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Livio Sichirollo

La dialettica

ISEDI Istituto Edito~iale Internazionale

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Prima edizione, maggio 1973.
Prima ristampa, gennaio 1977.
Copyright @ 1973 by ISEDI,
Istituto Editoriale Internazionale
Via Paleocapa, 6 - 20121 Milano (Italia).
:B vietata la riproduzione, totale o parziale, della
presente opera, con qualsiasi mezzo, compreso le
copie fotostatiche e i microfilm. I relativi diritti
sono riservati per tutti i Paesi.
Stampato in Italia - Printed in ltaly.

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Indice

9 Introduzione

13 l. Dialettica, la parola e la cosa: etimo-


logia e preistoria
13 1.1. Premessa
14 1.2. Il verbo ~taÀÉyetv, ~taMye0'3at
15 1.3. Il sostantivo ì..6yoç
17 1.4. Un'interpretazione di Seno/onte·
18 1.5. Esempi di ~taÀÉyea3m in Ome-
ro, Erodoto e nell'uso attico

24 2. Esperienze dialettiche tra i Sofisti e


Socrate
24 2.1. Oratoria e sofistica
27 2.2. Dialogo e dialettica. Il punto di
vista di Aristotele
30 2.3. Dialettica e filosofia. lppia e Pla-
tone
34 2.4. Protagora e Gorgia. La dialetti-
ca nelle contraddizioni della re-
torica
37 2.5. L'esperienza socratica

41 3. Dìalogo, dialettica e filosofia in Pla-


tone
41 3.1. Premessa
43 3.2. Dialogo e dialettica
47 3.3. La dialettica come problema
51 3.4. La dialettica come "metodo " e
come " scienza " (la Repubblica)
55 3.5. Dialettica e politica dopo la Re-
pubblica

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6 Indice

60 4. Logica e dialettica, storia e filosofia


in Aristotele
60 4.1. Filosofia e coscienza comune: si-
}uazione della filosofia aristote-
lica
63 4.2. La " storia della dialettica " se-
condo Aristotele
68 4.3. Il rapporto sofistica, dialettica e
filosofia (Retorica e Metafisica)
72 4.4. Dialettica e antologia (Topici)
74 4.5. Dialettica, storia, politica

83 5. Morte e trasfigurazione della dialetti-


ca antica. Dagli Stoici all'età moderna
83 5.1. Dialettica soggettiva e dialettica
oggettiva
86 5.2. Qualche considerazione sulla
" dialettica " degli Stoici
92 5.3. La dialettica, ·ula parte più no-
bile della filosofia " secondo Pio-
tino
95 5.4. Figure, problemi e metodi della
dialettica nel Medioevo. Gli intel-
lettuali e il mondo delle città
97 5.5. Fiore e scorpione, scettro e ser-
pente: la dialettica nell'icono-
grafia
101 5.6. Fede e sapere
106 5.7. u Ars sermocinalis ": le Univer-
sità e la Scolastica
113 5.8. La società civile e la dialettica
delle cose. <·La ricchezza è po-
tere "

118 6. Kant. La finitezza dell'uomo e l' "ine-


vitabile " dialettica della ragione
118 6.1. Premessa. Kant e la tradizione
121 6.2. Analitica e dialettica
124 6.3. La dialettica come logica ·del-
l'apparenza. La finitezza dell'uo-
mo e l'illusione trascendentale

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Indìcc 7

127 6.4. /ntellett() e ragione, fenomeni e


noumeni
130 6.5. L'oggettività della contraddizione
e l'inevitabile dialettica della ra-
gione
133 6.6. La dialettica tra l'essere finito
dell'uomo e la sua libertà

13 7 7. Da Kant a Hegel : ragione, storia, dia-


lettica
13 7 7.l. Il dibattito sulla dialettica tra-
scendentale kantiana
141 7.2. Fichte e Schelling oltre e contro
Kant
146 7.3. Hegel contro Schelling. L'assolu-
to - realtà e ragione - come
storia
149 7.4. La dialettica non è un metodo
152 7.5. Dialettica è la realtà effettuale,
la storia
155 7.6. Il "mondo rovesciato" dell'uo-
mo comune
158 7.7. Il razionale è reale, il reale razio-
nale. "La dialettica non è sem-
plice vanità o smania soggettiva "

161 8. Marx e Engels. La dialettica realiz-


zata e la fine della dialettica
161 8.1. Il rapporto Hegel-Marx e la dia-
lettica: uno pseudoproblema fi-
losofico
168 8.2. Eric W eil: Marx e la Filosofia
del diritto
182 8.3. Intermezzo dialettico con Marx e
contro Marx
187 8.4. Storia, " blocco storico " e ideo-
logia in Gramsci

198 Epilogo

206 Guida bibliografica

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a Eric Weil

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Introduzione

" Un grande dibattito ebbe luogo in terra greca, un dibattito


determinante la direzione dell'intera storia del pensiero che più
non si muove lontano dal cammino dell'uomo (Parmenidc, fr. I),
ma lungo il sentiero stesso degli uomini. Noi dobbiamo restituire
ai primi eroi di questa lotta, a Protagora <pOQ!J-O<p6goç (facchino),
a Gorgia la loro gloria, e individuare in loro non i negatori di
uno scolastico criterio della verità, ma i primi grandi sostenito-
ri che il sapere non è una visione solitaria, che il sapere è co-
municazione, e che ciò che non è comunicabile o esprimibile non
è sapere ". Quando Massolo all'inizio degli anni sessanta diceva
queste parole (v. bibliografia) entrava nel vivo della problematica
contemporanea che ancora una volta si interrogava sul senso
della dialettica, nel suo rapporto con la realtà sul significato
della presenza di Marx e di Hegel nel nostro tempo. Egli ci
offriva anche, esplicitamente, una guida per intendere la storia
della dialettica, nel suo rapporto con la realtà, sul significato
le figure della dialettica si riconoscesse, cioè riconoscesse sè stes-
sa nel suo rapporto con la realtà e con le cose, nel suo uscir
fuori da queste.
La dialettica - nata in terra greca, almeno secondo il nostro
modo di intenderla. E rappresentò subito - come vedremo - il
nuovo ordinamento dei demi (quel po' di democrazia che fu pos-
sibile agli· albori della civiltà occidentale) contro l'ordine aristo-
cratico o meglio tribale, erede (o comunque l'equivalente), per
schematizzare, di ciò che va sotto il nome di dispotismo orien-
tale. Di contro alla libertà del principe, di uno solò, nascevano
le ·libere costituzioni delle città e con esse la libertà di molti o al-
meno di alcuni. Era la fine del mondo degli eroi, dei re-sapienti,
dei veggenti. È l'inizio del discorso, della comunicazione, impo-
sta dalla necessità di trovare il consenso e l'accordo nel dibatti-
to, da parte di molti, su un concetto (giuridico, politico). È la

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10 Introduzione

dialettica. Il sapere come visione viene dichiarato non-sapere, la


morale aristocratica, " che .sorge da un trionfante dir di sì a se
stesso", viene parimenti rifiutata.
,Non a caso abbiamo ricordato questo intervento dell'inizio de-
gli anni sessanta, uno dei tanti momentì di restaurazione politica
e culturale in Italia. Non a caso l'autore dal quale abbiamo preso
le mosse polemizzava con Heidcgger e attraverso Heidegger con
Nietzsche,' l'anti-Socrate della cultura contemporanea. Socrate, il
dialettico, il figlio di uno scalpellino, colui che strappò la filosofia
al cielo c la portò fra gli uomini (come rivelò subito Aristotele,
ripreso e divulgato da Cicerone), avrebbe incarnato lo spirito del-
la vendetta: " la dialettica è soltanto una forma della vendetta ";
" con la· dialettica la plebe prende il sopravvento ". E Nietzsche
chiamava i dialettici, cioè i predicatori dell'uguaglianza, " taranto-
le ": " Lo spirito della vendetta, questa è stata la migliore rifles-
sione degli uomini... l'odio della volontà contro il tempo e contro
quello che fu ". Sembra la cronaca dei nostri giorni, la citazione
da un quotidiano ufficiale (o ufficioso). Aristotele darà ragione ai
Sofisti e a Socrate, alle " tarantole ". Con la dialettica· rivendiche-
rà l'importanza dell'opinione e conquisterà alla filosofia il mon-
do d~ll'uomo comune, cioè" quell'intelletto che voleva trovare una
spiegazione per ogni cosa, tale che ognuno potesse comprenderla
e portarla al mercato " - e questa definizione sulla penria di Hei-
degger non suona certamente approvazione o elogio. La figura
dell'uomo comune, che si aggrappa alla sua ragione e vuole so-
stenerne le ragioni, che si sviluppa, quindi, accanto alla retorica,
fino a confondersi con essa, accompagnerà l'intera storia dell'uo-
mo, delle comunità umane raccolte nelle città.
La città è il vero luogo d'origine della dialettica, e questo spie-
ga la sua importanza anche nel pensiero medievale. Certo, qui è
soprattutto tecnica della disputa, retorica appunto, ma difesa del-
le pretese della ragione e della scienza di fronte ad un ordine
fondato o che si voleva fondato sulla fede. Poi nasce la scienza
nuova da una parte, le tecniche della produzione daJI'altra come
risultato dell'evolversi della vita delle città, del moltiplicarsi delle
loro esigenze; esigenze dell'uomo, create dall'uomo - ma finiran-
no per averne ragione. E: l'industria, la società mercantile, il mon-
do delle cose. Alla dialettica come scienza o tecnica dei discorsi
sulle cose va sostituendosi, proprio in un'epoca in cui di dialetti-
ca non si parla più (e. questo è particolarmente significativo), la
dialettica delle cose. Filosofia, politica, storia, sociologia e an-
tropologia si intersecano e si confondono nell'età che prepara
e accompagna la rivoluzione industriale. E: un'epoca di grandi

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Introduzione 11

tensioni. Al suo compimento stanno la Rivoluzione francese da


una parte e Kant .dall'altra.
Notiamo solo che Kant riscopre la dialettica, la restituisce al-
la filosofia, ma è una dialettica trasfigurata: la dialettica è della
ragione, è la ragione stessa, una sua opera necessaria e inevi-
tabile, ma è insieme la dialettica della realtà, il segno della pre-
senza di un mondo che non può non essere considerato come con-
traddizione e antitesi. Contraddizione e antitesi: il mondo, reale,
dell'uomo e deUa sua città, ora società borghese, del cittadino la-
cerato dalla proprietà. In questo senso da Kant a Marx si chiu-
de e si riapre ad un tempo quel grande dibattito che ebbe luogo
in terra greca: quel mondo dell'antitesi, dell'alienazione, il so-
lo mondo nel quale l'uomo può e deve vivere e lavorare - per-
ché è il mondo che è - non un'invenzione dci filosofi - è vera-
mente il mondo, la città dell'uomo, per l'uomo? Se l'uomo, alie-
nato, vuole ritrovar se stesso, superare quel suo esser-altro, non
potrà farlo che trasformando, spezzando la realtà storica che
rende (necessariamente) possibile quella situazione. La dialetti-
ca delle cose (quindi anche della lotta di classe) impone la di-
struzione e ·la trasformazione delle cose: la costruzione di un
mondo più umano lo richiede. Questo il risultato, il nodo storico
della storia del pensiero tra la Rivoluzione francese e Marx: la
filosofia riconosce la realtà dialettica, e riconosce questa realtà
come disumanizzante; trasformanla significa fare appunto appel-
lo alla dialettica - e nello stesso .tempo sopprimerla. Non è affat-
to una tesi, più o. meno paradossale: realizzare quella filosofia
che ha riconosciuto se stessa e la realtà come dialettica significa
riconoscere che la dialettica non è più un problema meramente
filosofico. Dopo Marx, infatti, altre mani hanno raccolto la filo-
sofia - e lo afferma Engels quando riflette sulla genesi del " mar-
xismo ", quando dichiara: " il proletariato è l'erede della filo-
sofia classica tedesca ". Appunto il rovesciamento della dialettica,
anzi il suo venir posta da parte.

Se ci è consentito di anticipare qualcosa della conclusione del-


la nostra storia, possiamo dire che, a ben guardare, .la dialetti-
ca esiste solo, oggi, per coloro che si pongono il problema della
" dialettica " come problema filosofico. Oggi, ma non solo oggi,
nella sua storia la dialettica apparirà come l'elemento di media-
zione per quei filosofi che investono con un interesse positivo Ja
politica e la realtà sociale, e se ne lasciano sollecitare. Proprio
per questo, proprio per non essere un problema " filosofico ", quel
dibattito che balzò fuori nel e dal mondo greco è ancora aperto

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12 Introduzione

oggi. Ed è ancora ~l dibattito tra il sapere come visione e il sape-


re come comunicazione, tra la scolastica o meglio le scolastiche,
cioè le filosofie che filosofano sulla filosofia (un fatto presente
anche nel marxismo contemporaneo) e quell'intervento dell'uo-
mo, politico o filosofo, che non riconosce la pretesa della coscien-
za privata di farsi inizio e di contenere il senso del filosofare, tra
" l'idealismo " delle scolastiche (e della dialettica: ma in questo
caso, se ha un senso e ciò che abbiamo detto e la storia che ci ac-
cingiamo a ricostruire, non si tratta affatto di dialettica), delle
astratte metodologie, delle ricorrenti analisi sulle " strutture ", e
quella ricerca che per tradizione continuiamo a chiamare filosofia
in quanto essa si riconosce in una situazione; storica, reale, e del-
la situazione di volta in volta mette allo scoperto le componenti
(strutturali, sovrastrutturali, ideologiche), quella ricerca che solo
in astratto è o filosofica o scientifica o storica, ma di fatto tiene
ferma l'unità di queste differenze e determinazioni e si costruisce
su questa unità. Marx ed Engels lo avevano indicato: la fine della
" separazione " fra scienze umane e scienze natùrali, fra storia
dell'uomo e storia della natura, fra dialettica come metodo per
intendere Ja realtà a partire dal suo interno e filosofia come siste-
ma, costruzione ideologica o itinerario personale posto come og-
gettivo.
Ma, diciamo ~a verità, che cosa sappiamo, oggi, di loro, im-
mersi nelle scolastiche, incapaci di opporci alle ricorrenti restau-
razioni? Il dibattito contemporaneo, al quale brevemente accen-
neremo, dimostra e la verità, da una parte, e il non-senso, dall'al-
tra, d~1le nostre inquietudini, delle nostre incapacità. Ma esso ci
indica anche il cammino da percorrere. Allora, e solo in questo
senso, possiamo affermare che è pur vivo lo spirito della dialet-
tica, cioè quel bisogno di cui parlava Socrate, di vivere nella cit-
tà, di non potersi soddisfare nella contemplazione <iella campa-
gna e degli alberi. La filosofia ha bisogno di realtà. Solo in que-
sto senso possiamo riaflermare la lezione di quel grande dibatti-
to che ebbe inizio in terra greca: in principio era la dialettica,
perché in principio è la città.

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l. Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria

1.1. Premessa

" Dialettica " è una parola che soltanto Platone consegna alla
storia della filosofia e attraverso la storia della filosofia alla cul-
tura in generale. Per essere più precisi potremmo forse dire che
tale operazione viene compiuta già da Socrate, ma dal momen-
to che non ci ha lasciato nulla di scritto dovremmo fondarci sul-
l'autorità di testimoni che erano troppo intelligenti, troppo colti
e, per i loro grossi impegni politici e culturali, troppo accorti per
essere del tutto oggettivi - troppo filosofi insomma. Ma non è fa-
cile mettere d'accordo Platone e Aristotele, Senofonte e Aristo-
fane. D'altra parte a noi ora interessa il documento scritto, non
la genesi di un atteggiamento che fu spontaneo, forse, prima di
essere filosofico o meglio prima di essere interpretato come filo-
sofico. A noi interessa non già l'inventore di un problema (e non
ci interessa perché il filosofo, se è vero filosofo, non inventa mai
i propri problemi, ma li trova, li individua nella realtà, nel dive-
nire del mondo umano che egli fa oggetto della sua riflessione),
bensì come un problema si è fatto tale per un filosofo, come un
fatto è divenuto problema ed è stato successivamente interpretato.
Cercheremo, dunque, di delineare la genesi linguistico-concettua-
le di lhaÀÉyecr{lm (dialettica), ma non ci occuperemo di presunte
figure dialettiche o della dialettica che potremmo anche trovare
nei più antichi autori. Una ricerca simile è destinata a muoversi
su un piano assolutamente arbitrario e a condurre a risultati del
tutto problematici. Infatti, o si deve accettare un generico con-
cetto della " dialettica " (per esempio : lo spirito della contrad-
dizione, la facoltà di rendere falso il vero e vero il falso, come
ritenne anche Goethe; oppure: " ... caratteristica della dialettica
è di non essere mai soddisfatta", dice R. Schaerer, storico e filo-
logo classico), un simbolo da applicare con significati e sfumatu-

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14 Dialettica, la parola c la cosa: etimologia e preistoria

re diversi, oppure si assume come mezzo di interpretazione una


delle figure storiche della dialettica (platonica, per esempio, o
aristotelica... ). In entrambi i casi si dà per presupposto e risolto
un problema che è ancora da chiarire nella sua genesi.

1.2. Il verbo atuÀ.Éysw, <lw/.Syso1'tctL


Prima di Platone incontriamo il verbo <ILctÀÉyEo1'tuL e l'aggettivo
sostantivato <lu:D,EKtoç, che significa lingua, modo di parlare; le
due forme <ltw.oyoç c <ltuÌcF.x.nx.oç ricorrono soltanto in Platone e
non si può affermare con sicurezza che si tratti di un caso for-
tuito della tradizione. Il verbo è usato da autori del v secolo, ma
si trova già in Omero, Archiloco e Saffo. Mette conto esaminare
questi luoghi per cercare di chiarire con esempi il significato del
3taÀiiyEa&m nell'accezione prefilosofica, nel suo uso comune. Il
linguaggio va spiegato anche storicamente, non c'è un significato
in sé della parola, non c'è un rapporto in sé tra la parola e la cosa
·o l'azione significate, e quindi non c'è neppure un destino metafi-
sica delle parole o di certe parole, sicché si debba ritenere che
la loro storia risulti necessariamente condizionata dall'interno.
Vediamo in primo luogo la struttura del verbo bwMynv,
btaMyfm'h:u.. Nel preverbo (che, considerato separatamcnte, equi-
vale al dis- latino in composti come discerpo, discerno, disiungo
ecc.) è presente l'idea di separazione, di divisione in due, di di-
stribuzione, di differenza e anche di compimento 1• In. particolare,
nell'uso attico, il l'na- esprime emulazione o anche, c meglio, il
concorso di più soggetti in un'azione con influenza reciproca: si
vedano per esempio i verbi, in genere di forma media, 3w~wA.o­
y€o~tuL, intendersi, stabilire qualcosa di comune accordo; <ltax.E-
Àf.l)o~uu incoraggiarsi, esortarsi reciprocamente; bwBod.o~m gri-
dare a gara, e altri. Basterebbe questa constatazione per spiegare
il significato generale e fondamentale del nostro verbo, un signi-
ficato che rimarrà costante nella lingua e nella letteratura antiche,

1 Abbiamo tenuto presente: W. M tiRI, Das Wort Dialektik bei Plato,

in « Museum Helvcticum », I, 1944, n. 3, in partic. pp. 152-3; MEILLET-


VENDRYES, Traité de gratm.naire comparée ... , Paris 1948, pp. 521 sgg., 782
sgg.; ScHWYZER-DEBRUNNER, Griechische Grammatik, vol. n, Miinchen
1950, p. 448 ("Il significato fondamentale entzwei, auseinander, zer-, è del
tutto mantenuto nel latino c nel gotico, ma nel greco solo nell'uso prever.
biate"; F'RISK, Griechisches Etymo/ogisches Worterbuch, fase. 4 (1956),
p. 383.

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Il sostantivo Myoç 15

nello stesso Platone, dove è opposto a " contendere " o a " di-
sputare " (ÈgftEtv), e vale disputare con reciproca comprensione
e soddisfazione allo scopo di un comune miglioramento e appro-
fondimento della cosa, conversare, insomma, nell'accezione più
alta del termine; Platone lo oppone anche a &fj!J-T)YO!.JELV, parlare
come pJ.Ibblico oratore, tener concione, ed è interessante ricordare
qui la traduzione che Croiset propone di lhaJ,Ex-nr.&rtEQOV (nella
sua traduzione, presso Les Belles Lettres, di un noto passo del
Menone, 75CD): "in un modo più conforme allo spirito della
conversazione ".

Analizziamo ora la radice del verbo (ì,Ey /Àoy: ÀÉynv, cfr.


Myoç). Ci limiteremo solo a qualche osservazione, a delineare i
contorni di questo fenomeno linguistico che è uno dei più com-
plessi e dei più studiati per le sue numerose connessioni con i
vari campi della scienza dell'antichità. Il valore etimologico di
Mynv è razionale e distributivo, indica, cioè, il calcolare e il
modo di ripartire una quantità; solo in un secondo tempo il verbo
acquista il suo noto valore dichiarativo indeterminato di par-
lare, e questo grazie anche al medio ÀÉyo~tw. (" intrattenersi, di-
scutere "), nel quale è presente il valore distributivo della radice
e l'idea di reciprocità del medio. Lo schema dell'evoluzione del
verbo può essere questo: l) raccogliere, scegliere e, solo in gre-
co, numerare, far di conto; 2) solo in latino percorrere in senso
locale, quindi, nelle due Hngue, percorrere in senso figurato enun-
ciativo: enumerare, raccontare, dire, parlare (in latino: leggere
la lista dei senatori, cioè fare l'appello dei senatori). L'evoluzione
compiuta da questo verbo in latino è caratteristica: lego, leggere,
e lego, scegliere, sono diventati due verbi indipendenti; per un
contemporaneo di Cicerone legere oleam e legere librum non han-
no nulla in comune. Queste due idee hanno finito, dunque, per
intrecciarsi nel significato di argomentare, dire qualcosa con or-
dine e simili, come vedremo fra poco.

1.3. Il sostantivo ì.oyo;


Il sostantivo Myoç ci mostra un'evoluzione e un risultato ana-
loghi. Àoyoç raccoglie l'eredità di· bwç e ~tv&oç che in un certo
senso ad esso si contrappongono: il primo è parola, vocabolo,
verbum, ma in senso assolutamente determinato e astratto, men-
tre il secondo significa pensiero che si esprime, opinione, lin-

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16 Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria

guaggio. Oltre, dunque, al valore etimologico, razionale puro, di


calcolo, numero (donde poi la ragione matematica, la proporzio-
ne), sono ad un tempo impliciti in Myoç i significati di vox, pa-
rola, e ratio, ragione. Quest'ultima è la facoltà dell'intelligenza
(in Democrito per es.), ma anche l'argomento, la spiegazione di
cui l'intelligenza si serve; vox, parola, è l'espressione in gene-
rale, il. diseorso in particolare (la definizione come termine filo-
sofico, il concetto in Aristotele), e in questo senso indica la
forma e il contenuto dell'espressione, il tema e la sua esposizione.
Omero, nei due soli luoghi in cui logos ricorre, al plura:le, è estre-
mamente significativo. Odissea, I 59: Calipso cerca di far di-
menticare ltaca a Odisseo con discorsi artificiali; Iliade, XV 393:
con parole abili Patroclo distrae dal dolore Euripilo ferito. Sono
dunque presenti gli espedienti oratori della sofistica e gli ulteriori
sviluppi razionali. All'alba della sua storia logos evoca un cal-
colo, una stima, conto e profitto.
Per finire e per chiarire ulteriormente si noti la contrappo-
sizione A6yoç: taTOQ la : questo secondo termine è da ricondursi
alla sfera della conoscenza empirica, della raccolta di notizie, an-
nuncia la ricerca, la storia, secondo la celebre dichiarazione in-
troduttiva di Erodoto: " Questa è la esposizione delle ricerche di
Erodoto... " (I, l).
Indipendentemente dalla loro complessa evoluzione, possiamo
dire che, mentre dnEiv (o altro verbo di dire) indica j,J semplice
parlare, il raccontare anche, ÀÉyav implica un parlare che racco-
glie degli elementi per spiegare qualcosa, un parlare che argo-
menta. Di qui un'ambiguità, che non si ritrova affatto in d:n:Ei:v
/ìtrtoç. Possiamo trovare esempi di questo genere: nella stessa pro-
posizione qJl1at o ÀÉya può essere immediatamente seguito da un
secondo ÀÉyn o ÀÉywv: col primo verbo vengono introdotte le pa-
role effettivamente dette da chi parla o da chi sostiene qualcosa,
mentre con il secondo viene presentata la loro interpretazione.
Analogamente Myoç è parola e senso, significato e significante.
La nostra lingua non offre l'equivalente e perciò dobbiamo di
volta in volta precisare nella traduzione, mentre questa possibi-
lità è offerta da altre ,lingue, dal tedesco per esempio, che con
Sinn può rendere, almeno fino ad un certo punto, la complessa
struttura di Myoç. L'ambiguità del termine risulta pienamente
dal fr. l di Eraclito, dove è presente anche la sua accezione filo-
sofica: "Questo logo, che pure è sempiterno non Io intendono
gli uomini, e prima che n'odano e tosto udito ne abbiano; e pur
tutto avvenendo secondo tal logo, inesperti ne sembrano... ". II
testo è molto difficile, ma almeno questo· sappiamo, che Myoç in-

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Un'interpretazione di Senofonte 17

dica: l) semplicemente ciò che dice Eraclito, 2) il senso di ciò


che egli dice, 3) la legge, l'ordine cosmico, che Eraclito nelle e
mediante le sue parole cerca di esprimere c di formulare 2•

1.4. Un'interpretazione di Senofonte


Analizzate le componenti, ritorniamo al nostro ~wMyuv, ~ta­
Mywihll. Noteremo che nel ~mMynv permane il significato origi-
nario del verbo semplice, e quindi la traduzione può essere sce-
gliere, trar fuori da un gruppo, raccogliere scegliendo. Ci sono al-
meno due ottimi esempi in Erodoto, dove si racconta della ritira-
ta della flotta persiana dopo Salamina e del tradimento di Temi-
stock: Scrse ordina a Mardonio " di scegliere dall'esercito gli
uomini che voleva c di compiere per quanto possibile fatti pari
alle parole" (8, 107, l); e poco dopo, avendo Mardonio deciso
di svernare in Tessag1ia, " dagli altri alleati trascelse pochi da
ciascuno, scegliendo quelli che erano belli e quelli dei quali sa-
peva che avevano compiuto qualche prodezza" (113, 3). Che si
sappia, non c'è in questo verbo nessun particolare carattere filo-
sofico, e neppure stmbra che abbia qualche rapporto col 5taÀéyr:-
a{}m, anche se un passo di Scnofontc, che di solito viene citato,
può lasciar credere il contrario.
Secondo Senofonte (Mem., IV, 5, 12) Socrate era solito usare il
verbo awMyw&at per definire quella deliberazione che uomini
convenuti insieme prendono in comune, discernendo (l)wÀéyov-raç)
le cose secondo i generi loro; questo atteggiamento caratterizza
l'uomo ottimo, capace di ragionare (ì'>w/,Éyw{}at) e di dominarsi:
in una parola il " dialettico ". Il discorso, infatti, volgeva intorno
alla temperanza. L'accostan;ento dei due verbi non è un'idea di
Senofonte, ma forse di Socrate stesso, anzi si ritiene, in comples-
so giustamente, che il significato di 1'ìtaÀÉyr:m'tm nella tradizione
preplatonica e del primo Platone sia adeguatamente determinato
proprio dalla testimonianza di Senofonte, esaurendosi in essa:
cruvt6naç xptvfi BotJAEtJr.a{}w, " trovarsi i]Jsicmc, incontrarsi e
prender consiglio in comune ".
Come si vede non è possibile tradurre direttamente in italiano
il 5Laì.Éyea-1tat rendendone J.'interna complessità. Ad essa si avvi-

2 Per quanto sopra cfr. H. FoURNIER, Les verbes " dire " en grec ancien,

Paris 1946, in partic. pp. 53-59, 211-224 e FRisK, op.cit., fase. 11 (1961),
pp. 94-96.

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18 Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria

cinano invece il verbo e il sostantivo tedeschi (sich) auseinander-


setzen e die Auseinandersetzung, anche questi difficilmente tradu-
cibili in italiano. In senso figurato, che è poi il più diffuso, il ver-
bo indica "spiegarsi con qualcuno ", " discutere per venire ad
una spiegazione ", con inclusa l'idea, viva anche nel sostantivo,
che il risultato di taJ dibattito (dialogo fra due persone o gruppi
di persone) sia di reciproca soddisfazione, porti al di là dei due
punti di partenza.

1.5. Esempi di l'\LaÀÉyEa{hn in Omero, Erodoto e nell'uso at-


tico
Per illustrare questa presentazione linguistica, un po' astratta,
del nostro (\taMyEa{}m, vediamo attentamente qualche esempio
tratto da Omero, Erodoto e dall'uso attico; ci caleremo così nella
storia viva del termine, nella preistoria del suo senso e uso filo-
sofico.
Incominciamo da Omero. Nell'Iliade (XI 407) leggiamo que-
sto verso: ?iA),à ·d ~ ~wt Taiim cp(ì,oç l'\tEÀ.É~aTa {h,~6ç, che in italia-
no possiamo rendere così: ma perché mai il mio cuore discute
(pensa) queste cose? Il verso è un'antica formula, citata di solito,
ma non discussa. Quando è stata presa in considerazione non si
è notato che si tratta di un verso stereotipo, e questo è di note-
vole importanza. Ricorre, infatti, in altri quattro luoghi della
stessa Iliade (XIX 97; XXI 562; XXII 122 e 385), ma non per
questo il verso e il verbo perdono il loro valore; d'altra parte
non è determinante l'altro fatto, che Eustazio commenti: 15tEÀf-
'ça'to sta senz'altro per dn~::, dice. Se osserviamo a fondo l'uso
che della formula fa i1 poeta, cioè i luoghi, il momento in cui
egli la introduce, ci apparirà qualcosa di più del semplice " dire ",
ma addirittura un'anticipazione della sua storia, del suo valore
filosofico.
n verso ricorre sempre in un momento di estrema tensione del
personaggio, al limite di una decisione che sta per prendere o che,
inconsapevolmente deliberata, non si è ancora pienamente mani-
festata come coscienza o meglio come coscienza dell'opposizione,
dell'alterità dell'uomo rispetto alla situazione e anche dell'uomo
rispetto al dio o al fato. Si vorrebbe soggiungere che affiora qui il
concetto della scelta e deUa libertà. In XI 407, Ulisse, lasciato so-
lo dagli Achei in fuga, decide di restare a ogni costo saldamente
al suo posto di combattimento. xrx 97 : la battaglia infuria intor-

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Esempi di ('HaMyEa{)-at in Omero, Erodoto e nell'uso attico 19

no a Menelao e ai cadaveri di Patroclo e di Euforbo; Menelao


vorrebbe porre in salvo Je armi di Patroclo quando sopraggiunge
Ettore con i Troiani; egli sa che dovrebbe combattere e resistere,
ma sa anche che non può opporsi al figlio di Priamo sospinto da
un nume - e decide quindi di indietreggiare. XXI 562: Agenore
deve affrontare· Achille sulle porte di Troia; divino nel suo im-
menso coraggio, nel momento dello scontro _si chiede se tentare
una fuga, e come. Ma perché riflettere su queste possibilità che
non offrono scampo? È più prudente accettare subito il combatti-
mento. E infine xxn 122: forse, insieme al primo, il luogo più
significativo: Ettore è in campo, solo, per la battaglia con Achil-
le; dalle mura lo invitano a rientrare. Il magnanimo cuore adi-
rato, e, come ci informerà il poeta poco dopo, in preda al terro-
re, egli va meditando. La sua riflessione si svolge su due piani:
se cede alJe lusinghe dei suoi cari ne avrà onta eterna, ché troppi
Troiani sono caduti anche per sua colpa; per il suo meglio non
può dunque che affrontare Achille, e vincere o morire. L'altra
possibilità è presentarsi ad Achille disarmato e concedergli fa-
vorevoli condizioni di pace, ma come può il suo cuore prendere
in considerazione un'idea simile? Achille lo ammazzerebbe come
una donna. È bene che si venga alla lotta.

Se ricordiamo quanto abbiamo detto di /,r)yoç e /,f.yEtv, del


loro significato etimologico originario (duplice: razionale e di-
stributivo), non avremo difficoltà a riconoscere nel l:>w/,Éyo[Aat del
verso omerico " la nozione di esame riflesso aJ.lo stato puro ",
cioè quel senso logico di calcolare, pensare, cui la radice destinava
il verbo, ma al quale il solo /,ÉyEtv in Omero non perviene. È
caratteristico, ha seri tto un vecchio interprete, che in seguito a
tale analisi ideale, alla selezione dei casi possibili, maturi sem-
pre una decisione, sicché questa dialettica contiene, dunque, una
riflessione c una deliberazione, accentuando la natura logica, in-
tellettuale dell'uomo 3• Ma è ancora più caratteristico che per
questo dibattito a più voci, per questa pluralità di " io " che si
agitano nell'uomo e che conducono di volta in volta all'identifica-
zione di sé, l'antico poeta abbia fatto uso di un verbo che riflette
ancora soggettivamente e direttamente una situazione. Il suo si-
gnificato apparirà in seguito oggettivato, fino a coincidere in un
' L'interpretazione che rivela un piano intellettualistico o meglio gno-
seologico, dal quale vorremmo liberare il concetto, è di TEICHMULLER,
Neue Studien zur Geschichte der Begrifje, r, Gotha 1876, pp. 173-4. Eu-
CKEN nella sua Geschichte der phi/os. Terminologie, 1879 (rist. Hildesheim
1960) ricorda solo il concetto fra gli altri, ma non ne studia il problema.

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20 Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria

primo tempo con la situazione stessa (Socrate, Platone nel suo


primo periodo), e successivamente, assolutizzato c astratto il fat-
to logico contenuto nell'azione espressa dal verbo (Aristotele), si
viene con es:so a determinare un momento, una parte della filoso-
fia - la dialettica. Diogene Laerzio, infatti, ci dice che la filosofia
si occupò dapprima soltanto di un oggetto, la fisica; Socrate ne
aggiunse un secondo, l'etica, e Platone intese dare ad essa compi-
mento con la dialettica 4•
A questo punto è inevitabile porsi la domanda se ci sia e qua-
le una figura del ~taMyco-ltm (il verbo come tale non è attestato)
nel dialogo della tragedia. Non è il caso di seguire le operazioni
di Schaerer quando afferma: " per quanto grandi siano le quali-
tà di spirito, di vivacità e d'ironia a cui s'accompagna la discussio-
ne dialettica, resta il fatto che si sforza di evocare un modello;
in questo senso, è tragica ". Ma, dopo un preciso esame delle te-
si in contrasto nell'ultimo ventennio (fra il 1915 e 1935 circa),
quella tradizionale dell'unità psicologica e drammatica della tra-
gedia, e l'altra che negava queLl'unità, sostenendo che i personag-
gi obbediscono a necessità di ordine tecnico, scenico, conclude-
va: "Non è dunque possibile ... paragonare individualmente i dia-
loghi alle tragedie. Sarebbe più esatto stabilire la corrispondenza
tra certuni di essi e atti di tragedie; ma anche accostamenti di
questo tipo esigono molta prudenza" 5•
Il problema non. è questo. Qui ha visto bene Untersteiner: solo
dopo aver ricostruito la genesi e il concetto del tragico, la genesi
e la formazione delle parti tradizionali della tragedia (in partico-
lare: doppio coro e àywv, composizione epirrematica, " logos
contro logos ", stasimo e principio dell'unità binaria, della sizigia
tragica, sticomitie ecc.), solo allora egli ritiene di poter interpreta-
re come segue l'innovazione eschilea: " Eschilo introdusse H dia-
logo, perché la sua poetica Io richiedeva. La dialettica del tragico
doveva portare facilmente alla necessità di fissare nella nuova
forma d'arte, come suo elemento essenziale, il btaÀÉyé;a-ltat, il
btw.oyoç. Possiamo aggiungere l'influsso del dialogo, dell'epos e

• Vite dei filosofi, trad. it. a cura di M. Gigante, Bari 1962, m, 34, ma
cfr. il Proemio, 13, dove la tripartizione rimane con Zenone iniziatore della
dialettica, che è opinione aristotelica.
5 R. ScHAERER, La question platonicienne, Paris-Neuchatel 1938, pp.
219, 231 e cfr. L'homme antique et la structure du monde intérieur, Paris
1958, p. 110: "Mais le propre de la dialectique est de n'étre jamais sati·
sfaite ". Sul tema dialogo-dialettica e dialogo-tragedia in particolare in
Platone già HIRZEL, Der Dialog, Leipzig 1895, vol. I, pp. 200-218. Ma su
Platone cfr. ora P. VICAIRE, Platon critique littéraire, Paris 1960.

