Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
RIVISTA
DI
STUDI FENICI
VOLUME XXX, 2
2002
CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE
ROMA
RIVISTA DI STUDI FENICI
Fondata da: SABATINO MOSCATI – Direttore responsabile: PIERO BARTOLONI – Redazione:
SILVIA MARIA CHIODI – MARIA TERESA FRANCISI – LORENZA-ILIA MANFREDI –
FEDERICO MAZZA – GIOVANNI MONTALTO – GESUALDO PETRUCCIOLI – SERGIO RIBICHINI –
LUIGI ROSSI – GABRIELLA SCANDONE MATTHIAE – PAOLO XELLA
Sede: Area della Ricerca di Roma, Via Salaria Km. 29,300 - Montelibretti C.P. 10 –
00016 Monterotondo Stazione (Roma)
SOMMARIO
Pagine
G. F. CHIAI, Il nome della Sardegna e della Sicilia sulle rotte dei Fenici e dei Greci in età ar-
caica. Analisi di una tradizione storico-letteraria.................................................. 125-146
S. FINOCCHI, Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora e del suo territorio in epoca feni-
cia e punica.............................................................................................................. 147-186
J. RODRÍGUEZ RAMOS, El origen de la escritura sudlusitano-tartesia y la formación de alfabetos
a partir de alefatos................................................................................................... 187-222
Note e discussioni
PH.C. SCHMITZ, Paleographic Observations on a Phoenician Inscribed Ostracon from
Beirut......................................................................................................................... 223-227
Recensioni e schede
AA.VV. (a cura di M.L. FAMÀ), MOZIA, Gli scavi nella «Zona A» dell’abitato (A. Spanò
Giammellaro) ............................................................................................................ 229-235
(*) Ringrazio i Proff. A.C. Cassio e P. Bartoloni per l’attenzione con cui hanno letto
questo lavoro e la Dott.ssa C.A. Ciancaglini per alcuni preziosi suggerimenti; un grazie
anche ai Proff. G. Garbini e F. Mazza per la disponibilità mostratami. Nel testo sono state
utilizzate le seguenti abbreviazioni: ACFP1 = Atti del I Congresso Internazionale di Studi
fenici e punici, Roma 1983; ACFP2 = Atti del II Congresso Internazionale di Studi fenici e
punici, Roma 1990; ACFP3 = Actes du IIIe Congrès International des Études phéniciennes
et puniques, Tunis 1995; APOIKIA = B. D’AGOSTINO - D. RIDGWAY (a cura di), APOIKIA. I
più antichi insediamenti greci in Occidente: funzioni e modi dell’organizzazione politica e
sociale (= Annali di Archeologia e Storia Antica, n.s. 1, 1994); AuOr = Aula Orientalis;
BICS = Bulletin of the Institute of Classical Studies; BSA = The Annual of the British
School at Athens; CRAI = Comptes-Rendus de l’Académie des Inscriptions et Belles-Let-
tres; DA = Dialoghi di Archeologia; EVO = Egitto e Vicino Oriente; MAL = Monumenti
Antichi dei Lincei; Momenti precoloniali = E. ACQUARO - L. GODART - F. MAZZA - D. MUSTI
(a cura di), Momenti precoloniali nel Mediterraneo antico, Roma 1988; PdP = La Parola
del Passato; Phoinikes b Shrdn = P. BERNARDINI - R. D’ORIANO - P.G. SPANU (a cura di),
Phoinikes b Shrdn. I Fenici in Sardegna, nuove acquisizioni, Oristano 1997; PIW = H.G.
NIEMEYER (a cura di), Phönizier im Westen. Die Beiträge des Internationalen Symposium
über «Die phönizische Expansion im Westlichen Mittelmeerraum» in Köln vom 24. bis 27.
April 1979, Mainz am Rhein 1982; QuadCagliari = Quaderni della Soprintendenza Ar-
cheologica di Cagliari e Oristano; RANL = Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lin-
cei; RFIC = Rivista di filologia e di istruzione classica; RIL = Rendiconti dell’Istituto
Lombardo; RStFen = Rivista di Studi Fenici; SE = Studi Etruschi; SMSR = Studi e Mate-
riali di Storia delle Religioni; StudStor = Studi Storici.
(1) Sulle fasi di contatto e di precolonizzazione fenicia e greca esiste una bibliogra-
fia sterminata: in generale s.v. i diversi contributi negli atti del convegno romano Momenti
precoloniali, che trattano del fenomeno storico della «precolonizzazione» a partire dall’e-
spansione minoica nell’Egeo; tra gli studi successivi, in particolare sulla Sardegna, s.v. in
126 G.F. Chiai
Iniziamo con una valutazione dei dati archeologici. Per quanto riguarda la
Sardegna, vanno in primo luogo ricordate le scoperte di materiali ceramici eu-
boici, databili tra IX-VIII sec. a.C., effettuate nel complesso nuragico di S. Im-
benia, situato sulla costa nord-occidentale dell’isola(3). Si tratta di rinveni-
menti noti già da tempo, che gettano sicuramente nuova luce riguardo alle pri-
me fasi della frequentazione «precoloniale» dell’isola. Anche se un singolo va-
so non prova in maniera definitiva che gli Eubei fossero di persona presenti nel
sito, tuttavia, il fatto che merci euboiche fossero commerciate e trasportate su
navi fenicie, va connesso ad una fase storica di pacifica coesistenza e di non
generale S.F. BONDÌ, La frequentazione precoloniale fenicia: AA.VV., Storia dei Sardi e
della Sardegna, Milano 1988, pp. 129-45; P. BARTOLONI, Aspetti precoloniali della coloniz-
zazione fenicia in Occidente: RStFen, 18 (1990), pp. 157-67; da ultimo con una ricca bi-
bliografia si segnala P. BERNARDINI, I Phoinikes verso Occidente: una riflessione: RStFen,
28 (2000), pp. 13-33; ed anche S.F. BONDÌ, Interferenza fra culture nel Mediterraneo anti-
co: Fenici, Punici, Greci: S. SETTIS (a cura di), I Greci. Storia, Cultura, Arte, Società, 3,
Torino 2001, pp. 369-400, per un quadro storico d’insieme.
(2) Il termine «fenicio» viene qui utilizzato quale denominazione comune, che desi-
gnava in maniera indistinta le differenti componenti etniche che dalle regioni «levantine»
presero parte ai moti di espansione commerciale e più tardi politica nel Mediterraneo; sul-
l’argomento cf. da ultimo con bibliografia il contributo di G. GARBINI, Fenici e Cartaginesi
nel Tirreno: Magna Grecia, Etruschi, Fenici. Atti del XXXIII Convegno di Studi sulla Ma-
gna Grecia, Taranto 1994, pp. 73-85.
(3) Sugli scavi di S. Imbenia s.v. S. BAFICO – R. D’ORIANO – F. LO SCHIAVO, Il vil-
laggio nuragico di S. Imbenia ad Alghero (SS). Nota preliminare: ACFP3, pp. 87-98; sui
materiali euboici qui messi alla luce s.v. le osservazioni di D. RIDGWAY in Phoinikes b Shr-
dn; ID., Relazioni di Cipro con l’Occidente in età precoloniale: G. PUGLIESE CARATELLI (a
cura di), Greci in Occidente, Milano 1996, pp. 117-20, che richiama somiglianze con ma-
teriali euboici rinvenuti a Cipro. Con più ampia prospettiva storica, sempre di questo stu-
dioso s.v. L’Eubea e l’Occidente: nuovi spunti sulle rotte dei metalli: Euboica. L’Eubea e
la presenza euboica in Calcidica e in Occidente, Napoli 1998, pp. 311-22.
Il nome della Sardegna e della Sicilia sulle rotte dei Fenici... 127
conflittualità tra Eubei e Levantini, quando ancora gli spazi commerciali del
Mediterraneo erano aperti e non definiti politicamente(4). Neppure si dimenti-
chi che i vasi di cui si sta parlando sono di tipo simposiale e che vanno pertanto
connessi ad un mondo di valori e di ideologie, di cui le genti di Lefkandi si fe-
cero portatrici presso le culture italiche d’Occidente. Si trattava quindi di og-
getti «esotici» e preziosi, destinati alle aristocrazie locali dell’isola, principali
interlocutrici dei Fenici. Si riscontra in un certo senso una situazione di tipo
«iliadico», in cui i mercanti di Sidone sono noti per la preziosità delle loro
merci, quali il cratere aureo di Toante (Hom. Il. XXIII, 744-45) ed i tessuti di
porpora donati alla dea Atena ed acquistati da Paride in Fenicia (Hom. Il. VI,
288-95), tutti beni di prestigio che connotano e contraddistinguono le «élites»
aristocratiche della società dell’Alto Arcaismo greco(5).
Per quanto riguarda la Sicilia, anche qui i più antichi materiali ellenici so-
no di produzione euboica, si rinvengono in contesti indigeni e sono sempre vasi
simposiali.
Offrire da bere e brindare, sedersi e mangiare, rappresentano gli strumenti
universali con cui poter prendere contatto pacificamente con le genti locali
e superare difficoltà di comunicazione linguistica.
(4) Con ampia bibliografia s.v. P. BERNARDINI, Considerazioni sui rapporti tra Sar-
degna, Cipro e l’area egeo-orientale nell’età del Bronzo: QuadCagl, 10 (1993), pp. 26-67;
H. MATTHÄUS, Die Rolle Zyperns und Sardiniens im mittelmeerischen Interaktionsprozess
während des späten zweiten und frühen ersten Jahrtausends v. Chr.: F. PRAYON-W. RÖLLIG
(a cura di), Der Orient und Etrurien. Zum Phänomen des «Orientalisierens» im westlichen
Mittelmeerraum (10-6 Jh. v. Chr.), Pisa-Roma 2000, pp. 41-75; sulle rotte ed i traffici
commerciali F. LO SCHIAVO – R. D’ORIANO, La Sardegna sulle rotte dell’Occidente: La
Magna Grecia e il lontano Occidente. Atti del XXIX Convegno di Studi sulla Magna Gre-
cia, Taranto 1990, pp. 99-160, in modo specifico per l’ambito fenicio P. BARTOLONI, Le li-
nee commerciali all’alba del primo millennio: AA.VV., I Fenici: Ieri, Oggi, Domani, Ro-
ma 1995, pp. 245-59; a riguardo cf. anche il lavoro di M. BOTTO, I commerci fenici nel Tir-
reno centrale: conoscenze, problemi e prospettive: ibid., pp. 43-53 con ricca bibliografia.
In generale sull’espansione fenicio-punica in Sardegna s.v. il recente contributo di P. BAR-
TOLONI – S.F. BONDÌ – S. MOSCATI, La penetrazione fenicia e punica in Sardegna. Trent’an-
ni dopo (= MAL, 9), Roma 1997.
(5) In generale sulla presenza dei Fenici nei poemi omerici si rimanda all’analisi di
G. BUNNENS, L’expansion phénicienne en Méditerranée, Bruxelles 1979, p. 92 sgg.; inte-
ressanti osservazioni su questo tema anche in D. MUSTI, L’economia in Grecia, Bari 1981,
p. 27 sgg.; per quanto riguarda la caratterizzazione dell’elemento fenicio in Occidente nel-
le fonti greche dello stesso studioso s.v. Modi e fasi della rappresentazione dei Fenici nel-
le fonti letterarie greche: ACFP2, pp. 161-68. Le fonti classiche di autori greci, a partire
da Omero, sui Fenici sono state raccolte da F. MAZZA – S. RIBICHINI – P. XELLA, Fonti clas-
siche per la civiltà fenicia e punica, Roma 1988; si segnala poi F. MAZZA, L’immagine dei
Fenici nel mondo antico: S. MOSCATI (a cura di), I Fenici, Milano 1988, pp. 548-67; per
una rassegna critica degli studi sull’argomento cf. il recente saggio di M. LIVERANI, L’im-
magine dei Fenici nella storiografia occidentale: StudStor, 39 (1998), pp. 5-22.
128 G.F. Chiai
(6) Per una chiara definizione del fenomeno, da parte sia greca che fenicia, merita-
no di essere riportate le parole di S. MOSCATI, Precolonizzazione greca e precolonizzazione
fenicia: RStFen, 11 (1983), pp. 1-7, in part. p. 7: «La precolonizzazione è un fenomeno di
frequentazione dei mari, senza intento di conquista e neppure di stabilizzazione, limitato al
reperimento di approdi adatti e conosciuti a cui fare riferimento, talvolta accompagnato
dalla presenza sul luogo di poche persone che non hanno né vogliono avere autonomia po-
litica e servono solo a favorire i contatti indispensabili». Su questo tema s.v. con una bi-
bliografia aggiornata il recente contributo di D. RIDGWAY, Riflessioni sull’orizzonte «pre-
coloniale» (IX-VIII sec. a.C.): Magna Grecia e Oriente mediterraneo prima dell’età elle-
nistica. Atti del XXXIX Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2000, pp.
91-108.
(7) Sui cambiamenti sociali avvenuti in seno alle comunità nuragiche in seguito ai
contatti con queste nuove culture s.v. il documentato studio di P. BERNARDINI, Le aristocra-
zie nuragiche nei secoli VIII e VII a.C. Proposte di lettura: PdP, 37 (1982), pp.
81-101.
(8) Cf. le osservazioni di S.F. Bondì in P. BARTOLONI – S.F. BONDÌ – S. MOSCATI, op.
cit., p. 13 sgg.
(9) Si tratta in particolare dei bronzetti di Olmedo e del Nuraghe di Flumenlongu,
presso Alghero, per una definizione tipologica dei quali cf. G. TORE, I bronzi figurati feni-
cio-punici in Sardegna: ACFP1, pp. 449-61; A.M. BISI, L’apport phénicien aux bronzes
nouragiques de Sardaigne: Latomus, 36 (1977), pp. 909-32, in part. 915 sgg.; EAD., Bronzi
vicino-orientali in Sardegna: importazioni ed influssi: M.S. BALMUTH (a cura di), Studies in
Sardinian Archaeology III, Oxford 1987, pp. 225-46, in part p. 229 sgg. In generale, sulla
base della tipologia e di confronti stilistici, questi reperti vengono datati tra IX-VIII sec.
a.C.; cronologia che si riallaccia a quella dei materiali ceramici emersi a S. Imbe-
nia.
(10) Cf. C. ZACCAGNINI, Lo scambio dei doni nel Vicino Oriente durante i secoli XV-
Il nome della Sardegna e della Sicilia sulle rotte dei Fenici... 129
XIII, Roma 1973, in part. p. 62 sgg. dove si legge: «Il dono si differenzia dal baratto e, in
genere, dall’atto di commercio, proprio per il suo presentarsi come un comportamento
spontaneo, in cui è la libera iniziativa del soggetto a suggerire il criterio dell’agire
[...]».
(11) È ad esempio il caso dell’alabastron miceneo, datato al TE III A2 rinvenuto nel
nuraghe Arrubiu, il quale conteneva certamente delle essenze profumate che erano state
offerte in dono al capo di questo complesso nuragico, cf. F. LO SCHIAVO – L. VAGNETTI, Ala-
bastron miceneo dal nuraghe Arrubiu di Orroli (Nuoro): RANL, 4 (1993), p. 121 sgg. Per
un inquadramentro delle funzioni dei vasi micenei s.v. lo studio di I. TOURNAVITOU, Practi-
cal Use and Social Function: a Neglected Aspect of Mycenean Pottery: BSA 87 (1992), pp.
181-210, gli alabastra sarebbero da porre nella categoria degli accessory vessels.
(12) Su tale ceramica, che viene datata all’VIII sec. a.C., s.v. le osservazioni di R.
D’Oriano, in S. BAFICO – R. D’ORIANO – F. LO SCHIAVO, art. cit.; più recente con ampia bi-
bliografia s.v. I. OGGIANO, La ceramica fenicia di Sant’Imbenia (Alghero – SS): P. BARTO-
LONI - L. CAMPANELLA (a cura di), La ceramica fenicia di Sardegna. Dati, problematiche e
confronti, Roma 2000, pp. 235-58.
130 G.F. Chiai
(13) Su questo documento epigrafico esiste una notevole bibliografia, in generale s.v.
A. DUPONT-SOMMER, Nouvelle lecture de l’inscription archaïque de Nora, en Sardaigne
(CIS I, 144): CRAI, 1948, pp. 12-28; J.G. FÉVRIER, L’inscription archaïque de Nora: Revue
d’Assyriologie, 44 (1950), pp. 123-26; H. DONNER – W. RÖLLIG, Kanaanäische und ara-
mäische Inschriften I-II, Wiesbaden 1969-712, nr. 46, 10, tav. II; G. BUNNENS, L’expansion
phénicienne en Méditerranée, cit., p. 30 sgg.; M.G. AMADASI GUZZO, Le iscrizioni fenicie e
puniche delle colonie in Occidente, Roma 1967, pp. 83-87; M.G. AMADASI GUZZO – P.
GUZZO, Di Nora, di Eracle Gaditano e della più antica navigazione fenicia: AuOr, 4
(1986), pp. 59-71; su alcuni aspetti terminologici relativi alle iscrizioni fenicie di Sardegna
s.v. le osservazioni di P. FILIGHEDDU, Spigolature antropologiche attraverso le attestazioni
epigrafiche fenicie e puniche della Sardegna: F. VATTIONI (a cura di), Sangue e antropolo-
gia nel Medioevo, Roma 1993, in part. sulla stele di Nora p. 102 sgg.
(14) Si prescinde qui dal problema storico dell’identificazione degli antenati dei Sar-
di nuragici con gli Shardana nominati tra i Popoli del Mare; su questo problema cf. le re-
centi osservazioni di G. GARBINI, Genti orientali e ceramica «micenea»: Magna Grecia e
Oriente Mediterraneo prima dell’età ellenistica, cit., pp. 2-26.
(15) Sul ruolo dell’elemento femminile indigeno nell’ambito della colonizzazione
greca, soprattutto per quanto riguarda le prime generazioni di coloni s.v. R. VAN COMPER-
NOLLE, Femmes indigènes et colonisateurs, in AA.VV., Forme di contatto e processi di
trasformazione nelle società antiche, Pisa-Roma 1983, pp. 1033-49. Un altro esempio ad-
ducibile è quello delle Ateniesi rapite dai pirati tirreni e portate a Lemno, i cui figli erano
in grado di parlare greco e si distinguevano per questo dagli altri loro coetanei dell’isola;
in generale sulle tradizioni mitiche relative all’isola si rimanda al libro di C. DE SIMONE, I
Tirreni a Lemnos. Evidenza linguistica e tradizioni storiche, Firenze 1996, in part. p. 39
sgg. Ancora, la tradizione mitica ricorda che al momento della conquista di Mileto, gli Io-
ni avrebbero sterminato la popolazione maschile caria, risparmiando però le loro donne,
che avrebbero successivamente sposato; su tale tradizione cf. Pausania (VII, 2, 5-6). In ge-
nerale sul concetto di competenza linguistica cf. E. COSERIU, Sprachkompetenz, Tübingen
1988, p. 56 sgg.; sul mondo antico cf. E. CAMPANILE - G.R. CARDONA - R. LAZZERONI, (a cura
di), Bilinguismo e biculturalismo nel mondo antico, Pisa 1988.
