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28.09.2020
Unità didattica A
[Frémont, capitoli 1, 3, 4]
La geografia è una materia antichissima, che cerca da sempre di descrivere ciò che si vede della
terra. Inizialmente lo fece in maniera non scientifica, tramite quella che si chiama geografia
prescientifica: miti, leggende, esplorazioni che hanno portato a creare rappresentazioni,
romanzi, narrazioni del mondo di tutti i tipi (il mito di Ulisse secondo cui alle Colonne d’Ercole
finisce il mondo, la Bibbia secondo cui la terra è piatta…).
La geografia su basi scientifiche tradizionali studia le interazioni tra l’ambiente fisico
naturale e l’uomo che lo abita. È svolta dai viaggiatori, dai cartografi, dai “geografi dei numeri”, o
coi “piedi nel fango”, ossia andando direttamente a pestare il territorio da studiare. Studiano
quindi degli strumenti e dei modi di fare geografia molto diversi tra di loro (il cartografo privilegia
la carta geografica, gli ingegneri utilizzano grafici, GPS, sistemi informatici (GIS, Geographical
Information System), immagini).
La geografia più recente ha invece una visione più articolata e sistemica degli oggetti e degli
individui.
la morfologia terrestre;
il vulcanesimo;
i terremoti;
la tettonica delle placche;
l’orogenesi;
la litologia;
il magnetismo.
L’idrosfera - comprende tutte le masse d'acqua presenti sulla superficie terrestre e nel sottosuolo.
È inoltre caratterizzata dalla presenza di:
acque salate (oceani, mari) e acque dolci (fiumi, laghi, idrografia continentale, falde
acquifere);
acque in movimento (correnti marine, maree) e acque ferme (ghiacciai).
Oltre a ciò, occorre notare la presenza di alcuni ambienti e spazi di transizione tra idrosfera e
litosfera, come le acque delle lagune, le foci e gli estuari dei fiumi. Si tratta di aree dove non nomina
nettamente né l’acqua né la terra, ma convivono entrambi.
L’atmosfera - la vita sulla Terra è resa possibile non solo dalla presenza di una notevole quantità
di acqua, ma anche da una particolare miscela di gas e vapori, a cui si dà il nome di atmosfera.
Numerosi sono i fenomeni atmosferici o legati ad essa, tra di essi possiamo individuare i venti e la
circolazione atmosferica; le precipitazioni; i climi. Oggi c’è anche l’aspetto del surriscaldamento
globale e l’inquinamento.
La biosfera e le regioni bio-naturali – una bioregione è una regione naturale studiata dal
punto di vista della vita, della flora e della fauna.
L’Antropocene
L’evoluzione umana è stata talmente spinta che l’uomo è riuscito a interagire o a imporsi su certi
fenomeni naturali. Dopo le grandi ere geologiche nella natura, oggi per alcuni geografi si parla di
Antropocene, ossia il momento nella storia in cui l’uomo si è imposto sulla natura. Gli individui si
impossessano dunque progressivamente della biosfera.
La geografia umana – l’uomo ha compiuto l’evoluzione dalla scimmia in un tempo molto rapido,
ossia un milione di anni. Però i primi cambiamenti fatti dall’uomo sulla terra risalgono a circa
15.000 anni fa, ossia pochissimo tempo fa. Siamo stati per migliaia di anni solo degli ospiti del
nostro pianeta.
Territorializzazione umana – L’ambiente naturale condiziona gli individui nelle loro scelte
sociali, culturali, economiche, ecc., ma allo stesso tempo questi modificano e interagiscono con gli
spazi naturali. È una visione ottimistica del processo, ma naturalmente ci sono stati anche lati
negativi.
La ri-territorializzazione verte sul costruire un territorio sopra uno preesistente, mantenendolo
e senza distruggerlo.
Oggi l’uomo può anche degradare e persino distruggere ambienti, spazi e territori nel quale vive: si
tratta del processo di de-territorializzazione.
Quindi la regione naturale è alla base della geografia regionale o tradizionale. La prima vera
geografia scientifica è nata tra il 1800 e il 1900 studiando il rapporto tra gli umani e l’ambiente
naturale.
Un ecosistema naturale è un patrimonio che dovrebbe essere protetto e conservato per le
generazioni future (i concetti di «sostenibilità» e «responsabilità». La varietà degli organismi
viventi, la Biodiversità degli ambienti naturali è un patrimonio con ricadute enormi, non solo sulla
salute del pianeta, ma anche sui gruppi
umani, sulla qualità della vita e sui sistemi
produttivi. La Biodiversità si manifesta
anche nella ricchezza e nella varietà di
sistemi differenti e di paesaggi eterogenei e
più o meno complessi nella loro
composizione.
Le cinque grandi dimensioni oggi della
geografia urbana e regionale che interessa al
nostro corso. Vedremo sicuramente il fattore
della popolazione e la geografia in base ad
essa creata. Vedremo come la stessa popolazione interagisce con l’ambiente e le regioni naturali.
Vedremo anche la geografia economica, che vede la natura come potenziale risorsa da far fruttare.
30.09.2020
[Frémont, capitoli 5 e 6]
La geografia della popolazione: la regione umana e antropizzata
Studiare la geografia della popolazione significa anche adottare letture distributive, qualitative,
quantitative. Si può studiare una regione antropizzata in base a tre livelli:
Primo livello: distribuzione degli abitanti in funzione dello spazio, delle risorse e degli
ambienti. Di ciò si occupa il geografo cartografo e l’approccio localizzativo. Studiano dove
sono i gruppi umani e come si possono rappresentare su una carta geografica.
Secondo livello: approccio quantitativo. Si occupa di misurare la popolazione,
calcolandone gli aspetti quantitativi. Per fare ciò la geografia lavora e si appoggia alla
demografia. Entrano in gioco aspetti come indicatori, tassi e cicli demografici: si misura nel
tempo l’evoluzione e le caratteristiche numeriche dei gruppi umani. Lo scopo non è quello
di dire dove sono le cose, ma di dire quante sono.
Terzo livello: approccio qualitativo. Si tratta del livello più complesso: vengono studiate
le lingue, le etnie, le religioni, gli scambi, le culture. Questi aspetti devono essere messi in
relazione per denominare e connotare una popolazione anche dal punto di vista identitario.
Primo livello – distribuzione degli abitanti
La distribuzione degli uomini sul pianeta è variabile e discontinua. La presenza di insediamenti
umani dipende da molti fattori quali le condizioni ambientali, la disponibilità di spazio, le risorse, il
sistema economico, la cultura, le consuetudini. È possibile individuare tre tipi di grandi regioni nel
mondo:
Un altro fattore locativo della popolazione ha come base la distribuzione altimetrica. È stato
studiato che gli esseri umani preferiscono abitare nella pianura.
o Circa il 57% della popolazione mondiale abita in pianura;
o Circa il 24% della popolazione abita tra i 200 e i 500 m sul livello del mare;
o Circa il 5% della popolazione abita tra i 500 e i 1000m;
o Circa lo 0,20% della popolazione abita oltre i 3.500 m.
Il continente più importante in assoluto dal punto di vista geografico è l’Asia. Da sola, raccoglie
più del 60% della popolazione mondiale. L’Europa occupa il 13%.
Tramite i dati del GIS (permette di mettere una quantità numerica nei veri continenti presenti sulla
cartina) è possibile studiare la distribuzione della popolazione nel mondo, che può essere studiata
dalle diverse scale e consente sia riflessioni sincroniche che diacroniche. Alla scala nazionale si
vede un confronto tra la situazione nel 1900 e quella contemporanea. L’Africa è il continente che
si è più sviluppato dal 1900 al 2000.
Esiste una enorme area di insediamento umano, nell’Asia pacifico-meridionale. Questa parte di
Asia viene chiamata area Monsonica per via della presenza dei Monsoni, che alimenta una forte
presenza di acqua. Per questo motivo vi abita qui una grande densità di popolazione: Cina
(1.300.000.000 abitanti), India (1.250.000.000), Indonesia, Vietnam, Filippine. La popolazione
complessiva ammonta a circa 4.000.000.000.
L’area Europea-mediterranea è un’altra grande area, con però molti meno abitanti:
1.000.000.000.
Fattori culturali come la colonizzazione hanno spinto francesi e inglesi a occupare il nord
America; e spagnoli e portoghesi le coste sud America nell’atlantico meridionale. Gli europei si
sono spinti anche in Africa, come nel porto di Guinea.
Le zone polari, i deserti e l’Amazzonia sono aree anecumeniche o vagamente subecumeniche.
La densità della popolazione è estremamente variabile nello spazio e nel tempo a qualsiasi tipo di
scala geografica (mondiale, continentale, nazionale, regionale, locale). Esempio: Tokyo (5.800
ab/kmq ma in alcuni quartieri 13.300 ab/kmq); Vercelli (569 ab/kmq); Reykjavik (2,8 ab/kmq).
Quella che noi chiamiamo “città” può avere un significato molto diverso a seconda del luogo in cui
ci si trova.
Secondo livello – aspetti quantitativi
Dopo aver detto dove si trovano gli esseri umani, essi devono essere misurati. In particolare, si
misurano le quantità dei gruppi umani e i comportamenti dal punto di vista demografico. Questi
dati sono chiamati indicatori demografici e di sviluppo. I più importanti sono:
Il tasso di fecondità (numero dei nati in un anno x 1.000 / donne in età feconda (15 - 49
anni);
Il tasso di mortalità infantile (numero di bambini < 1 anno morti in un anno x 1.000 /
bambini morti in un anno);
Speranza di vita alla nascita o vita media: non è uguale per tutti, dipende da dove si
nasce. In Italia si ha una speranza di vita molto elevata (sopra gli 80 anni); in paesi africani
con problemi igienico-sanitari o con frequenti guerre la speranza di vita è molto ridotta.
Questo fattore può cambiare non solo a livello diatopico, ma anche a livello diacronico:
nell’Impero Romano la speranza di vita era di 30 anni.
I risultati si possono mostrare tramite delle carte geografiche. Questo lavoro è svolto dal cartografo.
Cicli demografici
I territori cambiano i loro tassi demografici a seconda del tempo. Ad esempio, l’Italia di oggi ha un
tasso di natalità tra i più bassi, c’è un numero contenuto di morti (c’è un buon sistema sanitario,
tutela della persona avanzata): la popolazione aumenta per l’apporto dall’esterno di una
componente migratoria.
Il tasso di natalità in Italia è 1,3; ossia negativo: da due individui ne nasce solo uno, quando l’idea
sarebbe che da 2 ne nascessero almeno 2, quanti sono i genitori. Invece, nell’Italia del 1500 c’era un
altissimo tasso di natalità (le donne facevano 10, 20 figli), ma la speranza di vita era più bassa a
causa della qualità di vita più sfavorevole del tempo, quindi la popolazione riusciva a persistere in
maniera mantenuta.
Tutti i territori sono passati, nel corso della storia, attraverso dei cicli demografici. Se ne
distinguono tre mondiali:
Espansione (dal 1.000 a.C. al 1.000 d.C.) – caratterizzato dal passaggio da un’economia
basata sulla caccia e sulla raccolta ad una basata sull’agricoltura che ha iniziato un
controllo sulla produzione del cibo.
Crescita ridotta (dal 1.000 al 1.750) – caratterizzato dal susseguirsi di fasi di apertura e
chiusura demografica (peste, malattie, carestie, conflitti);
Esplosione demografica (dal 1.750 al 1.850) – la prima rivoluzione industriale.
La crescita demografica e l’industria – è stata l’industria a rompere il sistema demografico
tradizionale del passato e renderlo similare a quello dell’epoca moderna. Nei paesi coinvolti dalla
prima (XVIII-XIX secolo) e dalla seconda (XIX-XX secolo) rivoluzione industriale il legame di
indipendenza tra popolazione, risorse e fattori ambientali si fa meno stretto.
Si verificano una serie di fenomeni che hanno come effetto una drastica diminuzione del tasso di
mortalità e la forte crescita della popolazione. Questo avviene per:
Forte competizione per le risorse disponibili, per esempio se si è in territori in cui ciò è
abbastanza evidente: questo spiega emigrazioni in paesi in cui vi sono risorse che nel
proprio paese non sono disponibili per tutti;
Diminuzione della resistenza degli individui, perché la qualità del cibo è minore essendo la
competizione per le risorse più elevata;
Elevata mortalità per madri e figli.
Il risultato è che nel pianeta terra si hanno molte situazioni demografiche, variabili a seconda di
dove ci si trova. Queste aree sono in comunicazione tra di loro attraverso i fenomeni di migrazione.
La crescita della popolazione, a livello mondiale, sta rallentando.
L’orologio del mondo:
01.10. 2020
La combinazione geografica: un problema fondamentale con la crescita della
popolazione
Il concetto di combinazione geografica porta a pensare anche al futuro. Combinando i vari elementi
visti (distribuzione irregolare tra zone ecumeniche, anecumeniche e subecumeniche, densità
variabili della popolazione sul pianeta, diversi tassi di riproduzione, saldi naturali, fecondità…), si
delinea l’aspetto della crescita della popolazione. Il pianeta, soprattutto dopo la rivoluzione
industriale e grazie al fenomeno dell’urbanizzazione è cresciuto enormemente. In questo momento
la popolazione mondiale ammonta a 7 miliardi, alcuni dicono che si stabilizzerà, latri prevedono
crescite maggiori. Il problema non è da sottovalutare.
Il problema della crescita della popolazione si pone secondo due termini principali:
1. Impatto sull’ambiente naturale e costruito e sulle risorse
L’impatto sui suoli è sicuramente uno degli aspetti più invasivi.
La popolazione attua uno sfruttamento molto forte delle terre, che può portare a
disboscamento o erosione dei suoi.
Depauperamento idrico e marino: perdita di importanza delle risorse idriche e marine,
diminuiscono le risorse ittiche (fenomeno della pesca)
Impatto sulle estrazioni minerarie: vengono estratti i minerali ma primo o poi finiranno
Una popolazione che aumenta inquina inevitabilmente di più, specialmente nelle città
Deforestazione: il pianeta ha perso moltissime foreste, nell’anno 1000 esisteva una foresta
nella pianura padana, oggi ci sono solo boschi o pinete.
2. Impatto sulle scorte energetiche
L’Afghanistan è un paese povero, contadino. Non ci sono pensioni e si può morire per un
raffreddore. È un paese giovane, dove lo sviluppo sociale e sanitario è di medio-basso livello.
Tra Italia e USA c’è una differenza per quanto riguarda gli adulti: in USA il sistema sociale
previdenziale è totalmente privato, e ci si possono permettere cliniche e interventi di un certo
livello solo se si hanno i soldi. Se non si hanno i soldi, se si è disoccupati non si può usufruire della
cassa malattia.
La sex ratio
la sex ratio misura la proporzione fra maschi e femmine in una determinata popolazione e in un
determinato spazio.
