai fini della ricerca, è stata l‟analisi del Modello del “ciclo di vita” di un
sito turistico teorizzato ancora da Butler (op. cit.). In questo caso l‟antropologo individua sei stadi
evolutivi di un sito turistico, stadi che sono, ad esempio, chiaramente rinvenibili nell‟esperienza
delle Isole Canarie:

- Stadio dell’esplorazione, caratterizzato da un ridotto flusso di visitatori “allocentrici” che


viaggiano con propri piani e instaurano rapporti amichevoli con gli ospitanti interessati alle
novità apportate.

36
- Stadio del coinvolgimento, caratterizzato da un aumento dei visitatori. Si rileva uno sforzo
maggiore in termini di servizi da parte dei locali, ma senza un deciso intervento di offerta di
mercato. S‟instaurano rapporti d‟interesse reciproco e socievolezza. Iniziano a intervenire le
prime agenzie.

- Stadio dello sviluppo, in cui comincia il “turismo istituzionalizzato”, con pacchetti e


prenotazioni di mercato. Superata la fase di nicchia, inizia la marginalizzazione delle imprese
familiari locali, si verifica un primo mutamento dei rapporti fra visitatori e locali, con la
creazione di un‟area turistica propria, che si separa sempre di più dalla vita della comunità
ospitante.

- Stadio del consolidamento, in cui l‟espansione del flusso turistico si assesta in maniera
stabile, s‟intensifica il controllo e la competizione fra albergatori, operatori turistici e agenti dei
trasporti. Si raggiunge la piena capacità turistica e immagine è ben definita all‟esterno.

- Stadio della stagnazione, fase in cui la pressione del turismo organizzato di massa abbassa i
profitti e contestualmente dà inizio alla decadenza del sito con l‟emergere di problemi
ambientali, economici e sociali.

- Stadio del declino e della rinascita, in cui avviene un ripensamento da parte degli operatori
esterni sul futuro del sito. Vengono proposte offerte turistiche alternative da parte delle autorità
locali, ma entrambe le vie falliscono.

Doxey completa idealmente il modello di Butler studiando l‟impatto sociale sul “ciclo di
vita”. Inizialmente, l‟arrivo dei primi turisti porta uno stato di euforia a cui segue uno stato di
apatia, e di poco interesse da parte della comunità locale. Segue un processo di abitudine parallelo
a quello si separazione tra hosts e guests. Lo stato successivo è quello della saturazione,
caratterizzato dalla marginalizzazione della comunità ospitante, dal deterioramento complessivo del
contesto, e da un turismo in espansione a cui si addebitano i guai maggiori del mutamento.
L‟ultima fase è quella dell‟ antagonismo che sfocia nello scontro, e nella proposta di una nuova
pianificazione.

37
2.3 Insularità e turismo. Teoria dei luoghi.

L'analisi di queste teorie è stata supportata dalla lettura di un saggio di Lesourd (1995), un
lavoro non recentissimo, ma che resta ancora attuale soprattutto nella parte in cui tenta una
tipizzazione del turismo insulare di Capo Verde e delinea la costruzione di una serie di legami tra
isole che condividono lo stesso destino turistico ed economico.
Le isole, secondo Lesourd, si differenziano per caratteristiche di popolamento (periferico,
asimmetrico, diffuso), per tipologia di sviluppo economico (es. isole agricole S. Antao, S. Nicolau,
Santiago e Fogo) e per macro aree di sviluppo economico complementare (S.Antao -S. Vicente, S.
Nicolau-Sal-Boavista, Santiago-Maio).
Lesourd, tra tutte le isole dell‟arcipelago, nel 1995, ne individua tre in particolare, che a suo
parere si differenziano dalle altre perché poste in una differente fase di sviluppo turistico. La prima
è l‟isola di Sal che in quegli anni vede la nascita del boom edilizio e turistico, e che per l‟autore
citato è da considerarsi in crescita. La seconda è l‟isola di Santiago con un focus in particolare su
Praia. Infine São Vicente e Mindelo che già nel 1995 Lesourd considerava in una fase di declino e
con poche potenzialità ancora da esprimere.
Naturalmente, a distanza di ben quindici anni dal lavoro di Lesourd, la ricerca sul campo ha fatto
emergere alcuni cambiamenti e in alcuni casi addirittura dei rovesciamenti, dimostrando ancora una
volta il limite delle teorizzazione a lungo termine. Ma è anche sulla base delle schematizzazioni del
sociologo francese che la scelta è caduta, inizialmente, sulle isole di Sal, Boavista, Maio e Brava.
Queste quattro isole sono ancora oggi, quelle che meglio possono rappresentare la diversità
economica, umana e soprattutto turistica dell‟arcipelago.
Se Sal veniva considerata da Lesourd nel 1995 in crescita, ora il problema è cercare di
gestire questa continua e sregolata crescita, per non cadere, nel volgere di pochi anni, in quella che
Butler individua come la fase della stagnazione e successivamente nella fase di declino.
La scelta di Boavista è legata alla vicinanza geografica con Sal e al fatto che il destino
turistico dell‟isola, sembra seguire quello della vicina isola.
L‟isola di Maio rappresenta un caso a parte. L‟idea degli investitori era di creare una nuova
Boavista, ma il turismo di massa non è mai decollato e l‟isola si presenta al momento
esclusivamente come luogo di seconda residenza e di turismo legato al weekend, e quindi ancora in
una fase di esplorazione.
L‟isola di Brava, a causa della sua difficile posizione e per la sua pretesa di autenticità, si
propone, invece, come l‟opposto delle tre isole indicate. E una situazione simile, sia per
conformazione fisica, sia per destino turistico, si presenta naturalmente a Fogo, l'isola del vulcano

38
Nicolau).
Successivamente allargando il campo della ricerca a tematiche legate alla resistenza della
“capoverdianità” di fronte all'avanzare della turistizzazione, le isole di Maio e Brava sono passate in
secondo piano, la prima perché troppo simile a Boavista e la seconda perché studiata insieme
all‟isola di Fogo di cui, anche a livello geografico e culturale è da considerare in un certo senso
“figlia”.
All‟interno delle isole di Sal, Boavista, Fogo e Santiago, ho scelto, quattro località che, a
mio parere, possono rappresentare la realtà passata, presente e futura del turismo nelle isole di Capo
Verde: il villaggio di Santa Maria nell‟Isola di Sal, Vila de Sal Rei a Boavista, Cha das Caldeiras e
Vila de São Felipe a Fogo e Cidade Velha a Santiago.
La scelta di queste isole e di questi luoghi è stata guidata, non solo dal saggio di Lesourd,
ma anche dalla lettura di un saggio di K. De Albuquerque et al. (1992) sul rapporto tra insularità e
turismo22, un saggio che pur, non prendendo in considerazione, la realtà turistica delle isole di Capo
Verde, propone alcuni spunti interessanti .
D‟Albuquerque raggruppa le isole in tre gruppi: isole mature, che si caratterizzano per alta
densità, hotel di massa e turismo da crociera; isole in fase intermedia con crescita varia, ma minore
in percentuale; isole emergenti caratterizzate da una bassa intensità e volume di flusso turistico.
La classificazione di D‟Albuquerque riporta ai modelli dello spazio turistico, ma soprattutto
alle teorie butleriane del ciclo di vita di un sito a cui si è già accennato. Pur tenendo conto del limite
di ogni teorizzazione, l‟isola di Sal è inquadrabile tra le isole mature, Boa Vista tra le isole in fase
intermedia, mentre Maio e Fogo possono essere ricomprese nel novero delle isole emergenti.
E‟, naturalmente, impossibile calare perfettamente ogni singola isola e villaggio in una
delle classificazioni proposte dai diversi autori. Alcune ricerche etnografiche, tra cui, ad esempio,
quella di Wilson (1978) sull‟isola di Mahe (Seychelles), possono dare un‟idea di come spesso la
realtà etnografica vada oltre le facili classificazioni teoriche. La ricerca sul campo sull‟isola di
Mahe, porta in una prima fase l‟autore a indicare una forte divaricazione fra popolazione locale e
imprenditori turistici impiantatisi là dall‟esterno. L‟impatto assai forte del turismo sulle isole, ha,
infatti, quasi estraniato la popolazione locale dalle nuove attività economiche inducendo discredito
verso i locali, ritenuti incapaci e aggressivi. Ritornando alcuni anni dopo in un‟isola non lontana da
Malè, Wilson trova un nuovo assetto, del tutto diverso, caratterizzato dalla creazione di un piccolo
ceto imprenditoriale locale, da uno sviluppo organico dell‟artigianato e da una forte partecipazione
dei locali alle attività e alla costruzione delle infrastrutture.
22
Sul complesso rapporto tra insularità e turismo si segnalano anche: Abram et al. (1997), Kohn (1997), Lanfant et al.
(1995), Sanguin (1997), Williamson (1987).

39
L‟esempio riportato fa riflettere sull‟importanza dell‟analisi dei luoghi e del tempo storico in
cui viene svolta la ricerca, e su come lo spazio e il tempo influiscano sull‟intero lavoro di campo.

2.4 Spazio, tempo e ricerca sul campo

Lo spazio e il tempo, indubbiamente, costituiscono un banco di prova per l‟analisi


antropologica, e il lavoro sul campo svolto nelle isole di Capo Verde mi ha spinto ad interrogarmi
sulla formulabilità di assunti troppo generalizzanti. Un‟analisi fondata sugli orientamenti di valore,
può, in alcuni casi, non essere utile e anzi sviare la comprensione. Come è emerso durante la
ricerca, molti fattori influenzano e trasformano la realtà studiata in modi difficilmente prevedibili: il
contesto geografico, l‟ambito ecologico di pertinenza, la variegata e molteplice fenomenologia degli
stili, la diversità delle culture turistiche .
Il turismo mostra una propria capacità di ridefinire i confini spaziali e temporali attraverso la
creazione di mappe reali e fittizie che offrono contrassegni di nuovi processi culturali e sociali,
peculiari per individuazione e localizzazione. Centrale in ogni ricerca sul turismo, e quindi anche in
questa è, comunque, il concetto di straniero e la sua percezione da parte della comunità ospitante.
Nella costruzione proposta da Georg Simmel, lo straniero è una figura ambigua per la sua mobilità
rispetto al gruppo in cui si trova a vivere o con cui viene in contatto. Vive una continua alternanza
di vicinanza e lontananza, familiarità e straniamento, esclusione e inclusione. L‟identità è un
processo in costante divenire in cui il “noi” si fonda semplicemente sul non essere altro, e per farlo
spesso fa appello a origini vere o presunte. Una volta sul campo l‟antropologo si trova a fare i conti
con le concezioni che i locali hanno del loro territorio, su come lo hanno suddiviso, classificato,
nominato. I nomi di luoghi e i punti di riferimento spaziale forniscono un‟idea di come ogni
popolazione concepisca il proprio spazio e solitamente è proprio ai confini fra un‟area sociale e
un‟altra che si percepiscono le differenze culturali.

2.5 Le basi metodologiche della ricerca.

Finora l'attenzione è stata portata sulla costruzione di un frame teorico che potesse essere da
guida nella scelta di alcuni luoghi paradigmatici suscettibili di rappresentare la complessa realtà
sociale del mondo capoverdiano. Ma la ricerca si propone, in primo luogo, di decodificare i
linguaggi e le azioni concrete di piccoli gruppi all‟interno di un limitato spazio fisico. E‟ quindi

40
necessario porre l'attenzione sui processi d‟interazione, su come si sviluppano i significati che si
trasmettono e si modificano nell‟agire quotidiano dei singoli attori.
A tal fine mi è sembrato utile approfondire tre impostazioni teoriche: l‟etnometodologia, la
geografia culturale e la semiotica per il turismo che, pur se nate in aree e momenti diversi della
storia del pensiero antropologico, palesano legami neanche tanto nascosti emersi già in altre
ricerche di campo da me effettuate anni addietro. Ho avuto modo di utilizzare gli strumenti
dell‟etnometodologia nel lavoro per la Laurea triennale in Teorie e Pratiche dell‟Antropologia
sull‟interazione tra operatore e paziente nella struttura ospedaliera del San Gallicano, all‟interno di
una ricerca che ha portato alla pubblicazione del libro La malattia: percezione e ascolto (2006).
Ho usato, invece, gli strumenti della geografia culturale e della semiotica per il turismo nello studio
del paese di Neum in Bosnia in occasione del Symposium sulle città del Mediterraneo tenutosi a
Cadice nel 2005.

2.6 Etnometodologia

In questo paragrafo, cercherò, in breve, di delineare i principi cardine dell'etnometodologia,


isolando quei tratti che sono stati oggetto di approfondimento durante la ricerca di campo.
Per elaborare i suoi principi, la scuola etnometodologica (Coulon,1995, Dal Lago, 1983,
Giglioli, 1984, Nicotera, 1996, Garfinkel, 1967 e 1983) prende ispirazione dalle teorie di Edmund
Hussler, di Alfred Schutz, da alcuni presupposti del funzionalismo di Talcott Parsons, nonché dalle
teorie dell'interazionismo simbolico di Goffmann (1969).
In particolare da Talcott Parsons (Garfinkel 1983) gli etnometodologi assumono il principio
secondo il quale il significato degli oggetti non è dato una volta per tutte, ma è sempre socialmente
negoziato e rinegoziato nelle interazioni sociali. Per altro verso l‟influenza del pensiero
goffmaniano viene pienamente in luce nell'analisi del comportamento linguistico, nell‟intendere il
linguaggio in tutta la sua complessità, dal lessico, alla gestualità e alla postura (Boni 2007). Il
comportamento linguistico, è, infatti, una forma di rappresentazione che corre su due piani
paralleli: quello pubblico, ribalta ( front-stage ), in cui l‟attore mette in scena il suo io sociale, e
quello personale, il retroscena ( backstage ), dove l‟individuo torna ad essere se stesso ( Mura
2009) .
Secondo la definizione più classica, l‟etnometodologia è l’insieme dei metodi di cui i
membri di un gruppo si servono per comprendere la loro stessa attività e si fonda sulla nozione che
le attività quotidiane sono rese possibili dall'uso di una serie di assunti e convenzioni, assimilabili a
dei metodi, che vengono appunto definiti etnometodi. L‟obiettivo fondamentale è lo studio del

41
modo in cui i membri della società attribuiscono un senso a quelle che gli etnometodologi chiamano
espressioni indicali, ovvero quelle espressioni il cui significato non è universale, ma dipende dal
contesto in cui vengono usate. Più semplicemente, l'etnometodologia si occupa, quindi, dello studio
degli aspetti di senso comune della vita quotidiana, utilizzando strumenti come l‟ analisi della
conversazione, lo studio dell'interazione non verbale e l‟osservazione partecipante e non
partecipante.
Per gli etnometodologi la realtà è quindi una costruzione sociale e le espressioni indicali
sono espressioni che non hanno senso se non all'interno di un contesto. Le conversazioni, anche
quelle correnti e informali, infatti, sono altamente strutturate in modo niente affatto casuale: le
regole di interazione (es. distanza fisica tra i soggetti, volume di voce, turni di parola, frasi standard
che aprono e chiudono la conversazione) sono numerose e le persone vi aderiscono senza
accorgersene.
L‟etnometodologia, quindi:
- studia anche il comportamento non verbale;
- consente di sondare le ragioni per cui gli intervistati rispondono in un certo modo alle domande
di un questionario o di un intervista.
Durante tutto l'arco di tempo della ricerca tra le varie possibili tipologie d‟intervista, ho
utilizzato, in particolare, la forma più aperta, l’intervista non strutturata. Questo anche perché
avevo notato che di fronte a domande dirette la maggior parte delle persone si irrigidiva e si poneva
in posizione di chiusura nei miei confronti ( Es. come mai fai questa domanda?... ma sei un
giornalista? No perché allora io non ho nulla da dire … Ma che lavoro fai che stai sempre in giro a
guardare e chiedere?...). Così ho deciso, tranne che nel caso di interviste a “figure istituzionali”
(casi in cui ho utilizzato interviste semi-strutturate) , di andare “a braccio”, nonostante le difficoltà
legate all‟impossibilità di prendere appunti durante l‟intervista. Questo metodo ha, però, un
indubbio punto di forza, quello di consentire all‟intervistatore di adattarsi alle differenze individuali
e ai cambiamenti della situazione.
La prima difficoltà incontrata è stata quella di individuare una o più persone note e ben
inserite nel contesto locale che potessero avere la funzione di introdurmi nell‟ambiente e di dare
legittimità alla ricerca. Questa fase è stata agevole a Cidade Velha, dove l‟incontro con i due italiani
Anna e Alberto mi ha permesso di entrare nella quotidianità della vita del villaggio senza turbare gli
equilibri esistenti, così come lo è stata a Vila do Maio, Sal Rei, a Vila Nova Sintra e Cha das
Caldeiras. La ricerca di un gate keeper è stata, invece, problematica a Sal dove è stato difficile
trovare una o più persone che avessero una certa credibilità e godessero di rispetto nelle diverse
comunità dell‟isola. In questo caso solo in un secondo tempo e grazie al progressivo inserimento

42
nel tessuto sociale e quotidiano , sono venuto a contatto con alcune persone che a vario titolo sono
divenute in seguito preziosi collaboratori.

2.7 Geografia culturale e semiotica del turismo

Un ulteriore aiuto nella ricerca è venuto dai metodi suggeriti dalla geografia culturale di
indirizzo semiotico introdotta per la prima volta da Claval e in Italia perfezionata e applicata da
Vallega (2003). Secondo questo indirizzo ogni territorio è un tessuto di simboli e ogni simbolo
esprime un significato. Riuscire ad interpretare questo tessuto simbolico porta alla costruzione di
una mappa interiore in cui ogni oggetto è portatore di un proprio significato. La mappa interiore è
soggettiva, e , dunque, non troveremo mai una mappa uguale all'altra.
L‟analisi semiotica dei luoghi solo in parte si propone come alternativa all‟analisi
etnografica(Brucculeri 2009). In fin dei conti quando si parla di senso dei luoghi è proprio alla
costruzione semiotica, al linguaggio del paesaggio, che si fa riferimento.
La pertinenza e l‟interesse per lo studio del turismo secondo la prospettiva della scienza
della significazione, risiedono nella sua capacità di ricomporre la molteplicità di questo fenomeno
studiandolo innanzitutto come fenomeno discorsivo. La turisticità di un luogo non è qualcosa
d‟intrinseco e dato, ma viene inscritto nei luoghi da una pluralità di narrazioni. E‟ importante andare
ad indagare, quindi, secondo quali processi e modalità si produca la turisticità, occorre cioè
guardare al processo di autocostruzione e auto rappresentazione. Il turismo va studiato come un
fenomeno che ogni volta si trasforma, si ridefinisce, a partire da una pluralità di discorsi sociali,
ognuno con caratteristiche proprie. Detto altrimenti, non esistono luoghi turistici in sé, ma una
pluralità di discorsi che concorre a definirli.
In questa prospettiva, i markers che segnalano la turisticità di un luogo mutano nel tempo e
nello spazio. Così, accanto a markers istituzionali, monumenti, siti universalmente riconosciuti, si
danno anche markers atipici, che possono essere luoghi o edifici privi di un valore storico –
culturale o paesaggistico (come un pub o un ristorante ad esempio), che nondimeno il discorso
turistico valorizza per il loro fascino, o per il fatto di divenire un marchio del valore di un certo
luogo. Anche all‟interno di un dato contesto socio-culturale uno stesso sito può essere costruito
discorsivamente in modi diversi, a seconda del tipo di valori turistici proposti.
La semiotica, quindi, propone una visione della cultura come significazione, riconoscendo
un valore significante anche a fenomeni e discorsi che di per sé non nascono per comunicare
qualcosa, ma che hanno comunque un significato. L‟approccio semiotico ci riporta a quanto

43
affermato in precedenza sulla creazione di mappe personali del territorio. Anche la mappa è una
costruzione dello spazio e dipende dal modo in cui questo spazio viene vissuto e guardato, dal punto
di vista assunto, dalla profondità dello sguardo.
Il turista può costruire (o ri-costruire) la propria identità insieme agli altri , riconoscendosi in
pratiche condivise, o definirsi per differenza. In alcuni casi il soggetto può trovarsi capace di
scoprirsi parzialmente altro, acclimatandosi gradualmente al luogo, attendendo e guardando ad esso
con disponibilità e apertura. Può scoprirsi coinvolto in un rapporto che potremmo definire estetico,
sentimentale o addirittura in senso lato, sensuale. Questo caso di assimilazione fra guest e host sarà
evidente quando si approfondirà nell‟ultimo paragrafo, la storia di Alberto a Cidade Velha. Alberto
da tempo aveva rinunciato all‟orologio, alla tv e ad ogni cosa ( tranne alcuni contatti su internet),
che lo legasse in modo forte al suo paese d‟origine. Alberto in qualche modo aveva strappato la sua
mappa. Era evidente come fosse passato da uno sguardo oggettivante ad uno sguardo estetico.
In questo modo il rapporto con i luoghi (e con le persone) cambia, e da una relazione di
estraneità e incomprensione si passa ad una relazione più intima, profonda che si basa sulla
dimensione somatica, esperienziale e passionale, in cui il corpo nella sua interezza è coinvolto nel
rapporto sensibile con lo spazio. E‟ proprio attraverso questo processo che i luoghi, intesi come
insieme geometrico di punti, diventano spazi, incroci di traiettorie, programmi, azioni e passioni.
Come i luoghi e le storie iscritte in questi ultimi, di cui si narrerà tra breve.

44
CAPITOLO III

― O MUNDO QUE O TURISTA CRIOU‖.


MUTAMENTI, RESISTENZE, REAZIONI,
RICONFIGURAZIONI DELLO SPAZIO
TURISTICO E SOCIALE NELLE ISOLE DI
CAPO VERDE‖

45
Figura 2: O mundo que o turista criou

Questa mappa dell‟arcipelago è disegnata su un muro di un ristorante di Santa Maria. L‟ho scelta
perché mi sembrava adatta a raffigurare la parte di mondo che intendo presentare nei paragrafi che
seguono e soprattutto perché evidenzia la centralità dell‟isola di Sal nel mondo turistico
capoverdiano e nell‟immaginario turistico italiano.

46
3.1 Modelli di resistenza e riconfigurazioni dello spazio

Ho deciso di intitolare questo capitolo “O mundo que o turista criou” in omaggio ad una
delle più grandi figure letterarie di Capo Verde, Gabriel Mariano, e in ricordo di una delle
polemiche più importanti che hanno attraversato nel corso degli anni „30 del secolo scorso la
vicenda intellettuale delle isole. La polemica riguardò l‟influenza e natura del colonialismo
portoghese ed ebbe protagonisti lo stesso Gabriel Mariano e il noto antropologo brasiliano Gilberto
Freyre (cfr. Sobrero, 1996).
Parlare d‟influenza coloniale oggi è quanto mai attuale. Il turismo, infatti, per Johanna
Schoss (Lofgren 2001) è una relazione reciproca che può facilmente scivolare verso modelli di neo-
colonialismo e verso nuove forme di dominio. Non solo, infatti, i turisti agiscono sui locali, ma i
locali trovano nel contatto con i primi, un‟occasione per ridefinire e ripresentare la propria identità,
nascondendola, falsificandola.
Il turismo diventa, spesso, l‟ultima forma della globalizzazione e per questo anche un
territorio fertile per studiare gli effetti a lunga scadenza delle localizzazioni del globale.
Arjun Appadurai (1996) introduce un peculiare concetto di paesaggio (scape), grazie al
quale catturare questa interazione e ricostruire i modi in cui i flussi culturali contribuiscono a
generare mondi sopranazionali. Appadurai parla di ethnoscapes, paesaggi etnici, riferendosi alle
persone in movimento e di passaggi mediali in relazione al flusso di informazioni, immagini e
racconti. Come si formano questi paesaggi? Come cambiano nel corso del tempo e dello spazio? E
come vengono integrati nella pratica quotidiana?
I paesi di Santa Maria a Sal, di Sal Rei a Boavista e di Vila do Maio a Maio più di altri si
prestano ad un‟analisi di quelle che si sono definite sulla scorta delle riflessioni di Goffmann (1969)
e di Norbert Elias (2000), strategie di resistenza da parte della comunità degli Hosts. Si tratta di
strategie di reazione, che nel tempo possono portare a una riconfigurazione dello spazio e ad una
riconfigurazione delle relazioni tra chi vive stabilmente o per un breve periodo in questi piccoli
agglomerati (povoaçoes) destinati a diventare in breve tempo paesi (aldeias).
Il modello del turismo di massa ha condotto, in alcuni casi, alla distruzione o alla
trasformazione di culture, ponendo il più delle volte i locali di fronte al dilemma della scelta tra
modernizzazione e resistenza. Particolarmente utili per l‟analisi di questo dilemma sembrano le
categorie suggerite nei suoi lavori da Erving Goffmann. Quest‟ultimo definisce la vita quotidiana
come connotata dalla presenza di due piani paralleli: quello pubblico, il frontstage, dove l‟attore
mette in scena il suo io sociale, e quello privato, backstage, dove l‟individuo torna a essere se

47
stesso. La prospettiva di Goffmann è ripresa e rielaborata da MacCannel (2005) e Boissevan (1996)
con riferimento alle dinamiche d‟interazione turistica. Nella ricostruzione dei due autori le
frontregion e le backregions designano rispettivamente la ribalta, luogo d‟incontro tra ospitati e
ospitanti e il retroscena, luogo in cui i membri del gruppo interno si ritirano tra una prestazione e
l‟altra per ritrovare se stessi e la propria realtà.
Esiste, quindi, una duplice dimensione, una pubblica ed esibita, in cui i locali tentano di far
arrestare lo sguardo dei turisti, e una nascosta e segreta, luogo di quella che Herzfeld definisce
intimità culturale ossia, “la condivisione di tratti conosciuti e riconoscibili che non solo definiscono
l’interiorità ma sono anche percepiti come oggetto di disapprovazione da parte degli estranei”
(Herzfeld 1998).
Tra ribalta e retroscena si sviluppa il gioco degli incontri e gli scontri tra hosts and guests nei
principali luoghi turistici dell‟arcipelago. Ma prima di affrontare l‟analisi del materiale etnografico,
è importante definire, seppur brevemente, alcune forme di resistenza culturale che si sono ritrovate
nella quotidianità della ricerca sul campo a Santa Maria, Sal Rei e Vila do Maio.
La resistenza per mediazione, è la prima forma di reazione degli hosts e consente
loro di condannare collettivamente il turismo pur partecipandovi individualmente. Attraverso
l‟utilizzo di alcuni strumenti retorici, i locali, evitano un vero e proprio confronto con i turisti
individuando una valvola di sfogo nell‟esprimere risentimento nei loro confronti.
Spesso gli hosts adottano delle forme di difesa segrete, quotidianamente messe in atto dai
singoli individui e che non necessitano di alcun tipo di coordinazione tra gli attori sociali. Si tratta
di espedienti finalizzati ad evitare lo scontro diretto come: lamentele, insulti, pettegolezzi,
ridicolizzazione, stereotipi denigratori, umiliazione sessuale delle donne, meccanismi che
consentono ai locali di stabilire un confine netto tra se stessi e gli altri.
Un‟altra tipologia di resistenza è l‟occultamento da parte dei locali di alcuni aspetti della
loro cultura (feste che avvengono in luoghi segreti o differite in altri periodi dell‟anno). Il processo
di occultamento può comportare il ricorso a stratagemmi creativi, come ad esempio l‟utilizzo di
toponimi locali non comprensibili allo straniero, modi di dire che consentono l‟accesso ad una
località o ad un evento solo a chi è interno alla comunità residente.
Un altro tipo di resistenza può configurarsi nella recinzione reale o simbolica di spazi o
eventi. In questi casi benché, spesso, l‟accesso agli estranei non sia formalmente vietato, i turisti
non vi partecipano, per via di quella barriera invisibile che separa lo spazio interno dall‟esterno. L‟
incremento di rituali pubblici, soprattutto eventi interni che celebrano l‟identità delle singole
comunità, rappresenta anch‟esso un tentativo di reazione ai rapidi cambiamenti imposti dal turismo.

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Attraverso la proposizione di rituali “inventati” o rivisitati si allontana il turista dal cuore della
“vera cultura” e tradizione.
La protesta organizzata contro istituzioni pubbliche o privati che promuovono la
commercializzazione delle back regions, e da cui gli hosts si sentono esclusi o che può determinare
un‟invasione di spazi ed eventi rilevanti per la comunità è da considerare una delle forme più
estreme di resistenza che la comunità degli hosts può mettere in atto, quasi sempre in reazione a
provocazioni fisiche o a gravi trasgressioni del codice etico locale da parte dei turisti.
L‟ultima forma di resistenza è rappresentata dall‟aggressione nei confronti dei turisti,
reazione quasi sempre dovuta alla violazione da parte dei guests del codice etico locale.
L‟aggressione si può presentare in diverse forme, dalle più estreme alle più sarcastiche, ma tutte
attestanti in modo chiaro il rifiuto di una presenza che viene vissuta come un‟invasione.
Tutte le forme di resistenza descritte, se si esclude la resistenza per mediazione, sono frutto,
quindi di una riflessione e un applicazione pratica della prospettiva incentrata sulle
contrapposizione tra le back regions e le frontregions. E. M. Bruner (1989), ha ripensato
criticamente questa costruzione evidenziando come , la metafora teatrale proposta da E. Goffmann e
ripresa da D. Mc Cannell si basi sul presupposto dell‟esistenza di una realtà, diversa e autentica,
situata nel retroscena. Per l‟antropologo americano, invece, ciò che emerge dall‟interazione tra
hosts and guests è una cultura nuova costruita appositamente per i turisti, ma non per questo non
autentica. Sebbene queste performance turistiche derivino da una matrice culturale locale, esse sono
nuove in quanto il contesto e il pubblico cambiano continuamente. Si tratterebbe quindi di una
performance costitutiva.
Questa ricostruzione di Bruner che mette parzialmente in crisi il modello basato sull‟analisi
delle resistenze, fa riflettere ancora una volta su come, spesso, la realtà etnografica abbia talmente
tante sfaccettature da non poter essere standardizzata. Si vedrà nelle pagine che seguono come in
alcuni casi di fronte ad un “reazione” da parte della comunità degli hosts, non sarà facile
comprendere in quale modello quest‟ultima possa essere ricompresa.
Anche perché si deve tener conto di quelle che possono essere le reazioni da parte del polo
dei guests, che, come indicato in precedenza, racchiude una serie di soggetti che non si limitano ad
una residenza temporanea, ma, anzi, in molti casi, ambiscono a divenire essi stessi hosts. Diviene
così difficile, in alcuni casi, stabilire una netta differenziazione tra i due poli. L‟osservazione della
realtà rivela il sovrapporsi di categorie. Possono ritrovarsi casi di stranieri che appaiono come
rappresentanti della comunità locale agli occhi dei turisti, ma anche emigranti che fanno ritorno
dalle vacanze (come si vedrà nel caso dell‟isola di Brava) che possono essere etichettati come turisti
ed invece non si sentono tali.

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I prossimi paragrafi rappresentano il frutto dell‟osservazione portata avanti in tre fasi
distinte negli anni 2007, 2008, 2009, in diversi periodi dell‟anno, nei luoghi scelti come
paradigmatici del cambiamento nell‟arcipelago di Capo Verde. Ho scelto questa modalità di
residenza discontinua al fine di cogliere le differenze che entrano in gioco in diverse stagioni
turistiche in modo da proporre una ricostruzione complessiva dall‟impatto del turismo di massa
sulle comunità recettive.

3.2 Dove i mondi collidono. Cases Studies.

“… Chi decide dove e quando una comunità traccia le proprie linee di confine, chi designa chi sta
dentro e chi fuori” (Clifford 1999)

Si è già accennato come l‟antropologia per lungo tempo abbia tralasciato il turismo per la
sua “banalità”. I capitoli che seguono sono un‟etnografia del “banale”, o meglio, un‟analisi del
“problematico” che si nasconde dietro l‟ovvio.
Il quadro teorico e metodologico esposto nei paragrafi precedenti, e soprattutto l‟analisi
teorica delle strategie di resistenza, trova una sua confutabilità solo se calato in spazi, luoghi,
villaggi. Una volta sul campo, l‟antropologo si trova a fare i conti con le concezioni che i locali
hanno del loro territorio, su come l‟hanno suddiviso, classificato, nominato. Gli individui, infatti,
ripartiscono culturalmente lo spazio in cui vivono, determinando per ogni area definita, una serie di
comportamenti previsti e attesi. I nomi di luogo e i punti di riferimento spaziale forniscono un‟idea
di come ogni popolazione concepisca il proprio spazio. Ai confini fra un‟area sociale e un‟altra si
percepiscono chiaramente le differenze culturali: da una parte “nos do lugar”, “ a gente nossa”,
“nos localizados”, “nos nativos”, “ o povo da qui”, dall‟altra “os aventurieros”, “os forasteiros”,
“os curiosos”, “os de foras”.
Il nativo vede bene soprattutto chi non ha vincoli professionali col turismo e che dimora nel
luogo per poco tempo. Meno bene è visto l' imprenditore che si trasferisce per lungo tempo e vive
gli stessi spazi del nativo talvolta “riempiendoli” di significati non condivisi.
Sui “de fora” vengono proiettate le colpe principali dei problemi sociali: “prima di loro c'era la
pace e la felicità”.
Nascono così i conflitti che Norbert Elias (2000) ha legato a differenti relazioni di potere tra
established e outsiders. La ricerca effettuata da John Scotson nei primi anni sessanta a Winston
Parva in Inghilterra, ripresa e approfondita da Elias, permette di illustrare come un gruppo di
persone riesca a monopolizzare le occasioni di potere escludendo e stigmatizzando i membri di un

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altro gruppo vicino. Secondo Elias questo modello oppositivo fondato sull’evitamento dell‟altro può
essere applicato in una vasta gamma di situazioni culturali: relazioni di classe, gruppi etnici,
colonizzatori e colonizzati, uomini e donne. La strategia di evitamento consiste nell‟indirizzare
l‟attenzione verso ciò che è periferico nella relazione (la differenza del colore di pelle), in modo da
distogliere lo sguardo da ciò che, invece, è centrale: la differenza di potere. Questo accade sia in un
senso sia nell‟altro. Non di rado, ad esempio, i nativi associano i de fora con i vettori della droga.
Questo accade spesso a Sal ed è emerso con forza durante il processo per l‟omicidio delle due
ragazze italiane Dalia Saiani e Giorgia Busato.
In particolare ci sono luoghi in cui questo incontro, tra estabelecidos e os de foras, avviene
in modo più intenso e in cui più di frequente vengono messe in scena le strategie di reazione e
difesa da parte della comunità locale.
Tra questi luoghi sono stati oggetto di maggiore e continua osservazione nelle isole di Sal e
Boavista, le spiagge, le piazze e le strade, nonché alcuni luoghi che nella mappa delle diverse
comunità, finiscono per avere un ruolo fondamentale nell‟aggregazione e nell‟espressione
dell‟identità, come ad esempio, pub e ristoranti.

3.3 Luoghi, palco e retropalco

La spiaggia, a Sal e Boavista, è il luogo dove quasi sempre avviene il primo incontro tra
persone di differente nazionalità e sesso, dove si sviluppano dinamiche di approccio che,
successivamente, portano a relazioni interpersonali che possono consumarsi nella sola settimana di
residenza del turista, o , in alcuni casi, durare a lungo e superare lo spazio limitato delle vacanze.
Sulla spiaggia, come si vedrà in seguito, nascono e si evolvono le relazioni tra turiste e beachboys,
relazioni che sono spesso destinate a continuare e a evolversi nei pub e nei locali notturni o nel
privato delle camere d‟albergo e che, anche se brevi, hanno una ricaduta pesante a livello sociale. E‟
sempre sulla spiaggia che avvengono i “fastidiosi contatti” tra il turista e i venditori di souvenir.
La nozione di spiaggia abbraccia un territorio geografico e un arco temporale molto vasti.
Esistono, infatti, vari tipi e forme di spiaggia e tutte si collocano lungo il continuum che va dalla
spiaggia selvaggia , “dove ci siamo solo noi”, fino alle spiagge globalizzate, come quelle di Santa
Maria nell‟isola di Sal.
La spiaggia globale si dice sia caratterizzata dalle quattro S: Sand, Sun Sea, e, infine la quarta S
che può stare per Spirit, Servility o Sex, a seconda se a caratterizzare il luogo sia l‟eccesso di alcool,
il servilismo da parte dei nativi, o un‟intensa attività sessuale.