(16) Sulla toponomastica soprattutto costiera della Sardegna s.v. gli studi di R. DE
FELICE, Le coste della Sardegna. Saggio toponomastico-descrittivo, Cagliari 1964; V. BER-
TOLDI, Sardo-Punica: PdP, 2 (1947), pp. 5-38; a riguardo cf. anche le osservazioni di G.
Il nome della Sardegna e della Sicilia sulle rotte dei Fenici... 131
Anche per la Sicilia esiste una tradizione di studi ben consolidata, che ha
approfondito e messo in rilievo sul piano archeologico quali furono i modi di
contatto e le forme di acculturazione che si manifestarono a seguito dell’arrivo
dei Fenici(18) e dei Greci nell’isola. Non è questa la sede per ripercorrere i con-
GARBINI, Esploratori e mercanti non greci nel Mediterraneo occidentale: G. PUGLIESE CAR-
RATELLI (a cura di), Magna Grecia. Il Mediterraneo, le metropoleis e la fondazione delle
colonie, Milano 1985, pp. 245-64, in part. p. 258.
(17) La presenza di urne funerarie di tradizione indigena a Sulci lascia, ad esempio,
supporre una partecipazione dell’elemento nuragico al popolamento di questo antico cen-
tro fenicio; sulla questione cf. P. BARTOLONI, Nuove testimonianze arcaiche da Sulcis: Nuo-
vo Bullettino Archeologico Sardo, 2 (1985), pp. 167-92, il quale richiama altri paralleli
nell’isola; sempre dello stesso studioso cf. Urne cinerarie arcaiche a Sulcis: RStFen, 16
(1988), pp. 165-79; P. BERNARDINI, S. Antioco: area del Cronicario. L’insediamento feni-
cio: ibid., pp. 75-89; P. BARTOLONI, Anfore fenicie e puniche da Sulcis: ibid., pp. 91-110;
una situazione analoga è riscontrabile anche nelle prime fasi dell’insediamento di Bitia,
nella cui necropoli sono stati rinvenuti recipienti di fabbrica nuragica, databili all’ultimo
quarto del VII sec. a.C.; sulla questione cf. P. BARTOLONI, La ceramica fenicia di Bithia: ti-
pologia e diffusione areale: ACFP1, pp. 491-500; i materiali della necropoli di questo cen-
tro si trovano pubblicati in P. BARTOLONI, La necropoli di Bitia I (con contributi di M. Bot-
to, di L.A. Marras e di C. Tronchetti), Roma 1996, sulle urne di fabbricazione nuragica cf.
le schede 186-87, 297 del catalogo e le osservazioni dello studioso a p. 115 sgg.
(18) Sulla penetrazione fenicia in Sicilia in generale cf. il saggio di S.F. BONDÌ, La
penetrazione fenicio-punica e storia della civiltà punica in Sicilia. La problematica stori-
ca: E. GABBA-G. VALLET (a cura di), La Sicilia antica, Napoli 1979, pp. 163-225, in part.
sulla fase precoloniale p. 165 sgg.; ID., Su alcuni aspetti della penetrazione fenicio-punica
in Sicilia: RIL, 111 (1977), pp. 237-48; ID., Per una caratterizzazione dei centri occidenta-
li nella più antica espansione fenicia: EVO, 7 (1984), pp. 75-92, in part. sui centri siciliani
p. 80 sgg.; ID., Le fondazioni fenicie d’Occidente: aspetti topografici e strutturali: S. MAZ-
ZONI (a cura di), Nuove fondazioni nel Vicino Oriente Antico: realtà e ideologia, Pisa 1994,
pp. 357-68; per un quadro archeologico d’insieme cf. V. TUSA, La presenza fenicio-punica
in Sicilia: PIW, pp. 95-112; S.F. BONDÌ, La Sicilia fenicio-punica: il quadro storico e la
documentazione archeologica: Bollettino d’Archeologia, 31-32 (1985), pp. 13-32; tra i
contributi più recenti cf. G. FALSONE, Sicile: V. KRINGS (a cura di), La civilisation phéni-
cienne et punique. Manuel de recherche, Leiden – New York – Köln 1995, pp. 674-97;
S.F. BONDÌ, Fenici ed indigeni in Sicilia agl’inizi dell’età coloniale: P. NEGRI SCAFA - P.
GENTILI (a cura di), Donum Natalicium. Studi presentati a Claudio Saporetti in occasione
del suo 60o compleanno, Roma 2000, pp. 37-43.
132 G.F. Chiai
tatti che le culture locali intrattennero col mondo egeo-anatolico e con quello
siro-palestinese, contatti che in seguito anche all’insediarsi di maestranze egee
nell’isola avrebbero dato vita a fenomeni di cultura materiale, quale quello del-
le «tholoi» di S. Angelo Muxaro, che caratterizzarono in senso cretese agli oc-
chi dei primi coloni ellenici il paesaggio di quella zona(19).
Come detto, prescindendo da questo terreno di ricerca, passiamo ad esa-
minare il periodo delle prime relazioni col mondo fenicio e più in generale si-
ro-levantino. Come si sa, per anni si è visto nel bronzetto di Sciacca, interpre-
tato in diverso senso, la prima prova concreta di rapporti diretti tra l’isola ed il
Levante. Recenti studi hanno però messo in dubbio il contesto storico che si è
ricostruito dietro questo oggetto, proponendo sulla base di convincenti con-
fronti stilistici una datazione più bassa del reperto(20). La questione si fa quindi
molto complicata: se si prescinde, infatti, dal numero anche considerevole de-
gli oggetti di produzione egizia emersi in contesti locali, per i quali sembra più
lecito supporre un tramite miceneo, non esistono sino all’VIII sec. a.C. prove
concrete che i Fenici avessero frequentato la Sicilia(21).
Se da un lato, come rilevato, mancano delle prove archeologiche
concrete o comunque l’individuazione di un sito, come quello di S. Imbenia
in Sardegna, dall’altro, in maniera autorevole L. Bernabò Brea(22) ha però
mostrato che tra la seconda metà dell’XI e la prima metà dell’VIII sec.
a.C. i Fenici avrebbero avuto un’influenza notevole sulle culture indigene
dell’isola. In particolare lo studioso si è soffermato su quattro oggetti,
che in maniera specifica sarebbero da riportare a questa fase di acculturazione.
Questi sono: 1) la fibula con arco a gomito o a occhio, della cultura
di Cassibile, da datare tra il X e il IX sec. a.C.; 2) la teiera a forma
di bottiglia sferoidale, con collo stretto e becco di versamento a crivello
sulla spalla, da porre tra l’XI e il IX sec. a.C.; 3) la brocca a bocca
trilobata, che si colloca tra l’XI e il IX sec. a.C.; 4) gli anelli digitali
di ferro(23), provenienti da un contesto funerario di X sec. a.C.
Sulla base di questi dati, una presenza fenicia per lo meno a livello di in-
flussi culturali sulle popolazioni autoctone sarebbe da individuare in Sicilia
nell’XI sec. a.C., in una fase precoloniale; mentre il primo insediamento feni-
cio, archeologicamente databile con sicurezza, è quello di Mozia(24). Tale rico-
struzione è stata tuttavia da tempo criticata, da diversi studiosi, che hanno
avanzato dubbi circa l’origine fenicia della tipologia dei singoli ogget-
ti(25).
Per quanto riguarda i Greci, la cui frequentazione della Sicilia va tenuta
distinta da quella dei Micenei, sulla loro attività abbiamo a disposizione la ben
nota testimonianza tucididea (VI, 2, 6), secondo cui alla loro comparsa i Fenici
(23) Il recente ritrovamento di sette anelli in ferro e di altri oggetti (lame di coltello
soprattutto) nella necropoli di Madonna del Piano, in un contesto di XII sec. a.C., sembre-
rebbe rialzare la cronologia dell’introduzione della tecnica di raffinamento di questo me-
tallo nell’isola; su questi materiali cf. R.M. ALBANESE PROCELLI, Produzione metallurgica e
innovazioni tecnologiche nella Sicilia protostorica: R. LIGHTON (a cura di), Early Societies
in Sicily. New Developements in Archaeological Research, London 1996, pp. 117-28 (fig.
3), la quale propende per un tramite cipriota, più che fenicio.
(24) I materiali più antichi, provenienti dall’area della necropoli, si datano alla prima
metà dell’VIII sec. a.C.; su Mozia esiste una vasta bibliografia, in generale s.v. i rapporti
di scavo che tra il 1964 ed il 1978 sono stati pubblicati a cura dell’Istituto di Studi del Vi-
cino Oriente Antico dell’Università di Roma «La Sapienza», sotto la direzione di S. Mo-
scati; tra gli altri contributi, cf. B.J.J. ISSERLIN – J. DU PLAT TAYLOR, Motya. A Phoenician
and Carthaginian City in Sicily I, Leiden 1974; G. FALSONE, The Bronze Age Occupation
and the Phoenician Foundation at Motya: BICS, 25 (1988), pp. 31-53; ID., Motyé: E. LIPIN-
SKI (a cura di): Dictionnaire de la Civilisation phénicienne et punique, Bruxelles – Paris
1992, pp. 301-3; per una ricostruzione storica delle vicende del centro cf. S.F. BONDÌ, Mo-
zia, tra i Greci e Cartagine: EVO, 12 (1989), pp. 165-73; particolarmente di rilievo è l’alta
percentuale di ceramica indigena (circa il 37%), emersa nel corso dello scavo dello strato
più arcaico (il cd. strato VII) del tofet, che insieme ai materiali rinvenuti nell’area sacra del
Cappiddazzu permette di ipotizzare un enoikismos fenicio in ambito indigeno o comunque
forme di convivenza con gli elementi locali; su tale ceramica cf. A. CIASCA, Note moziesi:
ACFP1, pp. 617-22; va anche notata la quasi totale assenza di importazioni greche nelle
prime fasi di vita di questo centro fenicio, quale emerge dall’analisi dei materiali rinvenuti
nel gruppo di 16 tombe di VIII sec. a.C. (le più antiche dell’abitato) scavate e pubblicate
da V. TUSA, «La necropoli arcaica e adiacenze». Lo scavo del 1970, in Mozia VII, Roma
1971, pp. 34-55, il quale rilevava grosse affinità con i corredi di Cartagine.
(25) La questione qui viene solo accennata, in quanto esula dagli scopi di questo la-
voro un vaglio critico delle argomentazioni addotte in proposito; si rimanda pertanto alle
osservazioni di G. FALSONE, Sicile, cit., in part. p. 677 sgg.; lo studioso ritiene che sulla ba-
se dei dati archeologici in possesso la frequentazione «precoloniale» di cui parlava Tucidi-
de possa precedere di più di un secolo le prime fondazioni greche e fenicie nell’iso-
la.
134 G.F. Chiai
Diodoro (V, 2, 1): »H gàr nh^sow tò palaiòn a∫ pò mèn toy^ sxh́matow Trinakría
klh&ei^sa, a∫ pò dè tv
^ n katoikhsántvn ay∫ th̀n Sikanv ^ n Sikanía trosagorey&ei^sa, tò
teleytai^on a∫ pò Sikelv ^ n tv
^ n e∫ k th^w «Italíaw pandhmeì peraiv&énten v∫ nómastai
Sikelía.
Iniziamo con un’attenta analisi del testo. tò palaiòn utilizzato in forma
avverbiale all’inizio del periodo si riferisce al momento in cui anticamente, do-
po averne circumnavigato le coste, i Greci, verosimilmente gli Eubei, avrebbe-
ro denominato questa terra «Isola dai tre promontori». Dopo una prima fase
esplorativa ci sarebbe stata una fase di contatto con le popolazioni locali, dalla
quale sarebbe poi sorta la denominazione di «Isola dei Sicani»; infine l’isola
avrebbe tratto il nome definitivo dai Siculi, anch’essi una popolazione dell’iso-
la, ma solo – a quanto sembra – in un momento di contatto successivo. Da un
punto di vista linguistico la successione temporale di queste tre fasi viene scan-
dita dall’uso avverbiale di tò palaiòn - tò teleytai^on «all’inizio – alla fine»,
con al centro un a∫ pò dè(28) «poi»: la successione si configura come, «all’inizio
– poi – alla fine». In particolare il dè, legandosi sintatticamente al mèn della fra-
se precedente, si riferisce al tempo in cui le denominazioni di Sikania e Sikelia
sarebbero coesistite, sino a quando non fu l’ultima a prevalere, in connessione,
come si vedrà, a fatti di acculturazione e di alfabetizzazione che legarono i Si-
culi ai Greci. Da notare, sempre sul piano linguistico, la scelta terminologica di
klh&ei^sa, di prosagorey&ei^sa, due participi aoristi passivi, e di v ∫ nómastai
un aoristo medio. Molto interessante è prosagoreýein, termine che indica una
denominazione che si aggiunge o che va a sostituirne un’altra.
Sulla base di queste considerazioni il passo andrebbe tradotto:
«L’isola, infatti, anticamente chiamata per la sua forma Trinakria, poi denomina-
ta dal nome delle popolazioni dei Sicani che vi abitavano Sikania, prese alla fine il no-
me di Sikelia dai Siculi, che in gran numero erano immigrati dall’Italia».
(28) In generale sull’uso correlato di mèn e di dè nella prosa greca s.v. J.P. DENNISTON,
The Greek Particles, Oxford 19542, p. 359 sgg.
(29) Cf. Strabone (VI, 2, 1): ÊEsti d« h™ Sikelía trígvnow tv^ı sxh́mati, kaì dià toy^to
Trinakría mèn próteron, Trinakría d« yçsteron proshgoreý&h metonomas&ei^sa ey∫ fvnó-
teron. tò dè sxh^ma diorízoysi trei^w a¢krai. Le fonti classiche relative ai popoli ed alla
geografia della Sicilia sono raccolte in E. MANNI, Geografia fisica e politica della Sicilia
antica, Roma 1981, in part. sui nomi dell’isola nell’antichità p. 44 sgg.
136 G.F. Chiai
e Sikelia, in riferimento ai territori abitati dai Sicani e dai Siculi; forme queste
che finirono poi per fissarsi, come detto, quali designazioni della regione. Ma
questo solo dopo la stabilizzazione dell’elemento greco sull’isola, la definizio-
ne delle zone di influenza ed i processi di integrazione e di fusione con gli ele-
menti locali, quali lasciati intendere dalla tradizione storica, che più avanti ver-
rà presa in considerazione.
Va fatto notare come nel testo diodoreo, prima analizzato, non si faccia al-
cuna menzione degli Elimi(30), i quali non sembrano aver giocato alcun ruolo
nella fase di denominazione dell’isola. Questo fatto va posto in relazione, pro-
babilmente, con quanto detto da Tucidide (VI, 2, 6)(31) circa il momento della
comparsa dei Greci in Sicilia, ovvero quando i Fenici, come reazione, lascian-
do loro la maggior parte di questa terra, si ritirarono nella parte nord-occidenta-
le, proprio quella in cui si trovavano gli insediamenti di questo popolo.
Il sesto capitolo del V libro diodoreo rappresenta un’altra fonte privilegia-
ta per la ricostruzione della protostoria mitica dell’isola. La narrazione ha ini-
zio proprio con la trattazione delle opinioni che i logografi(32) si erano fatti del-
l’origine dei Sicani, opinioni diverse e spesso in contrasto tra loro. Filisto (556
Jac. Fr. 45) riteneva che questi provenissero dall’Iberia, sulla base della pre-
senza in questa terra di un fiume dal nome Sikanów; Timeo (566 Jac. Fr. 38) li
considerava invece una popolazione autoctona. I Sicani avrebbero abitato l’i-
sola kvmhdón, ovvero distribuiti in villaggi, posti generalmente, a causa delle
incursioni di pirati, sulle sommità di colline, e non avrebbero conosciuto alcu-
na forma di potere centralizzato sotto un basileus, ma ogni centro sarebbe stato
retto da un signore locale. Seppur frazionati politicamente, un tempo essi
avrebbero abitato tutta la Sicilia, vivendo di agricoltura, sino a quando, a segui-
to di una distruttiva attività eruttiva dell’Etna, si sarebbero spostati ad Ovest. I
territori da loro abbandonati sarebbero stati in seguito occupati dai Sikeloi, pro-
venienti dall’Italia. Tra i due popoli la convivenza non sarebbe stata pacifica,
(30) Sugli Elimi e la loro cultura s.v. AA.VV., Gli Elimi e l’area elima fino all’inizio
della prima guerra punica (= Archivio Storico Siciliano, 14-15 [1988-89], pp. 5-393), in
part. il contributo di S.F. BONDÌ, Gli Elimi ed il mondo fenicio-punico, pp. 133-43, con una
valutazione dei dati archeologici in relazione alle fonti letterarie; le iscrizioni elime sono
state raccolte da L. AGOSTINIANI, Iscrizioni anelleniche di Sicilia. Le iscrizioni elime, Fi-
renze 1977.
(31) Su tale tradizione cf. le osservazioni di S. MOSCATI, Tucidide e i Fenici: RFIC,
113 (1985), pp. 129-33.
(32) Per una discussione di tali tradizioni in relazione ai contesti archeologici cf. L.
BRACCESI, La trattazione storica: La Sicilia antica, cit., pp. 53-86; più di recente con una
aggiornata bibliografia cf. il documentato lavoro di N. CUSUMANO, Una terra splendida e
facile da possedere. I Greci e la Sicilia, Roma 1994, in part. p. 141 sgg. sull’etnogenesi
delle culture locali siciliane.