Fattori di spinta (push factors) e di attrazione (pull factors): influiscono sulla scelta di
emigrare in un determinato luogo o per una determinata ragione (miglioramento
economico, maggior prestigio lavorativo, miglior trattamento in una società; poco stimolo
nel proprio paese, andare in un altro paese per la persona che si ama)
Dati quantitativi, tra cui troviamo i tassi di immigrazione e di emigrazione (la differenza
tra immigrati ed emigrati da un’area in un certo periodo di tempo su 1.000 abitanti, se il
risultato sarà positivo significa che ci sono stati più immigrati), il saldo migratorio (la
differenza tra quanti immigrati ed emigrati in un anno all’interno di un lasso di tempo).
Dati qualitativi, per valutare gli impatti e le conseguenze sul contesto socio-territoriale
nelle aree di emigrazione, di immigrazione e di transito. Quindi si tratta di studiare quali
sono i fenomeni, cosa accade a livello antropologico e sociologico a quella fetta di
popolazione che va ad inserirsi in un nuovo contesto.
Dati temporali: flussi permanenti, stagionali o temporanei favoriti o meno dai trasporti e
dai messaggi veicolati dai mass-media. Si cerca di capire se una determinata migrazione è
avvenuta permanentemente, stagionalmente, temporaneamente per capire quali sono le
dinamiche che hanno influito sullo spostamento di individui in un determinato momento.
Una mappa sulle migrazioni storiche volontarie tra il 1815 e il 1914 vedono flussi migratori
dall’Europa verso l’America. Anche dall’Asia ci si sposta sia in America del nord che centrale. Le
colonie nordafricane vengono popolate da francesi.
Le migrazioni dal 1914 ad oggi
Lista delle principali migrazioni:
1. Periodo tra le due guerre mondiali
2. Periodo della ricostruzione, dal 1945 ai primi anni ‘50
3. Periodo del decollo economico, dalla metà degli anni ’50 al primo choc petrolifero del
’73-‘74
4. Periodo del blocco ufficiale delle frontiere verso l’immigrazione per lavoro, dal ’74 in poi
5. I nuovi scenari del XXI secolo: gli accordi di Schengen, l’allargamento dell’Unione
Europea, i nuovi fabbisogni di forza lavoro e le nuove spinte alla chiusura dei flussi, il muro
tra USA e Messico.
Le emigrazioni dall’Italia sono state moltissime. I periodi più cospicui sono stati:
3.6 milioni di persone in attesa di decisione sulla loro richiesta d’asilo in paesi
avanzati: in Italia, tendenzialmente, per ottenere l’esito della richiesta d’asilo,
burocraticamente dovrebbero passare 6 mesi, ma le tempistiche si protraggono più a lungo;
25.9 milioni di rifugiati in paesi più o meno limitrofi a quelli abbandonati (è il dato più
alto dall’inizio degli anni Novanta);
41.3 milioni di persone costrette a fuggire dalla propria casa ma che si trovavano ancora
all’interno dei confini del loro paese (il numero più alto mai registrato nella storia e in
forte aumento). Non hanno comunque un tetto sulla testa, e questo fa sì che la base dei
diritti umani non venga rispettata: possono definirsi quindi rifugiati.
Un fenomeno che riguarda numerosi contesti regionali
Le aree con più rifugiati politici sono l’Asia-Pacifico, il Medio Oriente e il Nord Africa.
La Colombia, con 6.9 milioni, è il numero con il più alto numero di sfollati interni (non abitano più
nella loro casa ma sono all’interno dei confini nazionali), seguita dalla Siria (6.6 milioni) e l’Iraq
(4.4 milioni).
Lo Yemen è il paese che ha dato origine al maggior numero di nuovi sfollati interni nel 2015: 2.5
milioni di persone, il 9% della sua popolazione.
La scala mondiale delle migrazioni
Le migrazioni alla scala mondiale e globale sono in aumento a causa:
Scala locale – migrazione dalla città verso aree suburbane, con ad esempio la motivazione
della sovrappopolazione; oppure migrazione dalle campagne alle città in cerca di un lavoro
più solido; dalle aree montuose alla città.
Scala regionale – migrazioni, ad esempio, dalle provincie abruzzesi verso Roma, Pisa o
Milano per motivi di studio o di lavoro.
Scala continentale – il fenomeno della fuga di cervelli è emblematico di questa scala:
studenti che espatriano per cercare migliori opportunità.
Crisi dal 2014 a oggi: la discontinuità delle immigrazioni illegali in Europa e nel
Mediterraneo
5.5 milioni di persone sono fuggite dalle persecuzioni, dalle guerre e hanno attraversato uno o più
confini nella loro fuga. Il Mediterraneo è talvolta solo l’ultimo step di questo viaggio estremamente
pericoloso, che può cominciare dal centro-Africa.
Oltre 276.000 persone hanno attraversato i confini d’Europa. Di esse circa 200.000 sono transitate
nel Mediterraneo e 170.000 dall’Italia (soprattutto provenienti da Siria, Eritrea e Africa sub-
sahariana). L’Italia ha una posizione strategica nel Mediterraneo, anche a causa della sua posizione
geografica proprio davanti all’Africa.
Ciò causa anche un mercato florido per la criminalità, che ha causato la morte in mare di 4.077
persone nel 2014 (nel Mediterraneo sarebbero 22.400 i decessi, dal 2000 al 2014, sui 40.000 circa
nel mondo). La criminalità favorisce il transito di merci illegali e la vendita di viaggi all’interno di
gommoni che vengono riempiti senza minimamente badare alla salvaguardia della persona.
Gli stati, le opinioni pubbliche e i territori europei sono esposti all’emotività crescente e alle
narrazioni del momento storico.
Il fenomeno migratorio: un problema regionale complesso
Dal 2015 in poi, gran parte dell’attenzione pubblica è stata catturata dalle difficoltà dell’Europa
nella gestione di rifugiati e migranti arrivati dal Mediterraneo. In realtà la maggior parte dei
rifugiati del mondo, effettivamente, si trova altrove e non in Europa, che funge da transito. L’86%
dei rifugiati sotto mandato UNHCR sono in Paesi a basso o medio reddito, in prossimità di regioni
in conflitto.
Il 75% dei migranti, nel 2014, è morto nel Mediterraneo. Al secondo posto, col 6%, vi è l’Africa
dell’est.
Le migrazioni in Italia
L’Italia ha subito un percorso di cambiamento interessante. Fino agli anni ’70 era di fatto una terra
di emigrazione più che di immigrazione. Ma dal 1973, tutti coloro che migrano in Italia iniziano ad
essere di meno di quelli che rientrano in patria. Le opportunità proliferano anche grazie
all’eccezionale crescita economica iniziata negli anni ’70. Il reddito pro-capite cresce e la
conseguente diffusione del benessere in Italia la rende meta di immigrazione. Anche la
maggiore educazione permetteva agli italiani di poter rifiutare determinati lavori “bassi”, che
venivano svolti da persone provenienti da paesi più poveri. Dopo gli anni ’90 l’Italia diventa un
paese definitivo di immigrazione.
1/5 degli stranieri in Italia sono minori, in gran parte al nord. Nel 2012 i bambini stranieri nati in
Italia sono stati quasi 80.000, cioè il 15% circa di tutte le nascite. Si affiancano ai 26.714 figli di
coppie miste (5% del totale). Gli alunni stranieri sono aumentati di 8 volte in 15 anni (650.000
circa).
Le imprese di immigrati sono quasi il 10%, in costante crescita. Nel 2011 gli introiti dello Stato
riconducibili agli immigrati (tasse versate, contributi previdenziali) sono stati pari a 13.3 miliardi di
euro; mentre le uscite sostenute per loro sono state di 11.9 miliardi (di cui 1 miliardo per i CIE,
centri di identificazione ed espulsione, una di quelle strutture attraverso le quali i migranti
transitano per procedete con il permesso di soggiorno o richiesta di asilo), con una differenza in
positivo per il sistema Paese di 1.4 miliardi di euro.
Le migrazioni nel mondo
Per capire il fenomeno migratorio, così articolato e complesso, e i suoi possibili sviluppi, occorre
puntualizzare alcuni termini della questione emigratoria.
Nei paesi che non hanno concluso la transizione demografica (quelli emergenti o in ritardo
di sviluppo) la popolazione cresce più velocemente della ricchezza nazionale e persino della
produzione agricola, per cui il tenore medio di vita è stabile o peggiora e si allarga il
distacco dai paesi più sviluppati. Ovviamente, per un abitante non è sostenibile un tenore di
vita di un certo livello e il distacco dai paesi più sviluppati aumenta sempre di più.
Una modernizzazione tecnologica ed economica nel sud della Terra è impensabile
nel breve periodo: causerebbe disoccupazione, scontri sociali e un degrado ambientale
impossibile da sopportare (desertificazione, disboscamenti, esaurimento delle fonti
energetiche e delle materie prime, insufficienza delle fonti energetiche). Senza capitali
capaci di innescare un intenso sviluppo economico, la popolazione in età lavorativa non può
essere occupata; crescono la disoccupazione e la spinta all’emigrazione.
La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e dei media crea aspettative
crescenti nei paesi emergenti e in quelli poveri, rendendo più evidente il divario tra
ricchezze, condizioni di vita, status sociale, insediamenti nelle diverse regioni della Terra;
La pressione migratoria mostra i limiti delle singole soluzioni nazionali. Di fatto, se un
paese chiude le sue porte all’immigrazione, i flussi migratori si dirottano verso altri paesi
confinanti e aumentano le correnti clandestine per intervento delle varie criminalità. Il
problema ha assunto una dimensione planetaria e solo in questa chiave e a questa scala
può essere affrontato e gestito.
Stereotipi e realtà sui migranti
- I flussi di migranti più significativi verso il Nord del Mondo provengono dai paesi in via di
sviluppo e non da quelli più poveri;
- Solitamente i migranti non sono tra i più poveri dei loro paesi d’origine; molto spesso
hanno titoli di studio e competenze elevate che sono però difficilmente riconosciute nel
paese ospitante e d’arrivo. Se anche possono permettersi di rivolgersi alla criminalità per
intraprendere il viaggio significa che hanno qualche minima disponibilità economica o
culturale (perché comprendono la lingua);
- Nel paese d’arrivo i migranti creano un’economia “dell’alterità” oppure informale e
conoscono un’integrazione subalterna (“i lavori delle 5 P”, ovvero Precari, Pesanti,
Pericolosi, Poco pagati, Penalizzati socialmente).
Categorie di migranti eterogenee e in aumento
Gli immigrati alla ricerca di lavoro e progressione sociale, tra cui i cervelli in fuga;
I lavoratori stagionali o a contratto: il migrante è anche chi viaggia temporaneamente, non
necessariamente volendosi stabilire permanentemente in un luogo;
Gli immigrati qualificati e gli imprenditori (skilled migrations);
I familiari al seguito e i ricongiungimenti;
I rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti forzati (i rifugiati politico-economici e quelli
ambientali);
Gli immigrati irregolari, i clandestini, le vittime del traffico di esseri umani;
I migranti di seconda o terza generazione;
I migranti “di ritorno”, coloro che si recano nel paese di cui i genitori erano originari.
Pre-strutture: dati
demografici, lingua,
territorio in cui quella
determinata comunità
etnico-linguistica è situata;
Strutture: cultura non
materiale, classi sociali,
sistema produttivo ed
economico, il benessere di
una determinata comunità
etnico-linguistica;
Post-strutture: le
istituzioni politico-
amministrative, metropoli,
reti urbane costituite da
centri di piccole e grandi dimensioni dove è inserita quella comunità.
I tratti costitutivi dell’etnia
Tutti questi elementi (pre-strutture, strutture, post-strutture) sono legati tra di loro
trasversalmente anche attraverso super strutture e infra strutture.
Quindi le istituzioni politiche influenzano ma sono influenzate dalla cultura, strettamente legate
alle questioni linguistiche, legate a loro volta correlate alla demografia, ecc.
Tutto dipende da tutto.
Guido Barbina e il diverso grado di etnicità di un’area geografica
Il territorio etnico è formato da un nucleo centrale attorno al quale si sviluppa l’area del dominio
culturale che, a sua volta, è circondata da piccoli territori chiamati sfere di influenza (le regioni
etnico-linguistiche).
L’influenza del nucleo diminuisce a mano a mano che ci si allontana dal nucleo stesso. Possono così
nascere forme dialettali, creole o di bilinguismo.
Quindi, partendo da un nucleo centrale (ossia il fulcro del territorio etnico), si diffonde tutta l’area
del dominio culturale, che mantiene le sue sfere di influenza; ma questa influenza diminuisce
sempre di più tanto più l’area è lontana dallo stesso nucleo. Nascono così tutti gli elementi che si
distaccano dal nucleo, come diverse forme dialettali, fenomeni di creolizzazione (ibridazione della
cultura e della lingua), bilinguismo.
Acculturazione e ibridismi
Il tema del confronto / scontro e della mediazione / ibridazione / contaminazione o creolizzazione
tra le diverse culture e la perdita della biodiversità linguistica rappresentano alcuni dei capitoli più
appassionanti e complessi degli studi di geografia culturale e, in particolare, di quelli di geografia
delle lingue e di geografia delle etnie.
La lingua rappresenta una comprova molto importante per l’appartenenza etnica. Spesso, per
comprendere se un individuo appartiene o meno a una certa etnia, è certamente d’aiuto vedere se
egli ne parla o no la lingua.
Oggi siamo lontani da una convinzione tipica dell’800, quella cioè che uno stato, per avere
legittimità e solidità ha bisogno di una popolazione con una determinata lingua che lo
contraddistingua. Sicuramente, comunque, la lingua rimane uno degli elementi identitari di uno
stato, contraddistingue il fenomeno del sentirsi una nazione unita sotto un’unica lingua.
La salvaguardia delle culture e delle lingue “minoritarie”
La tutela di lingue e di culture minoritarie dipende da interventi politici, amministrativi e
culturali ben precisi, ma non solo da questi.
Di fatto, il declino di una cultura può infatti essere evitato grazie alla capacità di una determinata
comunità di continuare a essere autrice propositiva della propria lingua e cultura.
Mantenere solido l’elemento linguistico può certamente aiutare la tutela e la salvaguardia.
Un esempio è quello del gaelico irlandese contro l’avanzata dell’inglese. La resistenza delle
classi contadine e rurali nelle aree marginali ha permesso la sopravvivenza della lingua gaelica.
Nonostante sia una lingua molto difficile da mantenere viva, è comunque una delle lingue ufficiali
dell’Unione Europea. Ha certamente subito molta influenza dall’inglese, non solo per una
questione di vicinanza geografica, ma anche a causa della sua influenza globale.
La stessa cosa si può dire per il Bretone e l’avanzata del francese.
Le politiche per la conservazione delle lingue
In anni recenti si è cominciato a creare una banca dati, una sorta di memoria collettiva e alcuni
siti internet, con lo scopo di archiviare le parlate più rare e di proteggerle dall’oblio.