51
Ma la spiaggia è molto di più, e principalmente è percepita come un “di più” di libertà,
un'arena in cui ci si può rilassare, badare ai propri interessi, fare quello che si vuole.
La spiaggia, con il tempo, diviene un laboratorio per affinare lo sguardo, un luogo in cui
certamente non è possibile non guardare. Come afferma Erving Goffmann (1969): “ Quando i corpi
sono nudi, gli sguardi sono vestiti”. Una frase che rende molto bene il gioco di sguardi tra beach
boys e turiste sulle spiagge di Sal e rende bene l‟ambiguità implicita nei diversi comportamenti, nei
diversi micro rituali. Chiudendo gli occhi si segnala che si è distanti, nel proprio mondo onirico
privato; lo sdraiarsi da soli, lontani dal resto della folla, può significare la ricerca della solitudine, o
come nel caso di molte “turiste bianche” il fatto di essere pronte a essere approcciate. La gente del
luogo, spesso non conosce le regole che i turisti hanno portato con sé, o in alcuni casi le conosce
così bene, da poterle sfruttare a fine turistico; i turisti, invece, spesso ignorano o vogliono ignorare
le regole del paese che per breve tempo li ospita.
Nelle due isole più turistiche dell‟arcipelago non si evidenzia una stagionalità come avviene
in altri casi (ad esempio Maiorca o Ibiza), perché non esiste una vera differenza tra stagione
invernale ed estiva. Il clima si mantiene stabile per quasi tutto l‟anno e la temperatura si aggira
intorno ai 25 gradi di media, solo la sera, nei mesi più freddi da novembre a marzo, la temperatura
subisce una sensibile escursione.
. Sono comunque evidenziabili alcune differenze fra attori che vivono le due isole: da
settembre a febbraio, terminata la stagione del turismo “settimanale” di chi cerca il turismo delle
cosiddette quattro S, inizia il periodo dei surfisti e scompare quasi del tutto il fenomeno dei
beachboys; tra gennaio e maggio, le isole sono vissute da turisti provenienti dai paesi dell'Est e dell‟
Europa settentrionale in cerca del caldo e da anziani che “svernano” nelle isole, o da gruppi
familiari che riscuotono poco interesse da parte dei beachboys. I periodi di punta in cui si verificano
la maggior parte delle situazioni che sono state oggetto di osservazione, sono da considerarsi il
periodo estivo (maggio – inizio di settembre), il periodo natalizio, e il periodo delle vacanze
pasquali.
Il discorso sulle spiagge deve essere completato accennando al rito domenicale del “pic-nic”
che si svolge di solito in spiagge decentrate rispetto alla località turistica e poco frequentate da
europei. Il pic-nic si prospetta come un momento esclusivo, che connota seppure per poche ore in
modo fortemente identitario lo spazio balneare, rappresentando una forma di resistenza a metà tra
l‟occultamento e la recinzione. E‟ il momento in cui si evidenzia chiaramente la differenza tra
ribalta e retroscena, il momento in cui l‟intimità culturale viene sottolineata. Lo straniero, non può
entrare , se non invitato nel recinto che si viene a creare sulla spiaggia, e, come si è visto nel caso

52
della recinzione di eventi, è in qualche modo dissuaso dagli sguardi e dalla stessa postura dei
partecipanti al pic nic.
Anche le strade, le piazze e alcuni locali notturni, sono luoghi particolari in cui avviene
l‟incontro e/o lo scontro tra i membri di differenti comunità. Se alcune volte la ricerca sul campo è
stata definita come un “hanging around”, un ciondolare, è proprio in questi luoghi che si evidenzia
questa caratteristica. Fare ricerca in spazi aperti vissuti da diverse categorie di persone, comporta
spesso lunghi periodi di osservazione, in alcuni casi anche frustrante. Mi è capitato spesso durante
la ricerca di riflettere su come fosse percepita la mia presenza, su come fosse visto dai residenti di
Santa Maria o di Sal Rei questo mio “ciondolare”. .
La riflessione è nata da un incontro avvenuto sul “passeio” di Santa Maria. Ero arrivato da
alcuni giorni e come ogni giorno venivo avvicinato da cordialissimi ragazzi senegalesi che in tutti i
modi possibili m‟invitavano a entrare nelle loro lojas per vedere i loro prodotti. Stanco di questa
cortese persecuzione dopo qualche giorno ho deciso di posizionarmi all‟interno del contesto,
facendo capire a questi ragazzi che non ero uno dei tanti turisti con il braccialetto che
passeggiavano sul passeio, ma che ero lì per lavoro. Incontrando alcuni ragazzi senegalesi, ho così
spiegato che ero un ricercatore universitario e che ero lì per un lavoro sul turismo. Da quel giorno
gli “approcci” sono terminati, e il rapporto con i venditori di souvenir è stato improntato a una certa
cordialità. Un giorno mentre “ciondolavo” in strada, uno dei ragazzi mi si avvicina e mi chiede : “
Senti, ma tu hai detto che sei qui per lavorare. Ma che tipo di lavoro fai che sei sempre in giro per
le strade a fare domande?”.

53
Figura 3: Isola di Sal

3.4 Santa Maria das dores, Ilha do Sal


“ Se impazzite dalla voglia di visitare Marte, ma non avete in programma, un viaggio nello spazio,
a sei ore di volo dall’Italia l’isola di Sal può essere un buon sostituto … A dieci minuti
dall’aeroporto, l’abitato di Santa Maria comparirà sul fondo del nastro d’asfalto , proponendoci
alberghi a destra , sul fronte del mare e periferia costantemente in costruzione a sinistra … Con
ogni probabilità le vostre prime visioni saranno proprio case di mattoni nudi e grigi che fanno
venire in mente … vagamente alcuni della saga di Guerre Stellari ( mancano solo di robottini )”
(Elvio Annese 2001)

54
3.4.1 Sal: note storiche

Nel suo viaggio nella storia delle isole, Germano Almeida ritiene logico iniziare dall‟isola di
Sal, perché è lì che si trova la porta più importante dell‟arcipelago: l‟aeroporto Amilcar Cabral: “I
turisti, gli imprenditori, chiunque in un modo o nell’altro entra in contatto con l’arcipelago
attraversando l’aeroporto non immagina che fino a ventisette anni fa , qui era tutto ridotto a
macerie, appena un decrepito Hotel Atlantico nel paese di Espargos e una Pousada familiare a
Santa Maria”( Almeida 2005).
Con una popolazione approssimativamente di 19.000 abitanti divisi nelle 4 principali
località dell‟isola (Espargos, Santa Maria, Palmeiras e Pedra de Lume), l‟isola riceve il 50% dei
turisti che annualmente scelgono Capo Verde come destinazione. Nell‟isola sono localizzati 15 dei
40 hotel esistenti a Capo Verde, inclusi due hotel del Gruppo Riu, e il 51% delle stanza disponibili
nel paese ( fonte INE 2008). Il numero dei turisti che hanno scelto l‟isola nel 2008 è di 190.137, per
la maggior parte di nazionalità italiana, portoghese, inglese e dell‟Est Europa.
Un libro in particolare è stato fondamentale per la ricostruzione della storia sociale dell'isola
dagli anni „30-„40 del secolo scorso fino ai giorni nostri,“Fernandinho” di Cesario Lino Evora
(2005). Il libro è una ricostruzione puntuale della storia dell'isola, raccontata in prima persona da
Fernandinho, l'alter-ego dello stesso Evora, uno dei primi ministri della Chiesa del Nazareno a Sal.
Centocinquanta anni fa l‟isola era tanto inospitale che iniziò a funzionare come prigione,
una specie di campo di concentramento con il mare come limite. Un momento importante della
storia recente dell‟isola è la costruzione dell‟aeroporto internazionale da parte della compagnia
aerea nazionale italiana. Le prime visite all‟isola da parte di missioni militari italiane avvennero tra
il 1935 e il 1936; il 13 agosto del 1939 cominciarono i lavori e , in meno di sei mesi, vennero
montati i prefabbricati , preparata una pista di terra battuta e installati una serie di servizi
La storia “italiana” dell‟aeroporto dura, però, più o meno tre quattro mesi fino al maggio del
1940, quando i portoghesi, occuparono militarmente la base. Nel 1947 le installazioni aereoportuali
furono ufficialmente acquistate dal Portogallo e si diede avvio all‟ampliamento e alla costruzione
di un nuovo aeroporto, inaugurato il 15 maggio del 1949.
Tra gli anni 30 agli anni 50 l'economia e la vita dell'isola ruotano intorno all'aeroporto, le
saline di Pedra de Lume e la Compagnia do Fomento de Cabo Verde a Santa Maria. Tutta la vita si
svolge in quello che i salensi chiamano “ Acampamento” , cioè i padiglioni dell'aeroporto in cui
vivevano i funzionari delle compagnie aeree e dove era situato anche il primo Hotel Atlantico,
alloggio degli equipaggi delle compagnie aeree che facevano scalo a Sal.

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Proprietario di una Loja a Espargos, non ancora il capoluogo dell'isola, Fernandinho narra di
una società composita, ricca di diversità, in cui, nonostante la guerra mondiale e i contrasti politici,
si raggiunge comunque un certo equilibrio e rispetto tra le persone di diversa razza, cultura e ceto.
Negli anni ‟60, a salvare l‟aeroporto, e quindi l‟isola, dalla totale decadenza, è il permesso di
atterrare concesso alle linee sudafricane, quando tutti gli stati dell‟Africa decidono di boicottare
quel paese. Nel 1960 per permettere l‟atterraggio ai Boeing 707 iniziano i lavori di ampliamento
della pista e delle strutture con lo smantellamento dell‟Acampamento. L'isola vive una sorta di
tempo sospeso fino alla metà degli anni ottanta quando, grazie al rinnovamento dell'aeroporto e in
seguito alla conquistata indipendenza, viene scoperta dai primi turisti. Quello che trovano questi
primi “esploratori” è una realtà non molto lontana da quella che Fernandinho racconta nel suo libro.
Espargos è il capoluogo senza fascino di un paese legato a un turismo di transito, mentre Palmeira,
che era la spiaggia dei portoghesi e del personale delle compagnie aeree e in cui esisteva anche un
lussuoso stabilimento balneare, è del tutto dimenticata. Santa Maria altro non è che un piccolo
villaggio di pescatori.
Nel periodo compreso tra il 1980 e il 1985 i primi imprenditori iniziano la costruzione dei
Resort sulla bella spiaggia di Santa Maria. La costruzione di questi primi stabilimenti porta al
progressivo sviluppo della tipologia del turismo balneare All inclusive e ad una continua
devastazione dell‟ambiente isolano, arrivando alla recente distruzione delle dune costiere che
fermavano i forti venti alisei. Nel periodo compreso tra il 1990 e il 2000 il turismo si sviluppò al
punto tale da rappresentare l‟attività principale dell‟isola, se non addirittura l‟unica.
La popolazione raddoppiò in poco tempo, grazie al fenomeno congiunto della migrazione
interna dalle altre isole dell‟arcipelago e da una nuova forma di emigrazione proveniente dalla costa
occidentale dell‟Africa, principalmente dal Senegal e dalla Guinea Bissau.
C‟è un nome che a Sal rappresenta il recente passato e in parte il futuro dell‟isola, Stefanina.
L‟imprenditore bresciano è stato il primo che ha intuito le potenzialità dell‟arcipelago e che ha dato
inizio alla “conquista” dello spazio turistico salense, tanto da venire da più parti considerato il
nuovo “Senhor da Ilha”23. Sulla sua scia è iniziata una massiccia immigrazione d‟imprenditori
italiani e il rapido processo di cementificazione dell‟isola.
Nel 2000, l‟INE ( Istutito Nazionale di Statistica) ha calcolato che sono stati più di 16.000
gli italiani atterrati a Sal mentre le ultime cifre legate ai primi tre trimestri del 2009 parlano di
46.000 turisti italiani entrati nelle isole di Capo Verde.

23
Il soprannome è stato dato da alcuni capoverdiani residenti nell‟isola di Sal e ha un riferimento storico. Il primo
“Senhor da Ilha” fu Martins colui che diede l‟avvio allo sfruttamento del sale nell‟isola e al primo periodo fortunato
della stessa. La storia di Martins è raccontata da Barreno nel libro “O Senhor das ilhas” (1998)

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Tutto ciò sta avvenendo gradualmente anche a Vila de Sal Rei a Boavista e Vila do Maio
nell‟Isola di Maio, località che per la loro conformazione fisica ben si prestano allo sviluppo del
turismo balneare e che, secondo i locali, presto seguiranno il destino di Sal.

3.4.2 Geografie dello spazio e dei luoghi

“ Anche senza mappa , a Santa Maria è impossibile smarrirsi. Gli isolati sono disposti più o meno a
scacchiera tra il mare da un lato e il deserto di terra dura dall’altro … Il recentissimo sviluppo di
Santa Maria segue principi urbanistici piuttosto semplici. Nella prima fascia di terreno, quella più
vicina al mare, le licenze edilizie sono concesse a villaggi e hotel di un certo livello, con presenza
di capitale straniero. La seconda fascia è occupata da altre attività sempre orientate al turismo ,
ma si tratta di investimenti più limitati con presenza di ristoranti e botteghe a gestione familiare. La
terza fascia , al di là della strada principale concentra abitazioni e vie frequentate esclusivamente
da capoverdiani. Oltre la periferia si estende la terra di nessuno” (Elvio Annese)

Elvio Annese nella sua preziosa guida (2001), riesce, con poche parole a fotografare la realtà
urbana esistente a Sal, frutto dell‟arrivo fin dai primi anni novanta di imprenditori italiani e
portoghesi, i primi ad iniziare quella che da molti capoverdiani viene considerata la “nuova
colonizzazione” dell‟arcipelago.
Nelle quattro principali località dell‟isola, l‟isola riceve il 50% dei turisti che annualmente
scelgono Capo Verde come destinazione. L‟abitato di Vila di Santa Maria conta all‟incirca 3.229
abitanti ed è inclusa in una delle Zone a Sviluppo Turistico Integrale (ZDTI) che limita i poteri
locali e condiziona lo sviluppo turistico imponendo dei vincoli.
L‟arrivo nell‟ isola di Sal di stranieri che a vario titolo (e spesso improvvisando) hanno
iniziato a lavorare nel mercato turistico, ha portato a cambiamenti repentini anche nell’occupazione
degli spazi nei villaggi e nella creazione di nuovi quartieri, esempi di quella che in geografia umana
viene chiamata segregazione abitativa.
Sono arrivato a Sal la prima volta il 9 luglio del 2007:
“ Ci sono pochi turisti nell‟isola, forse anche perché il periodo non è molto turistico. Mi dicono che
l‟anno precedente in questo periodo c‟era molta più gente. Alcuni attribuiscono questa situazione
alla crisi, altri alla “scoperta turistica” di Boa Vista che ha maggiori attrazioni naturalistiche …”

Tornerò più volte a Sal nel corso della ricerca e in differenti periodi dell‟anno proprio per
tentare di capire quanto di vero ci fosse in ciò che veniva ipotizzato dai residenti dell‟isola. In teoria
il turismo a Sal, come gli alisei, è “un’attività costante” visto che è possibile affermare che c‟è il

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sole 365 giorni all‟anno. Dalle interviste effettuate durante la ricerca è però possibile, anche in
questo caso, rilevare una forma di stagionalità nei flussi turistici.
Nel periodo tra gennaio ed aprile l‟isola è una delle mete privilegiate dai surfisti. Molte
attività esistenti nell‟isola, bar e negozi, hanno come target proprio questa speciale categoria di
turisti, che difficilmente portano “danni” all‟ecosistema e alla stabilità sociale. Un‟attrattiva
maggiore che spinge i surfisti sull‟isola è la presenza di un noto campione di windsurf Josh
Angulo, che ha aperto un paio di negozi specializzati e alcune scuole di surf. I surfisti come anche i
pescatori d‟altura, sono turisti particolari che vanno a Sal solo per vivere le onde e il vento, e sono
poco interessati al “contorno” che il sito turistico propone.
Dalla fine di aprile in poi, e comunque a ridosso delle vacanze pasquali, cambia del tutto il
profilo del turista che visita Sal. Inizia il periodo dell‟alta stagione e delle vacanza al sole. L‟isola,
fino alla fine dell‟estate, diviene meta del “turismo idiota” mordi e fuggi. Il periodo che va da
settembre a novembre è da considerarsi il periodo di bassa stagione, forse il più bello per visitare le
“isole turistiche” di Capo Verde, il periodo in cui molti alberghi e ristoranti sono chiusi per rinnovo
o perché i proprietari per qualche mese ritornano a casa. E‟ il periodo preferito dai pescatori che
cercano la tranquillità. A dicembre ricomincia l‟alta stagione in vista delle vacanze di Natale, è di
nuovo l‟isola cambia colore.
L‟assenza fisica dei turisti, però, non è solo dovuta a crisi economiche mondiali o locali , ma
alla “ difficile visibilità dei turisti”. Spesso , infatti, i turisti dei Resort restano chiusi dentro i loro
“esili”, limitandosi a poche uscite nella vicina aldeia di Santa Maria.
Le evidenze tratte dall‟osservazione partecipante mostrano ancor di più questa decadenza
del sito e ancor di più evidenziano le differenze esistenti tra le varie comunità residenti. Joao Lopes
Filho, antropologo capoverdiano, figlio di Joao Lopes uno dei padri di Claridade, una delle prime
riviste letterarie capoverdiane, in una intervista, ha confermato questa mia ipotesi e ha considerato
pessimo il livello d‟integrazione tra le varie comunità che condividono lo spazio umano
dell‟arcipelago ponendo l‟attenzione soprattutto su Sal dove questo è più evidente.
La migrazione interna dalle altre isole ha, infatti, mutato la relazione tra residenti e
immigrati e oggi la popolazione originaria di Sal è di circa il 30% della popolazione totale
dell‟isola. La forte migrazione proveniente dalla Costa occidentale dell‟Africa ha portato come
conseguenza il nascere di maggiori conflitti tra i residenti
Seguendo lo schema descrittivo proposto da Annese, a Santa Maria si può parlare di un
Bairro Europeo (esterno al villaggio storico, identificatesi nei nuovi Resort e anche fisicamente
staccato dal vecchio villaggio) , di Bairro “africano” ( le nuove case che quasi spontaneamente

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nascono nella nuova periferia del villaggio) e di Bairro capoverdiano ( il nucleo storico del
villaggio di pescatori), la seconda fascia di terreno individuata da Annese. ( cfr mappa n. 1)

(Mappa n.1 L’abitato di Vila de Santa Maria)

Queste diverse comunità residenti a cui si aggiunge anche la “comunità viaggiante” dei
turisti settimanali, si incontra e si scontra in uno spazio relativamente piccolo, che porta alla
condivisione forzata di aree comuni.
Fin dall'inizio l‟obiettivo della ricerca è stato quello di comprendere le dinamiche con cui
queste diverse comunità si relazionano tra loro, quali sono gli spazi che occupano o che hanno
occupato, quali i simboli a cui si riferiscono, quali le storie che s‟intrecciano e si scontrano.
Le tre principali comunità, sono molto composite al loro interno. La comunità
capoverdiana è formata per lo più da persone venute dalle altre isole dell‟arcipelago (principalmente
da São Nicolau, Sant‟Antão e Fogo) a tentar fortuna a Sal, persone che portano con se ricordi ,
tradizioni e modi di vivere tipici della loro isola.
La comunità formata dagli africani provenienti dal continente (chiamati dai capoverdiani
Mandjakus24) è ancora più composita. Spesso davvero poco hanno in comune fra loro senegalesi,

24
Con il termine Mandjakus sono indicati gli emigranti provenienti dalla Costa Occidentale dell‟Africa. Questi
stranieri sono visti dai capoverdiani come un gruppo omogeneo, cosicché questa dominazione diviene una vera e

59
guineani, sierraleonesi angolani, se non la lingua portoghese. Eppure questa comunità così
eterogenea spesso emerge come compatta all‟occhio del turista e dell‟europeo residente, ed è spesso
oggetto di una doppia forma di pregiudizio, sia da parte del bianco europeo che del capoverdiano.
Quest‟ultimo, proprio nel confronto con l‟africano proveniente dal continente, rivendica la propria
unicità e originarietà (diversità di “colore” e di storia).
Dalla difficoltà di distinguere le diverse nazionalità “africane” nascono una serie di
fraintendimenti ed imbarazzi di fronte all‟emergere di situazioni conflittuali. Il turista che vive la
sua settimana "sole e mare" non si chiede, infatti, chi sia il suo interlocutore: che quest‟ultimo sia
senegalese, guineano o angolano , per lui sarà solo genericamente “capoverdiano”, se non solo
“africano”.
La comunità formata dagli stranieri residenti , per la maggior parte italiani e portoghesi ma
nell‟ultimo periodo, anche da Inglesi, Irlandesi e Polacchi , vive del tutto separata, anche
fisicamente, dal resto del villaggio, e i pochi contatti con gli altri gruppi vengono sempre filtrati da
pregiudizi più o meno palesi.
I gruppi interni alla comunità hanno i loro luoghi d‟incontro e di condivisione come il
“Baraonda” il bar dei surfisti Italiani, o il pub degli inglesi May O‟Leary su Rua Cabral. Anche le
altre comunità s‟incontrano, i senegalesi principalmente nei piccoli locali attigui agli “atelier”, i
capoverdiani nei pochi bar non gestiti da stranieri o semplicemente sugli usci delle case.
Dove avviene maggiormente l‟incontro/scontro tra le varie comunità? In quali luoghi? Si
possono isolare momenti in particolare in cui lo scontro si è acuito finendo per ridefinire la storia
delle diverse comunità? E‟ importante identificare i luoghi in cui si è fatta la micro storia recente
dell‟isola.
L‟incontro tra turisti e locali avviene per lo più in quella che Elvio Annese ha chiamato la
prima fascia di terreno (cfr. mappa n. 1), che rappresenta l‟aldeia storica di Santa Maria e in cui
sono posizionati i più importanti ristoranti e locali notturni dell‟isola. Qui si trovano i locali “beira
mar “ (di fronte al mare) che si distribuiscono sulle prime due strade parallele dell‟abitato. Sono
questi i luoghi in cui, tra l‟altro, continua il “contatto” tra beachboys e turiste, dove s‟incontrano
nuovi e vecchi attori della società capoverdiana, ma nei quali la comunità originaria è quasi del tutto
esclusa. Fa eccezione la Praçinha antistante il Cafè Cultural, uno dei pochi locali importanti gestito
da un imprenditore capoverdiano, e che funge da vero recinto, una sorta di protezione verso
l‟esterno. La piazzetta si popola verso le 18 al calare del sole e da allora diventa la piazzetta dei
capoverdiani dove il “bianco” non entra, non è ben accetto.

propria categoria distintiva. Sulle traettorie di vita e sulla percezione che dei Mandjakus si ha nella comunità
capoverdiana esiste un interessante saggio di un‟antropologa capoverdiana Eufemia Vicente Rocha (2009).

60
Questa forma di esclusione non avviene con modalità eclatanti o dirette, ma è la stessa
omogeneità “etnica” che spinge lo straniero a non entrare nel recinto, che viene considerato quasi
uno spazio “a sé” in cui la vita del vecchio paese continua nonostante il turismo. Uno spazio chiuso,
fortemente connotato.
Superate le prime due strade parallele è già periferia, ed è qui che è possibile trovare una
serie di locali notturni che fanno da margine tra il “vecchio” e il “nuovo”. Ristoranti tipici
capoverdiani si alternano a piccoli bar in cui è possibile ascoltare musica fino a tardi. Qui è
possibile un contatto più “ vero”, “reale”, condiviso, basta saper cercare il luogo giusto e seguire il
ritmo della musica tradizionale. Chi non sia “estabelecido” e frequenta questi luoghi di contatto è
un esterno che sta diventando o sta cercando di diventare interno. Il turista settimanale qui non
arriva, si ferma alle prime due strade parallele.
Oltre la prima periferia c‟è il regno delle case “che sembrano uscite da un film di Guerre
Stellari”, messe su con pochi soldi e spesso incomplete, come dei ruderi di qualcosa che neanche è
mai iniziato. E‟ in questa disordinata periferia che vivono quelli che spesso sono considerati i
portatori dei “mali” della nuova società salense, coloro che sono costretti a vivere con appena 100
euro al mese e a inviare anche i soldi a casa, coloro che vivono nei cantieri per risparmiare, gli
invisibili che diventano visibili solo quando accade qualcosa di grave.

3.4.3 Processo al Paradiso e rimozione del ricordo. L’invisibile rivelato.

Queste problematiche spesso taciute tra le diverse comunità, le relazioni e le reazioni, sono
emerse in modo molto evidente nel caso dell'omicidio di Dalia Saiani e Giorgia Busato nel febbraio
del 2007 in località Fontona. La memoria del fatto e la ricostruzione processuale di ciò che è
accaduto quel giorno e che spesso nelle tre comunità si preferisce dimenticare per motivazioni
diverse, inevitabilmente, ha segnato e continua a segnare, i rapporti già difficili tra i residenti.
Se da una parte si preferisce dimenticare per dimostrare che nulla è cambiato e che quello
che è accaduto è stato solo un episodio triste ma isolato, è evidente da un'analisi etnografica dei
rumors, come l'accaduto, abbia portato a strategie di riconfigurazione dell'identità come reazione al
fatto25.

25
Per la ricostruzione dei fatti legati all‟omicidio di Dalia Saiani e Giorgia Busato mi sono basato sugli articoli
pubblicati dai maggiori quotidiani italiani, ma soprattutto su quelli pubblicati dai settimanali capoverdiani A Semana,
Expresso das Ilhas, A Naçao e Journal de Cabo Verde. Importante è stata la testimonianza da me raccolta in più
interviste, del padre di Dalia Saiani, Giulio che ha ricostruito per me non solo la vicenda giudiziaria ma anche quelle
che erano le interpretazioni date dalla gente al fatto. Interpretazioni confermate in molte altre interviste effettuate a
Santa Maria.

61
L'8 febbraio del 2007 in località Fontona una piccola oasi a pochi chilometri da Palmeira, tre
ragazze italiane Dalia, Giorgia e Agnese s'incontrano con due ragazzi capoverdiani Sandro Santus
de Rosario (Motche) e Admilson de Teixeira (Tita) per una cena che dovrebbe servire a chiarire i
problemi venutisi a creare tra Dalia Saiani e il suo ex ragazzo Santus. I cinque si danno
appuntamento presso l'appartamento di Sandro e successivamente si recano in macchina verso
Espargos. Pochi chilometri prima dell'ingresso, in quella che viene considerata la”capitale”
dell'isola, Sandro e Admilson svoltano in una strada sterrata che porta all'oasi di Fontona a pochi
chilometri dal porto di Palmeira. Arrivati all'oasi, Dalia Saiani e Giorgia Busato vengono fatte
scendere dalla macchina mentre Agnese Paci viene costretta a rimanere sulla stessa.
I due minacciano Dalia e Giorgia. Dalia prova ad offrire anche dei soldi a Sandro per cercare
di calmarlo, ma la situazione precipita e le ragazze vengono massacrate a colpi di pietra e sepolte in
una delle tante buche che si trovano nella zona.
I due, poi, massacrano a colpi di pietra anche Agnese Paci e la lasciano sul terreno senza
sotterrarla credendola già morta. Successivamente raggiungono un bar dove chiedono ad un amico
di dar loro una mano con i corpi, ma questi si rifiuta. Così vanno nell'appartamento di Dalia, rubano
i soldi e prendono i biglietti aerei di Dalia e Giorgia decisi a scappare in aereo.
Nel frattempo la polizia raccoglie la testimonianza di Agnese, in prima battuta non
credendole, solo dopo ore alcuni agenti si recano a Fontona per verificare il racconto della
testimone. Nel frattempo i due assassini stanno per volare verso il Portogallo, ma un guasto aereo li
blocca all'Aeroporto di Sal consentendo alla polizia di trarli in arresto.
I rilievi autoptici sui corpi di Dalia e Giorgia non evidenziano segni di violenza sessuale,
diversamente da quanto emerso nelle prime ore, e il ritrovamento di terra nei polmoni di Dalia
lascia supporre che la giovane ravennate respirasse ancora quando gli aggressori dopo averla colpita
alla testa, l'hanno infilata nella buca.
Nei giorni successivi la notizia diviene oggetto di analisi non solo da parte dei giornali locali
ma anche da parte dei giornali italiani e europei. La notizia sconvolge soprattutto per la brutalità
dell'omicidio che viene considerato da parte delle autorità, dei genitori delle due ragazze e dagli
inquirenti come omicidio passionale, ma soprattutto per essere accaduto l‟omicidio in un luogo,
l‟arcipelago di Capo Verde, considerato un‟oasi di pace e tranquillità.
Alla base del delitto, però, secondo una ricostruzione fatta da fonti locali, e che diviene la
strategia difensiva dell'avvocato di Sandro e Adilson, ci sarebbe non solo un movente passionale,
ma anche il controllo e la gestione del traffico di droga a Santa Maria, e, addirittura, un mandante
italiano tale Alessandro Galli, un ex di Dalia. Sandro, nella sua deposizione afferma, infatti, che
Dalia doveva una somma di denaro alla persona che la voleva morta, per un carico di droga, che la

62
vittima non avrebbe mai pagato, e il mandante sarebbe stato proprio questo Alessandro Galli, il
quale, intervistato da alcuni giornalisti capoverdiani, ha sempre negato addirittura di conoscere
Dalia.
Le indagini preliminari terminano il 28/06/07. Tutti, a Capo Verde e in Italia, sperano in un
processo immediato e veloce, perché, sulla scia delle polemiche succedutesi, il popolo salense si è
sentito colpito e sdegnato da come è stato dipinto all'estero e, la conclusione del processo, viene
vista come una liberazione.
Al processo però si arriva soltanto l'11/04/2008 e il 25/04/2008 viene chiesto dalla pubblica
accusa il massimo della pena (25 anni) per entrambi gli imputati, confermata il 22/06/2008. Ma la
storia dei due rei, però, non finisce qui: il 29 dicembre 2008, in seguito alla scadenza dei termini per
la convocazione da parte del Giudice Supremo per l'appello proposto dai due imputati, a causa della
scadenza dei termini di carcerazione preventiva, Sandro viene liberato. Soltanto dopo le pressioni di
Giulio Saiani, il padre di Dalia, e ad una vera e propria rivolta da parte del popolo capoverdiano, il
giudice conferma la condanna in appello e impone la detenzione definitiva di Sandro e Adilson.
Quello che emerge dalle interviste effettuate a Sal nel corso della ricerca e dai “rumors”, la
visione e la percezione che molti capoverdiani, e non solo, hanno di cosa è avvenuto, è molto più
vicina a quella proposta, seppur arditamente, nel processo da Sandro rispetto a quella emersa nel
giudizio del giudice.
Tra le varie letture del fatto, come emergono anche dalle interviste effettuate, si possono
definire esemplari quelle di Giulio Saiani , il padre di Dalia, e di una signora italiana residente a Sal
da tempo, che chiameremo R., che si è “autonominata “ quasi subito, difensore della capoverdianità
e una sorta di portavoce di quella che, a suo parere, è da considerare la posizione condivisa della
comunità capoverdiana.
Giulio Saiani è stato un‟altra di quelle persone che si è rivelata fondamentale per la ricerca.
Nonostante il lutto subito, Saiani ha cercato di trovare un senso al suo dolore, impegnandosi non
solo nella battaglia legale ma anche nel tentativo di dare un senso alla morte di Dalia. Ho avuto
modo di incontrare più volte Giulio Saiani durante la ricerca, la prima volta a Cidade Velha, in
occasione di un suo soggiorno al BeB Kuma ku Kafè, e in altre occasioni a Sal, dove era impegnato
per la promozione della mezza maratona dedicata alla figlia.
Se da una parte Giulio Saiani cerca di portare avanti la battaglia per il riconoscimento della
realtà processuale, dall‟altro lato, alcuni residenti nell‟isola tra cui la signora R., portano alla luce
alcuni retroscena e interpretazioni che configgono con la visione processuale emersa nel
procedimento penale e che portano alla ricostruzione della vita quotidiana nell‟isola che,
probabilmente, è molto più vicina alla realtà. R. aderisce senza dubbio alcuno alla ricostruzione

63
proposta dall‟avvocato di Sandro e Adilson: non si tratterebbe di un omicidio passionale, ma il
terribile atto sarebbe maturato nel mondo del traffico di droga. R. si spinge poi fino ad ipotizzare un
disegno politico da parte di Giulio Saiani, collegando, infatti, questa continua pubblicità
dell‟accaduto, con le elezioni autarchiche, quasi vedesse nell‟opera di sensibilizzazione di Saiani un
tentativo di screditare il Presidente della Camera uscente e nuovamente candidato. Non è solo R. a
pensarla in questo modo, anche altri avanzano questo dubbio, anche se, nella realtà si è rivelato non
fondato. Quello che è certo è che Giulio Saiani e la sua voglia di ricominciare dopo il dolore, da
fastidio a molti. La sua figura è controversa. Il suo impegno nel ricordare la figlia, infatti, il fatto
che non viva il suo dolore con disperazione e in modo plateale, ma cerchi di rendersi utile, nonché
il fatto che si sia “messo con una ragazza capoverdiana”, lo scredita in parte sia agli occhi degli
italiani sia agli occhi dei capoverdiani. Per alcuni membri di quella comunità di “quasi tutti
avventurieri”, quella degli imprenditori italiani, Giulio Saiani è un eroe, una persona da apprezzare
per come vive giornalmente il suo dolore, per altri invece semplicemente un “puttaniere”, uno che
“come la figlia si è attorniato di gente di dubbia origine e morale”. Ma, soprattutto, Giulio Saiani fa
paura perché parla di quello che è successo, non sottovaluta l‟evento, non lo riconduce solo ad un
semplice “omicidio passionale”e tutto ciò va contro il processo di minimizzazione e rimozione del
ricordo.
Le voci di Giulio Saiani e di R. sono le poche che si ergono, anche se in maniera
diametralmente opposta, di fronte all‟oblio della memoria del fatto che giornalmente viene portato
avanti a Santa Maria.
Giulio Saiani scrive (da una mail inviatami):

“Il clamore c'è stato perché a Espargos si è praticamente bloccato tutto il centro. Io e i miei amici ci
siamo trovati circondati dagli abitanti, taluni solo curiosi, ma altri incazzati che inveivano contro gli
italiani che vanno a fare quelle cose (abbiamo fatto dell'informazione gratuita), è arrivata la polizia e
ci hanno condotto al loro ufficio per accertamenti. La notizia è così rimbalzata sul loro telegiornale
nazionale.”

Al riguardo qualcuno sul forum di cv24 fa rilevare come sia importante soprattutto nascondere
quanto accaduto per evitare di disturbare la pace del piccolo paese:

“non bisogna certo <<disturbare ed allarmare>> macarene e macareni di tutto il mondo, che a Sal e
dintorni vanno per poggiare le chiappe chiare; beh non mi stupisco per niente dell'andazzo che sta
prendendo la cosa”.

E altri ancora, sempre nel forum del sito Caboverde24 riportano il “clima” quasi surreale che si vive
a Santa Maria :

64
“[…] a Sal se domandi fanno tutti gli indifferenti[ …] la cosa m‟inquieta, persino gli amici più cari
cercano di sgamare la questione […] A fine ottobre sono stata a Capo Verde in vacanza e non ho
sentito nessuno parlare di quest‟argomento, sembra che li, (ma anche qua in Italia) quello che è
successo si sia dimenticato [...] purtroppo nessuno voleva parlare o facevano finta di non capire,
triste perché ho ripensato ai miei giorni di vacanza con la mia famiglia dove mi stavo divertendo
tanto e dove a migliaia di chilometri c'è un padre disperato che ha perso la propria figlia incapace di
poterla aiutare”.

Oggetto dei rumors è anche la mancata testimonianza della terza ragazza: che si era salvata
dalla brutale aggressione. Agnese è uno dei personaggi chiave della storia ma allo stesso tempo è
anche il personaggio più enigmatico. Nei giorni successivi alla morte delle due ragazze,
praticamente scompare, protetta dalla sua famiglia, e non prenderà parte neanche al processo in
qualità di testimone. Un fatto, questo, che ha fatto molto discutere la comunità italiana:

“Per quanto riguarda Agnese, ci credo che ha subito uno choc, ma lavarsene le mani per dimenticare
mi sembra [...] qui direi degli improperi . Io credo che uno abbia l'obbligo morale e civile di
chiedere giustizia per due ragazze uccise. Agnese invece non andrà neanche a testimoniare contro
Sandro e il rischio sarà che gli anni di prigione potrebbero essere meno...” (intervista del febbraio
2008)

La stessa difesa di Sandro è oggetto di contestazione da parte delle due comunità. Sandro ha
inventato di sana pianta un fantomatico complotto di una banda di surfisti italiani accusati di essere
dei narcotrafficanti, il cui capo, per uno sgarbo ricevuto da Dalia gli ha commissionato l‟omicidio,
minacciando di morte lui ed i suoi genitori se non l‟avesse eseguito:

“Admilson ha trovato più realistico sostenere che aveva bevuto 1 litro (un litro) di grog. Quindi era
ubriaco quando Sandro andò a chiamarlo per eseguire un lavoro e lui lo seguì senza capire niente.
Ovviamente non era in condizione di reggersi in piedi e quindi ne consegue che Sandro avrebbe
commesso tutto da solo”. (intervista a Roberto dell‟immobiliaria O.A. febbraio 2008)

La difesa, si è basata sulla diffamazione dei giovani sportivi che vengono a praticare il surf a
Cabo Verde, identificati come banda di narcotrafficanti sulle rotte tra Brasile, Cabo Verde e l‟Italia:
tesi sostenuta con un‟enfasi eccessiva, pertanto sospetta, dall‟ avvocato difensore sia in aula sia
nelle interviste, rilasciate generosamente, ai giornali, radio, televisioni, presenti.
La vasta eco del fatto, ha finito comunque per incidere su quelle che sono le già difficili
relazioni tra le diverse comunità, molto spesso improntate su una certa indifferenza reciproca, ma

65
che, in questo caso, sono emerse con forte vis polemica, facendo emergere i pregiudizi frutto di
uno sguardo superficiale sull‟altro che condivide gli spazi.
La vicenda di Dalia e Giorgia ha messo in rilievo problematiche spesso nascoste e che
mostrano la parte oscura del paradiso. Dalla lettura del fatto, e dalle interviste effettuate a Santa
Maria, emergono posizioni e interpretazioni differenti che in breve si riportano per essere
approfondite nei successivi paragrafi:

1) Da parte della comunità capoverdiana l‟omicidio delle due ragazze è visto come un doppio
pericolo. Da una parte si guarda alla probabile influenza che potrà avere il fatto sullo
sviluppo del turismo che comunque dà da vivere alla comunità, ma soprattutto un danno
all‟immagine del capoverdiano all‟estero. Dove è finita la Morabeza? Quel modo di vivere e
di accogliere per cui i turisti vengono nell‟arcipelago? Sono davvero Santus Sandro e
Admilson i veri capoverdiani? La paura che intorno all‟evento si costruisca un pregiudizio
negativo è molta e fondata. Paure legate anche alla probabile crescita d‟attenzione da parte
dei media nazionali ed esteri sui problemi che in qualche modo si cerca di tenere nascosti:
l‟aumento dello spazio di droga, delle malattie trasmissibili per via sessuale, della
microcriminalità. Cresce poi un pregiudizio sempre più forte legato alla “visione” della
donna bianca, vista da molti come “preda”. Come accade in altri luoghi interessati al turismo
di massa, l‟attenzione di parte della comunità capoverdiana è focalizzata su quelle che
vengono considerate le “bottiglie bianche da riempire”. Anche i gigolò capoverdiani sono
soggetti al gioco del pregiudizio e da una parte della popolazione vengono considerato
“prostituti”, anche se quasi sempre loro non si vedono come tali, anzi, rivendicano un ruolo
centrale nell‟economia dell‟isola.
2) Nella comunità occidentale, e in particolare quella italiana, il fatto viene visto, come nella
comunità capoverdiana, come un pericolo per gli investimenti nel turismo. La paura che la
gente inizi a cancellare le prenotazioni a Sal, scegliendo altre destinazioni considerate più
tranquille, tra cui la vicina Boa Vista, porta ad una strategia di minimizzazione dell‟evento,
liquidato come “affare di cuore”, anche se in realtà se si ascoltano le voci nascoste emerge
quello che c‟è dietro la facciata del Paradiso. Ma l‟occultamento della realtà serve alle due
comunità italiana e capoverdiana per differenti motivi per non rovinare l‟”immagine” di
Capo Verde.
3) La comunità “africana” sembra essere esclusa dalla “lettura” di questo fatto, ma se invece si
va a leggere con attenzione le dichiarazioni, si vede come in realtà sia i capoverdiani sia gli
italiani in maniera più o meno esplicita riportano alla presenza degli africani provenienti dal

66
continente, la nascita dei problemi di prostituzione, droga e cambiamento dei costumi di
vita. Il fatto che spesso molti di questi ragazzi vivano nelle Barracas e siano tra i più
“apprezzati” a livello fisico da parte delle turiste, porta alla costruzione di ulteriori
pregiudizi.