Il nome della Sardegna e della Sicilia sulle rotte dei Fenici... 137
Diodoro (V, 6, 5): yçstatai d« a∫ poikíai tv^n «Ellh́nvn e∫ génonto katà th̀n Sikelían
a∫ jiólogoi kaí póleiw parà &álattan e∫ ktís&hsan, a∫ namignýmenoi d« a∫ llh́loiw kaì dià
tò plh^&ow tv^ n katapleóntvn «Ellh́nvn th́n te diálekton ay∫ tv ^ n e¢ma&on kaì tai^w a∫ gv-
gai^w syntraféntew tò teleytai^on th̀n bárbaron diálekton açma te kaì th̀n proshgo-
rían h™llájanto, Sikeliv ^ tai prosagorey&éntew.
«Ultimi, ma degni di fama, sono gli insediamenti(35) e le poleis che dai Greci
vennero fondati sulle coste; (gli indigeni) mischiandosi con essi, a causa del gran nu-
mero di Greci sbarcati sull’isola, appresero la loro lingua e, venendo educati secondo
il modello greco, abbandonarono il loro dialetto barbaro ed il loro nome, venendo
chiamati tutti Sicelioti».
(33) Offre una storia degli studi sulle popolazioni anelleniche siciliane N. CUSUMANO,
op. cit., p. 29 sgg., che ripercorre in maniera critica il modo in cui il ruolo dell’elemento
indigeno nell’ambito della colonizzazione fenicia e greca della Sicilia è stato di volta in
volta valutato.
(34) Quella greca viene presentata nella tradizione trasmessa da Diodoro quale ulti-
ma fase di popolamento dell’isola.
(35) Il termine apoikia può avere il significato tanto di «spedizione coloniale», quan-
to quello generico di «insediamento»; in generale sulla questione cf. M. CASEVITZ, Le voca-
bulaire de la colonisation en grec ancien, Paris 1985, p. 120 sgg.
(36) Cf. CIS I 4945, 3-4: h-šqlny. Devo quest’indicazione ed altri preziosi consigli al
Dott. P. Filigheddu dell’Università di Tübingen, che qui ringrazio. Mi limito solo ad una
138 G.F. Chiai
nistica), e per questo da valutare con prudenza, ma che comunque attesta che
per i Punici (come per i Greci) la Sicilia era l’isola dei Sikeloi.
Pausania (X, 17, 5): oçnoma de ay∫ tW^ı tò a∫ rxai^on oç ti mèn y™pò tv^n e∫ pixvrívn e∫ géne-
to oy∫ k oi®da, «Ellh́nvn dè oi™ kat « e∫ mporían e∫ spléontew «Ixnoy^ssan e∫ kálesan, oçti tò
sxh^ma th^ı nh^svı kat« ¢ixnow málistá e∫ stin a∫ n&rv́poy.
«Non conosco quale fosse il nome antico, dato dai locali all’isola, invece quei
Greci che per ragioni commerciali vi navigarono la chiamarono Ichnussa, principal-
mente per il fatto che l’isola ha la forma dell’orma del piede di un uomo».
menzione di tale etnico, senza entrare nell’ambito di un’analisi linguistica di tale forma,
che lascio a persone più competenti.
(37) Cf. sui toponimi in –oussa le osservazioni di G. PUGLIESE CARRATELLI, Per la sto-
ria delle relazioni micenee con l’Italia: PdP, 13 (1958), p. 213 sgg., il quale riteneva que-
ste forme linguisticamente equivalenti alle formazioni anatoliche in –(w)anda/(w)anta, in
parte grecizzate in –anda (Oi∫nóanda); più di recente sempre su questo tema ID., in G. PU-
GLIESE CARRATELLI, (a cura di) Ichnussa. La Sardegna dalle origini all’età classica, Milano
1985, p. XIII sgg. Storicamente, la diffusione delle denominazioni di luogo in –oussa lun-
go le coste del Mediterraneo è stata connessa alla rotta percorsa da elementi rodii e focesi
nell’ambito dell’espansione commerciale sui mari: su questa teoria cf. A. GARCÍA Y BELLI-
DO, Hispania Graeca I, Barcelona 1948, p. 70 sgg., (che propende per un’origine rodia e
calcidese) dove è riportata anche una carta di distribuzione di tali toponimi (fig. 20); P.
BOSCH-GIMPERA, La formazione dei popoli della Spagna: PdP, 4 (1949), p. 113 (per un’ori-
gine focea); T.J. DUNBABIN, The Western Greeks, Oxford 1948, p. 340 sgg. (origine focea o
rodia); da ultimo, in particolare per l’ambito spagnolo con una valutazione dei materiali
archeologici cf. L. ANTONELLI, I Greci oltre Gibilterra, Roma 1997, p. 27 sgg.; ed anche R.
ZUCCA, Insulae Baliares, Roma 1998, p. 49 sgg.
Il nome della Sardegna e della Sicilia sulle rotte dei Fenici... 139
spazi non erano stati politicamente definiti in sfere d’influenza; da notare an-
che come questa testimonianza sottolinei, quali strettamente legati, il momento
esplorativo a quello commerciale(38). Interessante anche il fatto che il nostro
autore affermi di ignorare quale fosse la denominazione locale dell’isola, sep-
pure egli conosca il nome di Sardò. Ciò potrebbe forse essere interpretato come
un indizio che i Greci avessero appreso tale nome, per indicare l’isola, dai Fe-
nici e lo avessero utilizzato accanto a quello ellenico di Ichnoussa, da loro
creato.
Fig. 1 - Carta di distribuzione dei toponimi in -oussa nel Mediterraneo Occidentale in età
arcaica (da A. GARCÍA Y BELLIDO, Hispania Graeca I, Barcelona 1948, fig. 20).
e Fenici sui circuiti commerciali di età arcaica è stato posto particolarmente in rilievo in
un recente lavoro di J. BOARDMAN, Aspects of “Colonization”: BASOR, 322 (2001), pp. 33-
42. Nel caso della Sicilia, di fatto la convivenza tra Fenici e Greci rimase sostanzialmente
tranquilla sino al 580 a.C. (arrivo di Pentatlo), ed anzi la cultura greca fu apprezzata e va-
lutata positivamente nei centri fenici.
(44) Va ricordato in tal senso anche l’esempio di Pitecussa, un insediamento di tipo
emporico, in cui, come le ricerche condotte hanno mostrato, elementi semitici, greci ed
italici convivevano nell’ambito dello stesso abitato; sull’argomento cf. G. GARBINI, Un’i-
scrizione aramaica ad Ischia: PdP, 33 (1978), pp. 143-50; G. BUCHNER, Testimonianze epi-
grafiche e semitiche dell’VIII sec. a.C. a Pithekoussai: ibid., pp. 130-42: ID., Nuovi aspetti
e problemi posti dagli scavi di Pithecusa, con particolari considerazioni sulle oreficerie di
stile orientalizzante antico: AA.VV., Contribution à l’étude de la société et de la coloni-
sation eubéennes, Napoli 1975, pp. 59-86; ID., Die Beziehungen zwischen der euböischen
Kolonie Pithekoussai auf der Insel Ischia und dem nordwestsemitischen Mittelmeerraum
in der zweiten Hälfte des 8. Jhs. v. Chr.: PIW, pp. 277-306; tra i contributi più recenti cf.
R.F. DOCTER, Pottery, Graves and Ritual I: Phoenicians of the First Generation in Pithe-
koussai: P. BARTOLONI – L. CAMPANELLA (a cura di), La ceramica fenicia di Sardegna, cit.,
pp. 135-49, che prende in esame alcune sepolture di elementi orientali, residenti nell’isola
(in part. i materiali relativi alla tomba 298, fig. 12), mostrando come questi fossero perfet-
tamente integrati nell’ambito della comunità greca e supponendo anche la presenza di ma-
trimoni misti; per un esame dei materiali «fenici» ischitani cf. il contributo di R.F. DOCTER
– H.G. NIEMEYER, Pithekoussai: the Carthaginian Connection on the Archaeological Evi-
dence of Euboeo-Phoenician Partnership in the 8th and 7th Centuries: APOIKIA, pp. 101-
15; per un quadro d’insieme su Pitecussa utile resta sempre il classico libro di D. RIDGWAY,
L’alba della Magna Grecia, Milano 1984, in part. p. 184 sgg.; in generale sulle iscrizioni
semitiche rinvenute in contesti greci ed italici cf. il contributo di M.G. AMADASI GUZZO,
Iscrizioni semitiche di Nord-Ovest in contesti greci ed italici (X-VII sec. a.C.): DA, 5
(1987), pp. 13-27. Neppure va dimenticato che dall’isola proviene la «coppa di Nestore»,
una delle più antiche testimonianze della scrittura alfabetica greca, che si connette alla
questione della circolazione ed elaborazione dell’epica nei contesti coloniali d’Occidente:
in generale sulla questione s.v. due recenti contributi di C.A. CASSIO, Kei^nos Kallistéfa-
nos e la circolazione dell’epica in area euboica: APOIKIA, pp. 55-67; ID., Epica greca e
scrittura tra VIII e VII secolo a.C.: madrepatria e colonie d’Occidente: G. BAGNASCO
GIANNI – F. CORDANO (a cura di), Scritture mediterranee tra il IX ed il VII secolo a.C., Mi-
lano 1999, pp. 67-84. Le iscrizioni greche di Pitecussa (comprese anche quelle semitiche)
sono state ora raccolte da A. BARTONĚK – G. BUCHNER, Die ältesten griechischen Inschrif-
ten von Pithekoussai (2. Hälfte des VIII. bis 1. Hälfte des VII. Jhs.): Die Sprache, 37
(1995), pp. 129-31.
(45) Il rinvenimento a Sulci di oggetti di provenienza pitecussana, in particolare di
un’urna dipinta databile alla seconda metà dell’VIII sec. a.C., ha portato alcuni studiosi a
presumere la presenza di elementi greci, probabilmente euboici, nel centro; sull’argomen-
to cf. C. TRONCHETTI, Per la cronologia del tophet di Sant’Antioco: RStFen, 7 (1979), pp.
201-205; P. BERNARDINI, Pithekoussai-Sulci: Annali dell’Università di Perugia, 19 (1981-
82), pp. 13-20; P. BERNARDINI – C. TRONCHETTI, La Sardegna, gli Etruschi e i Greci:
142 G.F. Chiai
AA.VV., Civiltà nuragica, Milano 1985, pp. 285-307; a riguardo cf. le osservazioni di S.
MOSCATI, Fenici e Greci in Sardegna: RANL, 40 (1985), pp. 265-71, il quale preferiva rap-
portare la presenza di tali materiali ad un tramite commerciale; cf. anche la ricostruzione
storica di P. BARTOLONI, Orizzonti commerciali sulcitani tra l’VIII e il VII sec. a.C.: RANL,
41 (1986), pp. 219-26. In generale sulle relazioni intrattenute dalla Sardegna nuragica in
età arcaica s.v. il libro di C. TRONCHETTI, I Sardi. Traffici, relazioni ed ideologie nella Sar-
degna arcaica, Milano 1988.
(46) Interessante anche notare la terminologia geografica che riprende quella anato-
mica del corpo umano. La forma della Sardegna è, infatti, paragonata a quella di un piede;
la Sicilia è l’isola dei «tre capi»; o ancora si potrebbe pensare anche al toponimo cherson-
nesos, che designava il territorio occupato dai Calcidesi nell’Egeo settentrionale, o allo
stivale per la penisola italiana.
(47) Cfr. Plin. NH III 85 = Solin. 4, 1 = Tim. 566 Jac. F. 63: Sardiniam ipsam Tima-
eus Sandaliotim appellavit ab effigiae soleae, Myrsilus (477 Jac. F. 11) Ichnusam a simili-
tudine vestigii. Questa testimonianza mostra chiaramente che ancora nel V sec. a.C. la de-
nominazione Ichnoussa era ancora in uso presso i Greci e che ad essa si affiancava il nome
di Sandaliotis, anch’esso designante l’isola.
Il nome della Sardegna e della Sicilia sulle rotte dei Fenici... 143
(48) Si potrebbe ad esempio citare il caso degli Stati Uniti, comunemente chiamati
anche America, o quello dell’ex Unione Sovietica, denominata anche Russia; ancora, si
potrebbero ricordare gli esempi di Formosa-Taiwan, di Burkina Faso-Costa d’Avorio o di
Persia-Iran.
(49) L’associazione tra la Sardegna e la Libia ricorre in diverse fonti di epoca roma-
na, prima tra tutte nell’orazione ciceroniana in difesa di M. Emilio Scauro (45 a.), dove si
legge l’espressione «Africa ipsa parens illa Sardiniae»; si potrebbero a riguardo ancora ci-
tare diversi passi di Diodoro (XV, 24, 2), di Polibio (III, 24, 11) (in particolare sulla clau-
sola del II trattato romano-cartaginese, per cui nessun Romano poteva commerciare e fon-
dare città in Libia ed in Sardegna) e di altri autori di epoca ellenistico-romana, in cui con
frequenza ricorre il collegamento tra queste due terre; le testimonianze letterarie su questo
tema sono state raccolte e discusse da S. MOSCATI, «Africa ipsa parens illa Sardiniae»:
RFIC, 95 (1967), pp. 385-88, il quale a riguardo sottolineava come da Cartagine la Sarde-
gna fosse vista come parte integrante dello stato e non semplicemente una semplice colo-
nia. Questo dimostra ancora una volta come l’insieme delle tradizioni mitiche sulla Sarde-
gna, tramandato da Pausania, pur risalendo nel suo nucleo centrale all’età arcaica, sia il
frutto di tutta una serie di elaborazioni successive.
(50) Cf. G.F. CHIAI, Ginnasi, templi e tribunali in Sardegna: RStFen, 29 (2001), pp.
35-52.
(51) Cf. L. BREGLIA-PULCI DORIA, La Sardegna arcaica tra tradizioni euboiche ed at-
tiche: AA.VV., Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéen-
nes, Napoli 1981, pp. 61-95.
(52) La fonti classiche sulla Sardegna sono state raccolte e tradotte da M. PERRA, Le
fonti classiche in Sardegna, Oristano 1994; tra i contributi pubblicati s.v. E. PAIS, La Sar-
144 G.F. Chiai
boica, di fatto, con l’andar del tempo, in relazione soprattutto ai fatti storici del
presente(53), tali miti vennero ulteriormente rielaborati ancora in età ellenisti-
ca. Mi pare ad ogni modo importante sottolineare come a livello di memoria
mitica, di probabile matrice euboica, i Greci riferissero ad un eroe di nome
Sardos la prima fase di popolamento dell’isola.
Vale la pena, ritornando alle forme Ichnoussa e Trinakria, di fare qualche
ulteriore osservazione. Si è messo in rilievo come entrambe queste denomina-
zioni fossero codificate nella memoria mitica ellenica come i più antichi nomi
delle due isole, ai quali per un certo periodo, si sovrapposero finendo poi per
prevalere, Sardò e Sikelia, nomi anellenici, derivanti verosimilmente dagli et-
nici delle popolazioni locali delle due isole. La consapevolezza che su di una
carta geografica si dovesse disegnare un profilo triangolare per le coste della
Sicilia(54) ed una forma d’orma di piede per quelle della Sardegna presuppone
sicuramente a monte di questi nomi un periplo o, comunque, una circumnavi-
degna prima del dominio romano: RANL, 7 (1880-81) pp. 352-66, che rappresenta il primo
approccio critico alla questione; P. MELONI, Gli Iolei ed il mito di Iolao in Sardegna: Studi
Sardi, 6 (1942-44), pp. 43-66; A. MASTINO, Nur. La misteriosa civiltà dei Sardi, Milano
1980, pp. 261-74; S.F. BONDÌ, Osservazioni sulle fonti classiche per la colonizzazione del-
la Sardegna: AA.VV., Saggi fenici I, Roma 1975, pp. 49-66; F. NICOSIA, La Sardegna nel
mondo classico: Ichnussa, cit., pp. 421-76, il quale individua tre nuclei di tradizioni: uno
greco-orientale, uno ateniese ed un ultimo di matrice siceliota; lo studioso ritiene inoltre
che siano da attribuire a Timeo la tradizione secondo la quale l’antico nome dell’isola sa-
rebbe stato Sandaliotis, la connotazione quale terra fertile e felice e la spiegazione del sar-
donios gelos quale derivante dall’uso di uccidere i vecchi a colpi di bastone. Tra gli altri
studi cf. J. DAVISON, Greeks in Sardinia: the Confrontation of Archaeological Evidence
and Literary Testimonia: AA.VV., Studies in Sardinian Archaeology, Ann Arbor 1984, pp.
187-200; ID., Greek Presence in Sardinia: Myth and Speculation: AA.VV., Sardinian and
the Mediterranean: A Footprint in the Sea, Ann Arbor 1996, pp. 384-93; C. TRONCHETTI, I
rapporti tra il mondo greco e la Sardegna: note sulle fonti: EVO, 9 (1986), pp.
117-24.
(53) A. COPPOLA, Archaiologhia e propaganda, Roma 1995, pp. 69-100, in particola-
re vede nella monumentalizzazione della Sardegna ad opera di Iolao e di Dedalo un paral-
lelo con quella di Atene promossa nel V sec. a.C. da Pericle; la studiosa sottolinea in tal
modo la presenza di una forte rielaborazione in ambiente attico.
(54) In particolare sulla Sicilia cf. F. PRONTERA, La Sicilia nella tradizione della geo-
grafia greca: P. ARNAUD – P. COUNILLON (a cura di), Geographica Historica, Bordeaux-Ni-
ce 1988, pp. 97-107, in part. p. 99 dove si sottolinea l’importante ruolo che per ragioni sto-
riche e geografiche la Sicilia e la Sardegna hanno svolto nel Mediterraneo Occidentale,
quale punto di raccordo tra le coste europee ed africane; lo studioso valorizza particolar-
mente un passo di Tucidide (VI, 1, 1), dal quale si ricava che prima della guerra del Pelo-
ponneso la maggior parte degli abitanti di Atene ignorava quale fosse la vera estensione
dell’isola. Del medesimo studioso, sullo stesso argomento s.v. anche Lo stretto di Messina
nella tradizione geografica antica: Lo stretto crocevia di culture. Atti del XXVI Convegno
di studi sulla Magna Grecia, Taranto 1993, pp. 107-31. Per quanto riguarda il concetto di
Il nome della Sardegna e della Sicilia sulle rotte dei Fenici... 145
gazione delle coste delle due isole. La questione, oltre a connettersi con la pro-
blematica dei primi peripli e dei viaggi di esplorazione verso l’Occidente(55)
intrapresi dai naviganti greci, si lega anche alla codificazione su carte geogra-
fiche di tali esperienze(56). Secondo una ben nota testimonianza straboniana (I,
1, 1)(57), Anassimandro di Mileto sarebbe stato il primo ad aver disegnato una
carta geografica, fondando in questo modo la «geografia» quale disciplina.