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Esempi di ~taÀÉyEo{}m in Ornerò, Erodoto e nell'uso attico 21

del canto popolare, per quanto non qlJi, come si pretende, stia la
radice del ()ta-Àoyoç (l'autore accenna al ()uJ.A.oyoç intellettuale fra
due personaggi, e cita l'esempio di Eteocle e dell'osservatore nei
Sette a Tebe di Eschilo, vv. 375-652). L'importanza di questo
dialogo, che trova la sua forma più trasparente e più intensa nella
sticomitia, è pertanto ovvia " 6 •
Non crediamo che si possa andare più in là di questa conclu-
sione se· manteniamo il discorso sul piano generale ()taÀÉyEo{}at-
dialettica-dialogo. Giustamente Untersteiner ha l'occhio esclusiva-
mente al documento ed esercita la sua interpretazione là dove il
testo e la tradiziçme lo consentono. Egli lascia pertanto cadere la
notizia di Suda sù Laso di Ermione, che parve ad altri tanto sug-
gestiva: "Si ritiene che per primo avesse scritto un'opera sulla
musica e che fosse stato uno degli iniZiatori dell'eristica. All'in-
fluenza di Laso (quale che sia d'altronde il senso esatto di que-
ste tradizioni) è da attribuire lo sviluppo dello spirito dialettico
in Simonide? Se non rispondere, si può porre la domanda " 7•
Dopo Omero e la tragedia ricordiamo i lirici, dai quali ()uxM-
yw{}m è usato ma in frammenti troppo brevi e corrotti per
paterne trarre qualche utile conseguenza. In Archiloco (fr. 108
Diehl), Saffo 134 e Alceo 129 (Lobel-Page) significa "parlare",
"far discorsi". Notiamo Saffo: ta < •. > v ..d;af-lCI.V OVUQ ')(.1)-
:rt(lOyÉvlla, " ti ho parlato in sogno, o Cip ride ". Esempi interes-
santi si trovano invece nella prosa erodotea e attica, dove balza
evidente l'indicazione del dialogo, del gioco di domanda-risposta,
lo scambio di opinioni fra due individui. E non solo di opinioni,
vorremmo aggiungere, ché in Aristofane troviamo di ()taÀÉyEo{}a.t
l'uso eufemistico per mJvouma~Etv (avere relazioni carnali), un si-
gnificato, quindi, non del tutto estraneo alla nostra storia (Pluto,
v. 1082; Donne a parlamento, v. 890 e cfr. Stephanus, Thesaurus
linguae graecae, IV, 1211).
Ma cominciamo con Erodoto e vediamo la descrizione delle
regioni joniche (I, 142, 2): dice che in alcune città della Caria i
cittadini parlano la stessa lingua: xa.-rà -.aù-rà ~tctÀ.EyopEvat. Va
sottolineata l'idea del reciproco comprendersi, presente insieme
all'idea della relazione che si istituisce fra diverse persone me-
diante il linguaggio. Non è un caso, o comunque può non esserlo,
che nel medesimo luogo affermi che non in tutta la regione si par-
• M. UNTERSTEINER, Le origini della tragedia c del tragico, Torino
1955, pp. 331-2.
7 A. et M. CROISET, Ilistoire de la /ittérature grecque, Paris 1951 '

(ristampa) p. 379.

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22 Dialettica, la parola c la cosa: etimologia c preistoria

lava la stessa lingua, utilizzando un altro verbo: y'Awcrcrav <'IÈ. ou


-r~v o:ùt~v VEVO!_dxam. Altri passi di Erodoto non sono altrettan-
to significativi e si limitano a riproporre un'accezione già discus-
sa. 3, 50-52: un figlio di Periandro, Licofrone, avendo avuto no-
tizia che il padre aveva ucciso la madre, tanto si addolorò che
non rivolgeva più la parola a suo padre e tWn gli rispondeva
quando questi gli parlava. Periandro lo cacciò di casa e con un
bando fece sapere che non gli si doveva prestare aiuto di sorta.
In seguito a ciò nessuno voleva parlare con Licofrone.
Nella Difesa di Palamede di Gorgia troviamo questa afferma-
zione: " Io voglio, dopo questa dimostrazione, discutere diretta-
mente col mio avversario", e segue, come ci si poteva aspettare,
una domanda in seconda persona, una domanda che pretende
una risposta. Si badi bene, però, che quando Palamede si rivolge
ai giudici, dai quali non attende risposta alcuna, usa un altro
verbo: EÌn:Eiv. Il significato vivo di " dialogo " in concreto, di
fatto, ormai si impone; non solo, ma possiamo già cogliere una
sfumatura preziosa per la successiva evoluzione del verbo. Esso
vuole indicare non tanto il dialogare di fatto, quindi una varia-
zione del parlare, quanto l'istituzione. del dialogo, la necessità
dell'inizio del dialogo come mezzo di intendimento, come stru-
mento per sostenere l'unione dci cittadini, per fondare ·la loro
comunità sui concetti, in particolare su quelli morali e giuridici.
Una figura nuova della coscienza sembra prender forma, nuova
non nel senso che vada sostituendosi ad un'altra precedente, ma
nel senso di un inizio assoluto - una coscienza che chiameremo
socratica. Incontriamo qui per altre vie quel momento di crisi,
quella emergenza di significato che abbiamo riscontrato sopra.
esaminando in astratto il passo scnofonteo dei Memorabili:
" ... il IStaì.ÉyEcrfrm, secondo Socrate, deve il suo nome alla pratica
dell'incontrarsi per prendere decisioni in comune scegliendo e di-
scutendo le cose una ad una ".

Parlare, o meglio pensare-dire; dialogare, cioè discutere, par-


lare con qualcuno dal quale è lecito attendersi risposta; voler
discutere. Non si tratta di una vera e propria evoluzione, bensì
di una stratificazione di significati, connessa alle possibilità lin-
guistiche latenti in tale voce e portata in luce per successivi ten-
tativi. Ma fino a che punto possiamo procedere oltre con questo
metodo? Il risultato ora raggiunto - l'indica7ione di un dialo-
gare che si pone come compito e che trascende quindi il suo sen-
so Jetterale - non sembra superabile (o lo· sarà, ma farà parte
della storia filosofica del nostro verbo) : dialettica e persuasione -

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Esempi di (haÀÉyEa-ltat in Omero, Erodoto e nell'uso attico 23

una delle poche ragioni valide operanti all'interno della cosid-


detta civiltà occidentale. Ebbene, non è violenza la nostra inter-
pretazione. Questo rapporto, come indicazione contenuta nel
(\taÌd~ywaw, è già presente in una pagina di Tucidide: " (fine del-
l'oligarchia, a. 411; i 400 e gli opliti del Pireo) ... parlavano loro,
uomo ad uomo, e cercavano di persuaderne alcuni ... " (av~Q
&v(\ QL (\tEÀÉyov-rò l:'E "/.al EJtEt{}ov ou;: 8, 93; cfr. anche 5, 59).
Qui la preistoria del (ìw/.ÉyEa{}w ha fine. Anzi, se ne ripercor-
riamo i punti principali (le sue componenti, Omero, l'interpreta-
zione senofontea e questi ultimi testi) non possiamo in senso
stretto parlare di preistoria, ma dobbiamo riconoscere che que-
sta aurora ha già in sé la piena maturità del giorno. Se il testo di
Tucidide ha un senso, una validità reale - nel suo presentare im-
mediatamente il rapporto dialettica-persuasione - ciò significa che
<l.a parola è ora a Socrate. Ma che cosa potremo dire di lui? Qua-
li sono le sue parole? " La sua filosofia, la sua dialettica, non è
che la sua vita, e la sua vita non è che 'persuasione' ", così scrive-
va Michelstaedter, consacrando una tradizione millenaria 8• Pla-
tone aveva d'altra parte fatto dire a Socrate, e non. molti anni lo
dividevano dal testo di Tucidide: " Ma colui che sa l'arte di in-
terrogare e rispondere come lo chiamerai se non dialettico? " 9 •

8 Opere, Firenze 1958, p. 862 (dagli Scritti vari).


• Cratilo 390CD. Si presenta spontanea la domanda: Platone ha letto
Tucidide? Non ci sono testimonianze: cfr. R. WEIL, L'archéologie de Pia-
. ton, Paris 1959, pp. 23 sgg.

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2. Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

2.1. Oratoria e sofistica


Studieremo ora la genesi filosofica e culturale di " dialettica ".
Per individuarla non ci rivolgeremo soltanto alla storia della filo-
sofia, ma al complesso delle vicende culturali del v secolo a.C.
o almeno lo faremo agire sullo sfondo come motore della ri-
cerca. Non si tratta di rispettare formalmente un canone inter-
pretativo. Il canone è qui imposto dalla situazione di fatto. In
primo luogo è bene tener presente che la filosofia non esaurisce
(come certi manuali filosofici lasciano credere) la cultura del v
secolo ateniese, pur manifestandosi come un fenomeno qualita-
tivamente e quantitativamentc imponente. In un periodo in cui
il livello culturale medio resta notevolmente basso e la diffusione
della cultura molto limitata, circoscritta rigidamente a élites, non
si può parlare di specializzazioni in senso moderno, di settori
indipendenti nel mondo culturale - ma d'altra patie proprio per
questo non si può neppure affermare che ci sia un'opinione pub-
blica, che manifestazioni e fenomeni culturali trovino profonda
risonanza esterna. Tuttavia qualcosa che corrisponde alla " stam-
pa" dell'epoca moderna c'è, quindi c'è uno Strumento che con-
sente entro certi limiti di portare il dibattito al livello della co-
scienza comune: l'oratoria.
Per spiegare l'importanza di questo fenomeno, che ci interessa
direttamente, si legga questa bella pagina di Burckhardt: " ... l'o-
ratoria ... anche qui dobbiamo ricordare anzitutto l'enorme po-
tenza e adattabilità della lingua greca ad esprimere tutto ciò che
si deve dire e comunicare ad altri - in netto contrasto per esem-
pio con quella ebraica - ed inoltre il grande impulso che l'elo-
quenza ricevette daJJa quantità di occasioni che le si offrivano
nella vita quotidiana, locale e bellica. E qui ci mancano i pa-
ralleli. Non sappiamo quanto anche i Fenici e i Cartaginesi sapes-

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Oratoria c sofistica 25

sero adoperare la loro lingua, non sappiamo nu1la della potenza


oratoria degli antichi Germani ~ di quei popoli che effettuarono
le invasioni barbariche, che dovevano avere anch'essi a disposi-
zione la piena armonia della lingua tedesca (o dei dialetti tede-
schi)... Invece a noi è stato conservato Omero. I discorsi dei
suoi personaggi - uomini e dei - hanno una altissima forza e
bellezza naturale, e in fondo sono concepibili solo in uno sviluppo
già assai considerevole delle facoltà volitive della ;tÙÌw;. Ciò si-
gnifica che già allora v'era un ambiente in cui si attribuiva la più
alta importanza al raggiungimento di uno scopo per mezzo del-
l'eloquenza, ed era già in corso un potente svolgimento agonisti-
co; dev'essere stato proprio questo che costrinse gli uomini a
riflettere per la prima volta sul mezzo che avevano per riportar
vittoria sulla parola [e qui l'autore annota: non deve essere tra-
scurato l'effetto esercitato dal simposio sullo sviluppo dell'ora-
toria]. Con la completa evoluzione della ;tÙÀu; che portò alla
democrazia, quando le sorti comuni si decisero nell'assemblea po-
polare e nel tribunale popolare, l'eloquenza doveva diventare
tutto, e l'arte oratoria, divenuta ora improvvisamente oggetto di
un insegnamento metodico, doveva diventare una questione di
altissimo interesse, che ben presto si doveva coltivare in tutta la
vita greca come uno degli elementi principali; e a questo punto
cade opportuno un parallelo che può gettare luce completa sul-
l'argomento, ossia il parallelo con la stampa moderna. Certamen-
te l'influenza dell'oratoria greca era legata al luogo e alla per-
sona e - malgrado ogni preparazione temporanea - al momento,
e non permetteva una trasmissione a distanza; uno doveva essere
presente in quel momento, al cospetto spesso di innumerevoli
spettatori: doveva:-attenersi a quella determinata causa per cui
egli e i suoi avversari si incontravano; certo non si poteva par-
lare, come per la stampa, di un'influenza sull'opinione pubblica
da lontano ... Ma tuttavia non vi è nulla presso gli Elleni che cor-
risponda al potere della nostra stampa come il potere della loro
oratoria in pubblico... Certo dobbiamo fin dal principio consta-
tare un fatto importantissimo: senza dubbio l'oratoria, nell'in.di-
riZz.o che le fu dato, venne a trovarsi in concorrenza col pensiero,
con la conoscenza e con l'indagine" 1•
Entro tale orizzonte è da comprendere l'importanza e il dif-
fondersi della sofistica, e non si intenda qui una scuola o un in-
sieme di scuole filosofiche, ma un aspetto della naLilda greca, la

1 J. BuRCKHARDT, Storia della cultura greca, trad. it. Firenze 1955,


vol. n, pp. 33-34.

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26 Esperienze dialettiche tra i Solisti e Socratc

consapevolezza cioè dell'ideale educativo della :rro),tç, dell'&QET~


politica. È il tema che percorre le lezioni berlinesi di Hegel, in
particolare sulla storia della filosofia: " I Sofisti sono i maestri
della Grecia; essi portano in Grecia la cultura (Bildung) in gene-
rale ". Non è facile oggi comprendere questo fenomeno. I Sofisti
ben presto non godettero buona fama e la tradizione rimase fedele
alle ragioni della polemica platonica, che contrappose loro So-
crate, il petulante uomo della strada, il filosofo per eccellenza.
D'altra parte: " Se ai tempi della pace di Nicia uno straniero
avesse in Atene chiesto a un cittadino del luogo quale fosse nella
città il più famoso sofista, questi avrebbe risposto senza dubbio:
Socrate " 2• Già in Platone dunque c'è un problema Socratc, che
non potremo forse mai del tutto chiarire. Socrate infatti non
scrisse nulla, le due maggiori testimonianze dirette non si accor-
dano sull'essenziale della sua personalità, e Aristotele, che è la
massima testimonianza indiretta, studia di Socrate soltanto il
contributo logico alla storia della filosofia. II problema è allora
quello delle fonti della filosofia platonica. Fino a che punto sono
originali i temi socratico-platonici? Entro quali limiti i Sofisti
(e chi di essi) agiscono nella genesi speculativa del platonismo?
Che si sia pensato di negare l'esistenza di Socrate (s'intenda: la
sua presenza decisiva nella storia ddla filosofia), di tracciare una
storia della filosofia senza Socratc, di restituire ai Sofisti il con-
tenuto del platon~smo nciie sue prime origini 3, tutto ciò· testi-

' W. NESTLE, Vom Mythos zum LoKos, Stut.tgart 1940, p. 529. Su


que~ta a!Termazione confronta per es. EscHINE in V. EHRENDERG, L'Atene
di Aristofnnt>, trad. it. Firenze 1957, p. 388. I Sofisti, praticamente assenti
nelle storit della filosofia del '700 (per es. Stanley e Tennemann), appena
ricordati d~ Kant (cfr. K. REICH, Kant und die Ethik der Griechen, Tti-
bingen 1935, p. 19), entrano gloriosamente nella storia della !Ìlosofia e
della cultura con H egei: com'è noto, nelle sue Lezioni sulla storia della
filosofia (Werke, 1833, vol. xrv, p. 9; trad. it. Firenze 1932, vol. u, pp.
7 -8), egli li paragonò agli Illuministi: " I Sofisti sono i maestri della Gre-
cia; con loro nacque in Grecia la cultura in generale (Bil~rmg~ ". Tale tesi
divenne opinio recepta. Cfr. W. JAF.GER, Paideia, trad 1t. F1renze 1953,
vol. r, pp. 459-563. Nestle, invece, che abbiamo citato, parla di una filoso-
fia della çu/tura, che avrebbe avuto l'Illuminismo per risultato.
' TI primo punto è la tesi di O. GIGON, Sokrates, Bern 1947 (per la
quale cfr. C.J. DE VoGEL, Il Socrate di Gigon, in «Antologia della cri-
tica filosofica», a cura di P. Rossi, Bari 1961); il secondo punto è la tesi
di E. DUPRÉEL, La légende socratique et /e.1· sou~·ces dt' Platm!, ~ruxelles
1922 e Les Sophistes, Neuchatel 1948. Per altra via e del :utto !ndJ~cndcn­
temente, a risultati analoghi è giunto M. UNIERSTEINER: m ~ .SojÌs/1, Tori-
no 1949 e nella sua edizione dei frammenti c delle testtmomanzc, Firenze
1949 sgg.

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Dialogo e dialettica. li punto di vista di Aristotele 27

monia una volta di più la grandezza di quel tempo, ~la comples-


sità dei pcrsonag&>i e soprattutto l'esiguità delle nostre infor-
mazioni.

2.2. Dialogo e dialettica. Il punto di vista di Aristotele


L'epocà ha tentato le possibilità estreme: dalla filosofia come
retorica di Protagora, dalla tesi " rendere più potente il discorso
meno valido " - che è libera interpretazione, trascrizione nel
nuovo linguaggio della parmenidea via dell'opinione, " ambito
naturale dello sviluppo di una retorica " - all'ideale isocrateo del-
Ia retorica come filosofia, come fondamento e compimento del-
l'educazione e della sapienza nell'uomo: basti ricordare che con
cptÀocrocp(a lsocrate non intçnde una filosofia particolare, ma la
cultura in generale, celebrata dagli Ateniesi. Va subito soggiunto
che all'interno di questo arco anche la dialettica si prova nelle
sue due estreme possibilità, bene individuate da antiche testimo-
nianze: dialettica come dialogo, come l'autentico esercizio filo-
sofico e dialettica come atteggiamento formale privo di risonanza
umana. Platone per esempio fa dire a Socrate: " Protagora qui
presente è capace di svolgere discorsi lunghi e belli (come l'espe-
rienza dimostra), ma è capace anche, quando è interrogato, di
rispondere .con brevi battute e, se è egli colui che interroga, di
aspettare e, quindi, comprendere la risposta, abilità questa che da
pochi è stata conquistata " - e di Gorgia: " E pur questa è una
delle attitudini che mi riconosco: che nessuno potrebbe svolgere
più brevemente di me i medesimi argomenti ". Ed ecco l'altra
voce nel dibattito: " E, di poi, non diede Isocrate il nome di so-
fisti agli cristi e, come essi direbbero, ai dialettici, mentre definì
se stesso filosofo e filosofi gli oratori e quelli che sono dediti
alle attività politiche? Alcuni dei suòi contemporanei usano la
terminologia in modo analogo " 4•

4 Protagora, 329 B (DIELS-KRANZ 80 A 7), Gorgia, 449 C (DIELS·

KRANZ 82 A 20), Elio Aristide in Diels-Kranz 79, l (trad. Untersteiner).


Vedi: il commento di G. CALOGERO alla sua edizione del Protagora plato-
nico, Firenze 1948, pp. 62-63 e la voce Protagora nell'" Enciclopedia ita-
liana" dove parla di un'arte dialettico-retorica; W. JAEGER, Paideia, cit.,
vol. m. cap. q: "La retorica di Isocrate come ideale di cultura", partic.
p. 83, nota 2 (va appena ricordato che la stessa terminologia troviamo nel-
la storia di Tucidide, n, 40, nel celebre capitolo che va sotto il titolo di
Epitaffio di Peric/e); M. UNTERSTEINER, ] sofisti, cit., pp. 86-87 e nota 54.

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28 Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

Siamo dunque nel vivo del problema. Da una parte veniamo


a sapere, dallo stesso Platone, che il dialogo socratico, la cosid-
detta esperienza dialettica di Socrate, l'interrogare e rispondere
per domande c risposte brevi (xanl [3Qaxv) non è nato direttamen-
te né esclusivamente da un Sokrateserlebnis; dall'altra che la dia-
lettica platonica può essere interpretata, e lo era di fatto dai con-
temporanei (Isocrate appunto, tra i massimi), non già come la to-
talità del sapere, o meglio come il fondamento del sapere del le-
gislatore, ma come eristica, un'educazione formale e parziale
(àl)o/:~:ax(u xat f.LLX(>OÀoyfu): se non danneggiava i giovani, non
promuoveva quel perfezionamento che i suoi cultori si ripromet-
tevano. Oratoria e sofistica, retorica e dialettica sembrano richie-
dersi ed escludersi a vicenda, ma non offrono direttamente la
possibilità di una distinzione dall'interno del dibattito.
La stessa connessione, e dunque la. collocazione del problema
della genesi della dialettica in una sfera culturale più ampia della
sola filosofia, troviamo anche in Aristotele. Ma la situazione ap-
pare subito diversa. Aristotele, infatti, guarda al problema a evo-
luzione conclusa, e può considerarlo sine ira, con interesse me-
ramente storico: il mondo della polis, che aveva generato, sorret-
to e giustificato lo scontro ideologico e le sue manifestazioni di
cultura, è ormai crollato. Non dobbiamo mai dimenticarlo: non
erano allora in questione i destini della filosofia, ma il senso e
il futuro della polis. Altrimenti quale significato avrebbe la tarda
dichiarazione di Platone, cittadino greco, ateniese, e aristocratico,
che nel Sofista ritiene di aver trovato nella dialettica " la scienza
degli uomini liberi " (253 CD)? I problemi della filosofia, della
retorica o dialettica come rrutl'ldu, definiti e messi a punto nelle
scuole di Platone o di Isocrate, venivano dibattuti sulla pubblica
piazza, nell' uyoQa dove erano primamente sorti come problemi
politici. Divenuti astratti, essi rientrano, con Aristotele, nel chiuso
della scuola, vengono configurati storicamente e codificati
nel sistema.
Ma il punto di vista di Aristotele è proprio per questo inte-
ressante, perché agisce a un tempo sulla conclusione di un'espe-
rienza storico-culturale e dell'evoluzione di una particolare pro-
blematica filosofica. Limitiamoci per ora a constatarne il risul-
tato in quel primo capitolo del libro 1 della Retorica, che si deve
ritenere una delle parti meno recenti dell'opera. È significativo
anche il movimento dell'argomentazione, il suo stesso incedere:
" La retorica fa riscontro (àni.a-rQocpoç) con la dialettica. L'una
e l'altra, infatti, vertono su questioni che sono in. qualche modo
alla portata di tutti, e non richiedono scienza determinata. Tutti

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Dialogo e dialettica. Il punto di vista di Aristotele 29

vi partecipano, quindi, a gradi diversi: è di tutti fino a un certo


punto discutere una tesi e sostenerla, accusare e difendersi. Ma i
più lo fanno a caso, altri per pratica che dipende da un habitus ".
Aristotele inizia, dunque, la sua ricerca sul piano stesso della re-
torica come piano della coscienza comune. B un inizio empirico,
storico potremmo dire, che sarà successivamente giustificato, co-
me lascia intendere subito con l'affermazione: " delle due possibi-
lità si deve ricercare speculativamente la ragione" (1354 a 10).
Esaminando le tecniche precedenti, i compiti delle varie figure di
retori, Aristotele rileva che la retorica ha il suo fondamento in
un tipo particolare di prova, di sillogismo, che la colloca ancora
una volta nell'ambito deila dialettica: "Bisogna inoltre poter
persuadere del contrario deiie proprie tesi, come nei sillogismi dia-
lettici... nessuna delle altre arti deduce i contrari, la dialettica e
la retorica sole possono farlo: entrambe, infatti, dei contrari si
occupano ... " - è quindi chiaro perché Zenone eleatico fosse ri-
tenuto da Aristotele l'inventore della dialettica: egli accettava le
tesi dell'avversario, ma deduceva una conclusione opposta me-
diante una serie di appositi passaggi intermedi. B interessante
notare che a questa figura logica, individuata da Aristotele, si fa
corrispondere un atteggiamento umano e psicologico particolare.
La tradizione non lascia dubbi su questo. Isocrate dice: " Zeno-
ne, che cerca di provare che le stesse cose sono insieme possi-
bi,Ji e impossibili ... " - e un tardo commentatore: " Fu detto dalla
duplice lingua non perché fosse un dialettico, come quello di Ci-
tio, o perché confutasse e dimostrasse ·vera la stessa cosa, ma
perché era un dialettico nella vita, dato che diceva una cosa
pensandone invece un'altra" 5•
" Compito proprio della retorica non è dunque persuadere,
ma riconoscere le condizioni della persuasione relative a ogni
soggetto... riconoscere ciò che persuade e ciò che persuade solo
in apparenza, come la dialettica, il sillogismo vero e quello ap-
parente ". Ora, Aristotele conclude questa definizione per ap-
prossimazione della retorica e ci riconduce a quel piano storico
che avevamo notato all'inizio della sua ricerca: " La sofistica,
infatti, non si fonda sulla capacità, ma sull'intenzione; inoltre
si sarà retore o per scienza o per intenzione, ma sofista per in-
tenzione, e dialettico non per intenzione ma per capacità " -

' A. PASQUINELLI, a cura di, l presocratici, Torino 1958, pp. 249 e


2.51. Per avere un'idea della forza di questa tradizione si pensi all'icono-
grafia medievale, ricchissima, e si legga il noto colloquio di Goethe con
Hegel, riferito da Eckermann, 18 ottobre 1827.

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30 Esperienze dialettiche tra i Sofisti c Socrate

dove per intenzione (ngoatQE<n.ç) sì deve intendere l'atteggiamen-


to con il quale si affronta l'oggetto: in un passo della Metafisica
Aristotele dice che l'intenzione nel dialettico mira alla cosa, men-
tre il sofista elabora una parvenza di verità, e il sofista si distin-
gue dal filosofo per il tenore di vita e il dialettico per l'uso della
facoltà conoscitiva (libro IV, cap. XIV, l 004 b 20 sgg.). ~vva!.uç,
che abbiamo reso con capacità (facoltà, possibilità), indica, al-
meno nella Retorica e nell'Organon, quell'arte che si perfeziona
e si compie nellà pratica.
Il rapporto di analogia istituito in principio fra retorica e dia-
lettica abbraccia nella conclusione anche la sofistica, ,la quale si
trova ad avere con esse qualcosa in comune: questo conferma che
il punto di vista, storico abbiamo detto, che rende possibile la
configurazione è poi anche quello della coscienza comune; solo
così esse hanno potuto operare c ricevere immediata intelligi-
bilità. Aristotele stesso lo riconosce in un passo del cap. I, che po-
tremmo intitolare "Elogio della retorica": "Anche se noi pos-
sedessimo la scienza più esatta di tutte, sarebbe difficile persuade-
re fondandosi su di essa; il discorso secondo la scienza è infatti
dell'insegnamento, e Ìn questo caso non possiamo fame uso; è ne-
cessario, infatti, che i discorsi e Je prove siano posti dalle nozioni
comuni come abbiamo detto nei Topici a proposito delle conver-
sazioni con l'uomo comune " (e i Topici, com'è noto e come ve-
dremo in seguito, è quel libro dell'Organon che si occupa delle
argomentazioni dialettiche, delle discussioni dell'uomo comune,
del dibattito dialogico: il discorso dello scienziato, il monologo
dell'insegnamento, invece, è oggetto della Analitica).

2.3. Dialettica e filosofia. lppia e Platone


A questo punto è necessario che cerchiamo di individuare nel
discorso aristotelico una situazione storica, alcune figure con-
crete. Non dimentichiamo che la storia della filosofia antica dì-
pende, nelle sue fonti, in gran parte da AristoteJe, ma già in Ari-
stotele è fortemente condizionata dalla speculazione platonica:
com'è noto essa si è particolarmente esercitata nell'attaccare le
grandi personalità contemporanee e nell'investire polemicamente
una situazione di cultura a tal punto che i suoi contorni sono
apparsi ben presto indecifrabili. Si è potuto, pert~nto, ritenere
che i problemi agitati da Platone nel momento ~ostdqetto socra-
tico della sua evoluzione fossero in realtà sorti almeno mezzo

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Dialettica e filosofia. Ippia e Platone 31

secolo prima e che molte tesi ritenute di Socrate potessero avere


una ascendenza ben individuabile. Di questa interpretazione -
non è la sede per discutere i particolari - possiamo accettare al-
meno un punto, cioè quello che coincide con l'interpretazione ari-
stotelica, il rapporto retorica-dialettica o meglio la genesi della
dialettica da una polemica sul senso della retorica (che è poi un
diverso modo di porre un problema tradizionale) 6•
Platone ha rappresentato nei suoi personaggi un conflitto di
uomini e di idee da intendersi anche e forse soprattutto come
un'opposizione di generi letterari, che risale indietro nel tempo,
già stabilita e accettata nell'età di Socrate - anzi, con qualche
probabilità si tratta di un risultato estraneo al genio attico e a
Socrate, se deve pur avere un significato la testimonianza di Dio-
gene Laerzio, quando afferma: " Aristotele nel Sofista dice che
Empedocle per primo inventò la retorica e Zenone la dialettica...
Inoltre Satira nelle Vite riferisce che Empedocle fu anche medico
e oratore illustre; egli ebbe infatti per scolaro Gorgia ... " (vn 57-
58). Questa tarda testimonianza acquista un valore particolare
se la accostiamo ai Ragionamenti duplici (!'.taJ,É!;Etç), uno scritto
anonimo in dialetto dorico di data incerta (circa 400 a.C. o de-
cennio seguente). Esso investe direttamente la nostra questione:
" Io credo che spetti aJla medesima persona e alla medesima arte
avere la capacità di discutere con rapide risposte (xm;à ~guxù
btaJ.ÉyHr8m), conoscere la verità delle esperienze, saper retta-
mente giudicare, possedere l'attitudine a fare discorsi politici,
sapere l'arte deLla parola e insegnare intorno alla natura di tutto
in relazione alle sue proprietà e alla sua origine. Anzitutto, colui
che possiede una conoscenza intorno alla natura di tutto, come
non sarà in grado anche di operare rettamente di fronte ad ogni
situazione? Inoltre anche chi conosce l'arte della parola saprà par-
lare rettamente intorno a tutto. Infatti è necessario che chi si
propone di parlare rettamente, parli intorno a ciò che sa. Di con-
seguenza egli si intenderà di tutto. Egli, infatti, conosce l'arte
di ogni discorso e tutti i discorsi riguardano tutta la realtà" 7 •

• Una conferma indiretta di provenienza sociologica di alcune opinio-


ni del Dupréel si legga in B. FARRINGTON, Scienza e politica nel mondo
antico, trad. it. Milano 1960, pp. 65 sgg., 75 sgg., 105 sgg. Sulle conse-
guenze che se ne possono trarre e sul metodo da seguire ha scritto M.
Untersteiner, nella recensione alle ricerche del Dupréel (citate sopra, nota
3), in «Rivista critica d. st. d. filos. », 1950.
7 Sofisti. Frammenti t; testimonianze, trad. di Untersteiner, cit., vol.

m, p. 187 sgg. Stato delia questione in op. cit., pp. 147-8 e l sofisti, cit.,
p. 364 sgg.; A. CAPIZZI, Protagora, Firenze, 1955, p. 337.

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32 Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

Il testo dell'anonimo non si limita, dunque, a mettere in luce


l'idea del xaTà ~Qa;<:Ù awÀÉyw{tcit, ma pone esplicitamente in re-
lazione quest'arte con la conoscenza della verità delle cose, col
saper giudicare: chi conosce l'arte della parola, egli dice, saprà
rettamente parlare intorno a tutto. Ora, si noti: la paternità sofi-
stica di quest'opera è fuori dubbio, anzi gli interpreti credono di
poter individuare nel cap. VIII (che abbiamo riportato) il pen-
siero di Ippia, e in particolare una polemica sofistica, cioè la con-
futazione della retorica gorgiana a mezzo della dottrina di Ippia:
egli aveva fatto valere l'esigenza di una scienza integrale rappre-
sentata come capacità di rispondere in modo opportuno ad ogni
interrogazione. Ancora una volta Platone ci aiuta a vedere chia-
ro, a suo modo, nel problema. Leggiamo questo passo del Fedro:
"(Socr.) Ma, nel dir male della retorica, non ci siamo comportati,
amico mio, più rozzamente che non si dovesse? La quale, forse,
potrebbe dirci: ' Che son codestè sciocchezze, o ammirabili? Io
non forzo nessuno che ignori la verità, a imparare a parlare;
ma, se il mio consiglio è qualcosa, io gli dico che prima si acquisti
quella, c solo allora pensi di acquistare anche me. Quel ch'io so-
stengo, ed è cosa di grande importanza, è questo, che senza di
me, chi pure conosca il vero, non sarà mai capace di persuadere
secondo arte'. (Fedro) E dirà giusto, se dirà così. (Socr.) Sì, pur-
ché i discorsi che le muovono contro, attestino ch'ella è un'arte.
Ché già mi pare di udirne alcuni che s'avanzano e depongono
ch'ella mentisce c non è arte ma nuda pratica. ' Una genuina arte
del dire che non tocchi la verità, non c'è c non ci potrà essere
mai' " (dove pare si debba intendere, secondo il Dupréel, una al-
lusione a Ippia) (Fedro 260A-261A, trad. Diano, Laterza).
Già qui possiamo intravedere la novità della polemica anti-
retorica nel Fedro rispetto a quella del Gorgia 6• A partire da
questo punto il tema del dialogo è chiaramente definito, e So-
cratc generalizza il concetto e i compiti della retorica trovandosi
nella necessità di indicare norme per opporre all'insegnamento
formale dei retori discorsi sensati ben costmiti. Cade qui quella
celebre definizione della dialettica, che viene comunemente in-
dicata come metodo di analisi e sintesi; poi Socrate conclude :
"Ed è di questo ch'io sono amante, o Fedro, di queste divisioni
e unificazioni, per essere in grado . di parlare e pensare. E se
alcuno v'è ch'io ritenga per sua natura capace di figger lo sguardo
8 Retorica e filosofia in Platone è un tema classico che viene discusso

da tutti gli interpreti; vi si sofferma a lm1go W. JAEGER, Paideia, ci t., vol.


II, cap. vr e vol. In, cap. VIII (sul Fedro).