Le politiche linguistiche
Le politiche linguistico-culturali si basano su interventi di diverso tipo. Tali politiche possono
essere definite come:
Distruttive
Evoluzioniste
Conservazioniste
Protettive, di tipo ecologico.
Nel 1983 il Parlamento europeo adottò la Risoluzione Kuijpers per la valorizzazione linguistica.
Tale risoluzione è focalizzata sul ricordare agli stati membri la necessità di riconoscere le proprie
minoranze linguistiche nei propri ordinamenti giuridici e di creare le premesse per il
mantenimento e lo sviluppo delle culture e delle lingue regionali. Grazie a questa risoluzione è stato
possibile sollecitare gli stati membri a tutelare le minoranze e provvedere all’attuazione di iniziative
volte alla salvaguardia delle lingue minoritarie. Vi sono anche raccomandazioni per gli stati
membri riguardo l’istruzione: è chiesto di equiparare l’insegnamento di queste lingue a quello della
lingua nazionale, sia nelle scuole che nelle università.
Il maggior ente europeo per la tutela di lingue e di culture minori è l’European Bureau for
Lesser Used Languages.
Permanenze e trasformazioni
Il declino linguistico-culturale è il sintomo più evidente di un processo, legato a dinamiche spesso
invisibili, che porta a una radicale trasformazione dell’organizzazione sociale, economica e
territoriale della comunità etnico-linguistica.
La percezione da parte dei membri di una comunità di vivere un simile processo rappresenta
un’esperienza traumatica, che si tramuta in richiesta di aiuto e di protezione.
Regioni politico-amministrative e regioni linguistiche europee
In Europa sono più numerose le lingue romanze, le lingue germaniche sono al secondo posto.
Esiste:
Religioni universali: religioni che possono essere applicate a tutti gli esseri umani, la cui
partecipazione è aperta a tutti coloro che sono disposti ad assumere determinati dogmi,
determinati impegni. Queste religioni sono il cristianesimo, l’islamismo, il buddhismo.
La diffusione di una religione universale è legata principalmente alla mobilità umana. La
religione cristiana nasce nell’area del bacino del mediterraneo e da qui si diffonde nel
contesto delle Americhe. L’evangelizzazione delle terre americane tramite il colonialismo ha
provocato la diffusione del cristianesimo.
La stessa cosa avvenne per l’islam: la diffusione degli arabi portò alla diffusione della loro
religione.
Anche la religione buddhista trova la sua massima espansione all’interno dell’Asia centro-
orientale.
Religioni etniche: non sono aperte a tutti coloro che intendono assumersi un impegno
simbolico come per le religioni universali. Al contrario, mostrano una radicata
identificazione territoriale e culturale: si diventa membri di questo gruppo o per
nascita o mediante l’adozione di un certo stile di vita. Non vi si aderisce attraverso una
semplice professione di fede.
Inoltre, a differenza delle religioni universali, le religioni etniche e tribali non ricorrono al
proselitismo, cioè all’evangelizzazione (come avvenne al cristianesimo in America).
I fedeli formano inoltre delle comunità chiuse, che si identificano in un preciso gruppo
politico o culturale. Una religione etnica è per esempio l’ebraismo, l’induismo, lo scintoismo
giapponese.
Religioni tribali: sono una derivazione delle religioni etniche. Esse si differenziano
da quelle etniche per le dimensioni limitate del numero dei fedeli. Un esempio di
religione tribale è lo sciamanesimo, una forma di religione che prevede l’accettazione di uno
sciamano, ossia un leader religioso (un guaritore, un esperto di arti magiche che, attraverso
determinati poteri, è in grado di interagire col mondo degli spiriti).
L’animismo, la forma più arcaica di religione, è una religione tribale. È una religione che
cerca di dare un senso all’universo, procurandosi il favore delle forze della natura che sono
considerate vive, cioè dotate di un’anima.
I rapporti tra geografia e religione
La religione è un tema di particolare importanza per la Geografia Umana, soprattutto per la grande
influenza che esercita sulle attività e sui sistemi culturali dei diversi gruppi umani presenti sulla
terra.
I precetti e le norme dei differenti credi religioni influenzano l’alimentazione e consumi degli
individui, l’utilizzo delle risorse del suolo e di quelle naturali, l’allevamento, la copertura vegetale.
Ad esempio, nella religione islamica c’è il precetto di non consumare la carne di maiale: nei paesi
islamici non è possibile l’allevamento suino.
Inoltre, coloro che professano religioni ancestrali o tribali seguono i ritmi della natura, delle
stagioni, del tempo. La religione stessa influenza la modalità di vita su un territorio dei fedeli.
La religione influenza dunque i modelli economici e socio-produttivi, può ostacolare o
facilitare la modernizzazione o la diffusione dell’innovazione.
Le influenze della religione si diramano in moltissimi settori. I differenti credi religiosi
influenzano:
I modelli sociali dei vari paesi: il sistema delle caste indiane è dichiarato abolito dalla
legge, ma è nonostante ciò di fatto alla base della struttura sociale e politica. In Etiopia ci
sono continui scontri anche a causa della confessione religiosa: i mussulmani delle aree
periferiche si contrappongono ai cristiani che si collocano nelle parti più centrali del paese.
I modelli politici dei vari paesi e possono diventare strumento di scontro o di unione. La
sfera religiosa islamica ingloba non solo le pratiche di culto, ma anche i modelli di
comportamento; quindi il potere politico, se entra in urto con la tradizione religiosa, perde
ogni legittimità.
Lo sviluppo demografico. Nei secoli passati, in paesi che professavano la religione
cristiana vigeva il rifiuto di qualsiasi forma di anticoncezionale per limitare le nascite.
Il ruolo della donna e dell’uomo: nei paesi islamici vige un forte conservatorismo, che
sottolineano un ruolo maggioritario dell’uomo rispetto alla donna.
Le diverse religioni si rapportano in un modo diverso rispetto all’ambiente fisico-
naturale: la sensibilità ambientale è più evidente nelle religioni animiste e nelle filosofie
orientali.
Le tracce della religione nel paesaggio [cap. 7 Frémont]:
12.10.2020
Cristianesimo
Il cristianesimo compone un insieme eterogeneo di oltre due miliardi di credenti (il 33% della
popolazione mondiale).
All’interno del cristianesimo si riconoscono diverse confessioni:
Cattolici;
Ortodossi;
Protestanti o Riformati, all’interno dei quali si riconoscono gli Anglicani, Luterani,
Calvinisti, Evangelici, Metodisti, Mormoni, Amish, ecc;
Copti d’Egitto e d’Etiopia;
Sette cristiane di vario tipo.
Il cristianesimo più diffuso: il cattolicesimo
Si tratta di una religione monoteista, rivelata da oltre XX secoli. È caratterizzata da oltre 1 miliardo
di fedeli; un ruolo particolare al suo interno è svolto dalla lingua latina. Il cattolicesimo è la
“grande” religione del mondo occidentale, la più importante del Cristianesimo. Ha permeato molta
parte del pensiero filosofico, letterario, musicale, artistico e più in generale culturale del mondo.
Ha una sua capitale, Roma, e numerosi centri importanti diventati nel tempo luoghi sacri, turistici
e di pellegrinaggio (Lourdes, Fatima, Assisi, Loreto, Međugorje …).
La basilica di Assisi
Il cattolicesimo si rappresenta nel mondo attuale con molti simboli: chiese, basiliche, cattedrali che
rappresentano i principi primi del cattolicesimo. Un esempio è la Basilica di Assisi, definita un
simbolo del cattolicesimo povero, inclusivo, interconfessionale. I lavori per la sua costruzione
iniziarono nel 1228 e finirono nel 1253. Essa è custodita dai frati della comunità: rappresenta
quindi l’anima pura e povera del cattolicesimo, ideali incarnati dal pensiero di San Francesco
d’Assisi, che portava avanti l’idea dello spogliarsi di tutte le ricchezze.
Questa basilica è diventata anche il punto di ritrovo della Marcia della Pace, che da Perugia di
snoda per 24km fino ad Assisi. Questa Marcia, organizzata da un’associazione pacifista, si svolge
ogni due o tre anni tra la fine di Settembre e gli inizi di Ottobre.
La Basilica di Assisi è inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
La Basilique de Notre-Dame de Paris
Si trova a Parigi, nel quartiere dell’Ile de la Cité. La basilica di Notre-Dame è simbolo del
cattolicesimo ricco e potente. La stessa costruzione architettonica è infatti in stile gotico, che da
un’immagine di una chiesa imponente e monumentale. La basilica è di proprietà dello Stato, ma il
suo utilizzo è stato assegnato alla chiesa cattolica. Fu costruita con l’impegno finanziario della
Corona e della Chiesa. I lavori finirono nel 1344.
La Basilica di Notre-Dame de Paris è inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità UNESCO.
L’importanza di questa basilica è data anche dagli eventi storici che nel tempo si sono susseguiti
al suo interno, come l’incoronazione di Napoleone nel 1804. Sono innumerevoli gli eventi politici e
le cerimonie commemorative di personaggi illustri che si sono svolti al suo interno.
La Catedral Metropolitana de Guatemala
Si trova in Città del Guatemala, nello Stato del Guatemala in America centrale. Simboleggia il
cattolicesimo esportato fuori dall’Europa. La presenza spagnola in Guatemala, che si ebbe in
forma imponente e massiccia dopo la scoperta delle Americhe (nel corso del 1500 e il 1700), portò
con sé anche una forte opera evangelica.
La religione Ortodossa
La religione Ortodossa nasce in Europa dalla rottura tra la chiesa Cristiana Orientale e la Chiesa
Cristiana Occidentale (scisma dell’anno 1054). Questo scisma rappresentò anche una frattura
linguistica tra alfabeto e lingua latini da un lato; e lingua greca e alfabeti orientali (greco, cirillico)
dall’altro.
Si lega all’identità nazionale degli Stati dell’Europa Orientale. Per questo è interconnessa con il
potere politico e si contamina, in certi casi, di nazionalismo.
È stata anche veicolo di acculturazione per la lingua russa nell’Asia settentrionale.
Luoghi sacri – sono famose le cattedrali ortodosse di Bucarest e Mosca. Anche questa religione,
quindi, lascia una sua presenza sul territorio attraverso imponenti cattedrali.
Le chiese protestanti o riformate
All’interno delle chiese protestanti o riformate vi sono diversi culti, accomunati dalla riforma del
Cattolicesimo. La riforma protestante o scisma protestante, nelle sue correnti principali della
Riforma luterana e della Riforma calvinista, è il movimento religioso di separazione (Scisma) dalla
Chiesa Cattolica avvenuto nel XVI secolo, con risvolti politici di tipo rivoluzionario, che ha portato
alla nascita del cosiddetto "cristianesimo evangelico". Figura centrale alla quale si attribuisce la
nascita del movimento protestante è l'ex-frate agostiniano Martin Lutero, insieme ad altre figure di
spicco quali Giovanni Calvino, Huldrych Zwingli, Thomas Müntzer e Filippo Melantone.
All’interno delle chiese protestanti o riformate troviamo diverse confessioni religiose: Anglicani,
Luterani, Calvinisti, Evangelici, Metodisti, Mormoni, Amish, ecc.
Anglicanesimo
La chiesa anglicana nasce non da tensioni riformistiche né da fermenti rivoluzionari ma da un atto
che si potrebbe definire amministrativo, semplice in forma e sostanza: l'Atto di Supremazia (Act of
Supremacy) con il quale nel 1534 Enrico VIII con il consenso del parlamento si proclamò capo
supremo della chiesa anglicana.
Si tratta di una chiesa nazionale di lingua inglese, che ha, dal XVI secolo ad oggi,
accompagnato l’ascesa politico culturale e poi il declino dell’Inghilterra.
Nei secoli, questa chiesa è stata esportata nelle diverse colonie britanniche, e oggi conta circa 80
milioni di fedeli.
Dall’Anglicanesimo è nata la Chiesa Episcopale degli Stati Uniti: quando le 13 colonie inglesi
si sono ribellate alla Gran Bretagna, hanno dato origine agli Stati Uniti d’America e reciso i legami
politici con la monarchia britannica e la chiesa anglicana.
Il Giudaismo o Ebraismo
Si tratta di un’altra confessione religiosa che rientra tra le religioni etniche. Non è possibile non
pensare alla diaspora ebraica: la dispersione del popolo ebraico avvenuta durante il regno di
Babilonia e sotto l'impero romano, che coinvolse 14 Milioni di in dividui.
Si tratta di una delle religioni monoteiste più antiche del mondo, comparsa in Palestina molti secoli
prima di Cristo ma la sua diffusione rimane confinata al gruppo etnico che l’ha elaborata fin dalle
sue origini. L’ebraismo si è ancorato da un punto di vista territoriale ad un’area specifica, ossia
Israele, che nasce per volere dell’ONU dopo la II Guerra Mondiale col fine di dare una casa al
popolo ebraico.
Le influenze culturali dell’ebraismo vanno ben oltre la Palestina e il Medio Oriente [cap. 7
Frémont].
Islamismo
Tra le religioni universali, oltre al cristianesimo troviamo anche l’islamismo. Con quasi 2 miliardi
di credenti, è oggi la seconda grande religione monoteista, predicata da Maometto a partire
all’VIII secolo d.C. Il testo sacro è il Corano, scritto in arabo letterario (classico).
Un elemento di estrema importanza, soprattutto all’interno degli scenari geopolitici del Medio
Oriente, è la scissione tra sunniti e sciiti. La diatriba affonda le sue radici nel 632 d.C., l’anno
della morte del profeta Maometto. Le tribù arabe che lo seguivano si divisero sulla questione di chi
avrebbe dovuto ereditare quella che a tutti gli effetti era una carica sia politica che religiosa. La
maggioranza dei suoi seguaci, che sarebbero in seguito divenuti noti come sunniti e che oggi
rappresentano l’80% dei musulmani, appoggiarono Abu Bakr, amico del profeta e padre della
moglie Aisha.
Secondo il sunnismo, alla guida politica e spirituale (non strettamente religiosa) della Comunità
poteva accedere qualunque musulmano (maschio o femmina) pubere, di buona moralità, di sufficiente
dottrina e sano di corpo e di mente.
Secondo gli sciiti, invece, il legittimo successore di Maometto andava individuato tra i suoi
consanguinei. Sostenevano che il profeta avesse designato a succedergli Ali, suo cugino e genero, e
diventarono noti come sciiti, una forma contratta dell’espressione “shiaat Ali”, i partigiani di Ali.
Gli sciiti vedono nell’ Imam un garante spirituale della condotta degli uomini che fosse e desse prova
della veracità della religione e dirigesse la comunità. C ompongono una minoranza del mondo
islamico: sono distribuiti lungo la cosiddetta mezzaluna sciita, dall’Iran (paese maggioritario
della loro presenza), per la Siria fino al Libano.