Non intendo in questa sede discutere il significato storico-culturale da dare a
tale tradizione; tuttavia, certamente l’analisi qui compiuta di tali denominazio-
ni e soprattutto il fatto che nella memoria mitica greca Trinakria e Sikelia fos-
sero considerati i più antichi nomi della Sardegna e della Sicilia mi indurrebbe
a credere che dietro l’affermarsi di questi toponimi ci fosse un’esperienza car-
tografica. Neppure va dimenticato che la Sardegna(58), a partire da Erodoto(59),
è considerata per grandezza superiore alla Sicilia; tale calcolo, apparentemente
S. FINOCCHI - Viterbo
TAVV. I-III
PREMESSA
(1) Desidero ringraziare il prof. S.F. Bondì che ha reso possibile il compimento di
questo studio, seguendomi costantemente in tutte le fasi della ricerca sempre generoso di
consigli e suggerimenti. La mia più viva gratitudine va inoltre agli amici Massimo Botto e
Marco Rendeli, responsabili del progetto di ricognizione. Le attività di ricognizione rien-
trano nel progetto d’indagine archeologica della città di Nora che vede coinvolte le Uni-
versità di Genova, Pisa, Padova, Venezia e Viterbo, in collaborazione con la Soprintenden-
za Archeologica per le Province di Cagliari e Oristano. Per i dati più recenti riguardo alle
indagini nella città e nel territorio: C. TRONCHETTI (ed.), Ricerche su Nora – I (anni 1990-
1998), Cagliari 2000 (in seguito Ricerche su Nora – I).
148 S. Finocchi
(2) F. VIVANET, Nora. Scavi nella necropoli dell’antica Nora nel comune di Pula:
NSc, 1891, pp. 299-302; quelle vicende sono state ricordate in S. MOSCATI, Documenti ine-
diti sugli scavi di Nora: RANL, ser. 8, 36 (1981), pp. 157-61.
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 149
(3) Per una recente analisi dell’Itinerarium provinciarum antoni[ni] augusti quale
150 S. Finocchi
rea tra Sarroch e Pula(10). Sempre presso Sarroch bisogna infine ricordare la
ceramica fenicia e punica, databile fra il VI e il IV sec. a.C., rinvenuta nel nu-
raghe Antigori e pubblicata da P. Bartoloni(11).
2. L’INDAGINE TERRITORIALE
2.1. La metodologia
I dati fin qui presentati fanno di certo riflettere sui tempi dell’antropizza-
zione nel territorio, ma non permettono di esprimere valutazioni sui modi e sul-
le forme del popolamento(12). La volontà di definire, per l’età fenicia e punica,
i tempi e i modi della presenza nell’entroterra ha imposto una metodologia
d’indagine che permettesse di considerare le «aree»/«siti» di rinvenimento co-
me parte integrante del territorio in cui la presenza umana si è manifestata(13).
L’esistenza di un sito non si determina solo per la presenza di elementi struttu-
rali, ma anche di associazioni di materiali archeologici; così il mezzo per defi-
nire l’entità di sito non è solo la presenza (tipo e datazione dei manufatti rinve-
nuti), ma anche la distribuzione, la densità e l’estensione del rinvenimento. Af-
finché un’area di rinvenimento possa essere considerata «sito» c’è bisogno che
l’insieme delle variabili che la connotano diventi una discriminante. In un ge-
(10) La datazione proposta all’VIII sec. a.C. non può essere confermata in assenza di
alcuna indicazione grafica o fotografica: V. TUSA, La civiltà punica: Popoli e civiltà dell’I-
talia antica, III, Roma 1974, p. 76.
(11) P. BARTOLONI, Ceramica fenicia e punica dal nuraghe Antigori: RStFen, 11
(1983), pp. 167-75.
(12) Gli aspetti metodologici sono stati recentemente trattati in diverse sedi, ad esse
si rimanda per tutte le informazioni di carattere metodologico: M. BOTTO - M. RENDELI, No-
ra II. Prospezione a Nora 1992: QuadCagliari, 10 (1993), pp. 151-53; IID., Progetto Nora
– Campagne di prospezione 1992-1996: AfRo 12, Sassari 1998, pp. 713-19 (in seguito M.
BOTTO - M. RENDELI, Progetto Nora); M. BOTTO - S. MELIS - M. RENDELI, Nora e il suo terri-
torio: Ricerche su Nora-I, pp. 257-60. In questa sede saranno segnalati solo i criteri che
sono alla base dell’indagine territoriale e che si rendono necessari per la comprensione dei
dati presentati di seguito.
(13) La strategia d’indagine utilizzata è ispirata alle tecniche e alle scelte sviluppate
negli ultimi decenni dal mondo anglosassone e si è, nel corso degli anni, plasmata sulle
particolarità del territorio norense. Un’indagine territoriale che ha i suoi fondamenti nella
scelta regionale, nell’esplorazione intensiva e nella quantificazione e visibilità archeologi-
ca. Fondamentale per comprendere le metodologie utilizzate nella ricerca è: J.F. CHERRY,
Frogs Round the Pond: Perspectives on Current Archaeological Survey Projects in the
Mediterranean Area D.R. KELLER - D.W. RUMPP, Archaeological Survey in the Mediterra-
nean Area (BAR, Int. Ser., 155), Oxford 1983.
152 S. Finocchi
La città di Nora è posta su una bassa dorsale che si spinge nel Canale di
Sardegna con andamento Sud-Est ed è stretta in un territorio limitato ad Ovest
dalle propaggini meridionali del sistema montuoso sulcitano (culminante con il
monte Is Caravius) e a Nord dai rilievi montuosi che la separano dalla piana di
Sarroch. Si tratta di una pianura con un’estensione di circa 50 km2 sovrastata
da aspri rilievi che a volte sfiorano i mille metri di quota. Se è vero che questi
rilievi costituiscono una linea di protezione alle spalle della cit-
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 153
re(17). Per quel che riguarda la seconda via di comunicazione verso il Sulcis,
testimonianze puniche, per le quali è più complicato individuare l’eventuale le-
game con Nora, ci provengono da una località a Sud di Pantaleo(18).
Le notevoli difficoltà nei collegamenti terrestri hanno contribuito a svi-
luppare e consolidare un commercio marittimo(19), non solo con le città della
Sardegna ma anche con i centri costieri della Penisola Iberica, del Nord-Africa,
della Grecia continentale, dell’Etruria meridionale e dell’Italia continenta-
le(20).
Oltre alle vie di comunicazione con le regioni contermini della Sardegna
sud-occidentale, dobbiamo analizzare anche i modi di comunicazione tra le
aree dell’entroterra e la città. La ricerca sul campo non ha portato al riconosci-
mento di percorsi stradali per l’età fenicia e punica. Una traccia è ricavabile
dalla lettura di una fotografia aerea IGMI del 1957: si tratta di un possibile per-
corso viario, purtroppo non controllabile sul terreno poiché rientra attualmente
in aree militari e zone non investigabili, che a partire dal limite orientale della
(17) G. PESCE, S. Margherita di Pula, per le possibili relazioni con la città di Nora ve-
di infra.
(18) Sono stati riscontrati sul terreno frammenti ceramici punici e romani associati a
strutture murarie a pianta rettangolare: F. BARRECA, Monte Sirai-III (= SS, 20), Roma 1966,
pp. 163-64; S.M. CECCHINI, I ritrovamenti fenici e punici in Sardegna (= SS, 32), Roma
1969, p. 75.
(19) Si tratta solo apparentemente di vie di comunicazione semplici, poiché questo
settore della costa sarda è particolarmente aperto ai venti di Levante, Scirocco e Libeccio
che rendono particolarmente pericolosa la navigazione: ne sono testimonianza i relitti indi-
viduati presso lo scoglio del Coltellazzo dall’esplorazione subacquea di M. Cassien effet-
tuata tra il 1978 e il 1985. Al riguardo cf. M. CASSIEN, Campagne de sauvetage 1980 sur le
sites sous-marines de Nora-Pula, Paris 1980; in proposito cf. anche: A.J. PARKER, Ancient
Shipwtecks of the Mediterranean and the Roman Provinces (BAR, Int. Ser., 580), Oxford
1992, pp. 151-52 e S. FINOCCHI, Nora: anfore fenicie dai recuperi subacquei: P. BARTOLONI
- L. CAMPANELLA (edd.), La ceramica fenicia di Sardegna. Dati, problematiche, confronti.
Atti del Primo Congresso Internazionale Sulcitano (S. Antioco, 19-21 Settembre 1997) (=
CSF, 40), Roma 2000, pp. 163-73.
(20) A testimonianza delle relazioni con i centri della Spagna è la presenza di anfore
di produzione iberica provenienti dalla città. Per quel che riguarda i collegamenti con la
Grecia continentale, i recenti rinvenimenti di ceramica greca dagli scavi dell’abitato testi-
moniano una serie di relazioni che iniziano dalla metà del VII sec. a.C. e assieme al buc-
chero etrusco di fine VII-inizi VI sec. a.C. consentono di inserire Nora quantomeno in una
rotta di collegamento fra la Sardegna e l’Italia continentale: M. BOTTO - M. RENDELI, Nora
nel quadro dei commerci fenici del Mediterraneo: Atti del V Congresso Internazionale di
Studi Fenici e Punici, Marsala-Palermo 2-8 ottobre 2000, in stampa; riguardo ai collega-
menti con l’Etruria: M. BONAMICI, Alcuni buccheri da Nora: Atti del XXI Convegno di Stu-
di Etruschi ed Italici (Sassari 13-17 ottobre 1998), Roma 2002, pp. 255-64.
156 S. Finocchi
Fig. 4 - a: particolare della fotografia aerea IGMI 1957; b: siti fenici e punici in prossimità
del porto.
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 157
laguna sfiora i siti NR98-R 1.9(21), NR92-R 1.8, NR92-R 5.8 e NR92-R 5.10 e
poi si perde in aree inaccessibili in località Perdu Locci (Fig. 4, a). La presenza
di un asse viario in questa posizione si spiegherebbe abbastanza agevolmente
in funzione della vicinanza al porto e ai siti con carattere artigianale e di imma-
gazzinamento posti nelle vicinanze(22); la strada, inoltre, costeggiando il litora-
le occidentale del promontorio conduceva al cuore dell’area urbana. In assenza
di elementi cronologici e di verifiche dirette sul terreno possiamo constatare
come tale percorso rispetti la dislocazione topografica dei settori occidentali
della città: settori organizzati e strutturati in età punica, ma che nascono proba-
bilmente in età fenicia(23). Per il resto, l’assenza di grandi impedimenti morfo-
logici permetteva i collegamenti sfruttando i sentieri naturali che ancora oggi
sono presenti nella piana di Nora. Un ruolo sicuramente importante fu assunto
dai corsi fluviali, in particolare da quelli che raggiungevano le aree più interne
del territorio. Tra questi nel settore occidentale si segnala il Rio su Tintioni,
che si spinge verso Ovest sino a raggiungere le alture del Monte Santo; per
quel che riguarda il settore settentrionale si segnala il Rio Pula, che raggiunge
le alte quote del complesso montuoso sino a giungere in prossimità di
Pantaleo.
I dati raccolti permettono di affermare che la città di Nora non ha facilità
di collegamento con le regioni interne, che ha un retroterra ristretto e che pro-
babilmente proietta sul mare la maggior parte delle proprie attività. Per Nora si
può quindi parlare di una fondazione con marcata vocazione marittima.
(21) Le sigle dei siti contengono la sigla generale della ricognizione a Nora seguita
dall’anno (NR98), la R di ricognizione e due numeri (1.9) che indicano rispettivamente il
quadrato e il sito di rinvenimento.
(22) S. FINOCCHI, La laguna e l’antico porto di Nora: nuovi dati a confronto: RStFen,
27 (1999), pp. 167-92 (in seguito S. FINOCCHI, La laguna e l’antico porto di Nora).
(23) L’importanza di Nora nella viabilità romana è testimoniata dalle colonne milia-
rie dove le miglia erano numerate a partire da Nora a Cagliari e da Nora a Bitia. CIL, X,
7996-98; CIL, X, 7999-8001; G. SOTGIU, Iscrizioni latine della Sardegna, I, Padova 1961,
p. 370; P. MELONI, I miliari sardi e le strade romane in Sardegna, cit. (supra nota
15).
158 S. Finocchi
(24) Al riguardo cf. PH. LEVEAU, La question du territoire et les sciences de l’Anti-
quité: la géographie historique, son évolution de la topographie à l’analyse de l’espace:
Revue des Études Anciennes, 86 (1983), pp. 85-115.
(25) ESIODO, Le opere e i giorni; CATONE, Sull’agricoltura, I, I. Per un’analisi che ten-
ga conto dello sviluppo agricolo e alimentare nel contesto tecnologico ed economico delle
società antiche cf. A. GARA, Tecnica e tecnologia nelle società antiche, Roma 1994, pp.
27-42. Una recente e approfondita analisi sull’economia e sulle attività agricole nel mondo
coloniale fenicio della Penisola Iberica è in: M.E. AUBET - P. CARMONA - E. CURIÀ - A. DEL-
GADO - A.F. CANTOS - M. PÁRRAGA, Cerro del Villar – I. El asentamiento fenicio en la de-
sembocadura del río Guadalhorce y su interacción con el hinterland, Sevilla 1999, pp.
307-19.
(26) Le fonti esaltano i modi dell’agricoltura cartaginese e sono testimonianza del
rapporto privilegiato dei Punici con l’agronomia: il simbolo della tradizione agronoma pu-
nica è sicuramente rappresentato da Magone, l’unico cartaginese al quale fu concesso l’o-
nore dal Senato romano, dopo la conquista di Cartagine, di una traduzione ufficiale dal pu-
nico della propria opera, scritta in 28 libri forse alla fine del IV sec. a.C.: PLINIO, Naturalis
Historia, XVIII, 22; S.F. BONDÌ, L’alimentazione nell’antichità, Parma 1985, pp. 175,
177.
(27) ID., Osservazioni sulle fonti classiche per la colonizzazione della Sardegna:
Saggi Fenici-I, Roma 1975, p. 51; L. BREGLIA PULCI DORIA, La Sardegna arcaica tra tradi-
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 159
bilmente proiettato sul mare la maggior parte delle proprie attività(35). L’im-
magine dei Fenici nel mondo antico è intimamente legata da un lato ai com-
merci marittimi(36), dall’altro alla colorazione delle stoffe in rosso porpora(37):
attività che sfruttano l’ambiente marino sia come mezzo di comunicazione sia
come bacino di risorse possibili. Nelle fonti classiche è più volte documentato
lo stretto legame tra i Fenici e il mare: oltre all’estrazione della porpora dai
murici, si ricorda la pesca del corallo, delle sardine, del pesce spada e del ton-
no(38); inoltre è attribuita ai Fenici l’industrializzazione dell’estrazione del sale
utilizzato per l’esportazione(39) e soprattutto per conservare gli alimenti, in
particolare il pesce(40). I dati disponibili per le attività produttive legate al ma-
re riguardano soprattutto il Nord-Africa cartaginese e la Spagna meridionale. A
testimonianza dell’importanza della pesca nell’economia cittadina, S.F. Bondì
ha sottolineato come le fonti storiche, almeno in alcuni casi, facciano pensare
«a un’accurata gestione dell’attività di pesca, condotta da vere e proprie flotti-
glie professionali»(41).
La città di Nora è per circa 2/3 della sua estensione circondata dal mare;
essa è delimitata a Nord-Ovest da un ampio golfo naturale, oggi trasformato in
peschiera, in cui sfociano alcuni dei maggiori fiumi che nascono nell’entroter-
ra(42). Tale golfo, pur non essendo una vera e propria laguna, poiché è un brac-
cio di mare parzialmente occluso da una duna d’arenaria a Sud-Ovest (penisola
di Fradis Minoris), presenta in prossimità del delta dei fiumi degli ecosistemi
d’acqua salmastra che permettono la riproduzione di abbondante fauna acqua-
tica (cefalopodi e mitili). Le risorse possibili legate al mare e alla «laguna» po-
tevano quindi rappresentare per Nora una valida attività economica.
Piero Bartoloni ha più volte sottolineato come nelle vicinanze delle fon-
dazioni fenicie d’Occidente si ritrovino impianti per la pesca e la lavorazione
del tonno (in Sardegna a Villasimius, presso Cala Caterina, a Bitia, a Capo S.
Marco, a Capo Mannu, all’Argenteria presso S. Imbenia, a Carloforte, a Porto-
scuso)(43). Anche a Nora si segnala la presenza di una tonnara in uso tra il XVII
e il XIX secolo(44): quasi dimenticata nella cultura popolare, se ne conservano i
resti sulla costa sud-occidentale della piccola isola di S. Macario(45) (Fig. 1;
Tav. II). Si tratta di un isolotto, di circa 3000 m2 d’estensione, posto quasi a un
miglio a Nord-Est dell’area urbana di Nora, interessato dalla presenza di una
(42) Si tratta del Rio Saliu, nella sua ultima parte irregimentata prende il nome di Ca-
nale Saliu, che nasce in prossimità delle ultime pendici montuose occidentali e il cui corso
si segue dalla località Funtana e Sassa; gli altri sono il Rio s’Orecanu e il Rio su
Tintioni.
(43) G. SCHMIEDT, Antichi porti d’Italia: L’Universo, 45 (1965), p. 50; P. BARTOLONI, I
Fenici e le vie dei tonni: Il Mare, 39-40 (1991), p. 9; ID., I modelli insediativi: P. BARTOLO-
NI - S.F. BONDÌ - S. MOSCATI, La penetrazione fenicia e punica in Sardegna. Trent’anni do-
po (= MonAnt, 9, 9), Roma 1997, p. 40 (in seguito P. BARTOLONI - S.F. BONDÌ - S. MOSCATI,
La penetrazione fenicia e punica). Si tratta di impianti «industriali» talvolta ricordati come
abbandonati da tempo immemorabile, altre volte note per la loro attività durante il XVII e
XIX secolo; per una prima «rassegna» delle tonnare in Sicilia cf. G. SCHMIEDT, Antichi
porti d’Italia, op. cit. (in questa stessa nota); più recentemente sono stati individuati im-
pianti per la lavorazione del tonno nella Sicilia sud-orientale e nei pressi di Trapani e Le-
vanzo: G.M. BACCI, Antico stabilimento per la pesca e la lavorazione del tonno presso
Portopalo: Kokalos, 28-29 (1982-1983), pp. 345-47; G. PURPURA, Pesca e stabilimenti an-
tichi per la lavorazione del pesce in Sicilia-I: S. Vito (Trapani), Cala Minnola (Levanzo):
Sicilia Archeologica, 48 (1982), pp. 46-50; per quel che riguarda gli stabilimenti dell’Afri-
ca settentrionale cf. M. PONSICH - M. TARRADELL, op. cit. (supra nota 40). Un’attenta indagi-
ne territoriale costiera nell’area del Rio Guadalete ha permesso l’individuazione e la «ubi-
cación de pequeños núcleos industriales en esa zona y su número, en torno a 30 estableci-
mientos»: D. RUIZ MATA, La fundación de Gadir y el Castillo de Doña Blanca: Contrasta-
ción textual y arqueológica: Complutum, 10 (1999), pp. 302-303.