Il duplice omicidio commesso a Sal ha fatto emergere, quindi, nonostante i tentativi di


rimozione, una serie di problematiche che si andranno tra breve ad enucleare e che sono tutte
legate alla trasformazione dello spazio fisico e sociale capoverdiano, e al mutare dell‟atteggiarsi
delle relazioni tra persone di sesso e posizione differente. Una serie di problematiche, che,
almeno in parte sono tipiche di luoghi in cui si sviluppa il turismo balneare e che sono state
affrontate dalla letteratura antropologica fin dai primi anni settanta.

3.4.4 Corpi in contatto

Il discorso che si è evidenziato in precedenza sul “vivere la spiaggia” e il riferimento alla tragica
vicenda di Dalia e Giorgia, porta alla luce un fenomeno recente ma in grande crescita nell‟isola di
Sal, il turismo sessuale femminile (Pritchard 2005). Questo fenomeno, storicamente, vede donne,
per lo più cinquantenni, accompagnarsi per una settimana-dieci giorni con giovani locali, in un
rapporto che è stato analizzato in alcuni recenti studi etnografici e portato con efficacia sullo
schermo da Cantet in un recente film, Verso il Sud (2005). Una recente ricerca sul fenomeno del
turismo sessuale femminile26,ha riproposto e rivisto questa problematica già affrontata
precedentemente dalla letteratura antropologica. Intervistando circa 240 donne in vacanza a Negril
e in due Resort simili della Repubblica Dominicana, le sociologhe inglesi O‟Connel e Sanchez
Davidson portano alla luce un turismo sessuale “rosa” che è molto più significativo di quanto si
possa pensare. Il 60% delle donne intervistate dalle sue sociologhe, ha ammesso la presenza di
“elementi economici” nei rapporti, ma senza connotare i regali, le cene, le offerte come un
pagamento in cambio di servizi. Tutte escludono di aver pagato dei prostituti, semmai molte di loro

26
Le recenti ricerche sul fenomeno della prostituzione maschile e del cosiddetto turismo sessuale al femminile
da parte di donne europee di mezza età, sono state portate avanti da Jaqueline Sanchez Taylor del Dipartimento di
Sociologia dell‟Università di Leicester e da Julia O‟Connel Davidson della School of Sociology and Political Policy
dell‟Università di Nottingham. I risultati della ricerca sono state pubblicate in Unknowable Secrets and Golden Silence:
Reflexivity and Research on Sex Tourism' with J. O‟Connell Davidson, in R. Ryan-Flood and R. Gill (eds).

67
giustificano il sesso in cambio di denaro come un aiuto economico e personale o addirittura un aiuto
all‟economia locale. Uno dei saggi, tradizionalmente più importanti sul tema, è quello di Klaus de
Albuquerque (1998). L‟autore, prende spunto per la sua riflessione, da una canzone degli anni „50,
una limbo dancing chiamata “ The Big Bamboo” una delle canzoni più suonate nelle Isole Cayman
in quel periodo. Nella stessa area, nello stesso periodo, una serie di Dj, esaltano la qualità dei Big
Bamboo in una serie di canzoni molto esplicite come ad esempio quella di Little Lenny “ Nine
Inches Long and Coming”. Come afferma De Albuquerque, il Big Bamboo ha una vita fuori dalle
canzoni popolari, ed è reale, e si può vedere sfilare sulle spiagge caraibiche. La storia del turismo
sessuale femminile inizia negli anni „50 del novecento quando alcune donne mature, oltre i
cinquanta, iniziano a passare l‟inverno alle Bermuda , alle Bahamas o alle Isole Vergini. In Europa
la nascita del turismo sessuale data nei primi anni „60 quando scandinave , inglesi e tedesche
iniziano a viaggiare verso le coste del Europa meridionale. In Grecia il termine “kanaki”, ad
esempio, descrive gli uomini locali , molti di loro pescatori, che hanno relazioni sessuali con le
turiste in cambio di soldi o regali. Con l‟avvento dei pacchetti turistici, questa forma di turismo si
sviluppa ulteriormente, e i nuovi campi diventano alcuni paesi africani come Gambia, Kenya o
Ghana, oppure alcuni paesi come Giamaica, Barbados, Thailandia , Filippine o Indonesia. Il saggio
di D‟Albuquerque, è basato su una sua ricerca etnografica nelle Barbados, che fin dagli anni
settanta divenne una destinazione popolare per il turismo sessuale femminile in cerca di quelli che il
sociologo Graham Dann (1981) chiama “ close encounters of the Third World kind”. “Giovani
uomini solcano le sabbie in cerca di inattaccabili turiste … si notano da come si vestono e dal loro fisico”.
Come è sottolineato visivamente anche da Cantent , nel già citato film Verso il Sud, i big bamboo,
accompagnano le turiste in tutto il loro soggiorno, soddisfacendole in tutto, ma rigettano l‟idea di
essere considerati “prostituti”. Semplicemente dichiarano di dare alle signore “a good time”.

L‟approccio dei beach boys dipende dalla natura e dall‟esperienza delle turiste. Durante
l‟osservazione a Sal ho potuto osservare e tentare una standardizzazione delle tecniche di approccio
da parte dei ragazzi. Con le novizie è necessario un approccio più soft , chiedendo loro se è la prima
volta che vengono a Sal , se si stanno divertendo, se vogliono venire a fare un giro con loro sul jet
ski, o imparare a fare Kite Surf. L‟approccio con le turiste “più esperte” è più diretto perché spesso
attraverso una postura studiata si propongono allo sguardo del ragazzo sedendo da sole
proponendosi nella postura atta a dire: “ sono disponibile”.
Dal primo approccio, il beach boy è già in grado di avere a disposizione una buona serie di
notizie sulla turista. E‟ un momento importante perché i gigolò hanno una gerarchia di preferenza
nelle clienti, basato sulla nazionalità, età e attrattiva.

68
Gran parte della terza parte della ricerca sul campo è stata dedicata proprio all'osservazione
delle “tecniche di approccio” reciproche da parte dei gigolò senegalesi e le “banhistas”27 sia sulla
spiaggia, che sempre più viene intesa come spazio in cui ci si mette in mostra , sia la sera nei pub in
cui culmina il “rito del corteggiamento”. Questo tema è stato in parte narrato, anche se ammantato
della poesia di un innamoramento, in un libro di Barbara Cerquetti, “Ritornare a Sal” (2006), unico
esempio di pubblicazione di un romanzo italiano in terra capoverdiana, edito dalla editrice Oceano
Azul, legata all'omonima agenzia immobiliare.
Per far comprendere quanto sia importante il bacino d‟utenza rappresentato dalla turiste
europee alla ricerca di una settimana da regine nell‟arcipelago capoverdiano, basti pensare che la
pubblicità della più famosa birra capoverdiana “Strela” vede la presenza, a differenza di quanto
succederebbe in Italia, di un bellissimo ragazzo languidamente sdraiato sulla spiaggia, ritratto
mentre scuote i suoi dreadlock.
Alcune donne che vengono a Capo Verde pensano che sia utile avere un gigolò affianco
perché rende più facile la negoziazione con i taxisti, l‟ acquisto dei biglietti e la protezione. In
cambio di questi servizi, le donne, in genere comprano sigarette, cibo, alcool regali e magari donano
anche una modesta somma in danaro. Se una turista sta cercando sesso è naturalmente molto più
generosa. Molto spesso le turiste approcciate in spiaggia sono poi sedotte sulla pista da ballo.
Talvolta capita, però, che alcune turiste, le più esperte, abbandonino nel night club il suo
accompagnatore per un altro beach boy. Questo emerge anche da un‟intervista ad un frequentatore
de “Il Pirata” la più famosa discoteca di Santa Maria, ed è una situazione che si verifica sempre più
spesso:
“Si l‟ amore in questi posti non si sa proprio cosa sia […] magari deluderò un po‟ di ragazze, ma
questa isola veramente è una piccola Cuba. Al night club PIRATA ho visto di tutto, ragazzi di colore
che ci provano praticamente con ogni turista, le turiste che ne scambiano uno a sera, le vecchie col
ragazzo giovane, le capoverdiane a chiedere soldi ai turisti per far del sesso. Ma scherziamo è questo
è il mitico PIRATA? Considerando che un alcolico costa 7,5 euro […] Incredibile son rimasto
veramente deluso per ciò che ho visto in quei luoghi e le ragazze italiane perdono la testa per uno di
loro … ma io avrei schifo solo a dare la mano ad una capoverdiana che ogni settimana cambia
ragazzo in fondo penso che chi ha bisogno di andare li per provare emozioni è proprio un caso limite
[...]”
I beach boys tendono ad esercitare un certo controllo sulle donne straniere che conquistano,
spesso attraverso una serie di piccoli “ricatti” e richieste di cortesie: è l‟uomo a decidere quando
fare sesso, quando andare al bar, al ristorante. Le turiste più esperte, però, tendono a mettere un

27
Sul rapporto tra gigolò e turiste si segnalano, tra gli altri, i contributi di: Jeronimo (2002), Kaufmann (1995), Meisch
(1995).

69
freno a quest‟autorità, e spesso a decidere i tempi e i modi della relazione. Da parte di molti beach
boys l‟intero servizio sessuale è fatto con indifferenza, e, d‟altro canto le donne europee sembrano
vedere queste notti con i big bamboo come un‟altra attività balneare, un‟attrazione turistica, anche
se non mancano casi in cui nasce una vera e propria relazione.
Il fenomeno della ricerca e della trasgressione sessuale a tutti i costi, è stato narrato con la
solita durezza e realismo da Houllebeq nel suo intenso libro Piattaforma (2007). Il romanzo ha
provocato scandalo in Francia perché legato all‟idea della difesa del turismo sessuale. Piattaforma è
stato scritto da Houllebeq a Pattaya in Thailandia, luogo notoriamente dedicato al turismo sessuale,
dove l‟autore ha svolto una vera e propria ricerca di campo venendo a contatto con le prostitute del
luogo e frequentando i saloni di massaggi. Michel il protagonista del romanzo, durante un tour
Tropic Thai, sfidando i pregiudizi degli altri compagni di viaggio, si dedica al “consumo” delle
prostitute locali che lo porta ad una sorta di riflessione sull‟ “alterità”. Nel prosieguo del romanzo
Michel utilizza il suo “sapere” esperienziale su viaggi con obiettivo sessuale, contribuendo
all‟elaborazione di un progetto per un tour sessuale per gli europei nel terzo mondo. Il progetto ha
successo ma il finale del libro è terribile, nel primo viaggio che Michel e la sua ragazza fanno
insieme nel Resort thailandese i due vengono massacrati da un gruppo di fondamentalisti
musulmani.
La riflessione di Houllebeq è reale e banale al tempo stesso. Se spesso l‟incontro turistico in
posti esotici, è un‟esclusiva ricerca di sesso libero e facile, un‟evasione dalla tristezza delle vite
quotidiane, un momento in cui sentirsi completamente soddisfatti, perché non legalizzarlo e
renderlo un‟esperienza di vita? In un recente saggio sui viaggiatori che partono con unico obiettivo
la ricerca del sesso (Piscitelli 2003), uno degli intervistati, arriva a teorizzare che uno dei pochi casi
in cui ci sia un vero contatto tra turista e nativo, un contatto non mediato e “reale”, è quando, si va
alla ricerca di sesso con ragazze e donne non prostitute, ma facenti parte del ceto basso del paese. Il
viaggiatore intervistato, afferma di essere andato più volte nelle favelas brasiliane, o in quartieri a
rischio per una notte d‟amore con ragazze conosciute sulle spiagge brasiliane, e di aver compreso
molte problematiche legate alla vita di queste persone. Questo perché la ricerca da parte di questi
turisti che cercano situazioni autentiche è legata all‟autenticità della persona con cui entrano in
contatto.
Al di là di queste estremizzazioni, il dibattito interno al mondo turistico capoverdiano sulle
“turiste alla ricerca di sesso” è molto intenso e la creazione di pregiudizi è emersa con forza sia
durante le interviste effettuate, sia nella lettura di alcuni post sui forum specializzati.
I giudizi che soprattutto la comunità maschile italiana dà di queste donne alla ricerca di una
felicità perduta o di una trasgressione che le faccia evadere per una settimana da una realtà che non

70
sopportano più, vanno dalla ridicolizzazione fino alla condanna. Agli occhi di chi guarda questo
fenomeno la ricerca di sesso facile e libero da parte delle donne europee appare molto più
riprovevole a livello morale, della ricerca di sesso senza limiti da parte degli uomini. Così queste
che da alcuni “aventurieros” vengono definite “bottiglie bianche da riempire”, sono oggetto spesso
di un doppio pregiudizio, in quanto donne avanti negli anni e in quanto bianche.
Ma c‟è un fenomeno che è in crescente sviluppo negli ultimi anni e che si evidenzia come
elemento di rottura rispetto ad altre esperienze simili, la ricerca di sesso facile e trasgressione da
parte di ragazze molto giovani con un‟età che va dai venti ai trenta anni. Molte, come sottolinea il
proprietario del Cafè Cultural ristorante a gestione capoverdiana, arrivano da Verona, Milano,
Roma già con il nome del ragazzo da cercare:

“Abbiamo letto di Alex, Leandro, Marlin, Nox, Edson "il ragazzo delle scimmie" e vari altri
capoverdiani che hanno fatto parlare e sparlare su questo forum […] Dopo anni che seguo questo
forum, non ho ancora letto nemmeno una riga su un capoverdiano che non sia animatore, surfista
sfigato, consumatore di crack o simile, omicida, ladro. Il che secondo me dice tanto della qualità
delle persone che vengono a Capo Verde e che poi scrivono anche su questo forum, e poco sui
capoverdiani veri, quelli con i quali noi stranieri residenti a Capo Verde conviviamo tutti i giorni.”
(Dal forum di Caboverde24).

I nomi e i personaggi sono in effetti sempre gli stessi e ben conosciuti dalla comunità salense,
eppure le ragazze che frequentano l‟isola sembrano non accorgersene:

“Tra l'altro i ragazzotti spiaggisti menzionati sono sempre gli stessi [...] quello che fa le capriole,
quello che fa kite, quello con la scimmia (occhio che la scimmia è addestrata a distinguere i fogli di
carta dai soldi e i cellulari/Ipod dagli oggetti inutili...mentre il ragazzo vi distrae, la scimmia rovista
nei vostri zainetti o marsupi e ruba, se ve ne accorgete il tipo fa finta di sgridare la scimmia, cambia
posto e ricomincia la commedia), quello con gli orecchini/piercing verde e rosso che fa l'amicone e
dice di non volere niente e poi la sera della partenza ve lo ritrovate all'aeroporto che vi chiede soldi
per "favori" che vi avrebbe fatto [...]” (da un‟intervista a un residente italiano sulla Praia de Santa
Maria – Isola di Sal 2009).

Si tratta di appena una decina di ragazzi, ben conosciuti e accuratamente evitati dalla
comunità capoverdiana, nonché dalla “parte migliore” della comunità straniera. Nei giorni in cui
non si accompagnano a turiste, questi ragazzi dormono e vivono gran parte della loro giornata nel
quintal della chiesa cattolica di Santa Maria, come mi conferma con amarezza Padre Ima durante
un‟intervista. Ma c‟è qualcuno che li difende, ed è ancora R.:

71
“il ragazzo che hai visto fare capoeira in spiaggia lo fa tutti i giorni, come ricreazione e
divertimento, per mantenersi in forma. Non avendo una palestra, lo sport a Capo Verde quasi
sempre si pratica in spiaggia […] la scimmietta non penso abbia l'intelligenza tale come viene
descritta […] e nemmeno il ragazzo tutto piercing non viene in aeroporto dietro qualcuno se non
avesse già fatto amicizia con lui. Molti che vengono a Capo Verde vedono tanti fantasmi - solo
gente malintenzionata, qualunque cosa facciano, lo fanno per imbrogliarti […] Ma siamo sicuri che
il pescatore sul pontile con il coltello insanguinato, non avesse forse ammazzato qualche persona? e
la vecchietta vestita di nero, magari avrà lanciato un malocchio, sembrava una strega? La gente
viene a Capo Verde piena di pregiudizi, magari anche con la paura di venire ammazzati […] sti
brutti e cattivi capoverdiani...” (da un‟intervista a R. luglio 2009).

E ancora: ” [...] non tutti sono uguali io sono fidanzata da quasi un anno con un ragazzo capoverdiano di
Sao Vicente ma che lavora a Sal da quasi un annetto [...]Ho conosciuto molte persone quando sono stata a
Capo Verde, precisamente a Santa Maria [...] persone molto simpatiche e socievoli che quando sono tornata
ad ottobre si ricordavano tutti di me [...]" (Post dal forum di Caboverde24).
Uno dei problemi più grandi per chi vive di e per il turismo a Capo Verde, è la disillusione.
Il problema nasce quando il turista esce dal villaggio e scopre che non esiste : “uno splendido paesino
di nome Santa Maria non esiste […] nessuna splendida chiesetta, non esiste quell‟affascinante pontile sembra
che questi posti fantastici tanto ricorrenti nei racconti di viaggio diventano belli agli occhi dell‟ innamorata
che in quei luoghi ha trovato l‟ amore”. (da un‟intervista ad un turista nella Pracinha- Santa Maria-
Isola di Sal)”.
Durante la terza fase della mia ricerca, ho avuto modo di seguire in modo molto
“partecipante” una delle settimane tipo degli “aventurieros”, soprattutto di quattro di loro tra cui “il
ragazzo delle scimmie”:

“Ho preso in affitto un piccolo appartamento nella parte nuova di Santa Maria in zona Ponta Preta,
un pezzo di città rubato alla sabbia a ridosso di quello che era il più vecchio albergo di Santa Maria
l‟ex Aeroflot, ora Sab Sab. La mia idea è di trovare un posto tranquillo appena fuori Santa Maria
dove avere la tranquillità e il silenzio per lavorare la sera dopo una giornata di osservazione […]"
(Dal Diario di Campo Luglio 2009)

Più o meno nello stesso periodo in cui ho vissuto nell‟appartamento a Ponta Preta, nello
stesso stabile, vengono ad abitare per una settimana quattro ragazze italiane, torinesi , che venute
nell‟isola a portare dei pacchi dono per i bambini delle Barracas di Espargos, con l‟occasione
decidono di passare una vacanza sole e mare a Santa Maria. Attorno alla loro presenza e alla loro

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vita di relazione con quattro dei ben noti aventurieros, nella piccola comunità che si è venuta a
formare nel residence, iniziano a formarsi giudizi e pregiudizi che presto portano al processo delle
quattro ragazze ree di “movimentare troppo la vita notturna del palazzo”: “Queste mi sa che qui
faranno tanta altra beneficenza” dice una sera sorridendo sarcastico il gestore degli appartamenti.
Ed in effetti nelle sere successive è un continuo via vai di persone ad ogni ora del giorno e della
notte, le peripezie sessuali del “ragazzo delle scimmie” e di una delle ragazze si spingono fino alla
porta del mio appartamento. “ Sembra di vivere in un bordello…” si sfoga una mattina un signore
attempato che ha comprato un appartamento proprio li e che si sta già pentendo dell‟acquisto. I
commenti più taglienti sono però quelli di alcune signore che vanno per i cinquanta e che erano
venute a Capo Verde per rilassarsi e non riescono a capire come delle ragazze giovani e
obiettivamente belle si “riducano a farsi sbattere da questi quattro ragazzetti che chissà quante
malattie hanno … ma perché in Italia uno meglio non lo trovano?”
Questo giudizio morale sulle avventure sessuali di giovani ragazze a Capo Verde si
evidenzia anche nell‟analisi dei commenti contenuti nei forum, e in molte delle interviste effettuate
a Santa Maria. Il fenomeno del turismo riproduttivo è un fenomeno già conosciuto a Sal, ma quello
che sorprende è che, negli ultimi anni, siano ragazza sempre più giovani a ricercare un amore
trasgressivo e a rimanere spesso vittime dello stesso.
Un ragazzo, ad esempio prende spunto da una canzone del rapper italiano Fabri Fibra per
dire la sua su questo tipo di ragazze:

“Spesso ascolto un cd di Fabri Fibra, c'è un pezzo dove cita Capo Verde, dice "la mia ex-fidanzata
adesso sta a Capo Verde perché è una vita che sogna il negro nel suo imbuto!" mi fanno pena quelle
ragazze che vanno in vacanza e s‟innamorano! Di cosa? Di puttanieri! Poi una tipa allucinante, resta
in contatto con il tipo conosciuto a Capo Verde! Si sente per telefono e passa mesi così! Quel tipo
nemmeno se la caga più! Possibile che queste ragazze italiane si sentano così sole? Appese al
cellulare quando c'è una vita fuori nella sua città italiana dove poter socializzare! Hanno così paura
di confrontarsi con uomini del terzo millennio? Che tristezza! Insomma queste donne occidentali,
sole e senza attenzioni vanno in cerca di qualcuno che le faccia sentire amate! Dove possono trovare
ragazzi tanto disperati se non in questi Paesi poveri? Stesso discorso vale per i ragazzi sfigati che
non riescono a tener testa ad una donna europea e devono andarsi a prendere una facile ragazza
povera del Terzo Mondo! E' tutto davvero ipocrita, falso e diciamolo un po' razzista! Andare in
Africa o a i Caraibi per farsi neri e nere sapendo nel subconscio che quelle persone in fondo ci
stanno perché vogliono sistemarsi o aver tanti bei soldi. Questo "schiavismo" sessuale non li libererà
dal colonialismo bianco! Dagli il benessere, i soldi, la bella vita e tutti i vizi dell'Occidente, beh
quelle persone di Capo Verde diventeranno esattamente come gli afro-americani, superbi, in cerca di
lusso, vita piena di sprechi e disprezzo per le cose brutte! Ciò vuol dire che diventano proprio

73
identici a tanti italiani o italiane. Unica magra consolazione è che il fenomeno non è poi così
dilagante, a parte questi "disperati occidentali". (da un‟intervista in un pub a Santa Maria – Isola di
Sal).

Il fenomeno non è poi così dilagante, afferma l‟intervistato, ma è un fenomeno in crescita


che influisce nella vita quotidiana di un piccolo paese dove tutti si conoscono e dove è difficile
nascondersi. Pur se in apparenza tutto sembra tranquillo, basta fermarsi a prendere un caffè in uno
dei bar “beira mar”, per scoprire quanto i discorsi sull‟argomento siano spesso centrali nel vivere
quotidiano.
I commenti più duri, però, provengono da quelle ragazze che s‟innamorano di un ragazzo
capoverdiano, spesso rimangono incinte e sognano di portarlo con sé in Italia, come è accaduto
nella storia di V. una ragazza italiana di diciannove anni. V. è una delle tante ragazze che molto
spesso dopo essere state in vacanza per una settimana a Sal vi ritornano più volte, trovano un lavoro
li, spesso nei Resort come animatrici, o nel settore vendite immobiliari e s‟innamorano di un
ragazzo capoverdiano. V. rispetto ad altre ragazze fa un solo errore, quello di ammettere
pubblicamente la sua fortuna nell‟aver conosciuto questo ragazzo fantastico da cui aspetta un figlio.
I commenti a questo fatto sono davvero dimostrativi di quanti e quali pregiudizi e
preconcetti animino la realtà ordinaria di Santa Maria: “ Hai appena diciannove anni e ti sei già fatta
riempire da un capoverdiano? Non ho niente contro gli stranieri, almeno non tutti, è ovvio però che
rimanendo incinta te lo sposerai, pertanto il risultato non cambia, otterrà la cittadinanza e ti lascerà ” (dal
forum di Caboverde 24)
Il dibattito sul forum sulle “bottiglie bianche da riempire” e sul presunto razzismo della
comunità italiana nei confronti della comunità capoverdiana, in questo caso, emerge in maniera
molto più evidente che in altri, dimostrando la bassa qualità morale degli italiani presenti a Sal.
I commenti sulla vicenda di V. riempiono per qualche settimana la noia e la routine di Santa
Maria. Eccone alcuni: “certo che frasi come ti sei fatta riempire […] pur sollevando in modo meno colorito
le tue stesse perplessità auguro alla piccola V. tanta fortuna anche se temo che […]” , “[ …] non ci credo[
...] ho appena risposto a questa ragazza su un altro argomento, dicendo che ci vuole ben più di una settimana
per capire Capo Verde e adesso leggo che è incinta [ …]” e ancora “ […] la mia ex donna non ha bisogno
di andare a Capo Verde per farsi scopare, trova con facilità materiale in loco […] e di sicuro non
s‟innamorerebbe del ragazzo con la scimmia”.
Come stia cambiando la società capoverdiana emerge da un pezzo di un‟intervista da me
registrata a Mindelo nell‟agosto 2009: “Il Natale scorso a momenti mi mettevo a piangere: decine di
ragazzi buttati per strada, e, per la prima volta nella storia di Capo Verde non per necessità ma per scelta,

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dicono che non c‟è lavoro, ma il problema che non lo vogliono il lavoro finché c‟è gente che caccia i soldi
per affittarseli una settimana […]”
Finora ho presentato una raccolta di opinioni e suggestioni sull‟argomento espresse da parte
di chi in qualche modo “subisce” più o meno direttamente il fenomeno dei “prostituti”, è importante
però anche ascoltare il racconto dei ragazzi che si mettono in “vendita” o “in affitto”, per vedere
come la realtà viene vista e vissuta “dall’altra parte”.
Non è stato facile trovare qualche ragazzo che avesse voglia di raccontare la sua storia senza
preconcetti e pregiudizi, ecco perché la storia di J., un ragazzo capoverdiano di ventisette anni che
fino a qualche anno fa si è “affittato” alle turiste è esemplare, perché, senza preclusioni affronta
l‟analisi del problema sotto molti aspetti, evidenziando soprattutto quanto sia importante, anche a
livello economico, per le famiglie salensi il fenomeno dei gigolò:

“Io per molto tempo sono stato un ragazzo che si divertiva con le turiste, nel senso che le turiste
quando arrivano nella mia terra sono molto felici. Mia madre mi ha sempre parlato di voi italiani
come persone che se nella mia terra state bene, poi tornate qui. E così ero come obbligato a farvi
sentire bene. Io non posso dire il mio nome perché conoscono me e la mia famiglia. Noi
capoverdiani teniamo alla nostra terra e sapere che il turista viene da noi fa piacere e ci da soldi. Io
non voglio distruggere i sogni d‟ amore[ …] ma molti di noi sanno che se vi fanno stare bene voi
tornate. Pensate che se non fosse così le turiste tornerebbero qua da noi? Io penso di no. Molti amori
nati nella mia terra sono solo nella mente delle ragazze […] anzi mia madre mi diceva " vai
all'aeroporto quando ci sono voli e guarda bene chi vieni qui e osserva minuziosamente le turiste e
quando loro sono fuori dal villaggio tu avvicinale ma non per vendere, ma per dire loro che sono
bellissime […]”.

L‟approccio all‟aeroporto, piuttosto che quello in spiaggia, introduce una nuova modalità di
conquista rispetto a quello usuale, in linea con quanto asserito anche dal proprietario del Café
Cultural a Santa Maria, è cioè che molte ragazze arrivano dall‟Italia con in tasca il nome del
ragazzo da incontrare. J. ha ben presente qual è l‟importanza del suo ruolo all‟interno della
comunità e della sua famiglia, per lui conquistare una turista è un lavoro e come ogni lavoro, anche
il suo ha delle regole e delle strategie. Un momento strategico è la scelta della ragazza da
conquistare che, nel caso di J., deve avere delle caratteristiche ben precise:

“Io per molti anni ho detto belle parole alle ragazze anche se la mia testa non pensava a questo[…]
Sal è la mia terra ma i capoverdiani sanno che voi avete i soldi e ogni serata potete pagare al Pirata
o al Birimbao […] Se voi vedete le ragazze tornare sempre a Sal per noi uomini capoverdiani questo
è vero[ …] mia madre mi diceva sempre che spesso le ragazze grasse vengono a Sal e quindi di

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scegliere loro e non ragazze magre o belle perché tanto loro in Italia hanno già molti ragazzi, mentre
le ragazze grasse in Italia non sono amate e quindi più che guardare una bella ragazza era meglio
puntare sulle grasse. Io ora mi vergogno di questa cosa, ma per fare star bene me e la mia famiglia
ho fatto questo. So che è sbagliato […] ma i miei amici ancora oggi fanno così e per loro è normale
fare questo per vivere . Come si dice in Italia è un dare e avere, tu vieni nella mi terra io ti faccio
divertire così tu ritorni e in questo modo fai girare l‟ economia del mio paese. Ogni settimana c‟è un
ricambio di gente in ogni posto del mondo e pensate davvero che quei ragazzi siano lì per le ragazze
che vanno via […] eh no belle mie (riferito a delle ragazze immaginarie), i capoverdiani vi portano
in aereo per salutarvi ma in realtà sono li per vedere a chi ci sarà dopo di voi […] Quante sono
tornate a Sal più di una volta in poco tempo? Sono molte le ragazze così, e vuol dire che noi siamo
molto bravi a letto per fare si che ciò questo avvenga … perché tanto alla fine vengono solo per il
sesso poi però s‟innamorano […] io so cosa dicono i miei amici dopo che sono stati con le donne
italiane: “io ho un‟amica che paga per me” quando se ne vanno raccontano alla loro famiglia come
sono le donne italiane a letto[ …] per cui se si gira per Santa Maria tutti sanno tutto di quella ragazza
che […]”

Una delle riflessioni più importanti che emergeva durante l‟ascolto del racconto di J. , era
legata alla percezione del ruolo degli aventurieros all‟interno della comunità salense. Questo perché
dalla lettura di alcuni resoconti etnografici era evidente come la maggior parte dei beachboys
venisse percepito dalla comunità in cui vive in modo ambivalente. Anche nel caso di Santa Maria
gli aventurieros sono sì percepiti come delle “persone in vendita”, ma, al tempo stesso, è chiaro agli
occhi della gente come in realtà, la loro “attività” muova in qualche modo l‟economia isolana. J. mi
conferma in parte quanto percepito:” non siamo dei “prostituiti” come ci chiamano qui, ma siamo persone
che vogliono bene al paese, alla famiglia loro. Molti di noi vengono per fare sesso con le donne italiane ma
poi a casa hanno una donna capoverdiana e sono felici, ecco perché molte ragazze capoverdiane non amano
molto le donne italiane. E‟ bello vedere come con poco perdono la testa[…]”.
Si è già visto dalla lettura di alcune interviste come i capoverdiani evidenzino con forza il
fatto che i turisti non siano in grado di distinguere tra loro e “gli altri africani” e come questo porti
spesso a dei malintesi nell‟attribuzione di fatti, modi di vivere, di pensare, che vengono
erroneamente attribuiti al “modo di vivere capoverdiano”.
“Noi non facciamo così”, dicono molti capoverdiani, sono “loro”, gli africani del continente
che hanno portato questo modo di fare, che finisce per accentuare in maniera negativa la figura del
capoverdiano.
Questo discorso di separazione netta nei confronti degli “altri africani” viene in luce
soprattutto in riferimento ai modi di vivere dei beach-boys, della prostituzione femminile e dello
spaccio di droga. C‟è, però, da rilevare che anche alla base di questa forma di razzismo, c‟è

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comunque un problema legato alla posizione di potere nella gestione della micro economia dei
souvenir nell‟isola. Gran parte delle lojas, infatti, sono gestite da senegalesi che vendono
“autentico” artigianato capoverdiano, e che sono rei, secondo una parte della comunità salense, di
“rubare il lavoro” e di rovinare l‟immagine di Capo Verde all‟estero.
Quello che può essere considerato un razzismo legato alle “sfumature di colore” e che verrà
approfondito maggiormente nel prossimo capitolo su Boa Vista, è quindi frutto di un malessere
legato alla perdita della gestione di un ruolo economico.
L‟analisi del fenomeno della vendita dei souvenir è importante perché completa il discorso
sul mutamento dello spazio sociale nel paese di Santa Maria. Il malumore che si avverte nella
comunità capoverdiana nei confronti soprattutto dei ragazzi senegalesi, è dovuto al fatto, di essersi
resi conto, forse troppo tardi, di aver perso una grande occasione economica, e cioè quella di
sfruttare la fetta divenuta sempre più importante, del mercato della vendita dei souvenir.
E‟ un dato di fatto che tutti i negozi di souvenir siano gestiti da senegalesi, che si fanno
chiamare “Pycasso”. La fortuna nella vendita da parte di questi ragazzi, sta nella loro capacità di
approcciare i turisti, in particolare le turiste. Quello che è mancato e che manca a molti dei
capoverdiani è proprio questa capacità imprenditoriale e il savoir faire dei senegalesi, che con il
loro sorriso e la loro “dolce invadenza”, quasi ti costringono a visitare la propria loja. E‟ un gioco
delle parti che si verifica giornalmente a Santa Maria: il ragazzo senegalese si avvicina e invita con
cortesia il turista a visitare il suo atelier, molte volte donando un piccolo oggetto di benvenuto. La
modalità d‟approccio cambia a seconda se il turista è uomo o donna. Se il turista è di sesso maschile
il venditore cerca di portare il discorso sulla sua sfera familiare, invitandolo a comprare perché c‟è
un battesimo da preparare o un matrimonio da celebrare. Se, invece, si tratta di una turista
l‟approccio è molto più fine e personale, l‟invito deve sembrare solo ed esclusivamente riferito a lei,
la donna viene messa al centro dell‟attenzione, deve sembrare che tutto sia fatto per lei, in un sottile
gioco di seduzione. In un modo o nell‟altro il turista si trova nella situazione di chi non può non
comprare, perché farebbe un torto a tanta cortesia e insistenza.
E‟ chiaro che a lungo andare il gioco viene scoperto, ma ormai la vacanza del turista volge al
termine e ne arriveranno altri cui verrà proposto lo stesso gentile trattamento, che si basa, anche in
questo caso su un gioco di seduzione.
Pycasso a Santa Maria è un marchio. Una turista un giorno per strada viene avvicinata da un
ragazzo senegalese, lei probabilmente stufa da tanti approcci simili, dice al ragazzo: “Basta sono
già stata da Pycasso” è il ragazzo di rimando sorridendo: “Ma qui siamo tutti Pycasso”.
Il gioco quotidiano della vendita di souvenir porta, comunque, all‟emergere di una posizione
dominante all‟interno di settore che rappresenta una fetta considerevole dell‟economia isolana. Il

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fatto di essere esclusi da questa fetta di mercato, per la serie di motivi che si sono indicati, turba gli
animi non solo dei capoverdiani ma anche di qualche imprenditore italiano.
Il proprietario di una delle più grandi agenzie immobiliari di Sal, ad esempio, in più
occasioni si è lamentato di come i turisti preferiscano andare a comprare la paccottiglia venduta dai
senegalesi piuttosto che i prodotti artigianali che lui ha messo in vendita nell‟atelier che affianca lo
studio immobiliare. Sulla scelta dell‟acquisto di un prodotto che è palesemente non tradizionale
giocano una serie di fattori. Prima di tutto il prezzo più conveniente, ma anche la ricerca dello
standard. Tutti i turisti che hanno visitato un luogo vogliono portare a casa quell‟oggetto particolare
per dimostrare che anche loro sono stati lì.

3.4.5 Conclusioni

Il grado di assimilazione tra gli hosts e i guests a Vila di Santa Maria das Dores, si situa al
livello più basso di una scala che va dall‟incontro formale fino al rapporto personale e d‟amicizia.
L‟incontro tra estabelecidos e outsiders nell‟intera isola di Sal, come visto sopra, è ridotto al
minimo. I contatti tra i residenti storici, i nuovi residenti, i turisti e i nuovi immigrati provenienti
dalle coste dell‟Africa Occidentale, si limitano ad incontri legati alla vita turistica e commerciale
dell‟isola.
Ogni comunità, in definitiva vive nel suo “recinto” e in questo modo delimita il suo “spazio
sacro”. In un isola in cui tutto cambia nel volgere di poche settimane o mesi, in cui la mobilità di
persone, imprese è difficile da prevedere, ritrovarsi in un mondo che si sente proprio è necessario
per non perdersi.
Lo spaccio di droga, il turismo sessuale femminile, il problema dei meninos de rua che
spesso diventano con gli anni proprio questi aventurieros che si “prestano” alle turiste per una
settimana, sono problemi reali che, si è visto, sono oggetto di differenti interpretazioni.
Prima di passare all‟analisi del successivo caso etnografico, è importante accennare alle
problematiche legate alla nascita di bairros spontanei ( Barracas) nell‟isola di Sal.
Alla periferia di Espargos si sono creati nel corso degli ultimi cinque anni, degli
insediamenti spontanei in cui vivono, in condizioni di vita davvero al limite, immigrati provenienti
sia dalle altre isole dell‟arcipelago sia dal resto del continente africano. Per via degli affitti troppo
alti gran parte della popolazione che lavora nei cantieri edili o nei ristoranti è costretta a vivere in
baracche di lamiera e legno che circondano la periferia nord di Espargos.
E‟ spesso, però, in questi luoghi al margine della città che s‟incontrano le storie più
interessanti e in cui è possibile prospettare quale sia il futuro dell‟isola. L‟ONG Africa 70 ha svolto

78
un notevole lavoro nelle Barracas di Espargos, provvedendo anche ad un censimento nei bairros
spontanei e alla creazione di case i muratura in un Bairro che è stato chiamato, appunto “Africa 70”.
Anche se molto rimane da fare, a Sal il problema è stato affrontato ed in parte risolto, cosa che,
invece, come si vedrà tra breve, non è ancora accaduto a Boavista, dove le soluzioni sono state
lasciate al caso o a delle scelte di opportunità politica.
Le Barracas sono i luoghi in cui maggiormente è possibile analizzare la società in
movimento nelle isole turistiche. Analizzando, infatti, l‟economia informale che vi si produce, e
come si sviluppano le relazioni tra le varie comunità nazionali è possibile individuare proprio in
questi luoghi la “parte viva” della comunità legata al turismo.
L‟analisi di questi mondi spontanei e del loro rapporto con l‟aldeia di Sal Rei sarà oggetto
del paragrafo che segue perché è a Boavista più che a Sal che, l‟importanza numerica degli
insediamenti, incide maggiormente sulla vita quotidiana del paese, andando ad incidere anche sui
fragili equilibri tra le diverse comunità.