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Dialettica e filosofia. Ippia e Platone 33

nell'uno e. nei molti, io gli corro dietro, 'come sull'orme di un


dio'. E quanti hanno la possibilità di far questo, io, finora, se a
ragione o no lo sa dio, li chiamo dialettici. Quelli che sono ve-
nuti a imparare da te e da Lisia, dimmelo tu come li dovremo
chiamare. O è proprio questa l'arte per la quale Trasimaco c gli
altri son divenuti parlatori sapientissimi c tali fanno anche quanti
si mostrino disposti a. onorarli di doni, come re? (Fedro). Son uo-
mini, sì, regali, ma non hanno nessuna cognizione di quanto tu
domandi. No; c a me pare che ben a ragione codesta tua specie
tu la chiami dialettica; ma la specie retorica mi pare ci sfugga
ancora (Socr.) Che vuoi dire? Sarà pure qualcosa di bello ciò
che può fare a meno di questo c venir tuttavia colto da un'arte "
(Fedro 266 B sgg.).
Se confrontiamo questo passo del Fedro con quello sopra ri-
portato dell'anonimo (o di Ippia), ci si accorge che Platone sta
lavorando su una fonte, su un materiale offerto dalla tradizione o
dal dibattito del suo tempo. Seguitando, Socrate analizza le com-
ponenti di un trattato di arte retorica c ne approfitta per citare
alcuni retori famosi, che " han trovato la maniera di far discorsi
brevissimi e lunghissimi su qualunque argomento ", c aggiunge:
" A proposito di che, una volta, Prodico si mise a ridere e disse
che egli solo aveva trovato l'arte di fare i discorsi come van fatti
né lunghi né corti, ma in misura giusta. (Fedro) Parola sapien-
tissima, o Prodico! (Socr.) E Ippia non Io nominiamo? Anche il
nostro ospite eleo darebbe, credo, lo stesso voto. (Fedro) Perché
no?". Solo in questo luogo è nominato Ippia: vuoi fare appro-
vare Platone ciò che Fedro dice dal vero autore dell'idea enun-
ciata? lppia famoso per la sua scienza della misura, Ippia che
spiega il male come eccesso, avrebbe riconosciuto i giusti limiti
dei discorsi 9•
Nonostante l'interesse che la ricerca presenta, non è nostro
compito stabilire le fonti del platonismo. Abbiamo accostato que-
sti testi e ripercorso certi <luoghi di un'indagine suggestiva solo
per mostrare il pericolo delle schematizzazioni, e come queste
avvengono nei sistemi, per passare poi nella storiografia. La si-
tuazione culturale nella quale e sulla quale opera un filosofo è
sempre più complessa del sistema che la interpreta, e Platone ne

' E. DuPRÉEL, Les sophistes, cit., p. 265. Ad lppia, si badi, è dedicata


tutta la seconda parte di quest'opera. Della citata Légende socratique si
veda il cap. m della prima parte. Su questo momento della problematica
di lppia (cfr. Prolagora, 337 C - 338 B) insiste an<:he M. GIGANTE, Nomos
Basileus, Napoli 1956, p. 146.
2

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34 Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

è un eccezionale esempio. Dal Protagora e dal Gorgia e dalla ci-


tazione dei retori (Prodico, Ippia) nel Fedro risulta che, almeno
in uno stadio originario, dialettica e xaTà ~guxù btaMyw·lh:u sono
la stessa cosa. L'opposizione di dialettica e retorica è nata prima-
mente come antitesi di " brachilogia " e "macrologia ". La si-
tuazione si è modificata nella seconda generazione dei Sofisti:
dalla retorica come tecnica delle controversie giudiziarie e poli-
tiche, che doveva rappresentare una riduzione rispetto a una
concezione molto più vasta e generica dell'oratoria, sorse l'idea di
un'arte o di una tecnica particolari, che grazie a una capacità spe-
ciale fosse in grado di esercitarsi sulla verità indipendentemente
dalle circostanze. Se rileggiamo il brano riportato dei Ragiona-
menti duplici, e teniamo presente uno dei tanti passi platonici
sull'educazione e sulla formazione del retore-dialettico (per es.
Fedro 269 DE: " Se l'essere eloquente è nella tua natura, sarai
un buon oratore a condizione di aggiungervi scienza ed esercizio"
- c discute poi la ne~ssità di perfezionarsi nella filosofia natu-
rale), balza allora evidente che solo la capacità di pensare, di filo-
sofare, è il fondamento della retorica, arte di parlare -- ma nel
senso di saper esporre le cose per domande e risposte. La dia-
lettica non è che questa nuova retorica filosofica.

2.4. Protagora e Gorgia. La dialettica nelle contraddizioni


della retorica
È difficile dire quando e come si sia verificato il passaggio da
una forma all'altra, quando dall'antica figura si sia liberata la
nuova. Abbiamo già ricordato la posizione di Tppia, il sofista che
faceva valere l'enciclopedismo filosofico. Cerchiamo ora di stu-
diare il problema portandoci all'interno della tcmatica dei primi
Sofisti. Da una parte non dimentichiamo che· la dottrina del
xc.ng6ç (opportunità, circostanza, occasione) era un caposaldo di
tutta la tradizione retorica, in particolare della retorica formale
nel suo massimo rappresentante, Gorgia. D'altra parte c'è la
dottrina dell'antitesi, delle antilogic, che pure è antica ne)la tra-
dizione di quest'arte, e che si diffuse in terra greca al punto di
diventare un luogo comune. V a appena ricordato iJ celebre con-
trasto fra il discorso giusto e il discorso ingiusto personificati nelle
Nuvole di Aristofane (pp. 889 sgg.) :· "Tu vuoi schiacciarmi?
Chi sei? -Chi sono? Sono il discorso! - Da meno! -Buono per
sopraffare te, che ti vanti da più! - Sì, come? - Trovando tanti

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Protagora e Gorgia 35

concetti nuovi! " Protagora scrisse un libro sistematico che porta


appunto il titolo: Antilogie. Uno dei pochi frammenti (6a) pro·
tagorei rimasti dice: " Intorno ad· ogni esperienza vi sono due
logoi in contrasto fra di loro ". Non possiamo ripercorrew qui la
genesi storica e culturale di questa affermazione di. Protagora, le
sue ascendenze nella tradizione, le direzioni del ~uo valore polç.
miço (contro Parmenide) e i suoi. rapporti con l'altra affenriazione
sull'uomo-misura (fr. l). Riflctt;amo su quel contenuto delle
Antilogie, che si ritiene di poter ricostruire: Gli dei- Il mondo
fisico e la realtà dell'essere - Le leggi e lo stato - Le arti. " Il
problema di dio, le concezioni metafisiche. la validità del diritto
e delle leggi con le connesse questioni etiche, il fondamento teo-
retico delle arti: e{!co gli aspetti basilari della conoscenza che
si trovano sottoposti al dominio dell'opinione " 10• L'antilogia non
può che muoversi ed esercitarsi nella sfera del mondo dell'opi-
nione, che è ora quello stesso mondo sacro dell'essere in quanto
è stato ricondotto a una dimensione umana, alla sfera ddl"opina-
bile, del conflitto. del contrasto antinomico. Ma noi sappiamo che
proprio su questo piano, della coscienza comune in sostanza, la
dialettica ha mosso i suoi primi passi.
A. questo punto non possiamo che avanzare un'ipotesi. Se un
senso deve avere l'ulteriore evoluzione del dibattito, poco sopra
delineato, è necessario ritenere che i due ideali, quello del Y.WQ<)ç
c quello dell'antitesi siano ben presto entrati in conflitto, o me-
glio, abbiano finito per generare un conflitto. Infatti, la retorica
del -xmQ<); rappresentava il t' .onfo della retorica formale nell<\
sua massima generalizzazione; mentre l'esercizio retorico legato
alle antilogie teneva fermo a un contenuto di esperienze preciso,
determinato. da motivarsi c da esaurirsi nei dibattito fra le ra-
gioni contrapposte. Questo fatto può già aver opposto Gorgia e
Protagora. Ma l'opposizione si radicalizzò c si irrigidì, come si
è visto, con la seconda generazione di Sofisti, quando fu fatta
valere l'esigenza della scienza. Sicché noi troveremmo all'interno
della sofistica una doppia genesi della dialettica, una doppia di-
rezione dd sno p1imo movimento, avendone individuato il punto
di partenza, polemico, c i due momenti logici che si sono ad
un tempo manifestati nella stessa situazione di cultura.
Questa situazione può essere qui soltanto presupposta, ma si
deve almeno ricordare che nelle contraddizioni della consolidata
democrazia ateniese la sofistica rappresenta '' l'affermazione del-
la superiorità della vita sociale, fondata sulle tecniche" (Bréhier),

. 10 M. UNTF.RSTETNER, l sofìsti, cit., pp. 37-3"8.

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36 Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

"l'esigenza di fondare l'areté sul sapere" (Jaeger). Se quest'ul-


timo ideale è conforme aJ,Ja tradizione aristocratica, va però mes-
so in luce che è nuovo e più vasto il pubblico al quale la sofi-
stica si rivolge. Atene è ora scossa dal contrasto lentamente ma-
turatosi fra l'ideale scientifico e materialistico jonico, democra-
tico, e l'ideale religioso-filosofico dorico, aristocratico (del quale
sarà interprete sistematico Platone): al suo fondamento troviamo
la sovrapposizione della nuova struttura dei demi alla antica or-
ganizzazione tribale 11 • Basta riflettere sulla tematica dei Sofisti
per capire quale fosse lo scopo della loro azione, per compren-
dere quale dovesse essere il significato ultimo di una polemica
interna sul senso della retorica - la possibilità cioè di agire sul-
l'ordinamento sociale e a mezzo di esso. La dialettica, o meglio,
ciò che verrà qualche decennio dopo chiamato dialettica, rap-
pres'enta la coscienza politica, democratica della retorica. La sua
doppia genesi, come si diceva, nasce sul piano della coscienza
comune, ma si sviluppa nello stesso tempo (o quasi) sul piano
del·la coscienza filosofica.
Infatti, la polemica contro la generalizzazione retorica gor-
gian.a - almeno come questa risulta dal noto passo : " La parola
è un potente sovrano, poiché con un corpo piccolissimo e del
tutto invisibile conduce a compimento opere profondamente di-
vine " (fr. 11, dall'Elogio di Elena, cap. vm) - fa valere, con la
dottrina o le dottrine della antitesi, l'esperienza della coscienza
comune (" que logoi possono sempre presentarsi intorno alla stes-
sa cosa o esperienza "), cioè il fatto e la richiesta del dialogo,
che oppone la ragione alla forza della persuasione formale. Il pun-
to di arrivo è il r.a-rù ~Qaxv bwÀ.eyEcr&m, già presente, come sap-
piamo, nello stesso Gorgia. D'altra parte, a partire da questo
risultato - ma ci si deve riferire, si badi, non al risultato in sé,
ottenuto in un determinato momento, ma all'intera vicenda del
suo costituirsi come tale - si fa innanzi l'esigenza della scienza,
si configura nuovamente quella coscienza filosofica, che sembrava
essere stata nientificata daiia prima sofistica, dal suo cosiddetto
relativismo (Protagora) e nichilismo (Gorgia). " Così, con ra-
pide risposte attorno ad ogni argomento, deve rispondere, quan-
do sia interrogato; dunque, egli deve sapere tutto " (Dialexeis,
vm, 13). Alle origini, dunque, tcori~ della scienza integrale (lp-
11 B. FARI·>r.NGTON, Scienza e politica nel mondo antico, cit., pp. 105~
108; G. THoMsON, Eschilo e Atene, trad. it. Torino 1949, pp. 291 sgg.;
M. UNTERSTiiiNER, Fisiologia del mito, Milano 1946, pp. 241-242, 305
sgg. e in generale il saggio Le origini sociali della sofistica, in «Studi di
filosofia in onore di R. Mondolfo». Rari 1950.

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L'esperienza socratica 37

pia) e dialettica sono la stessa cosa; dialettica come dialogo,


come il filosofare nel suo più profondo esercizio e dialettica co-
me metodo e scienza particolari che innalzano la coscienza co-
mune alla coscienza filosofica o che ricercano nel sapere filoso-
fico una giustificazione della coscienza comune.

2.5. L'esperienza socratica


1:: interessante notare come la storia de1la dialettica ripresenti
sempre le sue figure. La sua evoluzione, se di evoluzione si può
parlare, descriverà ancora questa curva fondamentale. Solo il si-
stema filosofico nella sua totalità e chiusura ci offrirà qualche
possibiJità di pervenire a una definizione particolare univoca, ma
anche allora non verrà meno il pericolo di smarrime il senso nella
definizione concettuale, nel sapere. Perché questo è il carattere
della dialettica, di rappresentare nella genesi del sistema filoso-
fico il momento della negazione, dyl no, del non-ancora - cioè
quel fondamento reale del sistema,· quel punto di attacco della
filosofia con la storia, che viene negato nella costruzione, nella
universalità del discorso del filosofo. Se questo discorso sia a sua
volta dialettico (storico universale) è quanto di volta in volta il
filosofo deve provare e l'interprete pervenire a comprendere. Re-
sta il fatto non superabile della alterità di situazione e dialettica,
dialettica e filosofia, filosofia e situazione - alterità che riflette
e ripete l'estraneazione originaria dell'uomo rispetto al mondo
(il suo stupore e la sua protesta) e l'estraneazione ultima del filo-
sofo nella violenza delle cose. Diciamo la alienazione, ma così
abbiamo percorso l'intero circolo della dialettica, abbiamo evoca-
to la figura di Socrate.
:B giusto concludere con Socrate il capitolo sulle origini sto-
riche della dialettica. Ma con questo non intendiamo, aggiunge-
re un nostro contributo a più di due millenni di storiografia so-
cratica. La dialettica socratica è un fatto irripetibile nella sua ge-
nesi e nel suo fondamento. Ora, è sufficiente notare che nella tra-
gica figura di Socrate - tragica nel senso che coincide con la tra-
gedia della storia quando un principio si erge come assoluto (il
singolo, la coscienza comune, c i. suoi valori) di fronte a un
altro principio, esso pure oggettivamente assoluto (la tradizione
civile; la costituzione, la noÀtç 12) - la dialettica vive e si manifesta

11 È l'interpretazione di Hegel, che si può leggere nelle lezioni sulla sto-

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38 Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

in un momento di eccezionale equilibrio, di unità con la situa-


zione, la storia, la vita. È l'uomo comune come coscienza della
città non ancora posta come problema a se stessa. Per questo è
un fatto unico e irripetibile. La risoluzione della situazione in
ricerca dialettica, il suo storico modificarsi, porta inevitabilmente
con sé il rifiuto e la distruzione della situazione stessa, la nascita,
quindi, della collisione tragica. E a questa nascita la filosofia non
può che essere estranea - la filosofia viene dopo. Socrate, il de-
mocratico, fu mandato a morte da un tribunale democratico, che
faceva proprie accuse dettate dagli ideali aristocratici tradiziona-
li. La contraddizione tragica della situazione non fu spiegata,
ma soppressa da Platone, che idealizzò Socrate come l'uomo del-
l'oracolo - l'uomo che trascende la situazione.
Di fronte a questa figura, che smarrisce continuamente nel
mito i suoi contorni, preferiamo lasciare la parola, per illustrare
il punto che ci interessa, ad un interprete che fu nei nostri tempi
un socratico. " La dialettica. Come procede ora tale ricerca? Un
atto, una situazione rimanda a un valore: a un principio generale
di azione, all'idea di una virtù, a un criterio di giudizio. È chiaro
questo valore alla coscienza? Sappiamo noi con certezza di che si
tratta? "h questa la domanda elenctica, il problema che prova e
mette in gioco la nostra sicurezza, con cui l'inchiesta si inizia.
E sin dal primo esame risulta che il nostro sapere è in questo
campo un'musionc, fondata su certe accezioni comuni che si
riflettono in un nome comune, ed hanno bensì la loro base in
una comune struttura etica - di ciò Socrate non dubita - ma che
qui s'è astratta, confusa e resa ambigua, capace di accogliere
ogni contenuto. Questa coscienza dell'ambiguità del linguaggio
era stata già riconosciuta nelle ricerche siQònimiche di Prodico,
ed era stata rilevata in tutta la sua importanza, come espres-
sione della crisi etica, da Tucidide. Ma qui Socrate va ancora
più a fondo: sotto l'ambiguità generica della parola, sotto l'astrat-
ta incctiezza della comune opinione, egli eccita, per così dire,
la singolarità delle opinioni, impegna ciascuno in una detenni-
nazione concreta di quel valore, e lo impegna a fondo, con la
sua esperienza, con la sua vita. Perciò ogni opinione è presa

ria della filosofia, ma anche in quelle sulla filosofia della storia: si vedano
alcuni giudizi di Hegel nel Socrate di A. Banfi, Milano, 19442, pp. 333 sg~.
(il brano che ora riportiamo è a p. 88 sgg.); poi K. LEESE, Die Geschichts-
phi/osophie Hegels auf Grund... , Berlin 1922, p. 206 sgg.; J. KuP'FER, Die
Aufjassung des Sokrates in Hegels Geschichtsphilosophie, Diss. L~ipzig 1927
c il nostro Antropologia e dialettica nella filosofia di Platone, m Storicità
della dialettica antica, Padova 1966.

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L'esperienza sncratJ.ca 39

con la massima serietà, proprio perché in essa deve esprimersi


con la massima vigoria la situazione personale di fronte a quel
problema, è chiarita in cgni suo presupposto, in ogni suo svi-
luppo, è rapportata sia all'esperienza personale come alla esten-
sione obbiettiva riconosciuta di quel valore etico. E in tal pro-
cesso si illuminanò i suoi limiti c il non sapere deHa persona
stessa, la sua mancanza di chiarezza con sé, di coerenza inte-
riore, l'ambiguità dei propri principi, prnprio là dove si esige-
rebbe il massimo di precisione; ed ecco nuove opinioni si af-
facciano, si contrastano, sono riprese a fondo e di nuovo le per-
sone reagiscono e prendono coscienza di sé. Tutta' quella sfera
etica è posta in movimento, messa in problema, e non un puro
problema di sistemazione teoretica, ma un problema di vita
e di partecipazione d'animo. Le reazioni, naturalmente, delle
singole persone sono diversissime, e qui ha avuto luce la grande
arte platonica; impassibile, sereno, comprensivo e insieme ironico
è Socrate, che iqcessantcmente svolge. intreccia, approfondisce
la ricerca, risolleva il discorso dalle facili affermazioni dogma-
tiche come dagli scoramenti.
"Questo esame che corre continuo e si sviluppa sotto il dia-
logo è la dialettica socratica. Essa si differenzia sia dalla reto-
rica sofistica, sia dall'eristica dei cinici, sia dalla dialettica spe-
culativa di Platone. Per riguardo alla prima essa è in netta oppo-
sizione. Giacché la retorica sofistica è lo svolgimento armonico e
persuasivamcntc coerente di un punto di vista, è l'univcrsalizza-
zione nel discorso di un'opinicnc, mentre la dialettica socraticu
è proprio il conllitto delle opinioni, 1a distruzione della loro cer-
tezza, la risoluzione del loro apparente equilibrio. Quanto al-
l'eristica cinica essa svolge uno dei motivi della dialettica socra-
tica, i·l motivo negativo del non sapere, in senso puramente scet-
tico: ciò che le importa e a cui usa tutti i mezzi di una retorica
del dissuadere, è di distruggere le pretese dell'intcllettualismo a
una legislazione della vita e di lasciar campo libero a.Jla virtù
spontanea della natura umana. Infine, la dialettiCa platonica ha
valore essenzialmente teoretico. Essa nasce sì dalla dialettica so-,
cratica, ma, pur sviluppando un elemento della sua natura, ne
modifica l'intenzione. Voglio dire che in Platone il movimento del
pensiero, attraverso il caos confuso dell'opinione, mira a sco-
prire il sistema delle idee che vi soggiacc, superando via via la
parzialità dì ogni posizione nell'ordine dei suoi rapporti c puri-
ficando quella in questi. 1:: insomma il regno universale e auto-
nomo della verità che così è conquistato, in modo che il pro-
cesso o il metodo dialettico si estende a tutti i piani c- le forme

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40 Esperienze dialettiche tra i Sofisti c Socrate

dell'esperienza. Pt:r Socratc la dialettica non è un metodo uni-


versale teoreticp: essa si riferisce solo al campo etico ed è il
processo per cui questo si traspone sul piano della moralità.
Giacché la dissoluzione della certezza dell'opinione, il riconosci-
mento della sua astrattezza o parzialità, il rilievo delle contrad-
dizioni tra opinione e opinione e dell'inadeguatezza di ciascuna
ad esprimere nella sua purezza e universalità il mondo etico, se
non. si arrestaper Socrate alla constatazione scettica di Antistene,
non procede neppure con Platone verso Ja definizione universal-
mente valida del concetto di quel valore. La dialettica ha per
Socratc un fine essenzialmente pratico: essa mira a riportare i
valori etici incerti nella crisi del costume a contatto con le esi-
genze e le situazioni personali, a trar queste fuori dal limite della
loro egoistica sufficienza, a far sì che sul comune piano di pro-
blemi le singole persone riconoscano la loro comune umanità ...
" La ricerca socratica ci dà il primo esempio spontaneo del
metodo concettuale, pur senza averne in chiaro, date le sue fina-
lità pratiche, l'efficacia teoretica. La reazione sofistica scettica
verso la filosofia razionale dei fisici, è un ritorno alla validità dei-
l'esperienza concreta e dell'opinione, con l'aspirazione pratica a
creare un'opinione retoricamente così universale da valere come
criterio di giudizio c di azione. Ma in Socrate l'esperienza, l'opi-
nione, !ungi dall'essere astratta, è lasciata valere nella sua con-
cretezza, è riconosciuta nella varietà della sua struttura e dei suoi
rapporti, la cui unità limite è per l'appunto i1 concetto. La dia-
lettica socratica è proprio questo metodo; solo che il suo inte-
resse è pratico, non teoretico, la sua funzione è protreptìca, ri-
volta alla formazione della coscienza e della responsabilità per-
sonale. Perciò il metodo resta aperto, la dialettica senza solu-
zione, il concetto non è raggiunto, e il suo essere - tratto fuori
dall'incertezza dell'opinione comune - è un limite della ricerca,
e quindi né definito astrattamente in senso logico né realizzato
metafi.sicamente come idea o come essenza sostanziale. Dal che
risulta che proprio la finalità pratico-protreptica della dialettica
socratica, la rende un tipico esempio di metodo concettuale aper-
to e progressivo, la pone, sia pure senza chiara coscienza del
suo valore teoretico, all'inizio di quel razionalismo della ricerca,
che dopo essersi espresso in Platone nella sua esigenza più pro-
fonda e definito e limitato sistematicamente in Aristotele, troverà
nel pensiero moderno il suo più largo sviluppo" 13•

" A. BANI'I, .Socrare, cit., p. 88 sgg.

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3. Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

3 .l. Premessa
Tre fatti essenzialmente impediscono allo storico e all'inter-
prete di accedere alla filosofia platonica con la stessa oggettività
di cui sa o almeno può dar prova in altri casi e oserei dire in
tutti gli altri casi: la forma letteraria, che Platone ha scelto per
consegnare a noi il suo filosofare, il dialogo, il dibattito dram-
matico, che presuppone invenzione di personaggi, creazione di
situazioni, e, diciamolo pure, mistificazione di uomini e di idee;
la mediazione,· che egli ha voluto creare, tra sé, i personaggi e il
lettore, inserendo nel . dibattito la persona di Socrate, solleci-
tatore della ricerca ma anche, ad un tempo, " figura dello scher-
mo", centro dal quale sfuggono verso un'immaginaria circonfe-
renza le linee di ~orza che quella ricerca ha messo in luce e de-
terminato cori. calcolo e perizia~; e infine una specie di " doppia
verità", messa in pratica da Platone, e cioè la filosofia contenuta
nei dialoghi c la filosofia esposta nelle lezioni all'Accademia, dci
cui limiti e rapporti oggi sappiamo ben poco, mentre i contempo-
ranei non potevano non esserne al corrente.
Per questi motivi l'interprete, sia esso filosofo o filologo, non
può che scegliere un momento, una tesi, un problema della fi-
losofia platonica presupponendo che tale tesi sia anche di Pla-
tone - e dare così per risolta una difficoltà che storicamente ri-
solta non è - ricostruendo secondo questo punto di vista il si-
stema o una sua parte o la sua evoluzione. Dobbiamo insomma
presupporre come nota una filosofia di Platone per· intendere in
Platone la filosofia. Hegel stesso, che ha fondato nella Storia
della .filosofia la sua magistrale ricostruzione del platonismo sulla
Repubblica, ha così posto da parte il dato storico, che Aristotele
non cita mai questo dialogo nella discussione dei problemi stret~
tamente filosofici o metafisici.

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42 Dialogo, dialettica c tilosofia in Platone

Le tre diflìcoltà di cui abbiamo parlato (forma dialogica, pro-


blema di Socrate c doppia verità) sono a più forte e a maggiore
ragione presenti, si unificano, direi, nel problema della dialettica,
nel senso però che· questo ne costituisce il fondamento, il loro
tessuto connettivo. Infatti, la dialettica nasce dal dialogo, è il
dialogo stesso almeno fino ad un certo punto, e si può sostenere
che la forma dialogica era richiesta, per darne un'immagine ph-
stica, dal dìalettizzare di Socrate o, se vogliamo, dall'interpre-
tazione che Platone intendeva dare della filosofia socratica. Già
per tale motivo problema di Socrate in Platone e dialettica sono
tutt'uno. Qual è, infatti, la forma della dialettica socratica? In
che si distingue dalla dialettica platonica? 't presente la distin-
zione in Platone, e, se c'è, a che punto e su quale piano ha
essa inizio? Non ha grande importanza per noi, in questa sede,
la questione delle " lezioni " platoniche, delle dottrine non scrit-
te, ma è chiaro che non può non esserci una relazione con ciò che
è stato l'anima di una lunga evoluzione, con quella dialettica che
ritorna, trasfigurata, anche negli ultimissimi scritti, per esempio
la Lettera VII.
Abbiamo premesso queste osservazioni per sottolineare la na-
tura particolare della ricerca platonica e addirittura la sua ecce-
~.:ionalità quando la si debba investire dal punto di vista della
dialettica. l dati della questione, infatti, si presentano in modo tale
che l'interprete si vede· costretto a esporre il problema della dia-
lettica in Platone come se esso costituisse ad un tempo la parte
c l'jntero di quella fi·losofia, il fatto c il problema, il presup-
posto del filosofare, il suo risultato e la prospettiva del filosofo.
Stando così le cose, molti problemi, che il lettore si" sarebbe im-
maginato di veder qui accennati o risolti, saranno lasciati in
ombra, altri, che la tradizione riteneva accolli o superati, ver-
ranno invece discussi a fondo. Ma tutto ciò, ormai lo si è detto
più volte, dipende dalla filosofia di Platone, dai suoi limiti - che
sono la sua stessa grandezza e la ragione del suo poter essere
continumnente ripetuta. Per chiarezza cercheremo di separare e
di tener separati questi piani, questi strati del platonismo, indi-
viduando prima una storia esterna del concetto di dialettica c
proponendo in un secondo momento una interpretazione.

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Dialogo e dialettica 43

3.2. Dialogo e dialettica


llw:MyEa1lcn inizia· la sua storia in Platone col significato di
" intrattenersi in colloquio ", " discutere ", " domandare e rispon-
dere " ecc. È l'uso degli scrittori attici intorno al 400 a.C. Il col-
loquio che viene con questo verbo indicato si svolge preferibil-
mente fra due persone, ma non necessariamente, perché al di-
battito partecipano spesso numerosi interlocutori. Non ha gran-
de importanza documentare questo dato preliminare. Basta sfo-
gliare qualunque dialogo platonico per accertarsene. Per esem-
pio: " Ed io non sono di quelli che pretendono denaro per
parlare... " (Apol. 33B); poco più avanti: "Abbiamo avuto, in-
fatti, voi ed io, troppo poco tempo per discutere ( =per venire
ad una spiegazione) " (3 7AB). Nel Protagora questo verbo ricor-
re, dicono, 33 volte 1• Vediamone qualche esempio: "Ora ti
farò una domanda sull'argomento intorno al quale poco fa tu
ed io si discuteva " (339AB); una volta è usato il duale: "Biso-
gna infatti che coloro che assistono a tali dibattiti siano impar-
ziali tra i due interlocutori " (337 AB); ancora: " ... nel vestibolo
parlammo a lungo finché ci si mise d'accordo" (314CD). Nel
F e do ne: " (perché il veleno faccia il suo effetto) è necessario
che ti spieghi di parlare il meno possibile " (63DE); anche in
un'opera tarda come le Leggi troviamo: "Avendo considerato
questa potenza militare di cui stavo parlando ... " (m. 686DE), e:
" In realtà il nostro colloquio è rivolto ad uomini, non a dei "
(v. 732E-733A).
Significative contrapposizioni illuminano in pieno, anche se
indirettamente, l'uso di questo verbo in Platone, una accezione
nient'affatto semplice perché di volta in volta Platone dà ad esso
se non un particolare significato almeno una sfumatura diversa.
Il discorrere, il conversare ordinatamente, la discussione onesta,
pura da invidia e da spirito di emulazione (come il filosofo si
esprimerà da vecchio nell'Epistola VII, cfr. 344BD), vengono
opposti al disputare, al dibattito eristico, sottile, capzioso, formaJe
(Repubbl. v. 454AB); alla contestazione oratoria, nel corso della
quale è lecito scherzare ed ingannare, mentre nel dialogo ci si deve
impegnare seriamente, aiutare l'avversario, mostrargli gli errori
(Teet. 167D-168A); alla pubblica allocuzione nell'assemblea o
nei tribunali, dove una parte deve schiacciare l'altra (per es.
Gorg. 471E-472A); secondo un noto passo del Protagora: "Pen-

1 W. MuRI, Das Wort Diaiektik bei Plato, in « Museum Helveticum ~,


1, 1944, n. 3.

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44 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

savo, infatti, (dice Socratc) che una conversazione tra persone


che si sono date convegno e un discorso al popo~o fossero due
cose distinte" (336BC) - e viene subito introdotto il noto tema
del discorso breve e del discorso lungo, dell'indagine che procede
per brevi domande-risposte e dell'esposizione continuata, siste-
matica potremmo dire, che avrebbe opposto prima i sofisti tra
loro, poi, in Platone, i sofisti e Socrate. Vorremmo, infine, ri-
cordare un luogo del Menone comunemente citato, che tuttavia
ha per noi un valore addirittura paradigmatico, se ha senso tutto
ciò che abbiamo detto e cercato di mostrare sulla genesi e sulla
natura della dialettica, su questa costante dell'interpretazione pla-
tonica: " Se poi l'interrogante fosse uno di quei sapienti eristici
e polemici, gli direi: ' Io ho parlato; se non ho detto bene, tocca
a te riprendere l'argomento e confutarmi'. Ma quando due amici,
come tu ed io siamo, hanno voglia di discutere insieme, allora
dovrei rispondere un po' più dolcemente ed in modo più conforme
allo spirito della conversazione. E questo significa non soltanto
rispondere la verità, ma anche fondarla su ciò che l'interlocutore
riconosce lui stesso di sapere" (75CE) (cfr. sopra 1.2). E così,
lo vedremo subito, ritorniamo, perfezionandola, alla situazione
del Protagora.

È indubitabile, infatti, che questa accezione, la pm VIcma,


come dobbiamo ritenere, al valore etimologico e semantico di
llt.aMyw{hXL-dialettica, esaurisca aQche, nel suo complesso, il
primo, socratico-platonico, significato di dialettica. Il fenomeno
è già stato da altri accuratamente studiato, la tecnica del dia-
logo socratico attentamente esplorata 2• Sul cosiddetto procedi-
mento elenctico si è innalzato addirittura un sistema, a torto se-
condo noi, perché in tal modo risulta annullata la libertà del pro-
cedimento socratico e platonico; il libero gioco della domanda-
risposta, dell'accettazione e della confutazione dell'ipotesi è stato
determinato nelle sue forme dirette e indirette, induttive, sillo-
gistiche, definitorie. A che scopo? Robinson alla fine del suo
progetto di lavoro conclude: "L'Eì.eyxo; si trasforma in dialetti-
ca, il negativo in positivo, la pedagogia nella.rivelazione, la mo-

2 Soprattutto nelle interpretazioni degli storici e filologi inglesi, fra le

più equilibrate nell'individuare nel platonismo il momento ·socratico e


quello platonico. Vedi per esempio A.E. TAYLOR, Socrate, trad. it Firenze
1952 e ROBINSON, Plato's E.arlier Dialectic, Oxford 1953 2, parte r: "Elen-
chus ··, pp. 19 e 69 per le citazioni qui sotto. Stato della questione e bi-
bliografia in V. DE MAGALIIAEs-VILHENA, Socrate et la légende platoni-
cienne, Paris 1952.

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Dialogo e dialettica 45

ralità in scienza ". L'elenco o confutazione non è, dunque, altro


che una prima forma della dialettica, una dialettica, per usare
la terminologia del Robinson, che non è ancora pervenuta al me-
todo, che non si sa ancora come metodo. Perché allora fare del-
l'elenco un metodo? Fra i luoghi in cui Platone fa reclamare a So-
crate libertà di movimento e di procedimento, scegliamo questo,
dal Teeteto, significativo perché abbastanza recente nell'evolu-
zione. Socrate, confutando Ja norma protagorea, riprende un'ar-
gomentazione dell'Eutidemo (287 A sgg.): se non possiamo in-
gannarci né con l'azione né con le parole né con il pepsiero,
a chi, di grazia, .volete dare lezione? Per qual motivo Protagora
sarebbe tanto saggio da poter insegnare agli altri se ciascuno di
noi è misura della propria saggezza? - e aggiunge: "Come non
dire che Protagora parla ad uso del popolino? Per ciò che ri-
guarda me e la mia arte maieutica è meglio non parlare di
tutto il riso che provocherebbe, e penso anche a tutta l'opera dia-
lettica ... " (161 E-1-62A).

Una volta esposta la situazione di fatto dobbiamo però porci


una domanda. Come avviene in Platone la determinazione filo-
sofica, la traduzione in valore concettuale di questo fenomeno
linguistico, lessicale, e ad un tempo (non dimentichiamo Socrate
e la prassi quotidiana del tempo) prammatico? Uno dei problemi
più affascinanti della storia della dialettica, forse dell'intera sto-
ria del pensiero antico, è destinato a nostro avviso a rimanere
senza soluzione, un enigma - ed esso racchiude la ragione, non
ultima, del suo provocare continuamente gli interpreti. Le radici
del problema, Ja sua genesi, o stanno semplicemente in quella
storia che abbiamo cercato di tracciare - una storia alla quale
Platone partecipa attivamente e si trova ad esserne /anche l'erede,
un epigono - oppure esse affondano nell'intrico dei rapporti So-
crate-Platone, in .un tessuto, dunque, dove ogni ipotesi è possi-
bile, ma dove ogni interpretazione rischia di essere una violenza
esercitata sui testi e sui documenti in nostro possesso.
Abbiamo accennato ora, per star fermi al nostro ùtaMyecr{hu
e per non coinvolgere temi dell'intera dottrina, all'interpretazione
del Robinson, e abbiamo ricordato a suo tempo quella senofon-
tea (cfr. sopra 1.4), senza eco, cioè non esplicitamente testimo-
niata, che si sappia, in Platone. A questo punto, per rispondere
più direttamente alla domanda posta, che in modo più adeguato
potremmo formulare così: Fra gli esempi riportati qual è la de-
terminazione del btaì,iyun'tm che si impone come filosofica? -
vorremmo riprendere la tesi del Calogero, che proprio sul

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46 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

bwÀÉyfo{}m fonda la sua ricostruzione socratica: " ... e anche se


la socratica volontà di dialogo si è qui (nel Fedro) già sensibil-
mente cristallizzata in ' arte dialettica ' (secondo quel processo che
segna la storia interna del pensiero platonico, e .che a poco a -poco
riduce Ja dialettica a non essere altro che una particolare dot-
trina, cioè un più o meno ragionevole logo nel dialogo), tuttavia
il fatto che si inseriscano i ÀélyOL come semi fecondi, negli animi
degli interlocutori continua ad èssere concepito come un proces-
so ininterrotto che si ripete in sempre nuovi animi e con sempre
nuovi ÀoyOL ... " 3 •
Se riteniamo accettabile questa configurazione, la determina-
zione del bwi.Éyw-frat, che ha in sé immediatamente qualcosa di
filosofico, è presente nel Protagora: qui per la prima volta So-
crate . dirige il dibattito, nel senso che impone ad esso certe
condizioni. Si tratta del lungo passo 328D-336C all'interno del
quale cade la citazione, che abbiamo sopra riportato: elogio del
discorso breve e di Protagora, che sa tenere " discorsi lunghi e
belli ", ma sa anche, quando è interrogato, rispondere con conci-
sione e, quando interroga, " attendere la risposta e accoglierla "
per valutaria correttamente (la qual cosa, ironizza Socrate, " è
data a pochi"); esposizione del procedimento come controllo del-
l'opinione sostenuta, sia essa quella degli interlocutori sia quella
di altri fatta valere nel dibattito, ma anche esame e di chi la do-
manda pone e di chi risponde - insomma il metodo del doman-
dare-rispondere in breve, attenendosi però al fatto, interpretando
correttamente la domanda, rispondendo a tono, dandone ragione
nella risposta a sé e agli altri. È un. momento del dibattito sul
quale Platone insiste, e lo sottolinea usando espressioni " tecni-
che" (alcune di esse ritroveremo anche più tardi: per es. Resp.
VII. 531E-532A e Politico 286A: "saper dar ragione di una cosa
e intendeme ragione"): ~çn&.~uv (sottoporre ad esame), 1!/,qxoç
(l'esame, la contestazione, e la dimostrazione che se ne dà),
f),Érxnv (mettere in atto l'EÀFy;(oç), ÈÀÉYXfm'}cn (essere oggetto
dell'EÀEyxoç); btW.Éyw{}m nella precisa accezione di rispondere ri-
ferendosi esattamente a ciò che è stato chiesto; Myov &ouvat (ri-
spondere a tono), Aùyov 6É~aaftm (intendere la risposta c inter-
pretarla opportunamente al fine di procedere nella conver-
sazione) 4•

' G. CALOGERO, Socrate, in <<Nuova Antologia», xc, fase. 1859, No-


vembre 1955, p. 100.
4 Cfr. 11. cc. in Protagora, a cura di G. Calogero, Firenze 1948.

