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p. 11 Introduzione
LA CONFIGURATIVITÀ TERRITORIALE, BENE COMUNE
Angelo Turco
11 1. Stare al mondo, abitare la terra: il senso della
territorialità
15 2. Configurazioni della territorialità: il mondo
nuovo
33 3. Configuratività territoriale, bene comune
43 Parte prima
VERSO UNA GEOGRAFIA DEI BENI COMUNI
291 Autori
6
Angelo Turco
1 F. Rossi Landi, Il linguaggio come lavoro e come mercato: una teoria del-
di una rete di altri discorsi, che gli analisti del discorso chiamano interdiscorso”
(D. Antelmi, “Le legittimazioni discorsive”, in: A. Turco (a cura), Governance
territoriale. Norme, pratiche, discorsi, Unicopli, Milano, 2013).
4 R. Amirou in conversazione con M. Houellebecq, intorno al romanzo: Pla-
questa significazione latina, resa malamente dal francese con “lieuité” e pessi-
mamente in italiano con “località”.
6. City turism: l’attratività urbana come topogenesi 189
6 Alla maniera ironica dell’ultimo film di Paolo Sorrentino (La grande bel-
lezza), ma anche secondo una tradizione che viene almeno dai The Beach Boys
(Good vibrations è del 1966), ovviamente ben lontani dall’immaginare una gra-
duatoria di posti vibratili. Una tradizione “californiana”, ottimistica e spensiera-
ta come allora si poteva, beninteso, ma seria nella sua levità. Ricordate? “…I
hear the sound of a gentle word, on the wind that lift her perfum through the
air…”.
7 Anche sull’onda di critiche demolitrici come quella di F. Affergan, Esoti-
all’India e al Tibet.
11 Gli Stati Uniti nell’immediato dopoguerra, il Brasile di Juscelino Kubi-
tshek, la Milano degli anni ’60, dove “tutto era possibile”, Berlino dopo la cadu-
ta del muro, il Sudafrica con la fine dell’apartheid e l’elezione di Nelson Mande-
la alla Presidenza della Repubblica.
6. City turism: l’attratività urbana come topogenesi 191
“Le due facce del nostro desiderio d’essere sono indissociabili; l’una non è più
importante dell’altra, esse sono in interazione permanente. Abbiamo bisogno
dell’altro per crescere e costituirci in soggetto singolare, abbiamo bisogno della
stima degli altri per conoscere la stima di noi stessi. Ma il sentimento di essere
sé stesso, di essere libero ci è altrettanto indispensabile per essere con e per gli
altri”. Si capisce dunque come gli effetti di questa mutilazione, interrompendo il
processo di “interazione permanente”, siano devastanti, nel lungo periodo, sul
piano personale non meno che su quello sociale.
13 F. Piccolo, Allegro occidentale, Einaudi, Torino, 2013, p. 25.
14 Ivi, p. 30. E di seguito: “Con un bel volo da dove volete, atterrate nel ma-
gnifico aeroporto di Hong Kong, vi dirigete al Wing e lì restate per la vostra va-
canza: non ve ne pentirete, è perfetto e rilassante e oltretutto è l’essenza di
Hong Kong senza il disturbo di… Hong Kong. Pensateci”.
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15 C. Minca, “Il gioco del turista, il turista in gioco”, in: A. Turco (a cura), Co-
J. Urry, The Tourist Gaze, Sage, London, 2002; tra i molti scritti che sono segui-
ti, si veda, sulla stessa scia ma con diversi spunti innovativi: C. Minca, T. Oakes
(eds), Travels in paradox: Remapping tourism, Rowman&Littlefield, Lanham
(Maryland), 2006.
17 B. Secchi, La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Bari, 2013, p. 3 ss.
6. City turism: l’attratività urbana come topogenesi 193
ros, di chi coltiva una concezione del turismo come atto creativo
piuttosto che come atto esecutivo, il turismo urbano appare come
un’espansione vistosa, forse epocale, della pulsione inclusiva della
città, della sua attitudine a reinventare senza posa l’amalgama so-
ciale, della sua vocazione a rendere partecipi flussi sempre maggiori
di persone alle sue dinamiche evolutive.