79
3.5 Sal Rei Isola di Boavista

Figura 4: Isola di Boavista

“ Oggi tutto è ascritto al turismo, tutta Boavista si sta trasformando in un immenso hotel. Che Dio
aiuti i boavistensi”

“Dall’aeroporto di Sal a quello di Boavista sono appena una decina di minuti di volo. L’aereo
supera il faro di Ponta do Sino nella zona di Santa Maria, sorvola una specie di Mar mediterraneo
che divide le due isole e arriva al largo della Rotchona. Normalmente passa sopra la Vila de Sal
Rei, la spiaggia di Joao Cristao e superata la zona di Chave , curva su Ponta do Morro d’Areia e
vira in direzione dell’aeroporto che si trova nella povoa ao di Rabil” ( G. Almeida)

Questa è l‟immagine che ci offre Germano Almeida, all‟inizio del 2000, ma se si viaggia
adesso in aereo da Sal a Boavista, il viaggiatore può notare a pochi anni di distanza evidenti novità.
Sorvolata la Rotchona e la spiaggia di Joao Cristao, nella Zona di Chaves, si potrà vedere il nuovo
Resort Riu e virando su Sal Rei in direzione Morro d‟Areia si vedrà l‟immensa baraccopoli.

80
Lo stesso “ sonnacchioso abitato di Rabil” che visto dall‟alto ha tutta l‟aria di un‟”aldeola” (
villaggetto) ed è oggi solamente un punto di arrivo e partenza, era invece la capitale dell‟isola, cosi
come la vicina Olaria era l‟elemento portante dell‟intero borgo. La destinazione di chi arriva a
Rabil, oggi, è quasi sempre Sal Rei e da un anno a questa parte, soprattutto il Resort Riu, posto a
nemmeno un chilometro dall‟aeroporto.
L‟isola di Boavista con i suoi 32 chilometri di spiagge bianche è la terza isola
dell‟arcipelago per ampiezza e si presta ad uno sviluppo turistico simile a quello della vicina isola di
Sal, anche se presenta alcune diversità, soprattutto di carattere geografico, che al momento della
ricerca, erano servite da deterrente alla costruzione di Resort. Nell‟isola sono presenti ben 14 delle
47 aree protette dell‟arcipelago.
L‟isola conta una popolazione di circa 5.785 abitanti con una tendenza ad una aumento
accelerato dovuto, come si vedrà tra breve, ad un attrazione crescente di manodopera proveniente
dalle altre isole dell‟arcipelago e del continente africano, grazie allo sviluppo delle costruzioni edili.
Nel 2008 il flusso di turisti verso l‟isola ha registrato un incremento del 113% ( da 15.533
nel 2007 a 33.135 nel 2008) dovuto all‟apertura dell‟aeroporto internazionale che ha giocato un
ruolo fondamentale nello sviluppo nel bene e nel male dell‟isola.
Nonostante lo sviluppo di una forma di turismo di massa, la parte Nord dell‟isola, è rimasta
al momento fuori dalle mire degli imprenditori turistici, anche se negli ultimi tempi si manifestano i
primi segni di un “turbamento” della vita comunitaria dei paesi del Norte. L‟inserimento dell‟isola
nel circuito turistico un decennio dopo Sal, ha preservato l‟isola dalla proliferazione di alcuni
fenomeni che , invece, come si è visto, sono caratteristici dell‟isola di Sal: la prostituzione maschile
e femminile, la banalizzazione della cultura e delle tradizioni capoverdiane, il traffico di droga.

3.5.1 Lo spazio umano bubista

Joao Lopes Filho, in una sua recente conferenza (Praia 2010) nell‟ambito di una riflessione
sulle immigrazioni organizzata dal Dossier Caritas28 ha evidenziato i motivi per i quali, a suo
avviso, la società tradizionale e il modo di vivere capoverdiano sono tanto radicalmente mutati29.
L‟antropologo capoverdiano ha osservato come le rimesse dei capoverdiani all‟estero se per un
verso hanno permesso un notevole miglioramento dei modi di vivere delle famiglie, per altro verso

28
Joao Lopes Filho, Le migrazioni dei capoverdiani, in AA.VV., Africa – Italia. Scenari migratori, ed. IDOS,
pp. 175 - 180
29
Il modo di vivere dei bubisti o kabrere come sono anche conosciuti gli abitanti di Boa Vista nell‟arcipelago è
ricostruito in alcune importanti opere. Si segnalano le più interessanti: Almeida G. (1994 e 2003), Dias (2006),
Friedlander (1914), Kasper J.(1987), Loude (1999).

81
hanno portato a una modernizzazione e a una disgregazione della vita comunitaria. I capoverdiani
gradualmente sembrano sparire dallo spazio sociale mentre, nel frattempo, compaiono nuove figure
di diversa nazionalità che iniziano ad occupare e a vivere questi spazi.
Gran parte delle riflessioni fatte per Sal, si possono riproporre anche nel caso di Boa Vista
(Sal Rei), anche se l‟attenzione in questo secondo caso sarà focalizzata principalmente sui rapporti
che si instaurano tra le tre “città” ( Sal Rei , Barracas e il Resort Riu).
Lo spazio urbano non vive ancora la segregazione abitativa che a Sal è già possibile vedere
nel paese di Santa Maria, anche se l'inizio di questi cambiamenti è emerso con forza nell‟ultima fase
della ricerca. La storia del turismo a Boa Vista è, infatti, recente30. Solo nel 1999 apre l‟Hotel
Dunas de Sal, seguito nel 2000 dal Venta Club. Il 2000 può essere considerato l‟anno di svolta
dell‟economia isolana. In quell‟anno, grazie ad alcuni finanziamenti elargiti dalla Comunità
Europea, molti italiani provenienti soprattutto dal Friuli e dall‟Emilia Romagna, iniziano a costruire
nell‟isola, attratti dal miraggio di facili guadagni.
I primi tempi di questa “colonizzazione” sono narrati anche in un racconto breve,” Il maiale
di Sal Rei” di Emiliano Gucci (2005), e in un romanzo di Fabio Volo (2005) che prende spunto
dalla drammatica storia di un ragazzo italiano che fu tra i primi ad aprire uno dei primi Residencial
dell‟isola. Esemplare è la storia narrata da Emiliano Gucci, la storia di Michele, un ragazzo che
sceglie Sal Rei come luogo di fuga dalla sua vita italiana. Michele taglia completamente i ponti con
il suo passato: a testimoniare il legame con la sua terra natale restano solo un paio di cartoline
inviate al padre per il Natale e per la Liberazione . Nessuno lo cerca per anni e lui non vuole essere
trovato, fino a quando il padre rimane paralizzato in un tentativo di suicidio e un amico lo
raggiunge per cercare di riportarlo a casa. Michele accoglie l‟amico con indifferenza e per tutto il
periodo che l‟amico rimane sull‟isola pensa solamente a come uccidere un maiale. Nel finale
Michele accenna alla problematica principale dell‟isola di Boavista da cui nascono tutte le altre:

“ Hai visto la spiaggia verso l‟aeroporto?”


“Bellissima”

30
Nel 1965 la Compagnia Atlantic Interplan ( a capitale tedesco e spagnolo) presenta un progetto per lo sviluppo
turistico di Boa Vista. Nell‟aprile del 1967 vengono effettuati degli studi in cui emergono condizioni ideali per lo
sviluppo del turismo, fin da allora si prevedeva la costruzione di stabilimenti per un totale di 5.000 posti letto e un
aeroporto internazionale. L‟iniziativa ebbe anche l‟approvazione legislativa con decreto n. 49.121 del 1969 del
Ministero do Ultramar, con cui vennero ceduti alla società, 10 km di spiaggia tra Espargo e Pesqueiro Grande e una
zona compresa tra Monte Vermelho e Praia do Curralinho (3 km) compreso l‟Ilheu de Sal Rei. E‟ proprio in questo
periodo che la Praia do Curralinho, dove era prevista la costruzione della maggiore Estancia Turistica, passò ad essere
conosciuta come Santa Monica, per via della somiglianza con l‟omonima spiaggia americana.

82
“L‟hanno comprata gli italiani … Costruiscono , acquistano, denunciano un decimo della cifra per
evadere le tasse. Importano materiale dall‟Italia sfruttano la manodopera qui poi rivendono ai
francesi e tedeschi e fanno miliardi”
“Furbi”
“Stronzi. Alla repubblica di Capo Verde non entra un soldo ma qui la gente non capisce la vede
come una fortuna … non conoscono quello che c‟è dietro il sangue nero del mostro … Qui non c‟è
coscienza politica … a volte penso che sia meglio così , una vita incosciente lontano da tutto … qui
il problema sono gli squali , il vento, il cibo … per questo voglio restare per metterli in guardia dalle
nostre civiltà”. ( da “Il Maiale di Sal Rei” di E. Gucci)

La grossa speculazione edilizia, negli ultimi anni, ha portato alla costruzione di nuovi
residence appena fuori il centro abitato e lungo Praia do Cabral, destinati ad essere occupati da
europei. Quegli europei che, come il protagonista del libro di Fabio Volo cercano il loro posto nel
mondo. A Sal Rei sembra davvero esserci posto per tutti, ma lo spazio sociale bubista sta
cambiando velocemente e c‟è un evento che più di tutti ha dato un‟accelerazione a tutte le
dinamiche di relazione tra ospitati e ospitanti, l‟apertura dell‟aeroporto internazionale a Rabil nel
2008.
L'evento è stato vissuto dall‟intera popolazione dell‟isola come un vero fatto sociale totale
che ha portato ad un sostanziale aumento del turismo balneare e di quello residenziale e al
conseguente boom delle costruzioni. Tutto ciò, però, ha comportato forti cambiamenti sociali, e
l‟emergere di problematiche legate all‟attribuzione dei terreni ai proprietari. Se fino all‟inizio del
2000 non si era percepita l‟urgenza di un catasto dell‟isola, lo sviluppo delle costruzioni e la
vendita di terreni a prezzo stracciato da parte dei locali a imprenditori stranieri, ma soprattutto le
espropriazioni avvenute in conseguenza della costruzione del nuovo aeroporto internazionale,
hanno messo in crisi il meccanismo di attribuzione della proprietà che fino a pochi anni fa avveniva
ancora attraverso testimonianze orali sul possesso “storico” del terreno.
Per essere indennizzati, infatti, i proprietari dei terreni in quest‟occasione dovevano
dimostrare di essere i legittimi proprietari attraverso un documento scritto, un “pezzo di carta” che
provasse la proprietà al fine dell‟indennizzo. La stessa nascita del Bairro spontaneo delle Baraccas,
in cui al momento della ricerca vivevano all‟incirca 3.500 persone, ha sollevato un analogo
problema dei terreni. La Camara Municipal di Boavista, infatti, ha concesso la costruzione delle
Baraccas su territorio comunale, ma anche in questo caso non si ha la sicurezza della natura del
terreno.
Più che nell‟isola di Sal, è a Boavista che si percepisce la divisione spaziale tra le tre città: la
città storica, quella delle Baraccas e quella dei “nuovi reclusi” nei Resort. Anche in questo caso,

83
come per il processo ai due omicidi a Sal, l'evento ha portato a una serie di reazioni che
s'inquadrano nella più generale problematica delle strategie di resistenza all'invasione turistica.

3.5.2 La guerra dei terreni

―Sembra una domenica qualsiasi a Sal Rei, poca gente nelle strade. Qualcuno siede sul
bagnasciuga o sui muretti e guarda il mare. Una calma solo apparente. Un uomo sulla sessantina
cammina solitario per le strade , una radiolina attaccata all’orecchio. Che segua la radiocronaca
delle partite del campionato portoghese? No, segue con trepidazione la radiocronaca
dell’atterraggio del primo Boeing nel nuovo aeroporto internazionale di Boavista”. (Diario di
campo luglio 2008)

Quell‟uomo non è l‟unico, in quella domenica del 2008, a vivere con spasmodica attesa
l‟atterraggio del Boeing. Ovunque a Sal Rei, nelle case, nei pub, la gente si è riunita per vedere o
ascoltare la cronaca in diretta dell‟atterraggio. Molti sono andati a Rabil per vedere da vicino
l‟atterraggio, tra questi anche i proprietari dei terreni espropriati per la costruzione dell‟aeroporto. Il
Governo, che prevedeva una reazione violenta, aveva inviato da Praia, in nave, una cinquantina di
militari in assetto anti sommossa. In realtà non ci fu nessuna reazione violenta da parte dei
proprietari espropriati e l‟atterraggio fu un successo anche mediatico oltre che tecnico. La sera nei
pub non si parlava di altro, di come sarebbe cambiata l‟isola, di quanti turisti sarebbero arrivati, di
come l‟economia dell‟isola sarebbe migliorata.
L‟apertura dell‟aeroporto di Rabil è, in effetti, l‟evento che ha dato il via a una serie di
aspettative e speranze non solo degli imprenditori turistici, ma anche della popolazione locale.
L‟apertura di un aeroporto internazionale significa sicuramente più lavoro per tutti. Per altri versi,
però, proprio il maggiore volume di lavoro ha portato al fenomeno delle Barracas, di cui si parlerà
tra breve, ma soprattutto a quella che ho definito “la guerra dei terreni”, un evento che ho potuto
vivere in quasi tutta la sua totalità, nei vari periodi di residenza nell‟isola.
Attraverso interviste e ricerche d‟archivio ho cercato di ricostruire la storia dei terreni a Boa
Vista e come in questa storia si sia giocata la riaffermazione dell‟identità bubista. Le interviste sono
state raccolte in più villaggi dell‟isola, non solo a Sal Rei, ma anche a Rabil dove è stato installato
l‟aeroporto, a Estancia de Baixo, piccolo villaggio a ridosso delle dune di Riba d‟Olte, a Joao
Gallego e Bofareira, situati nel nord dell‟isola.
Una “terra sabe” è così che il Sr. Fraguinho (Simao Joao Gomes, 58 anni) ricorda Boavista
e principalmente i terreni di Rabil, prima del sorgere di tutti i problemi. Il sig. Fraguinho ha ricevuto

84
in eredità la terra da un suo antenato, Miguel, un marinaio che, emigrato in America come molti, al
ritorno nell‟isola comprò un buon appezzamento di terreno con cui riusciva a sostenere l‟intera
famiglia. Per eredità, di generazione in generazione, il terreno è arrivato fino a Fraguinho.
Fraguinho ha con sé le ricevute di pagamento delle tasse datate cronologicamente 1905,
1914, 1926, e così via fino all‟anno 2008 e ora si chiede: “com'è possibile che io avevo un terreno a mio
nome e lo Stato se lo è passato a suo nome? Io so che il governo ha il potere [ …] ma io ho i miei terreni e
ora arriva un investitore con un suo progetto e il governo prende il mio terreno e lo dà a lui? Questo non è
chiaro, il governo deve pagare”.
A Chave, Zona de Desenvolvimento Turistico Integrato (ZDTI ), e a Rabil, dove è stato
impiantato l'Aeroporto Internazionale, sono centinaia i proprietari scontenti per il mancato
pagamento dell'indennizzo previsto dalla legge. Come il Senor Fraguinho, anche la commerciante
Maria Firmina Alves Andrade, di trentotto anni, afferma di avere la registrazione (O registro) di
proprietà, “mas um registro simples, de antigamente”, quando la registrazione del terreno avveniva
attraverso le testimonianze orali.
Luis dos Reis Spencer conosciuto come Sr. Reis, uno dei dodici rappresentanti dei
proprietari di Boa Vista, ha ottenuto anche un incontro con il Primo ministro Jose Maria Neves
(PAICV) , nonché la garanzia di un indennizzo, ma, al momento dell‟intervista, come tanti, ancora
non aveva ricevuto quanto dovuto. Intanto, come tutti gli altri che hanno solo una certificazione o
una ricevuta di pagamento, afferma;” oggi esigono una registrazione nella conservatoria , ma è
un'esigenza assurda perché precedentemente nessuno teneva un “registro”, giacché non esisteva. Non penso
sia giusto , secondo me una “certificazione” di proprietà è come una carta d'identità della persona”.
Il governo non ha mai trattato con i proprietari. Durante il primo mandato di Carlos Veiga
(MPD), furono fatte le espropriazioni senza però il pagamento di un indennizzo. Così ancora il Sr.
Reis: “In ogni parte del mondo si trovano due tipi di espropriazioni , una per il bene pubblico, che è il caso
dell'aeroporto, e un'altra che è peggiore, che porta all‟espropriazione delle persone dal proprio terreno per
venderle a uno straniero[ …] ma sempre, comunque ci deve essere un' indennizzo”. Cassilda Ramos
Mosso, conosciuta come Dona Jovina, di settantasei anni, come molti non è mai stata rimborsata
del suo sacrificio: “ Vidi le macchine nel mio terreno e chiesi allo chefe (al capo) dell'aeroporto che stava
succedendo, ma non mi seppe dare nessuna informazione[ …] Solo successivamente venni a sapere che le
macchine erano lì per ordine della Camara Municipal. Un “vereador” della Camara disse che esisteva
un‟autorizzazione solo per collocare macchine nel lato sud dell'aeroporto” , ma, afferma Dona Jovina; “
non potevamo accettare questo perché la gente ha terreni su tutti i lati dell'aeroporto, io per esempio ne ho sul
lato Nord, Sud e Est”.
Geraldo da Cruz Almeida, nativo di Boa Vista, e avvocato dei proprietari, nonché una delle
persone più in vista a livello sociale e politico nell‟isola, ha individuato nella sua “vivencia”

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profonda con quei terreni il principale motivo per il quale ha deciso di difendere gli espropriati.
Ammette però di avere anche un interesse personale, considerando che anche lui è un espropriato.
Il grosso problema, conferma, è quello, già accennato, della prova della proprietà
Tutti i proprietari affermano di avere prove del pagamento della tassa fin dal 1993 quando a
“fazenda cortou o pagamento”, ossia quando il Ministero richiese il pagamento. Joao Goncalves
Lima, conosciuto come Sr. Felipe, ottantatré anni, garantisce che ha sempre pagato i contributi per
i suoi terreni e che si è dimenticato di pagare solo nel 1993. Di fronte al pagamento della
contribuzione, però, non è mai arrivato l'indennizzo e ora Sr. Felipe che ha ottantatré anni e pochi
mezzi finanziari per lui e la sua famiglia vuole un po' di tranquillità. Mi mostra le ricevute del
pagamento dei contributi e con nessuna incertezza continua: “ Prima di espropriarci della nostra terra
era necessario capire chi ne era il proprietario. Bisognava informarsi se le persone volevano vendere il
terreno, perché c'erano molte persone che volevano vendere”.
Per cercare di risolvere questa situazione il Governo pubblicò nel Bollettino ufficiale il
giorno 3 di marzo del 2007 un “diploma” che aveva la pretesa di chiarire la situazione concernente
gli indennizzi e anche di indicare le coordinate di come doveva svolgersi il processo di attribuzione
dell‟indennizzo. Ma questo decreto doveva essere, in realtà, emesso molto tempo prima. Una delle
prime cose che il governo fece fu di dar inizio al processo d'identificazione fisica e fiscale delle
proprietà degli espropriati. Ma anche in questo caso all'identificazione dei terreni e dei proprietari
non è seguito l'indennizzo: “ Quando il governo ha creato le ZDTI nel suo decreto diceva anche che
doveva organizzarsi al fine di pagare gli indennizzi”, racconta Geraldo Almeida, “nel 1993, quando
iniziarono le espropriazioni, non venne effettuato il pagamento degli indennizzi e in seguito con la
dichiarazione di utilità pubblica per effetto dell'espropriazione , il Governo continuò a non prevedere il
pagamento.”
Secondo Almeida, lo Stato ha abbastanza terreni per pagare gli indennizzi e resta loro anche
il necessario per il miglioramento delle infrastrutture, ma non può continuare a non tener conto
delle richieste dei proprietari, anche perché questi terreni hanno un valore sentimentale che niente
può ripagare. “Stiamo parlando di persone che , in questo momento, stanno riparando i muri e che vengono
a procurarsi il cibo per le loro capre da cui prendono il latte tutti i giorni al mattino , sono persone che
hanno giocato in quei terreni quando erano piccoli”.
L'avvocato, Carta dei Suoli alla mano, evidenzia come si tratti di zone estremamente aride
ma in cui nonostante tutto i boavistensi hanno sempre tratto il necessario per vivere: “ Per il fatto che
il capoverdiano ha vissuto per lungo tempo isolato dal mondo durante i secoli, quello che ha fatto è cercare
di sopravvivere con quello che aveva, a forza da quello che Dio gli aveva donato , ma il fatto che al momento
le terre non sono coltivate non significa che si debba negare il pagamento”. La prova di questo legame
forte con la terra, è il luccichio negli occhi di alcuni proprietari quando parlano della “vivencia” dei

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terreni. Dona Jovina si ricorda con chiarezza di tutto quello che piantò nel terreno e anche le varie
sperimentazioni fatte “ io penso che la nostra terra produce di tutto un po‟”.
La posizione del governo è espressa da Leonesa Fortes, Segretaria di stato aggiunta del
Ministero delle Finanza da me intervistata nel luglio 2009:

“Inizialmente, il governo non si confrontò con le situazioni legate ai terreni già registrati da privati.
C'era da risolvere il grosso problema delle persone che occupavano dei terreni da molti anni
ricavando il proprio sostentamento come se fossero proprietari senza esserlo di fatto, la situazione di
possesso è differente dalla proprietà, anche se il possesso è comunque tutelato dalla legge. Il
Governo non può indennizzare e agire contro la legge può solo indennizzare chi è proprietario. Il
governo ha già dei fondi depositati del valore di 220 mil contos previsti per sanare gli indennizzi,
ma intende creare una Commissione con l'obiettivo di identificare i proprietari dei terreni,
determinare le rispettive aree e raccogliere tutti i mezzi di prova permessi dal diritto in accordo del
decreto legislativo del 3 marzo 2008. Solo così alla fine dei processi saranno effettuati i pagamenti”

Geraldo Almeida evidenzia come l'espropriazione dei terreni a Boa Vista abbia generato vari
conflitti e contribuito alla nascita di vari tipi di forme di opportunismo. Di fronte all'opportunità di
aver un buon indennizzo molti proprietari hanno esagerato nella ratifica dell'area dei loro terreni. L'
Ispettorato Generale delle Finanze (IGF) nella sua ispezione dal 12 al 27 settembre 2007, rilevò
varie ratificazioni assurde (aree ampliate, ad esempio, da 100 mq a 10.000 mq). Per quanto
avvenuto Geraldo Almeida ha una spiegazione: “Normalmente le persone avevano un registro matriciale
o il pagamento d'imposte legato alla proprietà. E‟ accaduto che, ad esempio, una persona che ha due ettari ,
ne abbia dichiarato soltanto uno al fisco, per pagare meno tasse, ma continuando ad usufruirne di due. C'è chi
nel 1960 ha registrato una determinata estensione di terreno e nel 2004 e poi nel 2007 ha registrato una
superficie duplicata o triplicata, queste persone devono naturalmente provare quale delle certificazioni è
quella giusta”. Secondo Almeida, comunque, si tratterebbe di poche persone protette a livello
politico.
Joao Pereira Silva, un altro dei proprietari espropriati, spiega che le rettifiche furono fatte
grazie ad un rilievo topografico effettuato da un tecnico della Camara Municipal di Boavista. Con
questo rilievo la Camara Municipal autorizzò la registrazione di queste alterazioni nella matrice e
con le certificazione di pagamento alla mano, le persone andarono a registrare il terreno alla
conservatoria. E' anche accaduto che con la prospettiva dell'indennizzo, molte persone che non
avevano registrato i terreni hanno provveduto a registrarli.
Sulla base dell‟usucapione e della prova testimoniale, i servizi competenti della Camara
Municipal accettarono e autorizzarono la registrazione dei terreni. Dei proprietari intervistati tutti
dichiararono che i loro terreni non hanno sofferto alterazioni. Lo stesso Geraldo Almeida dice di
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non avere clienti in questa condizione, ma garantisce che conosce persone che lo hanno fatto, si
tratta di persone con “costas quentes” legati a partiti politici. A causa del problema dell'aumento
delle aree, la Direzione Generale del Patrimonio constatò varie sovrapposizioni, e si crearono casi in
cui più persone rivendicavano lo stesso terreno, e che potevano portare come prova diversi
pagamenti per lo stesso lotto. Quello che emerge dalla relazione della Direzione Generale è che il
presidente della Camera di Boa Vista e il “vereador” (assessore) delle imposte continuano a
ignorare le alterazioni fatte, insinuando che l'unica responsabilità è da imputare al funzionario che
ha fatto i rilievi.
Quello che emerge è comunque il forte legame con la terra, con quella terra arida, ma forte
come il carattere bubista. Questo legame sentimentale con la terra si evidenzia in molte interviste
ma soprattutto da quella al Sr. Reis, alla cui vicenda si è già accennato in precedenza. Sr. Reis
naturale di Boavista, 66 anni al momento della ricerca, ricorda i bei tempi vissuti nei terreni da cui è
stato espropriato. Ricorda che, a 21 anni, lui e la famiglia vivevano della creazione di gado, della
poca produzione agricola, producevano la calce, e raccoglievano legna da vendere alla ormai
estinta Empresa de Conservas de Peixe Ultra. Reis era il più vecchio di tutti i figli e per questo si
impegnò di più degli altri, nell‟aiutare i suoi genitori. La mancanza di pioggia non era un problema
per l'agricoltura. Siccome non si poteva avere la certezza se l'acqua veniva o no, le persone che
dalla terra traevano di cui vivere, cercavano sempre altre vie e opportunità di sopravvivenza.
Bastava saper approfittare delle opportunità e delle risorse offerte dalla natura. Una delle principali
risorse era la preparazione della calce per le costruzioni, giacché all'epoca non c'era il cemento.
Passavano dalle 15 alle 24 ore cuocendo le pietre per estrarre la calce, avevano quattro o cinque
forni, e ancora oggi è possibile trovare alcune vestigia dei forni, ma senza alcuna funzione.

“ Oggi stiamo aspettando una legge con cui il governo dia ai proprietari quello di cui hanno diritto.
Tutta la gente si conosce qui e tutti sanno qual è il terreno di ognuno che vive qui. Stanno violando i
nostri diritti perché prendono i nostri terreni e li vendono agli stranieri. Non è giusto rimaniamo
senza nulla”.

La vendita dei terreni agli stranieri è il fattore scatenate della maggior parte dei malumori e
dei contrasti latenti o espressi nell‟isola. Sempre a questo proposito, è interessante la ricostruzione
della storia della nascita della Quinta d'Espingueira. In questo luogo fuori dal mondo, una famiglia
di architetti italiani, ha costruito un lodge eco-compatibile, ricostruendo le vecchie case dei
pescatori senza tenere però conto, a dire di alcuni capoverdiani e anche di qualche italiano residente
da tempo nell‟isola, che quelle case non erano res nullius, ma proprietà di persone, nella maggior
parte dei casi emigrate.

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Espingueira è, anche, nelle intenzioni dei nuovi “proprietari”, un luogo esclusivo in cui
ricercare la pace e l‟isolamento, a prezzi che sono, anche quelli, esclusivi. La storia recente e
passata di Espingueira mi è stata raccontata da una ragazza di Boa Vista che ha dei legami forti con
i vecchi proprietari delle case :

”[…] quelle case non erano senza proprietari. Forse né la signora L. L. né i suoi collaboratori erano
a conoscenza di ciò e magari è stata solo una mossa della Camera di Boavista per guadagnare soldi
alle spese di alcuni suoi concittadini. Ci sono delle terre intorno a Espinguera che hanno dei
proprietari, spero solo che non decidano di fregarsi zitti, zitti anche quelle terre, cercando di
ampliarsi […] Sono tornata da Boavista alla fine di settembre. Le persone che hanno costruito quel
villaggio, che ci sono nate e cresciute sono miei carissimi amici. E ti assicuro che le cose non sono
cambiate. Io a Espingueira non vi ho mai né dormito né mangiato, quindi non posso dare giudizi su
questo, sono passata lì vicino varie volte, quando andavamo al mare da quelle parti. Una volta ho
accompagnato dei miei amici che son nati lì, perché volevano vedere la loro casa e abbiamo dovuto
pregare il guardiano di farci entrare. La maggior parte di quelle case le aveva costruite loro padre.
Una di queste mie amiche ha pianto tutto il tempo”.

La costruzione di questo esclusivo eco-lodge si collega direttamente al problema degli


espropri dei terreni dell‟aeroporto. Nei discorsi e nelle interviste raccolte attorno a questi fatti,
emerge come gli stranieri, i forasteiros, siano considerati spesso degli approfittatori, anche se la
testimone intervistata nel caso di Espingueira, porta alla luce un ulteriore aspetto appena
evidenziato in precedenza, ossia il ruolo non chiaro della Camara Municipale di Boavista:

“[…] non ho detto che è stata la famiglia L. ad espropriarsi Espinguera, ho detto che il governo
capoverdiano non ha pensato ai suoi cittadini. Molti a Boavista pensano che sia colpa degli italiani,
io invece sono convinta nella malafede della Camara Municipal di Boavista. Quello che non so è se i
nuovi proprietari di Espinguera conoscono o meno la storia. Ho letto sul loro sito che Espinguera, a
carissimo prezzo (una camera può andare dai 120 euro fino a un massimo di 390 euro a notte), vuol
far sentire il suo ospite rispettoso della natura e in generale di Capo Verde. E proprio visto che parte
da questa ideologia, non mi capacito perché almeno non si siano interessati due secondi per saperne
un po' di più del paese e almeno per dire alle gente che ci ha abitato per decenni e che ora abita in un
paese lì vicino (Bofareira), almeno un semplice scusa, almeno al signore che le ha costruite una per
una, pietra per pietra . Secondo me avrebbe già cambiato molto. Sono delle persone talmente buone e
semplici […] Gli abitati di Espinguera decisero di spostarsi, credo neanche una trentina di anni fa
(una mia amica che ha sui 36 anni circa, era una bambina non piccolissima quando se ne è andata da
lì) verso uno dei paesini più vicini per necessità. Passarono gli anni, alcuni andarono a vivere
all'estero, altri rimasero a fare principalmente gli agricoltori. Ad Espinguera, pur trascurando le case,

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la gente ritornava regolarmente dopo la pioggia per andare a coltivare nelle terre intorno alle case. Al
tempo i terreni non avevano bisogno di chissà quale burocrazia, forse qualche pezzo di carta l‟hanno,
so di qualcuno che aveva in usufrutto una casa ma che il proprietario era un altro, fatto sta che il
governo cambia le regole e dice che i terreni bisogna registrarli presso la camera. La gente di lì
pensa, si poi lo faremo, ma non se ne preoccupano molto, non pensano che qualcuno può prendere le
loro case e poi hanno già sentito storie in cui il governo, prima di vendere un terreno con sopra delle
abitazioni, per prima cosa chiede il permesso ai vecchi "proprietari". O così almeno è successo un
po' di volte e questo basta per renderlo vero. Quando hanno scoperto improvvisamente che i terreni
erano stati venduti senza dirgli niente, ci sono rimasti malissimo, basta pronunciare quel nome oggi
per vedere gli occhi degli anziani riempirsi di dolore e quelli dei giovani di rabbia. Ogni tanto,
soprattutto quelli che vivono all'estero, vorrebbero metterci un avvocato, ma poi vengono presi dallo
sconforto. Non credo comunque che legalmente potranno mai farci qualcosa. Gli abitanti di
Espinguera sono stati forse ingenui, la camera di Boavista se ne è approfittata e i nuovi proprietari di
Espinguera se ne sono bellamente fregati. O almeno questo è il mio pensiero. E devo ammettere che
un po' mi dà fastidio leggere sul sito di Espinguera: "La sapienza di chi ha vissuto a lungo qui ha poi
fatto il resto, lasciandoci in eredità un luogo tutto da scoprire". Insomma quante belle parole e vai a
dirgliele di persona: quanto gli costa, João Galego è lì vicino, cinque minuti di macchina. E mi dà
anche un po' fastidio, che dal sito sembri quasi che loro abbiano fatto un favore a tutti salvando
quelle case, che altrimenti sarebbero andate perdute. Certo i tetti erano crollati, ma le mura erano
ancora belle solide, perché ben costruite. Tanto che non le hanno buttate giù, ma semplicemente
ristrutturate … Ripeto niente in contrario alle vostre esperienza uniche e forse davvero i nuovi
proprietari non sanno niente, hanno scritto due cose nel sito un po' a caso per renderlo più
interessante ai turisti, senza farsi troppe domande, ma io comunque mi sento sempre in dovere di
raccontare questa storia. Poi ognuno è libero di agire e pensare come vuole”.

3.5.3 L’ ―altra‖ Sal Rei. Barracas

Le storie di Espingueira, della costruzione dell‟Aeroporto internazionale e delle conseguenti


espropriazioni, sono, strettamente legate, a quel fenomeno che, nel bene e nel male, è il futuro
economico dell‟isola, il turismo. Il problema dei terreni, però, non è l‟unico che s‟incontra di fronte
all‟avanzare del turismo di massa.
Negli ultimi tempi la micro-criminalità è notevolmente aumentata. La colpa di ciò è
imputata da parte dei residenti alla presenza di persone proveniente dal continente africano in cerca
di lavoro e che, non trovandolo o non guadagnando abbastanza, vivono di espedienti e di piccoli
furti, accompagnati, sempre più frequentemente, da minacce a mano armata. Per la prima volta
alcuni stranieri residenti nell‟isola hanno iniziato a mettere le inferriate alle finestre.

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Sia i giornali capoverdiani che i forum iniziano a riportare notizie che finora sembravano
essere peculiari solo dell‟isola di Sal:

”con molto dispiacere ho appreso su un forum che ad inizio gennaio, all' ora di pranzo, una coppia
di tedeschi è stata prima derubata, poi visto che non avevano soldi con sé, presi a sassate dal ladro
capoverdiano, armato anche di coltello. I due presi alla sprovvista non riuscivano a scappare sotto la
pioggia dei sassi. Per fortuna sulla spiaggia si trovava anche una coppia di italiani con guida che
hanno soccorso i due turisti. Portati alla stazione di polizia sono stati indirizzati alla guardia medica.
il ladro non è stato preso. il fattaccio deve essere capitato sulla spiaggia nord in direzione "relitto".
Credo che il fatto si commenti da solo!”

Intorno a questi nuovi fatti di cronaca iniziano a configurarsi una serie di interpretazioni del
fenomeno. Spaventa soprattutto l‟emergere di una violenza mai vista sull‟isola:“possibile che di tutti
gli accadimenti a Capo Verde vengono sempre posti in evidenza solo quelli negativi?. In Italia di questi
episodi, per non parlare di stupri ed omicidi e …, ne succedono a bizzeffe. Ma l'Italia è un paese evoluto
(negativamente) e certi episodi si pensa che non possano avvenire da noi e ce ne freghiamo. Si deve smettere
di ingigantire tutto ciò che succede al di fuori della nostra amata patria. Sopratutto quando si parla di Africa:
dobbiamo aiutarla e non affossarla”.
Come questo fenomeno sia davvero percepito come “nuovo”, emerge da una serie
d‟interviste raccolte nel cuore di Sal Rei:

“A Boavista è la prima volta che lo sento, ma a Praia mi avevano detto che non bisogna mai girare
senza soldi, perché se sei a "secco" alcuni banditi si arrabbiano e ti picchiano. Comunque certo sono
sempre piccoli episodi, Capo Verde è un posto tranquillo. E se una persona mi chiedesse a
bruciapelo una parola con cui descrivere Capo Verde direi subito -generosa-. Questo però non toglie,
che, come da tutte le parti, possono anche accadere dei fatti spiacevoli”.

Sia i residenti storici di Sal Rei, che i nuovi residenti europei, individuano, più o meno
apertamente, come responsabili di quest‟esplosione di violenza gli abitanti delle Barracas, e
soprattutto i nuovi migranti dal continente africano.
La presenza delle Barracas non è un fenomeno esistente solo nell‟isola di Boavista, seppur
in maniera meno evidente, baracche di latta e legno sono presenti, come anticipato nel paragrafo
precedente, anche sull‟isola di Sal. Alla periferia di Espargos, in zona Santa Cruz sono ancora
presenti degli insediamenti spontanei, che ancora non sono stati bonificati, come è invece accaduto
per un‟altra zona oggetto di questo fenomeno nella periferia est del capoluogo salense. E‟ stata
l‟opera di una ONG italiana, Africa 70, a rendere possibile l‟urbanizzazione della zona attraverso il

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progetto Salhabit, e ora il nuovo quartiere porta proprio il nome della ONG. Ho avuto modo di
confrontarmi con i cooperanti della ONG ed è anche grazie al loro lavoro che ho potuto affrontare il
lavoro nelle Barracas di Boavista. Mentre, infatti, a Sal è stato fatto uno studio organico della
situazione, nel caso delle Barracas di Boavista manca qualsiasi indagine, anche perché per molto
tempo la Camara Municipal ha ignorato del tutto il fenomeno.
Le prime Barracas nell‟isola furono costruite nel 1996, ci vivevano alcuni pescatori di
Santiago che utilizzavano queste baracche come alloggi di fortuna per riposarsi prima di riprendere
il mare. La costruzione delle Barracas attuali è molto più vicina nel tempo e molto più rilevante
anche a livello numerico, se si pensa che nel corso di pochi mesi (non più di sei) tra la fine del 2007
e metà anno del 2008 è nata dal nulla una vera e propria Favela di 3000 abitanti che occupa le
saline (Cha das Salinas) . Le Barracas, si estendono su un territorio che va da Cha das Salinas alle
spalle di Sal Rei fino a Riba d‟Olte e sono separate dall‟aldeia storica di Sal Rei solo da una strada
in terra battuta. La zona è seminascosta dalle dune e solo se si lascia il centro del paese e ci si
addentra tra queste, è possibile davvero rendersi conto della vastità del fenomeno. Nel 2007
all‟inizio della ricerca le Barracas pressoché non esistevano: dal 2008 in poi diventano una realtà
ben evidente e uno dei problemi più grandi dell‟isola.
Un‟indagine di Afrosondagem nel 2008 aveva riportato un numero leggermente inferiore di
abitanti nelle barracas, 2800. Il 75 % dei quali, secondo quel lavoro, affermava di considerare le
case di proprietà, mentre solo il 25% dichiarava di possedere un‟abitazione legalizzata dalla Camara
Municipal de Boa Vista. Dei residenti, per la maggior parte provenienti dall‟isola di Santiago; il
75% dichiarava di voler rimanere comunque nell‟isola, mentre il 37% denunciava di non avere
acqua corrente e accesso all‟elettricità, il cui approvvigionamento avveniva solo grazie a dei
generatori comprati per conto proprio, anche da più famiglie in modo da dividere le spese.
Un dato interessante che emergeva dallo studio è che ben il 60% della fatturazione dei due
operatori di telefonia mobile di quell‟isola proveniva dalle Barracas, indice di un collegamento di
questa parte di “mondo” con l‟intero arcipelago, e quindi la connessione dello stesso in una rete
locale.
Generalmente, siamo abituati a pensare alle favelas come un problema tipico delle grandi
città africane o sud americane. Le immagini che ognuno di noi ricorda sono sicuramente quelle
della favela di Rotchinha in Brasile, e della immensa periferia di Lagos in Nigeria. L‟insorgenza di
una favela alla periferia di un piccolo paese di un altrettanto piccola isola, è sicuramente una
novità.
Mi sono proposto, quindi, di analizzare la vita quotidiana nelle Barracas, un vero e proprio
concentrato dei problemi posti dall‟avanzare del turismo. Era, però, necessario, prima di tutto,

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trovare un contatto, una persona che mi facesse da “guida”, operazione non certo agevole, in quanto
gli abitanti delle Barracas sono molto chiusi e diffidenti verso gli stranieri, soprattutto se si tratta di
un europeo e per giunta italiano.
Tramite un‟imprenditrice italiana operante nel campo delle costruzioni e stimata da tutti per
la sua serietà, finalmente riesco ad avere il mio contatto, Amadou un ragazzo senegalese che lavora
nel cantiere edile gestito dalla italiana. Con lui instauro subito un ottimo rapporto e in breve diviene
il mio “gate keeper” all‟interno delle Baraccas.
Dal diario di campo: “ 9 luglio 2009. Incontro Amadou nel cantiere dove lavora verso le 17.00 al
termine della giornata lavorativa. Insieme attraversiamo le saline, facendo a ritroso il percorso che ogni
mattina fanno “i nuovi migranti” di Capo Verde, dalle Barracas al luogo di lavoro. Da dietro le dune in
lontananza appaiono le Barracas, seminascoste dalle dune. Mentre scaliamo la piccola duna, Amadou mi
consiglia di guardare bene dove metto i piedi visto che quella parte delle dune viene utilizzata come bagno a
cielo aperto [ …] Entriamo nelle Barracas dalla“porta di servizio”, ci facciamo strada tra le dune e dopo poco
siamo dentro […] Quello che vedo mi stupisce, non si tratta di una baraccopoli fatta di baracche di legno, la
maggior parte delle case sono in muratura, solo le prime che insistono sulla strada sono in legno e
probabilmente si tratta dei primi insediamenti, una parte di quelle barracas distrutte da un incendio un anno
fa […] all‟apparenza sembra mancare tutto o quasi, manca l‟acqua corrente, la luce , e per le strade si
trovano dei piccoli topi morti […] ma nonostante tutto c‟è un certo ordine e delle regole da seguire …”
La “città” che gli abitanti di Sal Rei ignorano o fanno finta di ignorare, conta circa 3.500
abitanti e ha una sua economia informale , e leggi non scritte da rispettare:

“Chiedo ad Amadou mentre andiamo verso casa sua, se è facile per un bianco entrare nelle
Barracas. Amadou mi sorride e mi dice che i bianchi spesso neanche sanno che esistono, qualcuno
ha provato ad entrare per cercare di comprare qualcosa per il suo ristorante ( nelle Barracas tutto
costa di meno visto che in un certo senso sono “tax free”) ma è stato cacciato via a pietrate”.