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La dialettica come problema 47

3.3. La dialettica come problema


Dovrebbe essere risultato chiaro che finora la dialettica come
ataÀ.Éywihn è accettata e presentata nella filosofia platonica come
un fatto. Platone lascia agire il awMywihu socratico nella sua li-
bertà, nel suo movimento, nei limiti non ben definiti delle sue
norme. Dobbiamo ripetere che lasciamo del tutto aperta, o me-
glio non discussa a fondo, la questione se questo fatto della
filosofia platonica coincida con la cosiddetta filosofia socratica,
benché non sia possibile dubitare che esso coincide con la filosofia
di Socrate in Platone. Il mondo intellettuale di allora, comple-
tamente diverso, com'è ovvio, dal nostro, si mostrava del tutto
indifferente, si badi, al concetto e al senso della proprietà lette-
raria; di qui la buona fede degli autori dei cosiddetti plagi, delle
contraffazioni, delle opere suppositizie; a maggior ragione non
si può dubitare della buona fede della ·libera ricostruiione pla-
tonica. Con questo noi generalizziamo e semplifichiamo, per la
necessità dell'esposizione, un'opinio r:ecepta, un dato sul quale
si accordano storiografie di natura e ispirazione diversissime, che
pur fanno valere riserve, difficoltà, indicazioni o lezioni parti-
colari.
A partire da questo risultato, dallo stesso Gorgia, che per ra-
gioni interne ed esterne non può che collocarsi vicino al Prata-
gora, la concezione del 1haÀÉycoofrut entra in crisi nel senso che da
esso si libera, rendendosi autonomo e acquistando forme deter-
minate, il suo significato, diciamo pure, metafisica. L'accezione
originaria resiste, certo, accanto alla nuova ricerca, e vi rimane
ora semplicemente giustapposta ora invece come presupposta.
Infatti, l'arco lungo il quale si distende il dibattito nel Gorgia va
dall'affermazione di Socratc di fronte a Gorgia: " Se il tuo ca-
rattere è dunque simile al mio, se sci l'uomo cui piace confutare
ed essere confutato, allora parliamo" (458AC) -fino alla regola
che Socrate stabilisce con Callide: " ... se noi saremo d'accordo
su un punto, riterremo questo punto provato a sufficienza e non
avremo bisogno di altri esami. .. , il nostro consenso quindi si-
gnificherà il compiersi della verità" (487E-488A): ma in mezzo
sta quella ricerca sulla natura della retorica che è già in sé una
ricerca sulla dialettica. n awJJywofrut, insomma, non è più il fat-
to della filosofia platonica (socratico-platonica), ma è posto ora
come un suo problema.

L'analisi della retorica (natura, significato, compiti) si pre-


senta nelle sue linee generali secondo questa evoluzione. Nel-

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48 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

l'Eutidemo, in fom1a ironica e polemica, il retore e il sofista


sono sostanzialmente identificati. Antifilosofi per vocazione e d'al-
tra parte combattuti dai filosofi e da questi disdegnati, i retori
occupano una posizione che " sta al limite tra la politica c la filo-
sofia " (305CE). TI discorso va più a fondo nel Gorgia, dove alla
natura della retorica è dedicato più ampio spazio, tutta la prima
parte del dialogo. L'argomentazione platonica va determinando-
si : già la tradizione non considerava scienza la retorica, e ne
limitava la sfera d'azione al mondo dell'opinione; ora si tratta di
negare che la retorica sia. un'arte: " ... non è un'arte ma un'em-
piria, perché rispetto alle cose che offre non sa rendere nessuna
ragione di quale natura siano queste cose che offre, sì da non
poter dare la spiegazione di ciascuna" (465AB). Per Platone,
dunque, la retorica non è un'arte proprio perché è ciò che soste-
nevano i sofisti, cioè un'esperienza teorico-pratica, un'empiria.
Possiamo comprendere allora la posizione nuova rispetto al-
l'Eutidemo, la distinzione cioè della retorica dalla sofistica: esse
sono ugualmente due forme di adulazione, due contraffazioni, ma
" mentre la sofistica sarebbe contraffazione dell'arte della legisla-
zione, la retorica sarebbe invece contraffazione dell'arte dell'am-
ministrazione della giustizia " - affermazione che a Platone è
consentita senza altre spiegazioni in quanto è implicita nel pre-
supposto, comune all'età sua, dell'identificazione del saggio poli-
tico e del vero oratore.
Il nuovo passaggio è rappresentato dalla negazione del com-
pito della retorica gorgiana, la persuasione; ma tale negazione
è tutt'uno con la formulazione del ~taì.ÉyFa&m socratico, che
abbiamo già visto. Non c'è altra persuasione che quella solleci-
tata dalla pratica del dialogo, dalla disposizione della buona co-
scienza nel conversare c nel fare. Il circolo è, dunque, percorso,
chiuso; la prima figura autonoma della dialettica si rivela e
prende forma nel dibattito fra la retorica, la sofistica e la filo-
sofia. La nuova risposta, e il punto finale di questa evoluzione,
è nel Fedro. Ne esporremo brevemente il risultato, perché il
Fedro ci porta molto al di là del problema che stiamo indivi-
duando. Non dimentichiamo che il Fedro ha alle sue spalle il
Crati/o, il Simposio e soprattutto la Repubblica, cioè Platone
parla dopo una grande esperienza di pensiero, di cultura e di vita
morale, dall'alto di una posizione speculativa che egli considera
sicura c provata anche se non definitiva; almeno per ora, dice,
egli sa chi sono i dialettici (266BC) 5• Che cos'è, allora, la re-

' Per la datazione del Fedro v. la Notice premessa da L. Robin alla

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La dialettica come problema 49

torica? Come è facile vedere, -il piano della precedente ricerca


appare capovolto: non si cerca più la dialettica a partire dalla
retorica; l'argomentazione si sviluppa secondo questo progetto:
la critica della retorica di fatto, nelle sue opere e nell'insegna-
mento, dimostra che non c'è arte retorica autonoma, fondata sul
sapere e quindi sulla possibilità di essere insegnata; si può, in-
vece, affermare l'ideale di una retorica di diritto, che abbia il
proprio fondamento nella filosofia, nella dialettica; un'arte di
parlare e di pensare, retta dalla ricerca in comune e dal biso-·
gno, dalla necessità della verità, vivi e fecondi nello spirito del
maestro e del discepolo (agisce qui la celebre dottrina dell'amo-
re); una retorica filosofica- la dialettica, compiuta come metodo
e come techne (cfr. 269DE).

Possiamo anticipare subito come essa si determini e quale sia


il suo doppio movimento. Il primo, la sinottica, consiste nel ri-
condurre all'unità di una forma, di un'idea, diremmo noi, ciò
che è diverso e molteplice, a mezzo di una intuizione, di una vi-
sione, di una comprensione della totalità; il secondo, la diaire-
tica, mira invece a specificare l'unità definita in precedenza, cioè
a riconoscere quali forme dipendono dalla natura di quell'unità,
mediante una divisione di essa secondo le sue articolazioni na-
turali, cioè le sue specie. Si noti che in Platone il rapporto specie-
generi (dove specie= forme, idee) non è ben determinato e non
corrisponde a quello presente nelle nostre lingue. L'unità natu-
rale di cui si parla è paragonabile a quella di un essere vivente,
che ha parti uguali a destra e a sinistra. Nei due discorsi sul-
l'amore, che Socrate tiene in risposta al discorso di Lisia rife-
rito da Fedro, si sostiene che l'amore è un delirio e in quanto
tale viene una prima volta esaltato e la seconda vituperato, con-
siderandone prima la specie sinistra poi la specie destra, il de-
lirio umano e il delirio divino - operazione che deve continuare
per ciascuna determinazione fino alla specie indivisibile o idea
(cfr. 277AB):
" Questi due processi, condizionantisi a vicenda, costituiscono
tutta la dialettica. II che Platone rende chiaro col ricapitolare
brevemente lo svolgimento e il risultato delle differenziazioni con-
cettuali nel secondo dci due discorsi. Questa delucidazione delle
due funzioni del metodo dialettico, la sinottica (avvaywy~) e la
diairetica (btchQFmç) è quel che di più chiaro e penetrante Platone

sua edizione per la coll. « Les Belles Lettres », Paris 1954', pp. m-rx. Sulle
idee-specie-forme e sul rapporto col Fedone, citato avanti, pp. CLIV-CLVI.

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50 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

abbia mai detto su questo soggetto " 6 : " Amo, o Fedro, queste
operazioni del dividere e dell'unificare· affinché mi sia possibile
parlare e pensare. Se scorgerò poi qualcun altro capace di portare
il suo sguardo sull'uno e sull'unità naturale di un molteplice, que-
sti voglio inseguire, 'sulla traccia ch'egli lascia, come fosse quel-
la di un dio'. E infatti coloro che sanno fare questo - se è giu-
sto o no, dio lo sa - per ora io li citiamo ad ogni modo dialetti-
ci... " (Fedro 266BC). Il perché di questa definizione è dato come
noto: la pratiéa del dialogo è a suo fondamento come il Fedone
ha già: dimostrato (cfr. 73AB, 75DE c 78D: " Quest'essenza in
se stessa dell'essere della quale noi diamo ragione interrogando
e rispondendo ... ") - anche se le parole dialettico e dialettica non
sono ancora state pronunciate come avviene invece nel Cratilo.
e nel Menone. Che il dialogo sia indispensabile al primo dei due
procedimenti lo hanno provato a sufficienza i dialoghi giovan~Iì
con quelle induzioni che rappresentano lo scopo di una ricerca in
comune. Se si pensa al Sofista e al Politico, ci si convince che il
dialogo è altrettanto necessario al secondo procedimento illustra-
to dal Fedro.

Eravamo partiti dal ~Ìlaì.Éyt{hu socratico-platonico, dalla posi-


zione di Platone nel Protagora e nel Gorgia, e abbiamo trovato,
nel Fedro, nel tentativo di individuare le componenti della pole-
mica contro la retorica, la dialettica e il dialettico, in una delle
loro figure più complesse o meglio in una sfera che appartiene
già all'ultimo momento dell'evoluzione platonica. Se avessimo
condotto innanzi la lettura del Fedro, ci saremmo imbattuti an-
che nella definizione del filosofo. Alla fine del dialogo, infatti,
(278CE), il dialettico si identifica col fil9sofo in quanto filo-sofo:
il nome di sojo sembra qui a Platone eccessivo come quello che
" conviene soltanto ad un Dio ". Dal dialogo, dunque, alla dia-
lettica e alla filosofia; dalla pratica del dialogo, che esaurisce i
compiti del filosofare nel dar ragione della cosa a sé e agli altri -
la filosofia come quella persuasione che 8taMyw{}m promuove -
al metodo-techne della parola e del pensiero, la dialettica della di-
visione e dell'unificazione, che si fonda ora non più sul convinci-
mento e sulla convinzione dei dialoganti, bensì sulla possibilità
di un'intuizione dell'intero.

' W. W. J AEGER, Paideia, trad. it. Firenze 1959, vol. 111, p. 331.

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La dialettica come " metodo " e come " scienza " 51

3.4. La dialettica come "metodo" e come " scienza" (la


Repubblica)
Nel Fedro abbiamo per la prima volta colto il liberarsi di una
figura sistematica _della dialettica (filosofia) dal (ha/.Éyw{}m (dia-
lettica) di origine e ispirazione socratica. II linguaggio denuncia
questo nuovo stato di fatto quando Platone pone i:ltaAÉyEm'}m sen-
z'altro uguale a dialettica: " ... bisogna trattare con indulgenza
coloro che noo conoscendo la dialettica (1:\tuÀfyw{}cu.) ... " (269
BC). Dobbiamo chiederci come sia avvenuta questa si~temazione
concettuàle, perché a tale domanda abbiamo risposto solo in par-
te. Abbiamo, infatti, seguito la polemica antiretorica e notato che
Platone aveva alle spalle un'esperienza culturale non trascurabi-
le, e abbiamo anticipato così un risultato che ha le sue premesse
o più precisamente la sua fondazione nella Repubblica, un'opera
nella quale agiscono le preoccupazioni più dirette e immediate
del filosofare platonico. ·
Non dimentichiamo che il dibattito retorica-sofistica-dialettica-
filosofia non è in Platorte sollecitato dall'alto, a parte philosophiae.
La Lettera VII, della cui autenticità è difficile ormai dubitare 7,
è esplicita: ciò che ha indotto Platone a dedicarsi alla filosofia
è la condanna di Socrate, dell'uomo più giusto che mai fosse
apparso sulla terra; questo giudizio, questo scandalo che coin- .
volge tutti nella stessa responsabilità, non deve ripetersi. Che
fare? Combattere le cause della dissoluzione che hanno fatto
della nostra città una città ingiusta e creare i presupposti della
Città giusta, nella quale Socrate, il giusto, il filosofo, possa vi-
vere e operare. Platone propone una riforma dello Stato e ad un
tempo una riforma dell'educazione: d'altra parte, perché ciò sia
possibile (in realtà è una contraddizione), dati l'ingiustizia e il
disordine imperanti nelle nostre città, bisogna dare il potere ai
filosofi o educare i re alla filosofia. Come la Repubblica, nella no-
stra configurazione, sta al centro dell'intero pensiero platonico
così la " terza ondata ", il governo dci filosofi e la loro educazio-
ne, sta al centro di quella totalità sistematica che la Repubblica
in sé rappresenta ed espone. Le due " ondate " precedenti, cioè
massime difficoltà che nella costruzione della Repubblica di-
pendono dalla natura e dalla storia, sono rappresentate dalla ne-
cessità del servizio militare femminile e dalla comunità delle don-
ne e dei bambini
7 G. PASQUALI, Le lettere di Platone, Firenze 1938, pp. 77-114 e si

vedano le obiezioni di A. MADDALENA nella sua traduzione commentata:


PLATONE, Le lettere, Bari 1948.

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52 Dialogo, diàlettica e filosofia in Platone

Per la lettera del suo testo e per le sue implicazioni ideologiche


quest'opera platonica è stata ed è tuttora fra le più discusse e le
meno comprese. Naturalmente non possiamo qui analizzare una
lunga tradizione di interpretazioni e neppure esporre la costru-
zione del lavoro nella sua complessità 8• Vediamo invece diretta-
mente 11 posto che la dialettica occupa nell'educazione del per-
fetto custode (il filosofo che potrà governare al termine del tiro-
cinio dialettico, all'età di cinquant'anni) e il suo compito. Il pre-
supposto diretto, una volta stabilito il principio dei re-filosofi nei
due suoi momenti della necessità e della possibilità (v. 471C sgg.
e VI. 498D sgg.), è la dottrina dell'idea del bene (e della sua
immagine: il sole), " l'oggetto della scienza più alta (~tÉyu:n:ov
~uHhwa) dalla quale la giustizia e le altre virtù traggono utilità
e vantaggio " (VI. 505AB), termine del lungo periplo dell'educa-
zione del filosofo. Dalla relazione tra il Sole e l'idea del Bene di-
scendono altre corrispondenze, che sono state rappresentate sehe-
maticamente così: Ton:oç o(laToç e Ton:oç vo'Y}-r6ç (si badi che nella
forma greca è implicito il doppio aspetto " pensabile " e " pensa-
to ", " visibik ".e " veduto ", il che non è senza significato filo-
sofico), luce e verità, oggetti della vista (colori) e oggetti della
conoscenza (idee), soggetto che vede e soggetto che conosce, or-
gano della vi<>ta (occhio) e organo della conoscenza (voiiç), facoltà
della vista e facoltà della ragione, esercizio della vista ed eser-
cizio della ragione (intendimento, intellezione intuitiva, scienza).
Non sarebbe possibile qui spiegare i singoli termini greci e i
loro corrispondenti italiani. Abbiamo cercato di usare nel testo i
più comuni e più immediatamente comprensibili al fine di chia-
rire Je operazioni della dialettica.
Da quella dottrina dipende la divisione del conoscibile che
Platone espone due volte, nell'allegoria della linea (VI. 509E sgg.)
e nel giustamente celebrato e ripetutamente interpretato mito
della caverna (vn. 514A sgg.). Il conoscibile, è noto, risulta
diviso in un -r6n:oç og(m)ç e in un c6n:oç voYj-r6ç (un mondo o me-
glio un luogo dei visibili, veduto, e un mondo o luogo dei pensa-
bili, pensato); il primo è a sua volta diviso in immagini e cose
viventi, rispettivamente oggetti dell'opinione e della credenza, e
il secondo in intelligibili inferiori c superiori, oggetti della cono-
scenza discorsiva (cioè delle scienze che non possono trascendere
le ipotesi) e della pura intelligenza : " ad essi la ragione perviene

' Una eccezionale esposizione della Repubblica e delle motivazioni del


dialogo socratico-platonico si veda in A. KoYRÉ, Introduzione alla lettura
di Platone, Firenze (ma presso l'Università degli studi di Urbino) 1956.

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La dialettica come " metodo " e come " scienza " 53

a ,mezzo della facoltà dialettica" (511AB), che mira al prin-


cipio, considerando l'ipotesi come tale, cioè come un momento
della sua ascesa.
Ma che cos'è questa facoltà della quale fino a questo punto
non sappiamo altro? Ritroveremo la dialettica una volta com-
piuta l'educazione scientifica del filosofo, una volta percorso il
cammino verso l'alto che porta alla realtà che è (521CD), esau-
rite le scienze dette del preludio: aritmetica, geometria, stereo-
metria, astronomia. Il primo contatto con la dialettica è una de-
terminazione negativa: "Non penserai per caso che siano dia-
lettici coloro che sono versati in queste scienze?! " (531DE).
Platone richiama esplicitamente 'l'attenzione sul nesso della dia-
lettica filosofica come capacità di afferrare l'essenziale concetto
di qualche ·cosa con il vero e proprio domandare e rispondere,
secondo l'antica e nota caratterizzazione del dialogo socratico:
" Ma credi tu che persone incapaci di condurre e sostenere una
discussione (di dare e intendere ragione di una cosa) sapranno
mai qualcosa di ciò che noi riteniamo si debba sapere? " (531E-
532A). Dialogo, esercitazione suile scienze, visione del bene: ec-
co la sinfonia che la dialettica esegue (ivi).
L'individuazione di ciò che dialettica è appare univoca nei
suoi· due momenti: l'intero processo, che abbiamo seguito, è il
metodo, la via dialettica, il solo che ·· superando di volta in
volta 'le ipotesi si innalza fino al principio per assicurarne salda-
mente le conclusioni" (533CE). Ma dialettica è anche l'esercizio
diretto intorno al bene, " questa meravigliosa trascendenza ...
che per dignità e per potenza va molto al di là dell'ente e del-
l'essenza" (509BC). Due momenti, dunque, che costituiscono
un'unicità, una totaJlità, come nel Fedro, come la via in su e la
via in giù, di cui Platone parla ripetutamente facendo coincidere
il movimento speculativo dell'intelligenza (511BC) e l'arco del-
l'educazione del filosofo, che deve ridiscendcre nella caverna
per assicurare la giustizia nello Stato (519C sgg.). Infatti: " Dia-
lettico è colui che mira al fondamento dell'essenza - ma per ciò
che può rcnderne ragione a sé e agli altri " (534BC), c questa la
sua " legge ": " ... dedicarsi soprattutto a quel tipo di educa-
zione che dia la capacità di interrogare e rispondere il più scien-
tificamente possibile " (534DE).

Dialogo, scienze, dialettica - fondamento e fondato, presup-


posto e principio. È un monumento innalzato a Socrate, se è
vero che l'intera costruzione della giustizia e del sapere trova
possibilità e giustificazione nel l'na/,iywitm socratico - è il mas-

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54 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

simo riconoscimento storico e speculativo del pensiero e dell'opera


di un maestro. Resta tuttavia il problema, si badi, della scelta dei
futuri fùosofi, di quei giovani particolarmente dotati di qualità
fisiche, spirituali e mentali (535A sgg.), degni pertanto di essere
ammessi al lunghissimo noviziato. Due nonne rendono possibile
e naturale la scelta: la libertà dell'azione e nell'insegnamento
(536D-537 A) e la capacità sinottica (537BE). Improvvisamente
la costruzione che abbiamo finora portato in luce viene rovesciata,
quell'educazione che nell'esercizio dialettico doveva compiersi,
presuppone altro che non il dialogo e la pratica delle scienze:
" ... presenteremo Loro le scienze che nella giovinezza sono state
insegnate senz'ordine, perché debbono essere condotti alla sinossi
dei reciproci rapporti fra Je scienze e della natura dell'essere ...
e questa è la massima prova della natura dialettica e di quella
che non è tale: il sinottico, infatti, è dialettico, quello che non
lo è, no " (537CD).
Rovesciamento, si è detto; ma non è forse più giusto parlare
di uno spostamento del piano dCilla ricerca o addirittura di un
altro piano? Innanzitutto teniamo ben fermo il nuovo punto di
vista: dialettica assume soltanto qui una sua propria autonomia,
una configurazione speculativa assoluta. Nei testi che ora ab-
biamo esaminato compare, riteniamo, il sostantivo 1'1 ùta/,Exnx~
(534E-535A e 536DE): sono i soli casi della Repubblica e tra
i pochissimi di tutta l'opera platonica della maturità. In quanto
si fonda sulla sinossi, ci è presentata da Platone nel suo attuarsi,
cioè nel suo essere ad un tempo il presupposto, il compito - c
la via che il presupposto apre per accedere all'assoluta trascen-
denza del Bene, e per poterra quindi manifestare. Ancora un..;
volta una relaziorte fra il soggetto e l'oggetto della costruzione:
dialettica della sinossi è nelle soggettive possibilità del filosofo
analoga all'idea del Bene nella oggettiva struttura della Città-sta-
to pensata. Sinossi e idea del Bene vengono a trovarsi in un rap-
porto reciproco di condizione e conseguenza.
Non c'è, allon, propriamente, un rovesciamento, ma anzi un
approfondimento. La nuova figura della dialettica, infatti, era
pur stata prcannunciata: ricordiamo l'azione momentanea dell'in-
tellezione dell'anh11a (intuizione) nel suo procedere (dialettico)
nella verità: " Quando l'anima si fissa là dove brilla la verità
e ciò che è, essa d'un tratto intende e conosce e appare in pos-
sesso del voiiç (508DE) 9 ; ricordiamo nel testo sulla "linea"
quella capacità dialettica che ci permette di cogliere la superiore
9 PASQUALI, Le lettere di Pl., cit., pp. 91-92, che spiega bene, in ana-

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Dialettica e politica dopo la Repubblica 55

sezione dell'intelligibile (511 BC) e, più avanti, la risposta di ·so-


era te a Glaucone che pretendeva di sapere quale fosse la natura
della dialettica, quali le sue specie e vie (di ascoltare insomma
l'intera " sinfonia " non soltanto il " preludio " - le scienze):
" Non potresti seguirmi, mio caro, nonostante la mia buona vo-
lontà; tu allora vedresti non l'immagine del bene, bensì il vero
in se stesso, almeno come· a me pare. Se è realmente così o no,
non è questo il momento di dimostrarlo... La facoltà dialettica
sola può manifestarlo a chi sia esperto nelle discipline ora esposte
- in nessun. altro modo è possibile" (533AB). Nel suo ultimo
risultato, dunque, in quanto essa ha nella sinossi e nella ecce-
zionalità del suo oggetto la propria motivazione, la dialettica
della Repubblica è ad un tempo dialogo e sinossi, presupposto
e compito - e la via, il metodo, che ne stabilisce la relazione.

3.5. Dialettica e politica dopo la Repubblica


Per concludere vorremmo spingere più a fondo l'interpre-
tazione e poter indicare alcune conseguenze che l'analisi del
concetto di dialettica nella Repubblica porta immediatamente con
sé. Se la dialettica nelle sue parti e nel suo intero, nel movimento
della sua azione, insomma, è da intendersi come ~ stata or ora
descritta, allora quel riconoscimento (storico) della filosofia di
Socrate (il ~tuì.Éyecn'hu come " presupposto " della dialettica e
accesso ad essa) - quel monumento di cui abbiamo detto - ne
rappresenta anche la negazione. In quanto Platone restituisce So-
crate alla storia, e alla sua storia, se ne allontana definitivamen-
te; in quanto ricerca e fonda nel &tar.Éyw·3-cu le possibilità del
filosofare (che nella Repubblica è ancora filo-sofia), Platone parla
da un punto di vista più alto, il punto di vista del sistema, chiuso
nelJa sfera di una raggiunta sofia. Il sistema, il sapere è qui una
idealità nella quale, non dimentichiamolo, la costruzione della
filosofia coincide con la fondazione dello Stato.
Possiamo comprendere, allora, come e perché la dialettica-
sinossi altro non sia che quel sapere, la superiore scienza del
pensabile, del Bene - la coscienza del sofo alla quale, lo si è
visto, si richiamerà il Fedro. La configurazione, l'azione di Pla-
tone è pienamente giustificata. La prassi del awHyE0"3-UL per

logia con Lettera VII, 344BD, l'uso dei tempi, l'azione indicata e la natu-
ra di questo tipo di conoscenza.

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56 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

potersi manifestare c attuare richiede l'unità della coscienza co-


mune, cioè il fatto del riconoscimento da parte dell'individuo
dell'altro individuo, e da parte di tutti dei vaJ.ori oggettivi della
Città. Ma l'epoca di crisi, di lacerazione delle coscienze nella
quale vive Platone non lo consente, l'unità, non riconosciuta, è
stata nella città ingiusta definitivamente spezzata perché Socrate
è stato ucciso. Non c'è posto per il tìtaì.Éyw-&at, esso non può va-
lere in assoluto se non nella Città giusta, nella Repubblica plato-
nica, quando sarà " per noi e per voi una realtà e non un sogno "
(520CD). Per ora, nella Città pensata, che progetta le condi-
zioni della sua esistenza e indica le tappe del tirocinio dei filo-
sofi-governanti, il l'ìr.aMyr.~t'tm non può che trovare la sua ragio-
ne ontologica nel principio stesso della Città, il Bene - non
può che farsi dialettica, scienza-sinossi, che nel Bene ha il suo
oggetto e il suo principio.
L'unità-dualità di 1'ìtaMyw1'l'm-dialettica diviene chiaramente
comprensibile e giustifica l'affermazione che il riconoscimento
del filosofare socratico porta in se stesso, in Platone, la sua ne-
gazione. Ma così Socrate è ricondotto da Platone a quella storia
che gli è propria, una storia che solo per astrazione è racchiusa
nelle vicende della dialettica, perché essa è in realtà, di fatto,
la storia delle città, dell'operare degli uomini.

L'esposizione della dialettica platonica potrebbe trovare qui


la sua conclusione; l'affermazione non deve suonare paradossale:
con la Repubblica e il Fedro abbiamo già percorso, infatti, le
posizioni più alte dell'evòluzione platonica, nel senso almeno che
i grandi dialoghi successivi, le esercitazioni e sistemazioni dialet-
tiche del Parmenide, Teeteto, Sofista e Politico, sono, limitata-
mente a quanto riguarda il concetto di dialettica, in gran parte
anticipati nei risultati precedenti. Certo, c'è ancora uno svolgi-
mento, e importantissimo, nel pensiero di Platone, ma in quanto
esso non è decisamente e direttamente investito da quella luce, in
quanto se ne rende indipendente, le figure della dialettica coinci-
dono con l'intero della filosofia platonica, con il cosiddetto si-
stema delle idee o forme. Se le idee esistano come realtà a sé,
separata: XÙ>QLç (Parm. 130BC, per es.), quali relazioni intercor-
rano fra le cose e le idee e quale sia l'interna comunanza del-
l'essenza e delle forme (xOlvcl)vla: cfr. Sof. 250-257), questo è il
problema che Platone pone a sé e al lettore come problema spe-
culativo c aperta _questione storica. La novità della ricerca pla-
tonica consiste appunto nel lasciare un margine notevole al di-
battito storico, con l'eleatismo parmenideo e zenoniano, con il

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Dialettica e politica dopo la Repubblica 57

socratismo e l'eleatismo della scuola di Megara, forse con i suoi


stessi scolari. Non ha senso allora seguire taJi interpretazioni e
costruzioni; esse non appartengono alla presente storia, giusto il
principio, fatto fino ad ora valere, di individuare il concetto della
dialettica nei suoi momenti di distinzione dalla filosofia, di deter-
minarne il posto e il compito nel sistema, di coglierne insomma di
volta in volta la genesi, rendendosi conto del perché della sua
continua crisi. Il resto, il momento dell'identità, della sistemazio-
ne concettuale il Jettore può trovare in un buon manuale di sto-
ria della filosofia o in particolari monografie.
Tuttavia è. bene fissare qualche punto dell'ultima fase della
ricerca platonica che .può indirettan1ente iLluminare e approfon-
dire il precedente dibattito. Il tema è esposto con forza in un
passo del Parmenide: se si nega l'esistenza alle forme degli es-
seri, se non si pongono forme definite, se non si accetta che tali
forme debbono mantenere eterna identità con se stesse, " allora
va perduta del tutto ogni possibilità della dialettica " (135CD) 10•
Che cosa Platone ora per dialettica intenda, al di là della con-
tingente polemica svolta nel Parmenide, è detto nel Sofista, che
ha a suo oggetto le forme nella loro connessione (cfr. per es.
257AB, 250BC): il discorso è possibile per noi solo se c'è reci-
proca connessione delle forme; se rimanessero estranee l'una
all'altra come potremmo parlarne? (251 DE). Non è difficile scor-
gere la trasposizione, sul più alto piano del movimento meramen-
te concettuale, del rapporto ~HaÌ,ÉyEcn'tm-dialettica, che abbiamo
sempre tenuto in luce, e, quindi, di uno dei risultati della Re-
pubblica. Se poi analizziamo la nuova forma della dialettica come
è esposta dal Sofista, quell'azione è ancora più evidente: " Di-
videre per generi e la stessa forma non ritenerla per una diversa
né una diversa per la stessa, non diremo questa l'opera della
scienza dialetticà?" (253DE): una scienza ed una capacità straor-
dinarie, poter vedere una forma unica spiegata in una pluralità
di forme tra loro distinte, differenti, e a loro volta dall'esterno
racchiuse in una fonna sola. Che nome dare a questo altissimo

10 Com'è noto Hegel definì il Purmenide " il più celebre capolavoro


della dialettica platonica" (Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. Fi-
renze 1932, vol. 11, p. 212). Ma .l'affermazione è difficile da sostenere. La
dialettica del Parmenide è in realtà quella di Zenone: essa consiste nel-
l'ottenere otto conclusioni tra loro contraddittorie, relative all'uno e al
molteplice, poste le due premesse della realtà e dell'irrealtà dell'uno. Tra
i dialoghi platonici il Parmcnide è forse quello. pitl variamente interpreta·
· to e tormentato dalla cl'itica. Si veda il cap.: Il " Parmenide " platonico,
in G. CALOGERO, Studi su/l'eleatismo, Roma 1932.

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58 Dialogo, diakttka e filosofia in Platont

esercizio, si è chiesto poco prima Platone? " Forse senza saperlo


ci siamo imbattuti nella scienza degli uomini liberi? " E così
abbiamo scoperto il filosofo e la filosofia, perché di quelle ope-
razioni sarà capace unicamente " colui che lìlosofa con purezza
e giustizia" (253C~254A). Non c'è bisogno di ricordare i·l Fedro
e la Repubblica, ma va tuttavia sottolineato che della Repubblica
viene ripreso qui il motivo più alto e più complesso, la scelta
e la educazione del filosofo-dialettico, accettato semplicemente
come un presupposto: il tema dialettica e libertà.

Si deve ancora registrare, nel Politico, un impressionante


ritorno socratico, non uno scarto nell'evoluzione, ma una nuova
dimostrazione della continua presenza dei due phmi attraverso i
quali si articola il concetto di dialettica. Nella digressione sulla
"giusta misura " (283B sgg.), per altro pienamente giustificata
all'interno della definizione del politico mediante il paradigma
della tessitura, il Òt(l},~yEm'hu ricompare, non casualmente, non
come mero ricordo o notazione esterna aHa costruzione del dia-
logo (come può sembrare in d'.le celebri passi del Teeteto e del
Sofista: il pensiero come discorso, come dialogo, che l'anima
tiene silenziosamente con se stessa - cfr. rispettivamente 189E-
190A e 263 E-264A), bensì nella sua originaria e forte apertura
e disponibilità, una volta di più una crisi, ma ora all'interno della
ben consolidata c presupposta dottrina delle forme.
L'arte della misura, che si applica a tutto ciò che diviene
(285AB), può dar ragione anche dei nostri discorsi: se sono
troppo brevi o troppo lunghi, " non ne valuteremo le dimensioni
nel loro reciproco rapporto, ma secondo quella sezione dell'arte
della misura che prima abbiamo detto doversi tenere a mente,
cioè la convenienza ... Quanto alla soluzione del problema posto,
poterlo scoprire nel modo più facile e più breve, è secondario,
non di prima importanza, come la ragione ci insegna, prescri-
vendoci di onorare invece assai di più e innanzi tutto quel me-
todo che rende capaci di distinguere secondo specie, e così col-
tivare quel discorso, anche se sia lunghissimo a tenersi, che
rende più inventivo colui che l'ascolta, e non crucciarsi punto
per la lunghezza, c così neanche se è troppo breve... Colui che
biasima la lunghezza dei discorsi di questi convegni c non ac-
cetta i giri delle digressioni, non conviene affatto !asciarlo in
libertà presto né subito appena ha biasimato il discorso come
lungo, ma ritenere che egli sia in obbligo di mostrare che, se
fosse stato più breve, avrebbe reso gli uditori più dialettici c atti
a trovare col ragionamento la verità delle cose ... " (286D-287B).

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Dialettica e politica dopo la Repubblica 59

La lunga citazione è giustificata, se è vero che dobbiamo intra-


vedere in essa un'altra relazione, quella di lìtaì.ÉyEm'}m e Myo;,
che abbiamo tradotto una volta con " ragione " e la successiva
con "ragionamento"; un Myoç, che è poi la ricerca stessa, e
il suo metodo, "che insegna a dividere per specie"; esso nien-
t'altro è che la norma stessa, il nuovo canone del tìtaÀéyw-&m e
di coloro che vi si esercitano.