(44) P. BARTOLONI, I modelli insediativi, cit. (supra nota precedente); S. BARCA - F. DI
GREGORIO - C. FLORIS - M. MONTIS, Rilevamento e valutazione dei monumenti e delle aree
di rilevante interesse geologico e geomorfologico nei monti del Sulcis (Sardegna SO): L.
D’ARIENZO (ed.), Studi di Geografia e Storia in onore di Angela Terrosu Asole, Cagliari
1996, p. 292.
(45) Geologicamente l’isolotto fa parte del complesso dei rilievi vulcanici di Sarroch
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 163
di cui costituisce il prolungamento verso Sud e l’unico importante testimone in mare: cf.
nota precedente.
(46) P. BARTOLONI, Le più antiche rotte del Mediterraneo: Civiltà del Mediterraneo, 2
(1991), p. 13; ID. Le linee commerciali all’alba del primo millennio: I Fenici. Ieri oggi do-
mani. Ricerche, scoperte, progetti, Roma 1995, pp. 254-56.
(47) Sul contenuto delle anfore: P. BARTOLONI, Le anfore fenicie e puniche di Sarde-
gna (= StPu, 4), Roma 1988, p. 21; A.J. RAMON, Las ánforas fenico-púnicas del Mediterra-
neo central y occidental, Barcellona 1995, pp. 264-66, con riferimento alla bibliografia ci-
tata (in seguito A.J. RAMON, Las ánforas). È difficile dire se ci troviamo di fronte ad una
differenziazione dei tipi a secondo dei contenuti; sembrerebbe che il rivestimento interno
di resina nelle anfore possa essere associato al contenimento di vino, comunque la presen-
za della resina è indipendente dal tipo anforico. La difficoltà di associare il tipo anforico al
contenuto è maggiore in età antica, mentre per l’età punica si può individuare in alcune an-
fore di produzione iberica di III e II sec. a.C. i contenitori principalmente utilizzati per la
conserva del pesce: è questo il caso dei tipi Ramon T-9.1.1.1.; T-9.1.1.2. e T-9.1.2.1. al ri-
guardo ibid., pp. 226-28. Per i contenitori relativi alla conservazione del pescato cf. inoltre
A. MUÑOZ VICENTE - G. DE FRUTOS - N. BERRIATUA, Contribución a los orígines y diffusión
comercial de la industria pesquera y conservera gaditana a través de las recientes aporta-
ciones de las factorías de salazones de la Bahía de Cádiz: Actas del I Congreso Interna-
cional el Estrecho de Gibraltar, Madrid 1988, pp. 487-508. Per quel che riguarda la Sarde-
gna, nella maggior parte dei casi le anfore rinvenute contengono resti di carne bovine, ovi-
ne, pigne e nocciole: F. FANARI, Un’anfora contenente resina proveniente dal mare di Sul-
cis: QuadCagliari, 10 (1993), pp. 81-92, in particolare nota 38; per quel che riguarda Nora
possiamo ricordare il recupero, nelle acque antistanti, di anfore commerciali fenicie conte-
nenti resti macellati di carni bovine e ovine conservate entro vino: M. CASSIEN, Campagne
164 S. Finocchi
3.2.1. I metalli
de sauvetage 1980 sur le sites sous-marines de Nora-Pula, op. cit. (supra nota 19), pp.
76-84.
(48) Una interessante informazione è riportata da V. Angius in G. CASALIS, Diziona-
rio, p. 1030. Sotto la voce Vigneto, riferito a Pula egli sostiene: «Sono de’ luoghi attissimi
alle viti, ed è grande il numero delle vigne; tuttavolta perché poche sono le uve da mosto,
però la vendemmia non dà il necessario per la consumazione del paese, e devesi col prezzo
delle uve vendute a’ cagliaritani comperare da’ campidanesi quanto manca di vino per le
provviste particolari».
(49) F. LO SCHIAVO, Una reinterpretazione: modellino di nave in piombo da Antigori
(Sarroch, Cagliari): M. MARAZZI - S. TUSA - L. VAGNETTI (edd.), Traffici micenei nel Medi-
terraneo. Problemi storici e documentazione archeologica, Taranto 1986, pp. 193-97.
(50) Si tratta di un rilievo montuoso che divide a settentrione la piana di Nora da
quella di Sarroch. Per i rinvenimenti di bronzi cf. A. TARAMELLI (1926), Sarrock, scavi nel
nuraghe Sa Domu ‘e S’Orcu: Sardegna Archeologica, scavi e scoperte, IV 4 (1985), pp.
115-40; F. LO SCHIAVO - R. MADDIN - J. MERKEL - J.D. MUHLY - T. STECH, Analisi metallur-
giche e statistiche sui lingotti di rame della Sardegna: QuadSassari, (17) 1999, p.
34.
(51) A. UCCHEDDU, Le emergenze preistoriche della fascia costiera e pedemontana
dei territori di Sarroch, Villa San Pietro e Pula: QuadCagliari, (15) 1998, p. 110.
(52) P. CUGIA, Nuovo itinerario dell’isola di Sardegna, Ravenna 1892, p. 66 (in se-
guito P. CUGIA, Nuovo itinerario).
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 165
verse vene di minerali: «La bella vallata di Sa Stiddiosa prestasi per lo studio
del calcare metallifero contenente piombo, ferro ossidato»(53) e sempre nel ter-
ritorio pulese, in località Perda Sterri, ricorda filoni eruttivi di ferro e «Miniere
di galena argentifera rattrovansi in regione Antiogu Lai, Perdu Carta, Sa Gala-
na e ferro anche in Su Fraizzu»(54).
Alcune indicazioni possono fornirci anche quelle miniere di ferro abban-
donate che si registrano nel retroterra pulese: quella di Perdu Carta, sul versan-
te nord-occidentale di Monte Santo, quella di Punta Sebera, nelle cui vicinanze
sorgeva il nuraghe Gangiu, quella in località Posta de Trobea, al confine tra i
territori di Pula e Domus de Maria, e quella presso il Monte Barone, nelle cui
vicinanze sorgeva il nuraghe Perdu Becciu. Inoltre, è di particolare interesse
segnalare nell’area tra Perdu Carta e il Monte Santo la presenza del toponimo
S’acqua ’e ferru. Un luogo di particolare importanza per l’estrazione del ferro è
la miniera di S. Leone, il maggiore giacimento dell’isola, nel territorio di Ca-
poterra, in uso dal 1878 al 1888, raggiungibile dal territorio pulese attraverso la
vallata del Rio Gutturu Mannu: l’area mineraria conserva resti archeologici de-
finiti d’età romana(55).
L’importanza assunta dal ferro in questa regione della Sardegna sud-occi-
dentale è testimoniata dalle armi di ferro rinvenute nella necropoli fenicia della
vicina Bitia e pubblicate da M. Botto(56). Si tratta di ventidue esemplari (punte
di lancia, punte e talloni di giavellotto e pugnali) per i quali l’autore propone
una produzione isolana, sulla base della tipologia e su considerazioni di natura
topografica del centro: «la difesa di questi centri doveva essere organizzata lo-
calmente e non doveva dipendere dalla casualità di eventuali apporti ester-
ni»(57); possiamo aggiungere che la vicinanza dei filoni di ferro a Bitia, quali
quelli di Perda Sterri, Posta de Trobea e di Monte Santo (Fig. 5), può essere un
dato a vantaggio della produzione locale.
Si ricordano infine le vene di piombo presenti in zona; nella vallata di Sa
Stiddiosa(58), in località Spinalba presso Monte Sebera(59) e alle pendici del
Monte Santo, dove è ricordato uno scavo «antico» nella roccia per il reperi-
mento del materiale(60). Nello scavo del tofet di Nora si rinvennero quarantasei
oggetti plumbei(61) che G. Chiera, nella più recente disamina di questi materia-
li, colloca cronologicamente fra il III sec. a.C. e il I sec. d.C.(62). La Studiosa,
in fase di osservazioni sul centro produttore, ritiene «Rischioso dire se a Nora
si fabbricassero oggetti del genere qui esaminato: è un fatto che, tra tutti i cen-
tri fenici, Nora sia il più generoso nel numero dei rinvenimenti»(63); simili con-
siderazioni possono farsi riguardo agli oggetti in bronzo e in ferro, numerica-
(55) S. BARCA ET ALII, Rilevamento e valutazione dei monumenti e delle aree di rile-
vante interesse geologico e geomorfologico nei monti del Sulcis (Sardegna SO), cit. (supra
nota 44), p. 246. Sempre presso Capoterra bisogna ricordare il rinvenimento di una grande
quantità di metallo, di cui rimane un singolo frammento di lingotto ox-hide, rinvenuto nel
corso di lavori agricoli: F. LO SCHIAVO ET ALII, Analisi metallurgiche e statistiche sui lin-
gotti di rame della Sardegna, cit. (supra nota 50), p. 30.
(56) M. BOTTO, Le armi: P. BARTOLONI, La necropoli di Bitia-I, op. cit. (supra nota
15), pp. 137-44.
(57) Ibid., p. 144.
(58) P. CUGIA, Nuovo itinerario, p. 175.
(59) V. Angius in G. CASALIS, Dizionario, p. 1023.
(60) Ibid., p. 1024: «Un’altra consimile vena di piombo solforato argentifero trovasi
nella pendice di Montesanto sotto il più alto gioco, a metri 629.11 sul livello del mare, do-
ve fu fatta dagli antichi una escavazione nella roccia calcarea sovraposta al grani-
to».
(61) F. VIVANET, Nora. Scavi nella necropoli dell’antica Nora nel comune di Pula,
cit. (supra nota 2), pp. 299-302.
(62) G. CHIERA, Testimonianze su Nora (= CSF, 11), Roma 1978, p. 140.
(63) Ibid., p. 140.
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 167
mente inferiori ai piombi, «gli elementi di giudizio sono generici sicché tutte le
soluzioni paiono possibili, tanto in merito a una produzione locale quanto in
rapporto a un acquisto da altri siti, sardi e non»(64). I recenti scavi condotti nel
sito hanno portato all’individuazione, nell’area del Macellum, di strutture col-
legate ad un’attività produttiva e artigianale, testimoniata da una notevole
quantità di scorie metallurgiche, scorie di vetro e nuclei di argilla associati a
fasi di vita della seconda metà-fine II sec. a.C.(65). Un’altra area «industriale» è
stata riconosciuta presso le pendici nord-occidentali della collina di Tanit; an-
che in questo caso abbondanti scorie metalliche, tra cui scarti di lavorazione
del rame, sono associati a fasi di vita del III-II sec. a.C., ma l’area è interessata
da un potente bacino stratigrafico che ha già documentato, in altri settori dello
scavo, livelli di vita d’età punica e fenicia(66). L’individuazione di queste aree
di produzione riduce in parte i dubbi circa la produzione locale degli oggetti in
metallo rinvenuti a Nora.
Naturalmente la presenza di mineralizzazioni a cielo aperto non indica
tout court uno sfruttamento in antico delle stesse. La capacità di trasformare i
minerali dallo stato naturale al prodotto finito è infatti un processo che richiede
notevoli conoscenze tecniche(67). Purtroppo, le aree del territorio di Nora inte-
ressate da mineralizzazioni al momento non hanno restituito tracce di estrazio-
ne in epoca antica: andrà comunque osservato che nel caso di coltivazioni
«strutturate» (gallerie, pozzi, ecc.) la continuità nello sfruttamento delle minie-
re in epoca recente (miniere di: Perdu Becciu, Perdu Carta, Antiogu Lai, Posta
de Trobea) potrebbe aver cancellato le tracce delle coltivazioni più anti-
che.
Fig. 6 - Frammenti protostorici dal sito di Canale Peppino; a-c: teste di mazza, d-h: fram-
menti ceramici protostorici.
(68) A proposito delle teste di mazza associate alla frantumazione del minerale, rin-
venute nell’Iglesiente presso Rosas e Narcao e pubblicati da A. Taramelli: ibid., p.
197.
(69) Dal momento che le aree di estrazione di questi materiali sono state recente-
mente analizzate in diversi articoli, ad essi si rimanda per le caratteristiche topografiche
dei giacimenti e per le tecniche d’estrazione: S. FINOCCHI, La laguna e l’antico porto di
Nora, pp. 188-89; ID., Nuovi dati su Nora fenicia e punica: Ricerche su Nora – I, pp. 288-
89; M. BOTTO - S. FINOCCHI - M. RENDELI, Nora-VI. Prospezione a Nora 1994-1996: Quad-
Cagliari, 15 (1998), p. 215.
170 S. Finocchi
cine alla città di Nora sono le cave che sfruttano la penisola di Fradis Minoris e
la linea di costa nord-orientale del promontorio della città, nei pressi dell’at-
tuale ingresso agli scavi (Fig. 7; Tav. III).
Se queste cave sono, come sembra, utilizzate per le costruzioni cittadine
risulta fondamentale stabilire le fasi delle prime estrazioni(70). Generalmente
lo sfruttamento intensivo delle cave d’arenaria è datato ad iniziare dal IV sec.
a.C., data alla quale si riporta l’utilizzazione delle cave della costa sud-occi-
dentale della Sardegna, in particolare quelle situate tra Matzacara e Paringianu,
ampiamente utilizzate per le costruzioni dell’abitato ellenistico di Monte Si-
rai(71). Diversi conci in arenaria, macroscopicamente simile a quella delle cave
individuate, sono presenti in alcune strutture norensi databili ad età fenicia e
punica. Tale attestazione, se da un lato non certifica lo sfruttamento sistemati-
co delle aree di estrazione, dall’altro fa riflettere sulla possibilità dell’utilizza-
zione di questo materiale già in età antica. In particolare, i blocchi d’arenaria
presenti nell’area F e nell’area P sono impiegati in strutture murarie databili
sulla base della sequenza stratigrafica nel corso del VI sec. a.C.(72).
Un’utile indicazione cronologica riguardo allo sfruttamento delle cave ci
viene anche dall’analisi delle stele. Per la maggior parte di esse è stata utilizza-
ta arenaria quaternaria, comunemente nota come «panchina», terziaria e arena-
ria grigia, presente nelle cave individuate; mentre un ulteriore gruppo è realiz-
effettuate con analisi al microscopio e chimiche, hanno dimostrato che i materiali utilizza-
ti, tranne qualche blocco costituito da marne provenienti con ogni probabilità dalle colline
di Cagliari, provengono dalle cave di Sa Perdera e di Fradis Minoris: S. MELIS - S. COLOM-
BU, Matériaux de consctruction d’époque romaine et relation avec les anciennes carrières:
l’exemple du théâtre de Nora (Sardaigne SO - Italie): La pierre dans la ville antique et
medievale, Argenton-sur-Creuse 30-31 marzo 1998, pp. 104-17. Il contenuto mineralogico
e quello microfossilifero riscontrato nei 50 blocchi di arenarie «tirreninane» campionati ne
danno una provenienza certa dalla cava di Fradis Minoris; l’analisi delle sezioni sottili per
le arenarie della «Formazione del Cixerri» ha individuato una composizione e un susse-
guirsi delle fasi mineralogiche identiche a quelle della cava di «Sa Perdera»; la campiona-
tura è stata eseguita in modo sistematico seguendo i profili verticali (lungo l’affioramento)
e le variazioni orizzontali della roccia. Le arenarie «tirreniane» sono state riscontrate pres-
so il porticus post scaenam, i vomitoria e l’emiciclo esterno; le arenarie del «Cixerri» in
alcune parti della cavea e in blocchi di rincalzo o di rimpiazzo della stessa. Attualmente
sono in corso delle analisi chimiche e fisiche sui blocchi di arenaria utilizzati nelle costru-
zioni d’età fenicia di Nora.
(71) P. BARTOLONI - S.F. BONDÌ - S. MOSCATI, La penetrazione fenicia e punica, pp.
84, 90.
(72) Per quel che riguarda la documentazione archeologica nell’area F, cf. I. OGGIA-
NO, Nora VI. Lo scavo: area F: QuadCagliari, 15 (1998), pp. 190-201; ID., L’area F di No-
ra: un’area sacra sul promontorio del Coltellazzo: Ricerche su Nora – I, pp. 212-41. Per
quel che riguarda la documentazione archeologica nell’area P cf. J. BONETTO - M. NOVELLO,
Il foro romano (area «P»): ibid., pp. 183-195; J. BONETTO - A.R. GHIOTTO - M. NOVELLO,
Nora-VII. Il foro romano (area «P»). Campagne 1997-1998. QuadCagliari, 17 (2000), pp.
173-208; A.R. GHIOTTO - M. NOVELLO, Nora-VIII. Il foro romano (area «P»). Campagna
1999: QuadCagliari, 19 (2002), in stampa; J. BONETTO, Nora municipio romano: Atti del
XIV Convegno Internazionale di Studi su «L’Africa Romana» (Sassari, 7-10 dicembre
2000), in stampa.
172 S. Finocchi
Fin dall’inizio delle ricerche la città di Nora è stata oggetto delle campa-
gne di prospezione topografica. Il rinvenimento di alcuni frammenti di anfore,
(73) S. MOSCATI - M.L. UBERTI, Le stele puniche di Nora (= SS, 35), Roma 1970, p.
19.
(74) Ibid., pp. 43-45; G. Chiera propone di abbassare la cronologia del tofet di Nora
fra il III sec. a.C. e il I sec. d.C.: G. CHIERA, Testimonianze su Nora, op. cit. (supra nota
62), p. 140, nota 52.