Questo episodio mi è stato confermato anche dall‟italiano in questione che ha rimarcato come
entrare nelle Barracas può comunque essere, però, una risorsa per l‟economia non solo informale
dell‟isola ma anche per i commercianti.
Le Barracas sono un mondo a parte , chiuso agli estranei, in cui gli abitanti attuano a vario
livello quelle strategie di resistenza di cui si è parlato. In questo caso però non si tratta di difesa di
una tradizione o di una “cultura”, ci si trova di fronte ad una vera e propria difesa di uno “spazio
vitale e umano” che si configura comunque esclusivo. Un esempio di recinzione reale, di uno spazio
dove la vita ha le sue regole e i suoi tempi e in cui entra solo chi fa parte della comunità.
Come già accennato le vecchie baracche di legno sono ancora in piedi solo all‟ingresso della
“Rua das Barracas” che dalla periferia porta al centro della favela. Nel 2007 un incendio ha
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distrutto alcune baracche di legno provocando anche delle vittime. Tutto era nato da una gara di
canto promossa all‟interno delle Barracas a cui erano seguiti dei violenti scontri tra la comunità
capoverdiana residente nelle Barracas e la comunità africana .Da allora la Camara Municipal ha
concesso a chi abita nella zona di Cha das Salinas di costruire in muratura non solo per evitare altre
situazioni critiche, ma anche perché qualcosa a livello politico era cambiato. Era stato concesso,
infatti, anche ai residenti provenienti dagli altri paesi africani, la possibilità di esercitare il voto nelle
consultazioni amministrative, una carta che l‟autarca dell‟isola Jose Pinto Almeida (Jo Pinto)
voleva giocarsi bene in vista delle elezioni che avrebbero potuto portarlo alla terza elezioni
consecutiva. A seguito dell‟autorizzazione a costruire molti hanno iniziato a tirar su piccole case in
ferro e mattoni, alcuni sono riusciti a costruire dei veri e propri piccoli palazzetti anche di tre piani,
c‟è addirittura un ristorante di “qualità europea” dove vanno a mangiare anche capoverdiani, in
molte lojas si può acquistare di tutto a prezzi bassi e a “corpo”, cosa che non è possibile nei negozi
dell‟”altra Sal Rei”. Ci sono anche delle discoteche, bar e call centers. Chi vive nelle Barracas, mi
conferma Amadou, non ha bisogno di niente, qui trova tutto, gli unici contatti con il paese sono
legati a motivi ed esigenze lavorative, e in occasione delle feste popolari come quella di Santa
Isabel, quando tutto il paese si unisce nei festeggiamenti che per tre giorni si svolgono senza
soluzione di continuità. Una festa tipica di Santiago la Cinzas è divenuta, col tempo, una delle feste
più frequentate dall‟intera popolazione dell‟isola, e nelle Barracas negli ultimi tempi, hanno
partecipato anche alcuni turisti.
Ma quali sono le comunità che abitano le Baraccas? E come sono organizzate al loro
interno? Ci sono conflitti tra le varie comunità? Come già accennato in precedenza, spesso i
capoverdiani tendono ad accusare gli africani provenienti dal continente di molti dei mali emersi
nella società capoverdiana, mettendo in atto una forma di razzismo che molto spesso è frutto della
perdita di una “posizione dominante” all‟interno delle Barracas, e di un atteggiamento di chiusura
che nasce dall‟insularità, come tratto esistenziale.
Amadou mi conferma l‟ esistenza di una certa forma di razzismo anche nelle Barracas. La
maggioranza dei residenti, infatti, sono capoverdiani provenienti dalle altre isole , soprattutto
Sant‟Antão, Fogo e Santiago. A questi si sono aggiunti nell‟ultimo periodo, anche alcuni
capoverdiani che erano già emigrati a Sal e che poi, in seguito alla crisi, si sono spostati a Boa
Vista. I restanti abitanti sono africani provenienti dal continente, per lo più dal Senegal e dalla
Guinea Bissau, ma non è difficile incontrare anche emigranti provenienti dalla Sierra Leone, dalla
Nigeria e Angola. Quasi tutti lasciano la famiglia per venire a cercare qualcosa di meglio dove c‟è il
turismo. Purtroppo il miraggio di un‟esistenza migliore è spesso un‟illusione. I rapporti tra la

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comunità africana e quella capoverdiana all‟interno delle Baraccas sono tutt‟altro che facili, per una
serie di motivi economici e culturali.
La forma in cui si esprime questo razzismo è basata non solo sulla “sfumatura di colori”,
ma anche sulla presunta “superiorità” di una comunità sull‟altra, sulla primitività d‟insediamento
nei luoghi. Nelle Barracas i residenti più antichi sono da considerare comunque i capoverdiani, che,
anche se provenienti dalle altre isole, si sentono in diritto di occupare la terra dell‟isola .
Joao Lopes Filho ha sottolineato come il grado d‟integrazione tra le diverse comunità a
Capo Verde sia pessimo: Capo Verde è un paese che ha sempre prodotto emigrazione, ma non è
pronto a ricevere immigrati. Il nuovo fenomeno produce un sentimento di insicurezza e dimostra
l‟incapacità di gestire la novità. Una recentissima ricerca di campo (2008) volta a ricostruire le
motivazioni che spingono gli africani del continente ad emigrare nelle isole, ha affrontato questo
tema dal punto di vista dei nuovi migranti, confermando molte delle ipotesi emerse nei dialoghi con
Amadou e i suoi “fratelli”.
Come Amadou, anche gli intervistati dall‟antropologa capoverdiana evidenziano come i
capoverdiani abbiano una forte solidarietà tra loro. La diffidenza nei confronti dell‟altro è, però,
forte e deriva da una forma di chiusura “isolana”. A fronte di questo atteggiamento, i migranti
africani rivendicano una visione cosmopolita della vita. La maggior parte di loro, infatti, non lascia
il suo paese solo per motivi di lavoro, ma anche per lo spirito di viaggiare e conoscere nuove
culture. Il concetto di Mandjakus ha così assunto nel tempo per gli africani un‟accezione positiva
divenendo quasi un segno di distinzione ed orgoglio.
Capo Verde cambia, e sempre più, da paese di migrazione, diventa paese recettore di
immigrati, da paese chiuso nella sua frammentaria insularità, si trasforma in un paese che deve
affrontare diversi tipi di diversità. Il diverso è anche il vicino di casa, il figlio dell‟Africa
continentale che viene in un angolo sperduto del continente a cercar fortuna.
Le Baraccas, sono il punto del mondo in cui si costruisce il futuro e fanno da contraltare a
luoghi come i Resort. Come nella città di Valdrada, le Barracas sono il volto della città alla
rovescia, uno dei mondi che si incontrano e si scontrano nell‟isola di Boavista. Eunice Silva,
deputato del MPD e sociologa, in un articolo pubblicato sul suo blog nel febbraio 2010, afferma di
aver trovato a Boavista tre mondi differenti, confermando la visione che nel corso della ricerca ho
cercato di ricostruire:

“ il mondo capoverdiano originale, che, conformandosi o no, cerca di vivere e sopravvivere e


adattarsi alla nuova realtà dell‟isola, il mondo dei turisti concentrati negli hotel e con il viso voltato
dall‟altra parte della realtà socio culturale dell‟isola e, infine, il mondo delle Barracas, conseguenza

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diretta delle politiche errate sul turismo. La velocità con cui l‟isola di Boa Vista sta perdendo le sue
caratteristiche proprie impone misure urgenti”.

3.5.4 La terza Sal Rei

A fronte della mobilità delle Barracas, a 8 km da Sal Rei c'è poi il primo vero grande Resort
dell'isola costruito dalla catena spagnola Riu, vera e propria città autonoma, autogestita e
autoregolantesi posta a poche centinaia di metri dal nuovo aeroporto internazionale, in cui tutto è
standardizzato , anche l‟”incontro” tra diversi. E‟ il mondo che Eunice Silva ha definito “ il mondo
dei turisti concentrati negli hotel e con il viso voltato dall‟altra parte della realtà socio culturale dell‟isola”.

Dal Diario di campo luglio 2009:


“Non è possibile entrare nel Resort Riu se non hai il braccialetto che ti rende riconoscibile e quindi
parte di quel mondo dorato dalle forme yemenite, o se non sei uno dei lavoranti del Resort […]
riesco ad entrare nel bunker dorato grazie a due ragazzi torinesi in fuga dalla noia del Resort che
hanno deciso di noleggiare una macchina e di scegliere me come guida non ufficiale […] avevano
deciso di prendersi una settimana di vacanza, era una scelta last minute […] ma non sono gente da
Resort , volevano una vacanza “alternativa” ecco perché la loro fuga[ …] All‟ingresso del Resort mi
consigliano di tenere le mani dentro le tasche del pantalone in modo che non si veda che non porto il
braccialetto […] Entro nel dorato paradiso dei turisti, vi resto il tempo per sfruttare l‟all inclusive
dei miei nuovi amici, una birra e un panino al bar e per guardare dal vivo ciò che ho letto in molti
saggi, l‟ennesimo esempio della riproduzione del paradiso …”

Il Resort Riu è solo uno degli ultimi in ordine di data, di quella serie di “luoghi del distacco”
di cui l‟antropologia e la sociologia si sono ampiamente occupati. La vita quotidiana nei Resort è
stata sviscerata in ogni suo lato, anche se guardando il loro aspetto interno, si è tralasciata, forse,
l‟analisi del loro rapporto con il territorio e con la popolazione locale.
Orvar Lofgren nel suo interessantissimo saggio Storia delle Vacanze (2001) ricostruisce la
nascita dei Resort e ci da un‟idea precisa di cosa s‟intenda per irreggimentazione e per
standardizzazione dell‟incontro culturale. L'esperimento di gran lunga più ambizioso e grandioso fu
presentato all'Esposizione Internazionale di Parigi del 1937. La struttura era progettata per ospitare
fino 20.000 turisti contemporaneamente e ogni stanza nel progetto aveva garantita la vista sul mare.
L'enorme complesso alberghiero avrebbe racchiuso ogni sorta di servizi, compresa una breve linea
ferroviaria per facilitare le comunicazioni all'interno. Nelle idee dei progettisti, che si rifacevano ad
uno stile “classico moderno” legato alle teorie di Le Corbusier, doveva divenire il Resort più

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moderno e grande del mondo. Si trattava di un'utopia modernista, una vera e propria città dei
divertimenti in vetro e cemento, “il più moderno immaginabile”.
La prima pietra fu posta nel 1936 nell‟isola di Rugen nel Mare del Nord, e, faceva parte del
piano di Adolf Hitler atto a monitorare il tempo libero della classe operaia tedesca. Fra il 1934 e il
1939 questi fortunati programmi di vacanza produssero all'incirca sette milioni di pacchetti tutto
incluso. Dietro a tutti questi investimenti c'era l'idea diffusa della vacanza al mare come rimedio ai
mali della città. Secondo gli ideologi del nazionalsocialismo questi nuovi centri di vacanza
avrebbero rinvigorito l'intera nazione tedesca.
Tuttavia allo scoppio della seconda guerra mondiale questo mega complesso modernista era
stato ultimato solo in parte. La costruzione continuò grazie alla manodopera sovietica sottoposta ai
lavori forzati. In seguito al crollo del Terzo Reich, il complesso venne occupato dall'Armata rossa e
nella DDR divenne un campo di vacanze per ufficiali dell''esercito, mentre ai comuni cittadini
l'accesso all‟intera area rimaneva ancora vietato. Oggi è ancora possibile vedere i ruderi che portano
l'impronta di questi due regimi totalitari, e forse è ancora possibile rendersi conto della portata
dell‟impresa.
Ciò che rende interessante questa impresa colossale è il fatto che guardando il progetto in
dettaglio, dalla semplicità spartana e razionale delle stanze d'albergo, all'area adibita a spiaggia, si
potrebbe avere l'impressione di trovarsi in una qualsiasi delle strutture prodotte dal mondo
modernista del tempo libero, se non fosse per l'emblema della svastica che ondeggia sulla bandiera.
Guardando l'organizzazione della vita nell'enorme complesso, l‟accurata pianificazione del
pacchetto, è possibile intravedere la prospettiva del turismo moderno di massa portata all'estremo.
Sotto certi aspetti si tratta di un'anticipazione della grammatica globale del perfetto viaggio
organizzato.
La spiaggia tropicale ha, invece, il suo prototipo in Waikiki Beach in Polinesia, dove nel
1927 fu aperto il Royal Hawaiian Hotel un vero e proprio ibrido cosmopolita, che prevedeva un
inteso programma quotidiano, standardizzato. Un‟altra innovazione consisteva in una serie di
negozi all‟interno dell‟albergo, in cui il turista poteva comprare di tutto senza aver bisogno di
recarsi all‟esterno. I beach boys vivevano sulla spiaggia, lavoravano come guide turistiche,
intrattenitori, bagnini, organizzavano feste e suonavano musica, facevano surf, rappresentavano,
insomma, il mito del paradiso, della perenne adolescenza , della vacanza infinita.
Tutto questo è oggi riprodotto con minimi scarti anche nel Resort della catena Riu operante
a pieno regime da circa un anno sulla Praia da Chave a Sal Rei. Una città chiusa nelle sue torri, i cui
gli ospiti ignorano l‟esistenza di un mondo piccolo posto a pochi chilometri da loro, per mancanza
d‟interesse, per volontà o per una sorta di fuga dalla realtà di ogni giorno. Fuga , ma non troppo: le

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regole della vita quotidiana nel Resort sono lì a ricordare che anche la fuga deve essere
irreggimentata.
Carla Borba de Mota Silveira (2008), in un recente saggio ha analizzato la vita all‟interno
dei Resort, ponendo l‟accento proprio sul contrasto tra la rottura con la solita quotidianità e la
ricerca della confortante quotidianità della vacanza.
L'artificialità delle attrattive turistiche e l'alta produzione di non-luoghi trasforma
l'esperienza turistica del quotidiano. Il turista che sceglie il Resort, cerca un paradiso negoziato, un
ambiente perfetto, che significa artificialità e programmazione, non chiede di essere sorpreso da
nulla di differente, vuole rompere con la sua routine scegliendone un‟altra rassicurante. Una rottura
dalla quotidianità, quindi, ma non una completa sospensione, una forma di falsa rottura. In questo
isolamento il Resort diviene uno spazio d'interazione sociale tra ospiti e animatori. Il turista dei
Resort non lascia le sue norme abituali.
Il turista nei Resort, ricerca la familiarità dell’esotico. Una vecchia regola dell‟industria
turistica, infatti, è: “mai cambiare qualcosa che funziona”, quel confortante senso di deja vu, il
turista esperto sa cosa aspettarsi dalla settimana di vacanza .
La cosiddetta settimana charter -modello di turismo diffuso in particolare nelle isole di Sal e
Boavista- è frutto delle esperienze pionieristiche di Maiorca e della Costa del Sol.
Un primo elemento fondamentale della settimana charter è il pullman, che trasporta i turisti
dall‟aeroporto direttamente al Resort, evitando fin dall‟inizio il confronto con i nativi.
Dall‟aeroporto internazionale di Rabil al Resort Riu c‟è appena 1 km di distanza che viene percorso
in un autobus gran turismo dai cui finestrini si intravedono appena la tracce della vita quotidiana
dell‟isola.
Appena arrivati le guide e gli animatori danno una prima illustrazione del posto in cui si
vivrà per una settimana e della realtà e delle tradizioni locali. La guida è spesso vestita con colori
speciali per distinguersi dagli altri operatori. I ragazzi che fanno da guida al Riu portano dei
copricapo tipici dei rasta e camice molto appariscenti, che danno al luogo un tono di “caraibicità”
che non è certo tipico delle isole di Capo Verde. Durante il cocktail di benvenuto gratuito viene
annunciato il programma settimanale che prevede sempre la visita di mezza giornata della città (a
Sal rei avviene tre volte la settimana a seconda dell‟arrivo dei nuovi gruppi), un drink in qualche
locale convenzionato, e la possibilità di ulteriori escursioni, che in genere includono una visita a una
comunità di artigiani locali.

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(Mappa n. 2 Il percorso dei turisti in Piazza S. Isabel)

I turisti vengono portati con alcuni pulmini in Praça S. Isabel (1). Una guida illustra e
spiega molto brevemente la storia di Sal Rei e li guida in un breve giro turistico attraverso la piazza,
con visita alla Igreja Matriz (2).
La terza tappa del tour è il piccolo porticciolo dei pescatori (3), dove il turista, nei cinque
minuti concessi, farà le classiche foto alle barche in secca, ai pescatori che rammendano le reti, alle
donne che puliscono il pesce o che portano in testa le ceste con la frutta, e sarà oggetto delle
continue attenzioni dei fotografi ufficiali del Resort, sempre pronti a fotografare il turista in pose
che rendano “indimenticabile” la vacanza.
Il tour prevede la visita ad una loja che vende artigianato locale (4). Tutto finisce qui. Il
gruppo ritorna in Praça S. Isabel ed è lasciato libero per circa due ore; ed è proprio in questo
momento che avviene il contatto più o meno mediato con una parte della vita reale dell‟isola. Il
turista appena lasciato solo è preso da una forma di spaesamento. Osservando più volte le reazioni è
stato possibile notare come, in pochi minuti, la maggior parte delle persone non avesse la minima
idea di dove andare o di come occupare il tempo libero anche per la mancanza di evidenti attrattive
turistiche e culturali.

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Il tempo dello spaesamento, però, dura poco. In pochi minuti quasi ogni turista ha un suo
“angelo custode”, il ragazzo senegalese che con cordialità cerca d‟invitare il turista nella sua loja
per vendergli qualche oggetto “artigianale”, cercando di strappare il miglior prezzo possibile. “State
attenti agli assalti dei senegalesi” questo è uno degli avvertimenti più usuali che vengono trasmessi
ai turisti nei Resorts. Le modalità di approccio da parte dei venditori di souvenir sono però da
considerarsi, più che altro un “cortese tormento” che ti costringe a comprare. Le successive due ore
saranno quindi dedicate a questo cortese, ma talvolta estenuante, tira e molla, ad una piccola sosta al
Bar nell‟Esplanada e nell‟attesa del ritorno al Resort.
Durante il percorso di osservazione ho avuto modo di chiedermi quanto, in realtà, influisca
questa “visita turistica” di mezza giornata sull‟economia del paese di Sal Rei. Dalle numerose
interviste effettuate al Mercato Municipal e alle vicine lojas senegalesi, ho tratto la conferma che in
realtà i turisti non comprano molto.
Con un operatore del Mercado Municipal mi sono confrontato nell‟analisi della tipologia di
turista che visita Boa Vista. Si tratta di un “turista povero” che paga tutto in patria al momento
dell‟acquisto del pacchetto, e che, avendo tutto a disposizione del Resort non ha bisogno, né
curiosità, nel comprare fuori dal “recinto”.
Se si va a guardare la programmazione dei voli che atterrano settimanalmente all‟aeroporto
internazionale di Boa Vista, si può osservare come le nuove destinazioni introdotte, sia dalla TACV
(la compagnia di bandiera di Capo Verde) che dalle compagnie charter Livingstone e Tuifly , siano
per lo più dirette verso paesi dell‟Est Europa. Una nuova e interessante fetta di mercato turistico,
ma che, non tende a spendere nel luogo in cui decide di passare la vacanza. Il turista dell‟Est è,
quindi, considerato anche dai venditori delle lojas un turista non “ricco”. I pochi che scelgono di
visitare il paese di Sal Rei, lo fanno per riempire in qualche modo la noia che si inizia a sentire e
metà vacanza, un modo di rompere la routine per alcune ore, sicuri però che al ritorno al Resort
tutto continuerà come prima.
L‟avvento dei Resort a Boa Vista, non solo non ha portato ricchezza, ma ha anche
progressivamente impoverito l‟economia locale. Nel corso di alcune interviste effettuate con alcuni
rappresentanti della comunità di nuovi insiders residenti nell‟isola, persone che da più di cinque
anni lavorano e risiedono a Boa Vista, questo problema è emerso con forza. Prima dell‟apertura del
Resort Riu, esistevano altri due Villaggi, il Marine Club e il Venta Club, ma entrambi si
caratterizzavano più come hotel che come villaggi all-inclusive. Inoltre chi prenotava la vacanza a
Boa Vista dall‟Italia non veniva “indotto” alla scelta del Resort, ma aveva maggiore possibilità di
scelta tra le varie pensioni e i piccoli alberghi a Sal Rei. Ora, invece, le agenzie di viaggio

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propongono quasi solo esclusivamente il pacchetto all-inclusive escludendo tutte le piccole realtà
che vivono di turismo a Boa Vista.

3.5.5 Vita quotidiana in un ―Padaria‖. Un’esperienza di ricerca di campo.

La ricerca è fatta di territori che diventano significativi per capire una realtà sociale in
mutamento. In ogni isola visitata sono andato alla ricerca di luoghi anche inusuali in cui osservare
la rappresentazione della vita quotidiana. Nell‟isola di Sal la spiaggia e i locali notturni sono stati i
luoghi in cui era più facile osservare l‟incontro/scontro tra locali e forasteiros. Anche a Boavista ho
individuato nel tempo, una serie di luoghi emblematici. Ho già parlato delle Barracas e del Resort
Riu, gli esempi più evidenti del mutamento dell‟isola, ma ci sono alcuni spazi, magari meno
evidenti, in cui è possibile trovare tracce del mutamento e in cui l‟incontro/scontro avviene
quotidianamente. I pub e i locali prospicienti la Praça S. Isabel, la piazza stessa, sono i posti in cui,
dopo il tramonto, la gente s‟incontra, parla, si confronta. Molte delle interviste informali sono state
raccolte lì dove, spesso, il relax della sera, qualche birra in compagnia, rendeva possibile un dialogo
più amichevole, sgravato dalle tensioni. Mi era chiaro, però, come fosse necessario trovare un punto
d‟osservazione privilegiato soprattutto per quella parte della nuova comunità bubista, quella
italiana, che con molti bassi e qualche alto, cerca di entrare a far parte di quel nuovo mondo.
Cercavo una situazione non convenzionale, che mi desse la possibilità di avvicinare più
persone superando la diffidenza che provoca un approccio “giornalistico”, o comunque situato. Già
in molti casi, come nell‟osservazione degli approcci da parte dei beach boys, o della vita notturna
nell‟isola di Sal, “farsi passare per turista” mi aveva concesso la possibilità di contattare persone
che altrimenti nella “veste istituzionale” di ricercatore non sarei riuscito a contattare. Questo habitus
di “antropologo che si nasconde”, in questo caso però non poteva essere la soluzione. Volevo,
invece, che la gente sapesse che ero lì per la mia ricerca sull‟impatto del turismo, e che ero pronto
ad ascoltare chiunque. La soluzione a questo mio dilemma arrivò quasi quando ormai avevo
rinunciato a trovarla. La soluzione è stata quella di inserire un annuncio su un sito che si occupava
specificamente delle isole di Capo Verde, nella bacheca dedicata dall‟offerta/domanda di lavoro.
Cercavo un posto dove poter lavorare per qualche ora al giorno al fine di evitare le spese di vitto e
alloggio. Quando ormai mancavano alcune settimane alla partenza, finalmente qualcuno mi rispose.
Si trattava di un italiano che ha aperto una Padaria a Sal Rei e che mi offriva vitto e alloggio per un
mese in cambio di un lavoro di poche ore al giorno all‟interno della Padaria o per un volantinaggio
nelle strade del paese”.

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L‟occasione mi sembrava ottima perché mi consentiva un contatto diretto con la gente
dell‟isola, ma, ero certo, anche che mi avrebbe consentito di osservare più da vicino questi nuovi
residenti bubisti, gli italiani che in un modo o nell‟altro svolgono un ruolo fondamentale nello
sviluppo turistico dell‟isola. Della residenza alla Padaria avevo dato anche notizia nella mia pagina
dedicata alla ricerca su Ning, presentandola come una sorta di Cafè letterario.
La Padaria Doce Vida è una delle novità dell‟isola, è stata progettata e ideata da due
lucchesi che l‟hanno poi lasciata in gestione ad un ragazzo rumeno, Dino, che per circa un mese
attraverso le sue esperienze e i suoi racconti mi ha guidato, anche inconsapevolmente, nella
comprensione di una parte della vita bubista che spesso resta nascosta.
La giornata di lavoro iniziava presto. Verso le 4.30 Dino iniziava a impastare e infornare il
pane, io in genere iniziavo a dargli una mano verso le 6.30. Alle 07.30 circa la Padaria apriva al
pubblico, e iniziavano ad arrivare le prime persone per la colazione “all‟italiana” cappuccino e
cornetto. Al banco, al momento della ricerca, lavoravano due ragazze capoverdiane che vivevano
nelle Barracas, e con cui il rapporto inizialmente non è stato molto facile, sia per una loro chiusura
nei confronti dello “straniero” in generale, sia perché, come avrei scoperto in seguito, ero stato in
qualche modo presentato come probabile socio della Padaria. Il rapporto con una delle ragazze
migliorò sensibilmente nel momento in cui m‟incontrò nelle Barracas insieme ad Amadou.
Quello che ho potuto evidenziare dall‟osservazione svolta durante il mio periodo di
residenza nella Padaria, conferma quanto sia difficile l‟incontro tra le diverse comunità dell‟isola,
ma anche come questo incontro spesso non venga neppure cercato.
Un cooperante italiano di una ONG spagnola che lavora a Praia, durante un nostro incontro,
ha messo più volte l‟accento su come i membri della piccola comunità italiana residente nella
capitale capoverdiana, non avessero quasi alcun contatto fra loro. Lui stesso si stupiva di come
sovente gli presentassero qualche italiano dicendogli che risiedeva lì da anni, e si sorprendeva di
non averlo mai incontrato.
Questo accadeva, però, a Praia, una città di quasi 100.000 abitanti. La realtà è
diametralmente opposta a Boa Vista, dove tutti o quasi si conoscono e dove è impossibile non
essere “riconosciuti”.
La comunità italiana passava tutta o quasi per la Padaria, ed è stato interessante studiare
come i giudizi e i pregiudizi si costruiscano nella vita quotidiana di un piccolo paese come Sal Rei.
Come accade in parte anche a Sal, le diverse comunità cercano dei punti di aggregazione che
vengano “riconosciuti”, luoghi in cui si può vivere la propria “diversità” e parlare liberamente.
Il giudizio degli italiani sui locali è spesso ambivalente: in alcuni casi i capoverdiani sono
considerati “non lavoratori”, “disonesti”, “lenti”, “con tutti i difetti degli africani”, e guardati come

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“inferiori”, quasi stranieri nella propria terra natale, ma in altri casi sono disegnati in maniera
completamente differente: persone buone, accoglienti, sorridenti, con un modo di affrontare la vita
improntato a un certo fatalismo. Una comunità destinata a scomparire per far posto alla comunità
dei “forasteiros”, gli “os de fora”.
A differenza di quanto accade a Sal, a Boavista, nonostante tutto, la comunità locale resiste
nei paesini dove ancora la popolazione vive del pascolo delle poche capre. Solo nell'ultimo periodo
la neonata Associazione per lo Sviluppo dei piccoli centri della parte settentrionale dell‟isola sta
chiedendo di essere inclusa nel circuito turistico e di godere della “ricchezza” che investe Sal Rei.

3.5.6 Segnali di mutamento

La distanza che separa Sal Rei dai paesi del Norte dell‟isola non è immensa, appena una
trentina di chilometri di strada acciottolata, ma manca un regolare servizio di collegamento pubblico
con il capoluogo, e quindi chi si sposta dal Nord al Sud dell‟isola deve aspettare, alcune volte anche
per ore uno dei pochi taxi collettivi (gli Iassi31) che transitano sulla strada principale. Anche per
questo motivo i contatti tra i paesi di Joao Gallego, Fundo das Figueiras e Cabeço dos Tarafes sono
legati ai pochi turisti che partecipano ad una escursione giornaliera in pick up e che si fermano a
mangiare e bere qualcosa in uno dei piccoli bar e ristoranti di Joao Gallego, magari nel Ristorante
Teita dove è possibile mangiare la famosa cabritada.
Eppure qualcosa sta cambiando anche qui e le storie raccolte direttamente o de relato lo
dimostrano. La storia che segue mi è stata narrata direttamente da un testimone e ho deciso di
riportarla in modo quasi integrale senza commenti o rielaborazioni, per dare l‟idea di come un
piccolo evento possa influire sulla vita quotidiana di chi ancora vive ad “altra velocità”.

“La storia che racconto è successa a fine luglio. Racconto brevemente. Un pomeriggio di fine luglio
a Boavista sono andata a trovare delle mie amiche a Fundo das Figueras. Ero appena uscita dalla
casa di una di queste mie amiche ed ero in strada con sua figlia, una bambina molto bella, ammetto,
ma che non giustifica secondo me quello che è successo dopo. La figlia della mia amica aveva un
bambino più piccolo in braccio. Una macchina, se non ricordo male, scura (con tanto di vetri scuri)
arriva improvvisamente e si ferma di fianco a noi. Dentro la macchina c'erano delle ragazze,
presumo italiane, che cominciano ad urlare, seriamente, e a dire in modo isterico: "Bello, bello,

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La genesi di questa parola è interessante perché dimostra come una lingua non scritta come il crioulo importi
ed adatti termini stranieri che vanno a coprire lacune nel vocabolario. Il termine Iassi è una storpiatura del nome di un
van della Toyota chiamato Jaice. Con il tempo ha finito per identificare tutte le tipologie di pulmini da sette – dieci posti
che collegano le maggiori località nelle isole. Esiste un'altra tipologia di trasporto colletivo il “Dina”, il suo nome deriva
dalla storpiatura di un altro veicolo Toyota il “Dyna”, un veicolo da lavoro scoperto , dove trovano spesso posto fino a
quindici persone.

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bello!". La ragazza davanti tira fuori una macchina fotografica e, senza smettere di gridare in modo
isterico, comincia a fotografare la figlia della mia amica e il bambino più piccolo che aveva in
braccio. Io ero così allibita, che non ho avuto la forza di dire niente, seriamente, ero senza parole,
non credevo a quello che vedevano i miei occhi, tanto che non mi sono neanche subito accorta dei
gestacci (oltre a bello e a gridare neanche loro riuscivano a parlare, si vede) che mi faceva la tipa con
la macchina fotografica, perché entravo nella sua inquadratura. Improvvisamente la mia amica si è
accorta della scena e ha cominciato a gridare di tutto contro la tipa (e a maledirla ben bene), perché
non voleva che degli sconosciuti fotografassero sua figlia. Di risposta la tipa con la macchina
fotografica ha salutato, mandato baci (sempre continuando ad urlare bello, bello, bello) ha chiuso i
suoi bei finestrini scuri e se ne è partita sgommando (o perlomeno l'autista è partito sgommando
capendo la situazione). Ho trovato questa scena veramente pessima […] Vorrei dire a questi "turisti"
che la gente di Capo Verde non è l'animaletto di peluche "bello" ma sono persone degne della
massima stima e per questo da rispettare. Non potete e non dovete fare foto da mostrare come trofeo.
Fate le foto alle spiagge ed ai paesaggi per mostrare le bellezze del paese. Scusate: in Italia fate le
foto alle persone o ai monumenti quando siete a Roma o in Sicilia? Rispettate la gente di Cabo e
sarete rispettati”

Questo episodio è uno dei tanti che si possono osservare nella realtà bubista e che portano a
riflettere ancora una volta su come “l’africano” venga visto dall‟”occidentale”. L‟immagine
dell‟uomo o della donna bianca che tiene per mano un bambino di colore con le treccine e lo guarda
con tenerezza, è un‟immagine usuale che si ritrova spesso negli album fotografici di ritorno dalle
vacanze, un souvenir molto ricercato. Ma è un immagine, che evidenzia il comportamento usuale
del turista occidentale nel “terzo mondo”, un comportamento che si sostanzia nello sguardo di
tenerezza e pena nei confronti di chi comunque viene percepito come inferiore e verso cui proviamo
quel “senso di colpa” ben sintetizzato in questa frase raccolta in un intervista:

“[…] ancora una volta l'occidentale lascia il segno , mi sa che dobbiamo imparare la civiltà noi da
loro. Io e mia moglie andiamo tutti gli anni a Capo Verde e quello che ci colpisce è la dignità di
queste persone che sono ricche dentro perché non hanno niente fuori. Quello che ho visto mi ha fatto
riflettere [...] una signora dava un panino ad un bambino a Santa Maria e mentre faceva questo si
faceva fotografare per immortalare la sua buona azione, certo che questa è civiltà . Il capoverdiano
non è un'attrazione da circo è una persona come noi e in molti casi molto meglio “

Molto spesso dietro la ricerca della foto eclatante, c‟è la frustrazione di non aver trovato
quello che si cercava, quel souvenir da portare a casa e da mostrare agli amici. Quello che il turista

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si aspetta da Sal Rei, e la frustrazione che segue nel non trovarlo, è espressa anche da un italiano
che ha un piccolo info point nel mercato dei senegalesi:
“Ho aperto una loja che vorrei già chiudere proprio per mille di questi motivi ... La gente viene qui e
si lamenta: dov'è la main street per fare shopping? che paese di m ...! Ma quella roba lì è il mercato
municipale, ma siamo pazzi? Che schifo che sporco! Ma qui sono tutti dei ladri! eccetera eccetera. Io
divento pazzo a cercare di mitigare tutta questa gente incomprensiva a cercare di fargli capire cosa e
dove stanno vivendo la vacanza, alcuni capiscono altri alzano le spalle e tornano a rinchiudersi
nell'hotel. Vi garantisco che tutti questi turisti qui, (lo dico di prima mano), stanno portando non solo
i loro soldi, ma anche molti dei futuri problemi che scoppieranno in un Paese meraviglioso come
Capo Verde!”
Il rischio che corre chi vive o fa turismo nei paradisi inventati, costruiti dal nulla, è di andare
incontro alla delusione, alla frustrazione, alla rabbia, alla banalità del luogo e dell‟esperienza. Chi
investe nel turismo e vive lo spazio dell‟isola, ha le sue piccole frustrazioni giornaliere: “Qui non
funziona niente … la luce spesso non c’è,l’acqua non è potabile e spesso manca … poi i capoverdiani sono
lenti... sporchi … non è facile lavorare qui.” E allora viene da chiedersi, perché molti presunti
imprenditori italiani scelgono Capo Verde per investire e, a volte, per vivere? Per molti investire a
Sal o a Boavista è l‟unica via per scappare da una realtà dove non si può più vivere. Le isole
diventano un posto dove ricominciare e magari dove perdere il contatto con la realtà, vivere
un‟insularità esistenziale. Ricordo le parole di un imprenditore italiano residente a Vila do Maio: “
qui o ti trovi qualcosa da fare, o ti droghi o impazzisci, e io ne ho salvati tanti dalla pazzia …”

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3.6 Vila do Maio. Ilha do Maio

Figura 5: Isola di Maio

Il mondo “costruito” di Santa Maria das Dores e di Sal Rei è quello creato da e per il turista
delle cosiddette quattro S, un mondo tanto bene fotografato da Jorge Canifa nella citazione con cui
si è aperta questa lunga riflessione. E' lo stesso mondo che si è tentato e ancora si tenta di costruire a
Vila do Maio e in cui si sono verificati i casi più evidenti di contrasto e resistenze tra le diverse
comunità.
Come si è sottolineato in chiusura del paragrafo precedente, spesso le differenti comunità
vivono lo spazio insulare nettamente divise, chiuse. Questo avviene nel caso delle Barracas e dei
Resort, ma anche in parte a Santa Maria dove la strada d‟ingresso al paese divide nettamente in due
lo spazio umano.