Se riteniamo dì aver così esaurito ndle sue linee essenziali la


nostra descrizione (ma vorremmo dire: 'rassegna) de1le forme
della dialettica platonica, tuttavia non possiamo separare-i da Pla-
tone se non indicando ancora un'antinomia, se non ponendo noi
e illettorc di fronte ad un'ulteriore interrogazione: il lìwÀéyca-&m,
è vero, ha ben presto scoperto in sé la necessità di una norma,
di un principio - il Politico è soltanto la conclusione di una
lunga storia -la dialettica può ripresentarsi come lìtaì.éyEa-frcu ma
l'equazione tìtaÀiyEaflm = dialettica non è reversibile. La Repub-
blica lo ha dimostrato e la pagina ora citata del Politico lo con-
ferma. Ma nella stessa pagina leggiamo: " (Lo straniero) : E che
ne è allora della nostra ricerca intorno al politico? t:. stata pro-
posta proprio per questo argomento o non piuttosto per diven-
tare intorno ad ogni oggetto migliori dialettici? (Socrate il giova-
ne): Anche questo è evidente, per diventare migliori dialettici
intorno ad ogni oggetto. (Lo straniero): Possiamo ben dirlo,
andare in cerca della definizione della tessitura per amore della
tessitura nessun uomo dì senno vorrebbe farlo... Bisogna dun-
que esercitarsi nel saper dare ragione di ogni cosa e intenderla "
(285D-286B). Precisamente il motivo dal quale avevamo ini-
ziato. Un lungo percorso circolare, una lunga fatica, un lavoro
che non ha fine (le espressioni sono di Platone: ~tax.gà :TE(ltolìoç,
rco],/.ÌJ rcouyJ.lm:du, n:ci!-A:rro/.u ì!gyov, per cui cfr. Fedro 273E-274A,
Repubblica VI. 504BC e VII. 531DE): come vorrebbe aver di-
mostrato l'intero corso della nostra esposizione - se ha colto
l'anima o meglio le anime della dialettica platonica. In parte sarà
consegnata alla storia come la dialettica, in parte ne sarà sol-
tanto una figura, storica ed etema.

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4. Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

4.1. Filosofia e coscienza comune: situazione della filosofia


aristotelica
Riprendiamo contatto con quel primo capitolo del libro I della
Retorica che ci ha chiarito il dibattito nel cuore del v secolo (cfr.
sopra cap. 2.2): " La retorica fa riscontro con la dialettica. L'una
e l'altra, infatti, vertono su questioni che sono in qualche modo
alla portata di tutti, e non richiedono scienza determinata. Tutti
vi partecipano quindi a gradi diversi; è di tutti fino a un certo
punto discutere una tesi e sostenerla, accusare e difendersi. Ma
i più lo fanno a caso, altri per pratica che dipende da un habi··
tus" (1354 a l /7).
Sul significato letterale del testo non ci sono dubbi. Da una
parte retorica e dialettica mantengono lo stesso rapporto con la
scienza: l'insegnamento e la dimostrazione scientifici, infatti, si
fondano su verità necessarie razionalmente valide in ogni tempo
e luogo, mentre le dimostrazioni del<la retorica e della dialettica
riposano su opinioni (verità d'opinione) accolte dalla maggior
parte degli uomini e per lo più (btÌ. -rò JtoÀ:Ù). D'altra parte la reto-
rica è simile alla dialettica perché né l'una né l'altra esigono una
particolare specializzazione: c'è scienza (particolare) solo in quan-
to è determinato il suo oggetto, il genere. Quelle invece apparten-
gono alla sfera dell'opinione, dell'.uomo comune. Quando Ari-
stotele constata che tutti gli uomini si preoccupano o di discu-
tere una tesi (Àoyov ... f:~w:i~av) o di sostenerla (vJt€x.av) parla
della dialettica, quando constata che tutti credono di poter accu-
sare o difendersi, parla dell'eloquenza giudiziaria: ora, a partire
da quest'ultima osservazione (la possibilità di accusare c difen-
dersi a caso o per pratica), se Io scopo è ugualmente raggiunto, sa-
rà sufficiente determinare speculativamente ({h::coe~:i:v) le cause di
questi sùccessi per avere il metodo della ricerca retorica (1354

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Filosofia e coscienza comune 61

a 7 /Il) 1• Ma se questo è il problema nella sua configurazione


esterna, c'è un suo senso che va al di là della posizione .stessa del
problema. Questo rivolgersi, da parte della retorica e della dialet-
tica, a questioni che sono in qualche modo alla portata di tutti,
che non richiedono scienza determinata, vuol significare, da parte
di Aristotele, non già un mero calare la--ricerca nell'empirico, un
far valere il metodo sperimentale, bensì un far scaturire la ricerca
da quel piano dell'esperienza storica, sul quale essa si era in ori-
gine e di fatto manifestata. Questa esperienza è per Aristotele
quella dell'uomo comune. Comprenderla è il compito del filosofo.

Aristotele lavora in un momento di smarrimento della coscien-


za speculativa, ma in un'epoca, si badi, di estrema lacerazione
della coscienza umana. Il mondo della n6À.tç sta alle sue spalle.
L'identità uomo-greco va perdendo il suo senso per essere sosti-
tuita da una più vasta determinazione dell'uomo e da un nuovo
concetto dacché l'uomo deve ora trovare le ragioni del suo essere
e del suo operare al di fuori dell'immediata struttura politica del-
Ia città 2• Più che ad uno smarrimento si assiste alla nientificazione
della coscienza comune, deHa coscienza della città come comu-
nità umana significante: ciò che si era presentato finora come un
fatto storico che poteva soltanto essere riconosciuto o non-ricono-
sciuto dal filosofo, diviene il problema della filosofia, che ne deve
ricostruire la figura per rendere possibile l'intendimento del suo
discorso. Entro tale quadro potremo comprendere perché e come
Aristotele rifiuti - non semplicemente limiti - il concetto platoni-
co di dialettica.
Vediamo le linee di fondo del nuovo punto di vista aristoteli-
co: " La connessione di dialettica e politica è stabilita fin dagli
inizi o quasi. Se non si può parlare di un interesse di Parmenide
per i problemi della città, un tale interess~ è invece perfettamen-
te riscontrabilc in Eraclito ... determina fortemente il pensiero dei
Sofisti e diviene centrale in Socrate e Platone. La dialettica è
chiamata a fondare l'unione dei cittadini sulla comunità dei con-
cetti e in particolare dei concetti giuridici e morali "; " La dia-
lettica aristotelica si pone così in modo del tutto naturale accan-
to alla retorica, mondo del verosimile, delle opinioni tramanda-

.I Cfr.- M. DUFOUR nell'Introduzione a ARISTOTE, Rhétorique, Paris 1960


(ed. Les Belles Lettres). vol. r, pp. 35-37.
2 In generale si vedano i saggi di A. KOJÈVE, 'Tirannide e saggezza (a

cura di N. De Sanctis) e di H. KELSEN, La filosofia di A r. e la politica gre-


co-macedone (a. cura di M. Massi) in "Studi Urbiuati ··, n.s.B., 1969, n. L

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62 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

te o sostenute con l'autorità di un gran nome, del dibattito pub-


blico con i suoi stratagemmi psicologici, botte e risposte, assalti
e finte. Così essa perviene alla politica. Ma non è l'equivalente
della scienza politica di Platone che fondava lo Stato sull'Esse-
re e la scienza politica sull'antologia: ha a che fare con la tecni-
ca dell'azione politica, tecnica· del condizionamento dei cittadi-
ni o dei giudici in vista di un risultato politico immediato. Una
scienza politica aristotelica esiste, ma la terminologia di Aristotele
esige che questa scienza del tutto pratica ma vera non sia dialet-
tica (nel senso aristotelico): essa fa uso della dialettica (sogget-
tiva) allo stesso modo e con la stessa intenzione di tutte le scien-
ze filosofiche, come procedimento cioè di scoperta dei principi e
dei problemi. Una semplice differenza di terminologia fra Aristo-
tele e Platone, ma una differenza decisiva per la storia della paro-
la, che da questo momento in poi indicherà uno strumento (òrga-
non), non una parte della filosofia " 3 ..
Ma la connessione dialettica-politica (ne facciamo qui cenno
come un presupposto che cercheremo di dimostrare) va tenuta in
luce, fatta agire e continuamente scoperta accanto e insieme al-
l'altra: dialettica e dosso grafia, cioè .una delle prime forme della
storia della filosofia e della storiografia in generale.
Infatti, è antica la constatazione che le opere scientifiche di
Aristotele non fanno uso di sillogismi formali e che d'altra parte
egli inizia le sue trattazioni con una storia del problema in ogget-
to. Ci si è appunto domandato: "Che cos'è quella dossografia co-
sì caratteristica del Liceo se non l'applicazione delle regole della
critica (la dialettica dei Topicl) alle premesse storicamente propo-
ste? ... Al contrario dello storico moderno della filosofia, Aristo-
tele non si è mai chiesto che cosa queste tesi significassero per gli
antichi, ma se le loro dottrine erano vere. E non l'ha fatto per
mostrare la propria superiorità oppure il loro essere superate, ma
perché c'è a suo avviso un diverso inizio della ricerca. Ogni in-
segnamento, ogni scienza discorsiva nasce da conoscenze preesi-
stenti " 4• Insomma, la dialettica aristotelica " consente di trarre
dalle tesi presenti nella storia del pensiero ciò che esse contengo-
no di vero e i problemi che implicano, spesso senza enunciarli: si
potrebbe parlare di un dialogo istituito dal filosofo con tutti i
suoi predecessori e contemporanei allo scopo di Jiberare il conte-

3 E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Firen-

ze 1965, pp. 21-22.


4 E. WEIL, La logica nel pensiero aristotelico, in .Filqsofia e politica.
cit., p. 61.

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La " storia della dialettica " secondo Aristotele 63

nuto di verità delle opinioni o universalmente accettate o propo-


ste da un pensatore determinato" 5•
In questa astrazione e limitazione in rapporto a Platone, ma nel
senso, realmente, di uno spostamento del punto di vista nel qua-
le il filosofo si colloca rispetto alla realtà e alla storia, Aristo-
tele ricerca e prova una nuova dimensione del filosofare: il com-
pito della filosofia come dialettica è ora la riconquista del passa-
to, ricerca del senso della tradizione: storia, dialettica e politica
si trovano allora connesse in una delle prime sistemazioni del
filosofare.

4.2. La " storia della dialettica " secondo Aristotele


Per esporre il problenia della dialettica in Aristotele è neces-
sario, quindi, porsi all'interno del procedimento aristotelico, e
chiedersi prima di tutto se e come Aristotele configuri una sto-
ria della dialettica, se e come egli individui dei predecessori nel-
la ricerca.
E quasi un luogo comune iniziare con il capitolo conclusivo
dell'Organon, un passo no~o, di datazione incerta, ma importan-
te sia per le notizie autobiografiche sia soprattutto per 11 suo pre-
supporre in certo modo l'unità delle trattazioni logiche 6•
Dopo aver brevemente riassunto il contenuto del libro, non
resta, dice Aristotele, che richiamare alla memoria il nostro pro-
gramma iniziale, aggiungere qualche parola c far punto (183 a
34/36). Quanto al programma ci interessa in questo momento
la citazione di Socrate e della sofistica, che qui vengono distin-
ti, ma nel senso che viene proposta una certa superiorità della
sofistica sull'atteggiamento socratico. Quella capacità di ragio-
nare in generale a partire da premesse il più possibile probabili
che noi chiamiamo dialettica (183 a 37 /39) deve fondarsi ed
esercitarsi non soltanto nella direzione, socratica, dell'interro-
gazione (183 b7 /8: · Socrate interrogava e non rispondeva, egli
5 E. WEIL, Pensiero dialettico ... , cit., pp. 20-21.

• Cronologia e stato della questione in E. WEIL, La logica nel pensiero


aristotelico, cit., pp. 53-56 e note. Per l'Organon ho tenuto presenti sia
la traduzione francese di J. Tricot, Paris 1946-1950 sia la traduzione ita-
liana di G. Colli, Torino 195'5. Per il testo greco delle opere aristoteliche
ho seguito sia l'edizione Bekker, Berlin 1831 (recentemente ristampata:
di questa edizione è universalmente accolta la numerazione per pagine,
colonne e righe) sia l'edizione nei classici greci di Oxford e nella collezio-
ne Les Belles Lettres (edizioni non complete).

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64 Logica c dialettica, storia e filosofia in Aristotele

ammetteva, infatti, di non sapere), ma anche sulla capacità di


rispondere e di difendere così la propria tesi - come se si cono-
scesse l'oggetto della discussione: questo in virtù della sua vici-
nanza alla sofistica (183 b1 / 6). Non dimentichiamo la definizio-
ne dei Topici, il trattato sulla " dialettica ": " Questo trattato è
utile in tre modi: per l'esercizio, per le conversazioni con l'uo-
mo comune e per le scienze connesse alla filosofia ... in virtù della
sua natura ricercatrice la dialettica ci apre il cammino ai prin-
cipi di tutte le scienze" (I 2. 10la25-b4).
Per dar forza a questa argomentazione e alla sua conclusione,
Aristotele riprende una tesi che ha più volte esposto nel corso
di questo libro, cioè il rapporto della critica e della dialettica:
la critica è una parte della dialettica (8.169b25, cfr. 11.171 b4,
172 a21 e il nostro testo: 34.183 a39); l'argomentazione o il
ragionamento critico si propone l'interrogazione, nella risposta
si limita al sì c al no e agisce in vista non già di colui che sa ma
di colui che non sa c pretende sapere (171 b3/6); nei confronti di
costui l'argomentazione dialettica può provare una falsa conclu-
sione (I 69 b26). Ora, tenuto conto che né l'una né l'altra sono
scienze di un oggetto detcnninato, ma si rivolgono in generale a
qualunque cosa, e considerato che vi sono principi comuni alle
diverse arti e scienze (172 a 28/30, cfr. Anal. post. 1 10. 76 a 37
sgg. e 11.77 a 26 sgg.), possiamo dire che il dialettico considera
e discute tali principi nella loro applicazione all'oggetto del dibat-
tito e il sofista fa la stessa cosa ma solo in apparenza (171 b6/7):
dialettico è colui che critica a mezzo dell'arte sillogistica.
Nella seconda parte del cap. 34, quando Aristotele denuncia
in che consisterebbe la caratteristica del suo studio, " quale av-
venimento costituisca questo nostro scritto " (183 bl6-17), egli
ritorna sull'importanza della sofistica. Riportiamo i passaggi sa-
lienti del testo: il lento progresso che ha investito tutte le arti e
scienze, sia quelle tramandate sia quelle oggetto di un'invenzio-
ne originale, sì che i contemporanei si trovano ad essere gli ere-
di di una lunga tradizione: esemplari i discorsi retorici (183
Q26j27); relativamente alla nostra ricerca non esisteva niente del
tutto (183 b35/36): si potrebbero ricordare i discorsi eristici
e Gorgia, ma in entrambi i casi non l'arte veniva insegnata ma i
risultati, i prodotti dell'arte (184 a 2/3). La ricerca, insomma,
non era stata innalzata al livello della scienza, ma lasciata alla
contingenza empirica e pratica: " .. .intorno alle questioni reto-
riche molto e di antico era stato çletto, sui ragionamenti non c'era
assolutamente nient'altro, e però il lavoro ha richiesto fatica e
molto tempo" (184 a 8/b3).

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La " storia della dialettica " secondo Aristotele 65

Gli elementi più importanti della conclusione, nella quale Ari-


stotele quasi a sottolineare l'importanza di ciò che sta dicendo
ritorna più volte sugli stessi temi, sono due: il parallelo retorica-
dialettica e l'esclusione di Platone da questa storia.

Cominciamo dal secondo elemento e chiediamoci innanzitut-


to se al silenzio che qui avvolge il nome di Platone non contrad-
dica .qualche altro testo aristotelico. È evidente che si pensa su-
bito a quel luogo del primo libro della Metafisica dove Aristotele
espone la distinzione di Platone dai Pitagorici: l'introduzione
delle specie (in sostanza, le forme, le idee) fu possibile per il
suo studio della logica, per il suo metodo delle definizioni: i pre-
decessori non si erano occupati della dialettica (I 6.987 b32/34).
Il passo sembra chiaro: i predecessori o sono i pitagorici o sono
coloro che hanno filosofato prima di Platone in generale, quindi
a Platone spetta la paternità dell'invenzione della dialettica. Si
noti poi che l'espressione aristotelica ~tà T~v Èv Toiç ì..Oyotç .•.
ax.Éljnv è intesa come definizione della dialettica dal commentato-
re Alessandro (a.l., ed. Hayduck, pp. 54, 26/55,4). Ma il proble-
ma non è risolto così, perché viene riproposto in un altro passo
della Metafisica, di redazione posteriore 7 : è la celebre interpre-
tazione di Socrate, che si sarebbe applicato allo studio delle vir-
tù morali e per primo in queste ricerche avrebbe tentato la de-
finizione universale ... : in quel tempo non c'era ancora il vigore
dialettico sì da poter prendere in esame indipendentemente dal-
l'essenza le opinioni contrarie e vedere se dei contrari la scienza
è la stessa (XIII 4. 1078 b17/27). Anche se non è possibile, sul
fondamento di questa testimonianza, asserire che ora Aristotele
vede in Socrate l'inventore della dialettica, anche se qui Aristote-
le parla, forse 8 , con una certa ironia e fa uso dell'espressione
vigore dialettico e del termine dialettica con un senso poco favo-
7 Per il problema della composizione e della datazione della Metafisica

mi attengo a W. W. lAEGER, Aristotele, trad. it., Firenze 19472; P. AuBEN-


QUE, Le problème de l'eire cltez Aristote, Paris 1952 (con bibliografia) e
E. WEIL, Quelques remarques sur le sens et l'intelllion de la Métaphysi-
que d'Aristate, in <<Studi Urbinati ~. n.s.B, 1967, nn. 1-2, t. n.
' ~ la tesi di D. Ross nella sua edizione della Metafisica, Oxford 1958,
vol. I, p. 173. A proposito dell'intendimento di dialettica in Aristotele
l'uso dell'espressione tecnica [ ay.é~~ç àv -rotç Mro~ç] è attestata da Ales-
sandro d'Afrodisia. Ross indica. altri due luoghi della Metafisica dove la
trattazione platonica degli universali come sostanze è caratterizzata in ter-
mini analoghi (xii, l. 1069a26 e xm 8. 1084b23). D'altra parte i platonici
sono chiamati ot h -.olç ì.oyo-~ç in IX 8. 1050b36. Inoltre, la frase usata
sembra abbastanza chiaramente una reminiscenza del Pedone (lOOAB):
-ròv tv -rotç À6yo ~,. oxor.oup.svov 't~ 5nct, cioè Sperate che studia le cose

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66 Logica c dialettica, storia e filosofia in Aristotele

revole, resta il fatto che egli intende così affermare che già ai
tempi di Socrate la dialettica esisteva sia pure in una fom1a non
adeguata. L'affermazione è coerente con quanto abbiamo visto
sopra discutendo il capitolo conclusivo dei Topici, ma lascia aper-
ta però la questione dei rapporti fra Socrate e i Sofisti, determi-
nati solo in quel capitolo, dove anziché situare Socrate semplice-
mente·· nel prolungamento della Sofistica, a noi sembra che Ari-
stotele circoscriva l'azione socratica a vantaggio proprio della
Sofistica, la quale avrebbe coltivato di fatto la dialettica, mentre
il vigore dialettico di Socrate si sarebbe limitato all'esercitazione
critica. Ma fra i due passi della Metafisica, se si guarda a fondo,
la contraddizione è più apparente che reale. Infatti, stando ai
risultati della critica evolutiva Aristotele scrive Metaph. I, 6 in un
periodo in cui tende ad esagerare l'originalità del pensiero del
maestro ed esprime quindi un giudizio sul quale più tardi sarebbe
·ritornato - e questo potrebbe spiegare la coincidenza del secondo
passo con la conclusione dei Topici, dove il giudizio è più me-
ditato perché viene formulato in un momento in cui Aristotele
si accinge a ·rivendicare la completa originalità della pro-
pria ricerca.

Ma la storia della dialettica rintracciabile nei testi di Aristo-


tele ha almeno un altro capitolo. Esso ci chiarirà l'altro elemen-
to della conclusione dci Topici, il parallelo retorica-dialettica. È
noto, infatti, che nel giovanile Sofista, secondo un frammento ri-
ferito da Diogene Laerzio e Se.<>to Empirico, Aristotele afferma
che Empedocle è stato l'iniziatore della retorica, Zenone della
dialettica - "e questo è senza alcun dubbio sostanzialmente ve-
ro, sebbene gli inizi, almeno, di questo metodo dell'argomenta-
zione siano stati contemporanei alla fondazione della scuola di
Elea" 9• La citazione di Zenone non va, dunque, sopravvaluta-
ta e il suo valore storico è solo molto relativo. Riferisce infatti
Sesto: " Non sembrerebbe che Parmenide fosse del tutto ignaro
dell'arte dialettica, se Aristotele pensa che. il suo discepolo Ze-
none ne sia stato l'iniziatore ", c poco prima: " Aristotele dice

col metodo della definizione e lo descrive. Aristotele discute la dialettica


platonica e la . presenta col linguaggio platonico stesso.
9 J. BURNET, L'aurore de la philosophie grecque, trad. frane. Paris.
1952, p. 359. Poi cfr. Aristotelis Fragmenta se/ecta, ed. Ross, Oxford 1957,
p. 15 e D!ELS-KRANZ, Fragmente der Vorsokratiker (ed. 1954), 29A10 e
31 Al9. L'intera questione (quindi anche l'attribuzione a Zenone dell'in-
venzione del dialogo) v. in Zenone. Testimonianze e frammenti, a cura di
M. Untersteiner, Firenze 1963, pp. 7-10 e 62-64.

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La " storia della dialettica " secondo Aristotele 67

che Empedocle ha per primo dato inizio aJia retorica ". È molto
più importante a nostro avviso e più ricca di conseguenze non la
semplice testimonianza su Zenone, ma l'intero contesto, cioè l'ac-
costamento Empedocle-Zenone e quindi il parallelismo retorica-
dialettica (un caso tipico di interpretazione aristotelica, che farà
scuola: Aristotele collocherà se stesso all'interno, e al limite, di
una tradizione, della quale egli è ad un tempo la radice e un ra-
mo, l'iniziatore e un momento dell'evoluzione).
Con la sua citazione zenoniana Aristotele intende dire che
Zenone ha creato la cosa, non il nome, e questa è la constatazio-
ne di un fatto, se è vero che retorica e dialettica sono le sole ar-
ti che hanno la possibilità di dedurre i contrari: l'eleatico accet-
tava, infatti, le tesi dell'avversario, ma deduceva conclusioni op-
poste a mezzo di una serie di passaggi. L'individuazione aristote-
lica sorprende: Aristotele dovette ben presto (forse già all'epo-
ca del suo discepolato presso Platone) aver chiaro il movimento
della critica alla dialettica platonica. e quindi le linee del suo
piano. Abbiamo già letto testimonianze diverse, da quella di lso-
crate a quella di Elio Aristide (cfr. sopra cap. 2.2.). Se poi voles-
simo addirittura tener conto che da una parte Zenone, secondo
Diogene Laerzio (m, 48), sarebbe stato anche il primo scrittore
di dialoghi e che, dall'altra, l'attribuzione aristotelica della sco-
perta della retorica a Empedocle non può che essere posta in
relazione con l'attività politica di questi 10 , ci è già possibile scor-
gere, sia pure dall'esterno e indirettamente, quelle connessioni
di dialettica, storia e politica nell'ambito della retorica che noi
crediamo appunto di poter mettere in .·luce interrogando o solle-
citando i testi aristotelici.
Ritornando ad essi chiediamoci: qual è, alla fine, il senso ul-
timo del frammento del giovanile Sofìsta? L'accostamento che vi
compare di Zenone ed Empedocle, di retorica e dialettica, è sol-
tanto la prima di una serie di testimonianze aristoteliche che ci
è dato incontrare nella tradizione dossografica antica. Non può
essere un caso, infatti, che Diogene Laerzio scriva, proprio all'ini-
zio del libro dedicato ad Aristotele: " Insegnava ai discepoli ad
esercitarsi su un tema determinato e insieme li allenava ai dibat-
titi oratori " (v l ,3).
Come è stato giustamente sottolineato, Aristotele avrebbe con-
dotto innanzi di pari passo la formazione dialettica e quella orato-
ria dei suoi scolari 11 • Ma è ancora più importante ritornare al te-

10 J. BURNET, L'aurore ... , cit., p. 236.


11 E. WEIL, La logica nel pensiero aristotelico, cit., p. 62, nota 21.

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68 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

sto del capitolo conclusivo dell'Organon, dove a chiare lettere si


viene a sapere che le ricerche sulla retorica avevano preceduto
quelle sulla dialettica e sulla logica in generale. Ricordiamo: in-
torno alle questioni retoriche molto e di antico era stato detto,
ma sui ragionamenti non c'era assolutamente nient'altro, e però
il lavoro ha richiesto fatica e molto tempo (184 a 8fb3). Una no-
tizia autobiografica di grande valore. Essa non contraddice all'af-
fermazione contenuta nel frammento giovanile e la giustifica in
quanto la cosa è in quel punto in questione, non il nome. Ma ad
un tempo ci indica che una tradizione aristotelica, cioè promossa
da Aristotele stesso, si è inserita ed è stata conservata nella tra-
dizione dossografica: un caso nel quale la dosso grafia sembra
confermare il piano di un'evoluzione che proprio Aristotele ave-
va configurato.

4.3. Il rapporto sofistica, dialettica e filosofia (Retorica e


Metafisica)
Ritorniamo all'introduzione (cap. I) della Retorica. Ne abbia-
mo messo in luce il presupposto, l'analogia o meglio il contrap-
punto retorica-dialettica. Subito dopo, com'è noto, affermata la
possibilità e la funzione di una techne, e la necessità delle argo-
mentazioni (solo le prove, le argomentazioni, infatti, sono tecni-
che, tutto il resto è secondario- 1354 a 13/14), Aristotele ri-
vendica ancora una volta, come alla fine dcll'Organon, rorigina-
lità della sua ricerca: " Coloro che non ci dicono nulla intorno
agli entimemi (gli autori delle tecniche dei discorsi) dedicano la
maggiÒr parte dci loro trattati a questioni esterne all'oggetto..,
(1354 a 14 l 16). La dichiarazione va sottolineata, tenendo so-
prattutto presente che viene ripresa (" Se le cose stanno così, è
chiaro che gli autori di tecniche si occupano di questioni esterne,
mentre definiscono tutto il resto ... "- 1354 b16/18) dopo la cri-
tica dei predecessori, che coltivarono quasi esclusivamente l'elo-
quenza giudiziaria; e come conclusione nuovamente il rapporto
retorica-dialettica (1355 a 6 sgg.). _
Non ci deve meravigliare questa insistenza né il silenzio di
Aristotele sui precedenti. Egli è consapevole di una scoperta che
ha spostato il punto di vista della ricerca e della filosofia: " ...bi-
sogna poter persuadere del contrario di una tesi come nei ragio-
namenti dialettici... delle altre arti nessuna deduce i contrari ... "
(1355 a 29 sgg.); poi si passa dall'oggetto alla funzione: " Che,

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Il rapporto sofistica, dialettica e filosofia 69

dunque, la retorica non appartenga a un genere determinato ...


e che sia utile, è chiaro, e inoltre la sua particolare funzione non
è persuadere, ma individuare i mezzi della persuasione relativi
ad ogni oggetto ... " (1355 b7 sgg.), affermazione che ci riporta
alle prime righe ael primo capitolo ("L'una e l'altra vcrtono su
questioni che sono in qualche modo alla portata di tutti e non
richiedono scienza determinata") dopo un'ampia argomentazio-
ne. Ma la ripetizione e la conclusione non sono casuali (cfr. so-
pra 2.2 e qui 4.2, all'inizio).
Ora Aristotele, determinata l'autonomia della retorica, può
configurarla sistematicamente. " È chiaro, inoltre, che ila retorica
individua il persuasivo e il persuasivo apparente come la dialet-
tica il sillogismo e quello apparente. La sofistica, infatti, non sta
nella facoltà, ma nell'intenzione; però si sarà retore o per scien-
za o per intenzione; invece, sofista per intenzione e dialettico poi
non per l'inten~ione ma per la facoltà" (1355 bl5/21): per in-
tenzione (nqoa((>wu;) si deve intendere l'atteggiamento con il qua-
le si affronta l'oggetto, la scelta, il tenore del genere di vita, e
Mvfffllç, che abbiamo reso con facoltà, indica quell'arte che si
perfeziona e si compie nella pratica.
Aristotele intende inserire la dialettica nella partizione de-lla
scienza o almeno tenta una partizione provvisoria, alla quale egli
è costretto per due motivi: il primo è pienamente manifesto e
corrisponde all'esigenza di rendere esplicita c definire la posizio-
ne nei confronti della sofistica, cui si è riferito indirettamente in
precedenza e della quale abbiamo diffusamente parlato; mentre
il secondo motivo risponderà alla necessità, esplicita solo nella
Metafisica, di istituire un rapporto fra la dialettica e la filosofia:
Aristotele cercherà di chiarire a se stesso l'oggetto e la natura di
quella scienza ricercata, scienza oggetto della ricerca, che coinci-
de di fatto con la ricerca esposta nei libri metafisici, ma che non
sempre e non univocamentc coincide con la filosofia (scienza del-
le cause, dei primi fondamenti, scienza dell'essere in quanto ta-
le, filosofia prima) 12•
Questo momento va per ora appena accennato; vediamo come
si pone il rapporto dialettica-filosofia (scienza) a partire dal te-
sto stesso della retorica. l risultati di un'attenta lettura possono
essere questi: la sofistica viene a cadere nell'orizzonte degli in-
teressi della retorica in forza di quell'intenzione che ha un suo

" Questi problemi possono essere qui solo accennati. Cfr. sopra nota
8 e v. anche L. LUGARINI, Aristotele e l'idea della filosofia, Firenze 1961.

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70 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

compito preciso nella retorica stessa. La sofistica non si fonda


su1la facoltà, dice Aristotele, ma sull'intenzione. D'altra parte,
nella retorica concorrono ugualmente l'intenzione e la scienza.
Ma che cos'è scienza, qui, se non la facoltà, che la retorica si
trova ad avere allora in comune con la dialettica? Alla dialetti-
ca partecipa, dunque, indirettamente la sofistica e direttamente
la retorica. La costruzione, che sembra chiudere il circolo di re-
torica-sofistica-dialettica tra l'intenzione e la facoltà, avviene, non
dimentichiamolo, su~ piano della retorica, che abbiamo chiama-
to piano della coscienza comune, nel senso del compito indivi-
duato dal filosofo per rendere intelligibile e comunicabile il pro-
prio intervento, il proprio discorso. All'interno di questa costru-
zione sofistica e dialettica mantengono, tuttavia, una posizione
particolare che ci porta al di là dell'orizzonte della retorica: in-
fatti, per quanto riguarda la dialettica non possiamo sapere, stan-
do a questo testo, che cosa sia Mva~w;, e d'altronde la sofistica,
in forza dell'intenzione, ripropone sempre il suo sfuggire nell'om-
bra del nulla ( Plat., Soph. 254AB, cfr. 237 A sgg.).

Il momento negativo, platoniCo, della sofistica è messo a fuo-


co nella Metafisica. Aristotele sta dimostrando che non c'è scien-
za degli attributi dell'essere, dell'essere per accidente, e dice:
" ... l'accidente è infatti soltanto una specie di nome. Platone,
dunque, non ebbe torto di collocare la sofistica nella sfera del
non-essere" (VI. 2.1026 bl3/ 15). Con una terminologia appena
mutata questo apprezzamento della sofistica si ritrova in un al-
tro passo della Metafisica (Iv. 2.1004 b 17 /26), dove si rende an-
che ragione di quella lluva~tlç di cui abbiamo discorso e, per l'uni-
ca volta nell'opera metafisica, dialettica e filosofia vengono e ri-
sultano poste in relazione: " .. .i dialettici e i sofisti si mostrano nel-
la figura del filosofo (la sofistica, infatti, è sapienza soltanto appa-
rente c così i dialettici), disputano di tutto, c l'essere è comune a
tutte le cose. ~ chiaro che discutono di tutto per ciò che questi
sono gli oggetti propri della filosofia. Sofistica e dialettica si ag-
girano, infatti, intorno allo stesso genere di realtà della filosofia,
ma la filosofia si distingue dalla dialettica per la natura della fa-
coltà (n!} -rq6rr(p -rljç ()uvaJlHùç) e dalla sofistica per il tenore di vi-
ta (-roil ptou •n n:goatQÉO'Et). La dialettica è peirastica intorno a
ciò che la filosofia conosce (yvroqtanxi]); la sofistica, invece, è ap-
parente, non ha realtà (rpmvo~tÉ\'11, oùcra ()' ov)".
Vediamo di spiegare letteralmente il testo, che ha già trova-
to, ovviamente, autorevoli commentatori a cominciare dagli an-
tichi; per ciò che concerne la Metafisica seguiremo, infatti, Ales-

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n rapporto sofistica, dialettica e filosofia 71

sandro che mostra di essere, com'è naturale (e· la cosa non an-
drebbe mai sottovalutata), più disinteressato di noi e più vicino
alla problematica aristotelica (cfr. ed. Hayduck, 259, 24 sgg. -
260, 22 sgg.). Da un confronto immediato dei due passi, della
Retorica e della Metafisica, ci si accorge subito che la retorica
è scomparsa dalle relazioni che la M eta fisica istituisce. La scom-
parsa è però solo apparente. Nella Retorica il sistema sofistica,.
retorica-dialettica è retto dalle due costanti dell'intenzione e del-
la facoltà, con la conseguenza che sofistica e retorica vengono
assimilate in forza dell'intenzione e retorica e dialettica a parti-
re dalla facoltà, scienza. Ora, è proprio questo rapporto, questo
concetto della dialettica che comprende in sé la retorica (così co-
me, d'altra parte, si è visto, la retorica mantiene un rapporto con
la sofistica e la innalza al piano della considerazione filosofica)
e la giustifica, la figura stessa della dialettica presente nella Me-
tafisica.
Qui, però, il sistema appare costruito secondo una prospetti-
va diversa: ,sofistica-dialettica-filosofia trovano la ragione del lo-
ro essere in rapporto nell'identità dell'oggetto (" sofistica e dia-
lettica si aggirano intorno allo stesso genere di realtà della filoso-
fia ", cioè " l'essere che è comune a tutte le cose "), ma i due
clementi, intenzione e facoltà, entrano ugualmente in gioco: la
dialettica e la filosofia si distinguono per la facoltà, e hanno quin-
di l'intenzione in comune (quella che Bonitz chiama disputandi
facultas), per cui la dialettica è peirastìca e la filosofia conosci-
tiva; la sofistica e la filosofia si distinguono per l'intenzione: la
sofistica è una specie di arte (XQlHtutwnxrJ) e il sofista un uomo
che trae profitto da una saggezza apparente e non reale (cfr. El.
Soph. 1.165 a 21/23 e 11.17 l b27/29) e a maggior ragione per
la facoltà: la sofistica, infatti, è una saggezza apparente, essa
stessa· non ha realtà anche se si aggira intorno all'essere. Ora, dal
momento che l'intenzione porta la dialettica nei pressi della filo-
sofia e la facoltà conoscitiva della filosofia colloca la dialettica in
un ambito diverso, non rimane che avanzare_ l'ipotesi che quanto
all'uso della facoltà dialettica e sofistica abbiano qualcosa in co-
mune - un risultato che il testo della Retorica escludeva.
Queste, allora, le conclusioni: la sofistica è ancora una volta
riacquistata al movimento della speculazione per la sua paren-
tela con la dialettica e la dialettica innalzata in dignità per la sua
vicinanza alla filosofia; inoltre, anche qui non c'è soppressione
o assimilazione di una di queste tre figure dcl sapere da parte di
un'altra: ciascuna di esse mantiene la propria autonomia e de-
terminatezza. Stando alla Retorica, secondo il metodo, anche il

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72 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristo<ele

sofista può essere un dialettico, ma se ne distanzia nettamente a


mezzo dell'intenzione, la quale nel dialettico mira aJla cosa, men-
tre nel sofista ha a che fare solo con una parvenza di verità. La si-
tuazione verrebbe ad essere capovolta nella Metafisica, dove l'ar-
gomentazione si fonderebbe sulla distinzione di realtà (essere) e
apparenza: la dialettica si contrappone così alla sofistica, collo-
candosi dalla parte della filosofia, ma da questa si distingue per il
metodo, che invece l'avvicina senz'altro alla sofistica. "Con una
affermazione più rigorosa potremmo azzardare di dire così: la
posizione intermedia propria della dialettica si dimostra a parti-
re dal suo metodo che la pone in prossimità della sofistica e dal-
la sua intenzione che essa ha in comune col filosofo" 13 • È un'in-
terpretazione chiarificatrice, ma non possiamo accettare la vec-
chia tesi, che sembra qui riaffacciarsi, di una dialettica come phi-
losophia minor, "metodo", rispetto ai quali la filosofia sola è
la scienza, episteme. La dialettica, lo si è già visto, è altro.

