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Geografia urbana e regionale

28.09.2020

Unità didattica A
[Frémont, capitoli 1, 3, 4]
La geografia è una materia antichissima, che cerca da sempre di descrivere ciò che si vede della
terra. Inizialmente lo fece in maniera non scientifica, tramite quella che si chiama geografia
prescientifica: miti, leggende, esplorazioni che hanno portato a creare rappresentazioni,
romanzi, narrazioni del mondo di tutti i tipi (il mito di Ulisse secondo cui alle Colonne d’Ercole
finisce il mondo, la Bibbia secondo cui la terra è piatta…).
La geografia su basi scientifiche tradizionali studia le interazioni tra l’ambiente fisico
naturale e l’uomo che lo abita. È svolta dai viaggiatori, dai cartografi, dai “geografi dei numeri”, o
coi “piedi nel fango”, ossia andando direttamente a pestare il territorio da studiare. Studiano
quindi degli strumenti e dei modi di fare geografia molto diversi tra di loro (il cartografo privilegia
la carta geografica, gli ingegneri utilizzano grafici, GPS, sistemi informatici (GIS, Geographical
Information System), immagini).
La geografia più recente ha invece una visione più articolata e sistemica degli oggetti e degli
individui.

 la “combinazione geografica” di numerosi e diversi elementi materiali (spazio, ambiente,


territorio), immateriali (i luoghi) e misti (il paesaggio);
 si confronta con la varietà delle culture, dei discorsi, delle percezioni, delle narrazioni e
delle retoriche contemporanee
La geografia contemporanea studia sia gli elementi geografici tradizionali (ciò che si studia alle
medie e alle elementari); ma tratta anche le narrazioni delle comunicazioni, dei segni e dei simboli
presenti su un territorio. Ci muoviamo quindi tra una geografia scientifica rigida, che localizza e
descrive; e una geografia sensibile attenta alle percezioni e agli stereotipi presenti sul territorio.
La geografia è anche una scienza della differenziazione spaziale, ambientale e territoriale. Studia
come viene rappresentato il mondo e le partizioni che potrebbe avere. La parola regione ha un
valore polisemico:

 regione fisica o naturale


 regione storica (dal Paleolitico ad oggi)
 regione economica, produttiva, agricola…
 regione politica, politico-amministrativa
 regione culturale (etno-linguistica, delle religioni, identitaria…)
 regione urbana (gli spazi della città e delle metropoli)
 …
I suoi confini sono variabili: una sola regione fisica può ospitare diverse più regioni politiche o
culturali. L’Italia è una regione fisica, che non corrisponde alla regione politica italiana: la Corsica è
un’isola che fisicamente appartiene all’Italia ma politicamente, linguisticamente e culturalmente
alla Francia; il Canton Ticino appartiene politicamente e fisicamente alla Svizzera, ma fisicamente
all’Italia.
La regione complessa si ha quando vengono messi insieme tutti gli elementi che compongono una
regione. La regione Italia è fatta da una dimensione storica, economica, linguistica…
La regione sistemica studia invece come tutti gli elementi descritti dialogano e si influenzano a
vicenda, fino a creare la complessità.
La regione è quindi un sistema composto da tanti elementi che costituiscono un puzzle,
rappresentante la regione complessa. Vengono studiati tutti insieme per comprendere la
conformazione di una regione.
Elementi naturali e antropici
Oggi è difficile trovare un paesaggio che sia completamente naturale o completamente
antropizzata. Troviamo spesso regioni fisico-antropiche, dove la lancetta pende verso la natura o
l’antropizzazione a seconda della storia del singolo posto.
1. Regione fisica o naturale
Il primo tipo di regione che incontriamo è la regione fisica o naturale. Si tratta di una geografia
senza le persone, che tiene conto solo degli elementi naturali. È il tipo di geografia studiata a
scuola, della quale non terremo conto.
La geografia fisica delinea quattro sfere. Esse costituiscono lo spazio e l’ambiente terrestre. La
geografia fisica le studia nella loro struttura ed evoluzione, tenendo conto dei tempi molto lunghi
della storia (ere geologiche):

 Litosfera – i terreni nelle loro diverse forme


 Idrosfera – l’acqua nelle sue diverse forme
 Atmosfera – l’aria e i suoi movimenti
 Biosfera – la vita vegetale e animale
L’interazione di tutte queste sfere vede lo studio delle regioni naturali.
La litosfera – la litosfera è la parte solida della Terra, comprende la crosta continentale, la crosta
oceanica e il mantello litosferico. Essa è caratterizzata da molti fenomeni tra i quali i principali
sono:

 la morfologia terrestre;
 il vulcanesimo;
 i terremoti;
 la tettonica delle placche;
 l’orogenesi;
 la litologia;
 il magnetismo.
L’idrosfera - comprende tutte le masse d'acqua presenti sulla superficie terrestre e nel sottosuolo.
È inoltre caratterizzata dalla presenza di:

 acque salate (oceani, mari) e acque dolci (fiumi, laghi, idrografia continentale, falde
acquifere);
 acque in movimento (correnti marine, maree) e acque ferme (ghiacciai).
Oltre a ciò, occorre notare la presenza di alcuni ambienti e spazi di transizione tra idrosfera e
litosfera, come le acque delle lagune, le foci e gli estuari dei fiumi. Si tratta di aree dove non nomina
nettamente né l’acqua né la terra, ma convivono entrambi.
L’atmosfera - la vita sulla Terra è resa possibile non solo dalla presenza di una notevole quantità
di acqua, ma anche da una particolare miscela di gas e vapori, a cui si dà il nome di atmosfera.
Numerosi sono i fenomeni atmosferici o legati ad essa, tra di essi possiamo individuare i venti e la
circolazione atmosferica; le precipitazioni; i climi. Oggi c’è anche l’aspetto del surriscaldamento
globale e l’inquinamento.
La biosfera e le regioni bio-naturali – una bioregione è una regione naturale studiata dal
punto di vista della vita, della flora e della fauna.
L’Antropocene
L’evoluzione umana è stata talmente spinta che l’uomo è riuscito a interagire o a imporsi su certi
fenomeni naturali. Dopo le grandi ere geologiche nella natura, oggi per alcuni geografi si parla di
Antropocene, ossia il momento nella storia in cui l’uomo si è imposto sulla natura. Gli individui si
impossessano dunque progressivamente della biosfera.
La geografia umana – l’uomo ha compiuto l’evoluzione dalla scimmia in un tempo molto rapido,
ossia un milione di anni. Però i primi cambiamenti fatti dall’uomo sulla terra risalgono a circa
15.000 anni fa, ossia pochissimo tempo fa. Siamo stati per migliaia di anni solo degli ospiti del
nostro pianeta.
Territorializzazione umana – L’ambiente naturale condiziona gli individui nelle loro scelte
sociali, culturali, economiche, ecc., ma allo stesso tempo questi modificano e interagiscono con gli
spazi naturali. È una visione ottimistica del processo, ma naturalmente ci sono stati anche lati
negativi.
La ri-territorializzazione verte sul costruire un territorio sopra uno preesistente, mantenendolo
e senza distruggerlo.
Oggi l’uomo può anche degradare e persino distruggere ambienti, spazi e territori nel quale vive: si
tratta del processo di de-territorializzazione.
Quindi la regione naturale è alla base della geografia regionale o tradizionale. La prima vera
geografia scientifica è nata tra il 1800 e il 1900 studiando il rapporto tra gli umani e l’ambiente
naturale.
Un ecosistema naturale è un patrimonio che dovrebbe essere protetto e conservato per le
generazioni future (i concetti di «sostenibilità» e «responsabilità». La varietà degli organismi
viventi, la Biodiversità degli ambienti naturali è un patrimonio con ricadute enormi, non solo sulla
salute del pianeta, ma anche sui gruppi
umani, sulla qualità della vita e sui sistemi
produttivi. La Biodiversità si manifesta
anche nella ricchezza e nella varietà di
sistemi differenti e di paesaggi eterogenei e
più o meno complessi nella loro
composizione.
Le cinque grandi dimensioni oggi della
geografia urbana e regionale che interessa al
nostro corso. Vedremo sicuramente il fattore
della popolazione e la geografia in base ad
essa creata. Vedremo come la stessa popolazione interagisce con l’ambiente e le regioni naturali.
Vedremo anche la geografia economica, che vede la natura come potenziale risorsa da far fruttare.

30.09.2020
[Frémont, capitoli 5 e 6]
La geografia della popolazione: la regione umana e antropizzata
Studiare la geografia della popolazione significa anche adottare letture distributive, qualitative,
quantitative. Si può studiare una regione antropizzata in base a tre livelli:
 Primo livello: distribuzione degli abitanti in funzione dello spazio, delle risorse e degli
ambienti. Di ciò si occupa il geografo cartografo e l’approccio localizzativo. Studiano dove
sono i gruppi umani e come si possono rappresentare su una carta geografica.
 Secondo livello: approccio quantitativo. Si occupa di misurare la popolazione,
calcolandone gli aspetti quantitativi. Per fare ciò la geografia lavora e si appoggia alla
demografia. Entrano in gioco aspetti come indicatori, tassi e cicli demografici: si misura nel
tempo l’evoluzione e le caratteristiche numeriche dei gruppi umani. Lo scopo non è quello
di dire dove sono le cose, ma di dire quante sono.
 Terzo livello: approccio qualitativo. Si tratta del livello più complesso: vengono studiate
le lingue, le etnie, le religioni, gli scambi, le culture. Questi aspetti devono essere messi in
relazione per denominare e connotare una popolazione anche dal punto di vista identitario.
Primo livello – distribuzione degli abitanti
La distribuzione degli uomini sul pianeta è variabile e discontinua. La presenza di insediamenti
umani dipende da molti fattori quali le condizioni ambientali, la disponibilità di spazio, le risorse, il
sistema economico, la cultura, le consuetudini. È possibile individuare tre tipi di grandi regioni nel
mondo:

 Ecumene – formato dalle regioni nelle quali l’uomo ha avviato il processo di


territorializzazione. È stato trasformato nella storia in base alle esigenze di questi gruppi
umani che, adattandosi all’ambiente naturale e utilizzando le proprie tecniche di
sfruttamento hanno ricavato risorse dal suolo per abitare in maniera stabile e continuativa.
 Anecumene – costituito dalle regioni disabitate del pianeta. Ci possono essere vari motivi:
disinteresse dei gruppi umani, troppi costi, ecc. Esempi classici sono le calotte polari,
disabitate se non per ragioni specifiche (ricerche scientifiche).
 Subecumene – una via di mezzo rispetto alle due regioni appena descritte. È costituito da
aree abitate in maniera discontinua o nello spazio o nel tempo. La montagna è
tendenzialmente poco abitata, ma quando vi sono impianti sciistici viene popolata per un
certo periodo di tempo. Un altro esempio sono le città nel far west fondate per la ricerca
all’oro, ormai in disuso.
La popolazione mondiale non è distribuita in maniera razionale e matematica sulla terra, ma in
maniera discontinua. Ci sono diversi fattori (storia, clima, produzione…) che incidono sulla
distribuzione degli insediamenti umani. L’oceano, il mare e le acque (fiumi, laghi, ecc.) sono
quasi sempre elementi di attrazione per gli insediamenti umani:
o Circa il 30% della popolazione umana abita entro i primi 50 km dalla costa;
o Circa il 22% abita tra i 50 e i 200 km dalla costa;
o Circa il 17% tra i 500 e i 1000 km dalla costa;
o Circa l’8% abita nelle aree lontane oltre i 1000 km.

Un altro fattore locativo della popolazione ha come base la distribuzione altimetrica. È stato
studiato che gli esseri umani preferiscono abitare nella pianura.
o Circa il 57% della popolazione mondiale abita in pianura;
o Circa il 24% della popolazione abita tra i 200 e i 500 m sul livello del mare;
o Circa il 5% della popolazione abita tra i 500 e i 1000m;
o Circa lo 0,20% della popolazione abita oltre i 3.500 m.

Il continente più importante in assoluto dal punto di vista geografico è l’Asia. Da sola, raccoglie
più del 60% della popolazione mondiale. L’Europa occupa il 13%.
Tramite i dati del GIS (permette di mettere una quantità numerica nei veri continenti presenti sulla
cartina) è possibile studiare la distribuzione della popolazione nel mondo, che può essere studiata
dalle diverse scale e consente sia riflessioni sincroniche che diacroniche. Alla scala nazionale si
vede un confronto tra la situazione nel 1900 e quella contemporanea. L’Africa è il continente che
si è più sviluppato dal 1900 al 2000.
Esiste una enorme area di insediamento umano, nell’Asia pacifico-meridionale. Questa parte di
Asia viene chiamata area Monsonica per via della presenza dei Monsoni, che alimenta una forte
presenza di acqua. Per questo motivo vi abita qui una grande densità di popolazione: Cina
(1.300.000.000 abitanti), India (1.250.000.000), Indonesia, Vietnam, Filippine. La popolazione
complessiva ammonta a circa 4.000.000.000.
L’area Europea-mediterranea è un’altra grande area, con però molti meno abitanti:
1.000.000.000.
Fattori culturali come la colonizzazione hanno spinto francesi e inglesi a occupare il nord
America; e spagnoli e portoghesi le coste sud America nell’atlantico meridionale. Gli europei si
sono spinti anche in Africa, come nel porto di Guinea.
Le zone polari, i deserti e l’Amazzonia sono aree anecumeniche o vagamente subecumeniche.
La densità della popolazione è estremamente variabile nello spazio e nel tempo a qualsiasi tipo di
scala geografica (mondiale, continentale, nazionale, regionale, locale). Esempio: Tokyo (5.800
ab/kmq ma in alcuni quartieri 13.300 ab/kmq); Vercelli (569 ab/kmq); Reykjavik (2,8 ab/kmq).
Quella che noi chiamiamo “città” può avere un significato molto diverso a seconda del luogo in cui
ci si trova.
Secondo livello – aspetti quantitativi
Dopo aver detto dove si trovano gli esseri umani, essi devono essere misurati. In particolare, si
misurano le quantità dei gruppi umani e i comportamenti dal punto di vista demografico. Questi
dati sono chiamati indicatori demografici e di sviluppo. I più importanti sono:

 Il tasso di natalità (numero dei nati in un anno x 1.000 / tot. popolazione);


 Il tasso di mortalità (numero dei morti in un anno x 1.000 / tot. popolazione).
Sottraendo il tasso di natalità – tasso di mortalità si ha il tasso di incremento naturale, il
risultato è il saldo naturale della popolazione, cioè come si comporta naturalmente una
popolazione dal punto di vista della nascita e della morte. Di solito questo tasso è positivo, perché il
tasso di natalità supera quello di mortalità. Nel caso delle guerre invece è negativo.
Altri tassi:

 Il tasso di fecondità (numero dei nati in un anno x 1.000 / donne in età feconda (15 - 49
anni);
 Il tasso di mortalità infantile (numero di bambini < 1 anno morti in un anno x 1.000 /
bambini morti in un anno);
 Speranza di vita alla nascita o vita media: non è uguale per tutti, dipende da dove si
nasce. In Italia si ha una speranza di vita molto elevata (sopra gli 80 anni); in paesi africani
con problemi igienico-sanitari o con frequenti guerre la speranza di vita è molto ridotta.
Questo fattore può cambiare non solo a livello diatopico, ma anche a livello diacronico:
nell’Impero Romano la speranza di vita era di 30 anni.
I risultati si possono mostrare tramite delle carte geografiche. Questo lavoro è svolto dal cartografo.
Cicli demografici
I territori cambiano i loro tassi demografici a seconda del tempo. Ad esempio, l’Italia di oggi ha un
tasso di natalità tra i più bassi, c’è un numero contenuto di morti (c’è un buon sistema sanitario,
tutela della persona avanzata): la popolazione aumenta per l’apporto dall’esterno di una
componente migratoria.
Il tasso di natalità in Italia è 1,3; ossia negativo: da due individui ne nasce solo uno, quando l’idea
sarebbe che da 2 ne nascessero almeno 2, quanti sono i genitori. Invece, nell’Italia del 1500 c’era un
altissimo tasso di natalità (le donne facevano 10, 20 figli), ma la speranza di vita era più bassa a
causa della qualità di vita più sfavorevole del tempo, quindi la popolazione riusciva a persistere in
maniera mantenuta.
Tutti i territori sono passati, nel corso della storia, attraverso dei cicli demografici. Se ne
distinguono tre mondiali:

 Espansione (dal 1.000 a.C. al 1.000 d.C.) – caratterizzato dal passaggio da un’economia
basata sulla caccia e sulla raccolta ad una basata sull’agricoltura che ha iniziato un
controllo sulla produzione del cibo.
 Crescita ridotta (dal 1.000 al 1.750) – caratterizzato dal susseguirsi di fasi di apertura e
chiusura demografica (peste, malattie, carestie, conflitti);
 Esplosione demografica (dal 1.750 al 1.850) – la prima rivoluzione industriale.
La crescita demografica e l’industria – è stata l’industria a rompere il sistema demografico
tradizionale del passato e renderlo similare a quello dell’epoca moderna. Nei paesi coinvolti dalla
prima (XVIII-XIX secolo) e dalla seconda (XIX-XX secolo) rivoluzione industriale il legame di
indipendenza tra popolazione, risorse e fattori ambientali si fa meno stretto.
Si verificano una serie di fenomeni che hanno come effetto una drastica diminuzione del tasso di
mortalità e la forte crescita della popolazione. Questo avviene per:

 Enorme aumento di disponibilità di energia;


 Crescita demografica ed economica che si sostengono a vicenda (cresce il reddito,
ferrovie, urbanizzazione…);
 Miglioramento del livello alimentare e dell’apporto di calorie degli individui;
 Progresso della scienza medica, dell’igiene personale e la crescita delle strutture
igienico-sanitarie e sociali;
 Riduzione delle grandi crisi di mortalità (epidemie, carestie).
Ogni società conosce 4 grandi fasi:
1. Fase alto stazionaria: alta dispersione di energia biologica: fase in cui in tasso di natalità
e mortalità sono molto elevati (si fanno tanti figli ma ne muoiono anche tanti). La
popolazione è stazionaria;
2. Fase di prima espansione: tasso di natalità rimane alto, quello di mortalità scende. Ad
esempio, nell’Inghilterra della rivoluzione industriale dell’1800 il tasso di mortalità scende
grazie alle nuove tecnologie. La popolazione è in forte crescita;
3. Fase di tarda espansione: il tasso di natalità inizia a scendere; la mortalità è bassa. Ciò
non avviene prima (quindi nella fase precedete, quando, sempre nell’esempio
dell’Inghilterra ottocentesca, la rivoluzione industriale era già in atto): la trasformazione
economica sta avvenendo ma i comportamenti umani ci mettono un po’ ad adattarsi alla
nuova situazione. Ci vuole una generazione finché ci si accorga che servono meno braccia
perché l’agricoltura è diventata meno importante. La natalità, quindi, è in caso ma non
bassa. La popolazione mantiene una crescita ancora consistente;
4. Fase basso stazionaria: bassa dispersione di energia biologica. Natalità e mortalità sono
molto bassi (il caso degli stati sviluppati di oggi). Non nascono tante persone e non ne
muoiono neanche tante. La popolazione ha un ridotto tasso di crescita.
Ogni anno viene fatto un bilancio della situazione, ma il censimento ufficiale della popolazione si fa
ogni 10 anni. Oggi molti paesi che stanno lentamente uscendo dal sottosviluppo (Brasile, Cina)
sono ormai in una fase dove la curva della natalità e della mortalità si stanno avvicinando.
La transizione demografica si vede anche molto chiaramente nel rapporto tra i paesi avanzati
(chiamati anche paesi post-industriali) e PVS + Paesi in ritardo di sviluppo:
o Paesi avanzati: popolazione nell’800 era del 24% di quella mondiale, nel 1900 del 33%, nel
2000 del 20%, oggi del 19%;
o PSV, paesi in ritardo di sviluppo: popolazione nell’800 era del 76% di quella mondiale, nel
1900 del 67%, nel 2000 del 80%, oggi 81%.
Esplosione demografica e rallentamento contemporaneo – dal 1750 in poi la crescita della
popolazione mondiale non subisce più battute d’arresto, aumenta senza sosta e si differenzia in due
grandi aree geografiche (PSV e paesi sviluppati) con dinamiche tra loro diverse. Prima, la
popolazione continuava ad aumentare di poco, ma dopo la rivoluzione industriale c’è un boom.
Inoltre, in passato il rapporto era abbastanza contenuto tra PVS e paesi sviluppati, ma oggi è chiaro
che i secondi sono stabili (con controlli delle nascite, qualità di vita migliori…), mentre i primi
hanno una crescita estremamente veloce e maggiore.
La capacità di crescita della popolazione si esprime attraverso:

 Numero di nascite per donna (tasso di fecondità),


 Speranza di vita;
 Mortalità.
Variabili dipendenti – un’elevata mortalità necessita di un’elevata natalità per produrre il
“rimpiazzo generazionale” di 2,1 figli per donna. Quando una società riesce a fare più di 2,1 figli per
donna la popolazione cresce leggermente. Ma un elevato numero di figli implica anche delle
controindicazioni:

 Forte competizione per le risorse disponibili, per esempio se si è in territori in cui ciò è
abbastanza evidente: questo spiega emigrazioni in paesi in cui vi sono risorse che nel
proprio paese non sono disponibili per tutti;
 Diminuzione della resistenza degli individui, perché la qualità del cibo è minore essendo la
competizione per le risorse più elevata;
 Elevata mortalità per madri e figli.
Il risultato è che nel pianeta terra si hanno molte situazioni demografiche, variabili a seconda di
dove ci si trova. Queste aree sono in comunicazione tra di loro attraverso i fenomeni di migrazione.
La crescita della popolazione, a livello mondiale, sta rallentando.
L’orologio del mondo:

incremento mondo paesi più paesi meno paesi meno


naturale per sviluppati sviluppati sviluppati
(esclusa la
Cina)
anno 80.794.218 1.234.907 79.559.311 71.906.587
giorno 221.354 3.383 217.971 197.004
minuto 154 2 151 137

01.10. 2020
La combinazione geografica: un problema fondamentale con la crescita della
popolazione
Il concetto di combinazione geografica porta a pensare anche al futuro. Combinando i vari elementi
visti (distribuzione irregolare tra zone ecumeniche, anecumeniche e subecumeniche, densità
variabili della popolazione sul pianeta, diversi tassi di riproduzione, saldi naturali, fecondità…), si
delinea l’aspetto della crescita della popolazione. Il pianeta, soprattutto dopo la rivoluzione
industriale e grazie al fenomeno dell’urbanizzazione è cresciuto enormemente. In questo momento
la popolazione mondiale ammonta a 7 miliardi, alcuni dicono che si stabilizzerà, latri prevedono
crescite maggiori. Il problema non è da sottovalutare.
Il problema della crescita della popolazione si pone secondo due termini principali:
1. Impatto sull’ambiente naturale e costruito e sulle risorse
L’impatto sui suoli è sicuramente uno degli aspetti più invasivi.

 La popolazione attua uno sfruttamento molto forte delle terre, che può portare a
disboscamento o erosione dei suoi.
 Depauperamento idrico e marino: perdita di importanza delle risorse idriche e marine,
diminuiscono le risorse ittiche (fenomeno della pesca)
 Impatto sulle estrazioni minerarie: vengono estratti i minerali ma primo o poi finiranno
 Una popolazione che aumenta inquina inevitabilmente di più, specialmente nelle città
 Deforestazione: il pianeta ha perso moltissime foreste, nell’anno 1000 esisteva una foresta
nella pianura padana, oggi ci sono solo boschi o pinete.
2. Impatto sulle scorte energetiche

 La scarsità di cibo e la necessità di allevare e coltivare sempre di più portano a consumare e


coltivare nuove terre, anche meno redditizie, sulle quali bisogna intervenire con prodotti
chimici e pesticidi.
 Aumento del consumo di energia , da produrre secondo i vari sistemi (energia idroelettrica,
nucleare, da petrolio…)
 Scarsità di risorse e necessità di nuovi spazi produttivi : oggi sempre di più si va a produrre
in luoghi non destinati tipicamente a quello, come il deserto dove si porta l’irrigamento
artificiale; nei mari dove si fa l’acqua cultura.
Tutti questi elementi sono generali, ci sono poi casi specifici che differiscono dalla regola generale.
Generalmente però, il problema della crescita della popolazione ha un impatto crescente
sull’ambiente naturale, sull’ambiente costruito (palazzi, monumenti, strade…), sulle risorse
(bisogna cercarne sempre di più aumentando la produzione), sul consumo di energia (anche in
maniera differente a seconda delle zone: un cittadino degli USA consuma molta più energia
rispetto ad un cittadino africano). Se avessimo tutti gli stessi consumi il pianeta sarebbe distrutto
già da molti anni.
Il fatto di combinare due elementi quali l’aumento della popolazione e le risorse disponibili, gruppi
umani e natura, non è una novità.

 1968: Paul Ehrlich, The Population Bomb


 1968: Aurelio Peccei fonda il Club di Roma
 1972: Il paradigma del limite dello sviluppo
Dunque, se la popolazione non smette di crescere, il sistema socio-economico, territoriale e
ambientale è destinato in futuro a collassare. Con questa preoccupazione crescente di pensa ad uno
sviluppo sostenibile del pianeta, cioè che consenta il passaggio delle risorse che permettono il
benessere anche alle generazioni future; o uno sviluppo responsabile cioè attento ai consumi, a
stare attenti a riciclare piuttosto che ricomprare. Oggi ci si immagina quasi in maniera etica e
morale a ciò che accadrà ai nostri figli e ai figli dei nostri figli.
Si propone una ricetta della bassa fertilità, ossia cose che si dovrebbero fare. Solo pochi dei più
ricchi paesi sono arrivati ad una situazione di bassa fertilità.
 Aumento delle spese e l’impegno per il mantenimento e la crescita dei figli (maggiore
sacrificio)
 Aumento del livello di scolarizzazione e di istruzione (quando vi è un alto grado di
istruzione la donna comincia a pensare ai figli più tardi.); l’emancipazione femminile (nelle
società più avanzate, quindi nei paesi scandinavi, le donne hanno ruoli molto importanti,
occupano posizioni di grandi responsabilità e devono conciliare la famiglia con la carriera)
 Presenza di protezione sociale, il welfare state: in paesi che forniscono strumenti adeguati
come la sanità, la scuola, l’istruzione, non c’è una necessità di fare tanti figli perché i pochi
che ci sono, sono protetti e curati anche dal punto di vista sociale. Vi sono molti fondi,
finanziamenti e attenzione affinché i figli crescano bene. Nei paesi in cui i bambini non sono
curati ma lasciati a loro stessi vi sono purtroppo fenomeni come l’abbandono, problemi
igienico-sanitari, mancanza di protezione.
 Nuove protezioni per donne e uomini; la cultura consumistica e edonistica che si manifesta
in attività rivolte alla persona: viaggio, tempo libero, turismo. L’avvio di questi consumi per
la persona abbassa la spinta a procreare in maniera più elevata.
 Politiche di controllo delle nascite nei paesi più avanzati
Con questo chiudiamo gli aspetti della geografia quantitativa.
Terzo livello – aspetti qualitativi
Oltre alla distribuzione spaziale della popolazione e agli aspetti quantitativi è importante per i
geografi conoscere la struttura della popolazione (per sesso, età, professione, classe sociale,
istruzione, lingua, religione…). Tali questioni permettono ai geografi di identificare problematiche
e situazione frutto di combinazioni storico-geografiche e politiche e risultanti da movimenti
naturali e migratori della popolazione.
Danno un’idea ancora più particolari della struttura di una popolazione che abita in una
determinata regione.
Il secondo e il terzo livello di possono unire facilmente, tramite discorsi quali-quantitativi:
dove si distribuisce, ad esempio, la classe sociale più elevata; la distribuzione di una lingua, quanti
la parlano; quanti parlando la lingua letteraria e quanti il dialetto; quanti sanno leggere e scrivere
questa lingua e quanti solo parlare; eccetera. Tutte queste questioni permettono ai geografi di
identificare delle combinazioni che possono essere storiche (perché sono applicabili anche nel
passato), politiche (la struttura e il comportamento della popolazione genera cambiamenti politici,
es: fenomeno delle migrazioni) …
La struttura della popolazione
Dopo aver localizzato e quantificato la popolazione in una determinata area, si osserva la struttura
qualitativa della stessa. Vi sono paesi con età media sui 40 anni, altri sui 36 come la Polonia. Nei
paesi con età media più elevata (46), come l’Italia o la Germania, pesano fattori come la bassa
fertilità o il benessere e la qualità della vita molto elevata.
Per fare un esempio trans-scalare (unendo più scale: locale-continentale-globale) bisogna tenere in
considerazione sia il singolo paese, il suo continente e il mondo.
La piramide dell’età e del sesso
Si tratta di un istogramma che rappresenta il numero di donne e uomini (in valore assoluto o
percentuale) in vari in intervalli di età.
Si costruisce ponendo sull’asse verticale delle ordinate Y le classi di età, graduate secondo la qualità
dei dati disponibili (ad es. anno per anno, o gruppi di cinque anni) e sull’asse delle ascisse X il
numero complessivo degli appartenenti a ciascuna classe di età.
L’analisi particolareggiata della piramide della popolazione di un singolo Paese (o regione)
permette di descriverne la storia e l’evoluzione demografica.
Un paese molto anziano come l’Italia avrà una spesa pensionistica e sociale molto elevata. Se non ci
sono giovani in ingresso nel mondo del lavoro che pagano i contributi per il pensionamento ci
saranno problemi specifici.

L’Afghanistan è un paese povero, contadino. Non ci sono pensioni e si può morire per un
raffreddore. È un paese giovane, dove lo sviluppo sociale e sanitario è di medio-basso livello.
Tra Italia e USA c’è una differenza per quanto riguarda gli adulti: in USA il sistema sociale
previdenziale è totalmente privato, e ci si possono permettere cliniche e interventi di un certo
livello solo se si hanno i soldi. Se non si hanno i soldi, se si è disoccupati non si può usufruire della
cassa malattia.
La sex ratio
la sex ratio misura la proporzione fra maschi e femmine in una determinata popolazione e in un
determinato spazio.

 Tasso di femminilità: numero di femmine ogni 100 maschi


 Tasso di mascolinità: numero di maschi ogni 100 femmine
Tale valore dovrebbe essere
intorno a 1, ovvero circa 100
maschi per 100 femmine.
In blu (Italia, Russia…) il
numero dei maschi è più
elevato: per 100 femmine ci
possono essere anche 115
maschi.
In Cina c’era la politica del
figlio unico, ora non più perché
altrimenti la popolazione
sarebbe invecchiata troppo.
In alcune aree dell’Africa subsahariana ci sono molte morti infantili.

La geografia delle migrazioni


I migranti: cittadini che emigrano/immigrano
Il migrante è “una persona che si è spostata in un’area diversa da quella di nascita o di residenza
abituale. Vive stabilmente nel nuovo paese o nella nuova regione da più di un anno”.
Definizione dell’Alto Commissariato per i rifugiati dell’ONU – UNHCR

Vi sono molteplici definizioni che si sovrappongono e si intrecciano tra di loro. Il migrante,


generalmente, è un individuo che si sposta da un punto ad un altro. Esiste poi l’ emigrato, colui
che emigra dal proprio paese, spostandosi al di fuori; l’immigrato, colui che arriva in una
destinazione diversa. La stessa figura può quindi essere definita sia come emigrato e immigrato.
È sempre più difficile individuare con precisione chi sono gli emigranti e gli immigrati (ci sono
prime, seconde e terze generazioni; la mobilità degli individui avviene su più stati nel tempo). Un
gruppo di migranti che si sposta da un punto all’altro del globo crea una comunità che può
sistemarsi stabilmente in quel punto, dando seguito alle proprie generazioni (che hanno anche la
libertà di tornare nel paese d’origine).
Le migrazioni volontarie e forzate
Migrazioni volontarie: avvengono dopo frutto di una scelta volontaria e consapevole da parte
dell’individuo.
Migrazioni forzate: sono frutto di una scelta che in caso contrari potrebbe portare a delle
ripercussioni sulla vita del migrante. Ciò che può spingere alla migrazione potrebbe anche essere
motivo di salvaguardia della propria incolumità fisica.
Oggi i migranti annuali sono circa 240/250 milioni (circa il 3% della popolazione mondiale di oltre
7 miliardi di persone). All’interno del 3%, oltre 60 milioni sono profughi, sfollati e richiedenti asilo
in altri stati, diversi da quello di origine. Questi tre macrogruppi appartengono ovviamente alle
migrazioni forzate.
La mobilità degli uomini
Le migrazioni possono essere studiate da diversi punti di vista, in base ai:

 Fattori di spinta (push factors) e di attrazione (pull factors): influiscono sulla scelta di
emigrare in un determinato luogo o per una determinata ragione (miglioramento
economico, maggior prestigio lavorativo, miglior trattamento in una società; poco stimolo
nel proprio paese, andare in un altro paese per la persona che si ama)
 Dati quantitativi, tra cui troviamo i tassi di immigrazione e di emigrazione (la differenza
tra immigrati ed emigrati da un’area in un certo periodo di tempo su 1.000 abitanti, se il
risultato sarà positivo significa che ci sono stati più immigrati), il saldo migratorio (la
differenza tra quanti immigrati ed emigrati in un anno all’interno di un lasso di tempo).
 Dati qualitativi, per valutare gli impatti e le conseguenze sul contesto socio-territoriale
nelle aree di emigrazione, di immigrazione e di transito. Quindi si tratta di studiare quali
sono i fenomeni, cosa accade a livello antropologico e sociologico a quella fetta di
popolazione che va ad inserirsi in un nuovo contesto.
 Dati temporali: flussi permanenti, stagionali o temporanei favoriti o meno dai trasporti e
dai messaggi veicolati dai mass-media. Si cerca di capire se una determinata migrazione è
avvenuta permanentemente, stagionalmente, temporaneamente per capire quali sono le
dinamiche che hanno influito sullo spostamento di individui in un determinato momento.