Delle “destinazioni urbane”, si possono stilare graduatorie, ov-
viamente18; ma non delle “città”, che possono essere indicate solo
come luoghi, degli universali singolari, appunto, perché nella loro
specificità, individualità, infungibilità, riescono a coinvolgere un
sacco di gente, trasformando senza sosta gli abitanti in visitatori e i
visitatori in abitanti. Sicché, verrebbe fatto di dire, le vere “città
mondiali” non sono quelle segnate da gigantismo metropolitano, o
quelle che determinano la decisione globalitaria: politica, culturale,
economico-finanziaria. Ma piuttosto quelle che riescono ad esibire e
a far riconoscere ai più questo status di singolarità universale, e
l’attitudine a far sì che ciascuno si senta lì in viaggio, se residente, e,
se straniero, un abitante, uno che sta a casa sua perché condivide
non solo interessi strumentali (cose da fare e da vedere, varietà dei
servizi e loro qualità, anche in rapporto al prezzo), ma valori comu-
nitari, percorsi emotivi, sentimenti partecipati.
Questa topogenesi, questa incessante produzione e trasforma-
zione di topìa, avviene in infiniti modi e sarebbe vano immaginare
delle tipologie. Proviamo, così, a cogliere qualche esperienza di fer-
mentazione del luogo urbano, attraverso due esempi assai diversi
tra loro: Lisbona e Shanghai.
national
(http://blog.euromonitor.com/2013/01/top-100-cities-destination-
ranking.html). Ma le praterie del ranking, sia per quanto riguarda le classifiche
che i criteri in base alle quali sono stabilite, sono molto più vaste e pullulanti. Si
veda a titolo di esempio:
http://www.citymayors.com/sections/rankings_content.html.
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ciò che non era ardir d’umani ingegni, vinser nembi e procelle…”. E
ovviamente: “dove regnava l’african tiranno, casti costumi richia-
maro e riti”19.
Ma il Portogallo, seppur già ben fondato sui descubrimientos20, ri-
propone se stesso come icona della modernità attraverso un’apocalisse
sismica: il terremoto di Lisbona del 1755. La capitale viene distrutta da
uno sciame sismico interminabile, brucia per cinque giorni e cinque
notti, perde qualcosa come ¼ dei suoi duecentomila abitanti, 9/10
dei suoi edifici. Di fronte a questo immane disastro, in pieno secolo
dei lumi, infatti, si misurano sulla scena culturale europea delle po-
sizioni laceranti21. E molto aggrovigliate. C’è la posizione liebniziana
di chi dice che “tutto è bene” perché voluto da Dio: e le stesse cata-
strofi, dunque, in quanto castigo dell’Onnipotente, lo sono. Chi, come
Kant, richiama le responsabilità umane – tecniche, politiche, stori-
che – e sollecita il dovere della scienza di capirne di più. Chi insiste
sulla vanità delle opere umane, che in qualunque momento possono
essere distrutte dal minimo sussulto di una “natura” che si credeva
se non vinta, perlomeno addomesticata. Infine, coloro che assumo-
no nella sfida l’incoercibile segno dell’agire umano, il segno del suo
abitare in un mondo non meccanicistico ma sempre aperto al “peri-
colo” del cambiamento. Tutto questo fermenta nella polemica cele-
bre tra Voltaire e Rousseau, che però si protende in diverse direzio-
ni e approda, in una di esse, su una nuova e ambivalente metafora,
quella del Vesuvio, slanciandosi verso Leopardi e Nietzsche22,
Vesevo….[che] con lieve moto in un momento annulla in parte, e può con moti
poco men lievi ancor subitamente annichilare in tutto. Dipinte in queste ri-
ve/son dell’umana gente/le magnifiche sorti e progressive”. Quanto a F. Nie-
tzsche, l’esortazione nella Gaia Scienza (IV, 283) è agli Erkennenden, gli “uo-
mini della conoscenza”: “Credete a me! Il segreto per raccogliere dall’esistenza
la fecondità più grande e il più grande godimento si chiama: vivere pericolosa-
mente! Costruite le vostre case sul Vesuvio… la conoscenza stenderà la mano
verso ciò che le spetta”.
6. City turism: l’attratività urbana come topogenesi 195
eleva, per così dire, sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte.
Le palafitte vengono conficcate dall’alto, giù nella palude: ma non in una base
naturale o ‘data’: e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a
fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido” (K.R.
Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino, 1970, p. 107-108).