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I contatti, gli incontri, gli scontri sono legati per lo più alla “sfera lavorativa”. Le comunità
spesso s‟ignorano, si sfiorano appena e l‟incontro, quando avviene, si basa spesso su un malinteso
forse felice, ma pur sempre un malinteso. Dietro il malinteso, dietro la facciata, c‟è il retropalco, la
realtà, la reazione più o meno velata.
A Vila do Maio tra l‟Ottobre 2007 e il Luglio 2008 si è verificato uno dei casi più evidenti di
scontro tra le comunità e anche in questo caso, lo scontro è avvenuto per via della crisi
dell‟economia dell‟isola e per la perdita di posizioni dominanti all‟interno della stessa. Le vicende
legate allo sviluppo del turismo e i rapporti tra le comunità residenti, nel periodo in cui si è svolta la
prima fase della ricerca, possono portare a considerare l'esperienza di ricerca nella piccola isola
come momento di raccordo tra i due “cuori” del progetto.
L‟isola di Maio è chiamata l‟”isola tranquilla” per la sua pacatezza, la bassa densità della
popolazione, e le immense spiagge deserte, con un potenziale enorme per differenti tipologie di
turismo da quello balneare, a quello sportivo, al turismo naturalistico. Con una popolazione di 7.900
abitanti concentrata per la maggior parte nel capoluogo Vila do Porto Ingles ( o Vila do Maio), dista
appena 3 ore di nave o pochi minuti di aereo da Praia. Nonostante queste potenzialità, l‟isola è
ancora relativamente esclusa dal flusso turistico. Nel 2008 aveva ricevuto appena 539 turisti ,
corrispondenti allo 0,2% del flusso totale.
Nell‟isola verso la metà degli anni „90 iniziano gli investimenti nel turismo che, però,
ancora oggi si caratterizza solo come turismo residenziale, con poche attività legate al turismo
settimanale, questo anche perché l‟isola ha vissuto e vive grandi difficoltà nei collegamenti con le
restanti isole dell‟arcipelago. Come a Sal Rei e a Boa Vista, in località Ponta Petra si stanno
completando costruzioni residenziali destinate a futuri residenti provenienti per lo più dall‟Italia,
dall‟Inghilterra e dalla Germania.
Quello che nel periodo della mia permanenza rendeva peculiare la vita quotidiana nel paese
di Vila do Maio era la forte contrapposizione creatasi tra la comunità italiana e capoverdiana in
seguito a fatti e incomprensioni che si erano verificati nel corso dell‟ultimo periodo. Se a Santa
Maria, come si è visto, si vive una situazione di latente conflitto tra le tre comunità residenti e a Sal
Rei finora ha prevalso in qualche modo il rispetto (o l‟indifferenza), a Vila do Maio nel 2007-2008,
la situazione era così grave che molti italiani e spagnoli stavano lasciando l‟isola esasperati.
A prima vista Vila do Maio è uno dei paesi più tranquilli dell‟arcipelago, con una lunga e
bianchissima spiaggia, e una calma irreale in quasi tutto l‟arco della giornata. Eppure dietro questa
facciata tranquilla in appena un anno si sono registrati diversi episodi di contrasto tra le comunità.
Non è facile cercare l‟episodio scatenante di questo contrasto. C‟è sicuramente un aspetto
storico da considerare. La svendita dei terreni agli “italiani” avvenuta negli ultimi anni novanta.

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Come è accaduto anche a Sal e Boa Vista, il progressivo aumento del prezzo dei terreni ha escluso
dall‟acquisto gran parte della comunità capoverdiana.
Due personaggi, in particolare, venivano indicati come veri e propri truffatori. Uno di questi,
è un italiano proprietario di un chiosco sulla spiaggia, secondo molti in combutta con un senegalese,
che ufficialmente vendeva souvenir. Un‟altra figura poco rispettabile della comunità maiense era
considerata una signora brasiliana che, secondo alcuni, vendeva terreni senza avere alcuna proprietà
a disposizione. Questi avventurieri erano riusciti ad avvelenare il clima nei confronti della comunità
straniera.
Un altro fenomeno che ha interessato la vita dell‟isola è stata la presenza, alcuni anni
addietro, di un Resort nella zona di Morro che era divenuto luogo privilegiato di turismo da parte
dei pedofili. Il proprietario, un belga, organizzava addirittura interi charter di pedofili che passavano
le loro vacanze “giocando” con bambini del posto, alloggiati in piccole camere in cui non
mancavano giochi e colori. La gente sapeva, ma nessuno parlava, fino a quando un bambino morì
come conseguenza di uno dei “giochi erotici” subiti da parte di uno degli ospiti. L‟arresto del
pedofilo belga e la chiusura del Resort, ancora visitabile nei suoi orrori, non è stato rimosso dalla
comunità maiense che, anzi, ha finito per subire altre situazioni problematiche legate al turismo
sessuale.
L‟isola di Maio, nei progetti di sviluppo turistico sia capoverdiani sia stranieri, dovrebbe
diventare meta dei vacanzieri del weekend. L‟idea avrebbe un ottima base, visto che Maio dista solo
pochi minuti di aereo da Praia, e nella capitale vivono e lavorano molti rappresentanti dei “nuovi
ricchi” capoverdiani oltre che funzionari e cooperanti delle ONG, delle ambasciate e delle
istituzioni internazionali. Il problema è che, spesso, chi si spostava per il weekend a Maio, erano
soprattutto i cosiddetti “piratas”, come vengono definiti dai residenti nell‟isola, i ragazzi
provenienti da Praia che passano il fine settimana a Maio in modo dissoluto, anche rubando nelle
case dei nuovi ricchi.
Un altro episodio che ha provveduto ad avvelenare l‟animo della comunità capoverdiana è
stata la presenza nell‟isola di un signore italiano proprietario di un piccolo bed and breakfast che
aveva “attenzioni” particolari per i ragazzini e le ragazzine del luogo e che riportava alla mente la
vecchia ferita, ancora non chiusa, della pedofilia. Gli episodi legati alla vita di questo signore, sono
stati oggetto d‟attenzione anche da parte di alcuni forum su internet.
Il comportamento degli italiani a Maio è per lo meno significativo per capire quale sia il
carattere e la qualità degli imprenditori italiani residenti nelle isole. La definizione che è stata data
di questi improvvisati investitori, è quella di “aventurieros”, la stessa definizione che in un

108
differente contesto si assegna ai ragazzi che a Sal vivono nelle strade e cercano di passare la
settimana “vendendosi” alle turiste.
Se nei casi visti in precedenza, la comunità capoverdiana ha scelto la via della resistenza
silenziosa, a Maio invece, la comunità maiense ha messo in atto quelle che sono le più estreme
strategie di resistenza arrivando fino all‟aggressione.
I casi di resistenza più evidente si sono verificati proprio nel primo periodo della ricerca. Il
signore che in qualche modo era stato individuato come “pedofilo” divenne oggetto in molti casi di
getto di pietre da parte dei bambini, un altro italiano venne accoltellato mentre usciva da un bar, ma
l‟episodio in cui si è potuto verificare tutto il disprezzo verso gli outsiders avvenne sul lungomare
una calda mattina di Ottobre. Eravamo seduti all‟Esplanada sulla spiaggia per rinfrescarci, quando
ad un certo punto un ragazzino gridando indicò qualcosa galleggiare in acqua. A prima vista
sembrava un corpo umano. Iniziarono a riunirsi delle persone un piccolo capannello di gente,
capoverdiani e italiani, tutti uniti a guardare l‟orizzonte. Mentre la polizia cercava di recuperare il
corpo, alcuni bambini saltando iniziarono a cantare: “speriamo che sia un italiano …”. Il corpo
galleggiante si rivelò essere una capra gonfia d‟acqua.
Ancor più interessante è stato analizzare le relazioni interne alla comunità italiana. Alcuni
italiani, per la loro vicinanza con i capoverdiani, finivano per essere esclusi dalla comunità e
quando, in un caso in particolare, hanno difeso, dall‟accusa di furto una ragazza capoverdiana,
hanno subito un vero e proprio processo alle intenzioni. La difesa pubblica di questa ragazza, che
era nota per esercitare la prostituzione, da parte della moglie di un italiano, fece cadere sul capo di
quest‟ultima una doppia accusa: quella di essere a favore dei capoverdiani e di esercitare in qualche
modo la stessa professione della ragazza difesa.
Lo scontro tra le differenti comunità era così forte da far fuggire molti italiani da quello che
fino a qualche mese prima era considerato un vero e proprio paradiso.
Nonostante tutto non si è fermata, però, la speculazione edilizia. Soprattutto in località Ponta
Petra e a Morro continuano ancora oggi, le costruzioni di nuove abitazioni destinate a case di
seconda residenza per italiani, tedeschi, inglesi e per i nuovi ricchi polacchi e russi. Da qualche
tempo, poi, sono iniziati interventi da parte della Camara Municipal volti a rendere sostenibile il
turismo nell‟isola con la creazione di un Parco Marino legato all‟osservazione delle tartarughe e
soprattutto con la creazione di un “museo diffuso” del sale che troverà posto nelle saline di Vila do
Maio.

109
CAPITOLO IV

―O MUNDO EM QUEM CABO VERDE


RESISTE‖. VIAGGIO ALLA RICERCA
DELLA CABOVERDIANIDADE. RUOLO
DEI NUOVI INSIDERS E COOPERANTI
NEL CONTESTO SOCIALE DELLE ISOLE
DI SOTAVENTO

110
Figura 6: O mundo em quem Cabo Verde resiste

111
4.1 L’altro volto del turismo e della cooperazione nell’arcipelago

Guardando all‟esperienza maturata nel corso dalla ricerca sul campo mi sono trovato spesso a
riflettere sulla mancanza nelle tre comunità considerate di quel modo di vivere tradizionale che
avevo letto nelle pagine dei pochi libri rinvenibili in italiano su Capo Verde e sulla sua letteratura.
Pensavo di trovare in queste isole, almeno in parte, magari “turistizzato”, reinterpretato, quel
bagaglio di poesia, musica, letteratura, morabeza che vengono considerate caratteristiche della
“capoverdianità”.
Se si eccettuano, invece, gli spettacoli serali di funanà che vengono proposti in un noto
ristorante turistico sul passeio di Santa Maria, è molto più facile trovare concerti di musica
senegalese piuttosto che capoverdiana.
Anche a Boavista, isola nota in tutto l‟arcipelago per le sue mornas, così famose da far dire a
Tavares che la morna è la musica di Boavista, è stato spesso difficile trovare locali in cui si
proponesse musica tradizionale. Andando a cercare meglio, verso la periferia dei due paesi,
qualcosa ancora resiste, il più delle volte però si tratta di persone che la sera suonano sull‟uscio di
casa
La cultura, la tradizione culinaria, la letteratura, la musica capoverdiane sembrano essere
scomparse . Passeggiando per le strade di Santa Maria o di Sal Rei è più facile sentir parlare italiano
che capoverdiano. Spesso le persone si parlano in un specie di nuova lingua franca, una sorta di
pidgin, una lingua che non ha solo carattere commerciale, ma che travalica i rapporti di commercio
per invadere la sfera del privato. Quanto sia cambiata la lingua e la percezione stessa dei luoghi lo si
evince da quanto narrato soprattutto nel paragrafo dedicato a Boavista, dove si evidenzia come
l‟influenza del turismo stia cambiando l‟isola, dall‟utilizzo si parole straniere per definire oggetti (
non più massa, ma pasta ad esempio) fino al cambio del nome di luoghi come ad esempio delle
spiagge.
Già nel 2000 Germano Almeida e il fotografo portoghese Salvador rilevano l‟emergere di
questo fenomeno: “ In un’immensa isola di appena circa 4000 abitanti , certamente passeranno
pochi anni per la totale scomparsa della propria identità, nonostante Boavista sia l’isola più
conservatrice dell’arcipelago, legata allo status quo e completamente chiusa a qualsiasi tipo di
cambiamento”. Salvador sottolinea con forza come l‟italianizzazione dell‟isola sia così evidente da
aver portato alla scomparsa della lingua portoghese nei menu e nella toponomastica : “ … Il 30
giugno del 2000 tornai di nuovo sull’Isola di Boavista dove ero stato per due anni con Germano
Almeida e sua madre. Ma l’isola era già “altra” e non corrispondeva del tutto alla descrizione di

112
Germano che leggerete in questo libro. Era come se antichissimi navigatori italiani (genovesi?) del
secolo XVI fossero tornati a Sal Rei. Si parla più italiano che crioulo, l’acqua minerale dell’Hotel
Dunas è italiana, nei menù non si trova più il termine “massa” ma “pasta”, non ci sono cervejaria,
ma birreria. Non si odono mornas, ma canzoni napoletane, tale e quale all’Algarve “speak
english”…Boavista è sotto la maledizione del cemento e dei condomini chiusi, ghetti dei ricchi del
capitalismo globalizzato…” da “ Viagem pela historia das Ilhas” ( 2004).

Nel corso della ricerca nelle isole turistiche, quando potevo, mi rifugiavo nelle piccole
biblioteche comunali alla ricerca di questi piccoli capolavori della letteratura capoverdiana, spesso
dimenticati dagli stessi capoverdiani, di cui avevo letto alcuni brani nel libro di Sobrero Hora de
Bai, o che avevo avuto modo di avvicinare leggendo le poche opere tradotte in italiano al momento
della ricerca.

Molte volte mi ero ritrovato a leggere alcune pagine di Chiquinho, Famintos, Chuba Braba, Os
Flagelados do Vento del Este, dei romanzi di Teixeira da Silva, e ogni volta ricordavo la frase di
Domingos :” se vuoi cercare Capo Verde … devi andare nelle altre isole … Santiago, Fogo, Brava … lì è
ancora possibile trovare l‟anima capoverdiana “.
La seconda fase della ricerca è stata dedicata, quindi, allo studio di una parte di mondo che la
letteratura capoverdiana dagli anni „20 agli anni „70 ha dipinto in alcune grandi opere, al fine di
scoprire se ancora esiste “ o mundo onde a caboverdianidade resiste” o se anche in altre parti
dell‟arcipelago, il turismo abbia giocato lo stesso ruolo che nelle isole di Sal, Boavista e Maio, sta
travolgendo e mercificando la cultura capoverdiana .
Definire la capoverdianità e i suoi tratti è però difficile, anche perché non esiste un‟unica
“capoverdianità”. Anche se ogni isola condivide dei tratti comuni, ogni isola ha una sua peculiarità,
qualcosa che la differenzia dalle altre, il mondo rurale di Santiago, ad esempio non è lo stesso di
quello di Sant‟Antão. Le stesse opere classiche della letteratura capoverdiana rappresentano, spesso
solo una parte del mondo capoverdiano.
João Lopes Filho nel libro Introdução à cultura Cabo-verdiana (2003) afferma che la cultura
capoverdiana ha radici in un sistema socioculturale composito che si è strutturato in modo differente
a seconda delle isole e che si evidenzia nella lingua, nella cultura materiale, nella musica e nella
danza.
A conferma dell‟ esistenza di un bairrismo culturale, durante una tavola rotonda tenutasi a
Mindelo nel 2007 per i cento anni della rivista “Claridade” lo stesso João Lopes Filho, in un suo
polemico intervento, riportando alcune riflessioni del padre João Lopes, ha messo in dubbio che la
nascita della rivista sia davvero avvenuta a Mindelo. Questo bairrismo tra le Barlavento e Sotavento

113
è ben più che un semplice campanilismo. E‟, in realtà, frutto di un confronto tra le diverse anime
della cultura e filosofia di vita capoverdiane, kriol e badiu e quindi tra badiu (che identifica gli
abitanti di Santiago) e sampadjudu (che identifica gli abitanti delle isole Barlavento). Il kriol si
caratterizza per un‟apertura mentale, un interesse per lo straniero e la capacità di assorbimento e
adattamento. Il badiu , anima creola anch‟essa, è invece ripiegato su se stesso, sospettoso, timoroso,
permaloso, poco interessato alla presenza dell‟altro.
Il termine badiu, rappresenta storicamente gli abitanti di Santiago, ma finisce, travalicando i
confini geografici, per rappresentare in senso dispregiativo, l‟essere testardo, introverso, il fatto di
non essere mai stato fuori dalla propria isola. Si tratta quindi di un modo di rapportarsi al mondo
che viene stigmatizzato dai Mandjakus, un modo di vivere stretti alla propria terra, madre e
matrigna. Ogni capoverdiano sembra vivere quest‟alternanza tra l‟animo kriol e l‟animo badiu, tra
apertura e chiusura. L‟esistenza di questo tratto culturale badiu era evidente che a Sal e Boavista
mentre l‟anima kriol sembrava fosse stato travolta dalla modernità turistica.
Ogni giorno in più che passavo in quei paesi mi sembrava come se i capoverdiani tentassero
una difesa della propria identità proprio attraverso una chiusura verso l‟esterno. La conferma di
questa accentuazione della chiusura mi venne anche dalle riflessioni di Padre Ima che in occasione
di un nostro incontro mi confermò come in pochi anni la gente di Santa Maria fosse divenuta più
chiusa, scostante. Si sorprendeva di come spesso non salutassero più neppure lui, come anche le
minime forme di cortesia fossero divenute un eccezione. La morabeza, l‟essere amoravel della
gente di Sal era scomparsa , e ricordava, lui che è originario dell‟interno dell‟isola di Santiago, il
tempo in cui tutti si salutavano per strada, in cui anche il forestiero era uno della comunità.
Questa cortesia, apertura e rispetto, esistono ancora nell‟arcipelago in alcuni di quei
microcosmi rurali che avevo avuto la fortuna di visitare durante la fase preliminare della ricerca,
nelle campagne di Sant‟Antão, di Brava e Fogo, e in cui avevo visto rivivere una parte di quelle
opere che avevo letto prima della partenza. Nelle mie escursioni a piedi all‟interno di queste isole,
era normale che chiunque incontrassi per strada salutasse con cortesia, con natural morabeza.
Percorrendo le ribeiras di Sant‟Antão, gli anziani seduti sugli usci delle case o che lavoravano i
campi si fermavano a guardare e salutare con il sorriso che era così difficile trovare a Sal e
Boavista.
Quei piccoli mondi rurali mi erano rimasti nel cuore e la spinta che ricevevo a studiarli era
forte. C‟era un opera letteraria tra tutte che mi spingeva verso questa seconda fase della ricerca era
Famintos di Luis Romano, una delle poche opere letterarie che, riesce a superare il microcosmo a
cui sono legate divenendo universale, un”opera antropologica” come la definisce Sobrero, in cui
anche l‟antropologo trova il suo posto

114
La genesi di questa opera, è molto travagliata come d‟altronde la vita dello stesso autore
che a seguito della carestia del 1948, dopo essere vissuto in Marocco per 14 anni , approda in
Brasile ed lì che riesce a pubblicare finalmente il lavoro di una vita. Famintos nasce, infatti, dalle
ricerche effettuate dall‟autore nella sua isola natale, ma è un opera complessa, che affascina per la
chiave antropologica che è alla base della stessa, e per la definizione dei personaggi chiave che si
muovono tra l‟ilha sem nome e l‟ilha grande.
Nell‟Estudante che andava a raccogliere la storia della gente nella taverna di Manèfonse, e
nei due antropologi stranieri che appaiono nel finale del romanzo, in parte finivo per identificarmi.
Penso che ci siano ben poche definizioni dell‟antropologo così pregnanti come quella che Luis
Romano regala introducendo il personaggio dell‟antropologo francese Massiù che andava : “ per
tutte le terre… parlava con tutti coloro che incontrava … ascoltava le loro storie … faceva
domande, annotava tutto in un libricino da tasca … capiva che la gente Creola era il riflesso di un
insieme di fatti che meritava un’attenzione speciale”. Il mondo costruito da Luis Romano è un
mondo “moderno”, ricostruito attraverso un opera etnografica, un caminho diario tra la gente.
C‟era un rischio, però, che avevo ben presente, e cioè quello di cercare di narrare una parte
di mondo complesso in un tempo decisamente breve e quindi, rischiare di cadere nell‟errore in cui
era caduto nei primi anni venti del novecento il sociologo brasiliano G. Freyre il quale, viaggiando
nelle isole di Capo Verde per un periodo molto breve, finì per fidarsi quasi unicamente delle proprie
intuizioni arrivando a tracciare una fotografia sociale del mondo capoverdiano frutto
dell‟improvvisazione e dando inizio a quella polemica che ho utilizzato come spunto per il titolo dei
due capitoli centrali di questo lavoro, il confronto tra due differenti visioni del mondo coloniale
capoverdiano: o mundo que o portuguese criou e o mundo que o mulato criou.
Ne “ O mundo que o portuguese criou” (1940), Freyre insiste nel valorizzare il ruolo
creativo del colonialismo portoghese, il quale si sarebbe spinto fino a fondersi a tal punto con il
mondo dei vinti da esprimere una sola cultura. La cultura portoghese era vista come una cultura
dinamica che aveva finito per avviluppare in sé le culture locali per costituire un lastro comum, una
base comune.
Nel 1957 a seguito della pubblicazione degli interventi tenutisi in una tavola rotonda
sull’Homem Caboverdiano , Gabriel Mariano nel suo saggio “ Do Funco ao Sobrado ou o mundo
que o mulato criou” (1957) si pone in netta posizione critica nei confronti di Freyre e della sua
teoria del lastro comum. Di prestito culturale si può parlare, secondo Gabriel Mariano, solo quando
c‟è una parità tra le due parti, questo non è avvenuto a Capo Verde, secondo l‟autore dove in realtà
furono i neri e i mulatti i responsabili diretti della nascita e della strutturazione della società.

115
Era stato il Funco (la Senzala capoverdiana) e non il Sobrado (la casa borghese) il
laboratorio in cui si era formata della cultura capoverdiana. La delusione maggiore arrivò però dal
viaggio di appena dieci giorni che Freyre effettuò nell‟arcipelago nel 1952 e i cui resoconti vennero
pubblicati nel libro Aventura e Rotina (1952). In base a quanto osservato nei pochi giorni che passa
nelle isole, il sociologo brasiliano afferma che non solo a Santiago ma anche a São Vicente, l‟Africa
sovrasta l‟Europa. E‟ il crollo di un‟idea, di una costruzione.
L‟idea originaria di Freyre sulla natura creatrice della cultura e della presenza portoghese
mi ha spinto a chiedermi se il turismo, che è spesso visto come una nuova forma di colonialismo,
possa influenzare, comunque, positivamente la cultura capoverdiana, o se la presenza occidentale
debba essere sempre e comunque vista come “colonizzatrice” in un incontro che non è mai alla pari.
In definitiva quello che mi chiedevo era: possono i forasteiros essere promotori di cultura e
sviluppo? E quali sono le dinamiche che si vengono a creare tra i nuovi insiders e i residenti in
situazione in cui il turismo non ha avuto un impatto devastante ma “creativo”?
La scelta dei luoghi in cui la caboverdianidade resiste è stata guidata proprio dall‟analisi del
ruolo che il turismo ha avuto nella conservazione di questa capoverdianità, o nella sua messa in
discussione critica.
L'attenzione si è centrata, sull'isola di Fogo, inizialmente sul suo capoluogo São Felipe. Le
opere di Teixeira da Silva, infatti, sono state fondamentali per la ricostruzione della vita sociale
della città fino all‟inizio degli anni cinquanta del secolo scorso. Attraverso interviste e confronti con
intellettuali del luogo è stato possibile, poi, ricostruire la storia recente della nobile São Felipe, del
suo rapporto con la cooperazione e con i frati cappuccini, dell‟influenza sul tessuto sociale dei do-
gooders, e del discorso che si forma intorno a queste dinamiche relazionali. Il discorso si è esteso
all‟isola di Brava e al suo profondo legame con l‟isola di Fogo.
Ma è a Cidade Velha, che tutto il materiale raccolto durante la ricerca, tutte le voci ascoltate
durante il cammino, hanno trovato il loro posto. La dolorosa fine del peculiare esperimento di
“cooperazione allo sviluppo fai da te”, legata all‟esperienza di due italiani Anna e Alberto e al
Ristorante Kusa di Kasa, il tentativo, di costruire qualcosa da “donare” ai capoverdiani è il
momento della ricerca in cui si chiudono tutti i discorsi aperti nel corso della stessa: il rapporto
problematico tra hosts and guests, la difficoltà di creare qualcosa per l‟altro che sia dall‟altro
accettato come proprio e la costruzione di giudizi, pregiudizi e malintesi che sempre si legano alle
esperienze che spesso vanno oltre il definitivo e si presentano come una forma di rottura.
Entrano in gioco, inoltre, i parametri del turismo sostenibile (e il suo fallimento), e lo
svolgimento della vita quotidiana in un contesto di turismo culturale, i fallimenti della cooperazione
e soprattutto il proporsi dell'eterno gioco di accettazione e repulsione nei confronti dell'esterno che

116
cerca di farsi interno e i meccanismi che tendono a farlo sentire parte di una comunità accettante,
ma che non ti accetterà mai veramente.

4.2 Brava a ilha das flores da musica e da emigra ao

Figura7: Isola di Brava

Questo nuovo viaggio non poteva che partire dal luogo che, a mio parere, più di altri racconta
ancora Capo Verde com'era, l‟isola di Brava.
Senza un aeroporto funzionante, e senza collegamenti marittimi regolari, lo sviluppo
generale di Brava e del turismo in particolare, è fortemente condizionato. Il flusso turistico nel 2008
è stato di appena lo 0.04% del totale.

117
L‟isola, nel Piano Generale per il Turismo 2010- 2013 viene proposta, come la vicina isola
di Fogo, come destinazione turistica per un segmento specifico di turismo, quello delle seconde e
terze generazioni di emigranti capoverdiani. Al momento della ricerca l‟isola contava un
popolazione di circa 6.241 abitanti e appena 5 hotel, di cui solo due considerabili di buon livello.
Vila Nova Sintra rappresenta il migliore esempio nell‟arcipelago di come doveva essere la
vita in molti villaggi delle isole di Capo Verde prima dell‟impatto del turismo. L‟isola di Brava è
raggiungibile solo via mare e solo una volta la settimana da Praia (Santiago), via Sao Felipe (
Fogo). Il viaggio dura dalle 7 alle 10 ore , dopo almeno 4-5 di estenuante attesa sulla banchina del
porto di Praia e, poi, di São Felipe. L‟alternativa a questo lungo ed estenuante viaggio in mare è il
volo aereo giornaliero che collega São Felipe con Praia per poi prendere un piccolo peschereccio
che a giorni alterni collega Brava a Fogo.
Per questo Brava resta ancora oggi pressoché esclusa dai circuiti del turismo di massa,
chiusa nel suo isolamento, evidenziato anche dalla perenne coltre di nubi che spesso copre l‟isola.
Proprio questa coltre di nubi, però, ha consentito la formazione di un microclima umido che dà a
Vila Nova Sintra l‟aspetto di un enorme giardino perennemente in fiore.
La vita sociale di Vila Nova Sintra si svolge quasi tutta nella colorata piazza del paese dove
si trovano le due banche, il municipio, due bar, un piccolo ristorante e a pochi metri da questa le
uniche due pensioni del paese la Pensao Nazareth e la Pensao Paulo. Una caratteristica dell‟isola è
la presenza di numerose chiese protestanti, uno dei più evidenti segni del forte legame con gli USA.
A ridosso della piazza principale si trovano la Chiesa del Nazareno, la Chiesa Universale del Regno
di Dio, il Tempio dei Testimoni di Geova, la Chiesa del Razionalismo Cristiano, mentre la Chiesa
Cattolica si trova in posizione leggermente defilata.
La storia di Vila Nova Sintra è legata al mare e alla migrazione. Dal porto di Faja d‟Agua
partivano le baleniere che reclutavano marinai capoverdiani, uomini che il più delle volte
rimanevano a vivere a Boston dove si facevano poi raggiungere dalle proprie famiglie, costituendo
una nuova comunità.
Personaggi cardine per la ricostruzione della storia dell‟isola sono stati per me il proprietario
di Casa Mansa, il figlio del capitano del Palhabote Matilda affondato negli anni 50 in uno
sfortunato viaggio verso l‟ America, e il proprietario della Pensão Paulo, Paulo Sena. Paulo Galdino
Burgo de Sena, è il punto di riferimento di tutta la comunità nell‟organizzazione delle Festas
Juninhas . Le donne del paese si riuniscono nel quintal della Pensão per preparare la catchupa 32 ,

32
La catchupa è una zuppa molto densa e sostanziosa, a base di mais, fagioli, manioca, patata dolce, cavoli, erbe
aromatiche, carne o pesce. Prevede un tempo di cottura molto lungo, dalle quattro alle sei ore, e diviene momento di
aggregazione delle donne nei piccoli paesi dell‟interno, un momento buono per raccontare e raccontarsi. I resti della
catchupa si usano il giorno seguente per fare la catchupa guisada, ovvero saltata in padella e coronata con uovo fritto e
salamino (chourizo).

118
ma soprattutto i coloratissimi dolci che il signor Paulo mette ben in mostra nel suo piccolo
ristorante fino alla festa di São João.
Le feste dei santi di giugno sono il momento in cui l‟isola cambia volto e in cui si riempie di
una tipologia particolare di turisti, i bravesi che sono emigrati in America. Ho deciso, dunque, di
svolgere la ricerca sul campo proprio in questo periodo in modo da cogliere al meglio i
cambiamenti dell‟isola.
Per i bravesi l‟unica via di fuga alla povertà era ed è ancora l‟immigrazione. Le baleniere
americane si spingevano fino alla isole di Capo Verde e spesso approdavano nel Porto di Faja
d‟Agua. Molti si imbarcavano sulle navi per brevi viaggi, altri per viaggi che dovevano durare una
vita. Boston, in Massachussets, è la città americana con la più grande comunità capoverdiana,
perché era da lì che partivano le baleniere ed è lì che molti hanno ricostruito la loro vita. Un viaggio
allora pericoloso e, come accade a tanti clandestini di oggi, molti venivano inghiottiti dal mare,
mentre tentavano di raggiungere l‟America con imbarcazioni di fortuna. La storia del Palhabote
Matilda è una di queste, ed è considerata a Brava una sorta di mito fondativo. Ancora oggi si può
avere la fortuna di sentirne il racconto da un testimone diretto, Henrique Monteiro Rosa detto
Henriquinho, il figlio del capitano della nave Henrique Duarte Rosa (Henrique Lola).
Henriquinho ha corso il rischio di non poterla raccontare la storia del palhabote: si salvò dal
naufragio solo perché per paura riuscì a fuggire all‟imbarco, con la scusa di andare a comprare dei
frutti per il viaggio. Henriquinho, che oggi ha quasi 80 anni, si ricorda purtroppo molto bene quel
26 agosto del 1943.
L‟emigrazione, conferma Henriquinho, era l‟unica alternativa alla miseria e chi non poteva
trovare una barca per salpare verso l‟America, cercava di costruirla, anche con mezzi di fortuna.
Così il padre, che non era un marinaio sprovveduto, anzi aveva già molti anni di navigazione alle
spalle, costruì un palhabote, un piccolo veliero e con una quarantina di persone, nella notte del 26
agosto del 1943, salpò verso l‟America.
La piccola nave, però, afferma Henriquinho, sembrava imbarcare acqua già prima della
partenza , ma nessuno diede ascolto al ragazzo, che ora sente il rimorso di non essere stato capace
di convincere i marinai del pericolo. La nave salpò comunque e Henriquinho racconta come la
mattina fosse ancora possibile vedere dal porto di Faja d‟Agua la barca all‟orizzonte.
La storia del palhabote Matilda è solo la più triste di molte altre. Ogni famiglia ha almeno un
parente in America e tutte le persone che ho incontrato raccontava dell‟attesa dell‟arrivo di un
fratello o di un amico per le Festas Juninhas, per matar sodade, e poi ricominciare l‟attesa per un
lungo anno.

119
Brava è uno scrigno di storie che si perdono nel passato, un luogo dove è bello fare ricerca,
in cui il forasteiro è ancora una persona da accogliere e far sentire in famiglia, e a cui mostrare la
propria cultura e la musica. Visitando i paesi di Cova Joana, Nossa Senhora do Monte, Cachaço,
niente più che un pugno di case tenute insieme dalla strada che le collega, mi è capitato spesso di
essere accolto in casa per un piccolo spuntino, per un bicchiere di grogue o per ascoltare una morna
suonata dai tanti violinisti dell‟isola della musica.
Brava è anche l‟isola delle piccole imprese riuscite, come quella di Antero de Pina,
proprietario della merceria Casa Mansa. Ovunque a Vila Nova si trovano le piccole botteghe con il
nome Casa Mansa, e tutti conoscono e stimano Nho Tei, forse il più anziano dei commercianti
dell‟isola. Ormai anziano, Nho Tei, siede spesso sull‟uscio della prima delle sue botteghe, ed è li
che ho avuto la fortuna d‟incontrarlo e di farmi raccontare la sua storia.
Nho Tei racconta di aver iniziato molto povero, come semplice venditore ambulante; andava
casa per casa a piedi vendendo mancarras (arachidi) e altri prodotti della terra. Con i primi
guadagni si comprò una moto per la vendita a domicilio e da lì iniziò la sua fortuna. E‟ padre di
sette figli tutti residenti negli USA, forse proprio la loro assenza, afferma, lo porta a trattare tutte le
persone come dei figli.
Gli chiedo di spiegarmi da dove nasce il nome “Casa Mansa”. Il nome, racconta, fu
attribuito da un padre cappuccino che quando andava a visitarlo usava dire alle persone: “ai
descansar naquela casa mansa, lugar onde encontrava paz e sossego”.
Oggi il nome Casa Mansa è un nome rispettato, e Antero, che può considerarsi ricco,
appoggia finanziariamente alcune piccole iniziative della Camara Municipal. Non è ancora il caso
di Brava, a suo parere però, il tempo delle piccole lojas e dei mini mercados, da sempre il cuore
dell‟economia dei piccoli paesi, è ormai passato e il guadagno non è più lucrativo, la gente non
vuole più comprare un sacchetto di mancarras o un casco di banane. Preferisce comprare quantità
maggiori e si rivolge ai negozi più grandi, come accade a Praia, o nei negozi cinesi dove il prezzo è
molto più basso. Il suo negozio a Brava viene quasi considerato un museo, un luogo da difendere
dalla modernità che avanza.
Paulo de Sena e Antero Monterio sono un esempio di chi ce l‟ha fatta anche senza andare
via dall‟isola, ma ci sono storie più tristi come quella di Enrico Lomba, che diventato in America
pastore battista, è tornato sull‟isola con l‟idea di aprire un ristorante e un piccolo negozio di
souvenir “veri”, e che dopo un mese ha dovuto chiudere il ristorante “troppo americano per la gente
dell‟isola”, e anche il mini mercado, di cui io sono stato l‟unico cliente.
Brava sta cambiando, anche se con molta lentezza, e come le altre isole dell‟arcipelago, da
isola d‟emigrazione è divenuta isola d‟immigrazione. Molti che hanno fatto fortuna negli USA

120
ritornano nell‟isola per trascorrervi gli anni della vecchiaia , divenendo per un certo periodo più o
meno lungo degli outsiders bisognosi di recuperare i legami con l‟isola e con la popolazione. In
alcuni casi devono reinventarsi una nuova vita, dei nuovi legami perché tutte le persone che
conoscevano non risiedono più nell‟isola, e ancora più difficile è la ricostruzione di una vita per chi,
come i figli degli emigranti, non parla il creolo o il portoghese. Brava è un isola, quindi, che solo
apparentemente sembra chiusa al mondo, in realtà le Festas Juninhas fanno si che anche qui esista
un forma speciale “turismo estivo”, legato proprio ai capoverdiani che ritornano nell‟isola per
passarvi le ferie estive e rendere sempre più forte il legame con gli States.
Il culmine delle feste del mese di Giugno è il 24 giugno festa di São João Baptista, ma
l‟intero mese è consacrato alla commemorazione di vari santi nelle diverse località dell‟isola, San
Pietro, Sant‟Antonio, Santana (Sant‟Anna) e Santa Elena. La festa di João Baptista riunisce tutti da
ogni punto dell‟isola e della diaspora capoverdiana. Come ogni festa dei santi a Capo Verde, anche
la festa di São João inizia con il pilão nella casa del festeiro,in questo caso Paulo de Sena, con la
preparazione dello xerem che sarà confezionato per il pranzo del 24 di Giugno. Le donne al suono
della coladeira cucinano il cibo per la festa che ha il suo culmine nella sera di São João, quando un
corteo lascia la casa del festeiro con in testa la bandiera del Santo e raggiunge cantando e ballando
la Chiesa. Un secondo corteo parte la mattina seguente sempre dalla casa del festeiro verso la
Chiesa dove dopo la funzione religiosa finalmente tutta la comunità può assaggiare le pietanze
preparate dal patrocinatore della festa.
Negli ultimi anni Paulo Sena si è preso l‟onere e l‟onore della preparazione della festa, ma
spesso sono famiglie di emigrati ritornati dagli USA a ricoprire il ruolo di festeiro, ma in altri casi
ce su altre isole, come ad esempio sull‟isola di Fogo, ogni anno una diversa famiglia si accolla gli
onori e gli oneri della preparazione della festa.
A Vila Nova Sintra tutto ricorda gli States , dalle case su cui sventolano le bandiere a stelle e
strisce fino agli usi e costumi. Allo straniero i bravesi parlano direttamente in inglese prima che in
portoghese , perché tutti quanti in un modo o nell‟altro sono stati, o conoscono qualcuno che è stato
“ na Merica“.
Da Maggio e Settembre, quindi, Vila Nova Sintra e Brava rivivono. Il piccolo porto di Furna
diviene ancora una volta il luogo di gioiosi arrivi e strazianti partenze e anche nei piccoli villaggi la
vita si riempie di colori e musica di mornas e poesie.
Brava è l‟isola dei ritorni, e non solo di quelli felici.
Henrique Goncalves è un altro che non ce l‟ha fatta. Dopo quasi vent‟anni di lavoro è stato
“deportato” a Brava a causa di problemi con la giustizia americana. Ha lasciato negli States moglie
e figli che non l‟hanno voluto seguire nel regresso. Tutto questo è successo nel 2000 e non è l‟unico

121
in quell‟anno ad essere stato costretto a ritornare perché espulso dal paese in cui ormai viveva da
anni, sono in tanti a Brava e il fenomeno ha creato non pochi problemi nella vita quotidiana della
piccola isola.
Un fenomeno molto recente sta interessando Capo Verde e Brava in particolare quello dei
“retornados”. Si tratta di quei capoverdiani che vennero mandati coattivamente dal regime
salazarista nell'arcipelago di São Tome e Principe (i contratados) a lavorare nelle piantagioni,
persone per lo più anziane, o figli di capoverdiani vissuti a São Tome, che di fronte alla crisi
economica, sociale e politica che vive il piccolo arcipelago equatoriale fanno ritorno in patria, alla
fine del caminho longi più poveri di prima. A Brava è possibile incontrarne molti, il governo,
infatti, ha in qualche modo deciso di “confinarli” sull'isola dei fiori, forse nel tentativo di
dimenticarli. E' facile incontrali nella piazza intitolata al poeta e musico Tavares, con in mano una
tesserina intenti a raccontare per l‟ennesima volta la loro triste storia sperando di ottenere qualcosa
in cambio.
Zezinha Chantre, una delle figure più importanti nel panorama della cooperazione
internazionale capoverdiana, in un‟intervista, ha sottolineato la drammaticità del fenomeno,
evidenziando come il governo capoverdiano non riesca a farsi carico di tutti, e di come questa gente
abbia bisogno davvero di tutto, vittime due volte di una doppia esclusione, dal paese in cui hanno
vissuto e da parte del paese di cui sono nati.
Sempre a Brava è possibile incontrare un altro gruppo di emarginati, coloro che, in questo
caso soprattutto giovani, sono stati considerati indesiderabili in alcuni paesi di storica immigrazione
capoverdiana ( come gli Usa e l‟Olanda ), e rispediti in patria senza soldi, senza una lavoro e un
futuro. Anche a Brava, quindi, dietro il cappello di nubi che ricopre Vila Nova Sintra si vive il
contrasto con la realtà di un mondo in divenire, anche se i legami di solidarietà tra capoverdiani si
mantengono molto più forti che in altri luoghi dell‟arcipelago.