4.4. Dialettica e ontologia (T o p ici)


Vediamo di approfondire e di spiegarci alcune difficoltà del
testo aristotelico. Teniamo presenti ,le due affermazioni dei To-
pici: " Sino a che si tratta di mettere in luce il luogo, la ricerca
è comune al filosofo e al dialettico, mentre il successivo ordina-
mento c il porre domande è il compito proprio del dialettico "
(VIII 1.155 b7/10). Ma d'altra parte topica e antologia "non
sono che due aspetti della stessa realtà", come lascia capire Ari-
stotele stesso in un capitolo degli Elenchi sofìstici: " Quanto al
numero dei luoghi da cui dipendono le confutazioni, non biso-
gna cercare di stabilirli senza la scienza di tutte le cose. Ma que-
sto non è di alcuna disciplina. Infinite, infatti, sono le scienze,
sicché è chiaro che lo sono anche le dimostrazioni " (9 .170 a
20/23). Aristotele continua e spiega che ogni scienza particolare
(la geometria, la medicina per esempio) possiede le sue dimostra-
zioni, vere e false, e quindi le sue confutazioni, vere e false, le
une e le altre in numero infinito. " È chiaro, dunque, che non di
tutte le confutazioni, ma soltanto di quelle che dipendono dalla
dialettica, sono da detenninare i luoghi: questi ultimi, infatti,
sono comuni ad ogni arte e capacità" (170 a 34/36). In altri

13 P. WrLPERT, Aristoteles und die Dialektik, in « Kant-Studien », 48,


1956-57, pp. 252-3.

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Dialettica e antologia 73

termini, sempre secondo il testo aristotelico, è il tecnico, lo scien-


ziato (ÈmcrTr]~tw,•) che deve giudicare se l'argomentazione rela-
tiva alla scienza di cui si occupa è apparente o reale e perché,
mentre l'esame di quelle confutazioni che riguard~ano i principi
comuni e non una tecnica particolare spetta al dialettico. Un
rinvio ai Topici, quindi, che hanno stabilito i luoghi dai quali
dipendono i ragionamenti probabili intorno ad un oggetto qual-
siasi: " Abbiamo così i luoghi da cui dipendono tutte le confu-
tazioni di questo genere. Se abbiamo questo, abbiamo anche le
soluzioni: le obiezioni a quelle confutazioni sono infatti solu-
zioni " (170 b3/5). A questo punto è bene fare intervenire il
passo di Soph. El. 11, che ripete Metaph. IV 2. l 004 h22 sgg.,
ma che ora, dopo il commento al capitolo immediatamente pre-
cedente dell'Organon, acquista un senso nuovo e chiude in un
certo senso il discorso lasciato aperto nella Metafisica: "È dia-
lettico, dunque, colui che considera i principi comuni rispetto al-
Ia cosa, mentre chi fa questo in apparenza è un sofista " ( 171
b6j7).
Per riassumere: ancora una volta Aristotele si riporta alla
sofistica nel cuore della ricerca metafisica; tuttavia, è vero che
la dialettica, considerata nel centro della problematica dei To-
pici, non ha più nulla a che fare con la sofistica o almeno sem-
bra mantenere con essa un rapporto esterno. Rispetto alla sofi-
stica la dialettica aristotelica rappresenta la coscienza di un me-
todo, ma di un metodo, si badi, che non è più la platonica :rroQELa
[viaggio, via], bensì una ricerca che motiva e giustifica se stessa
accanto all'ontologia, alla scienza (nel significato sopra descritto).
V orrcmmo ora notare : non va mai persa di vista, sul piano del-
l'interpretazione storica, la relazione istituita da Aristotele fra la
propria ricerca (retorica, metafisica e topica) e la sofistica, al di là
della dialettica platonica.
Un unico leitmotiv accompagna la storia del pensiero antico,
dall'idea della retorica gorgiana alle figure della dialettica ari-
stotelica: l'ideale cioè di un sapere universale (retorico nel sen-
so aristotelico), che non ha oggetto proprio, ma che ha in sé la
possibilità di far valere le altri arti e tecniche, l'idea di una scien-
za sostanzialmente socratica, ma non socratico-platonica: " ...
Aristotele ignora una forma di discorso che coinciderebbe con il
movimento stesso a mezzo dci quale le cose si svelano c che sa-
rebbe qualcosa come il linguaggio di dio. Con Aristotele il lo-
gos cessa di essere profetico; risultato di un'arte umana e stru-
mento della comunicazione tra gli uomini è descritto come di-
scorso dialettico, e la sua forma più alta sarà tutt'al più il di-

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74 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

scorso del professore (colui che giunge al massimo dell'astrazio-


ne, ma non del tutto, in relazione al comportamento dell'udito-
re)'". In aJtre parole: "l'universalità ricercata non può essere
l'universalità di un sapere, reale o apparente, ma quella di una
negazione, più precisamente di una critica o, come dirà Aristo-
tele, di una :n:a!_lacrnxlj. Lo stesso uomo non può sapere tutto,
ma può interrogare chiunque su qualunque argomento. Socrate
scopre il solo potere che sia legittimamente universale: la doman-
da, la sola arte alla quale nessun'altra può contendere la supe-
riorità, la priorità: l'arte di porre domande nel dialogo, cioè la
dialettica " 14•
E necessario, allora, esaminare un nuovo arco di testi aristote-
lici c studiare a partire da questo risultato come possa ulterior-
mente articolarsi la ricerca della Metafisica all'interno di quel
rapporto con la storia, la politica e la dialettica, che abbiamo co-
stantemente tenuto in luce.

4.5. Dialettica, storia, politica


Vediamo Metafisica m 1.995 a 24/b4, quel testo sull'aporia
(che, secondo la formulazione di Eth. Nicom. VII 4.1146 b7 /8,
è già, neila sua soluzione, scoperta): " In vista della episteme
intorno alla quale la ricerca verte è necessario determinare, in
primo luogo, a proposito di quali cose principalmente si debbano
rilevare le aporie (rbtoQflom), cioè le questioni sulle quali ·altri
si siano espressi in modo diverso e quelle, inoltre, che eventual-
mente siano state trascurate. A chi vuole camminare bene
(E-ùrroQflcrm) giova passare accuratamente attraverso le aporie
(1harrogflam xaÀ<i>ç), poiché il successivo buon cammino (E"Ùrroefa)
non è che lo scioglimento delle aporie rilevate in precedenza e
non è possibile sciogliere un. nodo senza riconoscerlo. Ma la pre-
senza di un nodo attinente alla cosa di cui si tratti è d'altronde
manifestata dall'incepparsi della mente; la quale, trovandosi im-
pedita di procedere, soffre in maniera simi,le a coloro che sono
in catene, in quanto è impossibile per l'una e per gli altri il pro-
cedere oltre. Bisogna quindi avere considerato da prima tutte le
difficoltà, sia per quanto si è detto, sia perché coloro che si pon-
gono a cercare senza averle prima attraversate assomigliano· a
chi non sa ove dirigersi, e ignorano se a un dato momento abbia-
14 P. AUBENQUE, Le problème de l'etre chez Ar., cit., pp. 115, 275.

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Dialettica, storia, politica 75

no o no trovato ciò di cui andavano in c~rca : non è chiara, per


loro, ,la meta, che invece lo è per chi abbia preliminarmente fis-
sato le aporie (t({> :1l{lOlFWQEY..o·n). Inoltre, si trova necessariamen-
te in condizione migliore per giudicare chi, come giudice di una
contesa, ascolta anche tutte le ragioni opposte " 15•
È noto che gli antichi commentatori vedevano in questo testo
il vero inizio della Metafisica. L'espressione: le questioni sulle
quali altri si siano espressi in modo diverso è così commentata
da Alessandro: " Ciò potrebbe significare che o non convenien-
temente o in modo opportuno ma erroneamente o che alcuni in
un modo altri in un altro si occuparono di tali questioni: infat-
ti, offrono soprattutto difficoltà quelle cose di cui sono state da-
te precedentemente opinioni· differenti da parte di coloro che le
hanno trattate ... " (ed. Hayduck, p. 127). Non è necessario esa-
minare tutti i passi paralleli aristotelici. Uno,. però, resta fon-
damentale: " Ma costoro (i sostenitori dell'antica tradizione co-
smologica di Talete) sembrano ricercare fino ad un certo punto,
bensì non fin dove sussiste possibilità di dubbio (Mvm:ov -rfj;
ù:rrog[aç). A noi tutti, infatti, questo è abituale, di non istituire
la ricerca per la cosa in se stessa (n:gòç -rò n:gay!J.a), ma per colui
che dice cose contrarie alle nostre (n:QÒ; -ròv nivun[u ì.éyovtu):
infatti, noi stessi in noi ricerchiamo fino a che non è più possi-
bile avere da ribattere. Per questo bisogna che chi vorrà effet-
tuare bene una ricerca rimanga tenace di fronte a tutte le obie-
zioni appropriate al genere, ciò che deriva dal contemplare tut-
te le differenze" (De Coelo n 13.294 b6/13) 16•
In primo ~uogo dobbiamo registrare come da Aristotele ven-
ga qui delineata l'istanza del metafisica, il punto di vista del sa-
pere, che ora coincide con l'opera di fondazione della scienza
intorno alla quale la ricerca verte. La scienza è e rimane ogget-
to della ricerca, ma proprio per questo Aristotele si innalza so-
pra la coscienza comune, proprio per questo egli enuncia e de-
nuncia un sapere che è altro e da quello della coscienza comu-
ne e della filo-sofia della tradizione. Il ritmo dei due capitoli ini'"
·ziali del 1 libro dell'opera, il loro stesso avvio lo provano: " Tut-
ti gli uomini per loro natura tendono al sapere " (I l. 980 a 21)

15 La traduzione è di L. Lugarini, in Aristotele e fidea della filosofia,


cit., pp. 134-5.
16 Passi paralleli sono indicati da E. ZELLER, Die Philosop!zie der Grie-

chen, Leipzig 1921•, vol. II, t. II, pp. 243-5, che è bene leggere anche per
la configurazione del problema e del rapporto aporia-dialettica-filosofia.
Altri passi paralleli: De Anima I 2. 403b20·24, De Coelo I 10. 279b4-12,
Anal. post. 1 l. 71al-13.

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76 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

e " È dunque chiaro che la sapienza è scienza di certe cause e


principi - poiché questa è la scienza che cerchiamo, dobbiamo
vedere di quali cause e principi è scienza la sapienza" (I 1.982
a 1-6). ·
È la posizione che troviamo all'attacco del primo capitolo del
libro terzo; ad esso è immediatamente collegato J'altro tema fon-
damentale, che si articola, appunto, sulla problematica storica
del primo libro: l'esigenza storica della configurazione e istitu-
zione di una tradizione (" il successivo buon cammino non è che
lo scioglimento delle aporie rilevate in precedenza ") che renda
comprensibile il proprio promuovere determinate questioni (altri-
menti la men~e " soffre in maniera simile a coloro che sono in
catene, in quanto è impossibile ... il procedere oltre"), coincide
con l'esigenza dialettica, in noi abituale " di non istituire la ri-
cerca per la cosa in se stessa, ma per colui che dice cose contra- ·
rie alle nostre ... " (De Coelo, cit.).
Con Aristotele si fa strada un atteggiamento complesso, un
~ioç che il pensiero greco non ha ancora riconosciuto: la co-
scienza comune (i molti) diventa un problema, si. spezza l'iden-
tità filosofia (scienza)-dialettica (filo-sofia). Le ragioni di questo
avvenimento sono esterne al filosofare, c sono da ricondursi ano
smarrimento della immediata politicità della ricerca filosofica,
all'assenza in essa di un valore pedagogico, assiologico in gene-
rale: il filosofo ha veramente perduto la sua anima o almeno la
parte più viva di essa; ora la sua ricerca vale unicamente per il
singolo, alla fine trova, se assolutamente imposta agli uomini, il
grigio del silenzio. Cade a proposito un'osservazione che può ave-
re qualche valore storico, un'interrogazione su un momento della
riflessione che Aristotele compie sul significato della sua diapore-
tica 11 • Dalla necessità di considerare preliminarmente tutte le dif-
ficoltà questo risulta: " Perché coloro che si pongono a cercare
senza prima aver attraversato tutte le difficoltà assomigliano a
chi non sa ove dirigersi e ignorano se a un dato momento abbi·t-
no o no trovato ciò di cui andavano in cerca " (995 a 33/995
b 2). Indubbiamente, a nost>o avviso, una risposta al Socrate-

17 Con questo termine intendiamo, con Lugarini, la ricerca aristotelica


nel libro m della 1\1elaJÌsica (esposizione dei problemi della filosofia o
della filosofia per problemi) e che consideriamo come un momento conti-
nuamente operante della sua ricerca. Si può anche dire, con Ross, melOdo
aporematico o con Tricot metodo diaporematico: questi evidentemen-
te si basa sull'espressione usata da Aristotele stesso per indicare il
libro III [tv "tOtç aLGtrrop"Jj:LG!CH: cfr. Metaph. XIII, 2. 1076bl, XIII, 10.
1086b15.]

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Dialettica, storia, politica 77

Platone del Menone, quando all'argomentazione sofistica del-


l'impossibilità della conoscenza sia di ciò che si sa sia di ciò che
non si sa, nel primo caso perché non c'è bisogno della ricerca,
nel secondo perché non è possibile (Men. 80 D/81 A) - un ar-
gomento, come è noto, che suona dolce alle orecchie degli uo-
mini pigri (81 DE) - Platone oppone il mito della reminiscenza,
che renderebbe gli uomini operosi e ricercatori (ib.): una opero-
sità, si badi, che è sollecitata unicamente dalla coincidenza, nel
sapere, della ricerca e del sapere (81 DE), il cui fondamento è da
cogliere in quel sapere come mito che alla fine è estraneo alla ri-
cerca e all'uomo.
Se Aristotele risponde a Platone, è per tornare ancora una
volta all'esperienza sofistica e socratica, per riconquistare lo spi-
rito di una ricerca veramente operosa e quindi una misura più
adeguata dell'uomo. Con l'osservazione che abbiamo sottolineato,
egli tende a porsi dalla parte dell'argomentazione sofistica, la qua-
le aveva trovato la propria verità e realk>t storica nella polemica
contro l'assolutizzazione dell'essere, cqntro un essere che veniva
detto in un modo solo. L'essere- non si stanca di ripetere Aristo-
tele- si dice in molti modi (rtoÀÀax&ç HyE-raL n) ()v). Ma è chiaro
che non si tratta di un ritorno puro e semplice. Aristotele, infatti,
traspone l'argomentazione sofistica come figura logica sul piano
dell'esperienza storica: lo dimostra proprio la pagina dell'Orga-
non dove il passo del Menone viene esplicitamente citato e dove
Aristotele afferma che l'individuo, del quale egli si occupa, " in
un certo senso sa, ma in un certo altro senso non sa" (An. post.,
1 l. 71 a 26). Anche in questo caso egli riprendeva Platone, il
celebre tema di Diotima: "Forse che è ignorante colui che non è
un saggio? Non credi tu forse, che tra scienza e ignoranza vi sia
qualcosa di intermedio? " (Conv. 202 AB), un tema, tuttavia, che
coincide col mito del quale è oggetto. Aristotele rifiuta il mito,
accetta la situazione di fatto e la inserisce in un più profondo ri-
sultato storico.
Il rapporto tra le due introduzioni alla Metafisica, storico-dia-
lettica la prima, dialettico-diaporetica la seconda, risponde alla
necessità ora descritta di fondare da una parte storicamente la
scienza (potremmo quasi dire: di storicizzare la scienza, di porla
all'interno di una coscienza che si sappia storica) e di offrire
d'altra parte alla scienza in via di fondazione (la Metafisica) una
intelligibilità che non può altlimenti spiegarsi se non nel circolo
chiuso del sapere filosofico. In questa direzione uno dei significa-
ti e dei compiti della dialettica aristotelica coincide con ciò che
è stata poi chiamata la stmia, la coscienza storica; con una ter-

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78 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

minologia più vicina alla problematica aristotelica potremmo de-


finirla configurazione, storicizzazione della tradizione.
Se ora riportiamo il testo del terzo libro all'interno del dibat-
tito che abbiamo cercato di chiarire in Metaph. IV, 2, possiamo
dire di aver raggiunto una conclusione n,uova o almeno di aver
aggiunto qualcosa di nuovo alla precedente conclusione: quella fi-
losofia che è yvwgto..nxf] è la scienza oggetto della ricerca, l'idea
della scienza, quella scienza suprema, agxtxo,;dnl, di cui si fa
discorso anche nel libro precedente (cfr. 1 2.982 b 4/5); ma la
scienza in atto, il filosofare, del quale di volta in volta si parla
nella Metafisica, è la dialettica, Jtft(lM'tlXfJ (cfr. Top. IX, 8 c 11):
una figura della " scienza ", ma quella che si determina, storica-
mente, nel btan:ogYjom. Il filosofo, il suo sapere e la coscienza co-
mune non si oppongono e d'altra parte non coincidono, di fatto,
come per il passato, ma trovano nella storia il loro senso c la pos-
sibilità di riconosccrsi, perché uno è il sapere, ma ad esso non è
estranea l'opinione.

A questo punto, il nostro discorso potrebbe ricominciare da


capo. Se siamo venuti in chiaro circa il senso della dialettica in
Aristotele, dalle sue origini come sofistica e sistema delle opinio-
ni, e quindi: l) teoria della coscienza comune c 2) motore, co-
me storia, della ricerca metafisica, della determinazione della
scienza filosofica dell'essere (un senso eminentemente politico
per ciò che tiene fermo il proprio oggetto, i molti, pur apponen-
dolo all'uno, oggetto della scienza), abbiamo lasciato aperto nel-
la sua problematicità il concetto della scienza secondo quanto ri-
sulta dai testi aristotelici. Ne abbiamo indicato sopra le deter-
Ininazioni fondamentali sulle quali hanno operato le grandi inter-
pretazioni della storia, cioè la distinzione, e non il conflitto, or-
mai classici, tra una metaphysica generalis che riguarda l'ens
commune e una metaphysica specialis che verte sul summum
ens, Dio. Ma il conflitto, la contraddizione non risolta è già in
Aristotele: " ... l'opposizione dell'antologia e della teologia come
quella dell'opinione e della scienza, della retorica e del mestiere
riproducono in realtà su un piano diverso il conflitto di aristocra-
zia e democrazia. Ci si deve meravigliare di ciò? Può destare me-
raviglia il fatto che la preistoria della metafisica ci conduca ad
un nodo di problemi in cui politica, filosofia, riflessione sulla pa-
rola e suU'arte s'infrecciano e si scambiano di significato in un
complesso indissociabile? Che il progetto di una scienza dell'es-
sere in quanto essere, che sembrò subito astratto quando se ne
smarrirono le risonanze umane, tragga la propria origine, e quasi

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Dialettica, storia, politica 79

la sua linfa, da un dibattito in cui era in gioco la condizione e


la vocazione nello stesso tempo teorica, tecnica e politica dell'uo-
mo in quanto uomo? ... n filosofo è l'uomo qualunque, l'uomo in
quanto uomo oppure il migliore degli uomini? Il suo oggetto è
l'essere comune, cioè l'essere in quanto essere oppure il genere
più eminente dell'essere? L'essere appartiene a tutti e di volta in
volta anche alla più umile delle nostre parole oppure si svela nella
sua meravigliosa trascendenza unicamente nell'intuizione degli in-
dovini e dei re? E infine: il discorso del filosofo è la parola di un
uomo semplicemente uomo che avrebbe rinunciato ad apostrofa-
re l'essere come teologo, fisico o matematico oppure è la parola
distante di colui che, primo in. tutti i generi, sarebbe d'accordo
con gli dei? " 18• ~ ancora il dibattito che aveva caratterizzato la
sensibilità filosofica e politica degli uomini del v secolo. Vediamo
di approfondire la questione e teniamo presente che è sempre
buona norma metodica non solo lasciare aperte le contraddizioni
individuabili in un filosofo, ma farle agire e sollecitarle: non sem-
pre esse sono componibili nell'unità o nel circolo del sistema.
Chiediamoci il senso dell'affermazione aristotelica nel primo li-
bro dell'Etica nicomachea: posta la diversità degli scopi umani e
uno scopo supremo e quindi un'unità di questi scopi, ci deve es-
sere una scienza (EmaT~fll)) di questa unità, che sarà la più impor-
tante e la più architettonica (xt'(H(t>nhq, UQZt'tfXTovtxi)) - la " po-
litica. Essa determina quali scienze sono necessarie nella città e
quali ciascuno deve apprendere e fino a che punto. Vediamo, in-
fatti, che anche le scienze più onorate si trovano sotto di essa, co-
me la strategia, l'economia e la retorica. Dal momento che essa si
serve delle altre scienze pratiche, e inoltre stabilisce che cosa bi-
sogna fare e che cosa ·evitare, il suo fine potrebbe comprendere
quello delle altre, cosicché sarebbe il bene umano " (1094 a
26/b7). Segue la fondamentale affermazione, che tiene in luce la
differenza-relazione tra l'etica e la politica: se è identico il bene
per il singolo e per la città, si deve scegliere e salvare quello della
città, ché questo è un compito più bello e più divino. ·
~ inutile sottolineare la concordanza di questo inizio dell' Eti-
ca nicomachea con quello ben noto della Politica 19• Lasciamo

18 P. AunENQUE, Le problème de l'ètre chez Ar., cit., pp. 279-280, ma

cfr. E. WEIL, Quelques remarques ... , cit. sopra nota 7, pp. 844-49.
" ARISTOTE, La politique, vol. I, Paris 1960 (coli. Les Belles Lettres),
a cura di J. AUBONNET, p. 105. È molto importante l'introduzione all'edi-
zione di questo testo aristotelico. Sulla Politica si ricordi almeno E. BAR-
KER, The Politics oj Ar:, Oxford 1952; R. WmL, Ar. et l'histoire. Essai sur
la" Politique ", Paris 1960, e la traduzione italiana a cura di C.A. VIANO,

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80 Logica e dialettica, storia c filosofia in Aristotele

pure da parte, anche se la connessione non sarebbe ingiustifi.cata,


l'elogio della città c della comunità politica che lo segue immedia-
tamente, che ritorna nel trattato sull'amicizia (partic. vm 11) e
che apre il libro sulla Politica. La chiave per intcnderlo si trova
a nostro avviso nello stesso contesto: " A questo (scienze neces-
sarie nella città, detenninazione del bene per il singolo e per la
città), mira, dunque, il nostro trattato, che è politico. Sarà suffi-
ciente che esso tratti chiaramente intorno alla materia proposta.
Infatti, non bisogna cercare in tutte le discussioni una precisione
uguale come neppure nelle professioni manuali ... Ci si deve ac-
content<u·e, quindi, trattando di queste cose (il bello e il giusto og-
getti della scienza politica) e partendo da principi simili, di mo-
strare la verità in maniera sommaria e approssimativa, e quando
si parla di cose generali e da principi generali si argomenta, di
trarre conclusioni pure generali ... infatti, è proprio dell'uomo
colto richiedere in ciascun genere di ricerca tanta esattezza, quan-
ta ne permette la natura dell'argomento: e sarebbe lo stesso loda-
re un matematico perché è persuasivo c richiedere all'oratore del-
le dimostrazioni. Ciascuno giudica bene ciò che conosce, e solo
di ciò che conosce è quindi buon giudice. Nelle questioni partico-
lari giudica bene chi è competente in esse, in quelle generali chi
ha una cultura generale" (T 1.1094 b 10/1095 a 2).
Aristotele ripresenta qui quell'opposizione, che abbiamo appe-
na accennato, fra i due atteggiamenti possibili in ogni genere di
ricerca,. di cui parla nell'introduzione al De Partibus animalium:
la vera e propria scienza della cosa (rmon'w11 toii ngtiy~wto;) e
quella specie di cultura (mHì)f(u n;), propria dell'uomo colto, che
gli consente di giudicare (x~nnxò;) per così dire di ogni cosa,
mentre l'altro non può che occuparsi di una natura determinata (I
1.629 a l l 10). La stessa problematica in due contesti diversi può
avere lo stesso significato? È sufficiente, è adeguata l'interpreta-
zione secondo la quale ·· quando Aristotele parla di questioni di
metodo, com'è il caso dell'intero libro 1 del De Partibus anima-
lium, interviene come uomo di cultura e non in quanto scien-
ziato?" 20 • Può confermare il testo dell'Etica nicomachea questa

Torino 1955. Sull'Etica Nicomachea v. la traduzione francese e il com-


mento a cura di Gauthier-J.olif. 3 voli.. Louvain 1958-59 e la traduzione
italiana a cura di A. Plebe. Bari 1957.
20 P. AUBENQUE, Science, culture e dialectiqite chez Ar., in « Actes du

Congrès Budé », Lyon 1958, p. 146 e cfr. J.M. LE BLoND, Aristate. Plti-
losophie de la 1•ie. Le livre f<' du Traité sur les parties des animaux, Paris
1945, pp. 53-54 e ARISTOTE, Les parties des animaux, Paris 1956 (coli.
Les Belles l.ettres) a cura di P. Louis. p. 167.

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Dialettica, storia, politica 81

interpretazione? Non lo crediamo. Se è vero che queste funzioni


della cultura sono proprio quelle che Aristotele assegna alla dia-
lettica nei Topici - quella critica e quella peirastica che sotto-
pongono a prova quel discorso che può sembrare un sapere -
" una disciplina che si può possedere anche senza avere la scien-
za e per cui è possibile, da parte di colui che la scienza non pos-
siede, esaminare chi non ha scienza della cosa ,· (Soph. El. 11.172
a 22/24) - noi crediamo che debba avere un valore particolare,
fondamentale, non semplicemente di metodo, il fatto che tale pro-
blematica ritorni in un testo che pretende di elaborare nella poli-
tica la scienza più importante e più architettonica.
Per Aristotele la comunità politica rappresenta la comunità
più comprensiva (Eth. nicom. VIII 11.1160 a 8/9 sgg., cfr. Poli t.
T 1.1252 a 3/7); in essa sola ha un senso l'operare dell'uomo-
" un animale che per natura deve vivere in una città " in quanto
"unico animale che abbia la parola" (Polit. I 2.1252 a 2/3 e
9/JO). Non è necessario insistere su questo punto, ma chiederci,
come ci siamo chiesti, il perché, ora, del rapporto della cosiddet-
ta metodologia dialettica - che abbiamo visto configurarsi come
teoria e ideologia della coscienza comune - con la ricerca sulla
politica come scienza eminente. Il senso di questo rapporto è da
trovare in un passo della Retorica, l'opera dalla quale avevamo
preso l'avvio: " .. .la retorica è come una ramificazione della dia-
lettica e della scienza morale, che è giusto chiamare politica. Ed
è per questo che la retorica prende la maschera della politica sia
per mancanza di cultura sia per ostentazione sia per altre ragioni
umane " (1 2.1356 a 25/30). II testo ci sembra prezioso: esso
dimostra da una parte l'unità delle ricerche etiche e politiche,
sulla quale pone l'accento il celebre capitolo finale della Nicoma-
chea, le ultime righe in particolare che riassumono e ad un tem-
po rinviano alla scienza politica come quella che può mandare a
compimento la filosofia dell'uomo (x 10. 1181 b 13/15), e d'al-
tra parte come nell'evoluzione del pensiero aristotelico al paral-
lelismo retorica-dialettica, che risale addirittura agli anni giovani-
li, si sia sostituito il parallelismo etica-politica - sostituzione pe-
rò che si è manifestata e agisce in forza di quel risultato e da in-
tendere a partire da esso. Nella partizione del sistema rimane ov-
viamente valida la configurazione deiia politica come scienza pra-
tica (Eth. Nicom., VI 8.1141 b 26/27 e Metafisica, VI 1.1023 b
23/24): essa non esclude, anzi lascia liberamente e nuovamente o-
perare la possibilità di comprendere questa direzione del pensiero
aristotelico, una lettura politico-dialettica della M eta fisica, che
coincide con la dimensione metafisica (della scienza) della Politica.

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82 Logica c di_alettica, storia e filosofia in Aristotele

Allora è chiaro il nuovo punto di vista di Aristotele e il nuo--


vo piano della sua ricerca: la scienza politica, che pure si co-
struisce nella stessa sfera della retorica e della dialettica, all'in-
terno, dunque, dell'orizzonte della coscienza comune, ne rappre-
senta ad un tempo l'espressione più alta e più adeguata, e come
tale si pone come scienza o almeno pone la scienza come suo
ideale. Non c'è possibilità di contraddizione né con la determina-
zione dialettica che circoscrive l'ambito reale entro il quale si
trova ad operare la scienza, l'oggetto dell'intervento della scien-
za, né con il discorso sulla scienza esposto e ripetuto nella M eta-
fisica, dove la ricerca è iniziata dal filosofo e per esso, in un rap-
porto con la realtà e con la storia che risulta da una continua me-
diazione. Aristotele dà alla filosofia e apre così alla tradizione,
che sarà nostra, la possibilità di un discorso sulla scienza, e della -
scienza, nelle diverse dimensioni nelle quali di volta in volta si
riconoscono il filosofo e l'uomo comune, il sapere e la coscien-
za comune: una differenza ideale che ha la sua motivazione in
un fondamento reale, storico, quella figura della dialettica aristo-
telica che non rifiuta le opinioni, vuoi rendere ragione della mol-
teplicità dei discorsi, ricondurre il bisogno della filosofia ad una
misura umana e riconoscere a mezzo della scienza il destino del-
l'uomo e delle sue città - la storia.
Allora la dialettica del re-filosofo - una potenza veramente
più che umana (per dirla col Crati/o platonico, 438 CD) - appa-
re veramente come la notte. E Aristotele, come ha scritto AE.
Taylor, " un platonico che ha smarrito la propria anima. Anche
Péguy ha parlato dell'evoluzione della filosofia greca come degra-
dazione del mistico nel politico ". È, però, un fatto - e Aristotele
lo ha conquistato alla filosofia. Un fatto che non cessa di porci in
questione se crediamo ancora di poter filosofare, e riconoscerei
nelle città, in un mondo che rifiuta il mito. Aristotele lo ho espli-
citamente dichiarato (in un frammento giovanile): "Più io sono
solitario e isolato, più amo i mi ti ".

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5. Morte e trasfigurazione della dialettica antica.
Dagli Stoici all'età moderna

5 .l. Dialettica soggettiva e dialettica oggettiva


Tra i Sofìsti e Aristotele, abbiamo avuto più volte occasione
di notarlo, la dialettica esaurisce- sostanzialmente tutte le sue pos-
sibilità, presenti e future: è il dialogo e la sua tecnica, l'arte del
discorso breve, della discussione, della persuasione; è la scienza,
teoria o teoresi in senso greco, cioè la visione dell'intelligibile, ma
è anche il cammino, il tirocinio che alla scienza conduce; lo stru-
mento, quindi (ma solo in Aristotele), che consente di pervenire
ai principi de.Ue scienze ed eventualmente di discuterli; la scien-
za-non-scienza senza un suo particolare oggetto, quindi un'arte,
una tecnica, pure in senso greco, che pone l'uomo nelle condizioni
di poter parlare di tutto, un tipo di educazione, come si esprimeva
Aristotele, che fa dell'uomo comune un uomo colto e dello scien-
ziato, dello specialista (cioè, in senso aristotelico, del professore
che insegna) una persona capace di parlare con gli altri, con i non
specialisti.
Possiamo fare la stessa osservazione anche se ci esprimiamo
con una terminologia moderna, estranea e ignota ai greci. Tra i
Sofìsti e Aristotele la dialettica esaurisce o - se vogliamo essere
più prudenti - fa un'esperienza irripetibile o ripetuta solo con
l'aggiunta di qualche corollario, sia pure importante, delle sue
due grandi possibilità, di quelle sue configurazioni dalle quali non
si sarebbe più liberata: dialettica oggettiva cioè, grosso modo, la
dialettica del dialogo come espressione o effetto delle contraddi-
zioni della realtà, insomma la dialettica antologica, e dialettica
soggettiva, diciamo così (anche qui grosso modo), la dialettica lo-
gica, in senso aristotelico, dove logico significa astratto o meglio
vuoto, cioè senza un contenuto determinato, la dialettica del dia-
logo insomma o il dialogo come dialettica per mostrare come un
discorso o un'argomentazione debole possa diventare forte, cioè

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84 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

possa convincere l'interlocutore: da questo punto di vista Prata-


gora e Socrate non sostengono tesi diverse o comunque molto
lontane fra loro.
La dialettica soggettiva presuppone la pluralità delle opinioni,
presuppone un mondo dell'opinione come una dimensione del
reale, come un mondo che è quello che è, né vero né falso, ma
che di volta in volta, nel dibattito, viene provato come vero o co-
me falso: ammesso che se ne sia occupato, è la dialettica degli
uomini dalla doppia testa di cui parlava Parmenide; è il movi-
mento delle contraddizioni interne al discorso comune, e se ne
occuperà Zenone. B, al fondo del pensiero dei Sofisti, che, lo ab-
biamo visto, la traggono fuori dalla gloriosa tradizione della re-
torica; la sua teoria è esposta da Aristotele nei Topici, e allora la
dialettica (o topica) è il sistema degli Èvùoça, delle tesi divulgate
o correnti, cioè quelle che sono accettate da tutti o dalla maggio-
ranza o dai sapienti e tra questi o da tutti o dalla maggioranza o
da quelli più illustri e più famosi per reputazione: è l'inizio della
ricerca, la discussione delle tesi precedenti, non filosofia ma pro-·
pedeutica.
La dialettica soggettiva percorre tutta la tarda antichità posta-
ristotelica (gli Stoici non vi aggiungono molto di nuovo quanto al-
l'essenziale) e la così detta lunga notte del Medioevo (Hegel): da-
gli Stoici, per i quali si trova accanto alla retorica come scienza
delle parole e del criterio della verità, agli Scolastici, per i quali
è la pratica stessa del dialogo e della discussione, lo strumento
che sorregge l'elaborazione dogmatica e conduce alla soglia del
dogma senza per altro pervenirvi. Essa, di nuovo, ha una funzio-
ne sistematica tra le arti liberali, ma anche una funzione pro-
trcptica, pedagogica, perché insegna la coerenza del discorso e
quindi aiuta l'uomo a liberarsi dalla contraddizione c del discor-
so e della realtà, a superare i pericoli del dubbio e dello scetti-
cismo: ancora, una propedeutica.
Alla fine di un lungo dibattito, che in questa sede potremo sol-
tanto sommariamente indicare, la dialettica soggettiva celebra la
propria morte e trasfigurazione con Kant. Qui ci limiteremo a
notare una sorprendente analogia con la ricerca aristotelica, per-
sino la ripresa, nella Critica della Ragione Pura, della distinzione
di analitica e dialettica, e la dialettica come discussione delle te-
si correnti, delle tesi precedenti - ma la dialettica, soggettiva, non
è più la propedeutica, non sta più sulla soglia della filosofia,
bensì è collocata da Kant all'interno del sistema come fatto neces-
sario e originario della ragione umana: è il prodotto - dice Kant
- di una illusione trascendentale inevitabile e naturale, che ha lo

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Dialettica soggettiva e dialettica oggettiva 85

scopo di " scoprire l'apparenza ingannevole delle non fondate pre-


tese dell'intelletto e della ragione ". La dialettica, soggettiva, ma
non più propedeutica, quest'opera necessaria della ragione (come
Hegel non mancò di rilevare nella sua Scienza della logica)\ è
una parte costitutiva della filosofia (e da questo momento anche
la storia della filosofia rientra definitivamente nel sistema filosofi-
co), è il fondamento della dialettica oggettiva intesa sia come dia-
lettica della reàltà sia come quella dialettica oggettiva della sog-
gettività che dell'intero della realtà è soltanto un aspetto. È la
fine della filosofia moderna; l'inizio, con Hegcl, della filosofia
contemporanea, ma anche - come vedremo - la fine della
dialettica.
Le vicende della dialettica, sia pure 'di quella soggettiva, sono
ben più complesse di questo breve schema preliminare. Per il
semplice fatto, soprattutto, che _fin dalle origini (e lo abbiamo
ampiamente mostrato) le due forme, quella soggettiva e quella
oggettiva, nascono e si sviluppano insieme, si intrecciano, fino al
punto che in certi autori è difficile e anche improprio distinguerle.
Si pensi ad Eraclito. Ammesso che si sia occupato di dialettica
(ma i suoi frammenti non lasciano dubbi sul senso del mondo
concettuale che sarà indicato più tardi con quel termine), è certa-
mente il primo pensatore che rileva una dialettica oggettiva, nelle
cose, sebbene, poi, i nomi manifestassero in Eraclito una dialet-
tica che è ad un tempo soggettiva e oggettiva. Si pensi a Platone,
certamente il teorico della dialeHica oggettiva sia essa 'interna alle
cose, immagine del mondo delle idee, sia essa interna al mondo
delle idee stesso e loro propria: tuttavia, anche nei dialoghi più
tardi (e ne abbiamo addotto esempi), egli non tradì mai il com-
pito sofìstico-socratico (soggettivo) della dialettica, cioè il dovere,.
da parte del filosofo, di imparare a rendere ragione a sé e agli
altri dell'oggetto della sua visione, "meravigliosa trascendenza ".
C'è una dialettica oggettiva anche in Aristotele, e basterà pensa-
re alle opposizioni fondamentali della sua fisica e metafisica (atto
e potenza, materia e forma ecc.): " ma Aristotele non indica mai
la dialettica oggettiva col termine dialettica, e, fino a Kant com-
preso, la parola sarà presa nel senso datole da Aristotele o me-
glio col senso che Aristotele le ha restituito, poiché di fatto egli

' La citazione di KANT è in Critica della ragione pura, trad. it. a cu-
ra di G. Gentile e G. Lombardo Radice, Bari 1944, vol. r, p. 100, e cfr.
i passi di HEGEL in Scienza della logica, trad. it. di A. Moni, Bari
1968, vol. I, pp. 38-39 c vol. n, pp. 943-945, per cui vedi avanti il cap. 7.1,
nota 3 e 7.7, nota 29.