Le cause delle migrazioni nel passato


Condizioni ambientali fisiche ostili o difficili. Sono tantissimi gli esempi di popolazioni che si
sono spostate, ad esempio, dalla montagna alla costa per motivi di approvvigionamento alimentare.
I Vichinghi scesero verso il sud Europa in cerca di nuove risorse e diventarono Normanni.
Crescite demografiche eccessive. Quando ci si trova in situazioni di sovrappopolamento vi
sono situazioni ambientali difficili. Esempi:
o Dei Polinesiani che si perdono nel Sud Pacifico;
o Dei Britannici e degli irlandesi nell’800 verso le colonie;
o Degli Italiani che varcano gli oceani tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900

La colonizzazione e la territorializzazione di nuovi spazi. Esempi:


o Gli Europei verso le Americhe (secoli XV-XIX);
o I Russi verso l’est e lungo la Transiberiana;
o Il Far West e il Coast to Coast negli USA e in Canada

Una mappa sulle migrazioni storiche volontarie tra il 1815 e il 1914 vedono flussi migratori
dall’Europa verso l’America. Anche dall’Asia ci si sposta sia in America del nord che centrale. Le
colonie nordafricane vengono popolate da francesi.
Le migrazioni dal 1914 ad oggi
Lista delle principali migrazioni:
1. Periodo tra le due guerre mondiali
2. Periodo della ricostruzione, dal 1945 ai primi anni ‘50
3. Periodo del decollo economico, dalla metà degli anni ’50 al primo choc petrolifero del
’73-‘74
4. Periodo del blocco ufficiale delle frontiere verso l’immigrazione per lavoro, dal ’74 in poi
5. I nuovi scenari del XXI secolo: gli accordi di Schengen, l’allargamento dell’Unione
Europea, i nuovi fabbisogni di forza lavoro e le nuove spinte alla chiusura dei flussi, il muro
tra USA e Messico.
Le emigrazioni dall’Italia sono state moltissime. I periodi più cospicui sono stati:

 la grande emigrazione, da dopo l’Unità d’Italia fino all’ascesa del Fascismo


 emigrazione europea dopo la II guerra mondiale
 nuova emigrazione, che ha avuto origine a causa della crisi economica del 2007-8, che ha
portato tantissime figure professionali a emigrare per trovare lavoro.
Le migrazioni socio-economiche
I maggiori flussi migratori del pianeta attualmente dipendono soprattutto da ragioni
economiche e da fattori personali correlati principalmente alla scelta lavorativa, come crescita
professionale, scelte culturali, mode.
Nel XX secolo sono prevalsi i flussi dal Sud verso il Nord del Mondo (circa il 60% del totale).
Nel XXI secolo i flussi sono in aumento da Sud a Sud per la crisi economica del Nord e per le sue
restrizioni burocratiche, per lo sviluppo dei Paesi emergenti, per i cambiamenti climatici, per le
instabilità politiche e geopolitiche in molte aree del globo.
Un fenomeno importante: la fuga di cervelli (brain drain) verso i paesi più sviluppati. Questo
fenomeno ha ovviamente anche ripercussioni economiche negative sul paese di origine.
Una mappa sulle migrazioni del terzo millennio mostra flussi di entrata in Europa, negli USA,
dall’Asia verso l’Oceania (Australia e Nuova Zelanda).
Transnazionalismo
Si tratta di un elemento variabile, esposto alle congiunture economiche e politiche. In alcuni Paesi
in via di sviluppo i guadagni ottenuti dalle rimesse degli emigranti superano il valore delle
esportazioni. Quindi, i migranti, nonostante non siano fisicamente presenti nel loro paese possono
creare una connessione tra il loro paese natale e la società che li accoglie. Le motivazioni possono
essere: la presenza di parenti all’estero, i viaggi, tutte le forme di contatto e gli scambi
(conservazioni telefoniche, piani internet…).
I fenomeni migratori riflettono sulle dinamiche economico-finanziarie dei paesi (sia di arrivo che di
partenza).
05.10.2020
Le altre forme di migrazioni
Alcune forme di migrazioni hanno origine nei conflitti e nelle tensioni che costantemente si
verificano nelle diverse regioni del mondo. Alcune regioni sono specificatamente conosciute per
questa tipologia di migrazioni: la zona settentrionale del continente africano, alcune zone del
medio-oriente, sud America.
Le migrazioni si originano dunque spesso a causa di conflitti sociali, economici, etnici, politici,
religiosi, ambientali.
Quasi sempre i conflitti non hanno una sola causa e dunque le migrazioni hanno origini
complesse. Nel 2050 si prevedono 405 milioni di migranti.
I rifugiati, gli sfollati e i richiedenti asilo: il nuovo volto delle migrazioni
Le migrazioni dalle aree calde del pianeta portano il migrante a divenire o un rifugiato, o uno
sfollato o un richiedente asilo.
A livello globale, nel 2016, con una popolazione mondiale di 7.349 miliardi di persone, 63.3 milioni
sono emigrati vittima di una scelta forzata. Questi numeri significano che 1 persona su 113 è oggi un
richiedente asilo, sfollato interno o rifugiato.
Sfollati: coloro che obbligatoriamente sono costretti a spostarsi dal luogo di residenza a causa sia
di problematiche di guerra sia di calamità naturali o stati emergenziali fuori dal controllo degli
uomini.
Rifugiati: coloro che fuggono o vengono espulsi dal paese di residenza per svariate ragioni:
discriminazioni politiche, sociali, di nazionalità, religiose ecc., e aderiscono alla categoria sociale di
persone perseguitate. Essi chiedono quindi ospitalità ad un altro paese: nel momento in cui questa
ospitalità viene richiesta formalmente si chiede asilo politico, divenendo richiedenti asilo. Vi
sono varie fasi di questa richiesta che rispondono alle varie legislazioni nazionali, in Italia è molto
lunga e complessa. Prevede diversi step, durante i quali il migrante deve richiedere diversi
permessi e sostare in strutture di accoglienza atte a specifiche finalità.
I rifugiati, un fenomeno in crescita nell’ultimo ventennio
Si tratta di numeri che crescono esponenzialmente. Si è passato dai quasi 21 milioni del 2004 ai
36.6 milioni del 2017 e ai 70.8 del 2018.
Nel 2017 i Siriani con 6.7 milioni superavano di gran lunga gli Afghani (2.7 milioni), i Sud Sudanesi
(2.3 milioni), il Myanmar (1.2 milioni) e i Somali (1 milione). La guerra portata avanti dalle
numerose fazioni coinvolte hanno fatto sì che lo stato siriano e la componente urbanistica siriana
non esista più in diverse aree del paese.
Il totale di 70.8 milioni comprende:

 3.6 milioni di persone in attesa di decisione sulla loro richiesta d’asilo in paesi
avanzati: in Italia, tendenzialmente, per ottenere l’esito della richiesta d’asilo,
burocraticamente dovrebbero passare 6 mesi, ma le tempistiche si protraggono più a lungo;
 25.9 milioni di rifugiati in paesi più o meno limitrofi a quelli abbandonati (è il dato più
alto dall’inizio degli anni Novanta);
 41.3 milioni di persone costrette a fuggire dalla propria casa ma che si trovavano ancora
all’interno dei confini del loro paese (il numero più alto mai registrato nella storia e in
forte aumento). Non hanno comunque un tetto sulla testa, e questo fa sì che la base dei
diritti umani non venga rispettata: possono definirsi quindi rifugiati.
Un fenomeno che riguarda numerosi contesti regionali
Le aree con più rifugiati politici sono l’Asia-Pacifico, il Medio Oriente e il Nord Africa.
La Colombia, con 6.9 milioni, è il numero con il più alto numero di sfollati interni (non abitano più
nella loro casa ma sono all’interno dei confini nazionali), seguita dalla Siria (6.6 milioni) e l’Iraq
(4.4 milioni).
Lo Yemen è il paese che ha dato origine al maggior numero di nuovi sfollati interni nel 2015: 2.5
milioni di persone, il 9% della sua popolazione.
La scala mondiale delle migrazioni
Le migrazioni alla scala mondiale e globale sono in aumento a causa:

 Della diffusione di nuove forme di mobilità (aereo, treni ad alta velocità…)


 Del miglioramento dei trasporti e dei mezzi di comunicazione già preesistenti
 Della globalizzazione
 …
La globalizzazione ha favorito la diffusione delle compagnie low cost, che permettono di migrare in
paesi per qualsiasi motivo con pochissimi soldi.
Le scale territoriali delle migrazioni

 Scala locale – migrazione dalla città verso aree suburbane, con ad esempio la motivazione
della sovrappopolazione; oppure migrazione dalle campagne alle città in cerca di un lavoro
più solido; dalle aree montuose alla città.
 Scala regionale – migrazioni, ad esempio, dalle provincie abruzzesi verso Roma, Pisa o
Milano per motivi di studio o di lavoro.
 Scala continentale – il fenomeno della fuga di cervelli è emblematico di questa scala:
studenti che espatriano per cercare migliori opportunità.
Crisi dal 2014 a oggi: la discontinuità delle immigrazioni illegali in Europa e nel
Mediterraneo
5.5 milioni di persone sono fuggite dalle persecuzioni, dalle guerre e hanno attraversato uno o più
confini nella loro fuga. Il Mediterraneo è talvolta solo l’ultimo step di questo viaggio estremamente
pericoloso, che può cominciare dal centro-Africa.
Oltre 276.000 persone hanno attraversato i confini d’Europa. Di esse circa 200.000 sono transitate
nel Mediterraneo e 170.000 dall’Italia (soprattutto provenienti da Siria, Eritrea e Africa sub-
sahariana). L’Italia ha una posizione strategica nel Mediterraneo, anche a causa della sua posizione
geografica proprio davanti all’Africa.
Ciò causa anche un mercato florido per la criminalità, che ha causato la morte in mare di 4.077
persone nel 2014 (nel Mediterraneo sarebbero 22.400 i decessi, dal 2000 al 2014, sui 40.000 circa
nel mondo). La criminalità favorisce il transito di merci illegali e la vendita di viaggi all’interno di
gommoni che vengono riempiti senza minimamente badare alla salvaguardia della persona.
Gli stati, le opinioni pubbliche e i territori europei sono esposti all’emotività crescente e alle
narrazioni del momento storico.
Il fenomeno migratorio: un problema regionale complesso
Dal 2015 in poi, gran parte dell’attenzione pubblica è stata catturata dalle difficoltà dell’Europa
nella gestione di rifugiati e migranti arrivati dal Mediterraneo. In realtà la maggior parte dei
rifugiati del mondo, effettivamente, si trova altrove e non in Europa, che funge da transito. L’86%
dei rifugiati sotto mandato UNHCR sono in Paesi a basso o medio reddito, in prossimità di regioni
in conflitto.
Il 75% dei migranti, nel 2014, è morto nel Mediterraneo. Al secondo posto, col 6%, vi è l’Africa
dell’est.
Le migrazioni in Italia
L’Italia ha subito un percorso di cambiamento interessante. Fino agli anni ’70 era di fatto una terra
di emigrazione più che di immigrazione. Ma dal 1973, tutti coloro che migrano in Italia iniziano ad
essere di meno di quelli che rientrano in patria. Le opportunità proliferano anche grazie
all’eccezionale crescita economica iniziata negli anni ’70. Il reddito pro-capite cresce e la
conseguente diffusione del benessere in Italia la rende meta di immigrazione. Anche la
maggiore educazione permetteva agli italiani di poter rifiutare determinati lavori “bassi”, che
venivano svolti da persone provenienti da paesi più poveri. Dopo gli anni ’90 l’Italia diventa un
paese definitivo di immigrazione.
1/5 degli stranieri in Italia sono minori, in gran parte al nord. Nel 2012 i bambini stranieri nati in
Italia sono stati quasi 80.000, cioè il 15% circa di tutte le nascite. Si affiancano ai 26.714 figli di
coppie miste (5% del totale). Gli alunni stranieri sono aumentati di 8 volte in 15 anni (650.000
circa).
Le imprese di immigrati sono quasi il 10%, in costante crescita. Nel 2011 gli introiti dello Stato
riconducibili agli immigrati (tasse versate, contributi previdenziali) sono stati pari a 13.3 miliardi di
euro; mentre le uscite sostenute per loro sono state di 11.9 miliardi (di cui 1 miliardo per i CIE,
centri di identificazione ed espulsione, una di quelle strutture attraverso le quali i migranti
transitano per procedete con il permesso di soggiorno o richiesta di asilo), con una differenza in
positivo per il sistema Paese di 1.4 miliardi di euro.
Le migrazioni nel mondo
Per capire il fenomeno migratorio, così articolato e complesso, e i suoi possibili sviluppi, occorre
puntualizzare alcuni termini della questione emigratoria.

 La crescita demografica si concentra nel cosiddetto “Sud del Mondo”, mentre la


ricchezza aumenta maggiormente al Nord e nei Paesi emergenti;
 La crescita demografica nei paesi emergenti e sottosviluppati dipende anche dalla
tecnologia dei Paesi sviluppati: basti pensare ai progressi della medicina e nell’igiene
che permettono di combattere malattie ed epidemie. Il risultato è l’abbassamento del tasso
di mortalità, il principale fattore a sostegno della crescita della popolazione. Ciò porta ad
una catena di fenomeni, che porta il paese a sostenere il numero di abitanti che vi abitano.

Le migrazioni e gli squilibri regionali


Il “Sud” del mondo dipende dal “Nord” anche in campo alimentare, perché importa generi di
primaria necessitò (cereali, carne) es esporta prodotti voluttuari (caffè, cacao, zucchero…) con
meccanismi di scambio delle merci che penalizzano i paesi in via di sviluppo e quelli più
poveri. Questo alimenta la povertà e i fenomeni migratori.

 Nei paesi che non hanno concluso la transizione demografica (quelli emergenti o in ritardo
di sviluppo) la popolazione cresce più velocemente della ricchezza nazionale e persino della
produzione agricola, per cui il tenore medio di vita è stabile o peggiora e si allarga il
distacco dai paesi più sviluppati. Ovviamente, per un abitante non è sostenibile un tenore di
vita di un certo livello e il distacco dai paesi più sviluppati aumenta sempre di più.
 Una modernizzazione tecnologica ed economica nel sud della Terra è impensabile
nel breve periodo: causerebbe disoccupazione, scontri sociali e un degrado ambientale
impossibile da sopportare (desertificazione, disboscamenti, esaurimento delle fonti
energetiche e delle materie prime, insufficienza delle fonti energetiche). Senza capitali
capaci di innescare un intenso sviluppo economico, la popolazione in età lavorativa non può
essere occupata; crescono la disoccupazione e la spinta all’emigrazione.
 La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e dei media crea aspettative
crescenti nei paesi emergenti e in quelli poveri, rendendo più evidente il divario tra
ricchezze, condizioni di vita, status sociale, insediamenti nelle diverse regioni della Terra;
 La pressione migratoria mostra i limiti delle singole soluzioni nazionali. Di fatto, se un
paese chiude le sue porte all’immigrazione, i flussi migratori si dirottano verso altri paesi
confinanti e aumentano le correnti clandestine per intervento delle varie criminalità. Il
problema ha assunto una dimensione planetaria e solo in questa chiave e a questa scala
può essere affrontato e gestito.
Stereotipi e realtà sui migranti
- I flussi di migranti più significativi verso il Nord del Mondo provengono dai paesi in via di
sviluppo e non da quelli più poveri;
- Solitamente i migranti non sono tra i più poveri dei loro paesi d’origine; molto spesso
hanno titoli di studio e competenze elevate che sono però difficilmente riconosciute nel
paese ospitante e d’arrivo. Se anche possono permettersi di rivolgersi alla criminalità per
intraprendere il viaggio significa che hanno qualche minima disponibilità economica o
culturale (perché comprendono la lingua);
- Nel paese d’arrivo i migranti creano un’economia “dell’alterità” oppure informale e
conoscono un’integrazione subalterna (“i lavori delle 5 P”, ovvero Precari, Pesanti,
Pericolosi, Poco pagati, Penalizzati socialmente).
Categorie di migranti eterogenee e in aumento

 Gli immigrati alla ricerca di lavoro e progressione sociale, tra cui i cervelli in fuga;
 I lavoratori stagionali o a contratto: il migrante è anche chi viaggia temporaneamente, non
necessariamente volendosi stabilire permanentemente in un luogo;
 Gli immigrati qualificati e gli imprenditori (skilled migrations);
 I familiari al seguito e i ricongiungimenti;
 I rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti forzati (i rifugiati politico-economici e quelli
ambientali);
 Gli immigrati irregolari, i clandestini, le vittime del traffico di esseri umani;
 I migranti di seconda o terza generazione;
 I migranti “di ritorno”, coloro che si recano nel paese di cui i genitori erano originari.

Oltre le migrazioni, le altre forme di mobilità


 I viaggiatori del tempo libero e del benessere (i turisti dei paesi sviluppati, delle élite dei
PVS, alla ricerca di altro e altrove). Si tratta di mobilità che non hanno sei push factors
legati a delle necessità date da discriminazione o guerre.
 Gli studenti, i ricercatori, i professionisti, i viaggiatori della globalizzazione (e la loro
dimensione transnazionale). Scelgono liberamente di viaggiare per motivi lavorativi, pur
potendo anche concludere il lavoro nel proprio paese, ma scelgono di rendere la loro
esperienza più integrata ad altre realtà sociali e culturali.
07.10.2020

Geografia delle lingue e le regioni linguistiche


La geografia delle lingue si occupa di tutti i fenomeni linguistici su diverse scale e su diversi
contesti culturali:

 Su scala globale o di grandi spazi geografici – le lingue ponte o internazionali sono


lingue che vengono utilizzate per la comunicazione tra due persone che parlano idiomi
diversi (un italiano e un tedesco che parlano inglese per capirsi)
 Su scala nazionale, regionale e locale – lingue nazionali (lingue ufficiali parlate in una
nazione), le lingue identitarie, i dialetti
 Studia i fenomeni linguistici in relazione ad altri elementi culturali: etnie, religione,
progetti politici da cui scaturiscono mutazioni linguistiche, tradizioni, ecc.
 Studia i fenomeni linguistici in relazione a fenomeni complessi: acculturazione
(fenomeno che prevede che un popolo possa assimilare, a seguito di conquiste o contatti
indiretti, la cultura del popolo conquistatore; esempio: ellenizzazione avvenuta in tempi
antichi nell’Impero Romano), territorialità identitaria, migrazioni e mobilità,
rappresentazioni, ecc.
Le lingue indo-europee risultano essere quelle più diffuse. Sono sparse un po’ ovunque in tutti i
continenti. L’Africa è quella che ne ha minor parte, nella zona del sud-Africa.
La complessità della geografia delle lingue
Al mondo, al momento, si parlano oltre 5.000 lingue. Circa 3.000 di esse rischiano di scomparire
nei prossimi decenni perché parlate da una sola persona, spesso anziana e che vive isolata o in aree
di difficile accessibilità.
Altre 450 circa sono invece conservate da poche decine di persone. Un esempio è la lingua
grecanica di Calabria, anche detto dialetto greco calabro, che è parlata da pochissime persone. Vi
sono state iniziative volte al mantenimento o alla diffusione di questa lingua ma è sicuramente
molto complesso.
La perdita di biodiversità linguistica
La morte delle lingue è un fenomeno inarrestabile e naturale. 15.000 anni fa le lingue parlate erano
più di 10.000, ciò prova che la storia e l’acculturazione sono fatte dai popoli dominanti a spese di
quelli dominati. Sono infatti scomparse lingue come l’etrusco, l’egiziano, il latino, il greco antico.
Le lingue seguono i destini dei popoli e delle comunità etniche a cui sono collegate.
La comunità etnico-linguistica
Il concetto di comunità etnica è fondamentale per la comprensione delle diversità linguistiche e
culturali. Il concetto di etnia è culturale, non ha a che vedere con la discendenza di un gruppo o con
la famiglia di appartenenza. L’appartenenza etnica è più dettata dalla storia della geografia, è un
dato difficilmente modificabile: sarà difficile, per chi è cresciuto in un determinato contesto
culturale, riuscire a mutare quell’aspetto della propria formazione. Il concetto di comunità etnica è
fondamentale per la comprensione della diversità linguistica e culturale.
“Una comunità umana legata al suo interno dalla coscienza di avere un comune patrimonio
storico e da vincoli culturali così forti e consolidatisi nel tempo viene definita comunità etnica, o
gruppo etnico, o gruppo etnico linguistico”
Geografo Guido Barbina, Geografia delle lingue, Carocci, Roma, 1993

Comprendiamo come l’elemento etnico di appartenenza culturale sia inscindibile da quello


linguistico.
Gli elementi che caratterizzano la comunità etnico-linguistica
Roland Breton (Atlante delle lingue, 2010, Vallardi) a proposito della comunità etnico-
linguistica, individua nello spazio delle:

 Pre-strutture: dati
demografici, lingua,
territorio in cui quella
determinata comunità
etnico-linguistica è situata;
 Strutture: cultura non
materiale, classi sociali,
sistema produttivo ed
economico, il benessere di
una determinata comunità
etnico-linguistica;
 Post-strutture: le
istituzioni politico-
amministrative, metropoli,
reti urbane costituite da
centri di piccole e grandi dimensioni dove è inserita quella comunità.
I tratti costitutivi dell’etnia
Tutti questi elementi (pre-strutture, strutture, post-strutture) sono legati tra di loro
trasversalmente anche attraverso super strutture e infra strutture.
Quindi le istituzioni politiche influenzano ma sono influenzate dalla cultura, strettamente legate
alle questioni linguistiche, legate a loro volta correlate alla demografia, ecc.
Tutto dipende da tutto.
Guido Barbina e il diverso grado di etnicità di un’area geografica
Il territorio etnico è formato da un nucleo centrale attorno al quale si sviluppa l’area del dominio
culturale che, a sua volta, è circondata da piccoli territori chiamati sfere di influenza (le regioni
etnico-linguistiche).
L’influenza del nucleo diminuisce a mano a mano che ci si allontana dal nucleo stesso. Possono così
nascere forme dialettali, creole o di bilinguismo.
Quindi, partendo da un nucleo centrale (ossia il fulcro del territorio etnico), si diffonde tutta l’area
del dominio culturale, che mantiene le sue sfere di influenza; ma questa influenza diminuisce
sempre di più tanto più l’area è lontana dallo stesso nucleo. Nascono così tutti gli elementi che si
distaccano dal nucleo, come diverse forme dialettali, fenomeni di creolizzazione (ibridazione della
cultura e della lingua), bilinguismo.

Acculturazione e ibridismi
Il tema del confronto / scontro e della mediazione / ibridazione / contaminazione o creolizzazione
tra le diverse culture e la perdita della biodiversità linguistica rappresentano alcuni dei capitoli più
appassionanti e complessi degli studi di geografia culturale e, in particolare, di quelli di geografia
delle lingue e di geografia delle etnie.
La lingua rappresenta una comprova molto importante per l’appartenenza etnica. Spesso, per
comprendere se un individuo appartiene o meno a una certa etnia, è certamente d’aiuto vedere se
egli ne parla o no la lingua.
Oggi siamo lontani da una convinzione tipica dell’800, quella cioè che uno stato, per avere
legittimità e solidità ha bisogno di una popolazione con una determinata lingua che lo
contraddistingua. Sicuramente, comunque, la lingua rimane uno degli elementi identitari di uno
stato, contraddistingue il fenomeno del sentirsi una nazione unita sotto un’unica lingua.
La salvaguardia delle culture e delle lingue “minoritarie”
La tutela di lingue e di culture minoritarie dipende da interventi politici, amministrativi e
culturali ben precisi, ma non solo da questi.
Di fatto, il declino di una cultura può infatti essere evitato grazie alla capacità di una determinata
comunità di continuare a essere autrice propositiva della propria lingua e cultura.
Mantenere solido l’elemento linguistico può certamente aiutare la tutela e la salvaguardia.
Un esempio è quello del gaelico irlandese contro l’avanzata dell’inglese. La resistenza delle
classi contadine e rurali nelle aree marginali ha permesso la sopravvivenza della lingua gaelica.
Nonostante sia una lingua molto difficile da mantenere viva, è comunque una delle lingue ufficiali
dell’Unione Europea. Ha certamente subito molta influenza dall’inglese, non solo per una
questione di vicinanza geografica, ma anche a causa della sua influenza globale.
La stessa cosa si può dire per il Bretone e l’avanzata del francese.
Le politiche per la conservazione delle lingue
In anni recenti si è cominciato a creare una banca dati, una sorta di memoria collettiva e alcuni
siti internet, con lo scopo di archiviare le parlate più rare e di proteggerle dall’oblio.
Le politiche linguistiche
Le politiche linguistico-culturali si basano su interventi di diverso tipo. Tali politiche possono
essere definite come:

 Distruttive
 Evoluzioniste
 Conservazioniste
 Protettive, di tipo ecologico.
Nel 1983 il Parlamento europeo adottò la Risoluzione Kuijpers per la valorizzazione linguistica.
Tale risoluzione è focalizzata sul ricordare agli stati membri la necessità di riconoscere le proprie
minoranze linguistiche nei propri ordinamenti giuridici e di creare le premesse per il
mantenimento e lo sviluppo delle culture e delle lingue regionali. Grazie a questa risoluzione è stato
possibile sollecitare gli stati membri a tutelare le minoranze e provvedere all’attuazione di iniziative
volte alla salvaguardia delle lingue minoritarie. Vi sono anche raccomandazioni per gli stati
membri riguardo l’istruzione: è chiesto di equiparare l’insegnamento di queste lingue a quello della
lingua nazionale, sia nelle scuole che nelle università.
Il maggior ente europeo per la tutela di lingue e di culture minori è l’European Bureau for
Lesser Used Languages.
Permanenze e trasformazioni
Il declino linguistico-culturale è il sintomo più evidente di un processo, legato a dinamiche spesso
invisibili, che porta a una radicale trasformazione dell’organizzazione sociale, economica e
territoriale della comunità etnico-linguistica.
La percezione da parte dei membri di una comunità di vivere un simile processo rappresenta
un’esperienza traumatica, che si tramuta in richiesta di aiuto e di protezione.
Regioni politico-amministrative e regioni linguistiche europee
In Europa sono più numerose le lingue romanze, le lingue germaniche sono al secondo posto.
Esiste:

 Il monolinguismo perfetto la lingua parlata è una sola: Portogallo, Islanda, i microstati


(Andorra, San Marino, Vaticano, Monaco, Liechtenstein). La dimensione ridotta di questi
stati favorisce una minore differenziazione delle lingue;
 Il monolinguismo imperfetto, il più diffuso. Oltre alla lingua nazionale e ufficiale, altre
tipologie di lingue, parlate da un numero consistente di persone, vengono adottate: Spagna,
Francia, Italia, Gran Bretagna, Germania, ecc.
 Il bilinguismo, un equilibrio spesso delicato. All’interno di una nazione si parlano due
lingue, entrambe ufficiali: Belgio (olandese e francese)
 Il multilinguismo / plurilinguismo / poliglottismo: un caso raro. Più lingue sono ufficiali:
Lussemburgo, Svizzera (stato diviso in più cantoni, le lingue ufficiali sono il tedesco, il
francese, l’italiano e il romancio, che appartiene al sottogruppo delle lingue retro-romanze,
ha affinità col ladino e col friulano).
Il monolinguismo in generale indica l’utilizzo di una sola lingua e di un solo registro stilistico molto
omogeneo in una determinata regione.
Il monolinguismo perfetto del portogallo si affianca al monolinguismo imperfetto della Spagna.
Le comunità alloglotte del territorio italiano: problemi e prospettive
Alloglotto = in uno stesso territorio, un determinato individuo ha la capacità di parlare una lingua
diversa da quella ufficiale della maggioranza.
Sul territorio italiano sono presenti numerose comunità alloglotte, di diverso peso quantitativo, con
un diverso grado di riconoscimento e protezione.
Queste caratteristiche rendono la situazione linguistico-culturale italiana uno dei casi più
complessi di tutto il panorama europeo e mondiale.
Le comunità alloglotte (come i greci di Calabria o le comunità grecaniche del Salento in Puglia)
parlano una lingua che si distacca totalmente dalla lingua nazionale. Fino a pochi decenni fa
avevano anche un certo peso quantitativo. Hanno quindi un grado di protezione abbastanza ampio,
anche per l’importanza culturale che quella lingua detiene.
Le minoranze linguistiche italiane
In diverse regioni dell’arco alpino italiano si trovano dieci minoranze linguistico-culturali. Al nord:
1. Carinziani in Veneto e Friuli;
2. Cimbri in Trentino e Veneto;
3. Francesi e Francoprovenzali in Valle d’Aosta e Piemonte;
4. Friulani in Friuli;
5. Ladini nelle valli bellunesi, trentine e sud-tirolesi;
6. Mòcheni nella Valle del Fersina e in Trentino;
7. Occitani in una dozzina di vallate alpine del Piemonte;
8. Sloveni lungo la frontiera nord-orientale italiana;
9. Sudtirolesi in Sudtirol / Alto Adige;
10. Walser in Valle d’Aosta e Piemonte.
Anche al sud si incontrano minoranza linguistiche:
1. Albanesi in Campania, Calabria e Sicilia;
2. Catalane e sarde in Sardegna;
3. Croate in Molise;
4. Francoprovenzali in Puglia e Calabria;
5. Grecaniche in Puglia e Calabria;
I Rom e i Sinti, invece, sono sparsi su tutto il territorio nazionale.
La difesa del retaggio culturale di queste minoranze alloglotte è un dovere costituzionale dello
stato italiano e delle regioni, che hanno il compito di favorire e di promuovere una legislazione
rispettosa delle minoranze.
La minoranza grecanica calabrese è una sorta di dialetto greco. È giunta fino ad oggi mediante
una tradizione solamente orale: non esistono scritti. Alcuni libri fanno risalire questa lingua
all’epoca della Magna Grecia (VIII secolo a.C.), altri a tempi più recenti. Questa lingua fu il frutto di
una serie di contaminazioni che, pur lasciando la matrice greca, l’hanno modificata. Le aree greche
di Calabria hanno una natura estremamente mitologica e fiabesca. l’oralità ha avuto il sopravvento
fino a tempi recentissimi, aggiungendosi anche a problematiche di analfabetismo. Oggi la lingua
grecanica riveste un carattere strategico in ambito culturale: la conservazione e la preservazione di
questa lingua sono molto importanti, e prevedono anche una valorizzazione specifica dei luoghi in
cui essa viene parlata. Questa lingua è anche soggetta del disinteresse dei giovani che vanno in città
per motivi di studio e di lavoro, allontanandosi dalle radici di questa lingua.
In Italia, dunque, c’è un monolinguismo imperfetto con tutela delle minoranze linguistiche.
L’influenza della lingua sul territorio – la toponomastica
La toponomastica è lo studio scientifico dei nomi propri di luogo e la testimonianza delle
popolazioni che si sono insediate nel tempo su un determinato territorio. È interessante notare
l’influenza della lingua sul territorio.
Alcuni esempi di origine latina:
o Quarto Oggiaro, Quinto Romano, Sesto San Giovanni, Settimo Milanese;
o Chester in Inghilterra, derivato da Castrum (=accampamento dove risiedeva l’esercito
romano), Manchester, Winchester, Gloucester…
Toponimi extraeuropei dell’acculturazione:
o New Hampshire, New York, New Orleans, Nouvelle Calédonie, Nuova Zelanda, Syracuse,
Rome, Venice…
Il contatto tra lingua e geografia sta anche all’interno di questi fenomeni di toponomastica, in cu ila
lingua influenza la scelta dei nomi di determinate aree o città.
Il bilinguismo gestito dall’alto: lo stato cinese e le minoranze etnico-linguistiche
In Cina c’è una forte maggioranza a livello territoriale di lingua cinese, seguita dal gruppo tibetano
e poi le altre minoranze di un territorio ovviamente vastissimo.
Il bilinguismo come parte di un problema più ampio
Il bilinguismo può essere anche parte i un problema più ampio. Ebraico e arabo sono elementi
del complesso e composito conflitto israelo-palestinese e nel Medio Oriente.
La lingua araba viene espulsa e discriminata per superare il problema del bilinguismo in Israele. È
un tipo di politica linguistica distruttiva.
08.10.2020