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4.3 Fogo: il ritorno del luogo etnologico- Cha das Caldeiras. Il fenomeno dei do gooders,
medici e vacanze solidarie

Figura 8: Isola di Fogo

Se Brava è l'isola in cui il turismo è ancora un‟eccezione, il viaggio in questa crescente


complessità del ruolo del turismo nelle isole Sotavento ci porta alla vicina isola di Fogo. Fogo è
davvero un‟isola complessa, perché racchiude non solo una serie di rilevanti diversità geografiche,
ma anche culturali e sociali.
Conosciuta come l‟”isola del vulcano”, l‟isola è caratterizzata da una singolare orografia , di
forma conica, il cui elemento principale è, appunto il vulcano, con i suoi 2.829 metri di altezza. E‟
un‟isola con un terreno molto fertile e Cha das Caldeiras, il luogo principale in cui si è svolta la
ricerca, con 8 km di diametro, è caratterizzato da un microclima che permette la produzione di un
particolare vino il Manecon, conosciuto e apprezzato anche fuori dall‟arcipelago.
Con una popolazione di circa 38.000 abitanti distribuita in 3 concelhos, si caratterizza, come
la vicina isola di Brava, per un forte legame con l‟emigrazione. Al momento della ricerca disponeva
di 10 hotel, mentre 6.699 turisti avevano visitato l‟isola nel 2008 .

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São Felipe, il capoluogo, una delle prime ad avere il titolo di Cidade insieme a Praia, non è
da meno di Vila Nova in quanto a cultura, anzi da molti capoverdiani, soprattutto delle Sotavento,
viene considerata il cuore della cultura e della tradizione capoverdiana. Nei suoi Sobrados e nei
Funcos e nella dialettica tra i due mondi, come rivelato da Gabriel Mariano è nata la cultura crioula,
e ancora adesso nell'isola è possibile respirare un aria differente che neanche nella cosmopolita
Mindelo si riesce a trovare.
A São Felipe, la città nobile, è stato creato forse il più completo e moderno museo di Capo
Verde ( il Museo Municipal) che narra la storia dell‟isola e del popolo della caldera. Questo museo
non è però il primo ad essere stato creato a São Felipe. Già da qualche anno, infatti, in uno dei
Sobrados che la Camara Municipal ha acquisito, è stata allestita, ad opera della Dr.ssa Monique
Widmer, la Casa della Memoria dove viene ricostruito il passato di Fogo e di Capo Verde
attraverso la raccolta di oggetti tradizionali, foto, testimonianze, libri rari e in cui è ricostruita passo
dopo passo la storia del Vulcano e di Cha das Caldeiras.
Monique Widmer, una studiosa svizzera di quasi sessant‟anni, rappresenta uno dei pochi
casi in cui lo straniero è riuscito a dare un impulso alla rinascita o alla conservazione del patrimonio
culturale capoverdiano. Con una pazienza certosina e grazie all‟aiuto di chi visita il suo piccolo
museo, è riuscita a raccogliere testi in più lingue, introvabili, nonché una serie di articoli tratti dal
Boletim de Cabo Verde, una pubblicazione del governo coloniale di difficile reperimento.
Proprio in uno dei numeri della rivista è ospitato un interessante articolo in cui già negli anni
cinquanta del secolo scorso si ragionava sul futuro turistico dell‟isola. Sul Boletim de Cabo Verde n.
5 del Febbraio 1950 Augusto Melo afferma che : “ è l’ora in cui Capo Verde pare risorgere
dall’inerzia in cui è vissuta finora”. Melo indica con entusiasmo la costruzione dell‟aeroporto
sull‟isola di Sal, la realizzazione a Praia di una stazione radio e la futura realizzazione a São Felipe,
grazie al contributo dei capoverdiani residenti in America, di un porto in grado di consentire
l‟ingresso di grosse navi. Già in questo articolo si ipotizza la costruzione di strada carrozzabile per
il vulcano considerato “magnifico ponto de turismo … farol que vira a iluminar o resurgimento de
Cabo Verde”.
Già nel 1950 quindi , qualcuno vedeva nel vulcano una risorsa anche se si dovrà attendere
l‟inizio del 2000 per vedere l‟inizio della realizzazione dei primi insediamenti turistici a Cha das
Caldeiras. La Casa da Memoria si è rivelata un luogo importante per la ricostruzione del passato
recente di Fogo e di Cha das Caldeiras. Non c‟era giorno che Monique Widmer non mi proponesse
un nuovo libro o una nuova idea. Proprio in questo piccolo e prezioso museo, ho avuto la fortuna
d‟incontrare una ragazza di Cha das Caldeiras che, durante il periodo della ricerca sul campo a
Fogo, due volte la settimana lasciava il piccolo paese per lavorare presso la Casa da Memoria. V. è

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stata il “gate keeper” che mi ha introdotto nella conoscenza del popolo del vulcano. Attraverso la
sua guida e i suoi racconti, ma anche grazie alle storie raccontate da Paolo Fattori coordinatore del
progetto Cospe, ho iniziato a ricostruire la storia di Cha das Caldeiras.

4.3.1 Il coraggio di convivere con il Vulcano: Cha das Caldeiras

Cha das Caldeiras è un luogo etnografico, un luogo nel mondo e fuori dal mondo in cui
vivono persone che hanno scelto di vivere al limite della modernità pur vivendoci dentro. Per
arrivare alla caldera ci vogliono circa due ore di minibus e non c'è un servizio regolare, solo una
corsa al mattino e una alla sera, quando chi lavora a São Felipe scende e ritorna sul Vulcano. Per
salire il turista paga anche fino a 60 euro, il capoverdiano, invece, aspetta pazientemente lungo la
strada che qualcuno salga verso il vulcano e gli dia un passaggio.
A Cha esistono due posadas, la cooperativa vinicola gestita dal Cospe, ONG italiana tra le
più positive nel panorama della cooperazione internazionale, e poche centinaia di persone che
vivono nei due paesi ai margini della caldera, producendo e vendendo i prodotti della fertilissima
terra vulcanica. Sopra di loro, la cima del vulcano attivo che minaccia nuove eruzioni.
La ricerca etnografica nel paese di Cha si è svolta principalmente nei mesi di giugno - luglio
2009 con una residenza continuata in una delle case affittate ai turisti, vivendo in tutto e per tutto la
vita quotidiana della gente del vulcano, per cercare quel contatto con la gente e con la vita di campo
tradizionale che mi era mancata nella prima parte della ricerca. Nella ricerca svolta sulle isole di Sal
e Boa Vista mi era mancato, infatti, quello che era lo spirito che emergeva dalla lettura delle note di
campo degli antropologi che hanno fatto la storia dell‟antropologia in contesti “selvaggi”.
Quando parliamo di Cabo verde le prime immagini che vengono al nostro spirito sono il
mare , le spiagge e il sole. Ma Capo Verde è, per la sua genesi, una destinazione turistica che offre
prodotti diversificati, e Cha costituisce senza dubbio una delle migliori attrazioni turistiche. Cha
rappresenta l'”anima “ dell'isola di Fogo, una terra in cui vive una popolazione che si differenzia
dalle altre fin dalle sue origini. Si tratta di un nucleo di popolazione che, per la sua specificità,
costituisce una “reliquia” di resistenza degli uomini e donne sulle avversità dell'ambiente.
La cultura locale, la forma di “estar na vida” dei residenti, l'imponente vulcano sempre
presente, sono risorse endogene che se ben sfruttate possono garantire la sostenibilità di una delle
attività economiche che sempre più dovrà essere il volano dello sviluppo dell'isola: il turismo di
montagna.

125
4.3.2 Note storiche

Figura 9: Mappa di Cha das Caldeiras

Cha das Caldeiras è situato a 1.700 mt sul livello del mare e occupa un pianoro di 8 km di
diametro. Per tre quarti dei suoi confini è protetta dalle rocce (la Bordeira) che in alcuni punti
raggiungono 1000 metri di altezza . E‟ dominata dal Pico che raggiunge i 2829 metri di altezza, il
punto più alto di Capo Verde. Arrivandovi con un pulmino sembra di attraversare un paesaggio
lunare. Bangaeira fu il primo sito ad essere occupato ed è la località più popolosa, anche se non
dispone di grandi infrastrutture collettive. Esiste solo un asilo costruito prima dell‟eruzione del
1995, rimodellato e ampliato dai Cappuccini nel 2006. Portela dispone di un polo di insegnamento
elementare integrato formato da tre aule, una costruita prima dell‟indipendenza e due dopo
l‟eruzione del 1995, un posto di pronto soccorso, un campo di calcio, e due chiese una cattolica e
una avventista. Boca Fonte occupa una parte di Cha das Caldeiras , ma fu completamente distrutta
dall‟eruzione del 1995. Cova Tina è una piccola località abitata da appena una famiglia.
Le fonti storiche (Carlos Alberto de Carvalho storico e archeologo di São Felipe),
confermano che l'isola di Fogo fu una delle prime ad essere popolata da proprietari provenienti dalla
vicina Isola di Santiago già nel sec. XV. L'agricoltura e soprattutto la coltivazione della mandorla, e
la produzione del famoso “pano” dell'Isola di Fogo, furono il principale impulso allo sviluppo.
La società foguense era basata sulla schiavitù, e l'architettura dominante nei suoi centri
principali e le tradizioni culturali, sono ancora oggi , la testimonianza della formazione di questa
società. Il popolamento di Cha costituisce, però, una storia a parte. Il suo popolamento deriva quasi

126
del tutto da un'unica discendenza, il Conte Armand Montrod conosciuto come “Armand de França”,
il cui arrivo a Fogo è ancora avvolto nel mistero.
Originario di una famiglia aristocratica della regione di Lione, Armand de Montrod nasce
nel 1836 e arriva a studiare fino al terzo anno di medicina. Uomo colto, fortunato e di buona
famiglia, le fonti storiche non riescono a comprendere i motivi per cui decise di vivere a Fogo e
specificatamente su Cha das Caldeiras. Secondo alcuni si era rifugiato nell‟isola a causa della sua
partecipazione alla Rivoluzione del 1848, ma è molto improbabile vista l‟età. Secondo altri
semplicemente sfuggiva, per qualche motivo, alla giustizia francese.
Prima di arrivare a Fogo il Conte si fermò a Lisbona per preparare il viaggio e s‟imbarcò su
una nave con destinazione l‟America del Sud o Africa del Sud. La nave delle linee inglesi
usualmente si fermava a Porto Grande di Mindelo per fare rifornimento di acqua e carbone,
probabilmente fu proprio da Mindelo che decise di andare a vivere il resto della sua vita a Fogo.
La sua intelligenza e cultura gli permettevano di fare cose che per i nativi sembravano
magiche, ecco perché da molti veniva considerato un mago o un feticeiro. Montrod fu un
antesignano della “cooperazione allo sviluppo”. Comprò, infatti, dei terreni nella parte centrale e
montagnosa dell‟isola e iniziò la coltivazione di caffè, arance, uva, e introdusse il fagiolo nell‟isola.
Avendo anche cognizioni di ingegneria aprì la prima via verso Mosteiros con suo sforzo economico
personale di 2 mila e 500 reis. Grazie alla sua formazione, ma senza equipaggiamenti e medicine,
curò molte malattie grazie alla conoscenza delle piante medicinali.
Ebbe tre mogli, una di São Felipe, una della località di Baluarte, e una terza di Achada
Matriz, da cui ebbe molti figli che successivamente alla sua morte “occuparono” la caldera. Questo
uomo viene considerato con orgoglio “il padre” di quasi tutti gli abitanti della caldera, che ostentano
quasi tutti il cognome Montrod. Anche chi non ha il patronimico Montrod, rivendica attraverso la
declamazione del proprio albero genealogico, l‟appartenenza all‟antenato comune. Cha è anche il
luogo in cui vivono tra i più fotografati bimbi di Capo Verde, quei bambini con carnagione chiara e
occhi verdi che tradiscono chiaramente l‟origine europea.
La grande famiglia Montrod racconta con orgoglio le proprie storie vissute pericolosamente
sotto l‟ombra del vulcano, rivendicando il loro legame con il Pico, croce e delizia della vita nella
caldera.
Il popolamento di Cha das Caldeiras come già sottolineato, iniziò nel periodo delle piogge
(luglio e agosto) dell‟anno 1917. Prima di allora la Caldera era uno spazio pressoché vuoto,
occupata stagionalmente solo da pastori, per via della presenza di due fonti d‟acqua. Nonostante la
presenza di falde acquifere, però, il popolamento era reso difficile in quanto, soprattutto nella

127
stagione invernale, l‟accesso al sito era quasi impossibile a causa della bassa temperatura. Era
quindi più che altro un luogo di passaggio tra Mosteiros e São Felipe.
La storia precedente al 1917 viene raccontata attraverso le eruzioni del Pico. Sono questi
fenomeni fisici a segnare, da sempre, il calendario di chi vive sul vulcano.
Se si eccettua la notizia della prima scalata al Pico da parte di uno spagnolo nel 1826, le
eruzioni del 1847,1852, 1857 sono le uniche notizie che si possono rinvenire su Cha fino al 1912,
anno in cui iniziano i lavori per la canalizzazione dell‟acqua sorgiva che doveva servire la zona di
Cova Figueira fino a São Felipe. E‟ quella l‟occasione anche per i primi sondaggi sui terreni al fine
di tentare uno sfruttamento agricolo della zona.
Nel 1917 i primi abitanti occupano definitivamente Cha. Si tratta di quelli che nella breve
storia del villaggio sono considerati quasi degli antenati mitici per la popolazione ivi residente e che
ricorrono spesso nei racconti della gente della caldera: Manuel da Cruz Montrod, Miguel Montrod
e Domingos Fernandes.
Il 1933, è un‟altra data che ricorre frequentemente nei racconti. L‟amministratore del
municipio, Agnelo Adolfo Henriques, obbligò la gente di Cha a pagare una tassa per il pascolo del
bestiame che la popolazione della piccola comunità vulcanica si rifiutò di pagare. Per riportare
l‟ordine venne inviato un battaglione di uomini ben armati sotto la guida del sergente Ramos
Pereira che fece ben 20 prigionieri per disobbedienza. Di questi, 16 passarono 3 giorni in carcere a
São Felipe e poi ritornarono di nuovo nella caldera, mentre nove furono deportati nell‟isola di
Santiago dove rimasero sei mesi per lavori forzati nella località di São Jorge de Orgãos.
Nel 1951 una nuova eruzione vulcanica distrusse tutto il sistema di canalizzazione
dell‟acqua sorgiva tanto che ancora oggi la capacità della fonte è in grado appena di soddisfare i
bisogni di una sola famiglia. Nel 1955 iniziarono i lavori per la costruzione della scuola e della
strada. La prima entrò in funzione nel 1970 mentre la seconda venne inaugurata nel 1974.
Nel 1995, l‟ultima grande eruzione vulcanica colpisce la caldera e la vita per i popolo del
vulcano deve ricominciare nuovamente. Quelle che seguono sono le storie di vita del popolo della
caldera successive all‟ultima terribile eruzione, una nuova nascita dalle ceneri, come la fenice.

.3.3 Le storie di Cha

La ricerca presso il paese di Cha si è svolta nel mese di luglio 2009. Avevo trovato alloggio
nella stanza messami a disposizione da Dona Audilia, una delle affittacamere legate al Cospe.
Vivere a casa di Dona Audilia, mi ha concesso di entrare senza limiti nel campo, la scelta di vivere

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come il “popolo di Cha” , infatti, mi portava a rompere quel muro che spesso si era creato tra il
ricercatore da una parte e il “nativo” dall‟altra.
Dal Diario di Campo:

“ Sto cercando di entrare nell‟animo della gente della caldera, cercando di comprendere il perché
della loro voglia di vivere comunque ancora oggi senza elettricità e senza acqua corrente[ …] Inizio
a comprendere meglio il perché di questo rapporto simbiotico con il Pico, la sua presenza è ovunque
terribile ma al tempo stesso fraterna rassicurante […] la vita qui ha ritmi antichi inizia e finisce con
la luce […] la sera mi ritrovo nel buio davanti al fuoco del forno che produce il pane a guardare
Donna Audilia e le sue figlie cucinare nel funco (la cucina) che come nelle nostre vecchie case di
campagna è esterno alla casa, intorno è tutto silenzio solo il suoni di una natura incontaminata …”

Molte delle storie di vita che sono raccolte in questo paragrafo mi sono state raccontate
direttamente, altre de relato dalla signora Audilia che si è rivelata un vero scrigno di conoscenze,
come molti degli anziani della Caldera.
Antonio Teixeira Montrod conosciuto come Ntoninho Tchicha, al momento della ricerca
aveva 88 anni ed era da considerarsi il più anziano abitante di Cha. Originario della località di
Bombardeiro, piccolo villaggio sul mare vicino a Vila de Cova Figueira, nel 1924, ad appena
quattro anni, passò a risiedere in Cha das Caldeiras unitamente ai suoi fratelli paterni. Conserva
molte memorie di quel tempo lontano, in cui Cha das Caldeiras contava appena 12 -15 abitanti che
vivevano di agricoltura.

“La popolazione viveva in grande isolamento, coltivando le piccole parcelle di terreno al limite della
Bordeira e piccole fasce di terra che sorgevano dalla lava[…] la vita era difficile. Le persone
vivevano isolate e raramente avevano contatto con gli abitanti di altre località per la mancanza di
strade che permettevano l‟accesso ai carri. Solo nel 1974, alla vigilia dell‟indipendenza nazionale,
Cha iniziò ad uscire fuori dall‟isolamento con la costruzione dell‟unica strada che ancora adesso la
lega a São Felipe e solo quattro anni dopo iniziò a funzionare la scuola primaria”

In passato, ricorda Ntoninho Tchitcha, gli abitanti di Cha das Caldeiras furono visti come
“rebeldes” o “fora de lei”, per via della ribellione contro il pagamento della tassa sul bestiame. Su
Cha si narravano molte leggende, e nel 1933 iniziò a diffondersi la notizia che erano nati tre gemelli
parenti di Armand Montrod, che era visto all‟epoca ancora come un mago o un divinatore.
Ntoninho racconta che il suo avo, Armand Montrod fu deportato a Capo Verde unitamente ad altre
persone e sbarcò nel porto di Faja vicino a Vila de Cova Figueira, che aveva una fonte di acqua

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frizzante. Successivamente Armand Montrod visse a Casina vicino Bombardeiro e ancora a Vila de
Cova Figueira.
Ntoninho mi fa notare la mancanza del cimitero a Cha. Questo è dovuto al fatto che la
costruzione successiva all‟indipendenza fu considerata impropria visto il carattere freatico della
roccia e per l‟impermeabilità del terreno che non consente la sepoltura.
Nel corso dell‟intervista e successivamente nei giorni seguenti ho l‟opportunità di visitare
quelle che vengono considerate le case tradizionali del “popolo della Caldera” i Fontelexo, o
Funcos, costruzioni rudimentali in pietra lavica con terreno in terra battuta, coperti di paglia di stile
rettangolare o rotondo con copertura conica. Il funco era quasi sempre separato dall‟abitazione, ed è
sempre rotondo, alcuni di questi sono stati adattati e ora è possibile dormirci.
Manuel Socorro Montrod conosciuto come Socorro, è invece, uno dei primi nati a Cha. Al
momento della ricerca aveva 76 anni. Tutta la sua vita è stata legata a questa località che fu
“scoperta”, racconta, dal suo nonno, Manuel da Cruz Montrod, il primo abitante in assoluto di Cha
das Caldeiras, che rimase incantato dalla sua bellezza naturale, dal microclima esistente e ebbe
percezione della grande potenzialità dell‟agricoltura locale. Nel 1917 il nonno di Socorro si trasferì
unitamente ad altre due persone a Cha. Nene de Nhana si installò nella zona chiamata “Dje di
Lorna”, Domingos Fernandes nella zona di Portela dove ancora oggi predomina il cognome
“Fernandes”, mentre Manuel e Miguel Montrod a Bangaeira, dove ancora oggi la presenza dei
Montrod è predominante.
Socorro incarna e personifica quello che è il “carattere” degli abitanti della Caldera :
“estroverso, sempre di buon umore, che ricorre spesso a parabole e comparazioni per spiegare la
vita nella caldera”. Nonostante abbia vissuto e sia sopravvissuto a due eruzioni è sempre tornato a
vivere nella Caldera per il rapporto che lo lega con il suo “amico” Vulcano, che compara ad un
uomo. “Il vulcano è vivo e quando ha lo stomaco pieno necessita di vomitare, per questo ci sono le
eruzioni”. Questo legame quasi fisico con il vulcano non è solo peculiare di Socorro, ma di tutti gli
abitanti della Caldera che sentono il Vulcano come parte della “famiglia”, della quotidianità, tanto
da non poter pensare una vita senza la sua presenza.
Berta da Silva, di anni 79 al momento della ricerca, racconta quanto era difficile la vita nei
primi anni a Cha : “c’era molta miseria, le donne vivevano di raccolta di legna e di carbone che
venivano venduti a Mosteiros per l’acquisto di prodotti di prima necessità”. Quando arrivavano le
piogge (a epoca de azagua) lavoravano nei campi per la sementeira. Le donne in genere lavoravano
anche più degli uomini e si ammalavano molto di più.
Daniel Montrod , 74 anni al momento della ricerca, ricorda i racconti del padre: “Nel 1933 la
vita era difficile, Cha era una comunità isolata, il governo coloniale non aveva interesse al suo sviluppo così

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non costruì una strada né una scuola, l‟unica soluzione per chi vi viveva era tenere a bada gli animali e
lavorare nell‟apicoltura … il ricino divenne la principale fonte di rendita …”
L‟orgogliosa comunità montana nella prima decade degli anni trenta si ribellò al pagamento
delle tasse e alcuni abitanti furono incarcerati. L‟imprigionamento del 1933, narra Daniel, era legato
a una informazione destituita di fondamento, secondo la quale la “nazione francese” aveva
intenzione di conquistare Cha das Caldeiras. La liberazione dei prigionieri avvenne solo grazie
all‟influenza di persone vicine alla famiglia Montrod che spiegarono al governatore cosa realmente
succedeva a Cha.
Viriato Fernandes, è uno degli eredi del primo Fernandes arrivato sulla caldera nel 1917, è
nipote di una delle mogli di Armand Montrod, e dall‟età di 14 anni risiede a Cha. Avendo studiato
fino alla quarta classe fu il primo ad aprire un piccolo centro per i bambini che non potevano
permettersi di andare a studiare a Cova Figueiras o a Mosteiros. Racconta il motivo per cui iniziò la
costruzione della strada nei primi anni 50. Si racconta che una persona di Pico, piccola località
facente parte di Cha das Caldeiras, all‟epoca delle piogge stava tornando al suo posto di lavoro in
compagnia della moglie e del figlio. Dirigendosi verso Monte Velha furono sorpresi dalla pioggia e
non riuscendo più a tornare indietro finirono per morire di freddo.
Januario Fernandes Fontes, racconta di come ci volessero fino a tre giorni di cammino per
arrivare a São Felipe. Il trasporto del ricino era assicurato dalle donne, solo con la costruzione della
strada tutto cambiò.
Eugenia Montrod (73 anni al momento della ricerca) conferma che il carico veniva portato a
valle dalle donne che lo trasportavano, come ancora accade in parte oggi, sulla testa:

“la vita era molto più difficile che adesso, non avevamo scarpe né vestiti per proteggerci dal freddo,
l‟orologio era il gallo, e al suo primo cantare le donne si alzavano per iniziare a pulire la casa. Per
l‟illuminazione si utilizzavano candele tradizionali come “cafuca” e per cucinare la legna o il
carbone. Fino agli anni 80 erano poche le famiglie che disponevano di un sistema di raccolta delle
acque piovane o cisterne familiari”.

David Gomes detto Neves, è uno dei personaggi più importanti a Cha, è, infatti un tecnico
agricolo e uno dei produttori di vino nonché presidente dell‟Associazione dei viticultori di Cha das
Caldeiras creata sotto l‟impulso della ONG Cospe e di cui si parlerà tra breve. Nacque sei mesi
prima della violenta eruzione del 1951, studiò ad Achada Grande , Mosteiros e Cova Figueira,
frequentò nell‟isola di Santiago la Scuola d‟Agricoltura. Successivamente fece il servizio militare in
Portogallo e nei successivi due anni fu inviato in Angola. Dal 1974 Neves è funzionario del
Ministero dell‟agricoltura e ha lavorato dapprima a São Lourenço, poi nel perimetro forestale di

131
Monte Velha e ultimamente a Cha das Caldeiras. Con lui e Josè Antonio Fonseca detto Madjer, il
discorso si è soffermato sulla ricchezza agricola di Cha e su quella che è la realtà esemplare del
paese e della peculiare esperienza che si vive nella Caldera.
Il coltivo della vite venne introdotto nell‟isola di Fogo già dai portoghesi all‟inizio del
popolamento. La prima regione agricola dell‟isola era localizzata tra il Monte Tabor, São Lourenco
e Pico Pires situati a nord di São Felipe. Negli anni „20 del secolo scorso nella regione di Cha das
Caldeiras iniziarono a piantarsi le prime vigne.
L‟inizio della produzione del vino nell‟isola risale, comunque, al XVI sec., e nel 1817 il
vino prodotto a Fogo e Sant‟Antão, era già esportato in Brasile. Per evitare la concorrenza con il
vino portoghese il primo ministro del Portogallo, il famoso Marchese di Pombal, fece distruggere
tutte le vigne proibendone la coltivazione e la produzione dello stesso. A Fogo in qualche modo una
piccola produzione venne mantenuta di nascosto.
Per quanto riguarda Cha das Caldeiras, Fortunato Gomes de Pina, detto Nho Tatum,
proprietario di un grosso appezzamento di terreno, non solo introdusse nuove vigne di moscato
bianco probabilmente corrispondente al moscato di Setubal, ma iniziò a produrre un vino rosso
casereccio che venne chiamato “manecon” per il fatto di essere un vino molto forte, e che ancora
oggi viene prodotto da alcuni soci della cooperativa.
Le condizioni climatiche e la fertilità del terreno consentivano la produzione di un buon vino
ma fino al 1960 non c‟erano grandi vigneti. Fu la cooperazione tedesca che negli anni „80 diede un
forte impulso allo sviluppo senza precedenti della frutticoltura, con l‟importazione di vitigni dal
Brasile, dall‟Africa del Sud e dalla Germania, finanziando, inoltre, la costruzione e
l‟equipaggiamento di due cooperative vinicole a Cha das Caldeiras e Achada Grande, La terribile
eruzione del 1995 distrusse però tutto e poco si fece fini al 1998 quando il Cospe iniziò la sua
attività di cooperazione nella Caldera.

4.3.4 COSPE, Cappuccini e Volontari. Il ruolo dei Do—Gooders.

Il COSPE ha avuto e ha ancor un ruolo fondamentale nello sviluppo di Cha das Caldeiras e
nella preservazione della cultura e della tradizione della gente della caldera e questo profondo
legame è emerso in modo evidente durante la ricerca. Un legame costruito in decenni di lavoro
comune e nel rispetto della peculiarità dell‟altro e delle sue tradizioni.
Paolo Fattori, capo progetto del Cospe a Cha das Caldeiras ha chiarito in un‟intervista cosa
s‟intende per turismo rurale e per “turismo solidario”: “… significa, in sostanza , assicurare e

132
rinforzare, attraverso procedimenti formativi contestualizzati, le capacità endogene di autogestire
attività di accoglienza turistica e ottenere , nella migliore delle ipotesi un aumento progressivo del
rendimento delle famiglie in virtù delle nuove opportunità di lavoro”.
La carta in gioco è la seguente: sostenere un processo produttivo dei contesti locali
“desconcentratos”, al fine che il turismo: “diventi la benzina nel motore dello sviluppo di uno
sviluppo sostenibile dell'isola di Fogo”.
L‟attività del Cospe a Cha das Caldeiras inizia nel 1985 con la realizzazione di un progetto
di sostegno alla frutticoltura in collaborazione con l‟Istituto Agronomico per l‟Oltremare . Dal 1988
inizia ad operare gestendo direttamente programmi di cooperazione finanziati dalla Cooperazione
italiana e dall‟Unione Europea, ma è nel 1998 con i primi aiuti ai produttori di vino locali di Cha
das Caldeiras e di Achada Grande, nello sviluppo di nuove tecnologie per la produzione del vino,
che il ruolo all‟interno dello sviluppo economico e sociale dell‟isola di Fogo diviene fondamentale.
Il primo vino ad essere prodotto è il vino bianco “Cha”, dal sapore di cenere, il cui successo supera i
confini nazionali e successivamente il vino rosso e rosé, a cui è seguita la produzione di un vino
passito, e una sorta di “grappa”. Il momento fondamentale di tutta l‟opera è stata la costituzione
dell‟Associazione dei Produttori di Cha, inizialmente formata da appena una decina di soci e che ne
conta adesso più di 100. E‟ il momento in cui si crea la consapevolezza da parte della “gente della
caldera” di poter andare avanti da soli ed è anche il momento in cui i coordinatori del progetto
Cospe decidono di farsi da parte, per lasciare ai veri protagonisti la gestione dell‟intera filiera
produttiva, dall‟imbottigliamento all‟etichettatura delle bottiglie, che ancora adesso viene fatta a
mano in modo da coinvolgere tutta la comunità.
L‟attività del COSPE, però, non si è fermata solo allo sviluppo della produzione vinicola, il
secondo obiettivo, infatti, è stato quello di creare delle strutture che potessero dare l‟impulso allo
sviluppo di un turismo rurale sostenibile nella caldera. Nel 2001 venne effettuato uno studio di
fattibilità e nel 2005 il progetto ottiene il finanziamento e può finalmente iniziare.
Anche se il boom riguarda soprattutto Sal e BoaVista, l‟isola di Fogo vede comunque un
sostanziale incremento di visitatori attratti in particolare dal vulcano. Molti sulla caldera iniziarono
ad organizzarsi e ad improvvisarsi affittacamere, senza grande attenzione al servizio e senza il
necessario legame con gli operatori locali del settore.
Nel mese di maggio del 2007, gli abitanti di Cha das Caldeiras interessati allo sviluppo del
settore turistico (affittacamere, trasportatori, guide) costituiscono con l‟aiuto del COSPE
un‟associazione chiamata Chatour, con l‟obiettivo di creare una strategia comune di lavoro. Il
progetto che prevedeva l‟appoggio e lo sviluppo di un sistema di criteri qualitativi per le strutture di
accoglienza private, prevede anche la costruzione in località Portela del Bar-Ristorante Antares e di

133
un piccolo Bed and Breakfast, Sirio, entrambi gestiti da un gruppo di operatori locali, selezionati e
formati.
L‟esperienza del Cospe è, al momento, una delle poche esperienza riuscite tra le tante
portate avanti dalla cooperazione allo sviluppo nell‟arcipelago, questo perché, pure tra tanti limiti,
ha consentito una partecipazione effettiva della popolazione locale nel progetto, rispettando quelle
che erano le richieste della gente della Caldera, il loro modo di vivere e di essere protagonisti.
Molte esperienze di cooperazione sono invece almeno parzialmente fallite a causa di una visione
paternalista (o maternalista) che sta alla base del rapporto tra i cooperanti e la popolazione locale.
Questa visione dell‟Africa come figlia o sorella minore dell‟Europa da accompagnare nello
sviluppo per poi lasciarla libera di andare avanti da sola, caratterizza in parte un‟altra realtà
importante esistente al momento della ricerca nell‟isola, l‟Ospedale São Francisco creato dai Frati
Cappuccini alcuni anni addietro e che sarebbe dovuto servire ad aiutare “ i fratelli meno fortunati”.
Intorno a questa esperienza e in parte anche a quella del Cospe, ruota la costruzione di stereotipi e
resistenze da parte della popolazione locale nei confronti dei cooperanti.
La storia della presenza dei Frati Cappuccini nell‟arcipelago è una storia che fonda le sue
radici nel periodo coloniale. I Frati Cappuccini piemontesi, infatti, sono presenti a Capo Verde fin
dal 1947 e nel corso degli anni hanno dato vita a numerose iniziative sociali e pastorali. Il primo
gruppo di missionari sbarcò a Fogo e Brava nel 1951 e dovette affrontare come “prova del fuoco”
l‟eruzione del vulcano di Fogo. Nel tempo il Centro Missioni Estere ha realizzato molteplici
progetti. Tra i più importanti si segnalano: la costruzione di case per i poveri ( circa 700 in quasi
tutte le isole dell‟arcipelago), una falegnameria, cisterne per l‟acqua piovana , la creazione di una
Radio a diffusione regionale e un mensile Terra Nova, la costruzione di 20 asili , la realizzazione di
un corso di formazione turistico alberghiera a Fogo, e per ultimo ma solo per epoca di realizzazione
il Centro Socio Sanitario.
Il Centro Socio Sanitario, meglio conosciuto come l‟Ospedale Sao Francisco, nasce nel 1998
grazie all‟opera di un gruppo di medici specialisti che si recano nell‟arcipelago per svolgere un
periodo di volontariato. I volontari offrivano gratuitamente un‟assistenza specialistica che la gente
del luogo difficilmente riusciva ad ottenere dall‟Ospedale Civico di Sao Felipe. Con il tempo nasce
l‟esigenza, da parte degli stessi volontari, di trovare una sede in cui svolgere in modo adeguato il
lavoro di assistenza medica. Il 9 dicembre 2000 a Roma viene siglato un primo accordo poi
perfezionato successivamente con le autorità capoverdiane per la realizzazione di un Ospedale su un
terreno donato da un benefattore del posto. Il progetto va avanti con un certo successo, grazie anche
all‟opera di Padre Ottavio Fasano ideatore e animatore del progetto. L‟Ospedale, nel tempo, si dota
di due sale operatorie, due ambulatori dentistici, un laboratorio d‟analisi e radiologia, e camere di

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degenza per 17 posti letto totali. Inizia ad operare a pieno regime nel 2004 grazie all‟attività di una
trentina di dipendenti e molti volontari.
Al momento della ricerca il territorio del Centro ( che si estende su una superficie di 21.000
mq.) comprendeva, oltre al comprensorio ospedaliero, le segueenti strutture: Casa Madre Teresa di
Calcutta, gestita dalle Sorelle Francescane; Casa S. Clara, la casa che ospita le Suore; Casa Mare e
Casa Oceano, due residenze per operatori e volontari del Centro Sanitario e dell‟Ospedale.
A São Felipe, proprio per via di questo legame forte con i padri Cappuccini piemontesi è
quasi automatica l‟associazione tra l‟essere italiani e l‟Ospedale dei Cappuccini o il Cospe, con i
quali, peraltro, tutti i foguensi che ho incontrato, affermano di aver in un modo o nell‟altro
cooperato. Quando venivo avvicinato da qualcuno, infatti, la prima cosa che mi chiedevano era se
ero italiano, quindi successivamente mi chiedevano se lavoravo all‟Ospedale, o se ero del Cospe,
rilevando come loro fossero molto amici di Padre Ottavio o di Paolo Fattori e si stupivano che non
lavorassi con una delle due associazioni.
Questa identificazione forte tra l‟italiano, la cooperazione, la solidarietà mi ha fatto riflettere
su un recente articolo di Sabrina Minardi sul cosiddetto “turismo solidario” o turismo dei “do-
gooders”, materia ancora non molto approfondita dalla ricerca antropologica (Minardi 2005). Anche
a Fogo i do-gooders , i cosiddetti forzati della bontà , i volontari dell'altruismo, sono sempre più
numerosi, e sinceramente animati dall'entusiasmo di andare in vacanza per provare a rendersi utili.
Si considerano viaggiatori speciali, etici, responsabili e sostenibili, ma spesso non riescono a
comprendere pienamente qual è la portata dell‟impatto della loro presenza sulla comunità in cui
vanno a prestare la loro opera.
Negli ultimi anni, anche nel variegato mondo della cooperazione inizia ad emergere una
domanda: come è possibile essere etici quando tra turisti e locali c'è un gap economico così
evidente? Anche se chi viaggia cerca davvero l‟incontro con i locali, con un atteggiamento alla pari,
è inevitabilmente percepito dai locali come ricco e straniero e riuscire a penetrare fino in fondo in
una cultura anche in questo caso si rivela essere una frustrante illusione. Come avviene in molti
altri casi di cooperazione sanitaria, se si eccettuano i casi di grosse associazioni di cooperazione
come Emergency o Medici senza Frontiere, spesso la permanenza dei medici in loco è limitata ad
appena dieci- quindici giorni, un periodo che i medici sottraggono alle loro ferie per dedicarsi ad
attività umanitarie. Tutto o quasi quindi si basa sulla buona volontà di questi ultimi e sulla capacità
di un piccolo gruppo di persone che opera sul territorio per tutto il periodo del progetto e che funge
da coordinamento.
“C'è una cosa che manca: il tempo. Il tempo è necessario in ogni rapporto, perché diventi
maturo e si trasformi in amore o anche odio oppure indifferenza. E' il tempo ridotto che ostacola la

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possibilità di un incontro vero. Così gli stereotipi permangono. E l'immaginario si autoriproduce”
afferma Aime (2008). E di come spesso sia davvero il tempo il problema del mancato incontro, lo si
evince proprio dall‟esperienza dell‟Ospedale São Francisco a Fogo.
Nonostante l‟opera importante svolta dai volontari dell‟Ospedale Sao Francisco a Fogo,
intorno alla struttura ospedaliera da tempo però giravano voci, illazioni, rumors, confermati da
testimonianze da me raccolte, e da alcune lettere riservate che avuto occasione di leggere per un
caso fortuito, sulla “scorretta” gestione dell‟Ospedale.
In particolare i malumori della gente del posto si focalizzavano su “Le Case do Sol” da
qualcuno definite il Resort di Dio, la cui funzione, almeno originariamente, era quella di
rappresentare una rendita da cui ricavare i fondi per il finanziamento dell‟Ospedale. Le Case del
Sole inaugurate in pompa magna con la presenza del presidente della Repubblica di Capo Verde,
Comandante Pedro Pires, al momento della ricerca, come ho potuto verificare per esperienza
personale, non erano ancora attive e molti avevano il dubbio che, in realtà, potessere avere una
funzione ben diversa dall‟originale. Una conferma di questo viene indirettamente dalla
presentazione del progetto nel febbraio 2010 in occasione della BIT (Borsa Internazionale del
Turismo) in cui le case vengono presentate come un “giusto equilibrio tra turismo e biodiversità
parte integrante di un progetto al cui centro c‟è l‟uomo”.
La cittadella voluta a Fogo da Padre Ottavio comprende, infatti, l‟ospedale, dove le persone
possono ricevere le cure mediche; la vigna e la cantina in cui poter lavorare; un villaggio di case in
cui gli uomini possono incontrare gli altri uomini, che magari vivono altre realtà, in altri luoghi.
L‟intento di Padre Ottavio è di offrire con le Case do Sol, al popolo capoverdiano la possibilità di
sperimentare nuovi incontri sul proprio territorio e al turista la possibilità di vivere in modo
completo e “vero” la sua vacanza, inserito “ nella vera realtà del luogo senza artifci e finto folclore”
Il sogno di Padre Ottavio però, almeno nel 2009 era ben lontano dal realizzarsi e lo stesso
Ospedale oltre alle Case do Sol era al centro di molte voci, confermate, che mettevano in evidenza
una “strana” gestione dell‟Ospedale. Da alcune confidenze raccolte sia a Fogo che a Praia, infatti,
sembrava provato che nell'Ospedale i degenti italiani ricevessero il trattamento gratis, mentre i
capoverdiani pagassero le prestazioni.
Senza entrare nel merito, e senza esprimere giudizi morali, era però chiaro che qualcosa non
andava nella gestione della struttura e questo è emerso anche da un incontro avvenuto proprio
all‟intero della struttura.