L’islamismo si è diffuso rapidamente dall’Arabia Saudita sia verso ovest (lungo la costa dell’Africa
settentrionale, nel Marocco e poi nella penisola Iberica fino alla Francia, a Touluse), sia verso est
(fino all’area del sud-est asiatico). Il maggior numero di popolazione islamica è presente in
Bangladesh, Pakistan, India e Indonesia, Iran, Turchia, Nigeria.
Nelle diverse interpretazioni dell’islamismo rientra anche il gruppo degli Ibadi.
Gli Ibaditi costituiscono l'unico ramo oggi esistente dei kharigiti, quella corrente
religiosa islamica che costituisce una "terza via" tra sunniti e sciiti, le cui origini risalgono ai primi
tempi dell'Islam. L’Ibadismo si è diffuso ed è presente attualmente nello stato dell’Oman. È una
frangia islamica considerata tra le più tolleranti verso le altre confessioni religiose: gli ibaditi,
infatti, hanno una mentalità molto aperta, anche verso le innovazioni e la modernità; rifiutano
qualunque forma di conservatorismo e estremismo.
Luoghi sacri – anche l’islamismo ha modificato lo spazio costruendo opere architettoniche, ossia
le moschee. Sono famose le moschee di Kairouan in Tunisia (non aperta a non islamici) e la
Moschea Blu di Istanbul (patrimonio dell’UNESCO), che ha assunto anche valore culturale: è una
delle poche moschee al mondo aperte anche a persone di fedi diverse.
L’islam è stato anche esportato nel mondo, in seguito all’aumentare dei flussi migratori dei
mussulmani. La moschea di Montréal (Québec) fu costruita per la prima volta nel 1996, per poi
essere modificata nel tempo. Nel Québec l’1,5% della popolazione (circa 130.000 persone) sono di
fede musulmana, in gran parte immigrati di recente arrivo nel Paese nordamericano.
Induismo
L’induismo è la più grande religione etnica esistente con 1,2 miliardi di aderenti, per l’80%
concentrati in India.
Si tratta della religione politeista più antica del mondo. È principalmente confinata all’interno del
sub-continente indiano (composto da India, Nepal e Bhutan). Anche negli stati confinanti
(Pakistan, Afghanistan) vi è una presenza, seppur minoritaria. Piccole comunità di religione indù si
trovano anche in Asia sud-orientale (Indonesia, Malesia, Cambogia, Thailandia, Laos, Vietnam…),
Africa, USA, Inghilterra (comunità isolate).
L’induismo crede nel Trimurti, ossia la forma triplice dell’Essere supremo, che si identifica in:
Brahma (colui che crea);
Vishnu (colui che protegge);
Shiva (colui che distrugge).
L’induismo non è solo una religione, ma anche una rete articolata di elementi religiosi, filosofici,
sociali, economici, artistici connessi a una civiltà specifica. Si può dire che l’induismo è un
ortoprassi, un vero e proprio modo di vivere.
L’induismo crede nel ciclo della vita e della morte, nella reincarnazione, nella sacralità del
mondo vegetale e animale: per un induista, la vacca è sacra. Ciò influisce con l’alimentazione dei
credenti, che non possono nutrirsi di carne di mucca. Essi sono particolarmente sensibili anche alle
questioni ambientali.
Luoghi sacri – anche gli induisti hanno lasciato nel territorio delle tracce. Il tempio è il luogo
d’incontro tra Dio, il sommo supremo, e il devoto. Il tempio non è solo luogo sacro, ma anche
luogo di aggregazione aperto e di scambio culturale tra le comunità indù; ma anche tra gli
stessi induisti e le altre comunità. È quindi un luogo pensato come un ponte tra la comunità
induista e quella locale. Proprio perché nella mentalità induista c’è una forte tolleranza anche nei
confronti di chi non appartiene alla comunità indù. L’induista sostiene un bene comune, per il
quale è aperto allo scambio culturale.
Varanasi è la città sacra della religione indù, che si affaccia sul fiume Gange, a sua volta fiume
sacro, che tramite le sue acque purifica l’anima. Altre città sacre sono Haridwar, ai piedi
dell’Himalaya e Mathura, dove c’è un grande tempio induista.
1. Per quanto riguarda il territorio interno, si intende la configurazione interna di uno stato.
Essa riguarda:
Latitudine: gli stati collocati a latitudini estreme (estremo nord o estremo sud) fanno più
fatica a funzionare a causa della geografia fisica (il freddo, clima, difficoltà delle
comunicazioni)
Forme e dimensioni: possono essere un condizionamento o un’opportunità, può essere
isolato o no: il fatto che la Gran Bretagna sia un’isola l’ha salvata dall’invasione nazista
durante la II guerra mondiale. Se poi lo stato è un arcipelago possono esserci altre difficoltà
(ad esempio l’Indonesia ha molte isole anche lontane tra di loro: è facile che il potere sia
meno sentite nelle aree più lontane dal centro, nelle zone più lontane si possono formare
indipendenze e gruppi di insorti. Altri arcipelaghi come il Giappone riescono a gestire bene
questa caratteristica). Anche lo sviluppo longitudinale o latitudinale è importante. Se lo
stato si sviluppa in latitudine (Cile, Argentina: allontanandosi da Santiago o da Buenos
Aires si hanno diverse difficoltà).
Posizione rispetto ai mari: la posizione può essere interna o esterna. La posizione
esterna può sfociare su un mare aperto o un mare chiuse: lo sbocco sul mare aperto
consente di cambiare, comunicare e avere in entrata o in uscita merci, collegamenti, che in
un mare chiuso non si avrebbero: il commercio sarebbe facilitato ma soltanto tra pochi
stati.
Disegno oro-idrografico: lo stato dal punto di vista fisico è necessariamente influente, ad
esempio se ha tante montagne, colline o laghi.
2. Per quanto riguarda il rapporto con gli altri stati:
Frontiere e confini: frontiere = aree in cui c’è scambio coi paesi vicini (dove si disegnano
forme di bilinguismo); confini = confine chiuso, rigido (tra la Corea del Nord e del Sud).
È importante la lunghezza e il numero dei confini; e i caratteri dei paesi confinanti. l’Africa
e il Medio Oriente hanno confini e rapporti col prossimo molto meno sicuri che quelli
europei.
Regione in cui lo stato è inserito
Continente in cui lo stato è inserito
Queste dimensioni, sommate a quelle di prima, rendono chiare le varie variabili che possono poi
andare a determinare uno stato.
L’organizzazione politica tradizionale
Lo stato tradizionale ha:
La cura e la salvaguardia ambientale: molti stati (a partire dagli USA, i primi nel 1872
con la creazione del parco di Yellowstone) hanno iniziato a occuparsi della salvaguardia del
patrimonio ambientale;
La conservazione, la pianificazione e la valorizzazione del territorio (aree protette,
monumenti, centri storici);
La programmazione degli interventi nello spazio: la gestione delle infrastrutture e
l’immaginazione del territorio per il futuro.
I cinesi hanno un ufficio nazionale dedicato al turismo, i canadesi hanno un ufficio dedicato agli
spazi turistici e alla loro valorizzazione. In Italia il dipartimento della protezione civile è sottoposto
dalla presidenza del Consiglio dei Ministri. Anche in Francia c’è l’Office de Tourisme de France.
Lo stato, nato nel medioevo con un’idea mononazionale, cercava con una monarchia assoluta di
controllare lo spazio dal punto di vista linguistico e religioso; piano piano è diventato molto di più:
multinazionale, riconoscente delle minoranze, laico, attento al territorio, al turismo, all’ambiente.
Le nuove forme di organizzazione politica del territorio
Gli stati hanno anche nuove forme di organizzazione politica del territorio, che si manifesta
tramite:
Il controllo politico degli spazi marini ha scatenato gli appetiti degli stati. Una delle aree più
contese tra il pianeta è quella del Mar Cinese Meridionale, dove sono stati trovati ricchi giacimenti
di gas e di petrolio. La loro presenza ha scatenato gli appetiti di tutti gli stati (Cina, Vietnam,
Filippini, Malesia, Taiwan).
Molte potenze si interessano con occhi nuovi a spazi inediti: una nave russa lavora nel mar Artico,
compreso tra la Russia e l’Europa da una parte e quelle del Nord America dall’altra. Applicando il
concetto delle 200 miglia nautiche come zona economica, quello che rimarrebbe libero sarebbe
solo una piccola zona attorno al polo nord; mentre le altre zone cadrebbero in mano della Russia,
Norvegia, Danimarca, Canada, USA…
La Russia sostiene inoltre che anche le catene marittime sotto il livello del mare possono essere
considerate come continuative del territorio di uno stato. Se fosse così, la zona economica esclusiva
della Russia potrebbe aumentare ulteriormente a discapito degli altri paesi.
La Francia ha molti spazi marini non in Europa ma in America, a causa delle colonie (Polinesia
francese…). È quindi il secondo paese al mondo (dopo gli USA) per zone economiche esclusive. La
Francia è soprattutto fuori dalla Francia, le sue acque corrispondono a metà dell’Europa: ha 9
milioni di km² di acque.
Una nuova sfida dell’Ecumene è quello dello spazio. Vengono creati una serie di missili europei,
russi, statunitensi per la corsa allo spazio, iniziata già negli anni ’50. Nel 1957 i russi furono i primi
ad andare nello spazio con lo Sputnik, seguito dallo Sputnik 2.
Lo spazio si è caricato anche di una dimensione militare, in quanti vi sono finiti anche i missili
balistici. C’è una competizione molto forte tra Russia, Cina e USA. Questi missili possono essere
lanciati nello spazio.
La Cina parla anche di una probabile guerra fredda spaziale.
Guerre offensive: stati che attaccano altri stati per motivi veri o pseudo veri
Guerre difensive: uno stato si difende da un altro
Guerre di posizione: non si avanza, si mantengono le posizioni reciproche
Guerre di movimento: ci sono molti spostamenti
Guerre rivoluzionarie: per dei cambiamenti all’interno dello stato
Guerre tecnologiche: attraverso reti tecnologiche
Ci possono essere diversi fattori destabilizzanti:
Tensioni etnico-linguistiche: uno stato che cerca magari di aiutare una minoranza che
vive un uno stato vicino
Scontri e integralismi religiosi: ci può essere una religione perseguitata e uno stato
vicino cerca di aiutarla
Concorrenze economiche e politiche: la guerra dà un grande potere alle industrie della
guerra, alle élites sociali che vedono nella guerra motivi di arricchimento personale.
Dopo la II Guerra Mondiale non è più scoppiata una guerra di tali dimensioni, ma le guerre locali
sparse per il mondo si sono moltiplicate. I confini di alcune aree del mondo non sono ben
delineati proprio perché sono in corso questi conflitti. Uno dei più importanti è quello nel Medio
Oriente.
Le eredità della storia: confini condivisi, imposti o contestati
Un fattore di grande tensione è quello ereditato dalla storia e dei rapporti pessimi tra USA e Cuba,
dopo il colpo di stato degli anni ’60 con cui Fidel Castro ha deposto un grande dittatore
filostatunitense. Oggi i rapporti tra questi due paesi sono molto tesi, a causa di questa eredità della
storia. Nel sud dell’Isola c’è la Baia di Guantanamo: è cubana, ma prima della caduta del dittatore
cubano gli USA la avevano acquisita tramite un accordo di concessione. È stato quindi tracciato un
confine artificiale molto difeso dagli USA e dai cubani. Guantanamo oggi ha la funzione di essere
una grande prigione dove vengono posti gli integralisti islamici. Si tratta quindi di uno stato molto
particolare.
Un altro caso di eredità della storia riguarda la Russia, che dopo l’indipendenza delle Repubbliche
baltiche (Bielorussia, Ucraina…) si è trovata con un piccolo territorio separato, la regione di
Kaliningrad, una volta chiamata Köninsberg, luogo natale di Kant (ai suoi tempi era Prussia).
Una grossa questione è quella dei confini politici amministrativi fatti all’epoca dell’Unione
Sovietica. L’Ucraina è un paese cerniera, in cui la parte occidentale è molto vicina all’Europa
mentre quella orientale alla Russia. I confini in questa parte di mondo sono quindi molto
contestati.
Il Kashmir è una zona dell’Asia in cui ci sono molte montagne molto alte. Con la nascita dell’India
dopo il 1947 e il ritiro dei britannici che non hanno lasciato delle indicazioni precise sui confini, si è
aperta una partita tra il Pakistan, l’India e la Cina per questo territorio. Tutti e tre hanno una parte
ma aspirano ad avere il territorio completo.
A Cipro la questione linguistica del turco e del greco si è mescolata a quella della religione, in
quanto si è divisi tra ortodossia e mussulmana. La minoranza turca ha chiamato in aiuto la Turchia
che ha invaso l’isola, occupando il nord dell’isola costringendo la popolazione greco-ortodossa a
fuggire al sud. Ci sono ancora basi britanniche perché il piccolo stato di Cipro ha chiesto alla GB di
rimanere con una presenza militare per tutelarli contro la Turchia.
Muri
Stanno sorgendo diversi muri, anche se si pensava che sarebbero crollati, come quello tra il
Messico e gli Stati Uniti a causa del quale molti messicani sono morti.
Il tipo più “strano” di muro che abbiamo oggi è quello per separare Israele da Gaza e dalla
Cisgiordania. Ha delle forme molto strane, a serpente.
Il Marocco ha annesso nel 1976 una parte del Sahara occidentale lasciata libera dalla
decolonizzazione spagnola. Il Marocco, dopo una guerra contro le popolazioni che abitano il Sahara
occidentale, chiamati Saharawi, che vogliono l’autodeterminazione e l’indipendenza, ha costruito
un muro. I rapporti tra Marocco e Algeria sono pessimi perché il valico di frontiera tra questi due
paesi è chiuso. La situazione è tesa anche perché l’Algeria aiuta i Saharawi.
I Caschi Blu devono controllare queste zone e i muri.
Tensioni per l’acqua nel XXI secolo
Le prossime guerre saranno quasi sicuramente per l’approvvigionamento idrico: il cambiamento
climatico infierisce sulla penuria di acqua in certe parti del mondo. Ci saranno guerre dove i
piccoli saranno spinti contro i grandi (contadini contro multinazionali).
L’acqua ha una doppia natura: da un lato è un bene comune e dall’altro è una merce con un
valore di mercato.
Il dilemma degli stati – lo Stato è chiamato in causa perché deve distribuire gratuitamente le
risorse idriche necessarie alle fasce di popolazione che non possono partecipare al mercato; ma
anche dare il suo appoggio a coloro che la vedono come una merce e un guadagno, e riservarne una
parte all’agricoltura e all’ambiente fisico perché l’ecosistema non ha denaro per proteggersi.
Trovare un compromesso alle due necessità è una missione molto difficile.
Ci sono paesi dove l’acqua è molto o moderatamente abbondante (Russia, continente americano),
altre in cui potrebbe spesso scarseggiare (Africa).