La geografia delle religioni


La geografia si occupa dei modi in cui il fenomeno religioso si diversifica da un luogo ad un altro.
Per definizione, la religione è un sistema di valori, credenze, pratiche con le quali un gruppo di
persone interpreta ciò che è sacro e sovrannaturale. La religione, quindi, organizza lo spazio.
Per questo i geografi si occupano anche dello studio delle religioni, per identificare i modelli e i
processi di diffusione di una religione. Ci occupiamo, per esempio, della distribuzione territoriale
raggiunta in uno spazio geografico preciso dalla religione e il suo impatto sul paesaggio.
Fino al XVIII secolo, la religione era una componente essenziale dell’identità culturale dei
popoli, indipendentemente dal loro grado di sviluppo tecnico, economico e culturale e dal tipo di
organizzazione politica o territoriale scelta. Fino al XIX secolo la dimensione religiosa fu
importante e le proclamazioni pubbliche di laicismo continuarono ad essere episodiche (solo lo
0,2% circa della popolazione mondiale si dichiarava all’epoca agnostico, scettico, ateo oppure non
credente).
Atei, agnostici, non religiosi
Nel terzo millennio invece numerosi individui (oltre 1 miliardo) si dichiarano atei, agnostici, non
credenti o non si sentono parte di nessuna chiesa o confessione religiosa. Il loro numero è in
aumento.
Questi individui si concentrano nei paesi più sviluppati, con i più alti livelli di istruzione e qualità
della vita (Europa, Giappone, Corea del Sud, Israele, Nordamerica).
Uno sguardo d’insieme sulle principali religioni del mondo
In America c’è una forte prevalenza di cristianesimo. Nel contesto nordafricano e mediorientale, c’è
una prevalenza islamica.
Bisogna far presente che assegnare ad un singolo paese un’unica categoria religiosa è altamente
semplificatorio: è sempre più evidente la crescente intermescolanza di fedi in un determinato
contesto geografico. Negli stati occidentali, infatti, per effetti dei flussi migratori, oggi vi è una
continua intermescolanza tra cristianesimo e islam.
Non c’è un contesto geografico puro da un punto di vista religioso. Nel sud-est asiatico ci sono
moltissime religioni mescolate: 23% di buddhisti, 40% di mussulmani, 22% di cristiani, 14% di non
affiliati a nessuna religione, 1,3% di aderenti ad altre confessioni (scintoismo…).
L’elemento che deve essere evidenziato è proprio questa mescolanza di fedi all’interno degli spazi
geografici.
La diffusione delle religioni
Bisogna fare una differenziazione tra:

 Religioni universali: religioni che possono essere applicate a tutti gli esseri umani, la cui
partecipazione è aperta a tutti coloro che sono disposti ad assumere determinati dogmi,
determinati impegni. Queste religioni sono il cristianesimo, l’islamismo, il buddhismo.
La diffusione di una religione universale è legata principalmente alla mobilità umana. La
religione cristiana nasce nell’area del bacino del mediterraneo e da qui si diffonde nel
contesto delle Americhe. L’evangelizzazione delle terre americane tramite il colonialismo ha
provocato la diffusione del cristianesimo.
La stessa cosa avvenne per l’islam: la diffusione degli arabi portò alla diffusione della loro
religione.
Anche la religione buddhista trova la sua massima espansione all’interno dell’Asia centro-
orientale.
 Religioni etniche: non sono aperte a tutti coloro che intendono assumersi un impegno
simbolico come per le religioni universali. Al contrario, mostrano una radicata
identificazione territoriale e culturale: si diventa membri di questo gruppo o per
nascita o mediante l’adozione di un certo stile di vita. Non vi si aderisce attraverso una
semplice professione di fede.
Inoltre, a differenza delle religioni universali, le religioni etniche e tribali non ricorrono al
proselitismo, cioè all’evangelizzazione (come avvenne al cristianesimo in America).
I fedeli formano inoltre delle comunità chiuse, che si identificano in un preciso gruppo
politico o culturale. Una religione etnica è per esempio l’ebraismo, l’induismo, lo scintoismo
giapponese.
 Religioni tribali: sono una derivazione delle religioni etniche. Esse si differenziano
da quelle etniche per le dimensioni limitate del numero dei fedeli. Un esempio di
religione tribale è lo sciamanesimo, una forma di religione che prevede l’accettazione di uno
sciamano, ossia un leader religioso (un guaritore, un esperto di arti magiche che, attraverso
determinati poteri, è in grado di interagire col mondo degli spiriti).
L’animismo, la forma più arcaica di religione, è una religione tribale. È una religione che
cerca di dare un senso all’universo, procurandosi il favore delle forze della natura che sono
considerate vive, cioè dotate di un’anima.
I rapporti tra geografia e religione
La religione è un tema di particolare importanza per la Geografia Umana, soprattutto per la grande
influenza che esercita sulle attività e sui sistemi culturali dei diversi gruppi umani presenti sulla
terra.
I precetti e le norme dei differenti credi religioni influenzano l’alimentazione e consumi degli
individui, l’utilizzo delle risorse del suolo e di quelle naturali, l’allevamento, la copertura vegetale.
Ad esempio, nella religione islamica c’è il precetto di non consumare la carne di maiale: nei paesi
islamici non è possibile l’allevamento suino.
Inoltre, coloro che professano religioni ancestrali o tribali seguono i ritmi della natura, delle
stagioni, del tempo. La religione stessa influenza la modalità di vita su un territorio dei fedeli.
La religione influenza dunque i modelli economici e socio-produttivi, può ostacolare o
facilitare la modernizzazione o la diffusione dell’innovazione.
Le influenze della religione si diramano in moltissimi settori. I differenti credi religiosi
influenzano:
 I modelli sociali dei vari paesi: il sistema delle caste indiane è dichiarato abolito dalla
legge, ma è nonostante ciò di fatto alla base della struttura sociale e politica. In Etiopia ci
sono continui scontri anche a causa della confessione religiosa: i mussulmani delle aree
periferiche si contrappongono ai cristiani che si collocano nelle parti più centrali del paese.
 I modelli politici dei vari paesi e possono diventare strumento di scontro o di unione. La
sfera religiosa islamica ingloba non solo le pratiche di culto, ma anche i modelli di
comportamento; quindi il potere politico, se entra in urto con la tradizione religiosa, perde
ogni legittimità.
 Lo sviluppo demografico. Nei secoli passati, in paesi che professavano la religione
cristiana vigeva il rifiuto di qualsiasi forma di anticoncezionale per limitare le nascite.
 Il ruolo della donna e dell’uomo: nei paesi islamici vige un forte conservatorismo, che
sottolineano un ruolo maggioritario dell’uomo rispetto alla donna.
 Le diverse religioni si rapportano in un modo diverso rispetto all’ambiente fisico-
naturale: la sensibilità ambientale è più evidente nelle religioni animiste e nelle filosofie
orientali.
Le tracce della religione nel paesaggio [cap. 7 Frémont]:

 Le strutture, le infrastrutture e i segni dei culti


 I paesaggi della morte e delle catastrofi
 La sacralizzazione di certi spazi (chiese, moschee, templi, sinagoghe…), luoghi (la grotta
di Lourdes) e città (Roma e Stato del Vaticano con la Piazza di San Pietro, La Mecca, Lhasa,
Varanasi…).
Gerusalemme è la città santa per eccellenza. In essa hanno avuto il loro sviluppo tre grandi
religioni: ebraica, islamica e cristiana. Nel tempo si è quindi caricata di segni, di tracce
visibili legati a tre culti differenti. Infatti, non è strano trovare a Gerusalemme architetture
di pietre ammucchiate, resti di ciò che un tempo rappresentava la religione cristiana e
islamica. Tutto ciò testimonia le distruzioni, ricostruzioni e sovrapposizioni sviluppate in
questa città.
Ibridazioni ed eterotopie nel paesaggio
Il paesaggio si carica dunque di elementi, di simboli che derivano dalle diverse confessioni
religiose. Spesso, si trovano nel paesaggio ibridazioni ed eterotopie: un paesaggio che si carica di
segni che si incrociano tra di loro, e si creano degli spazi
connessi ad altri spazi. Ad esempio, l’elemento natura
rappresentato dagli alberi può essere legato ad un elemento
architettonico (case residenziali in pietra): vi è una mescolanza
tra ambiente naturale e artificiale. Accanto alla casa e alle
montagne vi può essere una statua religiosa: anche la religione
partecipa al territorio con monumenti. La religione, dunque,
partecipa anch’essa all’organizzazione spaziale.

12.10.2020

Cristianesimo
Il cristianesimo compone un insieme eterogeneo di oltre due miliardi di credenti (il 33% della
popolazione mondiale).
All’interno del cristianesimo si riconoscono diverse confessioni:

 Cattolici;
 Ortodossi;
 Protestanti o Riformati, all’interno dei quali si riconoscono gli Anglicani, Luterani,
Calvinisti, Evangelici, Metodisti, Mormoni, Amish, ecc;
 Copti d’Egitto e d’Etiopia;
 Sette cristiane di vario tipo.
Il cristianesimo più diffuso: il cattolicesimo
Si tratta di una religione monoteista, rivelata da oltre XX secoli. È caratterizzata da oltre 1 miliardo
di fedeli; un ruolo particolare al suo interno è svolto dalla lingua latina. Il cattolicesimo è la
“grande” religione del mondo occidentale, la più importante del Cristianesimo. Ha permeato molta
parte del pensiero filosofico, letterario, musicale, artistico e più in generale culturale del mondo.
Ha una sua capitale, Roma, e numerosi centri importanti diventati nel tempo luoghi sacri, turistici
e di pellegrinaggio (Lourdes, Fatima, Assisi, Loreto, Međugorje …).
La basilica di Assisi
Il cattolicesimo si rappresenta nel mondo attuale con molti simboli: chiese, basiliche, cattedrali che
rappresentano i principi primi del cattolicesimo. Un esempio è la Basilica di Assisi, definita un
simbolo del cattolicesimo povero, inclusivo, interconfessionale. I lavori per la sua costruzione
iniziarono nel 1228 e finirono nel 1253. Essa è custodita dai frati della comunità: rappresenta
quindi l’anima pura e povera del cattolicesimo, ideali incarnati dal pensiero di San Francesco
d’Assisi, che portava avanti l’idea dello spogliarsi di tutte le ricchezze.
Questa basilica è diventata anche il punto di ritrovo della Marcia della Pace, che da Perugia di
snoda per 24km fino ad Assisi. Questa Marcia, organizzata da un’associazione pacifista, si svolge
ogni due o tre anni tra la fine di Settembre e gli inizi di Ottobre.
La Basilica di Assisi è inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
La Basilique de Notre-Dame de Paris
Si trova a Parigi, nel quartiere dell’Ile de la Cité. La basilica di Notre-Dame è simbolo del
cattolicesimo ricco e potente. La stessa costruzione architettonica è infatti in stile gotico, che da
un’immagine di una chiesa imponente e monumentale. La basilica è di proprietà dello Stato, ma il
suo utilizzo è stato assegnato alla chiesa cattolica. Fu costruita con l’impegno finanziario della
Corona e della Chiesa. I lavori finirono nel 1344.
La Basilica di Notre-Dame de Paris è inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità UNESCO.
L’importanza di questa basilica è data anche dagli eventi storici che nel tempo si sono susseguiti
al suo interno, come l’incoronazione di Napoleone nel 1804. Sono innumerevoli gli eventi politici e
le cerimonie commemorative di personaggi illustri che si sono svolti al suo interno.
La Catedral Metropolitana de Guatemala
Si trova in Città del Guatemala, nello Stato del Guatemala in America centrale. Simboleggia il
cattolicesimo esportato fuori dall’Europa. La presenza spagnola in Guatemala, che si ebbe in
forma imponente e massiccia dopo la scoperta delle Americhe (nel corso del 1500 e il 1700), portò
con sé anche una forte opera evangelica.
La religione Ortodossa
La religione Ortodossa nasce in Europa dalla rottura tra la chiesa Cristiana Orientale e la Chiesa
Cristiana Occidentale (scisma dell’anno 1054). Questo scisma rappresentò anche una frattura
linguistica tra alfabeto e lingua latini da un lato; e lingua greca e alfabeti orientali (greco, cirillico)
dall’altro.
Si lega all’identità nazionale degli Stati dell’Europa Orientale. Per questo è interconnessa con il
potere politico e si contamina, in certi casi, di nazionalismo.
È stata anche veicolo di acculturazione per la lingua russa nell’Asia settentrionale.
Luoghi sacri – sono famose le cattedrali ortodosse di Bucarest e Mosca. Anche questa religione,
quindi, lascia una sua presenza sul territorio attraverso imponenti cattedrali.
Le chiese protestanti o riformate
All’interno delle chiese protestanti o riformate vi sono diversi culti, accomunati dalla riforma del
Cattolicesimo. La riforma protestante o scisma protestante, nelle sue correnti principali della
Riforma luterana e della Riforma calvinista, è il movimento religioso di separazione (Scisma) dalla
Chiesa Cattolica avvenuto nel XVI secolo, con risvolti politici di tipo rivoluzionario, che ha portato
alla nascita del cosiddetto "cristianesimo evangelico". Figura centrale alla quale si attribuisce la
nascita del movimento protestante è l'ex-frate agostiniano Martin Lutero, insieme ad altre figure di
spicco quali Giovanni Calvino, Huldrych Zwingli, Thomas Müntzer e Filippo Melantone.
All’interno delle chiese protestanti o riformate troviamo diverse confessioni religiose: Anglicani,
Luterani, Calvinisti, Evangelici, Metodisti, Mormoni, Amish, ecc.
 Anglicanesimo
La chiesa anglicana nasce non da tensioni riformistiche né da fermenti rivoluzionari ma da un atto
che si potrebbe definire amministrativo, semplice in forma e sostanza: l'Atto di Supremazia (Act of
Supremacy) con il quale nel 1534 Enrico VIII con il consenso del parlamento si proclamò capo
supremo della chiesa anglicana.
Si tratta di una chiesa nazionale di lingua inglese, che ha, dal XVI secolo ad oggi,
accompagnato l’ascesa politico culturale e poi il declino dell’Inghilterra.
Nei secoli, questa chiesa è stata esportata nelle diverse colonie britanniche, e oggi conta circa 80
milioni di fedeli.
Dall’Anglicanesimo è nata la Chiesa Episcopale degli Stati Uniti: quando le 13 colonie inglesi
si sono ribellate alla Gran Bretagna, hanno dato origine agli Stati Uniti d’America e reciso i legami
politici con la monarchia britannica e la chiesa anglicana.
Il Giudaismo o Ebraismo
Si tratta di un’altra confessione religiosa che rientra tra le religioni etniche. Non è possibile non
pensare alla diaspora ebraica: la dispersione del popolo ebraico avvenuta durante il regno di
Babilonia e sotto l'impero romano, che coinvolse 14 Milioni di in dividui. 
Si tratta di una delle religioni monoteiste più antiche del mondo, comparsa in Palestina molti secoli
prima di Cristo ma la sua diffusione rimane confinata al gruppo etnico che l’ha elaborata fin dalle
sue origini. L’ebraismo si è ancorato da un punto di vista territoriale ad un’area specifica, ossia
Israele, che nasce per volere dell’ONU dopo la II Guerra Mondiale col fine di dare una casa al
popolo ebraico.
Le influenze culturali dell’ebraismo vanno ben oltre la Palestina e il Medio Oriente [cap. 7
Frémont].

Islamismo
Tra le religioni universali, oltre al cristianesimo troviamo anche l’islamismo. Con quasi 2 miliardi
di credenti, è oggi la seconda grande religione monoteista, predicata da Maometto a partire
all’VIII secolo d.C. Il testo sacro è il Corano, scritto in arabo letterario (classico).
Un elemento di estrema importanza, soprattutto all’interno degli scenari geopolitici del Medio
Oriente, è la scissione tra sunniti e sciiti. La diatriba affonda le sue radici nel 632 d.C., l’anno
della morte del profeta Maometto. Le tribù arabe che lo seguivano si divisero sulla questione di chi
avrebbe dovuto ereditare quella che a tutti gli effetti era una carica sia politica che religiosa. La
maggioranza dei suoi seguaci, che sarebbero in seguito divenuti noti come sunniti e che oggi
rappresentano l’80% dei musulmani, appoggiarono Abu Bakr, amico del profeta e padre della
moglie Aisha.
Secondo il sunnismo, alla guida politica e spirituale (non strettamente religiosa) della Comunità
poteva accedere qualunque musulmano (maschio o femmina) pubere, di buona moralità, di sufficiente
dottrina e sano di corpo e di mente. 

Secondo gli sciiti, invece, il legittimo successore di Maometto andava individuato tra i suoi
consanguinei. Sostenevano che il profeta avesse designato a succedergli Ali, suo cugino e genero, e
diventarono noti come sciiti, una forma contratta dell’espressione “shiaat Ali”, i partigiani di Ali.
Gli sciiti vedono nell’ Imam un garante spirituale della condotta degli uomini che fosse e desse prova
della veracità della religione e dirigesse la comunità. C ompongono una minoranza del mondo
islamico: sono distribuiti lungo la cosiddetta mezzaluna sciita, dall’Iran (paese maggioritario
della loro presenza), per la Siria fino al Libano.
L’islamismo si è diffuso rapidamente dall’Arabia Saudita sia verso ovest (lungo la costa dell’Africa
settentrionale, nel Marocco e poi nella penisola Iberica fino alla Francia, a Touluse), sia verso est
(fino all’area del sud-est asiatico). Il maggior numero di popolazione islamica è presente in
Bangladesh, Pakistan, India e Indonesia, Iran, Turchia, Nigeria.
Nelle diverse interpretazioni dell’islamismo rientra anche il gruppo degli Ibadi.
Gli Ibaditi costituiscono l'unico ramo oggi esistente dei kharigiti, quella corrente
religiosa islamica che costituisce una "terza via" tra sunniti e sciiti, le cui origini risalgono ai primi
tempi dell'Islam. L’Ibadismo si è diffuso ed è presente attualmente nello stato dell’Oman. È una
frangia islamica considerata tra le più tolleranti verso le altre confessioni religiose: gli ibaditi,
infatti, hanno una mentalità molto aperta, anche verso le innovazioni e la modernità; rifiutano
qualunque forma di conservatorismo e estremismo.
Luoghi sacri – anche l’islamismo ha modificato lo spazio costruendo opere architettoniche, ossia
le moschee. Sono famose le moschee di Kairouan in Tunisia (non aperta a non islamici) e la
Moschea Blu di Istanbul (patrimonio dell’UNESCO), che ha assunto anche valore culturale: è una
delle poche moschee al mondo aperte anche a persone di fedi diverse.
L’islam è stato anche esportato nel mondo, in seguito all’aumentare dei flussi migratori dei
mussulmani. La moschea di Montréal (Québec) fu costruita per la prima volta nel 1996, per poi
essere modificata nel tempo. Nel Québec l’1,5% della popolazione (circa 130.000 persone) sono di
fede musulmana, in gran parte immigrati di recente arrivo nel Paese nordamericano.

Induismo
L’induismo è la più grande religione etnica esistente con 1,2 miliardi di aderenti, per l’80%
concentrati in India.
Si tratta della religione politeista più antica del mondo. È principalmente confinata all’interno del
sub-continente indiano (composto da India, Nepal e Bhutan). Anche negli stati confinanti
(Pakistan, Afghanistan) vi è una presenza, seppur minoritaria. Piccole comunità di religione indù si
trovano anche in Asia sud-orientale (Indonesia, Malesia, Cambogia, Thailandia, Laos, Vietnam…),
Africa, USA, Inghilterra (comunità isolate).
L’induismo crede nel Trimurti, ossia la forma triplice dell’Essere supremo, che si identifica in:
 Brahma (colui che crea);
 Vishnu (colui che protegge);
 Shiva (colui che distrugge).
L’induismo non è solo una religione, ma anche una rete articolata di elementi religiosi, filosofici,
sociali, economici, artistici connessi a una civiltà specifica. Si può dire che l’induismo è un
ortoprassi, un vero e proprio modo di vivere.
L’induismo crede nel ciclo della vita e della morte, nella reincarnazione, nella sacralità del
mondo vegetale e animale: per un induista, la vacca è sacra. Ciò influisce con l’alimentazione dei
credenti, che non possono nutrirsi di carne di mucca. Essi sono particolarmente sensibili anche alle
questioni ambientali.
Luoghi sacri – anche gli induisti hanno lasciato nel territorio delle tracce. Il tempio è il luogo
d’incontro tra Dio, il sommo supremo, e il devoto. Il tempio non è solo luogo sacro, ma anche
luogo di aggregazione aperto e di scambio culturale tra le comunità indù; ma anche tra gli
stessi induisti e le altre comunità. È quindi un luogo pensato come un ponte tra la comunità
induista e quella locale. Proprio perché nella mentalità induista c’è una forte tolleranza anche nei
confronti di chi non appartiene alla comunità indù. L’induista sostiene un bene comune, per il
quale è aperto allo scambio culturale.
Varanasi è la città sacra della religione indù, che si affaccia sul fiume Gange, a sua volta fiume
sacro, che tramite le sue acque purifica l’anima. Altre città sacre sono Haridwar, ai piedi
dell’Himalaya e Mathura, dove c’è un grande tempio induista.

Le grandi religioni/filosofie dell’Asia orientale


Accanto all’Induismo, in Asia vi sono diverse filosofie o religioni che si sono sviluppate nei
millenni.
 il Buddhismo: con 400 milioni di fedeli (con diverse varianti);
 il Taoismo: circa 400 milioni di fedeli
 il Confucianesimo
 lo Scintoismo: si tratta di un complesso di tradizioni politeiste e rituali con un centinaio di
milioni di aderenti, soprattutto in Giappone.
Il Buddhismo
I testi sacri del Buddhismo sono i Tantra. Si tratta di una delle più grandi religioni universali
insieme al cristianesimo e all’islamismo, che si è sviluppato nel contesto asiatico in tre forme:
 Theravada: the way of the elders; la scuola degli anziani, una delle scuole buddhiste
più antiche. Si tratta di una dottrina buddhista strettamente conservatrice, che rifiuta
ogni forma di innovazione e modernità. Questa scuola si è sviluppata maggiormente nel
Myanmar, Laos, Thailandia, Vietnam, Cambogia.
 Mahayana: the great vehicle; si tratta di una corrente che si appella più al cuore che
all’intelletto. Chi vi aderisce ha come obbiettivo principale della propria vita spirituale
quello di aiutare coloro che soffrono. Questa forma di buddhismo si è sviluppata in una
parte della Cina, nella Corea del Nord e del Sud e in Giappone.
 Vajrayana: the way of Tantras; si tratta della forma del buddhismo tantrico: i Tantra
sono i testi sacri. I fedeli usano delle tecniche di purificazione a livello fisico. Questa terza
forma di buddhismo si è sviluppata nella parte occidentale della Cina e in Mongolia.
Le origini del buddhismo si hanno in prossimità del sub-continente indiano, dove convive una
doppia presenza di induisti e buddhisti.
Luoghi sacri – Lhasa, la capitale del Tibet, è città sacra dei buddhisti: qui c’è un tempio molto
famoso e vi risiede il Dalai Lama. [I "Dalai Lama" sono considerati, nel contesto del buddhismo
tibetano, la manifestazione terrena del bodhisattva cosmico Avalokiteśvara. Nel buddhismo,
un bodhisattva è una persona che, pur avendo ormai raggiunto l'illuminazione, e avendo quindi
esaurito il ciclo delle sue esistenze terrene, sceglie tuttavia di rinunciare provvisoriamente
al nirvana e di continuare a reincarnarsi, sotto la spinta della compassione, per dedicarsi ad
aiutare gli altri esseri umani a raggiungerlo, spendendo per loro i propri meriti].
Un’altra città sacra è Dharamsala, che viene ricordata anche nei manuali di storia, perché qui dal
1980 ha sede il governo tibetano in esilio (governo mai riconosciuto da quello cinese).
Sono poi numerosi i luoghi sacri del buddhismo (Lumbini in Nepal; Bodh Gaya in India; Deer Park
in Sarnat, dove il Buddha insegnò per la prima volta la Dharma; Kushinagar in India…). Lungo
queste località, si svolgono dei veri e propri percorsi di visita, creando una sorta di pellegrinaggio.

I culti animisti, le religioni tribali e quelle minoritarie


Le religioni tribali, come già detto, sono delle derivazioni delle religioni etniche. Si differenziano da
quest’ultime per le dimensioni limitate del numero dei fedeli.
Qualcuno definisce queste religioni tribali come relitte, cioè che sopravvivono nelle aree marginali
del pianeta e si confrontano con il Modernismo, l’acculturazione e l’ateismo.
Due forme religiose che rivestono importanza all’interno di questo vasto insieme di religioni tribali
e minoritarie sono:
 Sciamanesimo: religione tribale che prevede l’accettazione da parte della comunità di
fedeli di uno sciamano, ossia il leader religioso, guaritore ed esperto di arti magiche, che è
in grado di interagire col mondo degli spiriti.
 Sincretismo: religioni nate dalla fusione di altre credenze religiose differenti.
Il termine animismo indica invece la credenza che la vita sia in grado di animare, tramite gli
spiriti, i defunti, le divinità e gli oggetti inanimanti (montagne, alberi, fiumi…). Col termine
animismo, dunque, si intendono quelle religioni che riconoscono uno spirito della vita negli oggetti
inanimati.
I culti animisti, le religioni tribali e quelle minoritarie sono particolarmente sviluppati in Africa.
Anche i culti animisti, tribali e minoritari hanno dei propri simboli e segni che localizzano nello
spazio geografico. I totem, infatti, rappresentano alcuni elementi significativi delle religioni
animiste. Nei totem ci sono immagini di uomini, animali, oggetti che si ritiene abbiano un’anima.
La religione torna a contare nel XXI secolo
Si assiste, in questi decenni (soprattutto tra la fine del 900 e gli inizi del terzo millennio) da un alto
ad un aumento di persone non credenti; ma dall’altro ad una rinascita religiosa contro
l’occidentalizzazione e la globalizzazione, come resistenza al cambiamento, alla standardizzazione
portata dalla stessa globalizzazione. Alcune religioni, infatti, tentano di imporsi nel mondo
attraverso forme di conservatorismo religioso in contrapposizione all’innovazione; o tramite
forme di integralismo religioso, come quello islamico della jihad, che impongono i propri
precetti anche con la forza.
Anche dalle religioni e dai loro dogmi, possiamo capire molte cose della nostra geografia, come le
guerre e gli scontri che non sono solo politici ma anche religiosi.
Quando si parla di religione e conflitti territoriali, non si può non ricordare il conflitto israelo-
palestinese. Questa questione è sicuramente uno dei maggiori problemi di politica internazionale
contemporanea. È una controversia che si trascina dal secondo dopoguerra: gli ebrei proclamarono
lo Stato d’Israele nel Maggio del 1948, atto che scatenò una serie di violenti scontri, il primo dei
quali si concluse con la vittoria degli israeliani che occuparono un territorio destinato ai
palestinesi: la Cis-Giordania e Gerusalemme est furono annesse dalla Giordania; e la Striscia di
Gaza fu posta sotto amministrazione militare egiziana. Dopo questo primo conflitto seguirono
moltissime altre guerre tra Israele e i confinanti stati arabi: Egitto, Siria e Giordania. I conflitti si
conclusero nel 1973 con l’occupazione israeliana dei territori della regione (Cis-Giordania,
Gerusalemme est e la Striscia di Gaza). Dal 1978 iniziarono i primi accordi: il trattato di Camp
David sancì la pace tra Israele ed Egitto; l’accordo di Oslo del 1993-95 dichiarava la nascita dello
stato palestinese. In base a quest’ultimo accordo, inoltre, Israele riconosce l’autorità nazionale
palestinese e il suo diritto di governare sulla Striscia di Gaza e su parte della Cis-Giordania. Con
l’accordo di Oslo, però, Israele si è riservato il diritto di intervenire in questi ultimi territori per
ragioni di sicurezza. Il processo di nascita dello stato palestinese ha continuato dunque attraverso
enormi difficoltà: a momenti di dialogo si sono alternati anche momenti di alta tensione e conflitti
sanguinosi tra i due paesi. Nonostante le tensioni tra Palestina e Israele, alcune azioni sono
comunque state portate avanti: i coloni ebrei sono stati evacuati dalla Striscia di Gaza (governata
dai palestinesi); mentre in Cis-Giordania ci sono ancora numerosi insediamenti ebraici e molte
zone sono sotto il diretto controllo degli israeliani. La situazione, dunque, rimane tutt’oggi molto
tesa. Nel 2002, il governo d’Israele ha avviato la costruzione di un muro di sicurezza intorno ai
confini della Cis-Giordania, per impedire l’ingresso nel territorio israeliano di attentatori suicidi
palestinesi. Un’altra data importante è quella del 2007, quando negli USA ci fu la Conferenza di
Annapolis, durante la quale israeliani e palestinesi si sono riaperti al dialogo su alcune questioni
fondamentali, tra cui lo Statuto di Gerusalemme: la città santa per eccellenza è voluta sia dallo
stato di Israeliano che dalla Palestina come propria capitale. Ci sono comunque ancora molte
questioni ancora aperte: la sorte dei rifugiati palestinesi, il futuro delle colonie ebraiche nei territori
palestinesi, la delimitazione delle frontiere e la ripartizione delle risorse d’acqua.
Questo è un conflitto territoriale, ma che fonda le sue radici nella questione religiosa, in quanto si
contrappongono due religioni diverse: ebraismo e islamismo. Da qui l’importanza che un geologo
dà allo studio, all’analisi delle confessioni religiose all’interno del contesto globale.
14.10.2020
La geografia politica
[cap.15-16 Frémont]
La geografia politica è chiamata anche geografia politica-amministrativa, quando si vuole mettere
in evidenza l’articolazione amministrativa dei vari stati.
Un’eterogenea rete di attori politici: gli stati e il loro potere
Diversi stati hanno nel tempo disegnato una rete politico-amministrativa più articolata nel tempo
a causa del crescente numero di stati e di organizzazioni sovranazionali nel mondo. Nell’800 la
Gran Bretagna e la Francia, da soli coprivano metà della superficie del pianeta: gli stati erano
infatti molto pochi all’epoca; oggi sono circa 200. A complicare la gestione politica, vi sono anche le
organizzazioni internazionali, che si sono sommate al potere state dello stato singolo.
Vi è una grande eterogeneità di forme statati dovuta alla varietà di forme istituzionali e
territoriali: gli stati sono molto diversi tra di loro secondo diverse forme istituzionali.
I poteri dello stato si intrecciano o scontrano con quelli di notabili élite, militari, religiosi, del
mondo finanziario ed economico. Così gli stati più o meno democratici si alternano a quelli più o
meno corrotti, teocratici (Repubblica Islamica dell’Iran: il capo religioso, ayatollah, è più
importante del capo dello stato) o totalitari. La distinzione tra politica, finanza ed economia è
pericolosamente diventata sempre più flebile.
La realtà, combinando tutti questi elementi è che esistono più di 200 stati oggi sono tra loro molto
diversi.
Lo Stato e i suoi elementi fondamentali
1. Uno spazio fisico e geometrico (che si misura e si delimita con confini; su cui esercitare
un potere politico, amministrativo, di controllo);
2. Una popolazione (che abita lo spazio che si vuole organizzare dal punto di vista sociale,
culturale, politico, militare ed economico);
3. Un progetto politico di potere, di controllo e organizzazione (su un determinato spazio,
sulle risorse e su una determinata società).
Se manca uno di questi tre elementi non c’è uno stato. Esistono luoghi, pezzi di terreno ma su cui
non esiste una popolazione (isole dimenticate e disabitate ad esempio vicino l’Antartide, che sono
un possesso di un altro stato). Vi possono essere inoltre minoranze che vorrebbero costituirsi in
uno stato, ma non hanno la possibilità di farlo (i Curdi, divisi tra Turchia, Iran e Iraq: nessuno di
questi stati vuole cedere una parte del loro territorio).
Questi tre sono gli unici elementi fondamentali comuni a tutti gli stati. Il confine racchiude questo
spazio e la carta fisico-politica ne è la codificazione. Il planisfero politico è la carta del mondo fatto
di tanti colori, ognuno corrispondente ad uno stato.
La differenziazione tra gli stati dipende da altri aspetti, che rendono gli stati diversi tra di loro:

 Forma istituzionale (monarchia costituzionale o assoluta; repubblica presidenziale come


negli USA, semipresidenziale come in Francia dove Macron ha pochi appena meno poteri
rispetto a Trump, parlamentare come in Italia, dove il Capo dello Stato ha un potere più
rappresentativo e qualche altro piccolo potere ma il vero centro è il Parlamento, diviso in
Camera dei Deputati e Senato della Repubblica…);
 Struttura amministrativa (unitaria, federale come la Svizzera o la Germania, semi-
federale; presenza di un parlamento monocamerale o bicamerale più o meno elettivo o con
le stesse funzioni);
 Una o più capitali, luoghi importanti perché ospitano i re o i dirigenti dello Stato, ha
molti significati politici e sociali (i Paesi Bassi hanno Amsterdam come capitale ufficiale
dove si tengono gli eventi e ci sono le ambasciate, ma L’Aia è la sede del governo e del re; il
Sudafrica ha tre capitali: Pretoria come sede del governo e capitale amministrativa, Città del
Capo come capitale legislativa, Bloemfontein come capitale giudiziaria con la sede della
Corte Suprema del Sudafrica).
La cosa sicuramente più importante da tenere presente sono i confini e la posizione geografica
di uno stato, che possono essere dei condizionamenti o delle opportunità. Possono influenzare
anche pesantemente la struttura di uno stato.
I condizionamenti o le opportunità possono riguardare:
1. Il territorio interno
2. I rapporti con gli altri stati.