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86 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

riprende soltanto e ristabilisce quell'uso che fu del giovane Plato-


ne" 1• Con la sola eccezione, forse, di Plotino, e di certi aspetti
del pensiero di alcuni Padri della Chiesa, almeno là dove la tra-
dizione platonica è più viva e forte.
Infatti, la dialettica in Plotino è la pura scienza, quella nella
quale prende fine il cammino irto di errori attraverso il sensibile:
l'anima si muove liberata dall'errore nella sfera della verità, vede
le idee e le distingue, e coglie l'essenza delle cose. È qualcosa di
più e di diverso dalla <pQÒVl1<Jtç e dalla saggezza in senso stretto;
sì, c'è un aspetto metodico e soggettivo della dialettica che si con-
fonde con la logica e con i suoi esercizi sulle proposizioni e i sil-
logismi; ma c'è indubbiamente un aspetto oggettivo, quel suo iden-
tificarsi col sapere del voùç, quel suo presentarsi come necessità
e fondal'Si, quindi, su una facoltà non psicologica: ricevere i prin-
cipi dal vouç, principi che solo in un secondo momento sono svi-
luppati dall'anima.
Ma riprende-remo questo discorso. Nel presente contesto que-
ste poche indicazioni valgono semplicemente come un esempio.
Un esempio singolare, a quanto ci risulta, perché di dialettica og-
gettiva, in senso stretto, non se ne parlerà più fino ai postkantia-
ni, c sostanzialmente fino a Hegel. S_tudieremo in che senso la dia-
lettica con e dopo Hegel è una dialettica oggettiva e in che senso
questa dialettica oggettiva (hegeliana) possa ancora definirsi dia-
lettica. Ma per concludere su questo punto non è superfluo rileva-
re che proprio Hegel, la sua cosiddetta unità di reale e razionale,
cioè di realtà e discorso, rende possibile e sollecita quell'interpre-
tazione di Eraclito, Platone o Plotino da un lato e dell'evoluzione
della dialettica nella sua storia dall'altro, che abbiamo brevemen-
te illustrato, raccogliendò i risultati precedenti e anticipando la
trama della nuova epoca.

5.2. Qualche considerazione sulla " dialettica" degli Stoici


Non è il caso di seguire nei particolari l'evoluzione del concet-
to di dialettica attraverso l'antichità postaristotelica e il Medioe-
vo. " Le ricerche degli Stoici o di Plotino hanno apportato qual-
che arricchimento considerevole, talvolta essenziale, a quella tec-
nica. D'altra parte, però, il signifièato della parola non cambie-

2 E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Firenze

1965, p. 25.

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Qualche considcraziop.e sulla " dialettica ;, degli Stoici 87

rà quasi per gli Stoici, che su questo punto seguono Aristotele: la


dialettica è la scienza delle parole e del criterio delhi verità, cd es-
si la collocano accanto alla retorica che, per gli Stoici e per la lo-
ro epoca, diviene un esercizio formale, svuotato di ciò che essa in.
Aristotele contiene di psicologia nell'accezione moderna del ter-
mine; d'altra parte, l'influsso del loro insegnamento (: stato in-
diretto ed ha agito soltanto sui particolmi (talvolta estremamente
importanti) di una tecnica ormai costituita o considerata tale. Sa-
rebbe possibile mostrare la persistenza di influssi stoici in nume-
rosi momenti dell'evoluzione" 3•
Questa indicazione a noi sembra giusta, soprattutto se si segue
una interpretazione della dialettica aristotelica come quella che
abbiamo qui proposto, cioè di una " logica " di tipo particolare,
quella scienza-non-scienza (e lo abbiamo sottolineato) esposta nei
Topici, autonoma rispetto agli Analitici, fondata, per semplificare
al massimo e per mostrare le connessioni con l'evoluzione stoica
deJla dialettica, su due caratteristiche fondamentali: la situazio-
. ne dialogica e il suo spirito competitivo, da una parte, e la sua
parentela con la retorica, dall'altra; due caratteristiche che, in re-
lazione all'ascendenza platonica, diventano una sola: da un lato
c'è una continuità rispetto al platonismo, nella concezione di una
dialettica come dialogo, come esercizio, come strumento dell'uo-
mo comune, ma, dall'altro, si presenta una frattura, che non ver-
rà più colmata, in quanto la dialettica non è più e non sarà più
scienza, secondo una deHe accezioni del platonismo, ma una sem-
plice propcdeutica della quale il filosofo e lo scienziato si servono,
se e quando lo ritengano opportuno, per accedere ai principi del-
le scienze e per discuterli.
Rispetto a questp risultato il problema non cambia anche se
si ritiene che la dialettica stoica abbia una fonte diversa da Ari-
stotele e da Platone e si rifaccia alla tradizione che risale ai cir-
coli socratici, a)le discussioni sulla dialettica e sull'eristica, quin-
di,· sostanzialmente, ad una evoluzione della scuola megarica. È
vero che ci sono alcuni punti fondamentali sui quali la dialettica
stoica sì differei:lzia da quella aristotelica, come, per esempio, la
scoperta di strutture logiche né vere né false, dell'indipendenza
della struttura logica da quella metafisica della sostanza e quindi

' E. \VEIL,. art. ci t., p. 22, che qui ricorda la celebre Geschichte der
Logik i m A bendiande (Storia della loxica in occidente) del Prantl (un'opera
non ancora sostituibile per ampiezza e ricchezza, tradotta in italiano pres·
so La Nuova Italia), tanto parziale verso la "vera" logica ari~totelica e
ingiusta verso gli Stoici, l'influenza dd quali egli rivela, suo malgrado,
nel corso di una pretesa lunga decadenza.

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88 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

il riconoscimento del carattere ipotetico del ragionamento, del


rapporto di necessità e insieme di contingenza tra una struttura
logica e il suo carattere linguistico 4• Questi elementi consentono
di sostenere, come appunto è stato fatto, quell'indipendenza e ori-
ginarietà storica della dialettica stoica nei confronti dei due gran-
di predecessori, che, come abbiamo qui brevemente accennato, a
noi sembra discutibile. La connessione, presso le scuole cinica e
megarica di ispirazione socratica, della discussione sulla dialetti-
ca con la discussione del problema del linguaggio; le tesi dei me-
garici e dei cinici, presenti nel Cratilo ed esemplificate nell'Euti-
demo, secondo le quali da una parte " tutti gli usi linguistici so-
no egualmente arbitrari " e dall'altra " tutti gli usi linguistici sono
egualmente legittimi " e il loro corrispondente in una figura della
dialettica, da una parte, "come strumento per l'eliminazione della
possibilità di qualsiasi confutazione " e, dall'altra, come dimostra-
zione che " le regole linguistiche convenzionali conducono ad apo-
rie e perciò non possono essere invocate per qualificare l'oggetto
qual è " 5, rimangono operanti nello stoicismo; tuttavia, è altret-
tanto evidente che la dialettica aristotelica, che non è più quella
platonica, ha il suo contrappunto nella retorica, e questa per Ari-
stotele ha un'accezione ben più ampia di quella di filosofia o teo-
ria del linguaggio: un parallelismo, fra retorica e dialettica, che
indica (così almeno a noi è parso) quanto a fondo Aristotele aves-
se meditato su quelle discussioni e su quei risultati.
D'altra parte, dobbiamo anche dire che la tesi qui riferita cade
in gran parte fuori del quadro aristotelico che aveva tenuto fenna
la distinzione della dialettica dalla logica e di questa dalla filoso-
fia. Nella nostra ricostruzione della storia della dialettica ci siamo
sempre soffermati sul momento della differenza della dialettica
dalla logica, sui momenti di " autonomia " della dialettica per
mostrai-ne appunto il carattere e la funzione particòlari. Per que-
sto motivo di fondo riteniamo giusta la tesi secondo la quale il
contributo degli Stoici a questa storia non è fondamentale e rien-
tra se mai in un quadro che non è il nostro. Si deve poi aggiunge-
re che Io stato dei testi è talmente frammentario, la tradizione
tanto imprecisa e aperta su un arco di tempo talmente ampio che
è difficile, se non impossibile, ricostruirla nei particolari con un
minimo di coerenza sistematica. Si tenga presente, infine, il tipo
di scuola fondata da Zenone, " costituita c ordinata come una

4 Vedi lo studio di C.A. VIANO, La dialettica stoica, in Studi sullr1

dialettica, Torino 1958, partic. pp. 110-111.


5 VIANO, art. cit., pp. 63, 73, 74.

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Qualche considerazione sulla " dialettica " degli Stoici ~t}

corporazione, o addirittura come una famiglia, i cui membri non


:tvevano in comune soltanto la scienza e la scuola, ma anche la
vita " 6 - e questo implica, come del resto per altre scuole filo-
sofiche antiche delle quali poco sappiamo, una difficoltà an-
cora maggiore nell'interpretazione del senso, dell'intenzione e
della collocazione del frammento o della testimonianza. Insistia-
mo su questo punto. Certo, lo stoicismo (ma che dire dell'epicu-
reismo?) è la sola filosofia antica che sia sopravvissuta all'antichi-
tà, ma grazie alle massime della sua etica tramandateci dalla cul-
tura latina: Delle connessioni interne del sistema, c quiqdi della
funzione della dialettica, non sappiamo quasi nulla.

Non discutiamo qui la sua importanza, certamente grande al-


meno a giudicare dalla violenza· antidialettica di Aristone e da
certe posizioni di Cleante; esse, però, non sembrano presupporre
una concezione " nuova " della dialettica, ma quella tradizione
sofistico-dialettica che Aristotele aveva storicamente configurato.
Ricordiamo alcuni frammenti di Aristone: " I discorsi dei dialet-
tici somigliano ai ragnateli, che non servono a niente, ma son
fatti con arte mirabile"; " Quelli che si approfondiscono nella
dialettica somigliano a coloro che masticano dei gamberi, che
per poca polpa si affannano attorno a molti ossi .. ; " la dialetti-
ca è come il fango delle vie, che è inutile anch'esso, ma si attacca
ai viandanti "; "L'elleboro preso in grani piuttosto grossi è pur-
gativo, ma ridotto in polvere minuta, soffoca; e così la sottigliezza
in filosofia " 7 •
Essi trovano d'altra parte un contrappunto nello stesso Zeno-
ne, in un'affermazione generica come quella: " La dialettica è la
scienza del discutere bene " o in quest'altra, più precisa: " Zeno-
ne raccomanda l'insegnamento della dialettica, come quella che
mette in grado di scoprire e confutare i sofismi " : essa denuncia
esplicitamente il rapporto eristica-dialettica c non esclude la pos-
sibilità di un uso o di un'intenzione..cristic.a, individuati nella loro
parzialità c storicità da Aristotele, ma presenti anche a Zenone,
al quale è pure attribuito il frammento: " le arti dei dialettici so-
no come misure di precisione adoperate per la paglia o per il le-
tame, invece che per il frumento o per altre derrate di pregio " 8•
Quanto a Cleante vorremmo ricordare quelle tre forme di attività
del sapiente: legislativa. pedagogica (TÒ .rrmbn!Etv) e letteraria, al-
·' l frammenti degli Stoici antichi, a cura di N. Festa, Bari 1932-35,
vol. II, p. 76.
7 op. cit., vol. II, p. 29.

8 ibid.

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90 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

le quali si contrapporrebbero tre attività analoghe non virtuose,


cioè la demagogia, la sofistica (TÒ ao<ptaTEUEtv) o insegnamento
per lucro e la produzione di libri dannosi 9• Anche qui sofistica c
dialettica si contrappongono in modo del tutto tradizionale: l'atti-
vità pedagogica, infatti, doveva avere qualcosa in comune con la
dialettica dal momento che i Libri logici di Cleante contenevano
una parte o presentavano un sottotitolo Sulla diàlettica.

Fatte queste premesse di ordine generale e metodologico vedia-


mo ora di cogliere il senso delle caratteristiche fondamentali del-
la dialettica stoica, tenendo presente che essa si identifica con la
logica, è collegata con la retorica e la teoria del linguaggio e, infi-
ne, con quella ricerca del criterio della verità che rappresenta una
prima forma di metodologia filosofico-scientifica. Di fronte alla
complessità di queste connessioni, estremamente difficile e forse
impossibile da ricostruire sui testi, la posizione della dialettica ap-
pare piuttosto vaga come abbiamo visto dalle due citazioni di Ze-
none poco sopra riferite e presenta un carattere sostanzialmente
metodico e propedeutico. Stabilito che " la filosofia si divide in
fisica, etica e logica", "nell'ordine dell'insegnamento va messa
prima la logica, poi l'etica, infine la fisica. Giacché prima la men-
te deve essere fortificata per conservare tenacemente le dottrine,
e tutto il tirocinio dialettico è come un corroborante della men-
te; poi si deve tracciare la teoria morale, diretta al miglioramento
dei costumi, c questo studio si presenta scevro di pericoli soltan-
to se è ben fondata la facoltà ragionatrice; per ultimo si deve
esporre la teoria fisica, perché ha un carattere divino, e richiede
più lenta ponderazionc " 10•
La dialettica, insomma, pare già qui uno strumento del saggio
e n~m c'è dubbio che essa viene presentata secondo uno dei si-
gnificati che essa aveva avuto in Platone. Anzi, Zenone riprende
in un certo modo il tema platonico dialettica-scienza-virtù, se de-
ve avere un senso questa tesi che gli attribuisce Diogene Laerzio:
" La dialettica è necessaria al sapiente e comprende sotto di sé
altre virtù : 'la mancanza di precipitazione', che è la scienza del
quando si debba acconsentire e quando no; l''inconfutabilità', che
è, nel discorso, la forza di non lasciarsi trarre all'opinione oppo-
sta; la 'mancanza di leggerezza', che è l'abito di riportare alla ret-

• op. cii., vol. n, pp. 95-96.


10 Questo testo e i seguenti vedi in l frammenti .. , cit., pp. 28-30 e in

DIOGENE LAF.RZIO, Vite dei filosofi, trad. it. di M. Gigante, Bari 1962, Li-
bro vrr, capp. 42 e 46.

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Qualche considerazione sulla " dialettica " degli Stoici 91

ta ragione i dati dci sensi. La scienza stessa o è comprensione si-


cura, o è un abito di accogliere i sensibili in modo che la ragione
non abbia niente a mutarvi. Senza lo studio della dialettica il
sapiente non può essere sicuro nel ragionamento. Essa insegna
a distinguere il vero dal falso, ad accertare i gradi della probabili-
tà, a scoprire le ambiguità. Senza la sua guida, non è possibile
procedere metodicamente nell'interrogare c nel rispondere ".

La conclusione di Diogene, che definisce il compito della ·dia-


lettica come la possibilità di procedere metodicamente nell'inter-
rogare e nel rispondere, non ci dice nulla di nuovo, ma ci dà una
caratteristica che nella dialettica degli Stoici era rimasta evidente-
mente ben viva. Infatti, in un altro passo egli afferma: "defini-
scono la retorica la scienza di dire bene su argomenti pianamente
c unitariamente esposti e la d~alettic.a la scienza di discutere ret-
tamente su argomenti per domanda e risposta. Perciò danno an-
che quest'altra de.finizionc: la scienza di ciò che è vero e ciò che
è falso, e di ciò che non è né vero né falso ". Con questa citazio-
ne l'autore introduce un tema classico della dialettica stoica, la
teoria degli indifferenti, che occupa nella filosofia stoica un posto
di rilievo. Ora, a noi non interessa entrare nei particolari di que-
sta dottrina. Vorremmo soltanto far notare che per quanto riguar-
da la dialettica è presente qui una tesi tipicamente aristotelica, se
è giusta l'interpretazione che abbiamo dato della dialettica di Ari-
stotele: le tesi correnti, le tesi sostenute dalla maggioranza degli
uomini o dai più saggi non sono, appunto, né vere né false, oppu-
re insieme vere c false, sono l'opinione comune della quale non si
può non tener conto; può essere discussa, ma va presa per quello
che è. A questa problematica sono riconducibili almeno due fram-
menti di Zenone di provenienza diversa: " l'opinione è una com-
prensione malferma mista di elementi falsi e ignoti "; " stretta-
mente connesse tra loro sono la scienzà c l'opinione, e sul confi-
ne di entrambe, la comprensione. Se la comprensione è salda e
sicura, sì che nessun argomento dialettico possa scuoterla, essa è
scienza, se debole e incerta, è ignoranza". In questi testi è in-
teressante far notare da una parte la definizione dell'opinione e
il rapporto scienza-opinione, e. dall'altra la citazione dell'" argo-
mento dialettico ", che ci riconducono proprio alla tradizione ari-
stotelica. P-, chiaro che se l'opinione è una forma di comprensio-
ne e se scienza e opinione risultano " strettamente connesse ", il
problema generale resta quello del discorso, e quindi del rappor-
to fra la dialettica e la retorica, cioè quel problema che Ari-
stotele aveva saputo individuare. E Zenone non può non rico-:

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92 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

noscerlo se gli è attribuito questo passo: " Il discorso è di due


maniere: ragionativo e oratorio. Sicché, o dialettica o retorica ".
Il testo continua con una delle tante esemplificazioni che sono
state attribuite a Zenone, e che ci riconducono alle considerazioni
con le quali abbiamo iniziato la presentazione della dialettica stoi-
ca: " Col pugno chiuso Zenone so leva indicare il carattere con-
ciso e serrato della dialettica, con la palma aperta e le dita tese
l'ampiezza e la diffusione della retorica " 11 •

5.3. La dialettica, "la parte più nobile della filosofia" se-


condo Plotino
Dedicare alcune pagine a Plotino in una storia della dialettica
è pura convenzione. Gli interpreti riconoscono non solo la sua
ascendenza platonica, ma il suo essere una elaborazione della dia-
lettica di Platone. Anche se è apparsa tipica di una certa conce-
zione della dialettica, quella " mistica " o " ascendente ", con i
suoi significativi prolungamenti nei mistici tedeschi e attraverso
questi fino a Hegèl 12, si deve però dire che tale elaborazione risul-
ta piuttosto confusa.
In primo luogo possiamo osservare che se la dialettica stoica,
per riprendere lo schema delineato all'inizio di q ucsto capitolo,
può essere senz'altro definita soggettiva, quella di Platino è una
dialettica oggettiva e si identifica con la scienza: " ... procede con
scienza e non opinando ... ella si ferma nel regno dello spirito ed
esercita lassù il suo compito " 13• Tuttavia, c'è in questa figura
plotiniana un elemento soggettivo, propedeutico. Infatti, Plotino
afferma che la filosofia è " la cosa più nobile " e la dialettica si
identifica con la filosofia nel senso che ne costituisce " la parte
più nobile ", ma aggiunge: " non si deve affatto ritenere un sem-
plice strumento del filosofo ", non si esaurisce in regole e teore-
11 l frammenti ... , cit., pp. 36 e 29 (il secondo dei frammenti qui citati

è attestato anche da Sesto Empirico).


12 Si veda il capitolo su Plotino e i mistici nella storia della dialettica
in G. GURWITCH, Dialectique et sociologie, Paris 1962.
" PLOTINO, Enneadi, trad. it. a cura di V .. Cilento, Bari 1947 sgg: il
capitolo m dell'Enneade r è dedicato alla dialettica; il capitolo è a sua
volta diviso in sezioni e in paragrafi indicati col numero romano e col nu-
mero arabo, che d'ora in poi riporteremo direttamente nel testo. Si tenga
inoltre presente che l'opera di Platino era il testo base dell'insegnamento e
della scuola e che nella forma attuale è stata raccolta e redatta da Partì-
rio. La citazione corrisponde a IV, 11.

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La dialettica secondo Plotin.o 93

mi - ma investe le cose stesse, " ha gli esseri, per così dire, come
sua materia: eppure si avvicina agli esseri con un metodo tutto
suo, perché possiede ad un tempo, insieme con i teoremi, anche
le cose stesse" (n, 14). La dialettica è anche un metodo, dunque,
sia pure di tipo particolare, ma è inoltre e nello stesso tempo una
" scienza ausiliaria ", come si cura di dichiarare Platino nel ca-
pitolo successivo: " Se, quindi, la dialettica è la parte nobile, ciò
vuol dire che la fìlosofia ha ancora altre parti: e, di fatti, spe-
cula nel campo fisico, attingendo dalla dialettica come da scien-
za ausiliaria né più né--meno delle altre scienze che si giovano pu-
re dell'aritmetica " (vi, 16).
1:: difficile, come si vede, per non dire impossibile ricavare dal
testo di Platino una definizione univoca della dialettica e del suo
compito. Forse è meglio lasciare il termine nella sua ambiguità,
non imputabile ad una intenzione di Plotino e neppure del redat-
tore dell'opera; certamente essa dipende dalla complessità della
tradizione che Plotino trovava di fronte a sé e della cultura della
sua epoca. E quindi più opportuno rintracciare e rilevare altre
caratteristiche, che ci appariranno non meno contraddittorie: le
lasceremo nella loro apertura e problematicità.
Prima di nominare l<j. dialettica, Platino parla dell'arte o me-
todo o vita che bisogna seguire, del cammino che si deve percor-
rere e del luogo dove si deve andare, della meta alla quale indiriz-
zarsi; parla altresì di coloro che vorranno affrontare questa im-
presa, cioè un certo tipo di vita, che richiede una certa condotta
per pervenire al " bene e al principio primo ", come egli dice, ci-
tando, si ritiene, Platone: costoro sono uomini predestinati ad
essere filosofi, musici o amanti (I, 1-3). A noi sembra che la de-
finizione, la funzione e il compito della dialettica si esauriscano
qui; prima, si badi, che il termine dialettica sia da Platino pro-
nunciato. Si tratta di una violenta schematizzazione e di un impo-
verimento del platonismo (basti pensare che scompare tutto il
problema del tirocinio " dialettico ", aperto non soltanto ai prede-
stinati e ai ben nati, come scompare anche il rapporto scienze-
dialettica-filosofia) - ma non c'è dubbio che questo " attacco "
della digressione plotiniana sulla dialettica è interessante cd è
una acuta interpretazione del platonismo stesso. Detto con altro
linguaggio: può essere dialettico il mio discorso sulla dialettica?
Caratteristico della dialettica è il suo escludere una teoria della
dialettica. In una teoria della dialettica la dialettica si esaurisce e
si spegne.
Infatti, la dialettica viene nominata alla fine della descrizione
della natura del filosofo, "già balzato verso l'alto "; "mal certo

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94 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

del cammino, ha bisogno solo di chi glielo additi"; "In verità,


occorre dargli solo quegli insegnamenti che l'avvezzino a coglie-
re pienamente l'incorporeo e ad averne sicura fede... ed essendo
egli spontaneamente virtuoso, bisogna elevarlo ad un perfezio-
namento di virtù e dargli, dopo le discipline matematiche, le dot-
trine della dialettica: farne, insomma, un dialettico " (m, 9).
La citazione conferma le difficoltà che avevamo notato
all'inizio: in sostanza o la filosofia e la dialettica coincidono come
scienza oppure la dialettica è un semplice strumento oppure, an-
cora, la dialettica è le due cose insieme - tesi eminentemente pla-
tonica, che in Platino tuttavia resta da dimostrare. E Platino non
lo dimostra affatto neppure nel capitolo IV quando cerca di de-
finire la dialettica identificandone i contenuti e i compiti. Si può
dire che egli riprende nello stesso tempo le immagini e le tesi del-
la Repubblica e del Fedro: la dialettica procede verso il "regno
dello spirito ", " dopo aver dato tregua al nostro vagabondaggio
nel campo sensibile "; poi si esercita all'interno del " campo della
verità ", un ritorno, esplicito perché dichiarato, de,l platonico
mondo delle idee.
A questo punto (Iv, li) non è più possibile comprendere nei
particolari le operazioni della dialettica a meno che non si tratti
del cosiddetto metodo dell'analisi e della sintesi, della divisione e
della riunificazione, di cui parla il Fedro : con la differenza che
mentre in Platone era conservato ed era vivo un rapporto fra le
idee e le cose, in Platino l'esercizio dialettico si genera e si esau-
risce nel " campo dello spirito " - quello stesso spirito che forni-
sce i principi alla dialettica, principi " evidenti, sol che uno sia
in grado di coglierli, con l'anima" (v, 15). Qui c'è un'ennesima
difficoltà o oscurità o contraddizione. Infatti, Platino aggiunge
che la dialettica, alla quale lo spirito, suo campo d'azione, forni-
sce i principi - un atto del tutto incomprensibile perché si tratta
realmente di un dono dello spirito (non dimentichiamo i prede-
stinati a filosofare e il poter essere in condizione di cogliere i
principi) - "interviene nelle conseguenze (dei principi), e le po-
ne insieme, le intreccia, le separa sino a raggiungere lo spirito
perfetto ". Se queste parole e se questa costruzione hanno un
senso, quello di Platino è un caso paradigmatico d'identità o co-
munque di confluenza di dialettica soggettiva e dialettica ogget-
tiva, che pur mantengono, o si sforzano di mantenere, una loro
propria autonomia. Insomma, la dialettica è lo spirito, è nello
spirito.

A noi sembra che la tesi di Platino sia o diventi comprensibile

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Figure, problemi e metodi della dialettica nel Medioevo 95

quando si tiene presente l'identità di dialettica e sapienza (VI,


17) : questa unità non rappresenta più un punto di vista per una
costruzione teorica, ma il metro del valore e del significato delle
virtù. Non ci interessa questa dottrina in particolare. Vorremmo
solo far notare che nella sua connessione con la sapienza e la
prudenza, la dialettica acquista ancora una volta in Platino una
dimensione platonica, ma ormai legata ad un discorso interiore,
personale, c_he ha smarrito qualsiasi contatto con la realtà e con
la storia e in definitiva qualsiasi possibilità di comprenderle e di
giustificarle - non c'è un filosofo che, percorsa la caverna, ritor-
ni nel mondo degli_ uomini - " ... allora, poi, tenendosi tranquilla -
in una pace quale che sia, nel limite dello spirito - senza affannar-
si più per nulla, raccolta in unità, guarda ... " (rv, 12).

5 .4. Figure, problemi e metodi della dialettica nel Medio-


evo. Gli intellettuali e il mondo delle città
" La danza macabra che alla fine del Medioevo trascina i di-
versi stati, cioè i differenti gruppi della società, verso il nulla in
cui si compiace la sensibilità di un'epoca al suo declino, accan-
to a re, nobili, ecclesiastici, borghesi e gente del popolo porta via
spesso con sé un chierico che nòn sempre si identifica con i mo-
naci e i preti. È il discendente di una stirpe caratteristica nel
mondo occidentale medievale, quella degli intellettuali... Fra i
tanti nomi: scienziati, eruditi, chierici, pensa tori (la terminologia
del mondo del pensiero è sempre stata vaga), quello di intellet-
tuale abbraccia un ambiente dai contorni ben definiti, quello dei
maestri delle scuole. Si annuncia nell'alto Medioevo, si sviluppa
nelle scuole urbane del XII secolo, fiorisce nelle università a par-
tire dal. secolo decimoterzo. Esso indica coloro che per mestiere
pensano e insegnano il loro pensare. E questa alleanza della ri-
flessione personale e della sua diffusione nell'insegnamento carat-
terizzava appunto l'intellettuale. Prima dell'epoca contemporanea,
l'ambiente degli intellettuali non fu mai, senza dubbio, così ben
delimitato e non ebbe più chiara coscienza di sé cç>me nel Me-
dioevo " 14•
Le scuole e l'insegnamento, il dibattito filosofico e politico nel-
la riconquistata dimensione delle città - è il mondo proprio della
dialettica. Non c'è bisogno, a questo punto, di argomentare l'af-

" J. Ln GoFF, Genio del Medioevo, trad. ii. Milano 1959, pp. 5-7.

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96 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

fermazione·. Non possiamo che rimandare ai capitoli precedenti


di questa storia, in particolare ai Sofisti. Basterà sottolineare che
secondo questa prospettiva l'intera storia della filosofia e in ge-
nere della cultura medievale si identificano con le vicende della
dialettica, un'impresa, quindi, disperata quando se ne voglia ten-
tare una ricostruzione. E questo vale anche se ci limitiamo allo
schema interpretativo che abbiàmo talvolta seguito, d'individua-
re la dialettica nelle sue due forme o momenti, soggettiva o og-
gettiva.
Certo, il Medioevo ci presenta in tutta la varietiì. delle sue
manifestazioni, forme, figure, la dialettica soggettiva, la dialet-
tica del dialogo c della discussione, e la pratica intensamente in
perfetta coerenza col mondo delle scuole e delle città. Ma, come
è stato giustamente detto, ·· enumerare i nomi di coloro che da
Abelardo - c vi furono anche dei predecessori - fino alla fine del
Medioevo, fino alle scuole cattoliche e protestanti del xvii seco-
lo han~o insegnato e affinato il metodo, significherebbe redigere
un catalogo tanto vano quanto inutile ... Che la dialettica formale
c soggettiva rinvii a un'altra, oggettiva, è un fatto: sarebbe sor-
prendente che non fosse così in una tradizione in cui convivono
platonismo, aristotelismo e tradizione paolina, tre dottrine dia-
lettiche nei loro stessi principi, nei loro reciproci rapporti e con-
ciliabili solo mediante uno sforzo che miri all'accordo del discor-
so teologico-metafisico non soltanto con se stesso ma anche con
la realtà terrestre, la realtà soprannaturale e la grazia. Ma questa
dialettica della realtà non deve presentarsi in senso stretto come
dialettica, c la volontà di quel pensiero non mira a conciliare la
contraddizione riconosciuta come reale, ma a coordinare (e quin-
di distanziare) i diversi piani dell'Essere e della verità. Anche là
dove non si giunge alla concezione di una doppia verità, ciò che
si vuoi determinare è la non-contraddizione di ciò che è soltanto
diverso e che si limita a completarsi: la contraddizione non è
superata, è evitata. La coerenza del discorso serve solo a preser-
vare l'uomo dalla contraddizione e dalle contraddizioni della real-
tà c così deve proteggerlo dai pericoli del dubbio, dello scettici-
smo e della miscredenza come conseguenze di un discorso in se
stesso duplice. Più la dialettica oggettiva diviene oggetto di ti-
more, più acquista importanza la dialettica soggettiva come mez-
zo di svelare e quindi evitare le contraddizioni " 1'.

" E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, cìt., p. 25. Su questi punti,


in partìcolare sulla pratica della dialettica, vengono qui ricordate le due
celebri opere di M. GRABMANN. Dìe Gewlrichte der Sclwlus(ischen Metho-

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La dialettica nell'iconografia 97

5.5. Fiore e scorpione, scettro e serpente: la dialettica nel-


l'iconografia
Se queste sono, dunque, le caratteristiche della dialettica del
Medioevo, prima di presentare alcune sue configurazioni con-
nesse alla storia del pensiero, ci sembra utile vedèrne qualche
traccia nella vastissima iconografia dell'epoca. Anche questo è
un fatto che non ha bisogno di spiegazioni: il mondo delle città
e delle scuole è il mondo di un'imponente rinascita della vita pub-
blica e delle sue istituzioni; cattedrali, edifici pubblici e privati,
intere città vengono costruite o ricostruite, e in questa opera tro-
va spazio infinito la fantasia dell'uomo e la sua capacità di nar-
rare e di illustrare. ~ inutile fare esempi. Il ciclo e le immagini
delle arti liberali, e tra queste della dialettica, è un leitmotiv, dif-
fusissimo, fra i più cari agli artisti.

Le descrizioni fondamentali della dialettica, alle quali si può


far risalire gran parte dell'iconografia, si leggono in un passo di
Marziano Capella (v sec.) e in un brano di un poemetto di Ala-
nus ab lnsulis o Alano di Lille (XII sec.) 16 • Sono abbastanza in-
teressanti.
Dice Marzi ano Capella: " ... al richiamo di Apollo si è pre-
sentata una donna un po' pallida, ma dall'aspetto risoluto e con
gli occhi vibranti e continuamente mobili; i capelli apparivano
sinuosi, arricciati con una piega elegante c intrecciati, ed essi poi
disposti in ondulazioni progressive conferivano una struttura co-
sì circolare a tutta la testa tanto da pensare che non mancava
nulla... aveva il velo e la veste di Atena, ma ciò che aveva in
mano poteva sembrare inaspettato e inadatto a tutte le sue at-
tività. Nella sinistra, infatti, teneva un serpente raggomitolato
in enormi spire; nella destra alcune formelle o tavolette finemen-
te lavorate, splendenti per la bellezza delle loro variopinte illu-
strazioni e trattenute da un amo nascosto; e mentre la sinistra
nascondeva sotto il vestito quelle insidie viperine, la destra in-
vece era offerta a tutti... ".

de, Freiburg 1909-1911 e soprattutto Die Sophismataliteratur des 12. und


l 3. Jahrhunderts, in « Beitragc zur Geschichte der Philosophie des Mitte-
lalters », 1940.
1 ~ MARTIANUS CAI'ELLA, De Nuptiis, Lipsia 1866, IV, 99 e ALANUS AB

lNsuus, Anticlaudianus, m, l (Patrologia Latina, 21 O, 509). Seguo per


questo paragrafo la voce "Dialektik " di L.H. Heydenreich, in ScHMITT-
GALL-HEYDENRETCH, Reallexikon zur deutschen Kunstgeschichte, Stoccarda
1954, m, pp. 1387 sgg.

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98 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

Leggiamo ora il testo di Alano: " ... l'abito, il comportamen-


to, la magrezza, il pallore, rappresentano gli insonni moti del suo
animo ed esorta la vigile Minerva e le attente guide a vigilare
con lei. Nel dirimere una questione porta i capelli verso il bas-
so e combattendo con se stessa lotta senza motivo; il pettine non
cura i suoicapelli, né le forbici Ii tagliano ... mentre gli occhi con-
tendono con le stelle, sembrano ardere; la vista dell'aquila non
è così acuta e neppure quella della lince : i loro occhi si dichia-
rano vinti e temono il confronto. La mano destra tiene un fiore
come un dono, mentre uno scorpione che avanza minaccia la si-
nistra con la punta della coda. La destra ha il sapore del miele,
la sinistra del fiele, l'una promette sorrisi e l'altra invita al pian-
to; l'una attrae e l'altra respinge; quella accarezza e questa fe-
risce; l'una scoraggia e l'altra dà forza. Non giaceva nello squal-
lore del sudiciume ma non era neppure avvolta da una superba
luce, ma aveva qualcosa dell'uno e dell'altro modo, come una
via di mezzo. Un nuovo pittore con un'arte nuova, pantomima
della verità, insegna la battaglia delle confutazioni e il duello
della logica ".