24 P. Kyria, Lisbonne, Champ Vallon, Seyssel, 1985, p. 26.
25 F. Pessoa, Lisbona. Quello che il turista deve vedere, Einaudi, Torino,
2007.
26 A. Tabucchi, Viaggi e altri viaggi, Feltrinelli, Milano, 2010.
27 J. Cardoso Pires, Lisboa, livro de bordo: vozes, olhares, memorações,
Clermont-Ferrand, 2006.
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in qualche modo, dal momento che “il cinema e le città sono cre-
sciuti e diventati adulti insieme”29.
Ma ancora, per riprendere il filo del nostro discorso, a Lisbona si
può entrare con la passione implacabile di un José Saramago, che
conduce il viaggiatore, appena fosse entrato in città, direttamente
verso il Museo di Archeologia ed Etnologia alla ricerca del famoso
collare usato dallo schiavo dei Lafetà. Si, direttamente alla radice
dei descubrimentos o, come qualcuno che non è Saramago pur di-
rebbe, a uno dei loro effetti collaterali. Un collare su cui si può leg-
gere: “questo negro è di Agostinho de Lafetà di Carvalhal de Obi-
dos… Un vero e proprio collare, si noti bene, [che] è stato al collo di
un uomo, gli ha succhiato il sudore, e forse un po’ di sangue, di una
frustata diretta alla schiena che ha sbagliato strada. Il viaggiatore
ringrazia dal profondo del cuore chi ha raccolto e non ha distrutto la
prova di un grave delitto”30.
La storia, le storie di Lisbona. Le storie scritte, consegnate ai
monumenti, alle opere, agli oggetti, alla morfologia urbana che si
adatta così mirabilmente ad alture e vallecole, evocazioni, talora
consegnate ad una scritta su azulejos: come quella che nel Patio do
Tronco, di fronte alla sede della Società Geografica, ricorda l’agguato
di cui fu vittima proprio lui, Luis de Camões.
Ma anche le storie al presente. E le storie da scrivere. È questo
che fa José Cabral, giovane fotografo di street style, nella campagna
Lisboa somos Nos, commissionata nel 2012 dalla Câmara Municipal
a partire dal suo blog, o Alfaiate Lisboeta31. Da Milano a Londra, da
Parigi a New York, a Copenaghen e altrove, oltre che in molte città
portoghesi e spiagge e campagne, José ha cercato persone: è così
che comincia il suo blog che, dapprima solo un’occasione di comu-
nicazione cool, per sfuggire alle trappole di un lavoro poco eccitan-
te, diventa poi la sua occupazione e la sua nuova possibilità di vita.
José cerca “pessoas, apenas pessoas” per scriverne, così dice: la fo-
tografia viene dopo, e non è che “uma forma para chegar às pesso-
mago così continua: “Purtuttavia [il viaggiatore] dal momento ch non ha mai
taciuto i propri suggerimenti, adesso ne darà un altro e cioè quello di mettere il
collare del negro di Agostinho de Lafetà in una sala dove non ci fosse nient’altro,
solo il collare, perché nessun viaggiatore si potesse distrarre e affermare poi di
non averlo visto”.
31 http://oalfaiatelisboeta.blogspot.it/.
6. City turism: l’attratività urbana come topogenesi 197
Fig. 1 - Paixão
Prova a mettere da parte, per un istante, tutto quello che hai let-
to, udito, visto su Lisbona. Guardati intorno. Incrocerai pessoas, lu-
gares, momentos, una triade nei cui confronti hai un debito im-
menso: proprio così, di essere quello che sei qui ed ora, di non
“prenderti per un altro” ma di accettarti finalmente per te stesso.
Hai un debito immenso, e però immediatamente cancellato da un
tuo piccolo credito di cui acquisisci consapevolezza crescente in o-
gni attimo che passa: tu sei a tua volta parte delle pessoas, lugares,
momentos che altri sguardi, altri corpi, altri sentimenti incroceran-
no, qui ed ora. Tutti, individualità che partecipano a un’esperienza
plurale, denominata Lisbona: qui ed ora, in un luogo che mi appar-
tiene e di cui faccio parte. Ecco, è questa la ragione per cui ci sto be-
ne, a Lisbona: con la ragazza della Calçada da Gloria, con il pensio-
nato del Largo da Graça, con gli innamorati al parco, con la signora
un po’ sorpresa che attraversa le strisce pedonali in mezzo a un traf-
fico, tutto sommato, gentile. Si, ci sto bene e credo di essere, come si
dice, la persona giusta, nel luogo giusto, al momento giusto: perché
mi rispecchio nella gente e mi impegno senza ansia in uno scambio
simbolico nel quale tutti i partecipanti traggono vantaggio.