1. Per quanto riguarda il territorio interno, si intende la configurazione interna di uno stato.
Essa riguarda:
 Latitudine: gli stati collocati a latitudini estreme (estremo nord o estremo sud) fanno più
fatica a funzionare a causa della geografia fisica (il freddo, clima, difficoltà delle
comunicazioni)
 Forme e dimensioni: possono essere un condizionamento o un’opportunità, può essere
isolato o no: il fatto che la Gran Bretagna sia un’isola l’ha salvata dall’invasione nazista
durante la II guerra mondiale. Se poi lo stato è un arcipelago possono esserci altre difficoltà
(ad esempio l’Indonesia ha molte isole anche lontane tra di loro: è facile che il potere sia
meno sentite nelle aree più lontane dal centro, nelle zone più lontane si possono formare
indipendenze e gruppi di insorti. Altri arcipelaghi come il Giappone riescono a gestire bene
questa caratteristica). Anche lo sviluppo longitudinale o latitudinale è importante. Se lo
stato si sviluppa in latitudine (Cile, Argentina: allontanandosi da Santiago o da Buenos
Aires si hanno diverse difficoltà).
 Posizione rispetto ai mari: la posizione può essere interna o esterna. La posizione
esterna può sfociare su un mare aperto o un mare chiuse: lo sbocco sul mare aperto
consente di cambiare, comunicare e avere in entrata o in uscita merci, collegamenti, che in
un mare chiuso non si avrebbero: il commercio sarebbe facilitato ma soltanto tra pochi
stati.
 Disegno oro-idrografico: lo stato dal punto di vista fisico è necessariamente influente, ad
esempio se ha tante montagne, colline o laghi.
2. Per quanto riguarda il rapporto con gli altri stati:
 Frontiere e confini: frontiere = aree in cui c’è scambio coi paesi vicini (dove si disegnano
forme di bilinguismo); confini = confine chiuso, rigido (tra la Corea del Nord e del Sud).
È importante la lunghezza e il numero dei confini; e i caratteri dei paesi confinanti. l’Africa
e il Medio Oriente hanno confini e rapporti col prossimo molto meno sicuri che quelli
europei.
 Regione in cui lo stato è inserito
 Continente in cui lo stato è inserito
Queste dimensioni, sommate a quelle di prima, rendono chiare le varie variabili che possono poi
andare a determinare uno stato.
L’organizzazione politica tradizionale
Lo stato tradizionale ha:

 Delimitazione e sorveglianza dei confini;


 Ricerca e difesa della sicurezza nazionale;
 Uso dei simboli ufficiali (bandiere, cartelli, sigle);
 Sostegno allo stato nazionale
L’altra dimensione da tenere presente è il rapporto tra stato e nazione. Stato non è sinonimo di
nazione: lo stato è la geografia politica; la nazione è una dimensione culturale, linguistica,
religiosa, identitaria. Questo è importante perché possiamo avere uno stato mono-nazionale, dove
all’interno c’è una nazione; oppure stati multinazionali come la Svizzera che al suo interno ha più
nazionalità.
Il nazionalismo è un aspetto da tenere sotto controllo per lo stato. Alcuni stati, come il Canada,
tiene presente delle varie nazionalità al suo interno (francofone, anglofone, inuit, autoctone…);
mentre in altri casi vi sono politiche di genocidio e negazione (la Turchia che nega l’esistenza di una
nazione Curda).
Gli stati e l’organizzazione politica tradizionale dello spazio
I legami tra stato ed economia: liberismo, politiche dirette o indirette a favore della crescita
economica e dello sviluppo locale; il welfare state (sanità, istruzione, infrastrutture…).
L’articolazione spaziale dell’agire politico e amministrativo: lo stato e le varietà dei poteri e dei
livelli locali; stati nazionali e federali; organizzazione amministrativa interna dello stato (regioni,
Länder, province, contee, dipartimenti, distretti etc.).
L’Italia ha una propria regione: provincie (alcune autonome), comuni, contee in Gran Bretagna,
Länder in Germania.
Gli stati e le nuove competenze nello spazio, nell’ambiente e sul territorio
Oltre alle tradizionali mansioni degli stati, ossia il potere, il controllo dei confini e della superficie
(e a volte su altri spazi, come nel caso del colonialismo); hanno nel tempo acquisito anche altre
competenze. Si sono impossessati (o la popolazione ha chiesto che si impossessassero) anche di
altre dimensioni:

 La cura e la salvaguardia ambientale: molti stati (a partire dagli USA, i primi nel 1872
con la creazione del parco di Yellowstone) hanno iniziato a occuparsi della salvaguardia del
patrimonio ambientale;
 La conservazione, la pianificazione e la valorizzazione del territorio (aree protette,
monumenti, centri storici);
 La programmazione degli interventi nello spazio: la gestione delle infrastrutture e
l’immaginazione del territorio per il futuro.
I cinesi hanno un ufficio nazionale dedicato al turismo, i canadesi hanno un ufficio dedicato agli
spazi turistici e alla loro valorizzazione. In Italia il dipartimento della protezione civile è sottoposto
dalla presidenza del Consiglio dei Ministri. Anche in Francia c’è l’Office de Tourisme de France.
Lo stato, nato nel medioevo con un’idea mononazionale, cercava con una monarchia assoluta di
controllare lo spazio dal punto di vista linguistico e religioso; piano piano è diventato molto di più:
multinazionale, riconoscente delle minoranze, laico, attento al territorio, al turismo, all’ambiente.
Le nuove forme di organizzazione politica del territorio
Gli stati hanno anche nuove forme di organizzazione politica del territorio, che si manifesta
tramite:

 Segni e simboli dell’agire politico sul territorio e la loro percezione/narrazione (si fa


sentire la presenza nelle città, reti tecnologiche e industrie culturali governano il territorio);
 Le politiche urbane, la realizzazione delle infrastrutture e i grandi eventi (Expo,
Olimpiadi, Mondiali di Calcio, Fiere internazionali…): per la candidatura di Milano all’Expo
nel 2015, anche lo stato ha partecipato per promuovere la città;
 Politiche dell’identità e verso i movimenti sociali (minoranze linguistiche, culturali,
sociali, sessuali; sindacati, opposizioni no-global, nuovi cittadini…).
Stiamo vivendo in un’epoca di grandi trasformazioni sociali e territoriali. Vi sono molti migranti
che vanno e vengono dagli stati. Vedere i flussi di persone, i finanziamenti e molti altri ambiti non è
cosa facile. Sempre più quindi, oltre alle forme tradizionali con cui si misura la potenza dello stato,
dobbiamo aggiungere anche altre dimensioni.
Continua comunque a essere importante la base tradizionale della potenza degli stati (lo spazio, la
popolazione e il potere). La collocazione, la dimensione hanno il loro peso. I primi 10 stati più
grandi del pianeta:
1. Russia – 17.125.300 kmq 1. Cina – 1.367.820.000 ab.
2. Canada – 9.897.190 kmq 2. India – 1.295.291.543 ab.
3. Cina – 9.572.900 kmq 3. USA – 321.418.820 ab.
4. USA – 9.371.219 kmq 4. Indonesia – 255.461.700 ab
5. Brasile – 8.515.767 kmq 5. Brasile – 204.450.649 ab.
6. Australia – 7.692.024 kmq 6. Pakistan – 185.044.386 ab.
7. India – 3.287.469 kmq 7. Nigeria – 17.474.986 ab.
8. Argentina – 2.780.400 kmq 8. Bangladesh – 159.077.513 ab.
9. Kazakistan – 2.724.900 kmq 9. Russia – 146. 267. 300 ab.
10. Algeria – 2.381.741 kmq 10. Giappone – 127.110.047 ab.
Il Canada è grande quanto l’intera Europa, più o meno come la Cina: nei due paesi però vi è un
numero profondamente differente di popolazione. Questa è una base della potenza di uno stato:
avere grandi superfici implica avere più risorse economiche, spazi dove poter dislocare attività
militari o strategiche. La Russia ha un territorio estremamente ampio, disposto su quasi 10 fusi
orari: non è facile gestire le comunicazioni e l’economia quando una parte del paese si sveglia e
l’altra va a dormire.
L’Asia raccoglie più popolazione di tutti gli altri continenti messi insieme. Attraverso il lavoro e la
produzione di reddito rende uno stato più ricco dal punto di vista economico.
Queste basi tradizionali, quindi, continuano a essere importanti.
Vi possono essere diverse scale di grandezza e importanza geopolitica. Al mondo esistono circa 200
stati, ma combinando la posizione, la popolazione, le ricchezze e vari elementi si può avere un
quadro più dettagliato su ognuno. Esistono diverse scale di grandezza e importanza geopolitica:
1. 6 stati giganti per dimensioni territoriali e demografiche: Cina, India, USA, Brasile,
Indonesia, Russia. Questi stati hanno una sfera d’influenza che può essere regionale (India,
Brasile, Indonesia) o globale (come Cina, Russia, USA): ciò che succede negli USA influenza
tutto il mondo, noi lo sappiamo perché i telegiornali ne parlano. Si ha quindi un effetto di
polarizzazione per ampie aree circostanti. Questi stati sono dei colossi militari.
Inoltre, si ha una centralizzazione del potere nella capitale ma anche un decentramento
locale: gli Stati Uniti, il Brasile e la Russia hanno una struttura federale.
2. 2 stati giganti territorialmente ma piccoli demograficamente: Canada e Australia,
che non sono invece paragonabili ad altri per popolazione. Questi stati sono inseriti in un
contesto più globale. Sono dei grandi produttori di materie prime perché hanno una
popolazione molto basse e si possono permettere eccedenze in termini di risorse. Sono paesi
che forniscono materie prime agli altri paesi.
3. Stati di media grandezza territoriale e demografica: la maggior parte dei 200 stati, Italia
compresa. Si tratta di stati con superfici medie. Questi stati hanno una più forte identità
nazionale proprio perché lo spazio è più piccolo. Hanno una cultura e una lingua condivisa;
ma hanno forti relazioni anche con l’esterno: dipendono da altre regioni per le risorse
naturali (l’Europa deve prendere il petrolio da paesi dell’Africa o dell’Asia). Ricorrono a
collaborazioni finanziarie, tecnologiche e infrastrutturali tra di loro (l’Unione Europea
nasce proprio perché questi stati di media grandezza hanno bisogno degli altri stati).
4. Piccoli stati, comprimari nel contesto globale: Svizzera, Austria, piccoli Stati del Centro
America o Africa (Ruanda, Burundi…). Questi stati hanno una capacità di reazione
geopolitica più ridotta perché sono piccoli e spesso vicini a stati più forti e potenti.
5. Gli stati piccolissimi/microstati e gli stati francobollo: Principato di Monaco, San Marino,
piccole isole dei caraibi. Questi stati dipendono moltissimo dall’esterno per gli
approvvigionamenti. Hanno un’ottima organizzazione politico-amministrativa (anche
dovuta al fatto che siano molto piccoli). Questi stati spesso gravitano attorno ad una città, e
spesso sono città-stato (Singapore, Monaco, Montecarlo). Queste aree possono approfittare
di questa situazione per diventare zone franche, dove la dimensione finanziaria è molto
importante e i controlli poco significativi. Possono anche ospitare banche o capitali
provenienti dall’estero.
Le nuove basi della potenza degli stati nel III millennio
Sono legate a nuove tecnologie e nuove conoscenze in nuovi territori. Queste basi sono:

 Il potere militare, chimico, batteriologico, tecnologico, informatico e atomico.


Ci sono delle élites di stati molti ristrette, dove è difficile entrare: coloro che detengono
questo potere non lo voglio vedere condiviso ad altri stati. Gli USA fanno pressing alla
Corea del Nord, che vuole dotarsi di armi atomiche; e all’Iran, con tutta una serie di
sanzioni internazionali e condanne sovrannazionali per impedire questa cosa.
 Il controllo degli spazi oceanici e marini. Al giorno d’oggi, possedere un controllo su
parti degli oceani e dei mari, con tutti i pro dal punto di vista della pesca, del patrimonio
ittiologico (degli animali marini), dei giacimenti di petrolio, di gas e di altri materiali; è un
fattore avvantaggiante. Gli stati che non hanno uno sbocco sul mare sono da questo punto
di vista penalizzati.
 Il controllo dell’atmosfera. È nota la corsa allo spazio tra cinesi, russi, statunitensi
mandano sempre più satelliti nello spazio.
 Il controllo dello spazio esterno alla Terra.
 Il controllo delle risorse naturali (minerali, metalli e acqua) e dei collegamenti alle
diverse scale geografiche, sulla mobilità.
Gli stati sono i leader della prima grande industria del mondo. 15 paesi, da soli, hanno l’80% delle
spese. La Cina e gli USA hanno particolare importanza in ciò.
Gli esseri umani parlano tanto di pace ma quello che sanno fare meglio è la guerra. Viene speso
molti di più per le armi e per le guerre che per la salute. Con solo il 10% della spesa militare, i
principali obbiettivi ONU di sviluppo sostenibile potrebbero essere facilmente raggiunti. Questi 17
obbiettivi dell’ONU sono parità di genere, no alla povertà, acqua potabile, protezione degli oceani…
Russia e USA hanno una serie enorme di testate nucleare distruttive.
15.10.2020
La metà del XX secolo e l’inizio del XXI hanno cominciato a portare alla nostra attenzione non solo
la dimensione dei confini terrestri e dei rapporti degli stati sulla terraferma, ma anche un
ampliamento del controllo politico degli spazi marini. Oceani e mari sono diventati una
sorta di sfera di un nuovo Ecumene, che si sposta sempre più sugli spazi che l’umanità ancora non
padroneggia a pieno, ossia quelli marini.
Il controllo sui mari è regolato in maniera non chiara e non evidente come quello sulla terraferma.
Le acque interne appartengono alla giurisdizione dello stato.
Fino a 12 miglia territoriali si esercita la potestà dello stato. Uno
stato che si affaccia sul mare è infatti costituito anche da una parte
liquida.
La consuetudine più importante che si è creata nel tempo è quella di
creare delle zone economiche esclusive alle 200 miglia
nautiche dalla costa. È transitabile da parte di altri navi e altri
convogli, ma dal punto di vista dello sfruttamento economico delle
risorse ittiche o marine (petrolio, possibilità di osservare il fondo...)
è riservato allo stato.
Oltre le 200 miglia marine si entra in acque internazionali, dove non
appartengono sostanzialmente a nessuno.

Il controllo politico degli spazi marini ha scatenato gli appetiti degli stati. Una delle aree più
contese tra il pianeta è quella del Mar Cinese Meridionale, dove sono stati trovati ricchi giacimenti
di gas e di petrolio. La loro presenza ha scatenato gli appetiti di tutti gli stati (Cina, Vietnam,
Filippini, Malesia, Taiwan).
Molte potenze si interessano con occhi nuovi a spazi inediti: una nave russa lavora nel mar Artico,
compreso tra la Russia e l’Europa da una parte e quelle del Nord America dall’altra. Applicando il
concetto delle 200 miglia nautiche come zona economica, quello che rimarrebbe libero sarebbe
solo una piccola zona attorno al polo nord; mentre le altre zone cadrebbero in mano della Russia,
Norvegia, Danimarca, Canada, USA…
La Russia sostiene inoltre che anche le catene marittime sotto il livello del mare possono essere
considerate come continuative del territorio di uno stato. Se fosse così, la zona economica esclusiva
della Russia potrebbe aumentare ulteriormente a discapito degli altri paesi.
La Francia ha molti spazi marini non in Europa ma in America, a causa delle colonie (Polinesia
francese…). È quindi il secondo paese al mondo (dopo gli USA) per zone economiche esclusive. La
Francia è soprattutto fuori dalla Francia, le sue acque corrispondono a metà dell’Europa: ha 9
milioni di km² di acque.
Una nuova sfida dell’Ecumene è quello dello spazio. Vengono creati una serie di missili europei,
russi, statunitensi per la corsa allo spazio, iniziata già negli anni ’50. Nel 1957 i russi furono i primi
ad andare nello spazio con lo Sputnik, seguito dallo Sputnik 2.
Lo spazio si è caricato anche di una dimensione militare, in quanti vi sono finiti anche i missili
balistici. C’è una competizione molto forte tra Russia, Cina e USA. Questi missili possono essere
lanciati nello spazio.
La Cina parla anche di una probabile guerra fredda spaziale.

La guerra e le tensioni tra stati


Oggi la situazione è molto complessa dal punto di vista della geografia politica. La coesistenza
politica non sempre è pacifica. Ci possono essere:

 Guerre offensive: stati che attaccano altri stati per motivi veri o pseudo veri
 Guerre difensive: uno stato si difende da un altro
 Guerre di posizione: non si avanza, si mantengono le posizioni reciproche
 Guerre di movimento: ci sono molti spostamenti
 Guerre rivoluzionarie: per dei cambiamenti all’interno dello stato
 Guerre tecnologiche: attraverso reti tecnologiche
Ci possono essere diversi fattori destabilizzanti:

 Tensioni etnico-linguistiche: uno stato che cerca magari di aiutare una minoranza che
vive un uno stato vicino
 Scontri e integralismi religiosi: ci può essere una religione perseguitata e uno stato
vicino cerca di aiutarla
 Concorrenze economiche e politiche: la guerra dà un grande potere alle industrie della
guerra, alle élites sociali che vedono nella guerra motivi di arricchimento personale.
Dopo la II Guerra Mondiale non è più scoppiata una guerra di tali dimensioni, ma le guerre locali
sparse per il mondo si sono moltiplicate. I confini di alcune aree del mondo non sono ben
delineati proprio perché sono in corso questi conflitti. Uno dei più importanti è quello nel Medio
Oriente.
Le eredità della storia: confini condivisi, imposti o contestati
Un fattore di grande tensione è quello ereditato dalla storia e dei rapporti pessimi tra USA e Cuba,
dopo il colpo di stato degli anni ’60 con cui Fidel Castro ha deposto un grande dittatore
filostatunitense. Oggi i rapporti tra questi due paesi sono molto tesi, a causa di questa eredità della
storia. Nel sud dell’Isola c’è la Baia di Guantanamo: è cubana, ma prima della caduta del dittatore
cubano gli USA la avevano acquisita tramite un accordo di concessione. È stato quindi tracciato un
confine artificiale molto difeso dagli USA e dai cubani. Guantanamo oggi ha la funzione di essere
una grande prigione dove vengono posti gli integralisti islamici. Si tratta quindi di uno stato molto
particolare.
Un altro caso di eredità della storia riguarda la Russia, che dopo l’indipendenza delle Repubbliche
baltiche (Bielorussia, Ucraina…) si è trovata con un piccolo territorio separato, la regione di
Kaliningrad, una volta chiamata Köninsberg, luogo natale di Kant (ai suoi tempi era Prussia).
Una grossa questione è quella dei confini politici amministrativi fatti all’epoca dell’Unione
Sovietica. L’Ucraina è un paese cerniera, in cui la parte occidentale è molto vicina all’Europa
mentre quella orientale alla Russia. I confini in questa parte di mondo sono quindi molto
contestati.
Il Kashmir è una zona dell’Asia in cui ci sono molte montagne molto alte. Con la nascita dell’India
dopo il 1947 e il ritiro dei britannici che non hanno lasciato delle indicazioni precise sui confini, si è
aperta una partita tra il Pakistan, l’India e la Cina per questo territorio. Tutti e tre hanno una parte
ma aspirano ad avere il territorio completo.
A Cipro la questione linguistica del turco e del greco si è mescolata a quella della religione, in
quanto si è divisi tra ortodossia e mussulmana. La minoranza turca ha chiamato in aiuto la Turchia
che ha invaso l’isola, occupando il nord dell’isola costringendo la popolazione greco-ortodossa a
fuggire al sud. Ci sono ancora basi britanniche perché il piccolo stato di Cipro ha chiesto alla GB di
rimanere con una presenza militare per tutelarli contro la Turchia.

Muri
Stanno sorgendo diversi muri, anche se si pensava che sarebbero crollati, come quello tra il
Messico e gli Stati Uniti a causa del quale molti messicani sono morti.
Il tipo più “strano” di muro che abbiamo oggi è quello per separare Israele da Gaza e dalla
Cisgiordania. Ha delle forme molto strane, a serpente.
Il Marocco ha annesso nel 1976 una parte del Sahara occidentale lasciata libera dalla
decolonizzazione spagnola. Il Marocco, dopo una guerra contro le popolazioni che abitano il Sahara
occidentale, chiamati Saharawi, che vogliono l’autodeterminazione e l’indipendenza, ha costruito
un muro. I rapporti tra Marocco e Algeria sono pessimi perché il valico di frontiera tra questi due
paesi è chiuso. La situazione è tesa anche perché l’Algeria aiuta i Saharawi.
I Caschi Blu devono controllare queste zone e i muri.
Tensioni per l’acqua nel XXI secolo
Le prossime guerre saranno quasi sicuramente per l’approvvigionamento idrico: il cambiamento
climatico infierisce sulla penuria di acqua in certe parti del mondo. Ci saranno guerre dove i
piccoli saranno spinti contro i grandi (contadini contro multinazionali).
L’acqua ha una doppia natura: da un lato è un bene comune e dall’altro è una merce con un
valore di mercato.
Il dilemma degli stati – lo Stato è chiamato in causa perché deve distribuire gratuitamente le
risorse idriche necessarie alle fasce di popolazione che non possono partecipare al mercato; ma
anche dare il suo appoggio a coloro che la vedono come una merce e un guadagno, e riservarne una
parte all’agricoltura e all’ambiente fisico perché l’ecosistema non ha denaro per proteggersi.
Trovare un compromesso alle due necessità è una missione molto difficile.
Ci sono paesi dove l’acqua è molto o moderatamente abbondante (Russia, continente americano),
altre in cui potrebbe spesso scarseggiare (Africa).
L’ONU e lo sviluppo umano
Il programma dell’ONU del 2006 per lo sviluppo è dedicato ai rapporti tra acqua, potere e povertà:
- “i Paesi possono anche emanare leggi relative all’acqua considerandola un bene nazionale
ma rimane il fatto che la risorsa in sé travalica i confini politici senza alcun passaporto,
passando sottoforma di fiumi o laghi”.
- Le acque transfrontaliere mettono “in relazione all’interno di un sistema condiviso utenti
dislocati in diversi paesi. La gestione di questa interdipendenza rappresenta una delle
grandi sfide dello sviluppo umano che la comunità internazionale si trova a fronteggiare”.
L’ONU cerca per il futuro di garantire una protezione per le risorse idriche e di evitare che la nuova
geografia delle acque possa mettere in pericolo il sistema di equilibrio fra gli stati.
Le risorse, distribuite in maniera ineguale nel mondo, navigano tramite rotti e circuiti energetici
esposti anche alle tensioni della geopolitica.
L’esempio tipico della fase di forte instabilità politica in cui ci troviamo è il fatto che i rifugiati sono
in aumento: 33 milioni nel 2013, 65 milioni nel 2016. Si tratta di persone che lasciano una regione
politica instabile per andare in un altro stato. Le crisi in Afghanistan, in Siria, nello Yemen etc.
fanno aumentare queste cifre.

Guerre tecnologiche e della rete


Il concetto di guerra sta cambiando: si passerà dalla guerra tradizionale combattuta sullo spazio
alle guerre tecnologiche, tramite hacker e la cyberguerra. Le armi saranno soprattutto quelle della
telematica. Se oggi uno stato riesce ad entrare nel sistema difensivo o di approvvigionamento di un
altro stato, riesce a indebolirlo in maniera forse più marcata rispetto un attacco con un esercito.
La geografia politica oltre gli stati: le scale sovrannazionali e globali
Oggi ci troviamo in un’epoca storica in cui gli stati sono la principale entità nell’organizzazione del
territorio, sia all’interno che al loro esterno tramite concorrenze contro altri stati.
Hanno gestito in prima persona la geografia politica: gli stati sono di fatto la geografia politica.
Sono sempre più spinti ad avviare forme di cooperazione con stati attorno a loro, ciò dà vita alla
globalizzazione.
C’è quindi la doppia dimensione della globalizzazione e del localismo, un complesso
meccanismo dove lo stato deve dividersi tra territorio interno (tenere sotto controllo la popolazione
e il commercio interno, con i loro cambiamenti) ed esterno (mercati finanziari, grandi start-up,
ridisegno continuo di campi economici…).
Gli stati sono affiancati da altri attori, che lavorano in spazi che prima erano riservati soprattutto
agli stati: le imprese transnazionali (multinazionali). Non amano i confini e gli ostacoli rigidi,
amano le aree di cooperazione. Esse sono importanti agenti per ristrutturare lo spazio, compreso
quello politico. Sono molto attive e quasi determinano la globalizzazione, cercano di far muovere il
mercato e sono continuamente in concorrenza con altre aziende. Gli stati oggi cercano in molti casi
di cavalcare un’onda populista, sovranista e nazionalista ridando allo stato competenze che col
tempo il potere economico hanno acquisito.
Gli stati che tradizionalmente hanno organizzato il territorio e dettato legge nello spazio, oggi sono
fortemente indeboliti dalle azioni delle multinazionali. Ad esempio, stati in via di sviluppo sono
soggetti a ricatti di queste aziende.
La maggior parte degli stati hanno dimensioni medie, quindi sono costretti a cooperare con altri
stati, e ad immaginare creature sovrannazionali: nascono così organizzazioni sovrannazionali.
L’ONU è un’organizzazione internazionale che deve lavorare a livello planetario; altre lavorano su
un campo più ristretto (UE, anche se non tutti i territori si trovano i Europa: la Francia ha
possedimenti anche nell’oltremare; è quindi una dimensione quasi globale).
L’organizzazione più importante è l’ONU. Si tratta dell’unica organizzazione politica a scala
mondiale che dal 1945 tenta di mediare tra tensioni e squilibri di diversa natura tra gli stati. Ha
sede a New York e ha due organi principali:
 L’Assemblea Generale, che riconosce l’uguaglianza tra gli Stati. Ogni stato membro ha 1
voto, non importa quale sia la superficie, la popolazione o l’importanza che ha nello
scenario internazionale.
 Il Consiglio di Sicurezza, che evidenzia la gerarchia politico-militare esistente tra gli
stati. 5 stati sono membri permanenti e hanno diritto di veto; 10 sono eletti a rotazione
dall’Assemblea Generale per 2 anni. Tra i paesi africani, asiatici e latino-americani ci sono
accordi perché almeno uno di tra di loro sia eletto.
Quest’organo introduce una forte differenza tra chi è più forte e ha più forte influenza verso
il mondo esterno. È esattamente il contrario dell’AG, dove gli stati sono tutti uguali. Gli
USA, la Russia e la Cina sono le tre superpotenze del terzo millennio.

Agenzie specializzate dell’ONU:

 Corte Penale Internazionale, sede ad Aja


 World Bank e International Monetary Fund (IMF) a Washington
 Food & Agriculture Organisation (FAO) a Roma
 World Trade Organisation a Ginevra
 World Health Organisation (WHO) a Ginevra
 Organizzazione Internazionale del Lavoto (ILO) a Ginevra
 Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) a
Parigi.
Il ruolo egemone degli USA nell’ONU
Dal punto di vista politico-istituzionale, l’elemento più significativo durante la guerra fredda e il
bipolarismo Est-Ovest (1945-1990) fu la nascita di tre organismi sovranazionali:
1. Fondo monetario internazionale (FMI)
2. Organizzazione internazionale per il commercio (WTO)
3. Banca Mondiale
La creazione dei tre organismi sovranazionali fu promossa soprattutto dagli USA, i quali
accettarono l’avvio del processo di integrazione europea, considerato come un’ulteriore barriera
contro l’URSS e i suoi alleati.
L’ONU è l’unica organizzazione sovranazionale su scala mondiale. Ci sono moltissime
organizzazioni internazionali nel mondo, che si dispiegano su tutto il mondo.
Alcune organizzazioni politico-economiche di importanza regionale:
 In Europa: UE (nonostante abbia proiezioni anche lontane dall’Europa) e EFTA
 Nelle Americhe: NAFTA (North America Free Trade Agreement), Mercosur/Mercosul
 In Africa: Unione Africana (UA) e una miriade di altre deboli organizzazioni sovranazionali
 In Asia: l’ASEAN
Organizzazioni presenti su più continenti (non mondiali):

 L’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation), l’organizzazione internazionale su scala


regionale più grande.
 Comunità di stati indipendenti (CSI) in molte parti di quella che una volta era l’Unione
Sovietica
 Lega Araba
 OPEC, che si occupa del petrolio
19.10.2020

Le scale sovrannazionali e globali


[cap. 15, 16, 17 Frémont]
I risultati della mediazione politica in Europa: dalla CECA all’ UE
Dopo il 1945 ci fu un ridisegno delle regioni politico-amministrative. In pochi decenni, Europa
aveva conosciuto due guerre mondiali. Per evitare nuovi problemi, nel 1951 nasceva la Comunità
europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e l’EURATOM (Energia pacifica Europea) tra Francia,
BRD, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo (BENELUX), i 6 paesi fondatori. Essi decidono di
favorire uno scambio di carbone, acciaio ed energia atomica per scopi pacifici. Il Piano Marshall
sarà di molto aiuto per l’Europa nei primi anni del secondo dopoguerra.
Visto che gli accordi sul carbone, l’acciaio e l’energia atomica stavano funzionando bene, nel 1957 si
avviavano ulteriori forme di integrazione economica tra gli stati con il Mercato comune Europeo
(MEC) e la Comunità Economica Europea (CEE). Vennero abolite barriere e controlli doganali
affinché ci potesse essere un libero scambio di merci all’interno dell’Europa.
L’idea della comunità e del mercato comune europeo di è rivelata vincente. Nel 1973 vi fu il primo
allargamento della CEE e del MEC con l’entrata di Regno Unito, Irlanda e Danimarca.
Nel 1979 i cittadini europei eleggevano il primo Parlamento Europeo di Strasburgo.
Nel 1993 nasce ufficialmente l’Unione Europea (UE) con il Trattato di Maastricht (diventato
operativo nel 1995) con lo scopo di:

 Favorire la collaborazione tra i membri nel campo della politica estera, della sicurezza, della
giustizia;
 Realizzare l’unione monetaria e utilizzare l’ Euro;
 Istituire una cittadinanza europea;
 Favorire la libertà di circolazione delle persone (Accordo di Schengen) e delle merci
 L’UE deve essere vista anche come una sperimentazione regionale che in altri continenti
non si sta facendo, cioè di andare oltre la sola unione doganale ed economica. Si tratta di
uniformare la politica estera, la sicurezza dei paesi, il rapporto con la giustizia;
 Stabilire relazioni privilegiate con i Paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico), i Paesi del
Mediterraneo e le organizzazioni regionali degli altri continenti. Si tratta di una regione
politica sovrannazionale, che però ha dei vicini più o mento complementari coi quali si
possono scambiare esperienze, denari, commerci.
L’UE, come abbiamo detto, è anche lontano dal nucleo centrale dell’Europa come
continente.
Oltre 50 anni di allargamenti territoriali progressivi (1957-2013)
 1973 Danimarca, Irlanda, Regno Unito
 1981 Grecia
 1986 Portogallo, Spagna (che uscivano da un lungo periodo dittatoriale di destra)
 1995 Austria, Finlandia, Svezia (Austria e Finlandia avevano un accordo fatto dopo la II
GM, secondo il quale non potevano aderire a nessuna organizzazione internazionale se le 4
potenze vincitrici [Gran Bretagna, Francia, USA, URSS] non accordavano il permesso.
 2004 Rep. Ceca, Cipro, Rep. Baltiche (Estonia, Lituania, Lettonia), Malta, Polonia,
Slovacchia, Ungheria, Slovenia
 2007 Bulgaria, Romania
 2013 Croazia
L’UE è un’organizzazione complessa, a più livelli. Vi sono paesi dell’area Schengen che non fanno
parte dell’UE (Svizzera, Norvegia, Islanda), paesi dentro l’UE che non hanno aderito a Schengen
(Irlanda, Regno Unito, Croazia, Bulgaria, Romania). Vi sono accordi di scambio culturale, come
l’Erasmus, che coinvolgono molti paesi ma non tutti.
Un elemento di difficoltà è la grande diversità dei paesi all’interno dell’UE, che rende complicata la
collaborazione.
Al momento, i paesi membri sono 28, 19 dei quali hanno adottato l’€. I paesi aderenti al progetto
Erasmus sono 33.
Il PIL è elevato, con una media di 25.600€ annuali.