L’ONU e lo sviluppo umano
Il programma dell’ONU del 2006 per lo sviluppo è dedicato ai rapporti tra acqua, potere e povertà:
- “i Paesi possono anche emanare leggi relative all’acqua considerandola un bene nazionale
ma rimane il fatto che la risorsa in sé travalica i confini politici senza alcun passaporto,
passando sottoforma di fiumi o laghi”.
- Le acque transfrontaliere mettono “in relazione all’interno di un sistema condiviso utenti
dislocati in diversi paesi. La gestione di questa interdipendenza rappresenta una delle
grandi sfide dello sviluppo umano che la comunità internazionale si trova a fronteggiare”.
L’ONU cerca per il futuro di garantire una protezione per le risorse idriche e di evitare che la nuova
geografia delle acque possa mettere in pericolo il sistema di equilibrio fra gli stati.
Le risorse, distribuite in maniera ineguale nel mondo, navigano tramite rotti e circuiti energetici
esposti anche alle tensioni della geopolitica.
L’esempio tipico della fase di forte instabilità politica in cui ci troviamo è il fatto che i rifugiati sono
in aumento: 33 milioni nel 2013, 65 milioni nel 2016. Si tratta di persone che lasciano una regione
politica instabile per andare in un altro stato. Le crisi in Afghanistan, in Siria, nello Yemen etc.
fanno aumentare queste cifre.
Favorire la collaborazione tra i membri nel campo della politica estera, della sicurezza, della
giustizia;
Realizzare l’unione monetaria e utilizzare l’ Euro;
Istituire una cittadinanza europea;
Favorire la libertà di circolazione delle persone (Accordo di Schengen) e delle merci
L’UE deve essere vista anche come una sperimentazione regionale che in altri continenti
non si sta facendo, cioè di andare oltre la sola unione doganale ed economica. Si tratta di
uniformare la politica estera, la sicurezza dei paesi, il rapporto con la giustizia;
Stabilire relazioni privilegiate con i Paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico), i Paesi del
Mediterraneo e le organizzazioni regionali degli altri continenti. Si tratta di una regione
politica sovrannazionale, che però ha dei vicini più o mento complementari coi quali si
possono scambiare esperienze, denari, commerci.
L’UE, come abbiamo detto, è anche lontano dal nucleo centrale dell’Europa come
continente.
Oltre 50 anni di allargamenti territoriali progressivi (1957-2013)
1973 Danimarca, Irlanda, Regno Unito
1981 Grecia
1986 Portogallo, Spagna (che uscivano da un lungo periodo dittatoriale di destra)
1995 Austria, Finlandia, Svezia (Austria e Finlandia avevano un accordo fatto dopo la II
GM, secondo il quale non potevano aderire a nessuna organizzazione internazionale se le 4
potenze vincitrici [Gran Bretagna, Francia, USA, URSS] non accordavano il permesso.
2004 Rep. Ceca, Cipro, Rep. Baltiche (Estonia, Lituania, Lettonia), Malta, Polonia,
Slovacchia, Ungheria, Slovenia
2007 Bulgaria, Romania
2013 Croazia
L’UE è un’organizzazione complessa, a più livelli. Vi sono paesi dell’area Schengen che non fanno
parte dell’UE (Svizzera, Norvegia, Islanda), paesi dentro l’UE che non hanno aderito a Schengen
(Irlanda, Regno Unito, Croazia, Bulgaria, Romania). Vi sono accordi di scambio culturale, come
l’Erasmus, che coinvolgono molti paesi ma non tutti.
Un elemento di difficoltà è la grande diversità dei paesi all’interno dell’UE, che rende complicata la
collaborazione.
Al momento, i paesi membri sono 28, 19 dei quali hanno adottato l’€. I paesi aderenti al progetto
Erasmus sono 33.
Il PIL è elevato, con una media di 25.600€ annuali.
Unità didattica C
Geografia urbana
Dimensioni geo-storiche e questioni contemporanee
Parlare di geografia urbana implica parlare di qualcosa di molto complesso, attuale e antico, che
viene da lontano.
La popolazione urbana nel mondo è un peso crescente nel tempo e nello spazio:
1800: 10%
1950: 30%
2000: 50%
2025: 66%
Gli anni in cui noi viviamo segnano un’enorme rottura rispetto al passato, che ci fa stare attenti
sulle letture di un fenomeno come la città, considerata come qualcosa che sta “dietro” di noi. Oggi
siamo, in qualche modo, oltre la città. La parola “città” è forse datata dal punto di vista storico: oggi
bisognerebbe parlare di aree urbane, di contesti urbani, di metropoli. In questi anni ci sta essendo
una svolta epocale. La storia ci ha insegnato che a dominare è stata soprattutto la popolazione
rurale. In questi anni, c’è stato un sorpasso: la popolazione urbana è cresciuta in maniera molto
elevata.
Quindi la storia ha lasciato un heritage soprattutto di pratiche rurali e contadine, di montagne,
paesaggi (molte culture si rifanno al passato di queste civiltà, tutte le culture derivano da una
matrice contadina). Mentre il futuro geografico è decisamente diverso: la geografia dice che il
futuro sarà sempre più urbanizzato. Oggi, la maggior parte dei cittadini abitano in alcune
piccole aree del pianeta (nel mondo le città sono veramente dei piccoli puntini rispetto alle varie
aree rurali). La popolazione si concentra in alcuni piccoli punti. Nelle prime lezioni abbiamo detto
che gli attrattori della popolazione sono la vicinanza al mare, la pianura; oggi possiamo aggiungere
il contesto urbano.
Si tratta di un fenomeno esistente già dagli anni 50: più della metà dei cittadini dei paesi del primo
mondo (Nord America, Europa, Giappone…) abitava nelle città e nelle aree urbane. Questa
popolazione continua, oggi siamo intorno ai ¾ della popolazione.
Nei paesi in via di sviluppo e nei paesi poveri, negli anni 50 dominavano i contadini. Oggi hanno
quasi triplicato. La percentuale di urbanizzazione è molto alta nei paesi sviluppati; nei paesi in via
di sviluppo si sta ugualmente elevando, ma in maniera più contenuta.
La città
La città è un insediamento esteso e stabile di persone, un’area costruita che si differenzia da un
piccolo centro per dimensioni, densità di popolazione, importanza o status giuridico-
amministrativo (molte città hanno un distretto specifico, la città di Washington è chiamata
Washington DC), ma anche per criticità e squilibri socio-spaziali, ambientali e paesaggistici.
La città può essere intesa come urbs o civitas:
Urbs: se ci si riferisce soprattutto all’immagine fisica e materiale della città, all’agglomerato di
edifici, strade, piazze e spazi pubblici;
Civitas: se si esprime invece un’idea meno materiale di città, riferita ai legami interpersonali, ai
valori collettivi e identitari, a gruppi sociali, alle narrazioni urbane individuali e collettive, ai
simboli politici e culturali. Vi nascono le mode, ci sono grandi eventi, etc.
Sparso: se costituito da edifici isolati (di solito è il tipo rurale come nel sistema del bocage
delle regioni atlantiche europee). L’inizio dell’insediamento sparso riguarda i primi villaggi
antichi lungo i fiumi.
Accentrato: se formato da edifici ravvicinati, la cui dimensione va dal piccolo villaggio alla
metropoli
Questi tipi di insediamento esprimono il modo con cui le persone si rapportano al loro spazio
mediante la loro organizzazione sociale, politica, economica e culturale.
Nomi di città di oggi ricordano il fatto che in antichità di trattava di borghi (Freiburg, Strassburg,
Borgo Maniero…). La toponomastica non è mai a caso. “Sesto” è nato come villaggio al sesto miglio
lontano dal centro di Mediolanum. È diventato poi San Giovanni in epoca latina cristiana.
Il paesaggio visto nel mondo rurale, mano a mano che arretra perché diventa borgo e poi città
introduce nuovi tipi di insediamento e nuove forme di organizzazione politica, sociale, economia.
Nel villaggio c’è una certa struttura sociale: c’è la piccola scuola, la piccola chiesa, spesso e
volentieri un solo dottore…
Nella città a contare sono tanti, che lavorano anche in maniera indipendente tra di loro.
La fase iniziale: l’inizio della città non ha una data o origini precisi, ma fonda le radici tra
il mito e la leggenda. Sicuramente, un aspetto interessante della storia della città è la fase
iniziale, quando gli spazi fluidi del nomadismo lasciarono spazio a quelli radicati della
sedentarietà. Le radici della città stanno nei villaggi.
La specializzazione spaziale e produttiva: lo spazio si specializza, ossia in alcune parti si
produce qualcosa (allevamento, transumanza, agricoltura…), nella città ci si specializza sui
servizi, sul mercato dove si smerciano i prodotti della campagna circostante.
C’è quindi una specializzazione tra la campagna e la città.
L’epoca classica: la specializzazione è avvenuta sicuramente anche in questo periodo.
Nelle rappresentazioni antiche è visibile la città cinese come sede del mercato e
dell’artigianato; la città egizia rappresentava una vetrina per la rappresentazione del potere
del faraone; le città greche, fenice ed etrusche erano orientate agli scambi, al commercio,
alla cultura e alla perfezione estetica manifestata tramite i famosi monumenti in marmo e
non, che ancora oggi usiamo per mostrare il potere religioso, politico etc.
La città romana: era il luogo della razionalità, dove il potere politico e religioso avevano
un grosso controllo, c’è un centro urbano (l’incrocio delle due strade, cardo e decumano).
La città dell’antichità ha quindi già alcuni degli aspetti, sia come urbs che come civitas, che oggi
abbiamo anche nelle nostre città. Già viene mostrata l’importanza delle strade, della città come
incontro-scontro-mediazione delle esigenze sociali, etc.
La città medievale
Le città europee e arabe del Medioevo tra heritage, difesa materiale e aspirazioni trascendentali
- Alto Medioevo (V-X secolo)
- Ripresa urbana del X secolo
- Periodo comunale (XIII-XIV secolo). L’Italia è una delle terre dei comuni che nascono e si
sviluppano durante il Medioevo.
Si tratta sia di vecchie sia di nuove aree di urbanizzazione europea (il Mediterraneo “classico” con
città come Atene, Siracusa etc.; il Mediterraneo arabo e bizantino con Costantinopoli o Bisanzio; le
città pioniere dell’Europa centro-settentrionale e orientale: la città prima era una prerogativa solo
Europea, nella altre parti del mondo le popolazioni erano nobili, esistevano solo piccoli villaggi). Il
medioevo è quindi il primo grande momento in cui si costruiscono le città.
Le città arabe del medioevo cominciano già a mostrare segni di recupero dell’ heritage delle
epoche precedenti, quindi le città europee usano molto costruire e ricostruire usano materiali
ereditati dall’epoca romana o greca; mentre gli arabi utilizzavano materiali delle civiltà pre-
islamiche.
Le città si occupano soprattutto di costruire e crescere ma dando importanza alla difesa:
soprattutto l’alto medioevo è un periodo di numerosi scontri (invasioni barbariche, guerre con i
popoli circostanti, guerre per la diffusione dell’islam). Quindi è importante che la città si difenda.
La città è anche legata alla religione: la città era la città degli uomini ma anche di Dio.
Città al di fuori dell’Europa:
o Le città asiatiche (l’India dei Mogul, la Cina “classica”, il Giappone imperiale etc.)
o Le città americane precolombiane (Maya e Aztechi in centro America; Moche, Chimu e
Incas in Sudamerica).
La città europea in epoca moderna
Il Rinascimento e l’Umanesimo sono stati fasi della città ideale. Da Vinci, Michelangelo,
Bramante etc. si impegnarono per la città utopica. Viene recuperato un sistema romano ortogonale
conferendogli una forma particolare di difesa (es. Sabbioneta, Mantova).
La città romana e medievale di Lucca viene ridimensionata e allargata, assumendo una forma
particolare sotto Medici in Toscana.
La città industriale del XIX secolo
Si tratta del tipo di città nata durante la prima rivoluzione industriale. I legami della città con le
attività produttive e industriali del settore secondario sono molto forti. Quindi c’è un grosso
legame tra la geografia economica, la geografia della città e la geografia delle fabbriche.
Le città sono spesso nate laddove si trovava il carbone, dove venivano edificate fabbriche. In questo
modo si sono creati paesaggi anche molto degradati (la letteratura ha anche immortalato ad
esempio Londra nella nebbia). Il degrado strutturale deriva dal fatto che le città industriali erano
state costruite molto velocemente, senza fognature o servizi igienici: lo sviluppo fu caotico e
incontrollato. Molte persone morivano anche in giovane età a causa della scarsa igiene (discorso
di geografia della popolazione in chiave storica).
Sesto San Giovanni ha invece conosciuto la seconda rivoluzione industriale, perché l’Italia, essendo
povera di carbone, non ha conosciuto la prima. La seconda avvenne verso la fine dell’800 e agli
inizi del 900 e fu legata al petrolio e all’energia elettrica che arrivava dalla montagna. Sesto era
prima solo un piccolo centro agricolo, ma grazie alla rivoluzione industriale diventò una città. La
Campari, la Marelli occupavano addirittura più del 50% della superficie della città.
L’urbanizzazione contemporanea e le sue dinamiche
Le parole “urbano” e “urbanizzazione” sono usate in Geografia con due significati diversi:
Urbano, evidenzia le caratteristiche materiali e fisiche della città, l’urbanistica, la
concentrazione spaziale, l’alta densità di popolazione, l’edificato, le funzioni e le
infrastrutture;
Urbanizzazione, indica la diffusione dello stile di vita urbano anche a quelle parti di
territorio che non si definiscono “città”. È più legato alla civitas: è il modo di pensare, lo
stile di vita urbano.
Immaginiamo le persone che crescono in città e poi escono per esigenze in torno alla stessa.
Abitano in spazi rurali, ma il loro modo di vedere, di concepire, di votare, di valutare, di consumare
etc. viene dallo stile di vita che abita dentro quelle persone, è la città che è dentro di loro.
Secondo molti studiosi, il processo di urbanizzazione è destinato ad espandersi a scala planetaria
dando origine a quella che viene definita come Ecumenopolis, un Ecumene = città / spazio
urbano abitato. Oggi abbiamo ancora la divisione perché abbiamo ancora aree ecumeniche,
anecumeniche e subecumeniche. Secondo questa visione, il pianeta terra potrebbe diventare
un’unica grande dimensione urbana, un’unica grande città.
16.11.2020
Continuiamo il discorso sulla geografia urbana.
La popolazione urbana, che oggi ha superato il 50% degli abitanti della terra, presenta oggi dei
grandi squilibri. Abbiamo delle aree (tendenzialmente dell’America latina, Europa…) molto
urbanizzate; o delle altre (Africa, isole Pacifico…) con una popolazione urbana ancora contenute, in
quanto si è ancora legati alla ruralità e al primario.