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Dal Diario di Campo (ottobre 2008):

“ Questa mattina mi trovavo all‟Ospedale São Francisco per incontrare Padre Ottavio, che però al
momento della mia visita non era presente, chiedevo informazioni su come fosse possibile
collaborare con l‟Ospedale, mia moglie, infatti, è chirurgo e ha intenzione di svolgere un periodo di
volontariato all‟estero, quando vengo chiamato da un uomo di circa sessant‟anni che quasi con fare
da cospiratore mi invita a seguirlo. Mi dice di aver ascoltato quello che avevo detto e mi scoraggia
dal proporre a mia moglie un‟esperienza in quell‟ospedale, perché lui era lì da quindici giorni e non
aveva operato neanche una volta. Se voleva fare una vacanza, mi dice, avrebbe scelto lui il posto in
cui farla.”

Questa esperienza diretta si aggiunge a quella raccontata da alcuni medici da me incontrati a


Praia e da alcune lettere di altri medici che ho avuto modo di leggere e inviate ai superiori di Padre
Ottavio e in cui si stigmatizzava la “mala gestio” dell‟ospedale. I medici italiani che facevano
volontariato nell‟Ospedale, infatti, rimanevano solo quindici giorni e spesso non riuscivano neppure
a prendere contatto con la realtà dell‟isola. Partivano lasciando ad altri la prosecuzione delle cure
iniziate da loro, vivendo nelle Case del Sole spesso più come turisti che operatori sanitari.
L‟avvicendamento, poi, era lasciato al caso, per quindici giorni poteva capitare, infatti, che ci
fossero solo dentisti e la successiva solo ginecologi, cosicché alla fine l‟operatività dell‟ospedale era
compromessa.
Questo malessere nascosto legato all‟Ospedale emergeva anche nei dialoghi con i giovani
capoverdiani residenti a São Felipe. Se, infatti, nei primi contatti si profondevano in elogi degli
italiani, dei Cappuccini e dell‟Ospedale, in un secondo momento, quando tra il ricercatore e
l‟informatore s‟iniziava a formare un rapporto di maggiore fiducia e apertura, emergevano alcune
realtà nascoste. E allora i racconti si facevano più espliciti, ed emergevano accuse neanche tanto
velate riguardo il presunto pagamento da parte dei capoverdiani delle prestazioni sanitarie. Quello
che emergeva era un rapporto di rispetto-timore nei confronti di chi comunque in qualche modo
portava una certa forma di benessere e di aiuto nell‟isola. Il fenomeno dei do-gooders, infatti, è
talmente significativo che spesso, ancora oggi, soprattutto in estate è addirittura difficile trovare un
posto in aereo per raggiungere Fogo per via di questo continuo flusso di cooperanti.
Un ulteriore conferma della “mala gestio” dell‟Ospedale viene dal cambio di gestione della
struttura. Nel febbraio 2010, infatti, l‟AMSES, l‟associazione che cura la gestione dell‟Ospedale,
sottoscrive un accordo con la Fondazione Ettore Sansavini di Ravenna, che assume la gestione
amministrativa e sanitaria dell‟Ospedale , per garantire la presenza organizzata e continuativa degli
specialisti e l‟adeguamento alle crescenti esigenze dell‟utenza.

137
Nasce un interrogativo da questo cambio di gestione. Qual è la funzione delle Case del Sole
ora che l‟Ospedale è gestito da un‟altra società? E‟ davvero soltanto un “Resort di Dio”?
Molti vedono in questo una mistificazione, un tentativo di far passare un vero e proprio
esperimento commerciale per qualcosa di umanitario.
Un altro “equivoco” si è creato recentemente quando, finalmente, un altro progetto di Padre
Ottavio ha avuto finalmente luce, la Vigna Maria Chaves. Riporto dalla brochure “ Vinha Maria
Chaves … un sogno partito da lontano” : “ Una vigna sui pendii dell‟isola di Fogo? Chi l‟avrebbe
mai detto possibile, fino all‟anno scorso. Eppure Padre Ottavio ha cominciato a credere in questo
sogno già otto anni fa […] da secoli nella caldera del vulcano , si coltiva la vite con metodi
tradizionali […] la resa è piuttosto contenuta e la qualità della produzione non è regolare […] la
sfida è quella di immaginare una metodologia moderna…”.
Peccato che nella brochure e anche nelle presentazioni pubbliche del progetto non si sia mai
fatto accenno alla decennale attività del Cospe su Cha das Caldeiras, e che il vino prodotto nella
caldera sia ormai da tempo esportato con successo anche in Portogallo.
Questo “contrasto umanitario” che si è palesato in maniera ancor più evidente nel corso di
una presentazione dell‟esperienza del Cospe a cui erano stati invitati anche alcuni rappresentanti
dell‟AMSES, che però non si sono presentati all‟evento, corre il rischio di rendere sempre più
difficili i rapporti tra i cooperanti tra di loro e tra i cooperanti e i “cooperati”.
Anche in questo caso il ruolo dell‟occidentale viene visto in modo ambiguo, ambivalente e
giudicato a seconda dell‟utilità. I rapporti tra vecchi e nuovi residenti cambiano a seconda di come
cambia la posizione di potere, la gestione delle risorse, la posizione di superiorità rispetto al tempo
di residenza nel luogo. In questo caso, però, la costruzione del rapporto tra insiders e outsiders
supera la prima fase del rapporto formale visto nei casi di Sal, Boavista e Maio, arrivando fino alla
costruzione di rapporti forti e reali, che portano a incontri e scontri, ma che rendono vitale la vita
sociale dell‟isola.
Proprio la presenza decennale della cooperazione, con le sue luci e ombre ha portato ad un
continuo contraddittorio e alla costruzione di realtà in mutamento in cui, comunque, la popolazione
locale assume un ruolo propositivo. Un passo ulteriore verso la realizzazione di quello che è da
considerare il grado massimo dell‟incontro tra insiders e outsiders, tra hosts e guests e cioè
considerare l‟altro non più come un “diverso”, un “estraneo”, ma parte della comunità, con cui
arriva a condividere modi di vivere, valori, problemi, speranze, sogni.

138
4.4 Cidade Velha ( Santiago) Una cooperativa al contrario: il fallimento della cooperazione
allo sviluppo ―fai da te‖ di Anna e Alberto.

( Figura 10: Isola di Santiago)


Il viaggio che ho cercato di raccontare e che ha toccato diversi micromondi dell‟arcipelago
ha un filo rosso che lega tutto, e cioè il rapporto problematico tra hosts and guest, il rovesciamento
dei ruoli in alcuni casi, la difficile convivenza tra diversi modi di intendere l‟esperienza turistica.
Le storia di Brava, Cha e São Felipe si raccordano con quelle raccolte a Sal, Boavista e
Maio, e forniscono un‟idea di come la realtà sociale sia in divenire nelle isole di Capo Verde.
Il processo di assimilazione tra hosts e guests, passa attraverso varie fasi e nella maggior
parte dei casi non si conclude, si ferma al primo grado caratterizzato da un incontro formale e
superficiale, dalla sopportazione reciproca, e in alcuni casi limite dallo scontro. Solo in alcuni casi
questo processo riesce a superare la prima fase e ad andare oltre arrivando e tra vecchi e nuovi

139
residenti si costruire gradualmente un rapporto di rispetto se non in alcuni casi di completa
assimilazione dello straniero all‟interno della comunità locale.
Questo processo viene reso in alcuni casi anche figurativamente, ad esempio, dal venir meno
dei sistemi di valore tipicamente occidentali, o dalla perdita di riferimenti spazio-temporali che in
qualche modo potevano mantenere un legame con il loro luogo d‟origine. Il soggetto, in questo
caso, si ritrova capace di scoprirsi egli stesso parzialmente altro, acclimatandosi gradualmente al
luogo, attendendo e guardando ad esso con disponibilità e apertura.
Alberto a Cidade Velha veniva visto dai residenti come uno di loro. Era evidente come
fosse passato da uno sguardo oggettivante sui luoghi, tipico di molti che vivono i luoghi del turismo
nelle isole di Sal e Boavista, ad uno sguardo estetico. In questo modo il rapporto con i luoghi (e con
le persone) era cambiato, e da una relazione di estraneità e incomprensione era passato ad una
relazione più intima, profonda che si basava sulla dimensione somatica, esperienziale e passionale.
E‟ proprio grazie a questo “nuovo insider” che ho potuto affrontare i momenti più difficili
della ricerca, è nel confronto continuo con Alberto che molte idee sono state confutate, scartate,
riviste. Il mio rapporto con Alberto è stato molto di più del rapporto tra ricercatore e “gate keeper”,
nel tempo è divenuto un rapporto di amicizia, e nello scrivere queste pagine mi sono spesso trovato
a riflettere su quanto ci sia anche delle sue idee e delle sue percezioni nella ricostruzione di questi
mondi che si confrontano.
La storia del mio rapporto con Alberto e sua moglie Anna, inizia nel 2007, mesi prima del
primo periodo di permanenza nell‟arcipelago attraverso un intenso scambio di e mail e di
informazioni. Il contatto iniziale era avvenuto attraverso il loro sito internet, una fonte preziosa di
notizie storiche ed “etnografiche” sulle isole e che si proponeva non solo come guida turistica, ma
come “luogo” in cui la storia delle isole veniva presentata e vissuta in tempo reale. Nel sito ancora
oggi è possibile leggere e consultare quello che al momento è l'unico dizionario on line di creolo un
dizionario costruito da Alberto Motosso a partire dalla pratica quotidiana di una lingua nata orale.
L'incontro con Alberto e Anna e i lunghi soggiorni nel loro “piccolo angolo di Paradiso”, mi
hanno aiutato ad entrare nel campo, nel capire alcune cose che inizialmente non riuscivo a cogliere
pienamente.
La storia di Alberto e di sua moglie Anna e del loro tentativo di “turismo solidale” nelle
isole chiude questo lavoro perché, penso, possa rappresentare la summa di tutta la ricerca, il
momento, la storia.
La “strana avventura” come la chiamano Anna e Alberto inizia nel 2005 e nasce
dall'incontro a Cidade Velha con una ragazza capoverdiana di venticinque anni, Isa.

140
Dopo quattro anni di relativo riposo a Cidade Velha (Anna e Alberto avevano infatti,
pensato di passare lì la loro vita da pensionati) i due italiani decidono di fare qualcosa di importante
per i loro nuovi concittadini con cui hanno ormai raggiunto un grado di coesione tale da imparare il
creolo e essere considerati come “capoverdiani”. Il tramite per il loro inserimento nella società di
Cidade Velha è stato il cane maremmano che li ha accompagnati nel viaggio che da Genova li ha
portati lì nell'isola di Santiago.
“Maremma” diviene un simbolo e un oggetto di identificazione per i due italiani , tanto che
mi capitava di incontrare persone del villaggio che mi salutavano dicendo: “ ah tu sei l'italiano che
abita da maremma”, anche se il cane era morto già da molti anni.
Il processo di assimilazione di Alberto e Anna è passato attraverso varie fasi: la scoperta dei
luoghi, la scelta del luogo di residenza, la volontà di creare qualcosa di reale per gli altri, la
necessità di donare questo qualcosa ad una parte della piccola comunità.
Inizialmente i due italiani dimorano a Praia, addirittura nelle stanze a pagamento
dell‟ospedale della capitale, e cercano di comprendere quale possa essere il loro posto in un mondo
in cui hanno deciso di non essere soltanto ospiti. Il passo successivo è l‟affitto di una casa
“capoverdiana” a Cidade Velha. I due italiani con il loro cane, per un paio di anni, vivono in una
delle tante case che a Capo Verde ancora non hanno il bagno e spesso la luce, e in questo modo
tagliano gradualmente i ponti con il passato italiano, anche se con diversa intensità. Mentre, infatti,
Alberto gradualmente si fa conquistare da Capo Verde, Anna resta sempre un gradino più indietro,
come in attesa di comprendere se davvero può fidarsi di tutto quello che accade intorno, non
riuscendo mai a rescindere il legame con l‟Italia.
Il processo di assimilazione va avanti negli anni, Alberto e Anna si trasferiscono in una casa
più grande posta sulla strada d‟‟ingresso al paese e ormai si sentono in qualche modo parte di questa
comunità che sembra averli accettati non più come ospiti ma come cittadini. Alberto individua una
prova di questo in due episodi: il prestito dei soldi a una ragazza del luogo per il matrimonio, e la
partecipazione ad una cerimonia di Guarda Sabea33.

33
La cerimonia di Guarda Kabesa ricorda molto il battesimo cattolico nella ritualità, nelle preghiere. Il bambino viene
asperso con acqua naturale e vengono recitate , leggermente modificate, alcune preghiere del rito cattolico. Attraverso
l‟aspersione dell‟acqua viene scacciato Satana e il bambino viene dichiarato parte integrante della comunità. L‟intera
comunità si raccoglie festosamente attorno al bambino ed attende la mezzanotte quando finalmente il bambino non
corre più il rischio di essere “mangiato” da un “feticcio”. Anticamente la cerimonia si svolgeva esattamente tra il sesto e
il settimo giorno dalla nascita. Il bambino, sino ad allora era guardato e protetto mettendo grossi aghi piantati nel
cuscino, e altri oggetti che potevano scacciare i demoni. Ora la cerimonia viene celebrata anche venti giorni dopo la
nascita questo perché spesso le partorienti rimangono in ospedale per qualche giorno e quindi questo periodo di ricovero
fa slittare questa forma di battesimo pagano.

141
I due sentono ormai così forte il rapporto con questo piccolo pezzo d‟Africa da pensare ad
un dono34 ad una parte di questa comunità.
Anna e Alberto s'inventano, quindi, un Ristorante, aperto il 25 aprile del 2005, che coniuga
la cucina italiana con gli ingredienti e le ricette dei capoverdiani. L'attività è inizialmente gestita da
tre soci, i due italiani e Isa che crede nelle loro idee e che diventa, in breve, completamente
autonoma nella gestione della cucina e del servizio ai clienti.
Inizia quella che i due italiani chiameranno la loro avventura “ senza scopo di lucro”. Gli
eventuali utili, infatti, dovranno essere reinvestiti nel miglioramento delle attrezzature e in attività
collegate o collaterali (es. fornire sementi e concimi biologici che servano a produrre prodotti
introvabili a Capo Verde o a favorire la produzione di un formaggio autoctono).
Scherzosamente i tre chiamano la loro iniziativa una “cooperativa al contrario” (prima
l'attività, poi i soci ). Sei mesi dopo l'attività pare funzionare e allora si uniscono alla cooperativa tre
ragazze poco più che ventenni: Neuma, Faida e Gradina. Il 30 settembre 2006 avviene il passaggio
delle quote, a titolo gratuito alle quattro ragazze che sono tutte completamente autonome, Isa
(amministratrice unica) detiene il 20% delle quote così come Gracinha, Neusa e Naida. Le quattro
ragazze sono da considerarsi le effettive proprietarie dell'attività e si occuperanno dalla gestione
lavorandoci a tempo pieno. La quota minoritaria mantenuta dalla sola Anna aveva come funzione
di “dirimere le eventuali controversie” o eventualmente coinvolgere un altro socio o in ultima
analisi essere suddivisa tra i soci già esistenti.
Nel giugno del 2007 Anna e Alberto, da sempre viaggiatori, sentono il bisogno di ritornare a
viaggiare ora che il Ristorante è gestito direttamente dalle ragazze e ha un certo successo, tanto da
essere considerato il punto d'incontro di chi opera a vario titolo nelle isole (Cooperanti, studiosi,
politici, semplici viaggiatori “responsabili”). Si è creata, intorno al ristorante una rete solida che
consente alle ragazze di guadagnare lavorando in un‟attività propria, i due italiani sentono che il
loro compito si è realizzato e che, quindi, il dono è completo.
Ma il primo di luglio del 2007, proprio quando i due italiani stanno per preparare le valigie e
lasciare il Ristorante, la loro casa a Cidade Velha e le ragazze al loro destino, succede qualcosa che
li lega ancora una volta al paese. Il proprietario della casa offre loro la possibilità di utilizzare
l'appartamento al piano superiore, dov'è possibile ricavare tre camere, a fini turistici, e Anna e
Alberto progettano la creazione di un bed e breakfast che potrebbe servire anche da ulteriore volano
per il Ristorante.

34
Marcel Mauss così definisce il dono: “ la circolazione di oggetti, servizi, simboli, persone non regolate in base alle
leggi della vendita e dell‟acquisto, caratteristiche del mercato, ma dai tre obblighi fondamentali di dare, ricevere,
ricambiare. Il carattere fondante è la reciprocità. Il dono non viene mai considerato del tutto separato dal sua
proprietario iniziale verso il quale tende a tornare secondo modalità più o meno differenti. Mauss ha definito il dono un
fatto sociale totale in virtù della complessa rete di rapporti sociali che fa da sfondo allo scambio.

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Si trasferiscono nella nuova casa, che viene a far parte integrante del bed e breakfast in un
unicum che offre davvero una dimensione familiare. I due, infatti, vivono realmente nella stanza
d‟ingresso alla struttura così da far sentire l‟ospite davvero a casa.
Il “Kama ku Kafe” che affianca il ristorante Kusa di Kasa, apre ufficialmente il 10 settembre
2007 e come il ristorante diviene subito il punto di riferimento dell'”altro turismo” esistente nelle
isole di Capo Verde.
Nel mese di Novembre del 2007 e successivamente nel luglio 2008 e gennaio 2009 il Bed e
Breakfast diviene per me il rifugio, il luogo in cui riflettere sulla ricerca ma anche un punto di
osservazione fondamentale della realtà turistica e cooperante a Capo Verde. Il confronto con
Alberto diviene continuo e proficuo nei periodi passati a Cidade Velha tanto che in alcuni casi mi è
sembrato che fosse lui a guidare i tempi e i temi della ricerca. In realtà si trattava di uno dei pochi
casi al mondo in cui due persone con idee e pulsioni simili s'incontrano e si trovano pur avendo
vissuti e epoche completamente diversi.
Nel periodo compreso tra luglio e novembre 2008, in cui sono assente da Capo Verde, nelle
tante mail scambiate, Alberto mi tiene sempre aggiornato su ciò che accade nell'arcipelago, ma è
anche il periodo in cui inizia ad andare in crisi la cooperativa “al contrario”, in cui Alberto
soprattutto ha puntato tutte le sue energie umane.
Anna gradualmente, anche per motivi di salute, si allontana dall'esperienza del Ristorante e
passa molto tempo in Italia. Ma quello che maggiormente l'allontana da Cidade Velha, dal
Ristorante, dalle ragazze e da Alberto è la nascita di una forma sempre più evidente di insofferenza
verso quel mondo che forse non ha mai sentito completamente suo, ma di cui comunque intravede
quella parte sbagliata che Alberto, ormai vittima del suo sguardo estetico, spesso non riesce più a
cogliere.
Il 31 marzo 2008 Alberto e Anna fanno il punto della situazione. Alcuni mesi prima le
ragazze comunicano loro che non hanno intenzione, pur essendo proprietarie per l'80% del
Ristorante, di continuare a gestirlo da sole. Pur essendo, infatti, completamente autonome sia in
cucina che nel servizio ai clienti, pur tenendo la contabilità in excel e inserendo il menu
giornalmente su internet, hanno “ paura di restare sole “ e sentono il bisogno di “avere un padrone”.
Per Alberto e Anna è il crollo del sogno, ma anche la conferma di una realtà che anche da
Adilson, un ragazzo che lavora come guida turistica a Sal, viene confermata e ribadita : “ il mio
popolo è passato purtroppo da una colonizzazione all'altra senza soluzione di continuità ed è
purtroppo ancora adesso un popolo schiavo che ha bisogno di un padrone ... è la triste realtà” (
gennaio 2009).

143
Quando ritorno nelle isole nel giugno 2008 il primo pensiero è naturalmente quello di andare
a trovare Anna e Alberto e le ragazze, per vivere con loro la fine o il nuovo inizio del loro sogno.
Nei mesi di aprile e maggio 2008, infatti, i due italiani dopo aver dedicato tre anni della loro
vita alle ragazze, al “progetto Ristorante Kusa di Kasa” sentono ancor con maggior forza di voler
riprendere a girare il mondo e vincendo la frustrazione legata al fallimento di questo pezzo di
sostenibilità, nel mare dell'insostenibile solidarietà, procedono dolorosamente ad un aumento del
capitale e ad una suddivisione del capitale in quote: 1,6% ciascuno a Neida, Isa, Neusa e Gracinha
e 46.8 % a testa ad Anna e Alberto.
Sperano così di riuscire a salvare il progetto rendendo comunque ancora in qualche modo
protagoniste le ragazze. Ma ben presto Neida e Gracinha abbandonano il Ristorante con la loro
buonuscita e restano le sole Neusa e Isa, mentre i rapporti tra Anna e le ragazze diventano sempre
più tesi.
Nei mesi di giugno e luglio 2008, Anna ancora una volta non è a Capo Verde per motivi di
salute e non la incontrerò neanche a gennaio 2009, anche se alla base dell'addio a Cidade Velha c'è
sicuramente anche la delusione per quello che è successo.
Rimango spesso a Cidade Velha a confrontarmi con Alberto sui mali delle isole e
partecipando con lui ad alcune iniziative pratiche volte a svegliare la coscienza di chi, capoverdiano
o no, opera nello sviluppo dell'arcipelago.
A Luglio del 2008 prima di andare via Alberto mi comunica la voglia di vendere il ristorante
(e non il Bed and Breakfast che loro vedono comunque in un futuro come la casa in cui riposarsi,
“la nostra Italia in cui ritornare”), e la decisione viene comunicata ufficialmente sul sito
cvfaidate.com. I due, non vedendosi come “padroni” cercano soci o acquirenti che, di gradimento
loro e delle ragazze, siano disposti a sostituirli.
Il 23 settembre del 2008, fallita l'utopica ricerca di “due persone esattamente come noi”
mettono ufficialmente in vendita l'intero Ristorante. A Gennaio 2009 quando ritorno per la quarta
volta a Cidade Velha, Alberto è ancora una volta solo con le due ragazze rimaste. Il Ristorante resta
ancora invenduto anche se si è quasi arrivati alla stretta finale e Alberto malinconicamente mi narra
il suo dolore per il fallimento.
Nei giorni che passo a Cidade Velha Alberto inizia ad avere problemi di salute, non riesce
più a vedere bene da un occhio e ad avere delle amnesie. Quando ci salutiamo ho la sensazione che
non lo rivedrò più, almeno non in quei posti. “... spero che ci sarà opportunità d'incontrarci ancora
e che potremmo vivere ancora questi tramonti che guardano verso il Polo Sud ...” dico ad Alberto
prima di andare via. La sua risposta è malinconica come lo sono stati questi ultimi giorni a Cidade
Velha”... amico mio è stato bello incontrarti come sempre... vedrai che avremo ancora la

144
possibilità di vivere questi tramonti guardando verso il polo, magari in un altro posto... in un altro
tempo”.
Al ritorno in Italia per alcune settimane non ho risposta alle mie mail , cosa strana visto che
Alberto mi rispondeva subito, ma imputo questo silenzio ai soliti malfunzionamenti di internet a
Cidade Velha.
Ad inizio marzo mi arriva però una mail di Anna in cui mi dice che sono tornati in Italia
perché ad Alberto si era paralizzata la gamba. I due sono tornati a Imperia e Alberto alterna
momenti di lucidità ad altri in cui continua a vivere come in una realtà parallela la vita a Capo
Verde.
Secondo Anna la malattia è figlia della frustrazione e della prostrazione in cui Alberto era
caduto dopo il fallimento del Ristorante e di cui danno un breve saggio nelle frase che chiude il
capitolo “ La nostra storia” contenuto sul sito cvfaidate.com: “ Viviamo, naturalmente, la situazione
come un (quasi) totale insuccesso. In rapporto alle aspettative che avevamo, poco ( o nulla)
importa che quattro ragazze abbiano perfettamente imparato un mestiere e siano ormai in grado di
proporsi sul mercato del lavoro... continueranno ad essere mentalmente schiave , e a lavorare ,
probabilmente per miseri stipendi da fame... probabilmente cambierà qualcosa nel futuro... un
futuro che , oggi, non siamo stati capaci di anticipare ...”

Conclusioni: Oltre il malinteso.

Gli ultimi giorni di Alberto sono lunghi e dolorosi e nei pochi dialoghi telefonici che ho con
colui che mi ha aperto la porta alla comprensione di un mondo, capisco che sente la fine vicina.
Alcune volte sembra vivere ancora a Capo Verde come non avesse mai lasciato quei luoghi in cui
aveva confessato di voler morire. Con Anna parliamo spesso, vuole che io non parli con Alberto di
Capo Verde, in modo che lui possa in qualche modo cancellare quell'esperienza, quel pezzo
importante di vita, e in questo modo il legame che ci lega.
Alberto diviene in qualche modo vittima di quello sguardo estetico che lo aveva portato ad
essere altro. Gradualmente finisco per telefonare sempre di meno per evitare fraintendimenti che
comunque in punto di morte ci saranno comunque. Il rapporto con Anna diventa sempre più
difficile e in lei il pregiudizio nei confronti delle ragazze capoverdiane matura e lascia spazio
all‟emergere del malinteso che spesso “felicemente” è alla base dell‟incontro turistico.
Anna ha paura che le ragazze sapendo della malattia di Alberto vendano tutte le suppellettili
del ristorante “ come fanno sempre lì quando un'attività chiude”, e che restino solo le mura e i

145
debiti, ammette apertamente il suo pregiudizio , travolgendo tutto , anche la bella esperienza del
Ristorante.
Il finale è troppo doloroso e personale per destinarlo a queste pagine. Alberto muore senza
che possa più incontrarlo, e rimango invischiato in una lunga sequela di malintesi con Anna. Con lui
in un certo senso muore anche una parte della Capo Verde che mi aveva aiutato a conoscere.
Quando ritorno a Capo Verde per l'ultima fase della ricerca sul campo mi trovo di fronte al primo
momento di smarrimento, al primo momento della terza parte della ricerca senza Alberto.
Anche la parte del mondo dei nuovi insiders che avevo sentito più vicina al mondo
capoverdiano, che cercava ogni giorno seppur tra mille difficoltà di essere l‟altro ora mi appariva in
una luce diversa. Molte delle persone che avevo incontrato a Sal e Boavista soprattutto ma anche a
Santiago e Mindelo, interpretavano questo fallimento del progetto di Alberto e Anna come la prova
che, nonostante tutte le buone intenzioni, non si possa mai davvero essere l‟altro.
In definitiva molte relazioni che avevo osservato crescere, cambiare, finire, erano nate e
cresciute con a base un malinteso, spesso sotteso, ma che quando appare evidente finisce per
rivelare il vero dietro la facciata. La Cecla nel libro “Il malinteso. Antropologia
dell’incontro”(1997) , mostra come il malinteso e l‟incomprensione tra le culture siano stati, spesso,
una risorsa per incontri duraturi e fecondi. I malintesi, secondo l‟autore citato, possono diventare :”
lo spazio in cui le culture si spiegano e si confrontano, scoprendosi diverse. Una zona neutra, dove
le identità reciproche si possono attestare, restando separate appunto da un malinteso.” Nel
malinteso, quindi, facciamo esperienza dell‟alterità dell‟altro, e questo incontro può divenire
occasione per mettersi in gioco. Questa forma di malinteso può divenire una zona cuscinetto in cui
sperimentare delle forme superficiali d‟incontro. In tal modo il malinteso può diventare uno
strumento per evitare conflitti irreparabili, oppure può essere un modo di “dare tempo al tempo” per
raffreddarli e, a volte, guarirli. La stessa relazione tra vecchi e nuovi residenti spesso si mantiene in
vita grazie ad una mancata conoscenza dell‟altro, un livello di confronto e di accettazione
puramente formale fino a quando i nodi vengono al pettine. Lo si è visto nell‟analisi della realtà
turistica e sociale nelle isole “turistizzate”, ma si è anche verificato come anche il turismo solidario
e la cooperazione non siano immuni dal malinteso.
Il pregiudizio che ognuno di noi porta inevitabilmente nei confronti dell'altro esplode, e
viene rivelato nel caso in cui qualcuno cerca di fare un passo ulteriore, di superare se stesso per
cercare di divenire l'altro
Tutte le storie viste, raccontate, decostruite, rilette finora sono storie in cui si confrontano
dei pregiudizi. L'incontro avviene e diviene in qualche modo scontro, anche oltre le migliori
intenzioni, o resta confinato nell‟indifferenza.

146
Ci sono altre storie di cui avrei voluto parlare e che si situano nel mezzo tra il paradiso
costruito e il “dono mancato” , ma tenere conto di tutto sarebbe stato un‟impresa difficile. La morte
di Alberto, la chiusura del Ristorante e i malintesi che ne sono nati, nonostante tutto hanno portato
ad una riflessione ulteriore anche se amara sul livello d‟integrazione tra i vecchi e i nuovi insiders.
Nei giorni successivi alla morte di Alberto, infatti, mi sono giunte molte mail da parte di
persone che avevo incontrato durante la ricerca. Molti di loro facevano parte di quella rete di
persone che vedevano in Capo Verde un‟opportunità, nel loro rapporto con i capoverdiani una sfida
da portare avanti per la costruzione di qualcosa di sostenibile nell‟arcipelago.
Eppure il tenore delle mail era davvero differente da quello che mi sarei aspettato: molti,
sulla stessa linea di Anna, si preoccupavano che il Ristorante non venisse spogliato dei beni,
tengono a precisare che nonostante tutto la realtà sociale capoverdiana è ben diversa da quella che
hanno voluto descrivere, e che bisogna guardarsi da tutti.
Quando ritorno a Cidade Velha nel febbraio del 2009, Anna mi chiede di andare a vedere se
il Ristorante esiste ancora, se tutto il materiale è ancora lì e non è stato asportato. Quando giungo
nel paese, il Ristorante è ancora chiuso, e tutto è rimasto com‟era prima della morte di Alberto.
Nonostante il pensiero di molti, le ragazze, a cui fino all‟ultimo è stato tenuta nascosta la morte di
Alberto, hanno tenuto in perfetta cura i beni materiali.
Segue un lungo periodo di silenzio tra me e Anna, e solo alla fine del 2010, riesco a trovare
la forza di scriverle per avere sue notizie. Finalmente arriva il chiarimento che da tempo cercavo, e
Anna mi conferma la sua volontà di ritornare a Capo Verde e riaprire il Ristorante. Il dono ritorna,
in qualche modo nella disponibilità di chi l‟aveva messo a disposizione dell‟altro.
A conclusione di questo viaggio penso di poter dire di essere partito con una convinzione
che si è poi rafforzata durante tutto il periodo di ricerca sul campo, è cioè che nessuno di noi potrà
mai essere veramente l‟altro, nessuno potrà mai veramente diventare “interno” ad una comunità che
lo vede comunque come ospite.

147
Commiati e Ringraziamenti

E‟ difficile condensare in poche righe di ringraziamenti tutto quello che è significato vivere
per mesi a Capo Verde, tutte le persone, i volti, gli sguardi, i sorrisi, le lacrime e le parole che hanno
reso possibile questo lavoro.
Nel lontano 1989 scriveva alla “mitica” Classe V B del Liceo Scientifico “E. Fermi” di
Gaeta, l‟indimenticato professore e scrittore Salvatore Mignano, parole che sempre mi hanno
guidato nella mia riflessione sul ruolo dell‟intellettuale: “ vedete a che servono le parole? C’è in
esse la vita, l’anima, il pensiero: le parole che diciamo o scriviamo incarnano la nostra vita, la
nostra anima, il nostro pensiero … questa è letteratura quando è vera : parole che incarnano
pensieri e sentimenti”.
E io spero che dalle parole che hanno riempito queste pagine traspaia almeno in parte il
vissuto di quel brandello di vita che ho vissuto nelle isole, che possano vivere in esse le persone che
ho incontrato giornalmente e che per tre anni mi hanno accompagnato in questo viaggio.
Penso che non ci si innamori mai veramente di un posto, ci si può innamorare delle persone ,
ma non veramente di un luogo. Anche un condominio della periferia di Praia può essere bello e
indimenticabile se vissuto con chi ti apre la porta alla sua vita. E io mi sono innamorato di occhi, di
sguardi, di tramonti e dell‟infinto Oceano Mare che sempre ha guidato le mie riflessioni, sfiorate da
Alisei costanti.
Della presenza degli alisei ti rendi conto solo quando mancano, per il caldo feroce, e per l‟assenza
di quel dolce e continuo rumore di fondo, come ti accorgi dell‟assenza dell‟importanza delle
persone care solo quando per un motivo o per un altro non ti sono accanto.
Ma è arrivato veramente il tempo di concludere, di salutare, di ringraziare e passare oltre.
E allora grazie:
A Odetta e a tutto lo staff di Africa 70;
A Stefano che ha delle belle case da affittare a Santa Maria e da cui si vede il mare;
A Pier Scaramelli, l‟ultramaratoneta stanco ma mai domo che ha reso lo sport amore per la “sua”
Boavista;
Ad Amadou che con i suoi fratelli mi ha aperto le porte delle “Barracas” e della loro vita
quotidiana, spero sia riuscito a realizzare il suo sogno di ritornare in Senegal (così lontano, così
vicino) per vedere finalmente il figlio che non ha mai visto;
A tutto lo staff della Pastelaria Doce Vida dove ho vissuto un periodo di interessante e
“partecipante” osservazione;

148
A tutto il popolo “bubista” nessuno escluso a cui mi lega una condivisione profonda di idee e modi
di pensare e vivere la vita;
A Dona Audilia che mi ha accolto nella sua casa sulle pendici del Vulcano di Fogo e mi ha
raccontato le storie del popolo del vulcano, a Paolo Fattori e al personale del COSPE per l‟aiuto non
solo logistico;
A Monique Widmer curatrice e fondatrice della Casa da Memoria di São Felipe, una vera e propria
“Wunderkammer” di ricordi e vestigia della storia di Fogo,
Alla “Compagnia della Barlavento”, Paolo, Eiyolf, Francesco, Fernando, Xavier, con cui per un
periodo di tempo ho viaggiato in nave tra le isole sulla mitica motonave “Barlavento”;
A Glaucia Nogueira dell‟ UNICV, per aver creduto e incoraggiato questa ricerca con un confronto
continuo;
A Veronica Oliveira , giornalista di Praia FM, che mi ha aiutato a delineare con precisione tutta la
problematica legata all‟espropriazione dei terreni nell‟isola di Boavista;
A João Lopes Filho per l‟onore che mi ha fatto della sua conoscenza e per la condivisione con me di
sue “idee inedite” sul cambiamento dell‟arcipelago;
A tutte le persone che in un modo o nell‟altro ho incontrato nei miei viaggi tra le isole e che a volte
senza un nome, ma con un volto indimenticabile, hanno inciso le loro storie in questa ricerca;
Ad Alberto naturalmente senza cui tutto questo non sarebbe potuto essere, vorrei che fossi qui
amico caro a condividere la fine di tutto questo lungo viaggio;
Ad Anna che spero di incontrare di nuovo e abbracciare ancora per condividere insieme quel dolore
che per lei immagino sia immenso;
Al mio mentore Alberto Sobrero per aver creduto , nonostante le tante difficoltà e qualche lungo
silenzio, a questa ricerca e per avermi sempre spronato a crederci;
Ad Alberto Simonicca, senza la sua essenziale opera sull‟antropologia del turismo gran parte di
questa ricerca sarebbe stata ben più difficile;
Ai miei , tutti, per il loro appoggio incondizionato, il mio affetto infinito;
A Clara che ha sopportato le mie lunghe assenze e che ogni giorno portavo nel mio cuore mentre mi
immalinconivo di fronte all‟immenso mare;
All‟Oceano Mare appunto, e alle storie che racconta al tramonto mentre i bambini giocano a calcio
sul bagnasciuga e i pescatori tirano su barche e remi e si preparano alla sera,
A tutti coloro che ho dimenticato senza volerlo;
Al Deserto dove tutto o quasi è silenzio e ancora al mio indimenticato e indimenticabile professore
del liceo e alle sue parole che non possono non concludere questo viaggio : “ Attraversiamo insieme

149
lo spazio e il tempo che ci sono stati assegnati dal misterioso demiurgo. Il resto è silenzio come
diceva Amleto”.

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Indice delle figure:

Figura 1 “ L‟arcipelago di Capo Verde” p.7

Figura 2 “O mundo que o turista criou” p.46

Figura 3 “ Isola di Sal” p.54

Figura 4 “ Isola di Boavista” p.80

Figura 5 “ Isola di Maio” p.106

Figura 6 “ O mundo em quem Cabo Verde resiste” p.111

Figura 7 “ Isola di Brava” p.117

Figura 8 “ Isola di Fogo” p.123

Figura 9 “ Cha das Caldeiras” p.126

Figura 10 “ Isola di Santiago” p. 139

Indice delle mappe:

Mappa 1 “L‟abitato di Vila de Santa Maria” p.59

Mappa 2 “ Il percorso dei turisti in Piazza S. Isabel” p.99

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