Maggiore lentezza istituzionale e impegno nella mediazione politica

 La CEE si occupava solo di agricoltura (PAC), favoriva la libera circolazione di merci,


lavorava ad un Mercato Comune Europeo (MEC).
 L’UE si occupava invece di molte altre cose: politica estera comune e di difesa, moneta (€),
cooperazione internazionale, ambiente, paesaggio (in Europa esiste la Convenzione
Europea sul Paesaggio, inesistente in altri continenti), migrazioni, ricerca scientifica,
progetti di scambio tra studenti e docenti, etc.
 L’Euroscetticismo, Brexit e Sovranismo
La strada fatta è tanta, ma ce n’è molta ancora da fare. L’UE può essere vista sia come
un’organizzazione internazionale che favorisce gli scambi, i commerci la cultura etc.; ma anche
come un ente che volte fatica ad andare avanti, considerate le molte cose da fare. Come tutte le
cose, ha degli aspetti positivi e altri negativi.
La crisi degli ultimi decenni ha rallentato la crescita economica anche in Europa.
A parte piccole eccezioni come Portogallo, Islanda (perché è un’isola), o Liechtenstein; tutti i paesi
europei hanno confini ma dentro vi sono minoranze etniche linguistiche che possono provenire dai
paesi vicini. Vi sono ad esempio minoranze svedesi in Finlandia. Vi sono anche minoranze danesi e
tedesche. Il Sud Tirolo è culturalmente germanico ma politicamente italiano.
L’EFTA / AELS (Associazione Europea di Libero Scambio) è una piccola collaborazione residuale
europea composta da quattro stati che non hanno ancora aderito all’Unione Europea. Fino agli
anni 70 / 80 si componeva da stati medio-piccoli (che devono necessariamente interagire con gli
altri). Nel tempo, hanno deciso di unirsi all’Unione.
L’UE è un gigante dal punto di vista economico, per questo tutto il mondo ha importanti relazioni
con essa. La maggior parte degli accordi interstatali sono di natura economica.
Accordi interstatali in nord America
NAFTA (North American Free Trade Agreement); TLCAN (Tratado de Libre Comercio de
América del Norfe); ALENA (Accord de libre-échange nod-américain). Di questo accordo fanno
parte USA, Messico e Canada.
È operativo dal 1994. Punta ad abolire le barriere doganali tra USA, Canada e Messico. È un
accordo molto contestato da molti in Messico e, in tono minore, in Canada (First Nations) perché
ha portato vantaggi soprattutto in USA. Le First Nations pagano in maniera maggiore lo
sfruttamento intensivo di materie prime come il legname delle foreste canadesi.
I lavoratori messicani lavorano a ritmi incredibili, sono sottopagati e non hanno tutela sociale. C’è
un grande sfruttamento della manodopera.
Cooperazione tra stati in America Latina
ALADI – Asociaciòn Latinoamericana de Integraciòn (dal 1980, 13 stati). Si tratta di
un’associazione soprattutto a livello culturale. Si tratta di paesi più o meno omogenei dal punto di
vista economico. È quindi difficile far circolare le merci, a differenze dell’Europa dove c’è più
complementarietà.
MERCOSUR in spagnolo / MERCOSUL in portoghese – dal 1991 mercato comune del
Sudamerica. Nato negli stessi anni, aveva lo stesso intento della CEE. Dopo la II GM questi paesi
hanno conosciuto un aumento del PIL e del benessere.

Accordi e organizzazione economiche in Africa


Non sono mai cambiate negli ultimi 12/13 anni. Si tratta di organizzazioni a vocazione economica
implicate nella gestione dei conflitti.
C’è la CESAO, Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest, che raccoglie gran parte delle
ex colonie inglesi, francesi e portoghesi.
Ci sono inoltre organizzazioni degli stati dell’Africa centrale e meridionale.
Queste organizzazioni hanno margini di manovra limitati: gli interessi provenienti dall’esterno
sono molto importanti. L’Africa è spesso utilizzata come terreno di sconto da altri paesi.
L’Europa, da qui vicino, guarda l’Africa per più motivi. La situazione economica influisce molto su
quella sociale. Il discorso della combinazione geografica tra dimensione economica, sociale e
umana è molto stretto.
L’Unione Africana raccoglie quasi tutti i paesi africani; il Marocco fu per un periodo di tempo
sospeso perché si è annesso gran parte del Sahara Occidentale, questione molto critica: la comunità
internazionale non riconosce questa occupazione.
Alcuni settori fanno fatica a fiorire perché vi sono molti problemi a livello di comunicazione tra gli
stati, di infrastrutture. I confini coloniali hanno per molti secoli separato i vari territori, mancano
quindi molti collegamenti che oggi si dovrebbero costruire per cercare un contatto.
Accordi e organizzazioni in Asia
L’ASEAN (Association of Southeast Asian Nations) è un’organizzazione molto collaborativa.
Racchiude al suo interno paesi molto diversi tra di loro: paesi molti ricchi come Singapore, paesi
con grande sviluppo industriale come Malesia o Thailandia, paesi produttori di materie prime
come la Cambogia.
Si tratta di paesi molto diversi e quindi caratterizzati da una grande complementarietà. I motivi per
eliminare i dazi sono molto importanti. Questa parte del mondo si è sviluppata molto tra gli anni
80, 90 e 2000.
Anche l’India, l’Australia e la Nuova Zelanda ne fanno parte. Vi sono paesi molto abitati come la
Thailandia, la Cina; e molto poco abitati come il Laos.
L’ASEAN ha un grande potenziale digitale. Si inserisce nella concorrenza contro l’America.
Tutti gli anni ci sono dei summit, e si cerca di sviluppare la macro-regione in maniera uniforme.
L’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) è nata nel 1989 per favorire la collaborazione
economica e gli scambi commerciali di 21 stati nella regione economica più importante del pianeta.
Ha sede a Singapore.
Si tratta di una cooperazione che si affaccia su tutti i lati dell’Oceano Pacifico, mettendo insieme
America, Canada, Messico, Cina, Russia, Australia, Nuova Zelanda, Cile, Perù, etc.
Le cose hanno funzionato molto bene, quindi in pochi anni i paesi membri di questa associazione
sono aumentati. Inizia a funzionare di meno ora a livello di tecnologie, perché c’è molta
competizione. La Cina ha un’economia che cresce moltissimo, mentre le altre rallentano
moltissimo.
Le grandi produzioni di energia grazie all’energia idrica dei fiumi e ai legnami rende la Russia una
fonte di energia molto ambita da chi non ha le stesse risorse, come la Cina. Gli USA sono spaventati
da questi accordi, in quanto un’alleanza economica implica anche un’alleanza politica.
Quando si tratta di guadagnare, la Cina di Taiwan e la Cina nazionale comunista vanno d’accordo.
In politica internazionale invece sono acerrime nemiche.
La CSI (Comunità degli Stati Indipendenti) raggruppa 9 delle 11 ex repubbliche sovietiche di un
tempo, più il Turkmenistan. L’idea iniziale era quella di riportare il mercato economico al livello
che aveva durante i tempi dell’URSS. Ad oggi si tratta di un’area di libero scambio. Questa
comunità ha una grande potenzialità ma non funziona più di tanto: la Russia è da solo grande
quanto un continente (più di 17 milioni di km²).
La Lega Araba
Si tratta di un’alleanza economica, politica e militare di 22 stati, dal 1945. Ha sede al Cairo.
All’interno della Lega Araba esistono anche cooperazioni più ristrette, come i paesi del Magreb,
Accordo di Agadir, Consiglio di Cooperazione del Golfo (che raccoglie i paesi produttori di petrolio
come Kuwait, Arabia Saudita etc., il Qatar è stato sospeso perché considerato troppo amico
dell’Iran).
La Siria, da quando è in atto la guerra civile dal 2011 è stata sospesa in attesa di vedere come si
sviluppano gli eventi.
L’OPEC (Organisation of the Petroleum Exporting Countries)
Si tratta di un’organizzazione internazionale avente un compito preciso, ossia quello di occuparsi
del petrolio. Punta a coordinare, dal 1960, una politica comune nella produzione e nel commercio
del petrolio. I 12 stati coinvolti, con l’80% delle riserve mondiali di greggio, sono:
- In Africa: Algeria, Angola, Libia, Nigeria;
- In Medio Oriente: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (EAU), Iran, Iraq, Kuwait, Qatar.
A causa della presenza dell’Israele e delle varie guerre, quest’area è estremamente
complicata da gestire.
- In America Meridionale: Ecuador, Venezuela
Tentativi per una nuova governance mondiale: il G8 tra economia e politica
Riunisce i capi di stato e di governo dei 7 maggiori paesi industrializzati hanno fondato il G7 (USA,
Giappone, Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Canada). Si svolgono regolarmente riunioni tra
i ministri economici e finanziari, con i Governatori delle banche centrali per dare stabilità ad un
pianeta sempre irrequieto da punto di vista finanziario.
Dopo la caduta dell’URSS, da G7 si è passati al G8 includendo anche la Russia. Nei paesi del G8
vive all’incirca il 13% della popolazione mondiale, ma si concentra quasi il 60% del PIL planetario.
Il G8, allargato alla Russia, cerca di migliorare quello che fa la Russia. Questo ha portato a risultati
non sempre perfetti.
7 degli 8 Paesi membri sono ai primi dieci posti per PIL nominale (Russia attualmente all’11esimo
posto).
Dal G8 al G20
Le frequenti crisi (politiche, economiche, sociali, migratorie etc.) spingono ad allargare la “regia
degli stati” e la mediazione interstatale.
Così il G8 è affiancato dal G20 nel quale si trovano anche i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina,
Sudafrica), i Paesi “emergenti” e le “potenze regionali”, ossia paesi più significativi a livello globale,
quali Messico, Argentina per l’America Latina, Egitto, Arabia Saudita (uno dei paesi più ricchi del
mondo arabo), Corea del Sud, Indonesia (altissimo livello demografico), Turchia, Australia.
Alcune tensioni possono, attraverso questi incontri, essere condivisi. Possono quindi essere
mantenute delle crisi finanziarie e politiche.
Il G20 rappresenta in 20% della ricchezza mondiale.
12.11.2020

Unità didattica C
Geografia urbana
Dimensioni geo-storiche e questioni contemporanee
Parlare di geografia urbana implica parlare di qualcosa di molto complesso, attuale e antico, che
viene da lontano.
La popolazione urbana nel mondo è un peso crescente nel tempo e nello spazio:
 1800: 10%
 1950: 30%
 2000: 50%
 2025: 66%
Gli anni in cui noi viviamo segnano un’enorme rottura rispetto al passato, che ci fa stare attenti
sulle letture di un fenomeno come la città, considerata come qualcosa che sta “dietro” di noi. Oggi
siamo, in qualche modo, oltre la città. La parola “città” è forse datata dal punto di vista storico: oggi
bisognerebbe parlare di aree urbane, di contesti urbani, di metropoli. In questi anni ci sta essendo
una svolta epocale. La storia ci ha insegnato che a dominare è stata soprattutto la popolazione
rurale. In questi anni, c’è stato un sorpasso: la popolazione urbana è cresciuta in maniera molto
elevata.
Quindi la storia ha lasciato un heritage soprattutto di pratiche rurali e contadine, di montagne,
paesaggi (molte culture si rifanno al passato di queste civiltà, tutte le culture derivano da una
matrice contadina). Mentre il futuro geografico è decisamente diverso: la geografia dice che il
futuro sarà sempre più urbanizzato. Oggi, la maggior parte dei cittadini abitano in alcune
piccole aree del pianeta (nel mondo le città sono veramente dei piccoli puntini rispetto alle varie
aree rurali). La popolazione si concentra in alcuni piccoli punti. Nelle prime lezioni abbiamo detto
che gli attrattori della popolazione sono la vicinanza al mare, la pianura; oggi possiamo aggiungere
il contesto urbano.
Si tratta di un fenomeno esistente già dagli anni 50: più della metà dei cittadini dei paesi del primo
mondo (Nord America, Europa, Giappone…) abitava nelle città e nelle aree urbane. Questa
popolazione continua, oggi siamo intorno ai ¾ della popolazione.
Nei paesi in via di sviluppo e nei paesi poveri, negli anni 50 dominavano i contadini. Oggi hanno
quasi triplicato. La percentuale di urbanizzazione è molto alta nei paesi sviluppati; nei paesi in via
di sviluppo si sta ugualmente elevando, ma in maniera più contenuta.
La città
La città è un insediamento esteso e stabile di persone, un’area costruita che si differenzia da un
piccolo centro per dimensioni, densità di popolazione, importanza o status giuridico-
amministrativo (molte città hanno un distretto specifico, la città di Washington è chiamata
Washington DC), ma anche per criticità e squilibri socio-spaziali, ambientali e paesaggistici.
La città può essere intesa come urbs o civitas:
Urbs: se ci si riferisce soprattutto all’immagine fisica e materiale della città, all’agglomerato di
edifici, strade, piazze e spazi pubblici;
Civitas: se si esprime invece un’idea meno materiale di città, riferita ai legami interpersonali, ai
valori collettivi e identitari, a gruppi sociali, alle narrazioni urbane individuali e collettive, ai
simboli politici e culturali. Vi nascono le mode, ci sono grandi eventi, etc.

Le città sono un insediamento di dimensioni demografiche considerevoli, sedi di relazioni e


comunicazioni, ad alta organizzazione con funzioni multiple e complesse esercitate da una
popolazione che vive in massima parte di attività non agricole (industriali, terziarie, quaternarie e
quinarie). Sono sedi dell’innovazione, delle trasformazioni e di nuovi stili di vita ma anche di
tensioni e scontri sociali, ambientali, culturali, politici etc.
I geografi combinano tutti questi elementi per dire che oggi la città è il prodotto della
territorializzazione umana più avanzato. Questo significa che le società umane nelle loro
trasformazioni degli spazi naturali in spazi sociali, hanno fatto della città qualcosa di lontano dalla
natura. Quindi il territorio umano è il prodotto umano più avanzato (l’antropizzazione). Il territorio
è infatti carico di storia, ma anche di innovazione.
Le città hanno quindi una natura divisa in due: sono sedi di innovazione, di nuovi stili di vita; ma
anche di tensioni e scontri sociali.
Permane l’idea di “centro storico”, “città antica”, “città d’arte”. La periferia però ha assunto un
significato più importante, in quanto è lì che avvengono i più importanti fenomeni sociali, culturali
e politici (ci sono scontri politici, vi arrivano i flussi di migranti etc.)
Gli insediamenti urbani sono tra i fenomeni di maggiore durata della storia umana e rappresentano
una forma di territorializzazione tra le più variegate, evolute e complesse. Oltre alla scala globale
delle città e delle aree urbane, subentra la dimensione regionale: a seconda del continente, dello
stato, della regione in cui mi trovo si sommano dimensioni regionali (lingue, politica, economia…).
Abbiamo quindi delle letture solo generali della città. Per ogni città, comunque, c’è una descrizione
generale; ma in un’analisi approfondita bisogna poi considerare elementi locali che cambiano di
volta in volta.
La sua forma cambia nel tempo, si trasforma. Le città possono salire o scendere di importanza. Nel
medioevo, New York non era conosciuta mentre Roma era molto importante.
La città è quindi un insediamento molto grande, frutto di questa opera di territorializzazione che
può venire da vicino o da lontano. Per alcune città come Roma o Gerusalemme o per molte città
cinesi o indiane il percorso di costruzione della città è antichissimo; per città nordamericane o
australiane (Sydney, Melbourne, Los Angeles, Boston, New York, Las Vegas…) la
territorializzazione è datata in maniera più recente.
Parlando di urbs (città fisica), l’insediamento urbano può essere di due tipi:

 Sparso: se costituito da edifici isolati (di solito è il tipo rurale come nel sistema del bocage
delle regioni atlantiche europee). L’inizio dell’insediamento sparso riguarda i primi villaggi
antichi lungo i fiumi.
 Accentrato: se formato da edifici ravvicinati, la cui dimensione va dal piccolo villaggio alla
metropoli
Questi tipi di insediamento esprimono il modo con cui le persone si rapportano al loro spazio
mediante la loro organizzazione sociale, politica, economica e culturale.
Nomi di città di oggi ricordano il fatto che in antichità di trattava di borghi (Freiburg, Strassburg,
Borgo Maniero…). La toponomastica non è mai a caso. “Sesto” è nato come villaggio al sesto miglio
lontano dal centro di Mediolanum. È diventato poi San Giovanni in epoca latina cristiana.
Il paesaggio visto nel mondo rurale, mano a mano che arretra perché diventa borgo e poi città
introduce nuovi tipi di insediamento e nuove forme di organizzazione politica, sociale, economia.
Nel villaggio c’è una certa struttura sociale: c’è la piccola scuola, la piccola chiesa, spesso e
volentieri un solo dottore…
Nella città a contare sono tanti, che lavorano anche in maniera indipendente tra di loro.

La lettura della città


Le città possono essere lette in molti modi, sulla base della posizione geografica (il sito), della
dimensione demografica (lungo i fiumi, lungo le montagne…): a seconda della posizione la forma e
le caratteristiche della città possono cambiare; della forma urbana, della loro storia, delle funzioni
prevalenti (economiche, sociali, culturali, politiche, etc.) e di altri fattori (grado di etnicità, capacità
di polarizzazione, livelli di inquinamento, mobilità, sicurezza etc.).
Quando si parla di incontri, di meticciato, di unione etc. si parla di civitas e non di urbs.
Il centro di Milano è un esempio classico della capacitò di polarizzazione economica e finanziaria.
Si tratta della più grande piazza finanziaria italiana.
Altre città sono famose per fatti negatici, come l’inquinamento, alle periferie poco sviluppate (negli
USA ci sono scontri tra minoranza latine o afroasiatiche e la polizia).
La geografia urbana cerca quindi di conoscere soprattutto:

 Le origini e l’evoluzione dell’insediamento urbano (se hanno o no già superato la


dimensione storica della città per diventare qualche cosa di più)
 L’analisi delle direttrici dello sviluppo urbano
 I fattori che spiegano la presenza e lo sviluppo delle diverse e mutevoli funzioni
presenti nello spazio urbano. La città è infatti il punto di creazione di nuove forme di
comunicazione, nuovi termini che permettono lo sviluppo della stessa.
Alcune questioni urbane fondamentali
 La storia degli insediamenti, le rivoluzioni urbane e i bisogni socio-territoriali e
ambientali degli spazi urbani, si tratta di una sfida per la governance e parte delle nuove
competenze che gli stati si confrontano oggi
 Le funzioni e le strutture urbane: vedere che cosa si da nelle città e che tipo di strutture ci
sono
 La forma, l’organizzazione e il paesaggio urbano
 L’ecosistema urbano (la città è anch’essa, come la montagna o la campagna, fatta di
biodiversità, qualcosa di vivo e mutevole anche se noi pensiamo che sia qualcosa di
artificiale)
 La gestione, valorizzazione e fruizione del “contesto” urbano (inteso come spazio,
territorio, ambiente, luogo): la città fa sognare, entra nelle persone, diventano il punto di
arrivo per chi vuole crescere (c’è il mito delle città degli USA, dove arrivano giovani dalle
zone periferiche e conservative)
 Evoluzioni e scenari futuri (cosa succederà a un pianeta sempre più popolato)
Oggi la popolazione mondiale è composta per più della metà da cittadini che da contadini. La
geografia urbana è quindi una di quelle più importanti.
Le letture degli spazi urbani sono di diverso tipo. Oggi iniziamo a vedere la città dal punto di vista
storico.
La lettura storica: città antica e dell’epoca classica
L’Europa e l’Asia hanno una lunga storia di insediamenti urbani. Si parla di evoluzione della città
nel tempo come un percorso molto battuto. Nelle terre di più recente conquista da parte
dell’Ecumene come l’America e l’Australia, si tende più che ad una lettura storica, ad una lettura di
tipo funzionale o economico.

 La fase iniziale: l’inizio della città non ha una data o origini precisi, ma fonda le radici tra
il mito e la leggenda. Sicuramente, un aspetto interessante della storia della città è la fase
iniziale, quando gli spazi fluidi del nomadismo lasciarono spazio a quelli radicati della
sedentarietà. Le radici della città stanno nei villaggi.
 La specializzazione spaziale e produttiva: lo spazio si specializza, ossia in alcune parti si
produce qualcosa (allevamento, transumanza, agricoltura…), nella città ci si specializza sui
servizi, sul mercato dove si smerciano i prodotti della campagna circostante.
C’è quindi una specializzazione tra la campagna e la città.
 L’epoca classica: la specializzazione è avvenuta sicuramente anche in questo periodo.
Nelle rappresentazioni antiche è visibile la città cinese come sede del mercato e
dell’artigianato; la città egizia rappresentava una vetrina per la rappresentazione del potere
del faraone; le città greche, fenice ed etrusche erano orientate agli scambi, al commercio,
alla cultura e alla perfezione estetica manifestata tramite i famosi monumenti in marmo e
non, che ancora oggi usiamo per mostrare il potere religioso, politico etc.
 La città romana: era il luogo della razionalità, dove il potere politico e religioso avevano
un grosso controllo, c’è un centro urbano (l’incrocio delle due strade, cardo e decumano).
La città dell’antichità ha quindi già alcuni degli aspetti, sia come urbs che come civitas, che oggi
abbiamo anche nelle nostre città. Già viene mostrata l’importanza delle strade, della città come
incontro-scontro-mediazione delle esigenze sociali, etc.
La città medievale
Le città europee e arabe del Medioevo tra heritage, difesa materiale e aspirazioni trascendentali
- Alto Medioevo (V-X secolo)
- Ripresa urbana del X secolo
- Periodo comunale (XIII-XIV secolo). L’Italia è una delle terre dei comuni che nascono e si
sviluppano durante il Medioevo.
Si tratta sia di vecchie sia di nuove aree di urbanizzazione europea (il Mediterraneo “classico” con
città come Atene, Siracusa etc.; il Mediterraneo arabo e bizantino con Costantinopoli o Bisanzio; le
città pioniere dell’Europa centro-settentrionale e orientale: la città prima era una prerogativa solo
Europea, nella altre parti del mondo le popolazioni erano nobili, esistevano solo piccoli villaggi). Il
medioevo è quindi il primo grande momento in cui si costruiscono le città.
Le città arabe del medioevo cominciano già a mostrare segni di recupero dell’ heritage delle
epoche precedenti, quindi le città europee usano molto costruire e ricostruire usano materiali
ereditati dall’epoca romana o greca; mentre gli arabi utilizzavano materiali delle civiltà pre-
islamiche.
Le città si occupano soprattutto di costruire e crescere ma dando importanza alla difesa:
soprattutto l’alto medioevo è un periodo di numerosi scontri (invasioni barbariche, guerre con i
popoli circostanti, guerre per la diffusione dell’islam). Quindi è importante che la città si difenda.
La città è anche legata alla religione: la città era la città degli uomini ma anche di Dio.
Città al di fuori dell’Europa:
o Le città asiatiche (l’India dei Mogul, la Cina “classica”, il Giappone imperiale etc.)
o Le città americane precolombiane (Maya e Aztechi in centro America; Moche, Chimu e
Incas in Sudamerica).
La città europea in epoca moderna
Il Rinascimento e l’Umanesimo sono stati fasi della città ideale. Da Vinci, Michelangelo,
Bramante etc. si impegnarono per la città utopica. Viene recuperato un sistema romano ortogonale
conferendogli una forma particolare di difesa (es. Sabbioneta, Mantova).
La città romana e medievale di Lucca viene ridimensionata e allargata, assumendo una forma
particolare sotto Medici in Toscana.
La città industriale del XIX secolo
Si tratta del tipo di città nata durante la prima rivoluzione industriale. I legami della città con le
attività produttive e industriali del settore secondario sono molto forti. Quindi c’è un grosso
legame tra la geografia economica, la geografia della città e la geografia delle fabbriche.
Le città sono spesso nate laddove si trovava il carbone, dove venivano edificate fabbriche. In questo
modo si sono creati paesaggi anche molto degradati (la letteratura ha anche immortalato ad
esempio Londra nella nebbia). Il degrado strutturale deriva dal fatto che le città industriali erano
state costruite molto velocemente, senza fognature o servizi igienici: lo sviluppo fu caotico e
incontrollato. Molte persone morivano anche in giovane età a causa della scarsa igiene (discorso
di geografia della popolazione in chiave storica).
Sesto San Giovanni ha invece conosciuto la seconda rivoluzione industriale, perché l’Italia, essendo
povera di carbone, non ha conosciuto la prima. La seconda avvenne verso la fine dell’800 e agli
inizi del 900 e fu legata al petrolio e all’energia elettrica che arrivava dalla montagna. Sesto era
prima solo un piccolo centro agricolo, ma grazie alla rivoluzione industriale diventò una città. La
Campari, la Marelli occupavano addirittura più del 50% della superficie della città.
L’urbanizzazione contemporanea e le sue dinamiche
Le parole “urbano” e “urbanizzazione” sono usate in Geografia con due significati diversi:
 Urbano, evidenzia le caratteristiche materiali e fisiche della città, l’urbanistica, la
concentrazione spaziale, l’alta densità di popolazione, l’edificato, le funzioni e le
infrastrutture;
 Urbanizzazione, indica la diffusione dello stile di vita urbano anche a quelle parti di
territorio che non si definiscono “città”. È più legato alla civitas: è il modo di pensare, lo
stile di vita urbano.
Immaginiamo le persone che crescono in città e poi escono per esigenze in torno alla stessa.
Abitano in spazi rurali, ma il loro modo di vedere, di concepire, di votare, di valutare, di consumare
etc. viene dallo stile di vita che abita dentro quelle persone, è la città che è dentro di loro.
Secondo molti studiosi, il processo di urbanizzazione è destinato ad espandersi a scala planetaria
dando origine a quella che viene definita come Ecumenopolis, un Ecumene = città / spazio
urbano abitato. Oggi abbiamo ancora la divisione perché abbiamo ancora aree ecumeniche,
anecumeniche e subecumeniche. Secondo questa visione, il pianeta terra potrebbe diventare
un’unica grande dimensione urbana, un’unica grande città.
16.11.2020
Continuiamo il discorso sulla geografia urbana.
La popolazione urbana, che oggi ha superato il 50% degli abitanti della terra, presenta oggi dei
grandi squilibri. Abbiamo delle aree (tendenzialmente dell’America latina, Europa…) molto
urbanizzate; o delle altre (Africa, isole Pacifico…) con una popolazione urbana ancora contenute, in
quanto si è ancora legati alla ruralità e al primario.
Si tratta di una lettura su scala mondiale: alle varie scale regionali e continentali si possono fare
ragionamenti molto diversi. L’Europa, ad esempio, è generalmente urbanizzata ma ci sono grosse
differenze tra Europa settentrionale, meridionale, occidentale o orientale. Le situazioni sono inoltre
estremamente variegate in un continente enorme come quello asiatico: alcune aree, come l’India è
molto poco urbanizzato (i due terzi degli indiani vivono nelle campagne).
La densità della popolazione urbana in Brasile è invece molto elevata: quasi tutta la popolazione
vive in grandi città come Rio de Janeiro, Sao Paolo, Salvador de Bahia, etc. La stessa cosa avviene
in Argentina, dove quasi un terzo della popolazione abita a Buenos Aires.
In molti paesi può esistere il concetto di macrocefalia urbana: una città troppo grande, con una
testa (“cefalo” deriva dal greco e significa testa) troppo grande rispetto al corpo (lo stato) in cui si
trova. Ad esempio, nel Perù la capitale Lima ha più di 8 milioni abitanti, mentre l’intero paese 25:
un terzo della popolazione abita concentrato nella capitale. A Parigi abitano 10 dei 60 milioni
abitanti complessivi della Francia. In Italia non abbiamo questo problema: Roma, considerata la
città più grande, non arriva a 3 milioni di abitanti.
Facendo una divisione dei fenomeni dell’urbanizzazione, vediamo sicuramente almeno due
percorsi: l’urbanizzazione dei paesi in via di sviluppo e quella dei paesi che hanno già conosciuto
la transizione demografica, con uno sviluppo più consolidato. La popolazione urbana in Europa ha
raddoppiato in 50 anni; mentre in Africa ha decuplicato.
L’esodo rurale (l’atto di lasciare le campagne per le città) caratterizza soprattutto i giovani. È
molto presente nell’America latina, ma non solo. È invece un fenomeno più contenuto in paesi più
sviluppati come il Nord America.
L’Asia è sicuramente il continente più importante dal punto di vista dei fenomeni urbani, in quanto
hanno numero molto elevati. Un secondo posto è sicuramente dell’America del nord.
L’urbanizzazione a due velocità si vede anche nel tasso di crescita medio annuo della popolazione
urbana. I dati degli ultimi 15/20 anni mostrano come la popolazione urbana cresce leggermente nel
nord America o in altri posti; l’incremento è molto forte nei paesi dell’Africa subsahariana, Africa
occidentale e australe, oltre che in alcune parti del mondo arabo o asiatico meridionale, della
penisola indocinese.
Alcune città hanno superato la dimensione della città. Tra il 2005 e il 2015, città come Tokyo,
Mosca o l’area di NY hanno mantenuto la stessa dimensione in maniera stabile. In altre località
come Karachi in Pakistan è cresciuto da 11 a 15 milioni, così come Pechino, Calcutta, il Cairo in
Africa, etc.
Queste cifre ci danno un’idea sull’esodo rurale verso la città, alimentato in particolare da flussi di
giovani.
Le Megacities o città globali
Sul piatto ci sono quindi anche questi mega-punti della terra, dove si concentrano le attività più
importanti di un paese, dove il quaternario e il quinario spesso solo addirittura le uniche presenti
in un paese (es. Mumbai in India, San Paolo in Brasile).
Queste città, ospitando queste funzioni e queste dimensioni mettono in vista delle visioni di sé,
delle rappresentazioni che alimentano l’interesse di chi potrebbe decidere di abitarvi; in questo
modo si instaura un processo di esodo urbano.
Le città diventano quindi Megacities. Il termine “mega” viene dal greco e significa “grande”. Oggi
sono qualcosa di molto forte ed evidente. A parte Tokyo, che continua ad essere la megacity più
importante del pianeta (nel 2025 si parla addirittura di 37 milioni di abitanti); NY comincia a
crescere da 16 a 19 milioni. Nel 1975 le più grandi città del mondo erano Tokyo, New York e Mexico
City. Nel 2010 sono diventate molte di più: Tokyo, Delhi, Sao Paolo, Mexico City, NY, Shanghai,
Calcutta, Dhaka, Karachi, etc. Nel 2025 si proiettano molte altre città che si aggiungeranno: Lima,
Bogotà, Jakarta…
L’Europa è presente nella classifica con Istambul ma molto bassa. Al 24esimo posto c’è Parigi con
10/11 milioni di abitanti.
La comparsa di queste grandi aree urbane richiama le due letture principali della città: urbs come
qualcosa di fisico, fatta di spazi anche abbandonati, che indicano diverse tipologie di mondi; civitas
come portatrice di aspirazioni, di politiche, desideri legati anche agli spazi del quotidiano, dove la
street art e le proteste dei giovani possono trovare un posto.
Ci sono molte domande: l’urbs deve tenere conto della civitas? Chi decide i neologismi, le mode, il
futuro? Periferia e centro sono così tanto diverse?
Le fotografie che mostrano il pianeta terra dall’alto mostrano un mondo che viaggia a due velocità.
I paesi avanzati (nord America, Europa…) hanno molte luci accese; mentre ci sono grandi neri e
silenzi in Africa, ad esempio, dove c’è l’assenza di vita umana. Si vede bene dove gli abitanti del
pianeta tendono ad essere concentrati.
Può esserci anche una lettura di tipo ecologica e ambientale: dove ci sono più luci ci sarà più
inquinamento in quanto si tratta di punti di maggiore traffico.

Le funzioni della città


Siccome il fenomeno urbano è molto complesso e articolato, è naturale che si appresti a molte
letture. Una di queste è l’aspetto funzionale della città, ossia l’andare a studiare le funzioni presenti
in uno spazio urbano.
Le funzioni urbane sono le attività che si localizzano negli spazi della città, la influenzano dal
punto di vista del paesaggio e ne giustificano l’esistenza come unità organizzata nel tempo e nello
spazio. Si tratta di attività che:
- Rispondono a necessità e bisogni reali o indotti (che ci siamo inventati noi, come wifi
etc) che provengono dall’interno e dall’esterno della città (nella Milano dell’inizio del 900
è arrivato dall’esterno il fenomeno dell’industrializzazione);
- Sono capaci di generare, controllare e mantenere le relazioni culturali, comunicative,
politiche ed economiche di cui è costituita la vita sociale, territoriale e produttiva
cittadina.
Possono essere tante le forme delle funzioni della città, perché la vita sociale nella società urbana,
l’attività e la vita all’interno del territorio urbano sono tantissime, quindi le funzioni sono tante e di
diverso tipo.
Ciò che rende geografiche le funzioni è il fatto che il loro raggio d’azione può:
 Avere diversa ampiezza territoriale: il raggio d’azione di un particolare evento può avere
un’ampiezza mondiale (l’Expo) o locale (la festa di quartiere); ci possono essere quindi varie
scale (transcalarità)
 Interessare un numero maggiore o minore di individui e di categorie socio-economiche
presenti nello spazio;
 Avere impatti differenziati nello spazio: la prima cosa che è visibile è il paesaggio
urbano.
Mettendo insieme tutte le funzioni, avremo una città più o meno importante e attrattiva in base alle
funzioni che ospita. La lettura della funzione demografica è più importante di quella demografica:
possiamo avere città piccole ma funzioni più importanti rispetto a città più grandi o con più
abitanti (Milano è molto più conosciuta rispetto a Kinshasa, città molto più grande e popolata).
I geografi quantitativi tendono a misurare queste funzioni: lo fanno in base al loro raggio d’azione
all’impatto che hanno e a quanto questa transcalarità è importante.
L’importanza di una città si può desumere dalle funzioni che ospita. Queste ultime sono
misurabili in base al loro raggio d’azione variabile, al loro impatto sulla vita sociale e sui diversi
livelli territoriali coinvolti.
Le funzioni urbane possono essere economiche, sociali, residenziali, culturali, d’irradiamento, etc.
Esse si caratterizzano per una specifica portata o raggio d’azione.