Si tratta di una lettura su scala mondiale: alle varie scale regionali e continentali si possono fare
ragionamenti molto diversi. L’Europa, ad esempio, è generalmente urbanizzata ma ci sono grosse
differenze tra Europa settentrionale, meridionale, occidentale o orientale. Le situazioni sono inoltre
estremamente variegate in un continente enorme come quello asiatico: alcune aree, come l’India è
molto poco urbanizzato (i due terzi degli indiani vivono nelle campagne).
La densità della popolazione urbana in Brasile è invece molto elevata: quasi tutta la popolazione
vive in grandi città come Rio de Janeiro, Sao Paolo, Salvador de Bahia, etc. La stessa cosa avviene
in Argentina, dove quasi un terzo della popolazione abita a Buenos Aires.
In molti paesi può esistere il concetto di macrocefalia urbana: una città troppo grande, con una
testa (“cefalo” deriva dal greco e significa testa) troppo grande rispetto al corpo (lo stato) in cui si
trova. Ad esempio, nel Perù la capitale Lima ha più di 8 milioni abitanti, mentre l’intero paese 25:
un terzo della popolazione abita concentrato nella capitale. A Parigi abitano 10 dei 60 milioni
abitanti complessivi della Francia. In Italia non abbiamo questo problema: Roma, considerata la
città più grande, non arriva a 3 milioni di abitanti.
Facendo una divisione dei fenomeni dell’urbanizzazione, vediamo sicuramente almeno due
percorsi: l’urbanizzazione dei paesi in via di sviluppo e quella dei paesi che hanno già conosciuto
la transizione demografica, con uno sviluppo più consolidato. La popolazione urbana in Europa ha
raddoppiato in 50 anni; mentre in Africa ha decuplicato.
L’esodo rurale (l’atto di lasciare le campagne per le città) caratterizza soprattutto i giovani. È
molto presente nell’America latina, ma non solo. È invece un fenomeno più contenuto in paesi più
sviluppati come il Nord America.
L’Asia è sicuramente il continente più importante dal punto di vista dei fenomeni urbani, in quanto
hanno numero molto elevati. Un secondo posto è sicuramente dell’America del nord.
L’urbanizzazione a due velocità si vede anche nel tasso di crescita medio annuo della popolazione
urbana. I dati degli ultimi 15/20 anni mostrano come la popolazione urbana cresce leggermente nel
nord America o in altri posti; l’incremento è molto forte nei paesi dell’Africa subsahariana, Africa
occidentale e australe, oltre che in alcune parti del mondo arabo o asiatico meridionale, della
penisola indocinese.
Alcune città hanno superato la dimensione della città. Tra il 2005 e il 2015, città come Tokyo,
Mosca o l’area di NY hanno mantenuto la stessa dimensione in maniera stabile. In altre località
come Karachi in Pakistan è cresciuto da 11 a 15 milioni, così come Pechino, Calcutta, il Cairo in
Africa, etc.
Queste cifre ci danno un’idea sull’esodo rurale verso la città, alimentato in particolare da flussi di
giovani.
Le Megacities o città globali
Sul piatto ci sono quindi anche questi mega-punti della terra, dove si concentrano le attività più
importanti di un paese, dove il quaternario e il quinario spesso solo addirittura le uniche presenti
in un paese (es. Mumbai in India, San Paolo in Brasile).
Queste città, ospitando queste funzioni e queste dimensioni mettono in vista delle visioni di sé,
delle rappresentazioni che alimentano l’interesse di chi potrebbe decidere di abitarvi; in questo
modo si instaura un processo di esodo urbano.
Le città diventano quindi Megacities. Il termine “mega” viene dal greco e significa “grande”. Oggi
sono qualcosa di molto forte ed evidente. A parte Tokyo, che continua ad essere la megacity più
importante del pianeta (nel 2025 si parla addirittura di 37 milioni di abitanti); NY comincia a
crescere da 16 a 19 milioni. Nel 1975 le più grandi città del mondo erano Tokyo, New York e Mexico
City. Nel 2010 sono diventate molte di più: Tokyo, Delhi, Sao Paolo, Mexico City, NY, Shanghai,
Calcutta, Dhaka, Karachi, etc. Nel 2025 si proiettano molte altre città che si aggiungeranno: Lima,
Bogotà, Jakarta…
L’Europa è presente nella classifica con Istambul ma molto bassa. Al 24esimo posto c’è Parigi con
10/11 milioni di abitanti.
La comparsa di queste grandi aree urbane richiama le due letture principali della città: urbs come
qualcosa di fisico, fatta di spazi anche abbandonati, che indicano diverse tipologie di mondi; civitas
come portatrice di aspirazioni, di politiche, desideri legati anche agli spazi del quotidiano, dove la
street art e le proteste dei giovani possono trovare un posto.
Ci sono molte domande: l’urbs deve tenere conto della civitas? Chi decide i neologismi, le mode, il
futuro? Periferia e centro sono così tanto diverse?
Le fotografie che mostrano il pianeta terra dall’alto mostrano un mondo che viaggia a due velocità.
I paesi avanzati (nord America, Europa…) hanno molte luci accese; mentre ci sono grandi neri e
silenzi in Africa, ad esempio, dove c’è l’assenza di vita umana. Si vede bene dove gli abitanti del
pianeta tendono ad essere concentrati.
Può esserci anche una lettura di tipo ecologica e ambientale: dove ci sono più luci ci sarà più
inquinamento in quanto si tratta di punti di maggiore traffico.
Si trovano vicino a una grande città o metropoli, di cui finiscono per costituire un particolare
quartiere.
Sono isolate in luoghi privi di altri insediamenti, ma convenienti per vari motivi (il presso basso
dei terreni edificabili, la tranquillità, il clima mite o asciutto e la luce solare intensa per impianti a
energia alternativa, etc.)
o Un esempio è la Technopole di Sophia Antipolis, città creata dal governo francese per
accelerare lo studio dei materiali leggeri, delle leghe particolari dei metalli chimici e fisici.
“Sophia” è la conoscenza; “antipolis”, = per creare una città nuova. È una città piccola,
abitata da scienziati con dottorati di ricerca. Si trova nel sud della Francia.
Un altro esempio è Novara. I tetti di determinate case con tetti di cotto rossi indicano che siamo nel
centro storico della città. Una parte del terreno è anche leggermente sollevata: questo indica che si
tratta di una città sicuramente antica, che i fattori storici hanno dato una certa forma alla città, che
era chiusa nelle mura; che la città nuova non ha tetti di cotto in mattone, ma ha tetti grigi: stiamo
passando dalla parte storica a quella moderna. I primi a dare forma a questa città furono i romani
quando la conquistarono.
La città concentrica
Bologna ha una forma circolare che è ben visibile dall’alto. Le vie si allontanano man mano dal
centro. La periferia di Bologna, i nuovi quartieri sono ben evidenti. Come a Novara i tetti di cotto
rappresentano la parte più vecchia della città.
Anche la città di Milano si è sviluppata in maniera concentrica. Inizialmente era stata conquistata
dai romani. Con gli Sforza (1400) è stato costruito il Castello Sforzesco, interrompendo la forma
circolare delle strade. Gli spagnoli hanno poi conquistato Milano
e gli hanno dato una forma a cuore.
Quindi, la Milano del 1500-1600-1700 ha avuto una forma di
cuore voluta dagli spagnoli.
In epoca più moderna, agli inizi del 1800 Napoleone, che non
amava il Castello Sforzesco ha avviato i lavori per il foro
Bonaparte, rimasto incompleto. Nel parco dietro al castello ci
sono le tracce di questa costruzione.
A pesare molto sulla morfologia urbana è la geografia fisica. La forma della costa di New York è
ben visibile tramite una cartina fisica. La città ha una
forma assolutamente unica.
La città fu inizialmente conquistata dagli olandesi, che la
chiamarono New Amsterdam. Successivamente divenne
degli inglesi, che la rinominarono New York.
Si tratta di una città veramente molto grande. Lo stato di
New York confina con lo stato di New Jersey.
Il fatto che i tre aeroporti siano collocati in tre punti
particolari sta ad indicare che vi sia una razionalizzazione
delle funzioni. Le funzioni aeroportuali sono strettamente
legati alla forma della città: sono collocati in luoghi diversi della città per facilitare i cittadini.
Anche ad Algeri c’è la presenza del mare, anche se la morfologia rispetto a NY è diversa. Nella parte
alta c’è un’area fortificata, in quanto da lì poteva arrivare il pericolo delle invasioni barbariche. Ci
sono montagne, fiumi. Ci sono motivi storici, produttivi, fisici… che danno forma ad una città.
Genova ricorda molto Algeri come livello di antropizzazioni. Il porto di Genova è stato soggetto a
moltissimi interventi da parte dell’uomo durante il tempo, questo è visibile dalle carte antiche che
mostrano la città. Anche qui la morfologia è importante: si tratta di una città nata tra il mare e la
montagna, per questo si è sviluppata molto in direzione est-ovest e molto poco in direzione nord-
sud. Si è costruito sopra i fiumi adiacenti alla città, cosa che non si dovrebbe fare.
Anche a Firenze la parte più bassa della città è quella storica, delimitata dal fiume Arno. Al di là del
fiume, siccome comincia la collina, la città è molto stretta.
La forma razionale e pianificata
Palmanova (Udine) è fatta a stella dalla Repubblica di Venezia. C’è un esagono al centro. La città è
radiale, a raggera.
Anche Grammichele (Catania) è una città ad esagono. La forma della città ricorda lo stesso
imprinting.
Questa teoria è stata elaborata già nel diciannovesimo secolo da von Thunen, e ne sono emersi
aspetti fondamentali:
- Ogni attività ricava una sua utilità da ogni dito dell’area urbana;
- L’utilità è misurata dalla rendita che un’attività è disposta a pagare per l’uso e l’occupazione
del suolo;
- Tra le varie rendite derivanti dall’utilità del sito darà massima quella che ne determinerà il
valore di mercato
Secondo queste regole, avremo aree che costano di più: nel centro vi saranno elementi più
significativi, in quanto lì la rendita urbana è più elevata.
L’organizzazione dello spazio urbano secondo E. W. Burgess
La teoria e il modello delle zone concentriche fu formulata da E. W. Burgess in base allo studio
della pianta di Chicago. Egli distingueva 5 zone principali:
1. Il Central Business District e il centro
2. La Inner City o Zona di transizione
3. La cintura industriale e l’immigrazione secondaria
4. La zona residenziale periferica (aree residenziali di lusso)
5. Quartieri dei pendolari e “dormitorio”
La città ha il vincolo morto forte morfologico, ossia il lago Michigan.
Il costo del suolo decresce regolarmente mano a mano, partendo dalla zona 1 alla zona 5. Il costo
dello stile di vita cambia a seconda di dove ci si trova.
Quindi ci sono parti della città che costano di meno, e lì vi si radicano certe attività e certe persone.
Ovviamente la realtà è molto complicata e diversa rispetto agli schemi.
19.11.2020
Le reti urbane
Le città mutano la loro struttura nel tempo e nello spazio per spinte interne ed esterne ad esse. Il
disegno di una città (sia come urbs che come civitas) può cambiare per infinite ragioni (guerre,
nuova moda, nuove comunicazioni con altre regioni prima lontane…)
La crescita degli agglomerati urbani, la loro gestione e manutenzione nel tempo può così dipendere
da cause anche totalmente estranee alle motivazioni iniziali con cui è nata la città.
Si parla allora di inerzia e di trasformazioni urbane per sottolineare il fatto che una città si
sviluppa e si comporta come un organismo vivente: respira, evolve e si trasforma; e al tempo stesso
è anche capace di rinnovare le sue cellule (che possono essere i monumenti, le strade, le piazze…)
conservando e ripetendo così certi caratteri originari. La città può crescere per un certo tempo,
fermarsi, riprendere, essere abbandonata e riconquistata. È come un organismo vivente che si
trasforma continuamente.
Milano (Mediolanum) si trova in mezzo alla strada che dal mare va alle alpi e dall’esto all’ovest: è
quindi una tappa tra percorsi che collegavano città commerciali. Oggi, Milano è una città in cui
sono insediati molti servizi e industrie etc. Le motivazioni sono quindi in parte cambiate.
Il centro urbano
Nel centro urbano vi si trovano generalmente:
Le megalopoli americane
BosWash è una megalopoli che include una fascia urbana quasi continua, che si estende da
Boston (a nord, nello stato del Maine) fino a Washington (a sud, nella Virginia).
È una megalopoli tra le più antiche, con un’estensione di più di 1000 km. Include numerosi centri
urbani, come Providence, New York, New Jersey, Philadelphia, Baltimora.
Questa megalopoli si collega ad un’altra, che ha come acronimo ChiPitts: si tratta di una
megalopoli che si estende da Chicago a Pittsburg. Attraversa città come Detroit e Cleveland. Si
estende sul confine tra gli USA e il Canada.
Attraverso il centro di Buffalo, ChiPitts si collega ad un’ulteriore megalopoli canadese, che si
estende da Montreal a Windsor, città situata di fronte a Detroit. Abbiamo quindi due grandi
megalopoli americane (BosWash e ChiPitts) e una canadese.
Nella parte occidentale del continente vi sono altre due megalopoli pacifiche (perché si affacciano
sull’oceano pacifico). Una è estesa a nord nella zona di Vancouver, in Canada e include città fino a 8
milioni di abitanti. La seconda megalopoli pacifica si estende a sud: da San Francisco, lungo lo
stato della California, Arizona e infine a Tucson.
Si tratta di megalopoli, soprattutto BosWash, che racchiudono il cuore politico e amministrativo
degli USA.
La Megalopoli BESETO
La megalopoli di BESETO si estende da Beijing (Cina), per Seoul (Corea del Sud) fino a Tokyo
(Giappone). Si tratta di una conurbazione con un movimento quasi ad onda. Ha un’estensione che
include più stati dell’Asia.
Si tratta di una megalopoli che non solo include aree urbane a edificazione continua, ma include
anche aree utilizzate in maniera rurale.
La megalopoli Lagos
Si tratta di una megalopoli “del futuro”, perché è in via di costruzione. Si trova in Nigeria e si è
costituita intorno al centro di Lagos, città fondata nel quindicesimo secolo dai portoghesi
nell’Africa occidentale (sull’oceano Atlantico). Nasceva come porto commerciale per il traffico e
il commercio dell’avorio, degli schiavi e delle spezie.
Ospitava 25.000 abitanti su una superficie di 5km². Nel 1900, da questo centro la città comincia a
espandersi nella parte sud. Negli anni ’60 e ’80 ebbe invece inizio la sua grande espansione
all’interno del territorio nigeriano, andando ad urbanizzare vaste aree un tempo composte da
mangrovie, foreste e lagune. Oggi, Lagos è una megalopoli di tutto rispetto. Vi abitano milioni e
milioni di abitanti. Vi sono aree residenziali di lusso, ma anche grandi slums.