(75) La distanza delle cave dal centro urbano non è mai stata preclusiva dell’approv-
vigionamento del materiale, come è ben testimoniato dal caso di Cartagine. L’arenaria uti-
lizzata per le stele di Cartagine (I gruppo: VII-VI sec. a.C.; II gruppo: V-II sec. a.C.) pro-
viene dalle cave di Dagla ed El-Haouaria. Queste cave sono situate sulla costa nord-occi-
dentale del Capo Bon, distanti dalla metropoli nord-africana circa 60 km: P. BARTOLONI, Le
stele arcaiche del tofet di Cartagine (= CSF, 8), Roma 1976, pp. 19-20.
(76) Riguardo agli elementi geologici del promontorio di Nora: F. DI GREGORIO - C.
FLORIS - P. MATTA, Lineamenti geologici e geomorfologici della Penisola di Nora: Ricer-
che su Nora-I, pp. 9-16; per quanto riguarda il territorio: M. BOTTO - S. MELIS - M. RENDELI,
Nora e il suo territorio, cit. (supra nota 12) pp. 255-57.
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 173
piatti e tazze in red slip databili fra la seconda metà dell’VIII e la metà del VII
sec. a.C.(77) rappresenta una conferma dell’antichità della fondazione fenicia di
Nora ricordata dalle fonti classiche (Pausania, X, 17, 5) (Fig. 9). Frammenti
vascolari fenici si trovano anche in aree poste immediatamente al di là dell’ist-
mo (NR98-R 1.9; NR92-R 1.8) e sul versante settentrionale della laguna
(NR92-R 2.1; NR92-R 5.10), in una zona che possiamo ritenere integrata all’a-
(77) M. BOTTO - M. RENDELI, Nora-II. Prospezione a Nora 1992, cit. (supra nota 12),
pp. 162-63; S. FINOCCHI, Nuovi dati su Nora fenicia e punica, cit. (supra nota 69), pp. 285-
86, 289.
174 S. Finocchi
(79) Si tratta del frammento NR5 in M. BOTTO, Inquadramento archeologico dei ma-
teriali: M. BOTTO - A. DERIU - D. NEGRI - M. ODDONE - P. PALLECCHI - R. SEGNAN, Caratte-
rizzazione di ceramiche fenicie e puniche mediante spettroscopia Mössbauer, in corso di
stampa. Per la datazione del tipo: A.J. RAMON, Las ánforas, p. 178.
(80) Cf. nota precedente.
(81) La vicinanza di questo insediamento all’isola di S. Macario potrebbe far pensare
anche ad un controllo marino legato alla pesca. In un passo di Filostrato, a proposito della
pesca del tonno, si ricorda che il modo migliore per sorvegliare il passaggio dei branchi è
quello dell’uomo che dall’alto di un promontorio, una volta avvistati, irrompe sul gruppo
con le barche sbarrando loro il cammino e una volta distese le reti inizia la mattanza
(&h́ra): FILOSTRATO, Imag., I, 13; al riguardo cf. inoltre: R. MARTIN - P. PELAGATTI - G. VAL-
LET, Alcune osservazioni sulla cultura materiale. Città e mare: E. GABBA - G. VALLET
(edd.), La Sicilia antica. I, 2. Le città greche di Sicilia, Napoli 1979, pp. 437-39.
(82) P. BARTOLONI - C. TRONCHETTI, La necropoli di Nora, op. cit. (supra nota 14), p.
19; S. F. BONDÌ, La colonizzazione fenicia: AA. VV., Storia dei Sardi e della Sardegna. I.
La Sardegna dalle origini alla fine dell’età bizantina, Milano 1988, pp. 160-62, in genera-
le per quanto riguarda il ruolo della Sardegna nel commercio mediterraneo si vedano le pp.
165-68.
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 177
merosi conci informi d’andesite che dovevano formare la struttura. Sempre sulla propaggi-
ne meridionale del pianoro e sulle sue pendici terrazzate orientali sono stati raccolti fram-
menti ceramici protostorici e romani, spia questi ultimi di un possibile sito che ha sfruttato
la preesistente struttura nuragica.
(86) Il paramento interno della struttura è visibile per almeno tre filari per un’altezza
di circa 0.80 m, mentre quello esterno non è visibile perché parzialmente crollato. Anche
l’aspetto geologico di quest’area è molto importante: gli affioramenti di roccia sono carat-
terizzati da una sovrapposizione tra andesite e arenaria, che rende il materiale facilmente
lavorabile. A conferma di ciò, sul versante sud-occidentale, è ben visibile un fronte di cava
probabilmente utilizzato per la realizzazione della struttura.
(87) A. UCCHEDDU, Le emergenze preistoriche della fascia costiera e pedemontana
dei territori di Sarroch, Villa San Pietrro e Pula, cit. (supra nota 51).
(88) A.J. RAMON, Las ánforas, pp. 180-82, 155-56, 242-43, figg. 30-31.
(89) Per i resti del nuraghe sul colle di «Tanit», i materiali nuragici rinvenuti presso
la torre del Coltellazzo e alcuni frammenti di ceramica d’impasto, di provenienza laziale,
attribuibili ad un’anforetta costolata e ad un’anforetta a doppia spirale, cf. P. BERNARDINI,
La Sardegna e i Fenici. Appunti sulla colonizzazione: RivStFen, 21, 1 (1993), p. 58; M.
BOTTO - M. RENDELI, Progetto Nora, pp. 721, 732.
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 179
dati divengono decisamente più consistenti nel V e soprattutto nel IV sec. a.C.,
quando si assiste ad un progressivo aumento del numero degli insediamenti
nelle aree pianeggianti e coltivabili. Dalla seconda metà del IV sec. a.C. queste
aree subiscono uno sfruttamento sistematico testimoniato dalla presenza di
strutture stabili. L’organizzazione del popolamento non segue modelli presta-
182 S. Finocchi
biliti, ma si adatta alla natura del territorio: si riscontra la tendenza dei siti a di-
sporsi sulla sommità di pianori tabulari. In questa fase, pur mantenendosi vivo
un forte interesse per l’area cittadina e portuale, che vive un momento di ulte-
riore e notevole sviluppo, si riscontra per la prima volta un marcato intervento
della città nello sfruttamento organizzato del territorio (Fig. 12).
Mentre per l’età fenicia i siti si dispongono entro un raggio di pochi chilo-
metri dall’area urbana, per l’età punica si definiscono due aree di interesse:
quella a Nord del Rio Pula e quella occidentale, che raggiunge le pendici del
complesso montuoso sulcitano (Fig. 11). Nel settore settentrionale si ravvisa la
tendenza dei siti a concentrarsi nelle aree più fertili da un punto di vista agrico-
lo, a testimonianza di un’organizzazione di gestione del territorio per piccole e
autonome entità rurali dotate anche di indipendenti zone di sepoltura, come te-
stimonierebbe l’area necropolare individuata alle pendici di Guardia Mussara
databile fra il III e il II sec. a.C. (NR96-51.1) (Fig. 1). Dalla seconda metà del
IV fino al II-I sec. a.C. si manifestano due nuclei di maggiore concentrazione
delle presenze: le aree dei quadrati NRR 16-19 e quelle dei quadrati NRR 51-
58-60. Particolare importanza assume il sito che sfrutta il precedente nuraghe
di Canale Peppino, dove è stato rinvenuto un discreto numero di materiale: al-
cuni frammenti d’anfora dei tipi Ramon T-1.4.4.1., T-4.1.1.4., T-5.1.1.1. e T-
5.2.1.3.(92) e di ceramica comune punica indicano una frequentazione e uno
sfruttamento della zona dalla prima metà del IV secolo fino a tutto il II secolo
a.C. (Fig. 13). Si tratta di un territorio il cui confine occidentale e meridionale è
rappresentato dal Rio Pula, quello orientale dal mare e quello settentrionale
dalle pendici dei rilievi montuosi di Sarroch.
Un’area provvista di circa tre chilometri di costa e che nella zona centrale,
compresa tra Punta Furcadizzu a Sud e Punta Perd’e Sali a Nord, è interessata
da un piccolo golfo naturale (Fig. 11). Si tratta di un settore completamente
perso per la ricerca archeologica dopo la destinazione dell’area a centro resi-
denziale. L’interesse archeologico di questa regione costiera è ulteriormente
testimoniato da alcune presenze nuragiche: il nuraghe di Punta Furcadizzu, al
limite meridionale del golfo, quello di Porto Columbu, in posizione centrale, e
il nuraghe di Guardia sa Mendula a Nord. La zona è caratterizzata da terreni al-
luvionali che si sostituiscono alla costa rocciosa, mentre il fondo marino è per
lo più sabbioso e fangoso. Questo tratto di mare, esposto al vento di levante e
di scirocco e alla traversia di scirocco e mezzogiorno, ospita oggi il porticciolo
turistico di Perd’e Sali e anche in età antica poteva probabilmente ospitare un
(92) Per quanto riguarda il tipo Ramon T-1.4.4.1. cf. A.J. RAMON, Las ánforas, pp.
175-76, fig. 22; per quanto riguarda il tipo Ramon T-4.1.1.4. cf. ibid., p. 186, fig. 39; per
quanto riguarda il tipo Ramon T-5.1.1.1. cf. ibid., pp. 194-96, fig. 57 e per il tipo Ramon
T-5.2.1.3. cf. ibid., pp. 196-97, fig. 60.
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 183
piccolo approdo a ridosso della Punta di Perd’e Sali. Questa, considerando an-
che una variazione della linea di costa con conseguente arretramento e modifi-
cazioni dovute al moto ondoso, poteva rappresentare un sorta di piccolo molo
di sopraflutto e garantire ormeggi e brevi soste a piccole imbarcazioni.
184 S. Finocchi
piccolo approdo a ridosso della Punta di Perd’e Sali. Questa, considerando an-
che una variazione della linea di costa con conseguente arretramento e modifi-
cazioni dovute al moto ondoso, poteva rappresentare un sorta di piccolo molo
di sopraflutto e garantire ormeggi e brevi soste a piccole imbarcazioni.
Il settore occidentale documenta invece un diverso modo di intervento
della città punica. Non si riscontrano formazioni concentrate in aree ristrette,
ma una dispersione dei siti posti sulla sommità di piccoli pianori tabulari. Le
carte di distribuzione evidenziano le associazioni tra siti, aree di reperimento
delle risorse e attestazioni di minerali e scorie metallurgiche nel territorio (Fig.
7). Possiamo individuare nello sfruttamento delle risorse «industriali» una del-
le cause di occupazione di questo settore. È interessante notare la concentra-
zione delle miniere disposte in prossimità di Monte Santo e Monte Barone;
Considerazioni sugli aspetti produttivi di Nora ... 185
5. CONCLUSIONI
(93) È ormai dimostrato che i Fenici iniziarono a frequentare le coste sarde sulla scia
delle più antiche rotte micenee e in quest’ottica assumono particolare rilievo i rinvenimen-
ti effettuati nel Macellum di Nora, nei nuraghi di Is Baccas, d’Antigori e Domu ’e s’Orku e
nella sepoltura di Perda ’e Accuzzai. Importante per comprendere le motivazioni economi-
che che sono alla base di questa associazione e sovrapposizione è l’analisi di S.F. BONDÌ,
Problemi della precolonizzazione fenicia nel Mediterraneo centro-occidentale: Momenti
precoloniali nel Mediterraneo antico. Atti del Congresso internazionale (Roma, 14-16
marzo 1985) (= CSF, 28), Roma 1988, pp. 243-55; cf. inoltre P. BARTOLONI - S.F. BONDÌ -
S. MOSCATI, La penetrazione fenicia e punica, pp. 7-19.
(94) Per una lettura della stele di Nora come commemorazione di una vittoria milita-
re a scopo di conquista territoriale cf. P. BERNARDINI, La Sardegna e i Fenici. Appunti sulla
colonizzazione, cit. (supra nota 89), pp. 54-55.
(95) Al momento non siamo in grado di cogliere il livello di acculturazione delle
genti indigene entrate in contatto con i Fenici di Nora se non dai pochi materiali rinvenuti
nel territorio, di cui abbiamo parlato, e che imitano forme ceramiche dei primi coloni; né
siamo in grado di dire se nella comunità di Nora entrano a far parte elementi indigeni.
Questo stato degli studi è principalmente imputabile alla conoscenza della necropoli arcai-
ca, della quale si conoscono soltanto alcuni reperti a seguito di una ricognizione nel Museo
di Cagliari: P. BARTOLONI, Su alcune testimonianze di Nora arcaica: Habis, 1979-1980, pp.
375-80.
RStFen, XXX, 2 (2002)
(1) El presente artículo deriva del capítulo 2 («Historia de la escritura íbera»), apar-
tado 1o, de mi tesis doctoral Análisis de Epigrafía Íbera de 1997 (RODRÍGUEZ RAMOS, en
prensa); y del capítulo 6o de mi tesis de licenciatura inédita (Análisis de Epigrafía Sudlusi-
tana, Barcelona 1992, en adelante AES) ambas dirigidas por F. Gracia Alonso. En AES tra-
to con más detalle aspectos como por qué el alefato de origen ha de ser el fenicio y no el
arameo o el hebreo y por qué hay que descartar el origen en algún signario prefeni-
cio.
188 J. Rodríguez Ramos
sentar vocales, que sería un invento exclusivamente griego y para el que el su-
dlusitano no contaría siquiera con la ayuda de los signos matres lectionis pues-
to que en la epigrafía fenicia corresponden a un periodo tardío; 2) la forma de
a, que efectivamente es la de alfa; y 3) la posición de u tras tau en el alfabeto
de Espanca(3), coincidiendo con la upsilon griega que, en principio, cabe con-
siderar que se añade al final del signario al desdoblarse la waw. Evidentemente
estos tres fenómenos podrían explicarse a partir de la copia del modelo
griego.
El primero podemos descartarlo como producto de la herencia cultural de
las ideas decimonónicas helenocentristas del impacto del «genio» del pueblo
griego en la historia de la humanidad, frente a una escasa consideración de las
culturas no europeas. Efectivamente, hay evidencia clara del desarrollo de sig-
nos vocálicos a partir de sistemas de escrituras alefáticos. En primer lugar,
existen dos alfabetos, aunque a veces erróneamente considerados silabarios,
originados en alefatos de tipo semita (fenicio o sudarábigo): las escrituras in-
dias y la etiópica. En ambos casos con matices derivados de la lengua a la que
sirven.
Las primeras escrituras indias, la brahmi y la karoshti (RENOU-FILIOZAT
1947, tomo 2, 665-712), toman como base una lengua indoeuropea en la que es
preciso notar las vocales pero en las que, por motivos de lingüística histórica,
la vocal a es con mucho la más frecuente, y poseen un consonantismo muy ri-
co. Consecuentemente tienen que inventar nuevos signos para consonantes, al
no bastar el repertorio fenicio-arameo, y el signo consonántico aislado anota su
uso más frecuente: la consonante seguida por a. En los otros casos se añade un
signo vocálico al de la consonante, que, ulteriormente, en algunas vocales pue-
de parecer un mero apéndice(4). Aunque tipológicamente diferente al modelo
greco-latino, es un alfabeto de pleno derecho.
En lo referente a las escrituras etiópicas, también erróneamente estudia-
das como silabario, corresponden a una lengua semítica similar al sudarábigo
e, inicialmente, es de uso alefático pero, posteriormente, a cada signo conso-
nántico se le ha añadido un apéndice según su timbre vocálico; de manera que
los signos tales como la, le o lu son simples variantes de un mismo signo base
(FÉVRIER 1959, 375-379). El sistema recuerda a la notación masorética del he-
breo y lo único que lo diferencia de un alfabeto clásico es la menor autonomía
(3) Sobre la estela de Espanca vide UNTERMANN 1997b, CORREA 1993 y ADIEGO
1993.
(4) No hay que descartar que la tradición de fonética oral en el estudio de los textos
sagrados, muy antigua, influyera en el proceso. Es, al menos, una buena explicación al he-
cho de que el orden de las letras del alfabeto sea lógico y no respete el orden semita
tradicional.
190 J. Rodríguez Ramos
(5) De hecho, existen inscripciones fenicias en Occidente en las que se sigue la di-
rección de escritura de izquierda a derecha, esquema que desaparece de Fenicia a finales
del II milenio, lo que es una clara prueba de usos heterodoxos. Asímismo sirve para demo-
ler los «argumentos» de los que proponen que la escritura griega o la tartesia deriven de
una escritura protocananita al suponer que el que en estas escritura se escriba en ambos
El origen de la escritura sudlusitano-tartesia ... 191
sentidos, cuando la escritura fenicia sólo era sinistrorsa, ha de suponer una influencia más
antigua. Naturalmente la hipótesis cananita, postulada para el sudlusitano tanto por Beirão
(1990, 118) como por Ferreira da Silva y Gomes (1994, 163) es tan insostenible para el
sudlusitano como para el griego; en este sentido estoy de acuerdo con las objeciones de
Amadasi Guzzo (1991, 305).
(6) En hebreo y arameo, las matres lectionis suelen ser sólo tres: y para /i/, w para
/u/ y h (!) para las restantes vocales, empleándose sólo esporádicamente el alef (NAVEH
1987: 62 y 76; LIPIŃSKI 1988: 236 y 239); pero, por lo que sabemos h no se utiliza en sud-
lusitano como valor vocálico, sino que su sistema vocalizador se parece más al de la escri-
tura ugarítica (s. XIII), que se basaba en el alef para establecer tres signos «silábicos» que
implicaban la secuencia de alef con a, i y u, respectivamente. El mayor parecido con el
griego radica en el uso vocalizador de alef, secundario en el sistema de scriptio
plena.
(7) G. MANSFELD - W. RÖLLIG, Zwei Ostraka von Tell Kamid el-Loz und ein neu
Aspekt für die Entstehung des kanaanäischen Alphabets: WdO, 5 (1970), pp. 265-270. Ver
también LIPIŃSKY 1988 p. 237 y fig. 11.
(8) A.G. LUNDIN, L’abécédaire de Bet Shemesh: Le Muséon, 100 (1987), pp. 243-
251. Vide también J.F. HEALEY, The Early Alphabet: Reading the Past. Ancient Writing
from Cuneiform to the Alphabet, London 1993, pp. 198-257, p. 218.
(9) A. ABOU-ASSAF - P. BORDREUIL - A.R. MILLARD, La statue de Tell Fekherye et son
inscription bilingue assyro-araméenne, Paris 1982.
192 J. Rodríguez Ramos
(10) Sistema de vocalización mencionado por Schmoll (1961, 21), aunque, no parece
haberse dado cuenta de este paralelo. En este dialecto del alemán, que utiliza la escritura
hebrea, alef sirve de base tanto a /a/ como a /o/; ayin simboliza la /e/; mientras que he no
tiene sentido vocálico alguno.