Livello / scala territoriale Ambito Raggio km


Microregionale Locale: vicinato, quartiere, 0,1 – 30
città
Mesoregionale Provincia, regione, regioni 30 – 1000
limitrofe
Macroregionale / globale Stato, stati limitrofi, >1000
continente, pianeta

Classificazione e gerarchizzazione dei livelli delle funzioni urbane


Le funzioni urbane si distinguono sulla base di alcuni criteri. Questa lettura funzionalistica,
economica, legata al potere e alla gerarchia della città è più amata dai geografi del mondo
anglosassone (americani, australiani e canadesi). Gli europei e gli asiatici fanno una lettura sì
anche funzionale, ma anche basata sull’ heritage, sul patrimonio, su valori comunque diversi.
Le funzioni possono essere classificate in:
 Funzioni di “attività di base, banali” (panetteria, edicola), non hanno grande
importanza; e “attività non di base, elevate” (centro dei tumori di Milano, che attira
persone da varie parti della nazione).
 Funzioni di attività city forming (infrastrutture), ossia le funzioni edilizie, amministrative
e pianificatorie; e city serving (servizi)
 Funzioni “attive” se ante nella città; e “passive” se arrivano o si impongono dall’esterno
Alcune atre funzioni della città:
o Commerciali
o Politiche e amministrative
o Militari
o Minerarie e industriali
o Portuali, ferroviarie etc.
o Artistiche, culturali, creative del design
o Turistiche e del tempo libero
o Religiose, simboliche etc.
o …

Ci possono essere città monofunzionali o polifunzionali. Milano è una città polifunzionale


perché ospita diverse funzioni tra quelle citate. Altre città possono essere monofunzionali, anche se
nei paesi avanzati è raro in quanto una funzione genera l’altra; ma nei paesi poveri o In VDS le città
sono spesso monofunzionali: una capitale di uno stato africano ha una grande offerta di funzioni
pubbliche e basta.
All’interno della macrocategoria delle città monofunzionali c’è la sottocategoria delle tecnopoli.
Le tecnopoli sono centri dedicati all’innovazione, alla ricerca scientifica e tecnologica applicata.
Sono città dell’innovazione e sono proiettate nel futuro. Vi si insediano spesso delle start up, dei
centri di ricerca tecnologica. Possono essere:
 Spontanee, se si sviluppano a seguito di una scoperta scientifica e tecnologica o di
fortunate applicazioni industriali, per cui diverse imprese si sono aggregate lì intorno;
 Pianificate, con capitali pubblici e privati, per esempio con la partecipazione di università,
industrie e aziende, terziario d’innovazione, fondazioni.

Si trovano vicino a una grande città o metropoli, di cui finiscono per costituire un particolare
quartiere.
Sono isolate in luoghi privi di altri insediamenti, ma convenienti per vari motivi (il presso basso
dei terreni edificabili, la tranquillità, il clima mite o asciutto e la luce solare intensa per impianti a
energia alternativa, etc.)
o Un esempio è la Technopole di Sophia Antipolis, città creata dal governo francese per
accelerare lo studio dei materiali leggeri, delle leghe particolari dei metalli chimici e fisici.
“Sophia” è la conoscenza; “antipolis”, = per creare una città nuova. È una città piccola,
abitata da scienziati con dottorati di ricerca. Si trova nel sud della Francia.

o Un altro esempio è Boulder, tecnopoli nelle vicinanze di Denver (Colorado). Il Colorado è


considerato uno degli stati più aperti e progressisti degli USA.
18.11.2020

Le forme della città


Le forme della città possono essere viste in tanti modi. Dai geografi, queste forme vengono
chiamate “morfologie urbane”.
Le città assumono forme differenti e la loro forma varia in funzione di fattori fisico-ambientali,
morfologici, storici, economici, culturali, etnici, etc.
Frémont parla di combinazione geografica. A modificare la forma della città possono essere
fattori morfologici (montagne, pianure, colline); storici (costruzioni, ricostruzioni…); economici;
culturali (Palmanova, nella Repubblica di Venezia, fu costruita nel 1500 a forma di stella per motivi
culturali e militari)…
Non esiste un'unica funzione che determina la forma della città, ma spesso sono tanti fattori messi
insieme.
Cancun è una città nello Yucatan, in Messico. Si trova sul mar dei Caraibi e ha una forma molto
allungata e stretta, in quanto nata lungo un cordone
litoraneo che separa il Mar dei Caraibi dalle lagune
interne. La forma di questa città è legata alla funzione
principale, ossia quella residenziale. Qui si trovano case
di ricchi o hotel.
Questa città aveva prima una forma diversa, era più
lontana dal mare.
Il fattore fisico-ambientale qui è dominante: la presenza
del mare e delle lagune dà di fatto la forma alla città.

Un altro esempio è Novara. I tetti di determinate case con tetti di cotto rossi indicano che siamo nel
centro storico della città. Una parte del terreno è anche leggermente sollevata: questo indica che si
tratta di una città sicuramente antica, che i fattori storici hanno dato una certa forma alla città, che
era chiusa nelle mura; che la città nuova non ha tetti di cotto in mattone, ma ha tetti grigi: stiamo
passando dalla parte storica a quella moderna. I primi a dare forma a questa città furono i romani
quando la conquistarono.

La città concentrica
Bologna ha una forma circolare che è ben visibile dall’alto. Le vie si allontanano man mano dal
centro. La periferia di Bologna, i nuovi quartieri sono ben evidenti. Come a Novara i tetti di cotto
rappresentano la parte più vecchia della città.
Anche la città di Milano si è sviluppata in maniera concentrica. Inizialmente era stata conquistata
dai romani. Con gli Sforza (1400) è stato costruito il Castello Sforzesco, interrompendo la forma
circolare delle strade. Gli spagnoli hanno poi conquistato Milano
e gli hanno dato una forma a cuore.
Quindi, la Milano del 1500-1600-1700 ha avuto una forma di
cuore voluta dagli spagnoli.
In epoca più moderna, agli inizi del 1800 Napoleone, che non
amava il Castello Sforzesco ha avviato i lavori per il foro
Bonaparte, rimasto incompleto. Nel parco dietro al castello ci
sono le tracce di questa costruzione.
A pesare molto sulla morfologia urbana è la geografia fisica. La forma della costa di New York è
ben visibile tramite una cartina fisica. La città ha una
forma assolutamente unica.
La città fu inizialmente conquistata dagli olandesi, che la
chiamarono New Amsterdam. Successivamente divenne
degli inglesi, che la rinominarono New York.
Si tratta di una città veramente molto grande. Lo stato di
New York confina con lo stato di New Jersey.
Il fatto che i tre aeroporti siano collocati in tre punti
particolari sta ad indicare che vi sia una razionalizzazione
delle funzioni. Le funzioni aeroportuali sono strettamente
legati alla forma della città: sono collocati in luoghi diversi della città per facilitare i cittadini.
Anche ad Algeri c’è la presenza del mare, anche se la morfologia rispetto a NY è diversa. Nella parte
alta c’è un’area fortificata, in quanto da lì poteva arrivare il pericolo delle invasioni barbariche. Ci
sono montagne, fiumi. Ci sono motivi storici, produttivi, fisici… che danno forma ad una città.
Genova ricorda molto Algeri come livello di antropizzazioni. Il porto di Genova è stato soggetto a
moltissimi interventi da parte dell’uomo durante il tempo, questo è visibile dalle carte antiche che
mostrano la città. Anche qui la morfologia è importante: si tratta di una città nata tra il mare e la
montagna, per questo si è sviluppata molto in direzione est-ovest e molto poco in direzione nord-
sud. Si è costruito sopra i fiumi adiacenti alla città, cosa che non si dovrebbe fare.
Anche a Firenze la parte più bassa della città è quella storica, delimitata dal fiume Arno. Al di là del
fiume, siccome comincia la collina, la città è molto stretta.
La forma razionale e pianificata
Palmanova (Udine) è fatta a stella dalla Repubblica di Venezia. C’è un esagono al centro. La città è
radiale, a raggera.

Anche Grammichele (Catania) è una città ad esagono. La forma della città ricorda lo stesso
imprinting.

Parigi: gli interventi di Haussmann nel XIX secolo


Parigi è una città con una grande storia. Si è sviluppata su l’Ile de la Cité e l’Ile Saint Louis, dove ci
fu il potere della chiesa (Notre Dame) e il potere del re durante il medioevo.
Nell’800 le mura attorno alla città furono buttate giù dal barone Hausmann, insieme a varie
stradine e viette. Ha creato grandi vialoni e boulevards. Si è buttata giù la città storica per
aumentare il prestigio della città di Parigi.
I boulevards avevano anche una funzione politica: nelle stradine scoppiarono molte rivoluzioni nel
tempo; ma la grandezza dei boulevards non permetteva grandi rivolte.
La piazza con l’Arc de Triomphe è fatta a stella, e si chiama Place de l’étoile.
Amsterdam: una forma in funzione del commercio
Vi è un fiume (Amstel) dove si è costruita una diga (dam), quindi nasce Amsterdam. In presenza di
un fiume e di un mare, si è trasformata molto nei secoli. Questa grande città è nata in funzione del
commercio: i piani le case che danno direttamente sul fiume avevano una funzione precisa. Al
piano più alto stava la merce perché stesse lontano dall’umidità, al piano più basso c’era la zona
adibita al caricamento delle merci sulle barche.
Rotterdam: geografia fisica ed economica
Si trova su un fiume importante, ossia uno dei rami del Reno, fiume navigabile e molto importante.
Rotterdam è una sorta di porta di entrata per tutta l’Europa centrale. Ha dovuto necessariamente
costruire un primo porto, che poi non bastava e ne ha costruito un altro e un altor ancora.
Oggi la forma della città è assolutamente stravolta. Si sono dovute costruire molte vie di
comunicazione per andare da una parte all’altra della città.
Pechino (Beijing): la città “imperiale”
Vi abitava l’imperatore. Vi sono templi, un fiume (che ha originato la creazione di un parco). Si
tratta di una città ortogonale, che porta le tracce della storia con grandi vialoni e porte di entrata.
Pechino è nata come città imperiale, con la presenza di imperatori cinesi. Oggi continua ad esserlo
con la Cina del III millennio, che punta a diventare una grande nazione moderna.
Puskar: la città e la religione
Si tratta di una città in India, costruita attorno ad un lago e attorno a due templi che si guardano.
La città ha una forma particolare: sul lago abitano le classi più importanti (i bramini); man mano
che ci si allontana vi sono i commercianti e poi i paria, i più poveri; lontano dalla città vi sono i
diseredati, i senza fissa dimora. Il risultato è che intorno al lago c’è una città fatta di alberghi, hotel,
case di ricchi dove vi sono anche molti turisti. Più lontano c’è la città del commercio, degli scambi
(qui c’è uno dei più grandi mercati di cammelli di tutta l’India).
Buenos Aires: un mix di città coloniale, Parigi e New York
Si tratta di una città coloniale di NY e Parigi . Gli spagnoli arrivarono a Buenos Aires e la
chiamarono “Aria Nuova” [ come i romani con Novara, nova aria ]. Il nucleo coloniale conquistato
dagli spagnoli ormai è quasi scomparso.
La forma ortogonale ricorda Manhattan o Torino. Presenta molti viali che ricordano Parigi. C’è un
passaggio dalla città orizzontale e bassa alla città verticale e alta che ricorda i grattacieli di NY.
I messaggi culturali sono di tre tipi: il legame con la Spagna e con l’Europa; la moda d’inizio secolo
di Parigi, della Francia brillante della belle époque; la città che comanda del commercio come NY.
La città informale: la forma irregolare e caotica
San Paolo (Brasile) è una città estremamente dominante; ma a ridosso divagano le favelas. A
stretto contatto quindi c’è la città formale, la grande capitale; e la città informale ossia composta da
favelas.
La stessa cosa avviene a Nairobi (Kenya) con gli slums.
L’organizzazione interna della città, quindi, è funzionale a tutta una serie di strutture. Il modello
può essere a struttura concentrica, a settori (varie parti della città sono adibite a determinate
funzioni), a nuclei multipli (somme di città diverse che si combinano tra di loro).
L’organizzazione dello spazio urbano
La forma delle città e la distribuzione delle attività sociali, culturali, produttive, economiche,
finanziare, politiche, direttive, residenziali etc. impongono di cercare regole di organizzazione per
capire come organizzare lo spazio urbano. Così, l’articolazione della città in diverse zone funzionali
alle attività che ospita è stata interpretata da diverse teorie e ha portato a diversi modelli. I
principali sono di due tipi:

 I modelli parziali – riguardano la localizzazione di specifici settori di attività e di


funzioni, di determinati paesaggi urbani. Studiano la città guardandone solo alcuni aspetti.
 I modelli globali – riguardano la localizzazione di tutte le forme residenziali a produttive
dell’area urbana. Viene analizzata la città in tutti i suoi aspetti.
I mezzi di trasporto e le vie di comunicazione svolgono un ruolo essenziale nella distribuzione di
forme, funzioni e specializzazioni urbane (costi di trasporto, accessibilità, tempi di mobilità e valore
del suolo urbano o rendita fondiaria).
Oggi, parlare di città significa avere conoscenze non soltanto della storia, delle forme, ma anche
delle regole e modelli che spesso nello spazio si ripetono.
La localizzazione delle funzioni all’interno della città in rapporto alla rendita urbana
Ogni soggetto, a seconda degli usi che si propone (abitare, produrre, vendere beni e servizi, etc.)
ricaverà, dai diversi luoghi della città, utilità diverse in relazione alla posizione di questi ultimi. È la
cosiddetta accessibilità, ovvero l’utilità che si può ricavare dall’uso di un luogo in funzione della
facilità con cui da detto luogo uno riesce ad accedere a tutti gli altri e viceversa.
Lo spazio urbano non costa dappertutto allo stesso modo. La rendita fondiaria (il valore del
terreno) in centro varrà di più e in periferia di meno. A seconda di dove ci si trova si hanno costi di
vario tipo.

Questa teoria è stata elaborata già nel diciannovesimo secolo da von Thunen, e ne sono emersi
aspetti fondamentali:
- Ogni attività ricava una sua utilità da ogni dito dell’area urbana;
- L’utilità è misurata dalla rendita che un’attività è disposta a pagare per l’uso e l’occupazione
del suolo;
- Tra le varie rendite derivanti dall’utilità del sito darà massima quella che ne determinerà il
valore di mercato
Secondo queste regole, avremo aree che costano di più: nel centro vi saranno elementi più
significativi, in quanto lì la rendita urbana è più elevata.
L’organizzazione dello spazio urbano secondo E. W. Burgess
La teoria e il modello delle zone concentriche fu formulata da E. W. Burgess in base allo studio
della pianta di Chicago. Egli distingueva 5 zone principali:
1. Il Central Business District e il centro
2. La Inner City o Zona di transizione
3. La cintura industriale e l’immigrazione secondaria
4. La zona residenziale periferica (aree residenziali di lusso)
5. Quartieri dei pendolari e “dormitorio”
La città ha il vincolo morto forte morfologico, ossia il lago Michigan.
Il costo del suolo decresce regolarmente mano a mano, partendo dalla zona 1 alla zona 5. Il costo
dello stile di vita cambia a seconda di dove ci si trova.
Quindi ci sono parti della città che costano di meno, e lì vi si radicano certe attività e certe persone.
Ovviamente la realtà è molto complicata e diversa rispetto agli schemi.

Modello dello sviluppo a settori di Hoyt


Secondo Hoyt la città non si è sviluppata in maniera concentrica, ma si è specializzata per
funzioni che si sono progressivamente spostate dal centro, come uno slittamento.
La struttura interna della
città è condizionata da
queste vie radiali. La città
prende poi una forma legata
alle morfologie. Quindi il
modello di Hoyt parla di
morfologia e funzioni.
Modello a nuclei multipli di Harris e Ullman
La città presenta secondo questo modello delle zonizzazioni, ossia delle divisioni concentriche, a
settori o mescolate. Il risultato è quindi un modello molto complesso. Non c’è un solo centro, ma
sono molti legati tra di loro. Tutto si specializza. In alcune parti della città ci sono determinate
funzioni e attività, dall’altra parte l’uso del suolo porta in altre direzioni.

19.11.2020

Le reti urbane
Le città mutano la loro struttura nel tempo e nello spazio per spinte interne ed esterne ad esse. Il
disegno di una città (sia come urbs che come civitas) può cambiare per infinite ragioni (guerre,
nuova moda, nuove comunicazioni con altre regioni prima lontane…)
La crescita degli agglomerati urbani, la loro gestione e manutenzione nel tempo può così dipendere
da cause anche totalmente estranee alle motivazioni iniziali con cui è nata la città.
Si parla allora di inerzia e di trasformazioni urbane per sottolineare il fatto che una città si
sviluppa e si comporta come un organismo vivente: respira, evolve e si trasforma; e al tempo stesso
è anche capace di rinnovare le sue cellule (che possono essere i monumenti, le strade, le piazze…)
conservando e ripetendo così certi caratteri originari. La città può crescere per un certo tempo,
fermarsi, riprendere, essere abbandonata e riconquistata. È come un organismo vivente che si
trasforma continuamente.
Milano (Mediolanum) si trova in mezzo alla strada che dal mare va alle alpi e dall’esto all’ovest: è
quindi una tappa tra percorsi che collegavano città commerciali. Oggi, Milano è una città in cui
sono insediati molti servizi e industrie etc. Le motivazioni sono quindi in parte cambiate.
Il centro urbano
Nel centro urbano vi si trovano generalmente:

 Servizi di rango elevato, con ampia portata (finanza, sedi di imprese…)


 Le funzioni di rappresentanza (municipio, università, turismo, piazze per eventi,
landmarks, ossia i monumenti…)
 Le boutiques di lusso
 Gli eventi collettivi (manifestazioni, musei)
Oltre il centro urbano
Le città cambiano a seconda di dove ci si trova. Esse crescono e le funzioni tendono a distribuirsi su
superfici sempre più ampie, “diffondendosi” su aree un tempo extra-urbane:

 Le industrie si delocalizzano in periferia o negli spazi rurali (la “rururbanizzazione” del


paesaggio)
 La popolazione risiede in diverse tipologie di quartieri più o meno lontani dal centro, in
funzione di fattori economici (accessibilità e mobilità, presenza di servizi, costo degli
affitti…); ecologici (qualità ambientali, paesaggio estetico…); culturali (abitudini, desideri,
spazi vissuti, desideri di fare comunità etnica o housing sociale, ossia dove i prezzi sono
calmierati per evitare squilibri di prezzi troppo elevati…)
Può essere che chi abita lontano dal centro sia comunque facilitato e abbia una migliore qualità di
vita: la metro porta comunque rapidamente in centro, c’è la campagna…
La comunità etnica si insedia in una parte della città, e i nuovi arrivati vengono ospitati da chi è già
lì.
Fin dalle prime fasi dell’industrializzazione le città crescono per far fronte alle esigenze
dell’economia capitalistica (la rivoluzione industriale ha fatto nascere Manchester e Glasgow).
Grazie anche alle reti di trasporto, si verificano processi di suburbanizzazione (estensione
dell’edificato a macchia d’olio attorno al nucleo storico). È possibile distinguere due modelli di
crescita urbana oltre il centro urbano: la conurbazione e l’agglomerazione.

La conurbazione presenta due centri


che lavorano creando un unico grande
tessuto urbano.

L’agglomerazione presenta un centro


grande e altri centri più o meno piccoli.

In tempi recenti si registra un cambiamento dei processi di espansione urbana, risultato di


diverse scelte localizzative di attori politici e istituzionali, di imprese e abitanti, dalla presenza o
meno di immigrati, dal cambiamento dei comportamenti, dalla percezione di una persona dello
spazio urbano, dagli stili di vita, dal paesaggio urbano che si cerca, etc. Tutti questi elementi
incidono nella scelta di una persona del luogo in cui abitare.
Si realizza quindi una sorta di dissociazione tra città e urbanizzazione. Infatti, uno può essere un
cittadino nella testa e nel comportamento, ma andare ad abitare lontano dalla città (in campagna).
Questa dissociazione può essere descritta utilizzando diversi termini: periurbanizzazione,
rururbanizzazione, diffusione urbana (quando la città è disseminata a pezzettini e non è continua
perché in mezzo si hanno prati o campi si ha lo sprawl urbano, ville éclatée, esplosione della
città…).
La periurbanizzazione
È il processo di creazione di nuovi insediamenti urbani più o meno vicini alle grandi città o a
grandi vie di comunicazione. È una morfologia urbana di tipo diffuso, a struttura larga di spazi che
tendono a trasformarsi in città.
Il centro si allarga con nuove funzioni, la città diventa più grande e vengono costruiti nuovi spazi
urbani dove prima c’era campagna. Alla fine viene un paesaggio un po’ misto tra edifici e
campagna. “peri” indica una zona periferica dell’urbano verso la campagna.
La rururbanizzazione
Indica il processo di urbanizzazione degli spazi rurali europei. In termine descrive sia il
processo di urbanizzazione delle aree ai bordi delle metropoli, sia di località e piccoli centri rurali
che, grazie alla loro prossimità alle città di grandi o medie dimensioni e alla presenza di vie di
comunicazione, presentano le stesse condizioni e possibilità di partecipare al processo di diffusione
urbana.
La campagna è stata in parte cannibalizzata da dei piccoli centri, non necessariamente collegati al
centro più importante. Ci sono piccoli centri che hanno conquistato la campagna. Il risultato è
quello di un paesaggio urbano e rurale. Si tratta di una mescolanza tra urbano e rurale. Mentre il
paesaggio periurbano riguarda il confine della periferia della città, quando si trova ai bordi.

La Randstad Holland – la città “orlo”


Si tratta di un’area urbanizzata di circa 7 milioni di abitanti, con una densità di oltre 1000ab/km².
Si tratta di un anello urbano che collega l’Aia,
Amsterdam, Rotterdam, Utrecht, Dordrecht, Den
Haag, Leda, Haarlem tra loro separate da una zona
relativamente poco abitata e in parte coltivata.
Il confine tra città e campagna non è chiaro. La carta mostra le aree urbane vere e proprie (le città),
aree rururbane dove l’urbano si mescola con la campagna e i confini sono poco chiari.
Questa città si sta formando come un anello (“rand” = anello, “stad” = città). Le città sono tra loro
continue, in un misto molto complesso tra città e campagna. Il centro di quest’area è rimasto verde,
attorno al quale sorgono le varie città.
Capitalismo e Gated Communities
Si tratta di una comunità residenziale chiusa rispetto all’esterno (“gate” = cancello), che si
configura spazialmente come enclave avente caratteristiche peculiari e differenti rispetto a quanto
la circonda.
Il fenomeno, in crescente diffusione dagli anni 70, è in diffusione in tutto il mondo per l’aumento
della popolazione urbanizzata, degli squilibri nella distribuzione del reddito e la diffusione di
normative che favoriscono una gestione privata di vasti spazi e delle infrastrutture e servizi a essi
connessi. Nella gated communities vi sono controlli, personale, sistemi d’allarme. I cittadini
all’interno sono molto ricchi e hanno bisogno di chiudersi tra consimili. La città è recintata e
controllata.
Possiamo osservare come la società contemporanea esposta al capitalismo sta costruendo nuove
parti di città: delle comunità, parti di costruzioni chiuse rispetto all’esterno con caratteristiche
particolari che le differenziano dall’intorno. Nello spazio si ha una parte di città, all’interno della
quale viene costruita una cittadella dentro più chiusa, poco permeabile con l’esterno, con sistemi di
vita molto particolari.
Ovviamente vi sono anche squilibri. Chi abita qui usufruisce una serie di servizi (pulizie, controllo
del perimetro…) che devono essere pagati. Vi sono supermercati, porti, alberghi e anche scuole. Ci
sono normative che prevedono la gestione privata di queste infrastrutture.
Fuori dal cancello valgono le regole normali del mondo.
Ci sono tutti i giorni spostamenti, anche del personale che deve entrare per svolgere attività di
manutenzione. Ci sono decine di lavoratori che sistemano le case per i ricchi, che spesso sono
anche anziani.

Gli insediamenti informali


Da contrappeso alle gated communities come prodotto del capitalismo ricco che fa grandi
differenze tra ricchi e poveri troviamo le “città dei poveri”, chiamate anche insediamenti informali.
La crescita informale e non pianificata di quartieri e città che cercano soluzioni che vanno al di là
delle modalità e dei sistemi organizzativi tradizionali per diverse ragioni, molto diverse a seconda
dei casi e delle regioni della terra nelle quali ci troviamo. I caratteri dell’informalità sono:
1. L’autocostruzione – spesso questi insediamenti sono autocostruiti dai cittadini
2. L’occupazione abusiva di spazi – spesso sono costruite su spazi abbandonate o
demaniali (del comune o dello stato, che se ne è dimenticato)
3. La mancanza di infrastrutture
4. Il degrado fisico
L’informalità può dipendere da peculiarità fisiche o morfologiche degli insediamenti o dal carattere
socioeconomico degli individui che vivono in quegli spazi informali (disagio, povertà,
sottosviluppo, piccole economie informali di sussistenza, etc.).
Si trovano a ridosso della città ufficiale, formale; e non sono state pianificate: cercano soluzioni
di vario tipo. Alcuni insediamenti informali possono comunque avere forme molto diverse, possono
essere in stretta relazione col contesto in cui si trovano.
Le case sono costruite senza un piano regolatore, in condizioni improvvisate dai cittadini, che
spesso non fanno lavori di manutenzione. Ci possono essere mercati sotto i ponti di superstrade
elevate. I materiali sono si bassa qualità.
Gli insediamenti informali vengono chiamati secondo la lingua: slums nel mondo anglofono,
favelas per tanti paesi nel mondo spagnolo ma non solo, bidonvilles per il francese, villas miserias
in Argentina.
Queste città aumentano nell’Asia centro-meridionale, nell’Africa subsahariana; e diminuiscono in
Europa, nord Africa, Asia orientale, altre nazioni sviluppate.
23.11.2020
Le reti urbane
La città, oltre ad essere unità territoriali distinte ciascuna con una propria geografia,
intrattengono con il resto dei territori più o meno limitrofi degli interscambi di materia, energia,
popolazione, beni, servizi, denaro, informazioni, conoscenze e altro.
Il concetto di rete è un modo efficace per rappresentare il funzionamento della società
dell’informazione in cui le città costituiscono i nodi e i flussi di informazioni, una maglia di reti
urbane.
La lettura della città può essere condotta studiando non solo la città stessa, ma anche come essa si
relaziona col territorio circostante. Ogni città intrattiene con altri territori più o meno lontani una
serie di scambi.
Esistono reti urbane su scale continentali (ad es. europea) o globali.

Il modello delle località centrali: la polarizzazione urbana


La polarizzazione urbana è la capacità di una città di scambiare, attirare merci, persone, idee
etc.
Il primo a parlare di relazioni tra le città e di polarizzazione è stato Walter Christaller (1933),
geografo tedesco che ha elaborato la teoria delle località centrali. Si tratta di un modello che cerca
di spiegare la distribuzione delle città sul territorio (che non è causale), in funzione di
dell’offerta di funzioni e servizi offerti alla popolazione.
Elabora un modello isomorfo (lo spazio ha la stessa morfologia: non ci sono montagne, fiumi,
ostacoli di vario tipo) e isotropo (le regole sono uguali dappertutto, non ci sono confini, barriere o
guerre), con concorrenza perfetta tra i diversi centri. Si tratta di un modello ovviamente astratto,
asettico.
Lo spazio e i centri urbani tendono a disporsi per livelli gerarchici. In base alla funzione dei
centri avranno un rango più o meno elevato. A seconda dell’importanza di un centro urbano, avrà
un’attrazione diversa: un centro che offre funzioni importanti o funzioni presenti solo lì ha
naturalmente importanza elevata. I centri più piccoli, più bassi hanno funzioni più piccole e
semplici; salendo le funzioni diventano importanti e rare.
Non si tiene conto della differenziazione naturale (montagne, laghi…) e storica (nella
realtà ci sono legami come le lingue e le religioni, per cui due centri possono essere vicini ma
parlare lingue diverse o avere rapporti negativi quindi non interagiranno, es. Berlino est aveva
molte più relazioni con l’URSS che con Berlino ovest) del territorio, né degli squilibri sociali e
culturali in esso presenti.
Più la località è alta gerarchicamente, più il suo raggio di azione sarà ampio. In un paese, la
funzione politica è gerarchizzata: comune, provincia, regione, capitale.
Tipologie di reti urbane
1) A è la città più importante, dove vi sono tante funzioni non
presenti in tutte le altre città, che dipendono da A. Si tratta di
una rete polarizzata in A, nella quale esistono due livelli
gerarchici. Nel primo livello, quello più importante, si trova A;
nel secondo abbiamo tutti gli altri centri. Succede lo stesso con le
reti politiche: A è Roma; B è un capoluogo come Torino, C è
Venezia, D Firenze, etc. Sono tutti importanti perché sono
capoluoghi di regione, ma dipendono dalla capitale dello stato è
Roma.

2) Col tempo può succedere che aumentino le relazioni e le


interconnessioni con i centri minori. Si tratta di una rete
polarizzata in A ma con interconnessioni fra i centri minori ad
eccezione di B che si colloca gerarchicamente sotto C, D, E, F, G;
che hanno cominciato a scambiarsi varie relazioni (strade, linee
aree, scambi tra aziende o università…), mentre B è rimasta
come località che dipende fortemente da A. Esistono dunque tre
livelli dei contri urbani: A, il più alto; C, D, E, F, G intermedio; B il più basso.

3) B non dipende più solo da A, ma è


riuscito a entrare nella rete, a
comunicare con gli altri centri. Quindi
tutti i centri comunicano tutti tra di
loro e con A. Si tratta di una rete
polarizzata in A ma con
interconnessioni tra gli altri centri
urbani. Torniamo di nuovo ad avere due livelli di importanza.
4) Si tratta di una rete complementare e interconnessa, senza gerarchia tra diversi centri
urbani. Sono tutti uguali.
La rete urbana del Nord-Ovest italiano
Tra Piemonte e Lombardia si è sviluppata una rete urbana a scala interregionale nella quale i
due capoluoghi (Torino e Milano) sono collegati tra loro da una serie di centri minori fortemente
interconnessi e collegati materialmente e immaterialmente. Non si tratta più di scambi solo
industriale o commerciale, ma anche culturali, sociali.
Tra i nodi del reticolo esistono ancora rapporti di dipendenza gerarchica ma si sono sviluppati
anche altri rapporti di tipo paritario.
Oggi questa rete guarda e interagisce con il Nord-Est italiano, in Centro Italia e l’Europa
Transalpina. Milano, nel frattempo ha aperto relazioni con territorio nuovi: l’est era prima un’area
povera. Milano (come Torino) ha moltissime relazioni di reti urbani con moltissimi paesi, anche
esteri (Austria, Germania, Svizzera…). La dipendenza può anche diminuire: i centri comunicano
tra di loro anche senza necessariamente passare da Milano. Oggi ci si sta spostando verso una rete
urbana dove lentamente, i centri diventano più o meno uguali grazie alle autostrade, ai vari
collegamenti. La rete urbana nel sud e nella Sardegna è poco significativa e non forte come nel
nord.
Dal monocentrismo al policentrismo “maillé” francese come progetto dall’alto
Si tratta di un modello policentrico che moltiplica e diversifica i luoghi di polarizzazione
come porte sull’economia globale. I francesi hanno attuato forme di decentramento e
depotenziamento del potere di Parigi, al vertice della gerarchia urbana. Il progetto viene chiamato
“maillé”, cioè “a maglia” perché a tavolino sono stati individuati poli alternativi a Parigi a da
potenziare. Lo scopo è quello di evitare il potenziamento eccessivo, la sovrappopolazione,
l’iperpendolarismo attorno a Parigi.
I diversi poli definiscono sei bacini di popolamento e di organizzazione dell’attività socio-
economica. Lentamente di passa da un monocentrismo a un policentrismo.
Derivano dalla struttura urbana e dai grandi assi di comunicazione accorpando le attuali 26 regioni
francesi. Località come Lille, Lione, Marsiglia come secondo livello dopo Parigi; Strasburgo e
Bordeaux come terzo, etc. Vengono accorpate anche città italiani confinanti, come Genova.
USA, Cina, Taiwan, Russia: policentrismo imperfetto
La rete urbana negli USA è estremamente fitta, specialmente a est con i grandi centri urbani come
Chicago o Detroit. A ovest la maglia diventa più rada, in quando la parte occidentale è meno
abitata, ci sono meno strade e meno interconnessioni: la maglia della rete urbana quindi si dilata.
A ovest ci sono città come San Francisco, il confine con il Messico e a nord col Canada.
La stessa cosa avviene in Cina: c’è una fitta rete urbana a est, lungo il warerfront, il fronte
pacifico. A est vi sono infatti città quali Pechino (la capitale), Nanjing, Suzhou, etc. Si tratta della
parte forte della Cina, la Cina storica che ha dominato. Andando verso ovest, la Manciuria, la
maglia è rada e a volte anche assente.
In Russia le zone sono invertite: a ovest vi è una fitta rete urbana (con città come Kaliningrad,
Mosca…); man mano che si percorre la Transiberiana, lunga via di comunicazione da ovest a est
della Russia, la rete urbana diventa più sottile e quasi inesistente.
Si ha quindi un policentrismo imperfetto, perché non equamente distribuito.
La realtà, quindi, è molto diversa rispetto a quello che aveva immaginato Christaller. Nel suo
modello le città erano esagoni perfetti, i collegamenti non erano interessati da montagne e le
temperature erano ottimali ovunque. Non teneva conto delle montagne, della Siberia con clima
estremo. La sua teoria spiega dove sono le località che si distribuiscono in base alle funzioni; nella
realtà bisogna contare altre cose (vicinanza o lontananza al mare, clima…). I centri tendono a
crearsi nelle aree preferite dagli abitanti.