Oggi, Lagos ha 21 milioni di abitanti. La maggior parte di essi ha standard di vita bassissimi,
vive in baracche fatiscenti. C’è una mancanza servizi primari (strade, acqua potabile, elettricità,
fognature), microcriminalità dilagante, burocrazia arbitraria e corrotta. Vi sono inoltre enormi
problemi infrastrutturali, sociali e ambientali ma anche ambiziosi progetti di ammodernamento.
Si tratta di una megalopoli molto contraddittoria. In gran parte è occupata da slums, ma è anche
sottoposta da qualche decennio a progetti ambiziosi di ammodernamento. È stata la capitale della
Nigeria fino agli anni ’80, dopodiché è stata spostata. È rimasta comunque il grande centro
economico della Nigeria.
A Lagos c’è un quartiere particolare chiamato Makoko, definito “la Venezia nera” perché costruito
su delle palafitte nel mare. In questo quartiere è molto diffusa la lingua francese. Si tratta di una
bidon-ville abitata da un numero imprecisato di profughi dal Benin. Ha iniziato la sua crescita
verso la fine degli anni ’80, quando in Benin iniziò un periodo di turbolenza politica che causò
l’immigrazione in Nigeria.
Makoko è stata in parte smantellata a partire dal Luglio 2012, quando le autorità nigeriane hanno
ordinato la sua distruzione. Si diceva soprattutto che questo smantellamento fosse nato per motivi
di ordine pubblico (igiene, sicurezza). In realtà, altri motivi sottendono la distruzione di Makoko:
sicuramente motivi di ordine politico (i rapporti politici tra la Nigeria e il Benin non erano dei
migliori, dunque si voleva frenare questo flusso migratorio); Makoko si trova inoltre in un’area
strategica perché si affaccia sull’oceano: c’è la volontà di smantellare parte della bidon-ville per
ricavare territorio da adibire all’attività turistica.
In particolare, la necessità dello smantellamento nasce quando si avvia l’ambizioso progetto in
Nigeria di costituire la cosiddetta Eco Atlantic City, ossia dare a Lagos un’aria ecologicamente di
alto livello; ma soprattutto dar vita ad un progetto di edificazione per residenze elitarie e
infrastrutture alberghiere per ricavarne flusso turistico. Si vuole quindi dare a Lagos un’aria
turisticamente appetibile. Il progetto ha previsto la costruzione di una grande isola artificiale sul
mare che possa ospitare circa 50.000 persone. Si vuole dunque creare un grande quartiere, coi
caratteri tipici della omologazione turistica universale. Questa porzione di città deve inglobare le
élites di Lagos e i turisti in una sorta di geografia del benessere di carattere transnazionale. Questo
progetto ricorda quanto è stato realizzato a Dubai: sottrarre spazio al mare, avviare un progetto con
torri residenziali, centri dirigenziali, centri commerciali, edifici culturali, resort turistici, grattacieli.
Quest’area viene presentata come ecosostenibile, smart (intelligente).
Al di fuori di questa città, abbiamo la restante parte di Lagos caratterizzata per lo più da
insediamenti informali, slums, spazi del degrado fisico, economico e sociale.
A Lagos c’è dunque questa contrapposizione: insediamenti informali dove vive la gran parte della
popolazione; comunità chiusa, gated-community, enclave per ricchi e turisti.
Uno sguardo all’Africa occidentale
L’esempio di Lagos come megalopoli africana non è l’unico. Una grande area urbanizzata si estende
lungo la costa che si affaccia sull’oceano Atlantico. Le grandi aree urbanizzate, generalmente
nascono attorno ai centri politico-economici dell’Africa, attorno alle capitali, che accolgono gran
parte della popolazione che dalle aree rurali si spostano nelle aree urbane.
Accra, in Ghana, è un esempio di città che ha esteso i propri tentacoli dalla costa all’entroterra
dando origine ad una megalopoli che include anche le aree, il cui uso del territorio ha fini rurali.
Accra ha al suo interno un grande quartiere: Agbobloshie, famoso perché accoglie, da ogni parte
del mondo, i rifiuti elettronici. Importa gli scarti dei componenti elettronici, apparecchi elettronici
vecchi e rotti. Abbiamo qui il più grande commercio mondiale di rifiuti elettronici, che arrivano da
ogni parte del mondo. Qui vengono in parte smantellati e in parte rigenerati per essere rivenduti
sul mercato africano dei prodotti elettronici. L’inquinamento ambientale è naturalmente elevato.
Ogni anno arrivano milioni e milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, che vanno ad impattare
sull’ambiente e sull’attività economica di Accra.
Soprattutto in Africa, quindi, di vede molto bene che la megalopoli è contrassegnata non solo da
aree urbane a edificazione continua, ma anche da aree rurali. Urbanizzazione e ruralizzazione si
fondono nelle megalopoli.
25.11.2020
La megalopoli europea
Si estende dall’area londinese fino al contesto italiano. Questa megalopoli viene chiamata Banana
blu.
Banana blu è un termine usato per indicare una dorsale economica e demografica dell’Europa
occidentale. Il nome si espira alla sua forma curvata e al colore dominante della bandiera dell’UE.
Questa dorsale è conosciuta anche come megalopoli europea.
Tale termine apparve per la prima volta nel 1989, quando l’istituto Reclus di Montpellier realizzò
uno studio le cui conclusioni evidenziavano un corridoio urbano coerente di forma ricurva, esteso
da Londra a Milano (oggi scende fino a Roma), centro principale dello sviluppo spaziale
europeo. Le regioni coinvolte erano il bacino londinese, il Benelux, la
frangia nord-orientale della Francia, la valle del Reno, la metà
occidentale della Baviera, la Svizzera e il nord Italia.
Tocca il centro economico, commerciale e politico dell’Europa. Si
interseca col l’arco alpino, oltrepassandolo fino all’area padana. Oggi
si dice che prosegua fino a Roma. Ciò che caratterizza questo
corridoio è sicuramente i grandi flussi di traffico che si snodano
all’interno di quest’area. Presenta quindi uno degli elementi fondanti
delle megalopoli, ossia la connettività, la connessione, i flussi di traffico, la mobilità umana e di
merci.
Le città globali (world cities)
Sono luoghi in cui si concentrano attività quaternarie. Sono città altamente specializzate. Si
tratta di punti strategici per la gestione dell’economia globale, la produzione dei servizi avanzati
e lo svolgimento delle operazioni finanziarie.
Hanno specifiche caratteristiche, come ad esempio la presenza di sedi direzionali delle imprese
transnazionali, la presenza di infrastrutture di livello elevato e la multiculturalità.
Per Saskia Sassen le città globali operano come:
1. Punti direzionali di organizzazione dell’economia globale;
2. Località chiave per le società di servizi finanziarie e specialistiche;
3. Luoghi di produzione e innovazione dei settori avanzati;
4. Mercati per i prodotti e le innovazioni create.
Qui vengono riportati gli elementi che creano il profilo di una città globale.
Londra
New York
Tokyo
Ospitano servizi transnazionali; sono unite in complesse reti che controllano l’organizzazione e la
gestione del sistema di finanza globale; sono interconnesse grazie ad avanzati sistemi di
comunicazione fra governi, aziende, borde e mercati finanziari e delle merci, grandi banche e
organizzazioni internazionali.
Londra, New York e Tokyo sono conosciute come tre grandi città globali a livello storico. Nel
mondo ve ne sono però moltissime, anche di livello inferiore. Si collegano per moltissimi motivi
diversi. Vanno a creare il sistema urbano a livello globale.
Nelle città globali hanno sede le
grandi aziende. Le prime 200
multinazionali hanno sede in
queste città.
Vi sono anche altre realtà, oltre alle città globali, che sono sedi di grandi multinazionali tra le prime
200 per importanza e dimensione. Si tratta di paesi come la Svezia, il Brasile, il Canada. Emergono
con le loro città dove vi sono imprese transnazionali.
Sono i paesi che definiamo sviluppati dal punto di vista economico ad avere la meglio per la
presenza di multinazionali. Anche nei paesi in via di sviluppo sono presenti queste imprese, anche
se di un rango minore.
The GaWC inventory of world cities
Ogni anno viene stilata una graduatoria delle principali città globali. Tra le tante classificazioni,
una delle più autorevoli è quella dell’istituto di ricerca londinese GaWC (Globalisation and World
Cities Reseurce Netword). È un istituto di ricerca che studia le relazioni delle città del mondo. Ha
sede nel Regno Unito. Fu fondato nel 1998 dal geografo Peter Taylor insieme a Richard Smith. Il
fine è quello di dare una categorizzazione alle città del mondo, che viene fatta tenendo conto di
cinque parametri principali:
1. Si valuta il grado di affari della città, su che livello si pone
2. Se si tratta di città che accolgono un capitale umano ad un livello elevato
3. Se si tratta di città che portano avanti uno scambio internazionale di informazioni
4. L’esperienza culturale a livello internazionale della città
5. L’impegno politico a livello locale e internazionale della città
Sempre questo istituto di ricerca britannico classifica le città secondo tre livelli:
Livello alpha – città collegate ai principali stati e alle principali regioni economiche
mondiali, maggiormente intrattengono relazioni economiche col resto del mondo (Londra,
Parigi, New York, Chicago, Milano, Francoforte…)
Livello beta – città collegate in maniera più moderata. Sono città globali a livello
intermedio (Mosca, San Francisco, Mexico City, Toronto, Bruxelles…).
Livello gamma – città che collegano regioni economiche più piccole all’economia
mondiale. Hanno un livello più basso di interconnessione economica a livello globale
(Montreal, Roma, Monaco, Instanbul…).
Questa classificazione considera l’elemento economico della città in maniera preponderante
rispetto ad altri fattori come quello politico o culturale. L’apporto economico della città al mondo è
quasi la sua caratteristica più importante.
Le aree metropolitane in Italia
Sono regioni politico-amministrative che cercano di considerare gli effettivi legami funzionali del
centro urbano con le aree circostanti.
Sono fondamentali in particolare per tutte le politiche di gestione e pianificazione urbana che, per
essere efficaci, non possono considerare solo i confini amministrativi delle città ma devono
comprendere anche i centri limitrofi.
Affinché vi sia un’area metropolitana serve:
Sulla base di queste sette diverse categorie di indicatori si procede alla definizione dei relativi
ranking. I FUA che presentano score (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In Italia ve ne
sono complessivamente 6.
Anche il grado e la possibilità di accogliere e attirare popolazione sono elementi determinanti del
grado di sviluppo territoriale di una determinata area. Le aree che attirano di più nell’Unione
Europea sono il nord Italia, la Germania, il Regno Unito. Le aree che allontanano di più sono il sud
Italia, la Francia, una parte della Spagna, quasi tutto l’est Europa.
Arte pubblica e Place Making al servizio del paesaggio urbano
Il place making è una pratica che permette di pianificare, gestire, progettare gli spazi pubblici. È
uno strumento molto utile per i processi guidati dalle comunità locali. Sono orientati al
miglioramento di una determinata area, che può essere un quartiere, una città o una regione.
Questa progettazione può avvenire da parte di due attori:
Gestori pubblici, fondazioni (arte pubblica, installazioni, oggetti) a sostegno di narrazioni
collettive
Artisti e creativi (art lead place making) in termini emozionali sensibili.
In generale, questo processo deve essere sensibile al contesto, transdisciplinare, collaborativo,
sociale, culturalmente consapevole, motivante. Deve rispettare tutta una serie di canoni.
Alcuni esempi alla scala locale: Torino, Glasgow, Barcellona e Vienna
Alcuni esempi alla scala locale di pratiche di place making sono Torino, Glasgow, Barcellona e
Vienna.
Molte pratiche di place making sono state motivate dall’accoglienza, da parte di queste città, da
eventi (a Torino le Olimpiadi invernali).
Le questioni dello sviluppo urbano e delle trasformazioni sono al centro delle agende politiche e di
sviluppo in molte città italiane ed europee.
Gli esempi di alcune città europee che possono essere considerate come modelli per un processo
dinamico di cambiamento urbano e di place making. L’analisi dei progetti a Torino, Glasgow,
Barcellona e Vienna consentono di scoprire cosa queste strategie hanno in comune, dove
differiscono e quali difficoltà potranno aspettarsi molte città che stanno lavorando su programmi
simili di cambiamento urbano.
L’obbiettivo del place making è la diffusione di un modello di sviluppo urbano e la promozione di
principi urbanistici più a misura d’uomo e più incentrati sulle persone. -> implementazione delle
interazioni sociali, miglioramento della qualità della vita comunitaria.
L’uomo è posto al centro di questa pratica, e la comunità locale diventa il punto di riferimento.
Torino e le Olimpiadi invernali
I Giochi Olimpici di Torino del 2006 sono stati preparati intensamente dalla città per 4 anni. Il
significato di ospitare i Giochi va oltre la semplice organizzazione della prestigiosa competizione
sportiva.
I Giochi invernali devono essere visti in un contesto più largo di ristrutturazione urbana e di
rinnovamento (post)industriale. I Giochi, oltre ad essere un mezzo per promuovere su scala
internazionale la città e la regione, permettono anche di accedere a fondi per investire in nuove
infrastrutture, nella cultura e nell’arredo urbano.
A Torino, per esempio, si è investito nell’allacciamento alla rete dei treni europei ad alta
velocità, nel miglioramento del sistema di trasporto locale grazie ad una nuova metropolitana e
si sono messi in opera altri 80 singoli progetti urbani, fra i quali spicca il progetto chiamato “spina
centrale”.
La città e gli eventi
Approfittare di un evento internazionale spettacolare per concretizzare dei progetti di sviluppo
urbano è uno schema utilizzato con più o meno successo da altre città europee prima di Torino.
Vi sono esempi di altre città europee che hanno conosciuto esperienze o strategie simili di
cambiamento urbano in una prospettiva di trasformazione globale dell’immagine della città.
Glasgow, Barcellona e Vienna hanno punti comuni, differenze e difficoltà che si nascondono in
questi ambiziosi progetti di cambiamento urbano, promossi dagli attori pubblici e privati in molte
città europee ed extra-europee.
Uno degli esempi più eclatanti di oggi sono tutte le pratiche di rinnovamento urbano in Qatar, con
la preparazione del Fifa World Cup del 2022. Si tratta della creazione da 0 di una città che ospiterà
un numero di stati finalizzati ad ospitare l’evento. Si tratta di un evento straordinario.
In Europa, a Glasgow è stato creato il Clyde waterfront, sul fiume Clyde in Scozia. È stato fulcro di
circa 200 progetti di place making e rinnovamento urbano sui due lati del fiume. Ha implementato
investimenti interni e turismo, e ne hanno potuto beneficiare le comunità locali. Chi ha coordinato
e promosso questa rigenerazione è stata una partnership tra il Governo Scozzese, la Scottish
Enterprise e le autorità locali di Glasgow.