I manifesti di eu também sou Lisboa richiamano alla mente “I,
too, am America”, il poema-blues di James Langston Hughes. Una
rivendicazione orgogliosa e dolente dell’americanità dei neri e, più
ancora, della negritudine americana, nutrita di una consapevolezza
tranquilla: del “fratello più scuro” che cresce forte e bello. Nessuna
rivendicazione sulle rive del Tago, solo una notazione mite, quasi
“fattuale”, a significare l’ovvietà di una presenza, quella degli abi-
tanti, indispensabile alla composizione dell’organismo urbano e alla
sua comprensione. E per dire a ciascuno che anche lui, turista, è Li-
sbona: è il visitatore che la città non separa dai suoi abitanti, ma li
associa ad essi, letteralmente li incorpora.
Una notazione mite, certo, e però molto esigente. Per dire che
l’agire politico, le politiche pubbliche devono puntare su tutto que-
sto, tenere conto di tutto questo come è venuto impastandosi stori-
camente e nella quotidianità presente in un luogo che non a caso si
chiama Lisbona: voglio dire non solo per la storia e per i monumen-
ti, ma perché ci sono anch’io, il lisboeta. Ed è qui che il turismo co-
glie qualcuna delle sue grandi verità. Intanto, che la città non può esse-
re in nessun modo ridotta a un’entertainement machine. L’attrattività
urbana non è nelle cose, o nei dispositivi di fruizione. È, piuttosto,
nei modelli di urbanità: nei modelli di interazione tra la scena urba-
na e i cittadini. Se la città è realmente di tutti, democratica e parteci-
pativa; ed è dovunque, senza centri né periferie: ebbene io che ci sto
6. City turism: l’attratività urbana come topogenesi 199
Fig. 2 - Alegria
della città si invera nel suo quotidiano al presente e diventa una vi-
sione per il suo futuro.
43 Qiu Xiaolong può essere ormai considerato uno scrittore di successo an-
che in Italia, a partire dalla pubblicazione di: La misteriosa morte della compa-
gna Guan, Marsilio, Venezia, 2011, primo romanzo con protagonista l’ispettore
capo Chen Cao.
44 W. Benjamin, Infanzia berlinese intorno al millenovecento, Einaudi, To-
e sempre diverse proprio come l’acqua del fiume che gli scorre al
fianco, rimirano i fondali teatrali di qua e di là dal Pu. Vi si spec-
chiano, presi dalle scenografie – composizioni, illuminazioni –
piuttosto che dalle drammaturgie – la territorialità eterocentrata
delle Concessioni, il globalitarismo che maschera la bolla edilizia
del quartiere degli affari. Irretiti, sembrerebbe, dalla spettacolariz-
zazione dello spazio pubblico. Appagati, dalle vedute e per nulla tur-
bati dall’assenza di paesaggio.
Il sentiero urbano piega poi verso la via Nanchino, pedonalizza-
ta, brulicante e senza sorpresa alcuna con i suoi chioschi, negozi,
edifici, tutti rigorosamente international style. Infine la Piazza del
Popolo, immensa, polimorfa, che sembra vivere una sua vita propria
rispetto alla città, dove tutti possono trovare una sorpresa perché,
inevitabilmente, ci si perde e, pur restando sempre lì, sembra tutta-
via di stare altrove. Ovvero perché, venuti qui per fare qualcosa, si
finisce per farne un’altra.
Dal punto di vista topografico, dunque, un semplice percorso re-
ferenziale. Ma sul piano simbolico, si tratta di muoversi sulla scia
della topomachia costitutiva di Shanghai, dove gli opposti convivo-
no e dove la teoria maoista delle contraddizioni si invera nella terri-
torialità urbana. Le contraddizioni, si diceva verso la fine degli anni
’50 del secolo scorso, al tempo del Grande Balzo45, sono di due tipi:
antagonistiche e non antagonistiche. Quelle che fanno male, e van-
no combattute, sono le prime. Le seconde possono essere sanate,
tollerate, o anche sfruttate, messe al servizio del popolo. A Shan-
ghai, come nel resto della Cina, la teoria delle contraddizioni ha
pieno corso; ma a Shanghai, ancor più che nel resto della Cina,
quelle che interessano sono le contraddizioni non antagonistiche.