(11) En ese sentido destaca la aparición en el mismo de los signos que en levantino
serán ti y ki, también presentes en íbero meridional, pero en el mejor de los casos, como
hapax graphomena en sudlusitano e inexistentes en fenicio.
El origen de la escritura sudlusitano-tartesia ... 193
las escrituras paleohispánicas iba a estar ausente del supuesto signario modelo
primigenio?. Por otra parte, de la u de Espanca sólo sabemos que está tras la
selección de unos cuantos signos iniciales que, con una posible excepción en
un signo extraño y que pudiera ser el heredero muy deformado de resh, sigue el
orden del alefato fenicio. No puede siquiera descartarse la posibilidad de que u
encabece la serie de signos que se añada por una simple coincidencia, además
de poderse recurrir a la idea de que la posición de upsilon en el alfabeto griego
sea una hipotética herencia de algún signario semita que herede los signos vo-
cálicos y el orden de un modelo ugarítico(12).
Como quiera que en el sudlusitano es innegable la influencia fundamental
de un modelo alefático de tipo fenicio y que su sistema de signos vocálicos es
incompatible con el del griego, mientras que no hay ningún elemento para cuya
explicación sea necesario recurrir al griego, considero que el origen de la escri-
tura sudlusitana es exclusivamente fenicio. Es más, según veremos, la fecha
más probable de derivación del alfabeto sudlusitano (o, en su caso, el de la pri-
mera escritura paleohispánica del que se derivara) es de hacia el 800 a.C., con
tendencia a ser a finales del s. IX. Una fecha en que ni siquiera puede asegurar-
se que existiese el alfabeto griego.
(12) Aparte de esto, tampoco puede descartarse la simple explicación de que la pro-
nunciación taw coadyuvara, entendible como tau en especial cuando el signo en sudlusita-
no vale para ta, a que le siguiese la vocal u.
194 J. Rodríguez Ramos
na(13) en la que los signos cambian para diferenciarse de otros que por evolu-
ción normal se les han aproximado demasiado, creo que se ha producido una
especie de evolución colectiva de los modelos fenicios l, g y p; como explica-
remos infra. Por todo ello, tampoco gimel debe considerarse significativo.
– dalet: La forma sudlusitana tiende, como la griega al triángulo equiláte-
ro, mientras que, como puede verse en el cuadro, la forma con apéndice apare-
ce en el s. IX y se generaliza en el VIII. Es difícil decidir si, mientras el apéndi-
ce era pequeño, pudo interpretarse como un simple triángulo, pero, en todo ca-
so, parece constituir una prueba de que el original debió ser de los ss. X-IX o,
difícilmente, de la primera mitad del VIII, en que aparece muy esporádicamen-
te (especialmente en la de Limassol, que por su probable relación con Tiglatpi-
leser III sería de ca. 750).
– waw: La forma sudlusitana contrasta con la Y. El predominio de la pri-
mera es en el s. IX, con los mejores paralelos en las inscripciones de Chipre,
Kilamuwa y Nora, que se consideran de fines del IX, si bien Amadasi Guzzo
opina que Nora podría ser del VIII. Alguna forma asimilable aparece en Kara-
tepe, ya en el s. VIII. Pueden también encontrarse paralelos aislados posterio-
res, pero habría que explicar por qué se exporta una forma minoritaria.
– tet: Dado que parece ser difícil de distinguir una cronología de dicho
˙ un solo trazo interior, respecto a la normal con dos trazos en cruz, só-
signo con
lo podemos disociarlo de su forma abierta, más cursiva, con lo que tendríamos
un ante quem de hacia el 700 a.C.
– kaf: La forma sudlusitana, similar a la griega aparece en fenicio entre la
arcaica y la simplificada (14), predominando en el s. IX y parte del VIII. Sin
embargo, formas de éstas pueden hallarse esporádicamente en diversas crono-
logías, incluso a inicios del s. VI. Con todo, en esas fechas sería minoritario y
no hay rastro en sudlusitano de sus formas más evolucionadas.
– mem: Dado que todo indica que se relaciona con el ba sudlusitano, he-
mos de suponer un original fenicio vertical, en claro contraste con la my griega.
La forma fenicia vertical es propia del fenicio del s. X y sólo raras veces apare-
ce en el IX. A partir del s. VIII la forma fenicia, tal y como puede verse en la
inscripción votiva de Kition, de ca. 800 a. C. (PUECH 1976), debe considerarse
de imposible relación con ba, aunque podría especularse, tal y como hace Un-
termann, con que la forma evolucionada de mem fuese el origen de S-105. Sin
embargo, resulta decisivo el testimonio de la estela de Espanca a favor de que
el signo sudlusitano que deriva de mem sea ba. Ello dejando aparte el carácter
(13) BRIXHE 1991, p. 316. Es lógico y natural que para no confundir dos signos se al-
tere la forma de, por lo menos, uno de ellos.
(14) Esta forma evolucionada de kaf aparece en la inscripción fenicia de una ánfora
del Cabezo de la Esperanza (Huelva) del s. VII: kry.
196 J. Rodríguez Ramos
de signo muy poco frecuente de S-105, por lo que cabe sospechar que sea una
variante de otro más conocido. La interpretación de la inscripción de Espanca
es unánime respecto a que los signos de la primera línea, de buen trazo, son el
modelo hecho por el maestro lapicida que, en la segunda línea copia un alumno
poco avanzado, a juzgar por el torpe trazado de sus signos. Untermann, siempre
suponiendo que este alfabeto es un modelo primigenio, enfatiza que el signo
que ocupa el lugar de mem en la segunda línea es similar a S-105, pero lo cierto
es que justamente en la línea «modelo» del maestro se parece a ba. Es pues
mem el signo más problemático para rebajar la cronología de préstamo que
condujo al sudlusitano, puesto que ni siquiera de forma minoritaria vuelve a
aparecer la versión vertical, ni tampoco está en griego, que adapta formas feni-
cias más modernas.
– qof: No hay problema alguno para relacionar ki con cualquier forma fe-
nicia anterior al 700 a.C. Merece, en cambio, especial mención el hecho de que
el signo qof posterior a esta fecha, podría intentar relacionarse con ko y ku.
Ello podría admitirse si no fuera por las dificultades que genera en los restantes
signos, por lo que es preferible pensar que ko es una forma geométrica simple
y ku su derivado.
– taw: Aparecen en sudlusitano dos formas fenicias diferentes y . La
primera de ellas encuentra paralelos muy arcaicos en fenicio, siglo X – inicios
del IX, pero puede proponerse que la original sea la segunda, mientras que la
primera sea una derivación de la fenicia dada la simplicidad del signo, que, co-
mo es sabido, aparece casi siempre en las sociedades iletradas cuando se reali-
zan marcas, como las de muchas de las cerámicas prerromanas peninsula-
res.
La impresión general que se tiene tras revisar los signos es que puede ase-
gurarse que el periodo cronológico de préstamo oscila entre el 900 y el 700
a.C.; puesto que si bien un análisis exhaustivo de más material demuestra que
signos aislados pueden aparecer en su forma arcaica posteriormente, se hace
evidente que no vuelven a encontrarse todos juntos. Sin embargo, el signo mem
en puridad aboga por una fecha anterior al 850 a.C. Mi opinión es que el présta-
mo de mem podría ser posible de alguna de las formas posteriores transiciona-
les, más oblicuas que verticales, pero que sería imposible cuando el apéndice
inferior ya se ha desarrollado totalmente.
La forma de mem podría relacionarse con la de las tres inscripciones feni-
cias que se consideran datables a finales del s. IX: la estela de Kilamuwa (ca.
825 datada por alusiones históricas), una inscripción arcaica de Chipre (consi-
derada del s. IX) y la estela de Nora (datada paleográficamente a finales del s.
IX). Asimismo, en 1993 se ha publicado la inscripción de Tel Dan, que presen-
ta un signario muy similar a la de Kilamuwa y que puede datarse en un 825 ±
15, preferiblemente ca. 820, por alusiones históricas (MARGALIT 1994). Si las
comparamos con el signario sudlusitano, comprobamos que guardan una gran
El origen de la escritura sudlusitano-tartesia ... 197
vegantes portugueses del s. XV que se realiza mediante una serie de avances largos en
unos pocos decenios, con asentamientos de apoyo, pero que al contactar con las rutas co-
merciales árabes el acceso a su objetivo, la India, es muy rápido.
(16) FERNÁNDEZ-MIRANDA 1983 indica que en el nivel XIIIa de Cabezo de San Pedro
sólo había un 3% de cerámica a torno: tres fragmentos de barniz rojo y cinco
grises.
(17) También en el mismo sentido, pero más detallado, FERNÁNDEZ JURADO 1988-89,
p. 219, sobre la pixis ática. Sin embargo, ha de tenerse en cuenta que dicha cerámica apa-
reció fuera de contexto.
(18) RUIZ MATA 1989, p. 241. Vide también su opinión sobre los contactos en la pri-
mera mitad del s. VIII (p. 231).
(19) Una descripción de la periodización en FERNÁNDEZ JURADO 1988-89, pp. 203-264;
su opinión sobre el muro en p. 214 s. y 219.
200 J. Rodríguez Ramos
trico Medio. Con todo, no sería hasta el Tartésico Medio II (tercer cuarto o se-
gunda mitad del s. VIII) cuando se generalizase la aparición de la cerámica a
torno de engobe rojo.
Pero un significado muy especial, en lo concerniente a la escritura lo tu-
vieron los primeros hallazgos de Castillo de Doña Blanca, constatándose la
aparición de inscripciones claramente fenicias, sobre cerámica de producción
local, bajo la muralla, en un estrato fechado en 810-760 (CUNCHILLOS
1990).
Sin embargo, desde entonces los hallazgos han ido proporcionando nove-
dades radicales, no solo las dataciones confirman la tendencia a hacerse más
antiguas, sino que la presencia fenicia en la primera mitad del s. VIII ha pasado
de ser un fenómeno precolonial, débil y esporádico a una presencia organizada
y masiva de población fenicia. Así tenemos las dataciones calibradas de radio-
carbono de la fase inicial de Morro de Mezquitilla se adentran en pleno s. IX.
Aubet (1994, 323) ya indica que «según un coeficiente de probabilidad del 93
por 100, los fenicios se instalaron en Morro entre el 894 y el 835 a.C.». Aunque
esta sea la datación más significativa, tal y como analiza Ruiz-Gálvez no está
aislada, sino que hay otras dataciones radiocarbónicas calibradas de estratos
fenicios u orientalizantes que apuntan al 800 a.C. Así, en Rocha Branca (Sil-
ves) una tiene su mayor probabilidad en 800-765, en Quinta do Almaraz tramos
de 830-800 y 825-795, en Alcaçovas de Santarem (Lisboa) una muestra indica
un 875-800. De todo ello concluye Ruiz-Gálvez (1998, 291) que «las fechas de
mediados del s. IX a.C. para los comienzos de la colonización fenicia resultan
totalmente coherentes, a tenor de las dataciones radiocarbónicas». He aquí,
pues, cómo el radiocarbono calibrado y la cronología paleografía coinci-
den.
Posteriormente se ha establecido que tanto el yacimiento ya conocido de
Castillo de Doña Blanca (Cádiz), como los nuevos de Tavira y de La Fonteta
(Alicante), son establecimientos fenicios del s. VIII que surgen desde el primer
momento con una estructura urbanística y de fortificación considerable; y más
importantes que los previamente conocidos. Documentando los tres una pre-
sencia organizada y abundante de población fenicia en el s. VIII. El que en un
breve lapso de tiempo hayan sido encontrados tres yacimientos nuevos de pri-
mera magnitud del s. VIII es un índice inequívoco de que todavía nos falta
mucho por conocer de la primera presencia fenicia en Occidente.
Podemos, pues, concluir que la evidencia paleográfica no es un problema,
sino un indicador más de que la presencia fenicia data de hacia el 800 a.C., po-
siblemente incluso un poco antes, y ya con estrechos contactos con las culturas
nativas. El único reparo posible es aquel subjetivo y tan poco sólido de consi-
derar que un fenómeno de tal importancia histórica como la escritura se adop-
tase por unos indígenas del Bronce Final atlántico en tan breve tiempo.
El origen de la escritura sudlusitano-tartesia ... 201
(21) Es cierto que Adiego (1993, 21) hace referencia, como paralelo del paso de un
silabario a un alfabeto, a una cita de Gelb (1976, 270) sobre la invención por el rey de los
Njoyas de un sistema de escritura donde, la posterior adición de vocales a un silabismo
inicial (puesto que al parecer el modelo a emular era un silabario de un pueblo vecino).
Gelb concluye que prueba que «un alfabeto puede originarse no solamente de un silabario
del tipo semítico,» – Gelb considera los alefatos semitas como silabarios- « que consista
en signos sin indicación de vocales, sino también de un silabario como el bamum, com-
204 J. Rodríguez Ramos
puesto de signos con completa indicación de vocales». Sin embargo, siempre según Gelb,
la necesidad de crear signos vocálicos se debió a la voluntad de, en vez de usar la escritura
para la lengua njoya o bamum, se decretó la creación de una nueva lengua mezclando pa-
labras del francés, inglés y alemán cuya pronunciación se conservaba, aunque se les daba
un significado arbitrario y que «dada la insuficiencia del sistema silábico existente para
expresar palabras extranjeras, se introdujo un recurso para agregar signos vocálicos a las
sílabas abiertas». Difícilmente puede extrapolarse un caso tan artificioso y tan específico,
ni, desde luego, puede extrapolarse la etiología del proceso africano a las escrituras pale-
ohispanas, que mantienen siempre el mismo esquema pentavocálico.
(22) Como todas las demás atribuciones fonéticas del fenicio, debe considerarse sólo
probable dado que es imposible contrastar la fonética fenicia de forma directa.
El origen de la escritura sudlusitano-tartesia ... 205
Sonantes y sibilantes:
– l: adapta la lamed. De acuerdo con el principio 2 el rasgo distintivo pa-
sa a la parte superior. Ello conllevará modificaciones en los signos derivados
de gimel y de pe.
(23) Si bien invirtiendo las transcripciones tradicionales del íbero de r y ŕ dado que
el valor de erre primaria ha de corresponder, al igual que testimonia el grecoibérico, al si-
gno descendiente de resh.
(24) Por ejemplo, recientemente Bomhard (1984, 149), si bien en interés de trazar
206 J. Rodríguez Ramos
una reconstrucción del protonostrático, considera que en hebreo s, z y tsade serían africa-
das dentales.
(25) Albright (1974, 33-67), sobre testimonios del II milenio a.C.
(26) Fenómeno según el cual una s sonora, preferiblemente intervocálica, como en
latín, pasa a /r/ simple.
(27) El problema radica en identificar el signo que le precede, de morfología aberran-
te. Si es una deformación de resh entonces, de acuerdo con el orden del alefato fenicio, só-
lo le puede seguir shin, pero si es una deformación de pe, lo que estructuralmente es algo
menos probable, pueden admitirse ambas sibilantes.
El origen de la escritura sudlusitano-tartesia ... 207
Signos de oclusiva:
En la adaptación de signos fenicios para los pseudosilabogramas de oclu-
siva observados en sudlusitano se ha respetado el punto de articulación del ori-
ginal, cuando este puede comprobarse en sudlusitano. Las consonantes enfáti-
cas fenicias han sido reasignadas a pseudosilabogramas en /i/. Como era de es-
perar, el casillero de pseudosilabogramas ha sido completado con signos inven-
tados. Dentro de esta invención, si mi hipótesis de la lectura de los signos bu y
ku, según la cual intercambio los valores comúnmente admitidos, es correcta,
puede comprobarse que los signos para las vocales posteriores (/o/ y /u/) pre-
sentan morfologías emparentadas.
(28) De hecho en fenicio corresponde a un fonema laringal sordo (BRIXHE 1991, 318;
recogiendo la reconstrucción de Segert) que encaja con la descripción de la laringal 2 del
protoindoeuropeo (fricativa laringal sorda), causante de vocalizaciones en /a/, tanto como
asimilación regresiva (siguiendo a la vocal) como en regresiva (precediéndola). Física-
mente, se debería a que este tipo de laringales se pronuncian con la lengua baja, lejos del
paladar, de forma similar a la vocal abierta /a/. Grammont indica este fenómeno en la asi-
milación regresiva de /i/ y /u/ en /a/ seguidas de fricativa laringal sorda en algunos dialec-
tos árabes. Asimismo, señala una asimilación progresiva de este tipo con oclusiva laringal
sonora, que produce diptongos /ai/ y /au/ (GRAMMONT 1965, 214).
(29) Consecuentemente con lo explicado sobre que S-111 pudiera ser un sonido del
tipo de /h/, entonces S-121 pudiera ser su sustituto elaborado añadiendo un apéndice al fo-
néticamente similar ka.
El origen de la escritura sudlusitano-tartesia ... 209
parece ser lo habitual en las enfáticas. En realidad el modelo fenicio casi siem-
pre presenta dos trazos interiores, puesto que parece que se creó como derivado
de taw, pero también puede hallarse con un solo trazo. La forma sudlusitana
enfatiza la verticalidad del único trazo interior, por lo que en ocasiones el cír-
culo se convierte en una especie de elipsoide.
(30) Esto constituye un problema importante. Si ese signo fuese r habría que suponer
que pe no ha sido adaptado a un sonido próximo a su original, como sucede en la serie de
orden fenicio, mientras que si suponemos que efectivamente es el equivalente a pe sería r
una flagrante excepción a lo que parece una norma.
210 J. Rodríguez Ramos
¿ES POSIBLE JUSTIFICAR LOS TIMBRES VOCÁLICOS ASOCIADOS A LOS SILABOGRAMAS A PAR-
TIR DEL FENICIO?
tano. En tal caso resultaría que tanto el griego como el sudlusitano habrían en-
tendido samek como un fonema compuesto, lo que, junto al testimonio de las
transcripciones egipcias de términos fenicios, reforzaría la idea de que la re-
construcción fonética tradicional de samek es errónea. Ello permitiría entender
el origen de xi. Por otra parte y aunque es todavía problemático, parece que el
signo zayin es también adaptado en las escrituras paleohispánicas para formar
un signo que en íbero será una variante de ‘erre’ pero del que desconocemos su
valor en sudlusitano.
BIBLIOGRAFÍA
ADIEGO, I.-J. (1993), Algunas reflexiones sobre el alfabeto de Espanca y las primitivas es-
crituras hispanas: Studia Palaeohispanica et Indogermanica J. Untermann ab amicis
hispanicis oblata, ADIEGO, I.-J. - SILES, J. - VELAZA, J. (eds.), (Aurea Saecula, 10), pp.