A Barcellona vi sono grandi eventi (World Architecture Festival del 2010), la World
Championship, manifestazioni, etc. Quando si creano occasioni per la comunità locale di agire
unitamente (anche grazie a progetti che favoriscono la collaborazione all’interno della
popolazione), si può creare una connessione che parte dalla comunità stessa.
Anche a Vienna ci sono state diverse occasioni di rinnovamento.
Cambiare la struttura urbana: verso una città postfordista?
Per parlare di cambiamento locale bisogna tener conto sicuramente anche delle trasformazioni
economiche e politiche a scala globale; in effetti, solo grazie ad un’analisi del quadro generale ci si
può fare un’idea dei problemi che coinvolgono la scala locale.
I processi globali di ristrutturazione economica comportano una complessa varietà di processi
territoriali, paesaggistici, sociali, economici e politici e sono interpretati in modi diversi dalla
comunità scientifica:
Il “Progetto Casa” fu approvato nel novembre 1982, era volto ad incrementare l’offerta di aree per
l’edilizia residenziale (privata e pubblica). Comprendeva create 19 nuove aree di espansione: 2.000
alloggi di edilizia pubblica, 1.400 di edilizia privata e 4.500 in forme integrate.
I quartieri Bicocca, Bovisa, Ginori e Falk Redaelli sono gli ultimi quartieri rinnovati.
L’Expo 2015 è stato un evento che ha notevolmente cambiato la natura e l’immagine della città
milanese. Milano era già stata sede dell’Esposizione Internazionale col tema dei trasporti. Nel 2015
il tema era il cibo. Il fulcro era il diritto inalienabile dell’uomo all’alimentazione. Il messaggio era
che l’alimentazione dovesse essere sana, sicura e disponibile a tutti gli abitanti della terra. Questo
ha dato a Milano una certa notorietà a livello internazionale. Il logo era stato il risultato di un
concorso pubblico aperto a studenti delle facoltà di architettura, design, arte, moda, etc. L’anno di
nascita della società per l’Expo 2015 è stato il 2009. Il costo è stato di più di 2 milioni di euro. Ciò
ha portato ad un esito molto positivo, in generale, per la città milanese. I terreni su cui è sorto il
sito non erano di proprietà pubblica ma suddivisi tra Fondazione Fiera Milano e la Società
Belgioiosa della famiglia Cabassi. Sono stati creati molti posti di lavoro, stage per giovani, etc. Ciò
ha portato un miglioramento delle condizioni della comunità locale.
30.11.2020
Milano è una città molto interessante, scelta come esempio perché in essa si trovano molte
tendenze dei paesi avanzati di oggi. Vi sono molti investimenti sia provenienti dall’esterno che
dall’interno volti a ridisegnare sia l’urbs (parte fisica e materiale della città) che la civitas (legata
all’appartenenza, alla cittadinanza) milanese. Tempo fa, Milano era solo la città dove andare a
lavorare e da cui scappare nel weekend per andare in campagna. Dal 2000 è diventata una città
dove poter passare anche il proprio tempo libero, con visitatori da altre regioni, da altre parti della
Lombardia, altri paesi o continenti.
Gli ambiti della trasformazione urbana possono essere legati all’aspetto fisico (ricostruzione di aree
dismesse o abbandonate come in Bovisa, aree ferroviarie dismesse, magazzini dimenticati); mentre
nelle aree lungo il margine della città troviamo aree protette (Navigli, parco delle Abbazie,
Idroscalo…).
In molte città del mondo vi sono grandi trasformazioni urbane. La città diventa uno sfondo, nel
quale le esperienze dei turisti e dei cittadini trovano appagamento. La città diventa spesso uno
scenario per i selfie, per alimentare l’immagine della città aperta sul mondo, del sistema mondo.
Alcuni esempi sono il recupero dell’ex area della fiera campionaria col progetto di città verticale
(city life), la creazione della nuova area fieristica alla periferia nord-ovest, ossia lo spazio di Rho
Fiera; la nuova sede di Unicredit in prossimità di Porta Garibaldi dove c’è la torre più alta in Italia;
il palazzo della Regione Lombardia che ha sostituito il vecchio Pirellone.
Vediamo questi esempi, che possono essere applicati anche a qualsiasi altra città in via di sviluppo
che ridisegna il proprio aspetto dell’urbs e della civitas per mantenere la competizione con le altre
città.
City life
La vecchia area della fiera campionaria era al margine ovest della città di Milano è poi diventata,
nei decenni di sviluppo della città, parte integrante dello sviluppo urbano. Non bastava più per le
attività fieristiche che si dovevano svolgere, per cui il grosso delle attività è stato delocalizzato a
Rho Fiera. Sono presenti oggi giardini verdi, spazi residenziali e altri dedicati ai servizi nelle
torri, dove hanno sede importanti compagnie assicurative. C’è uno dei più grandi centri
commerciali che si hanno in Italia. Questa vecchia fiera campionaria ha quindi lasciato il posto ai
grattacieli. Si tratta di una città verticale.
Il centro storico: la Borsa, le banche, gli uffici, i servizi e le infrastrutture per l’economia,
il turismo e lo shopping. Vi sono eventi legati al Natale, le novità da parte di aziende
straniere, etc. Si tratta del centro “salotto”, del tempo libero, della multiculturalità.
I quartieri residenziali e quelli “specializzati” per la moda, design, articoli di lusso, o
divertimento (Navigli), settore quaternario.
I quartieri “etnici”, le periferie in quartieri più esposti al degrado e la “città diffusa” (area
metropolitana milanese).
Milano è molte cose. Il ridisegno della città della globalizzazione è molto forte. La gentrificazione
del turismo e del tempo libero. I lanci pubblicitari delle varie catene di prodotti di vario tipo. La
città come bosco verticale, per sostenere la
visione della sostenibilità, della smart city.
La città che ridisegna lo skyline, dove anche
vecchi grattacieli degli anni ’60 prendono un
nuovo aspetto. È una città sempre più in alto,
che si è molto espansa durnate il tempo, fino
al Ticino e all’Adda.
Fuori, lungo per esempio i navigli c’è un recupero delle cascine e dei palazzi dove la nobiltà andava
tempo fa per scappare dall’aria pesante delle città, che oggi tornano ad essere viali o piste ciclabili
facilmente raggiungibili dalla città.
Le trasformazioni urbane
L’impatto di questi cambiamenti strutturali si fanno sentire soprattutto nelle agglomerazioni
urbane, perché “le città rappresentano i centri nodali delle trasformazioni globali, i luoghi in cui i
cambiamenti sono realizzati e sperimentati” (Castells).
Dagli anni ’80 in poi, nelle agglomerazioni urbane europee si percepiscono i primi sintomi della
crisi economica. In molti dei vecchi centri industriali si assiste all’aumento della disoccupazione
strutturale, alla deindustrializzazione e alla differenziazione del mercato del lavoro, i quali
procurarono (o accentuarono gli esistenti) problemi sociali.
Di fronte a questa crisi, lo Stato (come abbiamo detto nelle lezioni di geografia politica) nazionale
ha acquisito maggiori competenze, delega maggiori poteri alle istituzioni locali (regioni o comuni),
ormai diventate “attori importanti nella ricerca di nuove idee per stimolare la crescita economica
locale” (MacLeod/Goodwin, 1999).
Le nuove strategie urbane rispecchiano il carattere del capitalismo del XX secolo. La flessibilità
dei processi di produzione, dei movimenti di capitale e delle forme di comunicazione creano
competizione fra le diverse città, non solo all’interno di uno stato ma sempre più anche alla scala
internazionale.
La competizione tra città (soprattutto per gli investimenti e i posti di lavoro) e i fattori “soft”
di localizzazione (immagine, sicurezza, tempo libero, benessere, place making, ecc.) sono oggi
molto importanti. Alle amministrazioni della città viene chiesto non solo di occuparsi della parte
amministrativa della città, ma anche di trasformarsi in attore capace di proiettare l’area urbana nel
mercato globale. Se non si fa questo, la città resta indietro.
Le strategie d’attrazione degli investimenti nelle agglomerazioni urbane sono applicate in vari
settori. Si sperimenta, si fanno delle performance in vari settori, quali per esempio l’educazione
(learning regions) o la cultura (eventi, festival, mostre, ecc.), e sono spesso connessi a progetti che
dovrebbero fungere da motori dello sviluppo urbano.
Le strategie rispecchiano le nuove tendenze globali del marketing urbano, ma sono incorporate in
uno specifico contesto locale (urban entrepreneurialism).
L’obiettivo supplementare di modificare l’immagine della città crea
una simbolica positiva e dinamica, ma spesso disputata localmente
perché non è solo creatrice di benefici per la città (Swyngedouw,
2003).
“I am Amsterdam” ma anche “I love Amsterdam”.
La città “insostenibile”
Oggi, le grandi città sono più insostenibili che sostenibili a causa della sovrappopolazione,
dell’inquinamento, del consumo di suolo per le attività economiche portate avanti.
Il consumo di suolo avviene in tutto l’ecumene, e spesso è fatto sia per attività industriale, sia per
attività turistiche, etc.
Lo spazio che viene consumato in maniera continuata e violenta rende la città insostenibile.
Una prima visione per la città del futuro
Secondo la retorica neoliberale, la città come motore dello sviluppo, dei cambiamenti e delle
discontinuità geografiche.
Si tratta di una visione elaborata a partire dai discorsi dei grandi organismi internazionali (World
Bank, Fondo Monetario Internazionale), che supera i tradizionali modi di intendere le città come
spazi di integrazione socio-territoriale, di riduzione delle diseguaglianze, di mediazione delle
culture e della cittadinanza come nella tradizione keynesiana; per considerarle invece spazi
propulsivi per l'economia e la finanza grazie alla loro capacità di generare innovazione
tecnologica, di integrare economie regionali nei circuiti della globalizzazione, di attrarre capitali
per finanziare la propria trasformazione e riqualificazione.
La città deve continuamente modernizzarsi, realizzare infrastrutture tecnologiche, reinventare i
propri vuoti urbani, arricchirsi di eventi e arte pubblica.
Una seconda visione della città
Il secondo discorso, più recente, riguarda il ripensamento delle città come soggetti privilegiati
per il perseguimento della sostenibilità ambientale e per la lotta a fenomeni globali come il
cambiamento climatico, gli inquinamenti e l’entropia crescente del geosistema.
L’ipotesi è che con la crescente urbanizzazione il problema ambientale sia prevalentemente una
questione urbana, poiché da un lato le città stanno fra le principali vittime di fenomeni come il
cambiamento climatico o il degrado sociale, e dall’altro perché costituiscono siti cruciali per
l’elaborazione di strategie per affrontare queste criticità.
Quindi, secondo questa seconda visione la città sarà la principale vittima dei fenomeni legati al
degrado sociale, al cambiamento climatico etc., dunque è dalla città stessa che si devono attivare
per contrastarli.
Le smart cities
Le smart cities, cioè le città intelligenti, si pongono oggi come via di mezzo tra la prima e la
seconda visione del futuro.
La città intelligente, per definizione, deve conciliare e soddisfare le esigenze dei cittadini, delle
imprese e delle istituzioni. Impiegano in modo innovativo e diffuso le TIC, ossia le Tecnologie
dell’Informazione e della Comunicazione.
Quindi, la smart city usa le proprie risorse per dare vita a nuove forme di mobilità, alla fruizione
dell’ambiente e dell’efficienza energetica per migliorare la qualità di vita dei cittadini e la qualità
ambientale del contesto urbano.
La smart city è una mediazione tra la retorica neoliberale e quella che vuole ripensare la città
nell’idea di perseguire un superamento delle criticità globali come il cambiamento climatico. Si
pone quindi in posizione intermedia tra la città così come pensata dai grandi organismi
internazionali e la città pensata su un’impronta fortemente ecologica.
Si tratta dell’idea di incentivare operazioni di modernizzazione tecnologica per le città allo scopo di
renderle maggiormente sostenibili, competitive, efficienti e, in sintesi, “intelligenti”. Bisogna
inserire le tecnologie 4.0, risultato della quarta rivoluzione industriale [modulo B].
La sostenibilità è anche politica: grazie alla modernizzazione delle tecnologie, le città diventano
più competitive. La competizione è un elemento che caratterizza non solo l’economia, ma anche i
sistemi urbani.
Quando una città è competitiva, sostenibile ed efficiente, è una città smart.
È oggi noto a chi si occupa di territorio come un crescente numero di bandi di finanziamento a
riguardi questi temi. L’Unione Europea ogni anno emette bandi per finanziare progetti che
prevedono l’inserimento di tecnologie 4.0 all’interno dei sistemi urbani. In particolare, ha
introdotto la smart city nel Set-Plan, documento che definisce la strategia tecnologico-energetica
comunitaria: c’è quindi un’attenzione da parte dell’UE affinché le città (sia grandi che medio-
piccole) si corredino di tecnologie 4.0. L’UE mette a disposizione denaro e finanzia progetti per
questo fine.
Si conosce relativamente poco della smart city: gran parte del dibattito dei media assume toni
propagandistici, non si ha ancora un tempo abbastanza lungo per valutale; e in seno agli studi
urbani le analisi critiche sono ancora relativamente scarse.
Oggigiorno c’è una vera e propria corsa a tecnologizzarsi e innovarsi, al punto che è sempre più
diffuso il tema dell’innovazione. Si portano avanti ricerche sui paesaggi dell’innovazione e
dell’informazione.
3.12.2020
Riprendiamo la definizione di città intelligente.
Il termine smart city compare nella letteratura scientifica a partire dal 2007, quando venne coniata
la definizione di città intelligente. Era stato inoltre stabilito che erano “smart” le città sopra i
100.000 abitanti. Molti geografi rifiutano la definizione che vede una città come “smart city” solo
se ha un determinato numero di abitanti. Potrebbe essere smart anche una città di piccole-medie
dimensioni.
Lo smart cities hanno lo scopo di aumentare la qualità della vita degli abitanti delle città,
migliorare l'efficienza e la competitività dell’economia locale e dell’Unione europea e muoversi
verso la sostenibilità, migliorando l'efficienza delle risorse e gli obiettivi di riduzione delle
emissioni di gas serra. Si muove all’interno del concetto della sostenibilità. Tra gli obbiettivi delle
smart cities c’è quello di favorire l’efficienza energetica attraverso la tecnologizzazione.
I dieci principi della crescita intelligente
Innovazione di prodotto
Introduzione sul mercato di un nuovo bene di consumo
Innovazione di processo (fondamentale per arrivare al concetto di smart city)
Introduzione di un nuovo metodo di produzione
Innovazione organizzativa o di servizio
Introduzione di nuove forme di organizzazione o di gestione
Una città è intelligente non solo perché utilizza tecnologie 4.0, ma anche perché si creano dei
sistemi a rete all’interno della città stessa dove l’obbiettivo è quella di raggiungere una qualità di
vita elevata e una sostenibilità ambientale e sociale.