Oltre la città: le megalopoli


La percentuale di popolazione urbana, ormai, è cresciuta ovunque in misura rilevante a causa del
fenomeno dell’urbanizzazione. L’entità della crescita urbana varia in base al paese, e ognuno ha
caratteristiche differenti. Tuttavia, ci sono due caratteristiche comuni:
1. La percentuale di persone che abitano la città è sempre più in aumento
2. Le dimensioni della città tendono a crescere
A parlare di megalopoli fu per primo il geografo francese Jean Gottmann negli anni ’60 del 1900.
Le megalopoli sono alcune grandi regioni urbanizzate, nelle quali sono presenti diverse grandi
aree metropolitane oltre a numerosi altri centri di varie dimensioni, in modo da formare vere e
proprie costellazioni di città. Si tratta quindi di un’estesa area urbanizzata all’interno della quale si
sono fuse più città.
La megalopoli simboleggia la crescita della vita urbana e una mutazione dei modelli di
comportamento economico, politico, sociale e culturale.
La megalopoli comprende sia aree urbane a edificazione continua sia aree in cui gli usi del
territorio possono essere prevalentemente rurali.
Le prime megalopoli
Europa occidentale,
BosWash,
Giappone centrale
Queste sono le prime megalopoli, le
più vecchie.

Le megalopoli americane
BosWash è una megalopoli che include una fascia urbana quasi continua, che si estende da
Boston (a nord, nello stato del Maine) fino a Washington (a sud, nella Virginia).
È una megalopoli tra le più antiche, con un’estensione di più di 1000 km. Include numerosi centri
urbani, come Providence, New York, New Jersey, Philadelphia, Baltimora.
Questa megalopoli si collega ad un’altra, che ha come acronimo ChiPitts: si tratta di una
megalopoli che si estende da Chicago a Pittsburg. Attraversa città come Detroit e Cleveland. Si
estende sul confine tra gli USA e il Canada.
Attraverso il centro di Buffalo, ChiPitts si collega ad un’ulteriore megalopoli canadese, che si
estende da Montreal a Windsor, città situata di fronte a Detroit. Abbiamo quindi due grandi
megalopoli americane (BosWash e ChiPitts) e una canadese.
Nella parte occidentale del continente vi sono altre due megalopoli pacifiche (perché si affacciano
sull’oceano pacifico). Una è estesa a nord nella zona di Vancouver, in Canada e include città fino a 8
milioni di abitanti. La seconda megalopoli pacifica si estende a sud: da San Francisco, lungo lo
stato della California, Arizona e infine a Tucson.
Si tratta di megalopoli, soprattutto BosWash, che racchiudono il cuore politico e amministrativo
degli USA.
La Megalopoli BESETO
La megalopoli di BESETO si estende da Beijing (Cina), per Seoul (Corea del Sud) fino a Tokyo
(Giappone). Si tratta di una conurbazione con un movimento quasi ad onda. Ha un’estensione che
include più stati dell’Asia.
Si tratta di una megalopoli che non solo include aree urbane a edificazione continua, ma include
anche aree utilizzate in maniera rurale.
La megalopoli Lagos
Si tratta di una megalopoli “del futuro”, perché è in via di costruzione. Si trova in Nigeria e si è
costituita intorno al centro di Lagos, città fondata nel quindicesimo secolo dai portoghesi
nell’Africa occidentale (sull’oceano Atlantico). Nasceva come porto commerciale per il traffico e
il commercio dell’avorio, degli schiavi e delle spezie.
Ospitava 25.000 abitanti su una superficie di 5km². Nel 1900, da questo centro la città comincia a
espandersi nella parte sud. Negli anni ’60 e ’80 ebbe invece inizio la sua grande espansione
all’interno del territorio nigeriano, andando ad urbanizzare vaste aree un tempo composte da
mangrovie, foreste e lagune. Oggi, Lagos è una megalopoli di tutto rispetto. Vi abitano milioni e
milioni di abitanti. Vi sono aree residenziali di lusso, ma anche grandi slums.
Oggi, Lagos ha 21 milioni di abitanti. La maggior parte di essi ha standard di vita bassissimi,
vive in baracche fatiscenti. C’è una mancanza servizi primari (strade, acqua potabile, elettricità,
fognature), microcriminalità dilagante, burocrazia arbitraria e corrotta. Vi sono inoltre enormi
problemi infrastrutturali, sociali e ambientali ma anche ambiziosi progetti di ammodernamento.
Si tratta di una megalopoli molto contraddittoria. In gran parte è occupata da slums, ma è anche
sottoposta da qualche decennio a progetti ambiziosi di ammodernamento. È stata la capitale della
Nigeria fino agli anni ’80, dopodiché è stata spostata. È rimasta comunque il grande centro
economico della Nigeria.

A Lagos c’è un quartiere particolare chiamato Makoko, definito “la Venezia nera” perché costruito
su delle palafitte nel mare. In questo quartiere è molto diffusa la lingua francese. Si tratta di una
bidon-ville abitata da un numero imprecisato di profughi dal Benin. Ha iniziato la sua crescita
verso la fine degli anni ’80, quando in Benin iniziò un periodo di turbolenza politica che causò
l’immigrazione in Nigeria.
Makoko è stata in parte smantellata a partire dal Luglio 2012, quando le autorità nigeriane hanno
ordinato la sua distruzione. Si diceva soprattutto che questo smantellamento fosse nato per motivi
di ordine pubblico (igiene, sicurezza). In realtà, altri motivi sottendono la distruzione di Makoko:
sicuramente motivi di ordine politico (i rapporti politici tra la Nigeria e il Benin non erano dei
migliori, dunque si voleva frenare questo flusso migratorio); Makoko si trova inoltre in un’area
strategica perché si affaccia sull’oceano: c’è la volontà di smantellare parte della bidon-ville per
ricavare territorio da adibire all’attività turistica.
In particolare, la necessità dello smantellamento nasce quando si avvia l’ambizioso progetto in
Nigeria di costituire la cosiddetta Eco Atlantic City, ossia dare a Lagos un’aria ecologicamente di
alto livello; ma soprattutto dar vita ad un progetto di edificazione per residenze elitarie e
infrastrutture alberghiere per ricavarne flusso turistico. Si vuole quindi dare a Lagos un’aria
turisticamente appetibile. Il progetto ha previsto la costruzione di una grande isola artificiale sul
mare che possa ospitare circa 50.000 persone. Si vuole dunque creare un grande quartiere, coi
caratteri tipici della omologazione turistica universale. Questa porzione di città deve inglobare le
élites di Lagos e i turisti in una sorta di geografia del benessere di carattere transnazionale. Questo
progetto ricorda quanto è stato realizzato a Dubai: sottrarre spazio al mare, avviare un progetto con
torri residenziali, centri dirigenziali, centri commerciali, edifici culturali, resort turistici, grattacieli.
Quest’area viene presentata come ecosostenibile, smart (intelligente).
Al di fuori di questa città, abbiamo la restante parte di Lagos caratterizzata per lo più da
insediamenti informali, slums, spazi del degrado fisico, economico e sociale.
A Lagos c’è dunque questa contrapposizione: insediamenti informali dove vive la gran parte della
popolazione; comunità chiusa, gated-community, enclave per ricchi e turisti.
Uno sguardo all’Africa occidentale
L’esempio di Lagos come megalopoli africana non è l’unico. Una grande area urbanizzata si estende
lungo la costa che si affaccia sull’oceano Atlantico. Le grandi aree urbanizzate, generalmente
nascono attorno ai centri politico-economici dell’Africa, attorno alle capitali, che accolgono gran
parte della popolazione che dalle aree rurali si spostano nelle aree urbane.
Accra, in Ghana, è un esempio di città che ha esteso i propri tentacoli dalla costa all’entroterra
dando origine ad una megalopoli che include anche le aree, il cui uso del territorio ha fini rurali.
Accra ha al suo interno un grande quartiere: Agbobloshie, famoso perché accoglie, da ogni parte
del mondo, i rifiuti elettronici. Importa gli scarti dei componenti elettronici, apparecchi elettronici
vecchi e rotti. Abbiamo qui il più grande commercio mondiale di rifiuti elettronici, che arrivano da
ogni parte del mondo. Qui vengono in parte smantellati e in parte rigenerati per essere rivenduti
sul mercato africano dei prodotti elettronici. L’inquinamento ambientale è naturalmente elevato.
Ogni anno arrivano milioni e milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, che vanno ad impattare
sull’ambiente e sull’attività economica di Accra.
Soprattutto in Africa, quindi, di vede molto bene che la megalopoli è contrassegnata non solo da
aree urbane a edificazione continua, ma anche da aree rurali. Urbanizzazione e ruralizzazione si
fondono nelle megalopoli.

25.11.2020
La megalopoli europea
Si estende dall’area londinese fino al contesto italiano. Questa megalopoli viene chiamata Banana
blu.
Banana blu è un termine usato per indicare una dorsale economica e demografica dell’Europa
occidentale. Il nome si espira alla sua forma curvata e al colore dominante della bandiera dell’UE.
Questa dorsale è conosciuta anche come megalopoli europea.
Tale termine apparve per la prima volta nel 1989, quando l’istituto Reclus di Montpellier realizzò
uno studio le cui conclusioni evidenziavano un corridoio urbano coerente di forma ricurva, esteso
da Londra a Milano (oggi scende fino a Roma), centro principale dello sviluppo spaziale
europeo. Le regioni coinvolte erano il bacino londinese, il Benelux, la
frangia nord-orientale della Francia, la valle del Reno, la metà
occidentale della Baviera, la Svizzera e il nord Italia.
Tocca il centro economico, commerciale e politico dell’Europa. Si
interseca col l’arco alpino, oltrepassandolo fino all’area padana. Oggi
si dice che prosegua fino a Roma. Ciò che caratterizza questo
corridoio è sicuramente i grandi flussi di traffico che si snodano
all’interno di quest’area. Presenta quindi uno degli elementi fondanti
delle megalopoli, ossia la connettività, la connessione, i flussi di traffico, la mobilità umana e di
merci.
Le città globali (world cities)
Sono luoghi in cui si concentrano attività quaternarie. Sono città altamente specializzate. Si
tratta di punti strategici per la gestione dell’economia globale, la produzione dei servizi avanzati
e lo svolgimento delle operazioni finanziarie.
Hanno specifiche caratteristiche, come ad esempio la presenza di sedi direzionali delle imprese
transnazionali, la presenza di infrastrutture di livello elevato e la multiculturalità.
Per Saskia Sassen le città globali operano come:
1. Punti direzionali di organizzazione dell’economia globale;
2. Località chiave per le società di servizi finanziarie e specialistiche;
3. Luoghi di produzione e innovazione dei settori avanzati;
4. Mercati per i prodotti e le innovazioni create.
Qui vengono riportati gli elementi che creano il profilo di una città globale.

Sono città in grado di


accogliere scuole,
eventi, congressi
internazionali; alberghi che danno alla città possibilità di accogliere attori stranieri o
internazionali. Possiede i mass media con maggiore influenza. La CNN è un mass media con una
valenza internazionale, arriva ovunque: le città americane che la ospitano (es. New York)
acquistano un posizionamento globale. Sono punti importanti anche per le rotte aeree o morine.
Sono città (Los Angeles, NY, Londra, Amsterdam, Parigi, Madrid…) interconnesse con altre città
globali in altre parti del mondo.
Quindi, la città globale ha una presenza di multiculturalità e transculturalità elevata.
Le città globali universalmente riconosciute sono principalmente tre:

 Londra
 New York
 Tokyo
Ospitano servizi transnazionali; sono unite in complesse reti che controllano l’organizzazione e la
gestione del sistema di finanza globale; sono interconnesse grazie ad avanzati sistemi di
comunicazione fra governi, aziende, borde e mercati finanziari e delle merci, grandi banche e
organizzazioni internazionali.
Londra, New York e Tokyo sono conosciute come tre grandi città globali a livello storico. Nel
mondo ve ne sono però moltissime, anche di livello inferiore. Si collegano per moltissimi motivi
diversi. Vanno a creare il sistema urbano a livello globale.
Nelle città globali hanno sede le
grandi aziende. Le prime 200
multinazionali hanno sede in
queste città.

Vi sono anche altre realtà, oltre alle città globali, che sono sedi di grandi multinazionali tra le prime
200 per importanza e dimensione. Si tratta di paesi come la Svezia, il Brasile, il Canada. Emergono
con le loro città dove vi sono imprese transnazionali.
Sono i paesi che definiamo sviluppati dal punto di vista economico ad avere la meglio per la
presenza di multinazionali. Anche nei paesi in via di sviluppo sono presenti queste imprese, anche
se di un rango minore.
The GaWC inventory of world cities
Ogni anno viene stilata una graduatoria delle principali città globali. Tra le tante classificazioni,
una delle più autorevoli è quella dell’istituto di ricerca londinese GaWC (Globalisation and World
Cities Reseurce Netword). È un istituto di ricerca che studia le relazioni delle città del mondo. Ha
sede nel Regno Unito. Fu fondato nel 1998 dal geografo Peter Taylor insieme a Richard Smith. Il
fine è quello di dare una categorizzazione alle città del mondo, che viene fatta tenendo conto di
cinque parametri principali:
1. Si valuta il grado di affari della città, su che livello si pone
2. Se si tratta di città che accolgono un capitale umano ad un livello elevato
3. Se si tratta di città che portano avanti uno scambio internazionale di informazioni
4. L’esperienza culturale a livello internazionale della città
5. L’impegno politico a livello locale e internazionale della città

Sempre questo istituto di ricerca britannico classifica le città secondo tre livelli:

 Livello alpha – città collegate ai principali stati e alle principali regioni economiche
mondiali, maggiormente intrattengono relazioni economiche col resto del mondo (Londra,
Parigi, New York, Chicago, Milano, Francoforte…)
 Livello beta – città collegate in maniera più moderata. Sono città globali a livello
intermedio (Mosca, San Francisco, Mexico City, Toronto, Bruxelles…).
 Livello gamma – città che collegano regioni economiche più piccole all’economia
mondiale. Hanno un livello più basso di interconnessione economica a livello globale
(Montreal, Roma, Monaco, Instanbul…).
Questa classificazione considera l’elemento economico della città in maniera preponderante
rispetto ad altri fattori come quello politico o culturale. L’apporto economico della città al mondo è
quasi la sua caratteristica più importante.
Le aree metropolitane in Italia
Sono regioni politico-amministrative che cercano di considerare gli effettivi legami funzionali del
centro urbano con le aree circostanti.
Sono fondamentali in particolare per tutte le politiche di gestione e pianificazione urbana che, per
essere efficaci, non possono considerare solo i confini amministrativi delle città ma devono
comprendere anche i centri limitrofi.
Affinché vi sia un’area metropolitana serve:

 Un numero significativo di abitanti


 Un numero elevato di popolazione impiegata in attività extra-agricole negli altri settori
produttivi (secondario, terziario, quaternario)
 Una certa percentuale di popolazione che vive da pendolare ogni giorno (mobilità per
lavoro e degli scambi materiali e immateriali).
Per delineare gli elementi caratterizzanti di un’area metropolitana è necessario vedere le funzioni
da lei svolte:
1. Pianificazione territoriale e paesaggistica metropolitana. Si tratta di una funzione
imprescindibile dell’area metropolitana, perché il centro urbano tiene legato a sé un’area
circostante; è quindi di vitale importanza la pianificazione.
2. Reti infrastrutturali condivise e servizi a rete. Tutto il sistema infrastrutturale viene
gestito all’interno dell’area metropolitana seguendo una pianificazione territoriale gestita
dalla città che predomina all’interno dell’area.
3. Piani di traffico e mobilità intercomunali
4. Tutela e valorizzazione dell’ambiente e rilevamento dell’inquinamento acustico e
atmosferico
5. Interventi di difesa del suolo e di tutela idrogeologica
6. Raccolta, distribuzione e depurazione delle acque
7. Smaltimento e raccolta differenziata dei rifiuti
8. Grande distribuzione commerciale
Le aree metropolitane in Italia sono normate dalla legge del 7 aprile 2014 n. 56, o Legge Delrio; che
ha creato 14 città metropolitane in Italia. Essa fornisce specifici criteri per la delimitazione delle
aree metropolitane. Vengono definire aree metropolitane “quelle parti di territorio costituite da
una città centrale e da una serie di centri minori ad essa uniti da contiguità territoriale e da
rapporti di stretta integrazione in ordine all’attività economica, ai servizi essenziali alla vita sociale,
ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e culturali”.
Si ribadisce il fatto che la città centrale e i centri minori siano legati tra loro da attività di diversa
natura.
Le aree metropolitane in Italia sono:
 Torino  Roma
 Milano  Napoli
 Venezia  Bari
 Trieste  Messina
 Genova  Catania
 Bologna  Palermo
 Firenze, Prato e Pistoia  Cagliari
Queste aree ospitano quasi 22 milioni di abitanti (36% circa del totale) su una superficie di circa
47.000 km² (16% circa della superficie totale), con una densità di abitante più che doppia della
media nazionale (471 ab/km² contro 201 ab/km²). si trovano 1273 degli 8057 comuni italiani (il
16% circa).
Gli organi delle città metropolitane sono il sindaco, il consiglio e la conferenza. Il sindaco
metropolitano è di diritto il sindaco del comune di capoluogo. Il sindaco metropolitano della città
di Milano è sindaco solo della città di Milano; le aree attorno alla città hanno il proprio sindaco.
Nelle aree metropolitane italiane è concentrato circa il 60% del consumo nazionale. C’è una grande
mobilità umana e non soprattutto al nord, ma permane anche al centro per diminuire al sud.
Attorno alle grandi aree metropolitane del centro e nord Italia c’è maggiore domanda per quanto
riguarda la mobilità del trasporto ferroviario.
Gli eventi e la competizione urbana
Grandi eventi come le Olimpiadi, i Mondiali di calcio, le Esposizioni Universali, i G8 etc. sono
ormai componenti stabili di una nuova retorica urbana. Le metropoli che ospitano e
organizzano eventi li utilizzano per attuare una politica della rappresentazione al passo coi tempi,
per progetti e trasformazioni verso grandi opere e progetti di riabilitazione urbana, per rilanciare la
propria immagine in un contesto molto più competitivo rispetto al passato.
Gli eventi e la competizione urbana
È interessante analizzare il nesso tra i grandi eventi e le trasformazioni territoriali. Ci si interroga
su come le metropoli contemporanee colgono tali opportunità per rinnovare se stesse e la propria
immagine. Nuovi ceti dirigenti si formano o si consolidano; modelli culturali, consumi e stili di vita
si impongono o si rinnovano. La città viene “messa in scena”, come un teatro o una location.
Le gerarchie urbane
Le città sopravvivono non come singola entità spaziale, ma si costruiscono attorno a sé delle reti.
Entrano quindi nella gerarchia urbana, ossia un modo efficace per riconoscere le modalità di
organizzazione dei sistemi di città. La gerarchia assume la forma di una piramide:
 All’apice si trovano poche città grandi e complesse (aree metropolitane di alto livello
che offrono funzioni specializzate a grandi regioni circostanti)
 Alla base si trovano molti centri più piccoli e di struttura più semplice che servono zone
limitate circostanti.
Città piccole con medesime funzioni non tendono a servirsi a vicenda, a differenza dei
grandi centri che creano reti attorno a sé;
Invece, i centri piccoli che forniscono funzioni estremamente specializzate (come l’essere
sede di un ospedale o un’università, per esempio) forniscono servizi ad analoghi centri. Solo
in questo caso si crea una rete anche tra piccoli centri.
La classificazione delle città avviene sempre tramite le dimensioni e le funzioni che essa ha in sé, e
se esse sono o meno utili al territorio circostante.
Londra, Berlino, Parigi etc. sono città molto specializzate, quindi attorno a loro si è creata una
gerarchia urbana ed è possibile analizzare la relazioni tra di loro e i piccoli centri. In base a queste
gerarchie è possibile analizzare, tra le altre cose, che tipo di governance viene portata avanti (come
viene governato il territorio da un punto di vista sociale, economico, culturale…)
26.11.2020

La città europea e la reinvenzione del contesto urbano


Esempi di imprenditorialità urbana e place making
Vedremo come il contesto urbano può essere reinventato attraverso azioni di imprenditorialità
urbana e place making. Le pratiche di reinvenzione possono essere sia relative alla costruzione di
nuove aree, quartieri o realtà urbane; sia il risultato di determinati eventi che incidono sulla sua
estetica.
ESPON – European Spatial Planning Observation Network
ESPON (European Spatial Planning Observation Network) è un programma UE lanciato nel
quadro dell’iniziativa comunitaria INTERREG che mira alla creazione di un sistema
permanente di monitoraggio del territorio europeo, promuovendo la collaborazione tra i
Paesi membri, la Commissione Europea, gli Istituti di ricerca ed i servizi amministrativi competenti
in materia di sviluppo e gestione territoriale.
L’obbiettivo principale è quello di rafforzare la capacità istituzionale delle autorità pubbliche
e delle parti interessante, e un’efficienza maggiore dell’amministrazione pubblica. Si vogliono
sfruttare le possibili sinergie, attraverso una diagnosi delle principali linee di sviluppo
territoriale alla scala dell’Unione Europea e, allo stesso tempo, un quadro completo delle difficoltà
e delle potenzialità inespresse proprie dell’intero territorio europeo.
Per l’attuale periodo di programmazione dei fondi strutturali, il programma ESPON 2020 rientrerà
nell’obiettivo di cooperazione territoriale europea, con il coinvolgimento dei 28 Paesi membri
dell’UE, della Svizzera, del Liechtenstein, della Norvegia e dell’Islanda. Il budget ammonta a789
circa 49 milioni di euro.
Lo studio ESPON 1.1
ESPON punta a sviluppare la produzione di una conoscenza territoriale transeuropea comparabile
e sistematica.
Si elaborano politiche, si studia il policentrismo urbano europeo, si analizzano e classificano le
FUA (Aree Urbane Funzionali) europee (circa 1600), giungendo ad una graduatoria. A livello
continentale (europeo) le aree che possono essere considerate “nodi globali” sono Londra e Parigi.
In Italia Milano e Roma sono metropoli di categoria 1 chiamate “European engines”, “motori
dell’Europa”.
Bologna è l’unica città media (insieme a Napoli) fra le metropoli classificate come “Potential
MEGA’s”.
Genova è considerata una città “Weak MEGA” mentre Firenze e Venezia non sono comprese.
Con questo studio non si valuta l’importanza del turismo o dell’economia di una città; si valuta
quanto quella zona può essere funzionale per lo sviluppo di network di sviluppo territoriale.
Indicatori utilizzati nel progetto ESPON
Una volta identificate le diverse unità territoriali ESPON sviluppa un’analisi basata su un set di
indicatori. Questi indicatori sono, infatti, utilizzati per rappresentare ciascuna delle sette
dimensioni nelle quali si
articola la specializzazione
funzionale dei diversi
FUA.
All’interno di questi
indicatori rientrano tutti
quei corpi atti al
miglioramento e
l’implementazione tecnico
e tecnologica
dell’imprenditorialità
(start-up, acceleratori…).

Sulla base di queste sette diverse categorie di indicatori si procede alla definizione dei relativi
ranking. I FUA che presentano score (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In Italia ve ne
sono complessivamente 6.
Anche il grado e la possibilità di accogliere e attirare popolazione sono elementi determinanti del
grado di sviluppo territoriale di una determinata area. Le aree che attirano di più nell’Unione
Europea sono il nord Italia, la Germania, il Regno Unito. Le aree che allontanano di più sono il sud
Italia, la Francia, una parte della Spagna, quasi tutto l’est Europa.
Arte pubblica e Place Making al servizio del paesaggio urbano
Il place making è una pratica che permette di pianificare, gestire, progettare gli spazi pubblici. È
uno strumento molto utile per i processi guidati dalle comunità locali. Sono orientati al
miglioramento di una determinata area, che può essere un quartiere, una città o una regione.
Questa progettazione può avvenire da parte di due attori:
 Gestori pubblici, fondazioni (arte pubblica, installazioni, oggetti) a sostegno di narrazioni
collettive
 Artisti e creativi (art lead place making) in termini emozionali sensibili.
In generale, questo processo deve essere sensibile al contesto, transdisciplinare, collaborativo,
sociale, culturalmente consapevole, motivante. Deve rispettare tutta una serie di canoni.
Alcuni esempi alla scala locale: Torino, Glasgow, Barcellona e Vienna
Alcuni esempi alla scala locale di pratiche di place making sono Torino, Glasgow, Barcellona e
Vienna.
Molte pratiche di place making sono state motivate dall’accoglienza, da parte di queste città, da
eventi (a Torino le Olimpiadi invernali).
Le questioni dello sviluppo urbano e delle trasformazioni sono al centro delle agende politiche e di
sviluppo in molte città italiane ed europee.
Gli esempi di alcune città europee che possono essere considerate come modelli per un processo
dinamico di cambiamento urbano e di place making. L’analisi dei progetti a Torino, Glasgow,
Barcellona e Vienna consentono di scoprire cosa queste strategie hanno in comune, dove
differiscono e quali difficoltà potranno aspettarsi molte città che stanno lavorando su programmi
simili di cambiamento urbano.
L’obbiettivo del place making è la diffusione di un modello di sviluppo urbano e la promozione di
principi urbanistici più a misura d’uomo e più incentrati sulle persone. -> implementazione delle
interazioni sociali, miglioramento della qualità della vita comunitaria.
L’uomo è posto al centro di questa pratica, e la comunità locale diventa il punto di riferimento.
Torino e le Olimpiadi invernali
I Giochi Olimpici di Torino del 2006 sono stati preparati intensamente dalla città per 4 anni. Il
significato di ospitare i Giochi va oltre la semplice organizzazione della prestigiosa competizione
sportiva.
I Giochi invernali devono essere visti in un contesto più largo di ristrutturazione urbana e di
rinnovamento (post)industriale. I Giochi, oltre ad essere un mezzo per promuovere su scala
internazionale la città e la regione, permettono anche di accedere a fondi per investire in nuove
infrastrutture, nella cultura e nell’arredo urbano.
A Torino, per esempio, si è investito nell’allacciamento alla rete dei treni europei ad alta
velocità, nel miglioramento del sistema di trasporto locale grazie ad una nuova metropolitana e
si sono messi in opera altri 80 singoli progetti urbani, fra i quali spicca il progetto chiamato “spina
centrale”.
La città e gli eventi
Approfittare di un evento internazionale spettacolare per concretizzare dei progetti di sviluppo
urbano è uno schema utilizzato con più o meno successo da altre città europee prima di Torino.
Vi sono esempi di altre città europee che hanno conosciuto esperienze o strategie simili di
cambiamento urbano in una prospettiva di trasformazione globale dell’immagine della città.
Glasgow, Barcellona e Vienna hanno punti comuni, differenze e difficoltà che si nascondono in
questi ambiziosi progetti di cambiamento urbano, promossi dagli attori pubblici e privati in molte
città europee ed extra-europee.
Uno degli esempi più eclatanti di oggi sono tutte le pratiche di rinnovamento urbano in Qatar, con
la preparazione del Fifa World Cup del 2022. Si tratta della creazione da 0 di una città che ospiterà
un numero di stati finalizzati ad ospitare l’evento. Si tratta di un evento straordinario.
In Europa, a Glasgow è stato creato il Clyde waterfront, sul fiume Clyde in Scozia. È stato fulcro di
circa 200 progetti di place making e rinnovamento urbano sui due lati del fiume. Ha implementato
investimenti interni e turismo, e ne hanno potuto beneficiare le comunità locali. Chi ha coordinato
e promosso questa rigenerazione è stata una partnership tra il Governo Scozzese, la Scottish
Enterprise e le autorità locali di Glasgow.
A Barcellona vi sono grandi eventi (World Architecture Festival del 2010), la World
Championship, manifestazioni, etc. Quando si creano occasioni per la comunità locale di agire
unitamente (anche grazie a progetti che favoriscono la collaborazione all’interno della
popolazione), si può creare una connessione che parte dalla comunità stessa.
Anche a Vienna ci sono state diverse occasioni di rinnovamento.
Cambiare la struttura urbana: verso una città postfordista?
Per parlare di cambiamento locale bisogna tener conto sicuramente anche delle trasformazioni
economiche e politiche a scala globale; in effetti, solo grazie ad un’analisi del quadro generale ci si
può fare un’idea dei problemi che coinvolgono la scala locale.
I processi globali di ristrutturazione economica comportano una complessa varietà di processi
territoriali, paesaggistici, sociali, economici e politici e sono interpretati in modi diversi dalla
comunità scientifica:

 Il passaggio da un sistema “fordista” a un sistema “postfordista”;


 Il segno della nuova era della “postmodernità”;
 Gli effetti della “globalizzazione”, della mondializzazione e dei nazionalismi.
Questi processi riguardano strettamente la socialità e l’uomo come figura centrale. C’è una forte
connessione tra quello che accade a livello globale le modifiche attuate a livello locale.
Milano è passata, come altre città, da uno stato preindustriale ad uno postindustriale. Ha
affrontato momenti storici
molto intensi (boom
economico dal 1950 al
1980 circa, creazione del
“Pirellone”, palazzo Pirelli,
l’edificio più alto europeo sino al 1966, simbolo della regione Lombardia, quartiere Sant’
Ambrogio…).