Con le quali si può scendere a patti. Si può far politica, si possono
perseguire interessi personali, familiari, clanici, regionali intenden-
do ciò tranquillamente come una serie di declinazioni del bene co-
mune. Si può trafficare in beni e servizi secondo stilemi neo-
compradores. Si possono coltivare persino fruttuose “dialettiche”
culturali tra ideologie “moderne” a prima vista impermeabili l’una
all’altra, o anche tra “antichi” sistemi di pensiero, certo non dogma-
tici come, per dire, le religioni del Libro, ma neppure troppo aperte
a reciproche concessioni.
Per parte mia, colgo in molti modi questo contrastivo genius
loci, il “singolare potere che esercita una città… sullo spirito dei suoi
abitanti o dei suoi visitatori”46. L’idea è che, dopotutto, “Shanghai è
quella che è”. Con l’insolenza teatrale del Bund, che, da porto che era,
mette oggi in scena se stesso come un passeggio soprelevato. Una
metafora del Regno di Mezzo: uno stereotipo del presente che ser-
peggia tra lo stereotipo del passato (Puxi) e quello del futuro (Pu-
dong). E con le operazioni immobiliari architettate tra Hong Kong e
New York che, con il dichiarato intento di far rivivere le forme inse-
diative della Shanghai coloniale, scagliano artificiosi frammenti di
un’urbanità sepolta dalla storia e dalle ruspe, nel corpo di una città
che è certo possibile ricomporre in un plastico, ma assai difficile
pensare in un progetto.
Siamo nel pieno del paradosso del patrimonio architettonico si-
nico, tra “abbondanza spirituale” e “penuria materiale”47? Forse. Ma
allora, in questa città paesisticamente aperta, con le autostrade che
curvando si arrampicano in cielo, con i templi buddisti appena visi-
bili nel folto delle torri in vetrocemento e con i shikumen messi in
circolo dalle strategie di branding, ebbene vorrei contribuire a mia
volta, io turista, a secernere la “Shanghai che è”, con una mia infi-
ma possibilità: attuare un programma. No, no, niente colpi di testa,
tipo andare alla ricerca dello “spirito di Shanghai”, il mitico haipai,
un tempo fieramente opposto allo jingpai, lo spirito di Pechino, e
oggi divenuto uno smartphone; o puntare a ricostruire qualcosa che
somigli a un’identità urbana48.
Questi sono “vastes programmes”! No, io vorrei solo “essere
frugale”, nei pochi giorni che resterò qui. Frugalità, ecco. Che parte
dal rispetto di sé, delle proprie buone ragioni che vengono da lonta-
no: dalla propria formazione, dalla propria predisposizione emoti-
va, dalla propria curiosità. E perciò non vanno intese come pre-
giudizi, cinture protettive, ma rappresentano piuttosto le condizioni
personali di apertura al mondo. Non muraglie isolanti, ma talenti
grazie ai quali ciascuno di noi traffica col mondo senza dissolversi in
esso. In continua mutazione, ma preservando la nostra individuali-
tà. Sistemi, direbbe N. Luhmann, cognitivamente aperti (votati
05/24/content_16528440.htm).
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51 “Life is a competition”, titolo del libro della “fashion icon” Yue-Sai Kan
(http://www.chinadaily.com.cn/entertainment/2013-
03/28/content_16352262.htm;
e, in video:
http://www.chinadaily.com.cn/entertainment/2013-
03/29/content_16357038.htm).
52 Stimato nel 10% del fatturato, 150 miliardi di euro, in crescita rispetto a
documentario Shanghai, les années folles, trasmesso sul canale televisivo fran-
cese Arte il 25/11/2009 si può vedere ora su:
http://www.youtube.com/watch?v=VGHT_8m1kdQ.
58 “Shanghai on a Dime? Pretty close”
(http://travel.nytimes.com/2013/03/17/travel/in-the-alleys-of-shanghai-the-
funky-charm-of-china.html?ref=frugaltraveler&_r=0).
210 ANGELO TURCO
Behav, 2, 1988.
60 M. He, S. Guo, “Present states and maintenance suggestions on tradi-