11-22, Barcelona.
ALBRIGHT, W.F. (1974 [=1934]), The Vocalization of the Egyptian Syllabic Ortography,
(AOS), New Haven.
ALMAGRO GORBEA, M. (1977), El Bronce Final y el período orientalizante en Extremadura,
(BPH, 14), Madrid.
AMADASI GUZZO, M. G. (1991), ‘The Shadow Line’. Reflexions sur l’introduction de l’al-
phabet en Gréce: PHOINIKEIA GRAMMATA, pp. 293-311.
AUBET SEMMLER, Ma. E. (1994), Tiro y las colonias fenicias de Occidente. Edición amplia-
da y puesta al día, Barcelona.
BEIRA^ O, C. DE MELHO (1990), Epigrafía da I Idade do Ferro do Sudoeste da Península Ibé-
rica. Novos dados arqueológicos: Estudios Orientais, 1, pp. 107-118.
BLÁZQUEZ, J.Ma. - ALVAR, J. - G. WAGNER, C. (1999), Fenicios y cartagineses en el Medite-
rráneo, Madrid.
BOMHARD, A.R. (1984), Toward Proto-Nostratic. A New Approach to the Comparison of
Proto-Indo-European and Proto-Afroasiatic (Current Issues in Linguistic Theory, 27),
Amsterdam - Philadelphia.
BRIXHE, C. (1991), De la phonologie à l’écriture: quelques aspects de l’adaptation de l’al-
phabet cananéen au grec: PHOINIKEIA GRAMMATA, pp. 313-356.
COFFYN, A. (1985), Le Bronze Final Atlantique dans la Péninsule Ibèrique, Borde-
aux.
CORREA, J.A. (1989), El origen de la escritura paleohispánica: GONZÁLEZ, J. (ed.), Estudios
sobre Urso, Colonia Iulia Genitiva, Sevilla, pp. 281-302.
CORREA, J.A. (1992), La epigrafía tartesia: HERTEL, D. - UNTERMANN, J. (eds.) Andalusien
zwischen Vorgeschichte und Mittelalter, Köln.
CORREA, J.A. (1993), El signario de Espanca (Castro Verde) y la escritura tartesia: UNTER-
MANN, J. - VILLAR, F. (eds.), Lengua y Cultura en la Hispania Prerromana. Actas del V
Coloquio sobre Lenguas y Culturas Prerromanas de la Península Ibérica (Colonia, 25-
28 de Noviembre de 1989), Salamanca, pp. 521-562.
CUNCHILLOS, J.L. (1990), Las inscripciones fenicias del Tell de Doña Blanca (III): Aula
Orientalis, 8, pp. 175-181.
FERNÁNDEZ JURADO, J. - CORREA, J.A. (1988-89), Nuevos grafitos hallados en Huelva: Tar-
tessos y Huelva = Huelva Arqueológica X-XI, 3, pp. 121-142.
El origen de la escritura sudlusitano-tartesia ... 215
Ante e: te
Ante o: bo
B) Otros:
Alef a o
Bet be
Gimel ka
Dalet tu >to
Waw u
Tet ti
˙
Yod i
Kaf ke
Lamed l
Mem ba
Nun n
Samek s
Ayin e
Tsade
220 J. Rodríguez Ramos
Qof ki
Resh r
Shin ś
Taw ta
El origen de la escritura sudlusitano-tartesia ... 221
Inscripción de Tel Dan, según Biran y Naveh (IEJ 45-1, 1995, p. 12; dibujo de
A. Yardeni)
RStFen, XXX, 2 (2002)
NOTE E DISCUSSIONI
(1) L. BADRE, Bey 003 Preliminary Report: Excavations of the American University of
Beirut Museum 1993-1996: BAAL (Bulletin d’Archéologie et d’Architecture Libanaise), 2
(1997), pp. 6-94. Reprinted at http://almashriq.hiof.no/ddc/projects/museum/baal/1997/pa-
ge91.html. Details about the site and the excavation process are given pp. 6-12.
(2) Badre (supra nota 1), p. 74 and fig. 47d (p. 91). The registration number of the
ostracon is 95.120. The context from which the ostracon came is Bey 003 787. I thank Dr.
Badre for providing these details (e-mail message, January 23, 2001).
(3) Badre (supra nota 1), p. 74. A. LEMAIRE, Bulletin d’information I. Syrie-Phéni-
cie-Palestine: Épigraphie: Transeuphratène, 17 (1999), pp. 111-12.
(4) I wish to thank Dr. Badre for permission to comment on this inscription.
(5) See J. B. PECKHAM, The Development of the Late Phoenician Scripts, Cambridge
1968, pp. 169-70; G. GARBINI, Storia e problemi dell’epigrafia semitica: Annali dell’Istitu-
to Orientale di Napoli, Suppl. 19 (1979), pp. 54-55; M.G. AMADASI GUZZO, Scritture alfa-
betiche, Roma 1987.
(6) Peckham (supra nota 5), pp. 170-72.
224 Ph. C. Schmitz
of the three-stroke stage of the letter šin from a controlled context, dating
on both stratigraphic and ceramic grounds to about 750 B.C.E.(7).
As can be seen from Fig. 2, the šin of Bey 003 no. 95.120 has a somewhat
unusual shape. The right stroke is elongated and the center stroke intersects it
to the right of its intersection with the left stroke. This form of šin is also found
in the Cebel Ires Daği inscription from Rough Cilicia (there are many exam-
ples; the example in Fig. 2 is traced from the first line of Face C)(8). The Ce-
(7) J.-L. CUNCHILLOS, Inscripciones fenicias del Tell de Doña Blanca (V). TDB
91001: Sefarad, 53 (1993), pp. 17-24. For a more detailed argument concerning the date
and significance of this graffito, see PH. C. SCHMITZ, Phoenician Seal Script: W.A. AUF-
RECHT - J.A. HACKETT (edd.), An Eye for Form. Epigraphic Studies in Honor of Frank Moo-
re Cross (in press). Peckham’s earliest example of the three-stroke šin was from the šlmy
jar inscription from Azor; on the date, see Peckham (supra nota 5), pp. 125-27.
(8) P. MOSCA - J. RUSSELL, A Phoenician Inscription from Cebel Ires Daği in Rough
Cilicia: Epigraphica Anatolica, 9 (1987), pp. 1-28. Note the script chart, p. 27, and pl.
4.
Paleographic Observations on a Phoenician... 225
bel Ires Daği inscription shows three varieties of three-stroke šin: (1) with three
strokes converging at a single point (e.g., Face B, line 2, letter 5); (2) with cen-
ter stroke meeting left stroke above and parallel to the right stroke; (3) the va-
riety in Fig. 2 discussed here. This third variety is the most frequent form of the
letter šin in the Cebel Ires Daği inscription, in contrast to other extant Phoeni-
cian inscriptions of the period(9).
Fig. 2 - Bey 003 no. 95.120: «third variety» three-stroke šin (above);
«third variety» three-stroke šin from Cebel Ires Daği inscription (below).
(9) This third variety of three-stroke šin was not described or discussed by Peckham
(supra nota 5). I believe that the present discussion constitutes its first systematic
description.
(10) M.G. AMADASI GUZZO, Scavi a Mozia - Le iscrizioni (= Collezione di Studi Feni-
ci, 22), Rome 1986, pp. 71-75 (inscription no. 23, line 3) and tav. IX, 1. There is a three-
stroke šin of the first variety in line 2 of this inscription. The inscription was unearthed in
Stratum IV, datable to the second half of the sixth century B.C.E. (ibid., p. 71).
(11) Amadasi Guzzo (supra nota 10), p. 75.
(12) P. BORDREUIL, Catalogue des sceaux ouest-sémitiques inscrits de la Bibliothèque
Nationale, du Musée du Louvre et du Musée biblique de Bible et Terre Sainte, Paris 1986,
no. 26; N. AVIGAD - B. SASS, Corpus of West Semitic Stamp Seals, Jerusalem 1997, p. 274,
no. 736.
(13) L.G. HERR, The Paleography of West Semitic Stamp Seals: Bulletin of the Ameri-
can Schools of Oriental Research, 312 (1998), p. 57.
226 Ph. C. Schmitz
slightly above the angle formed by the intersection of the left and right
strokes(14).
The co-occurrence of three varieties of the letter šin in the Cebel Ires Daği
inscription indicates that these forms are employed as free variants by the late
seventh century. The Motya inscription cited above (no. 23) witnesses the first
and third variety, but not the second. The other example provides no evidence
concerning distribution of the form. The «third variety» of the three-stroke šin
probably developed by the mid-seventh century B.C.E., and probably
continued into the fifth century B.C.E.
The two other letters in Bey 003 no. 95.120 are consistent with this chro-
nological framework. The mem of Bey 003 no. 95.120 is of a type generally la-
beled «cursive». The cursive mem is first attested early in the seventh cen-
tury(15). One of the ink-written Phoenician texts on fifth-century ostraca from
Elephantine shows a cursive mem bearing a strong resemblance to the cursive
mem in Bey 003 no. 95.120(16). The nun of Bey 003 no. 95.120, however, is
earlier than the examples from Elephantine. It is more similar in form to the
nuns in the sixth-century Phoenician letter written in ink on papyrus from
Saqqarah(17). Comparative paleographic features of Bey 003 no. 95.120 sug-
gest that it could be dated between about 625 and 550 B.C.E. The archaeologi-
cal context of the find, however, indicates a date between 675 and 650
B.C.E.(18). It seems probable that the inscription should be dated about 650
B.C.E.
(14) There is a letter šin similar in shape on a cuboid Phoenician weight studied by J.
ELAYI - A. G. ELAYI, Recherches sur les poids phéniciens: Transeuphratène, Suppl. 5
(1997), p. 137, no. 391 and pl. XXIX, 391. The Phoenician word št in which the letter oc-
curs is inscribed in mirror-reverse (ibid., p. 178), probably for use as a stamp. Because it is
reversed, I do not consider the letter comparable to the examples of «third variety» šin al-
ready discussed. (It should probably be excised from the script chart, ibid., p. 379, fig.
11).
(15) Peckham (supra nota 5), pp. 158-59.
(16) M. LIZBARSKI, Phönizische und aramäische Krugaufschriften aus Elephantine (=
Anhang zu den Abhandlungen der königlich preussischen Akademie der Wissenschaften,
phil.-hist. Kl.), Berlin 1912, p. 6 and pl. I, no. 8. See also Peckham (supra nota 5), pp. 110-
11, pl. X, line 4.
(17) N. AIMÉ-GIRON, Bacal Saphon et les dieux de Tahpanes dans un nouveau pa-
pyrus phénicien: Annales du Services des Antiquités de l’Égypte, 40 (1940), pp. 433-460;
H. DONNER - W. RÖLLIG, Kanaanäische und aramäische Inschriften mit einem Beitrag von
O. Rössler (KAI), I-III, 3d/4th ed., Wiesbaden 1973-1979, no. 50. I have consulted the
excellent photograph in J. NAVEH, Early History of the Alphabet. An Introduction to West
Semitic Epigraphy and Palaeography, 2d rev. ed., Jerusalem 1987, pl. 4.
(18) In the same context was found an SOS Attic amphora (Badre, [supra nota 1], p.
86, and p. 89, fig. 46:2). According to A. Johnston, this amphora indicates a date not later
than 675-650 B.C.E. (L. Badre, e-mail message, April 25, 2001).
Paleographic Observations on a Phoenician... 227
RECENSIONI E SCHEDE
AA.VV. (a cura di M. L. FAMÀ), MOZIA. Gli scavi nella «Zona A» dell’abitato, Bari
2002. 378 pp.; figg., tavv. e grafici nel testo. Centro Internazionale di Studi Fenici,
Punici e Romani del Comune di Marsala.
È la prima volta che uno scavo condotto a Mozia viene pubblicato sistematica-
mente e integralmente a pochissimi anni di distanza dal completamento della ricerca
sul campo. È proprio questo il primo merito del volume in esame, frutto di una ricerca
pluridisciplinare avviata dalla Soprintendenza BB.CC.AA. di Trapani, sotto la dire-
zione di M. L. Famà, che restituisce con tempestività alla comunità scientifica un pa-
trimonio di dati e conoscenze fondamentali non solo per chi studia Mozia, ma per tutti
coloro che, a diverso titolo, operano nel campo degli studi di Archeologia
fenicio-punica.
L’opera, stampata per i tipi della Casa editrice Edipuglia, inaugura la collana di
monografie promossa e avviata dal Centro Internazionale di Studi Fenici, Punici e Ro-
mani del Comune di Marsala nato al fine di incentivare la conoscenza della Sicilia an-
tica nell’ambito del contesto storico-culturale del Mediterraneo.
Il volume si apre con una Prefazione di V. Tusa, cui si deve l’avvio degli scavi
nell’abitato di Mozia, negli anni ’60; segue l’Introduzione di M. L. Famà, in cui la
studiosa illustra la nascita e le finalità del progetto della ricerca intrapresa nel 1987
nella c.d. «Zona A», ubicata proprio nel cuore di Mozia e comprendente l’ambiente
già noto come «Casa delle anfore».
La prima parte del lavoro (I. Il Contesto, pp. 15-34) tratta della morfologia dell’i-
sola nel suo contesto territoriale, fornisce i lineamenti essenziali della storia del sito e
presenta lo stato delle conoscenze sull’abitato. Rendendo conto delle scoperte più re-
centi, M. L. Famà presenta una rilettura aggiornata della struttura urbana dell’antica
Mozia, mettendo in rilievo come la verifica dell’assenza di un impianto stradale rego-
lare nella zona centrale dell’isola induca alla revisione di ipotesi formulate in passato
a proposito dell’esistenza di due diversi impianti stradali: uno ortogonale, nella zona
centrale dell’isola, forse a partire dal VI sec. a.C.; uno, più antico, costituito da strade
ad andamento curvilineo, lungo il circuito naturale dell’isola. L’attestazione di strade
curveggianti al centro dell’isola, le divergenze spesso notevoli di orientamento degli
assi viari rettilinei e la mancata evidenza di raccordi tra le arterie individuate sembra-
no infatti mettere in dubbio la possibilità di un impianto stradale regolare «di tipo ip-
podameo». Relativamente più chiara sembra invece la planimetria della fascia peri-
metrale, dove le strutture finora note sono orientate secondo la linea costiera, lungo il
tracciato «anulare», individuato sul margine settentrionale dell’abitato.
Con la parte seconda (II. La «Zona A», pp. 35-67) si entra nel vivo della trattazio-
ne. La definizione del modulo urbanistico dell’isolato in esame, indagato estensiva-
mente e, solo in parte, in profondità – noto, quindi, pressocché integralmente nel suo
assetto finale attribuibile agli inizi del IV sec. a.C./post 397 – costituisce, infatti, la
230 Recensioni
necessaria premessa alla disamina analitica dei risultati degli scavi condotti negli edi-
fici denominati A e B, ubicati nel settore est dell’isolato stesso. Di questi due edifici
anzitutto viene illustrata la sequenza delle fasi, nell’ambito di sei distinti periodi di
occupazione – quella che l’A. definisce microstoria delle due strutture abitative – cui
corrisponde una sequenza puntuale, in termini di cronologia assoluta, dalla fine del-
l’VIII sec. a.C. all’età contemporanea.
Nell’alternanza di fasi costruttive o ricostruttive e fasi di abbandono, si riesce a
connettere l’attività edilizia svoltasi nell’isolato in esame con quella evidenziata, a
Mozia, in altri complessi pubblici o in edifici privati: così, ad esempio, la prima fase
di occupazione del settore orientale della «Zona A» coincide con il primo impianto
del tofet; l’obliterazione di strutture funzionali, nella seconda metà del VI sec. a.C.,
può essere collegata ai violenti episodi bellici che contrassegnarono quel periodo; le
consistenti attività di ristrutturazione nel corso del V sec. a.C. trovano raffronto nel
coevo fervore edilizio che interessa santuari, mura urbiche, strutture portuali,
case.
La data dell’assedio dionigiano non coincide con la cessazione di vita nella «Zo-
na A»: forse la centralità del quartiere e le attività (trasformazione e conservazione di
prodotti agricoli) in esso svolte prima del 397 a.C. ne determinarono una continuità di
frequentazione fino agli inizi del III sec. a.C.
In quello che, giustamente, l’A. definisce «il primo tentativo di periodizzare
strutture abitative a Mozia» un ruolo importante ha avuto lo studio delle tecniche edi-
lizie che ha consentito in alcuni casi la datazione di strutture altrimenti poco chiara-
mente definibili in termini cronologici. La tipologia elaborata da M. L. Famà, M. P.
Toti, P. Vecchio, che comprende sette tipi struttivi, ha confermato inoltre alcune cono-
scenze già acquisite a proposito di materiali e sistemi di costruzione a Mozia: l’impie-
go dei mattoni crudi, insieme a calcare, arenaria, pietre scistose; la tecnica di copertu-
ra degli edifici, che prevedeva tetti piani; la realizzazione di solidi pavimenti in calca-
re duro e compatto, in età arcaica, o ad intonaco, nel IV sec.
Elemento di assoluta novità, per Mozia, è inoltre lo studio di focolari, forni, sili
che fornisce dati preziosi ed inediti per la Sicilia sia sui sistemi di cottura e riscalda-
mento, sia sui sistemi di ammasso delle granaglie, individuando, altresì, significativi
riscontri sia in aree di cultura greca della stessa Isola, sia in centri fenici e punici di
altre regioni mediterranee.
Nella parte III (III. Lo scavo, pp. 69-128) vengono esaminati analiticamente i ri-
sultati dello scavo, condotto ineccepibilmente sia per quanto attiene al metodo e alle
strategie d’intervento sia relativamente alla raccolta e all’elaborazione dei dati strati-
grafici e materiali.
L’Edificio A, illustrato da F. Bistolfi, M. P. Toti, P. Vecchio, chiude ad Est l’iso-
lato ed è proprio in questo settore che sono più consistentemente documentati i Perio-
di I (fine VIII - seconda metà VI sec. a.C.) e II (fine VI sec. a.C.).
Il Periodo I è caratterizzato dalla presenza di un complesso di sili sotterranei,
successivamente obliterati in connessione con una mutata destinazione d’uso della zo-
na, e da due grandi cortili che hanno restituito un’ampia documentazione ceramica di
tradizione fenicia.
Una modifica nell’articolazione degli spazi si registra nel Periodo II, proprio in
Recensioni 231