Il “Progetto Casa” fu approvato nel novembre 1982, era volto ad incrementare l’offerta di aree per
l’edilizia residenziale (privata e pubblica). Comprendeva create 19 nuove aree di espansione: 2.000
alloggi di edilizia pubblica, 1.400 di edilizia privata e 4.500 in forme integrate.
I quartieri Bicocca, Bovisa, Ginori e Falk Redaelli sono gli ultimi quartieri rinnovati.
L’Expo 2015 è stato un evento che ha notevolmente cambiato la natura e l’immagine della città
milanese. Milano era già stata sede dell’Esposizione Internazionale col tema dei trasporti. Nel 2015
il tema era il cibo. Il fulcro era il diritto inalienabile dell’uomo all’alimentazione. Il messaggio era
che l’alimentazione dovesse essere sana, sicura e disponibile a tutti gli abitanti della terra. Questo
ha dato a Milano una certa notorietà a livello internazionale. Il logo era stato il risultato di un
concorso pubblico aperto a studenti delle facoltà di architettura, design, arte, moda, etc. L’anno di
nascita della società per l’Expo 2015 è stato il 2009. Il costo è stato di più di 2 milioni di euro. Ciò
ha portato ad un esito molto positivo, in generale, per la città milanese. I terreni su cui è sorto il
sito non erano di proprietà pubblica ma suddivisi tra Fondazione Fiera Milano e la Società
Belgioiosa della famiglia Cabassi. Sono stati creati molti posti di lavoro, stage per giovani, etc. Ciò
ha portato un miglioramento delle condizioni della comunità locale.
30.11.2020
Milano è una città molto interessante, scelta come esempio perché in essa si trovano molte
tendenze dei paesi avanzati di oggi. Vi sono molti investimenti sia provenienti dall’esterno che
dall’interno volti a ridisegnare sia l’urbs (parte fisica e materiale della città) che la civitas (legata
all’appartenenza, alla cittadinanza) milanese. Tempo fa, Milano era solo la città dove andare a
lavorare e da cui scappare nel weekend per andare in campagna. Dal 2000 è diventata una città
dove poter passare anche il proprio tempo libero, con visitatori da altre regioni, da altre parti della
Lombardia, altri paesi o continenti.
Gli ambiti della trasformazione urbana possono essere legati all’aspetto fisico (ricostruzione di aree
dismesse o abbandonate come in Bovisa, aree ferroviarie dismesse, magazzini dimenticati); mentre
nelle aree lungo il margine della città troviamo aree protette (Navigli, parco delle Abbazie,
Idroscalo…).
In molte città del mondo vi sono grandi trasformazioni urbane. La città diventa uno sfondo, nel
quale le esperienze dei turisti e dei cittadini trovano appagamento. La città diventa spesso uno
scenario per i selfie, per alimentare l’immagine della città aperta sul mondo, del sistema mondo.
Alcuni esempi sono il recupero dell’ex area della fiera campionaria col progetto di città verticale
(city life), la creazione della nuova area fieristica alla periferia nord-ovest, ossia lo spazio di Rho
Fiera; la nuova sede di Unicredit in prossimità di Porta Garibaldi dove c’è la torre più alta in Italia;
il palazzo della Regione Lombardia che ha sostituito il vecchio Pirellone.
Vediamo questi esempi, che possono essere applicati anche a qualsiasi altra città in via di sviluppo
che ridisegna il proprio aspetto dell’urbs e della civitas per mantenere la competizione con le altre
città.
City life
La vecchia area della fiera campionaria era al margine ovest della città di Milano è poi diventata,
nei decenni di sviluppo della città, parte integrante dello sviluppo urbano. Non bastava più per le
attività fieristiche che si dovevano svolgere, per cui il grosso delle attività è stato delocalizzato a
Rho Fiera. Sono presenti oggi giardini verdi, spazi residenziali e altri dedicati ai servizi nelle
torri, dove hanno sede importanti compagnie assicurative. C’è uno dei più grandi centri
commerciali che si hanno in Italia. Questa vecchia fiera campionaria ha quindi lasciato il posto ai
grattacieli. Si tratta di una città verticale.

Il collegamento degli aeroporti milanesi


È stata creata una nuova dorsale urbana che collega i tre aeroporti milanesi. Quest’area urbana di 5
milioni di abitanti inseriti in una regione di 10 milioni (la Lombardia), inserito in un nord Italia di
quasi 20 milioni di abitanti; aveva bisogno di infrastrutture e aeroporti molto ampie. I tre aeroporti
sono di Malpensa, Linate, Orio. C’è una specializzazione tra low cost, servizi legati alle realtà
europee e continentali. I tre aeroporti sono collegati tra di loro anche grazie a reti ferroviarie e
stradali. La mobilità è estremamente fitta in questo luogo.
Milano: una città “europea”
Milano è certamente una città italiana, ma alcuni scenari milanesi in alcune parti della città
ricordano poco l’Italia e più l’Europa.
È il più importante centro economico e finanziario d’Italia, e uno dei più importanti a livello
europeo. Il suo ranking è al vertice del nostro paese, non esiste nessun altro centro in Italia che ha
questa importanza. Già il suo nome iniziale “mediolanum”, città a metà strada dei commerci,
auspicava questa grande capacità terziaria e quaternaria milanese. In molti vengono a Milano per
studiare gli ambiti più “frivoli”, più legati al consumo.
È invece piuttosto estranea e poco interessata la dimensione della politica. A parte piccoli momenti
della storia, Milano non ha mai avuto un ruolo particolarmente importante da questo punto di
vista.
Lo spazio urbano della città è stato ben strutturato:

 Il centro storico: la Borsa, le banche, gli uffici, i servizi e le infrastrutture per l’economia,
il turismo e lo shopping. Vi sono eventi legati al Natale, le novità da parte di aziende
straniere, etc. Si tratta del centro “salotto”, del tempo libero, della multiculturalità.
 I quartieri residenziali e quelli “specializzati” per la moda, design, articoli di lusso, o
divertimento (Navigli), settore quaternario.
 I quartieri “etnici”, le periferie in quartieri più esposti al degrado e la “città diffusa” (area
metropolitana milanese).
Milano è molte cose. Il ridisegno della città della globalizzazione è molto forte. La gentrificazione
del turismo e del tempo libero. I lanci pubblicitari delle varie catene di prodotti di vario tipo. La
città come bosco verticale, per sostenere la
visione della sostenibilità, della smart city.
La città che ridisegna lo skyline, dove anche
vecchi grattacieli degli anni ’60 prendono un
nuovo aspetto. È una città sempre più in alto,
che si è molto espansa durnate il tempo, fino
al Ticino e all’Adda.
Fuori, lungo per esempio i navigli c’è un recupero delle cascine e dei palazzi dove la nobiltà andava
tempo fa per scappare dall’aria pesante delle città, che oggi tornano ad essere viali o piste ciclabili
facilmente raggiungibili dalla città.
Le trasformazioni urbane
L’impatto di questi cambiamenti strutturali si fanno sentire soprattutto nelle agglomerazioni
urbane, perché “le città rappresentano i centri nodali delle trasformazioni globali, i luoghi in cui i
cambiamenti sono realizzati e sperimentati” (Castells).
Dagli anni ’80 in poi, nelle agglomerazioni urbane europee si percepiscono i primi sintomi della
crisi economica. In molti dei vecchi centri industriali si assiste all’aumento della disoccupazione
strutturale, alla deindustrializzazione e alla differenziazione del mercato del lavoro, i quali
procurarono (o accentuarono gli esistenti) problemi sociali.
Di fronte a questa crisi, lo Stato (come abbiamo detto nelle lezioni di geografia politica) nazionale
ha acquisito maggiori competenze, delega maggiori poteri alle istituzioni locali (regioni o comuni),
ormai diventate “attori importanti nella ricerca di nuove idee per stimolare la crescita economica
locale” (MacLeod/Goodwin, 1999).
Le nuove strategie urbane rispecchiano il carattere del capitalismo del XX secolo. La flessibilità
dei processi di produzione, dei movimenti di capitale e delle forme di comunicazione creano
competizione fra le diverse città, non solo all’interno di uno stato ma sempre più anche alla scala
internazionale.
La competizione tra città (soprattutto per gli investimenti e i posti di lavoro) e i fattori “soft”
di localizzazione (immagine, sicurezza, tempo libero, benessere, place making, ecc.) sono oggi
molto importanti. Alle amministrazioni della città viene chiesto non solo di occuparsi della parte
amministrativa della città, ma anche di trasformarsi in attore capace di proiettare l’area urbana nel
mercato globale. Se non si fa questo, la città resta indietro.
Le strategie d’attrazione degli investimenti nelle agglomerazioni urbane sono applicate in vari
settori. Si sperimenta, si fanno delle performance in vari settori, quali per esempio l’educazione
(learning regions) o la cultura (eventi, festival, mostre, ecc.), e sono spesso connessi a progetti che
dovrebbero fungere da motori dello sviluppo urbano.
Le strategie rispecchiano le nuove tendenze globali del marketing urbano, ma sono incorporate in
uno specifico contesto locale (urban entrepreneurialism).
L’obiettivo supplementare di modificare l’immagine della città crea
una simbolica positiva e dinamica, ma spesso disputata localmente
perché non è solo creatrice di benefici per la città (Swyngedouw,
2003).
“I am Amsterdam” ma anche “I love Amsterdam”.

Sistemi ecologici e paesaggistici in ambito urbano – l’impronta ecologica


Secondo la geografia storico-ecologica, nel momento in cui si vuole rappresentare lo stato di salute
di un’ambiente umano, osserviamo che in origine l’ambiente umano è caratterizzato da una totale
assenza di impatto antropico, o comunque minimo rispetto alla matrice naturale presente.
La presenza degli elementi naturali è sempre meno nel tempo. La riduzione degli elementi naturali
diminuisce con l’aumentare dell’impatto antropico.
Città e aree urbane: un sistema eterotrofo
“La città è un incompleto ecosistema eterotrofo, dipendente da ampie aree limitrofe per l’energia,
il cibo, le fibre, l’acqua e gli altri materiali” (Odum 1988). La città dipende dalle aree circostante per
quanto riguarda l’approvvigionamento di energia, cibo, fibre, acqua e altri materiali. Ogni città, per
la propria sopravvivenza, necessita di altre città.
Il metabolismo della città è molto intenso. Il flusso di energia è elevato (e proviene in gran parte da
combustibili fossili inquinanti): c’è forte richiesta di beni da consumare (acqua, cibo,
combustibili fossili, materie prime) e notevoli quantità di materia in uscita (rifiuti, acque reflue,
inquinamenti di vario tipo, etc.). Se da un lato la città importa dalle aree circostanti ciò di cui ha
bisogno; dall’altro alto esporta anche molti materiali in uscita.
Anche all’interno dell’ecosistema urbano, si riconoscono anche alcune componenti autotrofe: verde
urbano, alberi, arbusti, orti, prati, stagni. Esse non sono però sufficienti da sole a sostenere la
popolazione urbana e a contrastare le negatività indotte dai trasporti, dalle attività domestiche e
produttive, etc.
Le città occupano oltre il 5% della superficie terrestre, ma il loro impatto urbano è molto più
ampio, comporta modifiche agli ecosistemi naturali e una gestione “impegnativa”.
Il divario energetico tra spazi urbani e rurali e tra le diverse regioni è molto variabile:
- 1 ettaro di metropoli consuma 1000 volte l’energia di un’area equivalente di spazio rurale.
Oltre a ciò, produce calore, polveri e inquinamenti in grandi quantità. Per queste ragioni
apporta significative modifiche micro-climatiche;
- Negli USA per attività domestiche, industriali e commerciali, di trasporto e culturali, si
utilizza 86 volte più energia, rispetto a quella che sarebbe necessaria per i soli bisogni
fisiologici;
- Nei paesi in via di sviluppo (India, Pakistan…) il consumo di combustibile è rispettivamente
50 e 100 volte inferiore rispetto a quello degli USA, ma sta aumentando e creando più
problemi.
Le aree urbane sono un parassita dell’ambiente non urbano perché non producono o producono
poco cibo o altri materiali organici, non depurano l’aria e non riciclano l’acqua o i materiali
inorganici. La città prosciuga ciò che l’intorno produce in termini di materiale organico. Le città
non depurano l’aria, non riciclano l’acqua se non in rari casi (città smart che utilizzano tecnologie
4.0, città molto all’avanguardia come ad esempio Dubai negli Emirati Arabi Uniti).
Nel contempo esse sono anche un simbionte della campagna, perché le aree urbane producono
ed esportano merci e servizi, capitali e cultura vero le zone rurali, che arricchiscono l’ambiente non
urbano e costituiscono la contropartita per le merci e i servizi ricevuti.
Da un lato la città usa e consuma il territorio circostante; dall’altro arricchisce l’ambiente limitrofo
non urbano fornendogli merci e servizi che produce.
Ogni area urbana ha una propria richiesta. La richiesta pro-capitale di un’area urbana è costituita
dalla quantità di cibo prodotto da un ettaro di coltivazioni, dalle quantità di legno e carta prodotte
da mezzo ettaro di foreste e da 8000 litri di acqua al giorno. Questi calcoli che indicano le richieste
pro capite dell’area urbana definiscono l’impronta ecologica di un sistema urbano.
Impronta ecologica urbana
Si tratta della superficie di ecosistemi produttivi necessaria per sostenere i consumi di
una determinata specie. Si esprime come numero di ettari per individuo e dipende dal tipo di
risorse consumate, dalle modalità di questo consumo (tecnologia), dai rifiuti prodotti ed
eventualmente assorbiti. In particolare, l’impronta ecologica misura quanta superficie di terreno
biologicamente produttivo e di acqua una area urbana richiede per produrre tutte le risorse che
consuma e per assorbire i rifiuti che genera con la tecnologia e le tecniche di gestione.
Come calcolarla?
L’impronta ecologica, in sintesi, misura la domanda di consumo di risorse dell’uomo nei
confronti del nostro pianeta. Calcolando l’impronta ecologica, si ottiene un valore che indica di
quante risorse naturali l’uomo ha bisogno. Il consumo pro capite di risorse naturale viene poi
confrontato con la capacità della Terra di generare tali risorse.
Attualmente, l’impronta ecologica globale ha superato la biocapacità della Terra del 50%, che
significa che l’umanità attualmente consuma in un anno tante risorse quante gli ecosistemi terrestri
potrebbero ricostruire in un anno e mezzo. Questa è una conferma quantitativa dello stato di
overshoot ecologico della nostra specie. Ciò che consumiamo in un anno non viene ricostituito
dalla Terra nello stesso tempo. La terra “rimane indietro” rispetto a noi.
L’impronta ecologica (IE) di Wackernagel e Rees (1996)
Questo calcolo relativo all’Impronta Ecologica fu fatto per la prima volta nel 1996 dal gruppo di
lavoro di Rees. Secondo questi calcoli, l’IE di Londra è di quasi 5 ettari per abitante, ovvero circa
120 volte la sua superficie. Si tratta di una delle aree metropolitane più inquinate del mondo.
2.12.2020

Sistemi ecologici e paesaggistici in ambito urbano


Uno spazio urbano utopico: la città-giardino
L’idea della città giardino nasce alla fine del 1800, nel momento di pieno sviluppo industriale
europeo. Howard, uno studioso, pubblicò lo schema della
città-giardino nel suo libro nel 1899.
Questo modello prevede lo sviluppo della città secondo dei
cerchi concentrici per aiutare i cittadini ad avere una
qualità di vita migliore negli spazi urbani. Howard scrive
nel pieno fermento industriale, e in particolare nel contesto
inglese. Sottolineava già quanto gli spazi urbani fossero in
piena trasformazione in virtù dello sviluppo industriale.
Metteva in rilievo il forte inquinamento e la necessità di
reinserire delle aree verdi.
All’esterno di questa struttura urbana si sarebbero poste le
fabbriche, al di là delle quali ci sarebbero stati i terreni
agricoli, le stazioni ferroviarie e i collegamenti stradali.
L’inserimento di aree verdi nella città, secondo Howard, ne
limita la crescita smisurata e la speculazione edilizia
che determina l’uso intensivo del suolo.
Ogni città non avrebbe dovuto avere più di 30 mila abitanti e la cintura agricola non più di 5.000.
La creazione di una rete di garden cities sarebbero dovute essere collegate da mezzi di
comunicazione rapida, creando una rete di garden cities (all’agglomerazione sostituire la
dispersione pianificata).
Questo modello fu messo in atto per la prima volta in Inghilterra, nel 1903.
Letchworth, la prima città giardino d’Europa
Fu fondata nel 1903 a 50 km da Londra con l’obbiettivo di frenare l'espansione incontrollata
delle città e l'abbandono delle campagne, e di unire i vantaggi della vita urbana ai piaceri della
campagna.
Il fallimento – il modello della città giardino di Howard non ebbe grande successo. Le città
giardino spesso si trovavano in una posizione di vicinanza ai grandi centri urbani, quindi col tempo
veniva inglobata da essi. Laddove questo non è avvenuto, le città giardino si sono trasformate in
quartieri o città dormitorio.
Le New Towns inglesi (modello esportato poi in Europa, USA, Giappone)
Negli anni 50 del secolo scorso nascono le prime eredi delle città giardino. Le New towns poggiano
su due principi:
1. Le new towns seguivano una rigorosa zonizzazione per garantire la separazione fra la
zona centrale delle attività con aree residenziali da quelle industriali (da porre vicino alle
stazioni);
2. La creazione di unità residenziali da 5-10.000 abitanti, con un vincolo: coloro che
occupano le new towns, devono necessariamente avere un lavoro (l’occupazione è
necessaria per avere l’alloggio). Ci devono essere servizi propri con un centro principale e
un centro secondario. Le varie zone devono essere separate tra loro da aree verdi
(green belts, cinture di verde che circondano aree abitative).
I punti deboli mostrati nel tempo sono stati:
 Considerare primaria l'occupazione industriale, quindi nel tempo hanno
trovato difficoltà a rifunzionalizzare le proprie attività produttive;
 Creazione di città troppo piccole per lo sviluppo del terziario. Soprattutto dopo gli
anni ’70 del secolo scorso sono rimaste indietro rispetto allo sviluppo internazionale.
Le new towns si svilupparono attorno ai grandi poli urbani (ad esempio attorno a Londra) in tutto
il Regno Unito.
… e le Villes Nouvelles francesi
Sul modello delle New Towns inglesi, molti altri stati europei abbracciarono questa tipologia
abitativa. Verso alla fine degli anni 60 si svilupparono le Villes Nouvelles francesi.
Le prime villes nouvelles vengono localizzate all’interno della città di Parigi, perché essa era già
all’epoca una città macrocefala: era il grande polo urbano che attraeva su di sé non solo le attività
economiche, ma anche la popolazione.
Quindi, per uscire dal monocentrismo urbano della regione di Parigi, si decise di creare nuovi
assi di urbanizzazione serviti per pianificare servizi, residenze, zone ricreative e aree verdi:
l’obbiettivo è preservare boschi.
Tra i vari obiettivi della ville nouvelle c'è anche quello di localizzarsi in zone già ben servite da una
rete stradale e ferroviaria.
Vennero pianificate 5 villes nella regione di Parigi, 4 nella regione di Lione, Marsiglia, Rouen, e
Lille.
Politiche green attuali di rigenerazione urbana
La rigenerazione urbana secondo l'approccio dalla green city assume come priorità strategica la
qualità ecologica. Il fine è quello di assicurare sostenibilità e resilienza dei programmi e dei
progetti di intervento nell'era della crisi climatica, della scarsità di suolo e delle altre risorse
naturali.
Nel riuso delle aree dismesse (aree abbandonate dall’attività industriale), si cerca di puntare
sulla qualità ecologica. Quindi, anche nei processi di rigenerazione delle aree urbani, oggi si è
sensibili all’approccio delle green cities.
Attualmente, i processi di rigenerazioni urbane che vengono attuati in diverse città (Madrid,
Milano, Berlino…) seguono l’approccio della green city. Creare degli spazi verdi o rendere
sostenibili gli edifici è oggi una priorità strategica.
Negli approcci delle green cities c’è quindi l’obbiettivo di realizzare centri residenziali ad emissioni
zero, con servizi e spazi verdi in grado da generare il 100% del fabbisogno energetico. È importante
poter ricorrere, ad esempio all’energia solare o a soluzioni per il riciclo e la purificazione delle
acque.
Londra – trees for cities
Nel Ruskin Park, nel quartiere di Brixton di Londra è stato attuato un programma di rigenerazione
urbana, che ha previsto la piantumazione di alberi nel quartiere, per un discorso non solo di arredo
urbano ma anche per elevare la qualità di vita di coloro che abitano in questo quartiere.
Madrid
L’allestimento di giardini e parchi sono diventati un elemento centrale anche dell’arredamento
urbano di Madrid. Anche a livello estetico vi sono molti miglioramenti.
Parigi
È stato avviato negli ultimi anni a Parigi un progetto denominato Promenade plantée.
Si tratta del primo parco pubblico sopraelevato al mondo. Si sviluppa sul percorso di una vecchia
ferrovia dismessa e si sviluppa per 4,5 km. È stata realizzata tra il 1987 e il 2000, circa vent'anni
dopo la dismissione della ferrovia su cui è nata.
I pedoni passeggiano tra il verde nella zona sopraelevata arricchita da piante e fiori, mentre i
percorsi per i ciclisti sono al livello del suolo. I portici sotto il viadotto sono stati convertiti a
botteghe di arti e mestieri: si è unita il verde urbano e l’ecologia con l’aspetto culturale (in quanto
rivaluta i vecchi mestieri che venivano praticati a Parigi).
Fino a poco tempo fa era l'unico parco sopraelevato del mondo, ma l'idea innovativa dei parigini è
stata lo spunto per la costruzione della High Line di New York, nel quartiere di Chelsea a
Manhattan.
Toronto
Anche qui è stata creato un vero e proprio corridoio ecologico, una greenway. Questo corridoio
ecologico è anche una forma di arredo urbano.
Milano
Nel quartiere di Porta Nuova vi è il bosco verticale, due torri residenziali create con l’idea di dar
vita ad un edificio-giardino. Si tratta di un elemento di arredo urbano; ma i due edifici sono anche
ecosostenibili al 100% (sono stati riconosciuti anche a livello europeo). Soddisfano il loro
fabbisogno energetico attraverso le nuove tecnologie, come pannelli.
Inoltre, il parco agricolo sud è una cintura verde che circonda la parte meridionale di Milano.
Firenze Novoli
È stato costruito da una zona dismessa il nuovo polo universitario. Ciò sottolinea l’importanza di
verde urbano con giardini, piantumazione, etc.
Verde in città
Il verde in città rappresenta il 2,7% del territorio dei comuni capoluoghi italiani e ammonta a più di
550 milioni m².
L’area più verde in assoluto è quella del nord-est, con 45,4 m² per abitante; e nel mezzogiorno con
37,1 m². È più bassa nel centro Italia e nel nord ovest con rispettivamente 23 e 24,3 m² per
persona.
In totale sono 43 i capoluoghi che presentano un profilo verde, dei quali 19 città hanno un’elevata
dotazione delle superfici destinate a verde urbano.
Secondo la fonte ISTAT le città più verdi sono Matera al primo posto, Trento, Potenza, Sondrio,
Ragusa.
Orti urbani
Nel verde in città non si includono solamente giardini e parchi, ma anche gli orti urbani. Essi sono
diventati non solo un’isola ecologica all’interno delle città, ma anche un’occasione di socialità. Sono
spazi di aggregazione sociale, dove si incontrano famiglie e persone che nel tempo libero si
occupano di coltivazioni.

La città “insostenibile”
Oggi, le grandi città sono più insostenibili che sostenibili a causa della sovrappopolazione,
dell’inquinamento, del consumo di suolo per le attività economiche portate avanti.
Il consumo di suolo avviene in tutto l’ecumene, e spesso è fatto sia per attività industriale, sia per
attività turistiche, etc.
Lo spazio che viene consumato in maniera continuata e violenta rende la città insostenibile.
Una prima visione per la città del futuro
Secondo la retorica neoliberale, la città come motore dello sviluppo, dei cambiamenti e delle
discontinuità geografiche.
Si tratta di una visione elaborata a partire dai discorsi dei grandi organismi internazionali (World
Bank, Fondo Monetario Internazionale), che supera i tradizionali modi di intendere le città come
spazi di integrazione socio-territoriale, di riduzione delle diseguaglianze, di mediazione delle
culture e della cittadinanza come nella tradizione keynesiana; per considerarle invece spazi
propulsivi per l'economia e la finanza grazie alla loro capacità di generare innovazione
tecnologica, di integrare economie regionali nei circuiti della globalizzazione, di attrarre capitali
per finanziare la propria trasformazione e riqualificazione.
La città deve continuamente modernizzarsi, realizzare infrastrutture tecnologiche, reinventare i
propri vuoti urbani, arricchirsi di eventi e arte pubblica.
Una seconda visione della città
Il secondo discorso, più recente, riguarda il ripensamento delle città come soggetti privilegiati
per il perseguimento della sostenibilità ambientale e per la lotta a fenomeni globali come il
cambiamento climatico, gli inquinamenti e l’entropia crescente del geosistema.
L’ipotesi è che con la crescente urbanizzazione il problema ambientale sia prevalentemente una
questione urbana, poiché da un lato le città stanno fra le principali vittime di fenomeni come il
cambiamento climatico o il degrado sociale, e dall’altro perché costituiscono siti cruciali per
l’elaborazione di strategie per affrontare queste criticità.
Quindi, secondo questa seconda visione la città sarà la principale vittima dei fenomeni legati al
degrado sociale, al cambiamento climatico etc., dunque è dalla città stessa che si devono attivare
per contrastarli.
Le smart cities
Le smart cities, cioè le città intelligenti, si pongono oggi come via di mezzo tra la prima e la
seconda visione del futuro.
La città intelligente, per definizione, deve conciliare e soddisfare le esigenze dei cittadini, delle
imprese e delle istituzioni. Impiegano in modo innovativo e diffuso le TIC, ossia le Tecnologie
dell’Informazione e della Comunicazione.
Quindi, la smart city usa le proprie risorse per dare vita a nuove forme di mobilità, alla fruizione
dell’ambiente e dell’efficienza energetica per migliorare la qualità di vita dei cittadini e la qualità
ambientale del contesto urbano.
La smart city è una mediazione tra la retorica neoliberale e quella che vuole ripensare la città
nell’idea di perseguire un superamento delle criticità globali come il cambiamento climatico. Si
pone quindi in posizione intermedia tra la città così come pensata dai grandi organismi
internazionali e la città pensata su un’impronta fortemente ecologica.
Si tratta dell’idea di incentivare operazioni di modernizzazione tecnologica per le città allo scopo di
renderle maggiormente sostenibili, competitive, efficienti e, in sintesi, “intelligenti”. Bisogna
inserire le tecnologie 4.0, risultato della quarta rivoluzione industriale [modulo B].
La sostenibilità è anche politica: grazie alla modernizzazione delle tecnologie, le città diventano
più competitive. La competizione è un elemento che caratterizza non solo l’economia, ma anche i
sistemi urbani.
Quando una città è competitiva, sostenibile ed efficiente, è una città smart.
È oggi noto a chi si occupa di territorio come un crescente numero di bandi di finanziamento a
riguardi questi temi. L’Unione Europea ogni anno emette bandi per finanziare progetti che
prevedono l’inserimento di tecnologie 4.0 all’interno dei sistemi urbani. In particolare, ha
introdotto la smart city nel Set-Plan, documento che definisce la strategia tecnologico-energetica
comunitaria: c’è quindi un’attenzione da parte dell’UE affinché le città (sia grandi che medio-
piccole) si corredino di tecnologie 4.0. L’UE mette a disposizione denaro e finanzia progetti per
questo fine.
Si conosce relativamente poco della smart city: gran parte del dibattito dei media assume toni
propagandistici, non si ha ancora un tempo abbastanza lungo per valutale; e in seno agli studi
urbani le analisi critiche sono ancora relativamente scarse.
Oggigiorno c’è una vera e propria corsa a tecnologizzarsi e innovarsi, al punto che è sempre più
diffuso il tema dell’innovazione. Si portano avanti ricerche sui paesaggi dell’innovazione e
dell’informazione.
3.12.2020
Riprendiamo la definizione di città intelligente.
Il termine smart city compare nella letteratura scientifica a partire dal 2007, quando venne coniata
la definizione di città intelligente. Era stato inoltre stabilito che erano “smart” le città sopra i
100.000 abitanti. Molti geografi rifiutano la definizione che vede una città come “smart city” solo
se ha un determinato numero di abitanti. Potrebbe essere smart anche una città di piccole-medie
dimensioni.
Lo smart cities hanno lo scopo di aumentare la qualità della vita degli abitanti delle città,
migliorare l'efficienza e la competitività dell’economia locale e dell’Unione europea e muoversi
verso la sostenibilità, migliorando l'efficienza delle risorse e gli obiettivi di riduzione delle
emissioni di gas serra. Si muove all’interno del concetto della sostenibilità. Tra gli obbiettivi delle
smart cities c’è quello di favorire l’efficienza energetica attraverso la tecnologizzazione.
I dieci principi della crescita intelligente

Una crescita intelligente si ha quando:

 Si ha una creazione di reti funzionali, che favorirebbero lo sviluppo attraverso più


componenti della quotidianità della vita: una città diventa smart quando prevede l’utilizzo
delle tecnologie 4.0 a favore della qualità della vita.
 Si privilegiano progetti che hanno come obbiettivo la compattezza; quando si prendono
decisioni di sviluppo predittive: non bisogna danneggiare e poi intervenire su ciò che è
stato danneggiato, ma bisogna prevenire il danno;
 Ci si propone di creare una gamma di scelte di opportunità abitative per rafforzare lo
sviluppo verso comunità esistenti:
 Si creano quartieri con priorità verso la sostenibilità sociale e ambientale, quindi offrendo
nuove scelte di trasporto focalizzando l’attenzione sulla priorità pedonale;
 …
La città green oggi si deve intersecare con la città smart; tanto che oggi si parla di città “bright
green”: una città che accoglie i principi dell’impostazione ecologica; e allo stesso tempo i principi
della smartness.
Smart grid = rete intelligente.
Se un tempo la città, che possiamo vedere nella parte azzurra, traeva i propri benefici elettrici da
centrali nucleari, da centrali termali o sistemi idraulici da generazione di acqua; nel tempo questi
sistemi di produzione energetica sono stati sostituiti da altre modalità di produzione di energia,
ossia il fotovoltaico, i generatori di vento.
C’è stato quindi un cambiamento nelle aree urbane e non. Questi cambiamenti, a rete hanno
coinvolto tutti gli aspetti della vita urbana. Le tecnologie 4.0 si sono inserite in maniera massiccia
nel settore urbano, si stanno inserendo nel settore della mobilità coi veicoli ecologici, nel settore
degli edifici (bosco verticale), nelle case, nelle fabbriche.
C’è quindi tutta una serie di innovazioni inserite nella nostra vita quotidiana; questo inserimento
viene fatto a rete: per questo si parla si smart grid.
Non è la sola tecnologia 4.0 che migliora la qualità della vita, ma anche una serie di azioni di
sviluppo che possono migliorare il modo di vivere. Per esempio:
 Lo spazio verde diventa il cuore dell’eco-quartiere. Esso ha un ruolo centrale di socialità.
 I quartieri eco poggiano su un progetto ambientale e paesaggistico che ha come obbiettivo
la salvaguardia delle risorse naturali.
 L’altezza degli edifici non deve superare quella degli alberi che crescono in quella
determinata zona.
 Progetto co-housing: avere spazi aperti e scoperti destinati all’uso comune, che devono
essere frutto di scelte condivise degli abitanti.
 La centralizzazione della produzione energetica permette di ridurre sia gli impianti presenti
nel territorio, ma anche i consumi. Un’eco-quartiere deve essere non solo autosufficiente;
ma deve anche poter esportare la quantità di energia prodotta.
 Riuso dell’acqua piovana.
 Mobilità attraverso percorsi ciclo-pedonabili (mobilità dolce).
 Privilegiare servizi di trasporto pubblico, privilegiare le attività lavorative nelle loro
vicinanze.
I paradigmi tecnologici
La smart city si fonda su un paradigma tecnologico che oggi giorno sono ICT (information
comunication technology).
Nello sviluppo delle reti urbane, il paradigma tecnologico è sempre stato fondamentale. Le città
hanno cominciato a svilupparsi nel momento in cui si inseriva nell’economia locale e nello sviluppo
delle attività economiche un elemento innovativo, che nel tempo modificava sia le modalità di
lavoro sia le modalità di vita.
 1770-1830: la grande novità che rivoluzionò il modo di lavorare e i quartieri urbani fu
l’inserimento dell’industria tessile. Il tessile da un lato, il carbone e l’acciaio dall’altro
avevano modificato la vita dei lavoratori, la vita economica e la vita urbana.
 1930-1890: i motori a vapore e la rete ferroviaria modificarono ulteriormente il vivere
comune
all’interno della
città,
incentivando lo
sviluppo
ulteriore dei
sistemi urbani
 1880-1940: i motori a combustione interna, lo sviluppo dell’elettricità e
l’inserimento dell’industria chimica
 1930-1980: farmacia, plastica, elettronica. La costruzione di componenti elettronici
cominciarono a modificare la vita del cittadino, di coloro che vivono nel sistema urbano.
 1980-oggi: ICT
Questi sono step importanti dalla metà del 1700 ad oggi, comprendono innovazioni del settore
produttivo, che hanno influito sullo sviluppo dei sistemi urbani, sul nostro modo di vivere e di
lavorare; hanno quindi creato poco alla volta dei cambiamenti.
Bisogna fare una distinzione tra invenzione e innovazione. L’invenzione è un atto creativo, e non
sempre si traduce in innovazione. L’innovazione è l’applicazione economica dell’invenzione, ed è
oggi al centro della smart city. Non tutto ciò che viene inventato e brevettato diventa poi
innovazione: ci sono tante invenzione che poi non sono state inserite nel mondo del lavoro o nel
sistema produttivo.
Ciò che permette di passare dall’invenzione all’innovazione è la ricerca.
Quindi non sono sufficienti le tecnologie 4.0 per rendere una città “smart”. Bisogna vedere come
esse vengono utilizzate. L’innovazione deve impattarsi sul territorio in maniera intelligente.
Quando si parla di tipi di innovazione bisogna quindi specificare a quale ambito di riferisce. Ne
esistono infatti diversi ambiti:

 Innovazione di prodotto
 Introduzione sul mercato di un nuovo bene di consumo
 Innovazione di processo (fondamentale per arrivare al concetto di smart city)
 Introduzione di un nuovo metodo di produzione
 Innovazione organizzativa o di servizio
 Introduzione di nuove forme di organizzazione o di gestione
Una città è intelligente non solo perché utilizza tecnologie 4.0, ma anche perché si creano dei
sistemi a rete all’interno della città stessa dove l’obbiettivo è quella di raggiungere una qualità di
vita elevata e una sostenibilità ambientale e sociale.

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