Certo, a chi ha presente l'iconografia medievale oppure ha


soltanto una certa consuetudine con i testi, queste descrizioni
possono sembrare un po' di maniera, quasi delle images d'Epi-
nal, ed effettivamente lo sono diventate nel corso dei secoli. Ma
proprio per questo sono interessanti. Nelle due descrizioni è evi-
dente in complesso una nota negativa : il pallore del volto (la dia-
lettica è più pallida della grammatica), i capelli crespi stanno in-
dubbiamente a indicare un esercizio, quello dialettico, acuto sì ma
vano cd estenuante. I capelli possono però essere ordinati, anzi
dare alla testa una " struttura circolare ", cioè perfetta, e questo
potrebbe significare che la dialettiéa rappresenta, pur nella stra
doppiezza, che è al centro in entrambi gli autori, uno strumento
completo, capace, almeno in -sé, di un risultato compiuto.
Gli occhi vibranti, l'acutezza dello sguardcr sarebbero il mez-
zo per raggiungere quel fine. Resta fondamentale la caratteristi-
ca comune della diversa funzione delle due mani: il serpente e
lo scorpione da una parte, cioè la sottigliezza velenosa che si
esercita verso gli altri ma anche verso se stessa, il fiore e le sta-
tuette o esche dall'altra: essi possono rappresentare sia il bene
contrapposto al male e quindi la buona argomentazione contrap-
posta a quella capziosa (ma questa, forse, è un'interpretazione
un po' schematica, ariche se non estranea allo spirito medieva-
le) sia i contenuti, la materia dell'esercitazione esposta ai perico-

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La dialettica nell'iconografia 99
li della sottigliezza e della doppiezza sillogistica 17• Non dimenti-
chiamo - va appena accennato - il grande e drammatico dibat-
tito, che ha percorso e scosso tutto il Medioevo e la sua visione
teologica, teocratica della vita e dell'universo, sulla funzione, i
modi, le forme, gli strumenti e i fini della ragione dell'uomo e
delle sue capacità e possibilità. Questo spiega l'insistenza e la
preminenza del tono e delle note negativi nelle due raffigurazio-
ni letterarie.
Vediamo ora qualche particolare. Oltre alle ciocche di capel-
li crespi, di cui parla Marziano Capella, divengono tipici il ser-
pente, l'amo o canna da pesca e le "formulae ". Di queste ulti-
me si sono date le più svariate interpretazioni, ma in genere si
ritengono tavolette oppure vere c proprie formelle o anche pic-
cole figurctte di cera che potrebbero rappresentare le esche di
un amo. Rappresentazioni di questo tipo si trovano in un mano-
scritto di Marziano Capella alla Biblioteca Nazionale di .Parigi
e nella cosiddetta Miniatura di Attavante in un codice latino
della Marciana di Venezia.
Altrettanto tipici gli attributi della dialettica secondo Alano:
lo scorpione nella sinistra e il fiore nella destra, fedelmente rap-
presentati a S. Maria Novella, nella Cappella degli Spagnoli, e
neiia chiesa di S. Francesco a Pistoia, Cappella Bracciolini. Nella
Biblioteca Capitolare di Verona un manoscritto del xm secolo
reca questa illustrazione, più rara: le Arti lavorano alla costru-
zione del carro deiia Phronesis c la dialettica è impegnata alla
messa in opera dell'asse del carro. Stessa immagine, più insolita
e più raffinata, in un manoscritto tedesco del xv secolo: la Loyca
è una vergine che fora il mozzo della ruota (Salzburger Studien-
bibliothek). Ricordiamo, infine, per la sua celebrità l'archivolto
del portale occidentale di Chartres: la dialettica sta sopra ad
Aristotele, se non andiamo errati, e reca nella destra uno scettro
fiorito, attributo proprio della sapienza o della filosofia, e nella
sinistra il serpente - un'immagine che ha alle spalle, nelle illu-
strazioni dei codici italiani e stranieri, una lunga tradizione e che
trae probabilmente da Alano il motivo del fiore.
Gli attributi del serpente e dello scorpione sono i più frequen-
ti e compaiono nel Medioevo nelle variazioni più diverse: nello
sdoppiamento, per esempio nella Canzone delle virtù e delle scien-
ze (xiv sec.), da intendersi come "opponens" e "respondens ",
11 È abbastanza interessante, e divertente, leggere, per comprendere
letteralmente alcuni passaggi dei due testi, Remigii Antissiodorensis Com-
mentum in Martianum Cape/lam, ed. Cora E. Lutz, Leiden 1965, libro IV,
150.16 sgg.

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100 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

"conflictus" o "logicae duellum "; nella rappresentazione della


ratio come testa dinanzi al petto della dialettica secondo l'illustra-
zione di Agostino nel De Ordine, oppure con attributi secondari
come la scimmia, il libro, la coppa, la lampada ecc. Ma vi sono
altri motivi illustrativi, quindi interpretativi: il gesto del dito
che argomenta o che conta nell'atrio della Cattedrale di Fribur-
go e sul sepolcro di Roberto d'Angiò a Napoli, un motivo che di-
venterà frequentissimo nel Rinascimento e nel Barocco: il ser-
pente dalle cento teste, per esempio nell'Hortus deliciarum di
Herrad von Landsberg: " argumenta sino concurrere more ca-
nino" [lascio gli argomenti in lizza, al modo di cani], un moti-
vo antico, la " dialectica mordet " di un manoscritto latino ante-
riore al XII secolo (Parigi, Biblioteca Nazionale); la chiave, com-
binata con un animale dalle cento teste, come nel cosiddetto
Boezio di Monaco (xiii sec.) : " pro me firmatur verum falsum-
que probatur " [grazie a me il vero è fortificato e il falso
provato]; la bilancia, infine, individuabile a partire dal Rinasci-
mento, è di sicuro una immagine medievale e presumibilmente
un attributo della ratiÒ passato alla dialettica.

Vediamo ora qualche illustrazione marginale, curiosa, medie-


vale o del prin1o Rinascimento: su una cassettina di smalto, in-
glese, del XII secolo, al Victoria and Albert Museum di Lon-
dra, la dialettica è rappresentata con la freccia in bocca, sim-
bolo evidente dell'acutezza dell'argomentare, insieme alle Arti
liberali, collocate, e questo è interessante, tra la filosofia e la
scienza della natura; un bassorilievo di Andrea Pisano nel Duo-
mo di Firenze, campanile, raffigura la dialettica con le forbici,
identificandola, forse, col diritto penale.
Del tutto insolita, forse un'invenzione personale, è la minia-
tura, rozza e stilisticamente non bene individuabile, di un mano-
scritto di Boezio della Francia settentrionale (Parigi, Bibliote-
ca nazionale), senza connessione col testo: la dialettica, con le
solite ciocche di capelli, il serpente nella sinistra· e una fiaccola
o più verosimilmente un fiore stilizzato nella destra, siede su un
trono incorniciata da una mandorla; all'esterno della mandorla
guerrieri con spade e ]ance la minacciano da ogni parte, ma so-
no tenuti a bada da- altre !ance che spuntano dalla mandorla stes-
sa; dal cielo scendono uccelli. Le interpretazioni sono molte, ma
non c'è dubbio che si vuoi mostrare la dialettica che combatte
contro argomenti pericolosi, e gli uce~lli stanno ad indicare la
falsa dottrina, cioè quegli "spiriti immondi" di cui parla l'Hor-
tus deliciarum riprendendo un passo dell'Apocalisse.

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Fede e sapere 101

Altra rappresentazione curiosa è quella consegnata in un ma-


noscritto di Boezio del XII secolo (Darmstadt, Landesbibliothek):
la " dialectica domina " è una figura di donna incoronata che tie-
ne nella sinistra il serpente e nella destra una specie di scettro:
nella parte superiore è ornato con un fiore e una croce e nella
parte inferiore reca come elemento ornamentale una serie di con-
cetti: Substantia (corporea, incorporea), Corpus (animatum, ina-
nimatum), Inanimatium corpus (sensibile, insensibile), Animai
(rationale, irrationale), Animai rationale (homo, deus), lo stesso
schema che si trova nel commento a Porfirio di Boezio (Patrolo-
gia Latina, 64, 103). La dialettica ha assunto chiaramente i trat-
ti della sapienza o della filosofia e ai lati le stanno le figure di
Platone, Aristotele, Socrate e un maestro Adamo.
Una funzione particolare è attribuita alla dialettica nel can-
delabro di Hildesheim: la dialettica appare con la filosofia e la
medicina (scienza naturale?); quindi non sembra trattarsi in sen-
so stretto del motivo delle Arti liberali, ma della rappresentazio-
ne di un programma scientifico, tipico del XII secolo (Ugo di San
Vittore tra gli altri).
Infine, ben più recente, ricordiamo il Paolo Veronese nella
Sala del Collegio del Palazzo ducale di Venezia: una donna (la
dialettica) guarda una ragnatela: rivive qui, forse, la tradizione
medievale secondo la quale i dialettici " muscas inanium verbu-
lorum sophismatibus suis tamquam aranearum tendiculis inclu-
dunt " [imprigionano importune mosche, parole inani, con i lo-
ro sofismi come in tela di ragno], e ritroviamo una illustrazione
simile nel museo di Pesaro su una ceramica urbinate del XVI
secolo.
E si potrebbe continuare, all'infinito, a piacere, tanto ricca
è stata la fantasia degli artisti, tanto noto e in1portante per tutti
il tema delle Arti liberali, il dibattito che ne risultava promosso.

5.6. Fede e sapere


Abbiamo visto che la dialettica è accolta nel Medioevo fra
le sette Arti liberali. Abbiamo visto, in ·qualche caso, ma il fat-
to può essere generalizzato, ·che la sua illustrazione e trattazio-
ne è inseparabilmente connessa con questo tema e quindi tutte
le questioni essenziali relative alla sua figura e alla sua evoluzio-
ne debbono venir considerate in questo contesto. In realtà, per-
correndo rapidamente l'iconografìa, abbiamo visto alcuni ele-

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102 Morte c trasfigurazione della dialettica antica

menti propri, particolari della dialettica. Non dimentichiamo, in-


fatti, che accanto alla grammatica e alla retorica la dialettica
forma il Trivio delle Arti liberali, ed ha qui una coiiocazione tut-
ta sua, perché, ben più delle arti sorelle, è stata esposta alle più
diverse c sorprendenti metamorfosi.
Fin dalle origini, nell'alto Medioevo, trovandosi come dottrina
del pensiero accanto alla' retorica e, diciamo così, alla linguisti-
ca (ricordiamo la tradizione stoico-aristotelica), occupa subito
un posto preminente in questa sorta di curriculum studiorum
che è il Trivio. È inutile scegliere citazioni in una letteratura im-
mensa. Basterà ricordare che una Dialectica di Eric d' Auxerrc
(IX sec.) porta anche il titolo Tractatus de Trivio 18 : è una specie
di somma teologica tratta dal pensiero di Sant'Agostino, il qua-
le aveva sostenuto in una ricca serie di scritti dedicati alle arti
liberali (in parte andati perduti) l'importanza della dialettica per
l'esposizione, la fondazione e la difesa della dottrina cristiana.
Abelardo è già evocato 19 • Abbiamo citato il De Ordine, ovc la
dialettica è definita " disciplina disciplinarm:n ": " Haec docet
docere, hacc docet discere: in hac seipsa ratio demonstrat atquc
apcrit quae si t, quid velit, quid valeat. Scit scire: sola scientes
facere non solum vult, sed ctiam potest" [Insegna a insegnare,
insegna ad apprendere: in essa la ragione procede alle sue di-
mostrazioni, e fa palese ciò che essa è, vale, vuole. Sa di sapere:
essa sola non soltanto vuole rendere sapienti, ma anche lo può]
(Libro n, cap. 13, 38). Ma è ancora più interessante notare, a no-
stro avviso, come attraverso Sant'Agostino rimanga viva la tradi-
zione platonica, almeno per un certo periodo, nella doppia acce-
zione che la dialettica ha sempre in Platone: la dialettica è la
scienza- delle scienze e il suo metodo - nel quale non si esaurisce
- è il dialogo. Non a caso del dialogo si era servito Agostino, non
a caso quel Tractatus de Trivio, che abbiamo ricordato, è in for-
ma dialogica, e pure in forma dialogica è il De dialectica di Al-
cuino di York, " primo ministro intellettuale di Carlomagno ",
come si espresse Guizot, che introdusse nelle scuole palatine lo
studio del Trivio e dd Quadrivio 20 •
A partire dal secolo XI la dialettica si determinò come meto-
do filosofico, acquistò un'importanza mai conosciuta prima, fu il
soggetto e l'oggetto, come vedremo, dci ben noti dibattiti all'in-
temo della Scolastica e delle sue scuole. Questo spiega la mol-
" M. GRABMANN, Die Gescilichte der scho!astischen Methode, cit., vol.
I, pp. 186, 190.
" M. GRABMANN, op. cit., vol. I, pp. 126-129.
'" M. GRABMANN, op. cit., pp. 193-194.

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103

tcplicità e la varietà delle forme, degli attributi e ~ei significati


con i quali venne rappresentata: simbolo dell'acutezza del pensie-
ro, che è sottigliezza e sofisticheria, ma anche sofistica e forza
sillogistica, in senso tanto eminente che la si potè identificare
poi con la Logica (Alano: " moilstrat... logicaeque ducllum ";
Gauthier de Metz: " dialectica sive logica ", una identificazione
che sorregge tutta la grande ·sistematica di Anselmo di Canter-
bury, XI sec., un altro sostenitore della forma dialogica) 21 - e
contrapporla, quindi, come filosofia mondana, alla Summa phi~
losophia o teologia come conoscenza compiuta.

Ma leggiamo qualche testo. lnnanzitutto un brano dai Meta-


logico/l di Giovanni dì Salisbury (xn sec.) che dimostra il peso.
della presenza di Anselmo, la forza, ma anche la debolezza, del-
la sua sistematica teologica fondata sulla ragione: " La logica,
nel suo più ampio significato, è l'ordine del discorso o della di-
scussione. Talora il significato è ristretto ad indicare solo le re~
gole dell'argomentazione. Ma, o insegni i metodi del ragionamen-
to o dia la regola di ogni discorso, sono davvero stolti coloro che
la dicono inutile, poiché l'una e l'altra cosa risultano con assoluta
evidenza essere assolutamente necessarie ... Platone divise la logi-
ca in dialettica e retorica; ma coloro che misurano meglio la sua
etlì.cacia distinguono in essa più parti. Le si subordinano infatti:
dimostrativa, probabile, sofistica. La dimostrativa trae forza da
principi rigorosamente intelligibili e di qui passa alle loro conse-
guenze; si muove nel campo del necessario e 4uando ha provato
che una cosa deve essere così, poco si cura di come la pensi que-
sto o quello. Questo si addice alla filosofica maestà di coloro che
rettamente insegnano, poiché la filosofia è sostenuta dal suo giu-
dizio, indipendentemente dall'assenso degli uditori. La logica del
probabile verte intorno alle proposizioni ritenute vere da t~:~tti, o
dai sapienti, note a tutti o ai più o alle più note c probabili e alle
loro conseguenze. Questa comprende la dialettica c la re-
torica ... ·· 22 •
Appunto, la dialettica fa parte della logica, fiorisce nelle scuo-
le, è accolta nei testi " ufficiali ". Accolta fino ad un certo pun-
to, se si pensa alla tragedia della vita c dell'insegnamento di Abe-
lardo (XII sec.), che fu la voce più alta nella storia della dialet-

" Si \'Cda, nell'opera di Grabmann, tutto il capitolo dedicato al meto-


do sdcntifìco di Sant'Anselmo, alla fine del vol. 1, partic. pp. 316-317 e
322-323.
" In Grand<: Amo/ogia Pilosojica, vol. lV, Milano 1954, pp. 718-719.

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104 Morte c trasfigurazione della dialettica antica

tica. medievale. La sua è· una posizione, per dire così, kantiana:


la dialettica è una necessità della ragione umana, fa parte della
sua struttura. E lo dimostra nel lavoro, significativo anche nel ti-
tolo, Sic et non. Abelardo raccoglie in quest'opera un gran nume-
ro di veritates, ossia di sentenze dei Padri, e le raggruppa in. ca-
pitoli, mettendo in ogni capitolo sentenze pro e contra una deter-
minata tesi. Per esempio il cap. rv è intitolato: Quod sit creden-
dwn in Deo, et contra; il XVI: Quod Filius dicatur a Padre gigni,
et contra; il xuv: Quod solus Deus incorporeus sit, et non, [Per-
ché bisogna credere in Dio, e contro; Perché si dice il Figlio gene-
rato dal Padre, c contro; Perché solo Dio è incorporeo, e no]. Il
fatto che Abelardo non dia la soluzione delle antinomie ha indot-
to alcmù a parlare di scetticismo di Abelardo. Interpretazione in-
sostenibile se si pensa alla fede incrollabilc di Abelardo nel va-
lore della ragione e della scienza teologica. La contrapposizione
delle diverse sententiae ha invece uno scopo didattico, poiché
suscita nello scolaro il problema c stimola .alla ricerca della ve-
rità. Dubitando enim ad inquisitionem venimus, inquirendo ve-
ritatem percipimus. [Attraverso il dubbio perveniamo alla ricer-
ca, indagando percepiamo la verità] 23 •
Veniamo ora all'antefatto, ascoltiamo un dibattito celebre
sull'abuso e sul valore della dialettica, due brani di autori del-
l'xi secolo, il pdmo di Lanfranco di Pavia (De corpore et sangui-
ne domini adversus Berengarium) e il secondo, di rimando, di
Berengario di Tours (De sacra coena adversus Lanfrancum):
" Abbandonate le sacre autorità, ti rifugi nella dialettica. In
verità, quando debbo udire o insegnare qualcosa intorno a un mi-
stero, preferirei udire e insegnare ciò che dicono le sacre autori-
tà che non argomenti dialettici. Ma sarà mio impegno rispondere
anche a questi ultimi, perché tu non abbia a credere che io non
ti segua su questo terreno perché non conosco l'arte. Forse a
qualcuno parrà iattanza, e si discuterà più per ostentazione che
per necessità. Ma, mi è testimonio Dio, e la mia coscienza, nel
trattare di verità divina, non avrei voglia di proporre questioni
dialettiche né di rispondere ad esse o di considerare le loro so-
luzioni. Anche quando la materia della discussione è tale da po-
ter essere meglio spiegata con le regole della dialettica, quando
posso nascondo l'arte adoperando proposizioni equipollenti, af-
finché non paia che io confidi più nell'arte che nella verità dci

23 op. cit., p. 758.

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Fede e sapere 105

Santi Padri, sebbene S. Agostino in certi suoi scritti, e special-


mente nel De doctrina christiana, lodi molto la dialettica e af-
fermi che essa ha gran valore per farci approfondire ciò che ri-
guarda la sacra dottrina ".
" Quando osi scrivere che io abbandono le sacre autorità, se
Dio mi aiuta farò vedere che quello che scrivi è una calunnia,
non verità, quando, per la necessità di addurre le sacre autorità,
è il momento opportuno di farlo; sebbene il procedere razional-
mente nella conoscenza della verità sia incomparabilmente me-
glio (... ). Usare di argomenti dialettici per manifestare la verità
non era un rifugiarsi nella dialettica, sebbene, se lo si vuoi chia-
mare rifugio, non mi pento di essermi rifugiato nella dialettica,
dalla quale non abborre neppure la stessa virtù e sapienza divi-
na, anzi con quest'arte vince i suoi nemici. Dice infatti (Matth.
12,27): Se io scaccio i demoni con l'aiuto di Bcclzebùb prin-
cipe dei demoni,· i vostri figli con l'aiuto di chi li scacciano? E
altrove (Matth. 22,45): Se David in ispirito chiama signore il
Messia, in che modo è suo figlio? Di gran cuore mi rifugio nella
dialettica in ogni questione, perché rifugiarsi nella dialettica vuo-
le dire rifugiarsi nella ragione; e chi non si rifugia nella ragione,
poiché l'uomo è fatto ad immagine di Dio per la ragione, rinun-
cia al suo onore, né può rinnovarsi di giorno in giorno ad im-
magine di Dio " 24• ·

Certo, la dialettica può condurre lontano e gli Scolastici, cioè


i pensatori delle scuole c i redattori di summae teologicae, lo sa-
pevano bene, c vigilavano. Dante stesso .lo aveva visto e aveva
colto da par suo Io spirito della dialettica, la sua doppia anima,
cioè il suo carattere di metodo, di propedcutica, di esercizio, ma
anche, proprio per il suo essere metodo cd esercizio della ragio-
ne dell'uomo, la sua capacità di mettere in crisi l'ordine e la cer-
tezza dci divini sistemi. Egli scrive nel Convivio: " E lo cielo
di Mercurio si può comparare alla Dialettica per due proprieta-
di: che Mercurio è la più piccola stella del cielo... che più va
velata de li raggi del Sole, che n.ull'altra stella. E queste due pro-
prietadi sono ne la Dialettica: cM la Dialettica è minore in suo
corpo, che null'altra scienza, ché perfettamente è compilata e
terminata in quello tanto testo, che nell'Arte vecchia e ne la
Nuova si truova; e va più velata, che nulla scienza, in quanto
procede con più sofistici e probabili argomenti, più che altra "
(n, 13: Dante allude ai Topici, un testo relativamente piccolo
24 op. cit., pp. 677-678.

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106 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

rispetto all'Organon, tradotto con opere di altri autori nei due


testi citati dal poeta).
Nella disputa fra quelli che sono stati chiamati gli iperdialet-
tici e gli antidialcttici aveva qualche ragione Michele di Corbcil
(xii secolo, fine) di affermare: " Inutilis inquisitio studium phi-
losophiae " [È una ricerca inutile lo studio della filosofia125 •
Questi sono i punti di riferimento fondamentali. Se una con-
clusione o meglio uno schema può essere tratto dalle vicende
della dialettica medievale, possiamo sottoscrivere queste paro-
le: " ... da un lato, la dialettica, accentuando la direzione logica
si definisce come metodologia delle scienze; dall'altro, sottoli-
neando il nesso con gli aspetti didattici c il discorso persuasivo,
si identifica con la retorica. Nell'uno come nell'altro caso la dia-
lettica celebra la sua natura di ars sennocinalis, legata indissolu-
bihnente al discorso umano, alla ricerca, all'attività sia scientifica
che pedagogica e morale ... un modo di Iaicizzare al massimo la
vecchia formula della dialettica come ars artium, scientia scien-
tiarum " 26•

5.7. "Ars sermocinalis ,; : le Università e la Scolastica


Questa conclusione ci riconduce all'inizio, al mondo delle cit-
tà e dei loro dibattiti, alla nuova funzione degli "intellct.tuali" e
alla nascita delle università che avevamo indicato come caratteri-
stici della vita medioevale: un'epoca " carica di contraddizioni e
menzogna'', come disse Hegel, "una lunga terribile notte", ma ad
un tempo una nuova vita. Vediamola, almeno per la parte che ci
interessa, vediamo quali sono gli strumenti di cui si serve l'uom9
di cultura che non è più il monaco dell'alto Medioevo, isolato nel
suo convento o nella sua abbazia, vediamo come funziona l'uni-
versità, quali sono i suoi metodi e i suoi contenuti, assistiamo a
questa apoteosi della dialettica che si celebra grazie anche ad un
tipo finora sconosciuto di " industria ", della quale non possono
fare a meno le comunità urbane e le " scuole ": il libro. E lascia-
mo parlare un grande storico 27 :

" M. GRABMANN, Die Geschic!lle der sclwlastischen Methode, cit., vol.


u, pp. 117 sgg., partic. p. 127 (la citazione è da un manoscritto).
' 6 E. GARIN, La dialet/ica dal secolo XII ai principì dell"età moder-
na, in Studi sulla dialettica, cit., pp. 136-137.
" LE GoFF, Genio del Medioevo, cit., pp. 99-109.

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Le Università e la Scolastica 107

Il libro universitario è un oggetto del tutto diverso dal libro


dell'alto Medioevo. Esso fa parte di un irrsicme tecnico, sociale
ed economico affatto nuovo, è l'espressione di un'altra civiltà.
La stessa scritturà cambia c si adatta alle nuove condizioni, co-
me ha visto bene Henri P irenne: " Il corsivo risponde a una ci-
viltà in cui la scrittura è indispensabile alla vita della collettivi-
tà come a quella degli individui; la scrittura minuscola (dell'epo-
ca carolingia) è una calligrafia appropriata alla classe letterata in
seno alla quale l'istruzione si confina -e si perpetua. :B gr!inde-
mente significativo rilevare che il corsivo riapparirà accanto ad
essa nella prima metà del XIII secolo, vale a dire precisamente al-
l'epoca in cui il progresso sociale e lo sviluppo dell'economia e
della cultura laiche, generalizzeranno di nuovo il bisogno della
scrittura". I begli studi del padre Destrez 28 hanno rivelato quale
sia la portata della rivoluzione che si verifica durante il XIII se-
colo nella tecnica del libro e che ha per teatro il laboratorio uni-
versitario.
Non sÒltanto gli autori in programma dovevano essere letti
dai maestri agli. studenti, ma i corsi dei professori dovevano es-
sere conservati. Gli studenti li fissavano nelle loro note (relatio-
nes), un certo numero delle quali sono in nostro possesso. Me-
glio ancora, questi corsi venivano pubblicati c dovevano esserlo
rapidamente affinché potessero venire consultati al momento dc-
gli esami, e nello stesso tempo era necessario approntarne un
certo numero di esemplari. La base di questo lavoro è la pecia.
Leggiamo la descrizione di padre Destrez: " Una prima copia uf-
ficiale dell'opera che si vuoi mettere in circolazione è fatta su
quaderni di quattro fogli, lasciati indipendenti l'uno dall'altro.
Ognuno di questi quaderni, fatti di una pelle di montone piegata
in quattro, si chiama pecia (pezzo). Grazie a questi quaderni, che
i copisti prendono in consegna l'uno dopo l'altro, e la riunione dei
quali costituisce ciò che vien detto l'exemplar, lo spazio di tem-
po che sarebbe stato necessario a un solo copista per fare una
sola copia diventa sufficiente, nel caso di un'opera che compren-
da una sessantina di quademi, perché una quarantina di scribi
possano operare ciascuno la propria trascrizione su un testo cor-
retto sotto il controllo dell'Università e diventato in certo modo
un testo ufficiale ".
Questa pubblicazione del testo ufficiale dei corsi ha avuto nelle
università un'importanza capitale. Gli statuti dell'Università di

28 La pecia dans les manuscrils unil'ersitaires du XIII' et du XIV• s.,

Paris, J. Vautrin, 1935.

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108 Morte c trasfigurazionc della dialettica antica

Padova dichiarano nel i 264: " senza esemplari non ci sarebbe


Università ".
L'intensificazione dell'uso del libro in seno alle università por-
ta con sé tutta una serie di conseguenze. Progressi attuati nella
confezione della pergamena permettono di ottenere fogli meno
grossi, più morbidi e meno gialli di quelli dei manoscritti ante-
riori. ln Italia, dove la tecnica è più avanzata, i fogli sono sotti-
lissimi c candidi.
Il formato del libro cambia. Da principio era assai simile a
quello dci nostri in folio. " Ma questa è una dimensione che può
adattarsi a libri scritti in un'abbazia e destinati a rimanervi ".
Ormai il libro è spesso consultato, trasportato da un luogo al-
l'altro. Il suo formato si fa più piccolo, più maneggevole ... Lo svi-
luppo del mestiere intellettuale ha prodotto l'era dei manuali -
del libro mancggevole e che vien maneggiato; testimonianza in-
negabile di come si sia accelerata la rapidità di circolazione del-
la cultura scritta e della sua diffusione. Una prima rivoluzione
è fatta: il libro non è più un oggetto di lusso, è divenuto uno stm-
~mento. È una nascita, più ancora che una rinascita, nell'attesa
della stampa.
Divenuto strumento, il libro è diventato anche un prodotto
industriale, un oggetto commerciale. All'ombra delle università
si sviluppa un popolo di copisti - spesso si tratta di studenti po-
veri che guadagnano ·così di che vivere - e di librai (stationarii).
Indispensabili al cantiere universitario, essi vi si fanno ammet-
tere come operai di pieno diritto. Ottengono così di beneficiare
dei privilegi della gente universitaria, dipendono dalla giurisdi-
zione dell'Università. Aumentano gli effettivi della corporazione
e la accrescono di un ampio margine di artigiani ausiliari. L'in-
dustria intellettuale ha le sue industrie annesse e derivate. Talu-
ni di questi produttori e commercianti sono già dei grandi per-
sonaggi. A lato " degli artigiani la cui attività si riduceva alla ri-
vendita di qualche opera d'occasione", altri " allargano la pro-
pria sino alla qualità di editore internazionale".

Il metodo: la scolastica. - Oltre ai suoi strumenti, il tecnico


intellettuale ha il suo metodo, la scolastica. Di questa illustri em-
diti, tra i quali in primo luogo figura monsignor Grapmann, han-
no raccontato la costituzione e la storia. Il padre Chcnu nella
sua Jntroduction à l'Etude de saint Thomas d"Aquin cc ne ha da-
ta una nitida esposizione. Cerchiamo ora di chiarire che cosa sia
questa scolastica, vittima di denigrazioni secolari c tanto diffici-
le da penetrare senza preparazione a causa.dcl suo aspetto tecni-

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Le Università e la Scolastica 109

co che sembra fatto per respingere il profano, e quale sia la sua


portata. Una frase del padre Chenu deve servirei da filo condut-
tore: " Pensare è un mestiere le cui leggi sono state minuziosa-
mente fissate ".

Vocabolario. - Prima di tutto, leggi del linguaggio. Se le fa-


mose controversie tra realisti e nominalisti hanno riempito il
pensiero medioevale è perché gli intellettuali del tempo accorda-
vano alle parole un giusto potere e si preoccupavano di definir-
ne il contenuto. È essenziale per essi sapere quali rapporti esi-
stano tra la parola, il concetto, l'essere. Non v'è nulla che più
di questa preoccupazione sia opposto al verbalismo di cui fu ac-
cusata la scolastica e in cui d'altronde questa è caduta talvolta
nel XIII secolo e sovente in seguito. I pensatori e i professori del
Medioevo vogliono sapere di che cosa parlano. La scolastica è
a base di grammatica. Gli scolastici sono gli eredi di Bernardo
di Chartres e di Abelardo.

Dialettica. - In secondo luogo, leggi della dimostrazione. TI se-


condo piano della scolastica è la dialettica, insieme di procedi-
menti che fanno dell'oggetto del sapere un problema, che lo e-
spongono, lo difendono contro gli attaccanti, lo sciolgono e con-
vincono l'ascoltatore e il lettore. Qui il pericolo è il ragionamen-
to a vuoto - non più il verbalismo, ma la filastrocca. Bisogna
dare un contenuto alla dialettica, un contenuto non di sole pa-
role ma di pensiero efficace. I dottori universitari sono i discen-
denti di Giovanni di Salisbury, il quale diceva: "La logica da
sola rimane esangue e sterile; essa non porta nessun frutto di
pensiero se non concepisce al di là delle parole ".

Autorità. - La scolastica si nutre di testi. Essa è un metodo


d'autorità, cerca il proprio sostegno nel doppio apporto delle ci-
viltà precedenti: il Cristianesimo e il pensiero antico arricchito
dal. suo passaggio attraverso il mondo arabo. La scolastica è il
frutto di un momento, di un rinascimento: essa digerisce il pas-
sato della civiltà occidentale. La Bibbia, i Padri, Platone, Aristo-
tele, gli arabi, sono gli elementi del sapere, i materiali dell'opera.
Qui il pericolo è costituito dalla ripetizione, dallo psittacismo,
dall'imitazione servile. Gli scolastici hanno ereditato dagli intel-
lettuali del xn secolo il senso acuto del progresso necessario e
ineluttabile della storia e del pensiero. Con i materiali essi co-
struiscono la loro opera. Alle fondamenta sovrappongono piani
nuovi, edifici originali. Essi sono della stirpe di Bernardo di Char-

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110 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

tres, saliti sulle spalle degli antichi per vedere più lontano. " Noi
non troveremo mai la verità ", dice Gilberto di Tournai, " se ci ac-
contenteremo di ciò che è stato già trovato ... Coloro che scrissero
prima di noi non sono per noi dei signori ma delle guide. La ve-
rità è aperta a tutti, essa non è stata ancora posseduta per intie-
ro ". Ammirevole slancio dell'ottimismo intellettuale, contrappo-
sto al melanconico " tutto è stato detto c siamo arrivati troppo
tardi...".

Ragione: la teologia come scienza. - Gli è che alle leggi del-


l'imitazione la scolastica unisce le leggi della ragione, alle prescri-
zioni dell'autorità gli argomenti della scienza. Meglio ancora, ed
è questo un progresso decisivo del secolo, la teologia fa appello
alla ragione, diventa una scienza. Gli scolastici sviluppano l'invi-
to implicito della Scrittura che incita il credente a render ragione
della propria fede: " Siate sempre pronti a soddisfare chiunque vi
interrogherà, a dar ragione di quello che è in voi grazie alla fe-
de e alla speranza " (T Ptr., 3, 15). Essi rispondono all'appello di
san. Paolo per il quale la fede è " l'argomento delle cose invisibili
(argumentum non apparentium)" (Ebr. 11, 1). Da Guglielmo
d'Alvcrnia, iniziatore in questo campo, a San Tommaso, che da-
rà della scienza teologica l'esposizione più sicura, gli scolastici
faranno ricorso alla ragione teologica, " ragione illuminata dalla
fede (ratio fìde illustrata) ". La formula profonda di Sant'Ansel-
mo " fides quaerens intellectwn, la fede si appella all'intelligenza "
sarà illuminata quando San Tommaso avrà stabilito in linea di
principio che "la grazia non fa scomparire la natura ma la com-
pie (gratia non tollit naturam sed perficit) ''.
Nulla è meno oscurantista della scolastica per la quale la ra-
gione sfocia nell'intelligenza e i cui lampi trovano la loro per-
fezione facendosi luce.
Così fondata la scolastica viene strutturandosi attraverso il la-
voro universitario, con i propri procedimenti d'esposizione.

Gli esercizi: quaestio, disputatio, quodlibet. - Alla base il


commento dci testi, la lectio, analisi in profondità, la quale parte
dall'analisi grammaticale che dà la lettera (littera), si eleva alla
spiegazione logica che fornisce il senso (sensus) c si compie con
la esegesi che rivela il contenuto in scienza c pensiero (sententia).
Ma il commento fa nascere la discussione. La dialettica per-
mette di andare al di là della comprensione del testo per trattare i
problemi che esso solleva, lo fa scomparire dinanzi alla ricerca
della verità. Tutta una problematica si sostituisce all'esegesi. Con

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Le Università e la Scolastica l ll

procedimenti adatti la lectio si sviluppa in quaestio. L'intellettuale


universitario nasce nel momento in cui comincia a discutere il te-
sto che non è più se non un sostegno, in cui da passivo diventa at-
tivo. Il maestro non è più un esegeta ma un pensatorc : offre so-
luzioni, crea la sua conclusione della quaestio: la determina/io,
è opera del suo pensiero.
La quaestio, nel XII secolo, si distacca anzi da qualunque te-
sto. Esiste in sé. Con la partecipazione attiva dei maestri e de-
gli studenti essa diventa oggetto di una discussione, è diventata
la disputatio.
Il padre Mandonnct 29 ne ha data una descrizione classica:
" Quando un maestro disputava, tutte le lezioni date nella
mattinata dagli altri maestri c dai baccellieri della facoltà cessa-
vano; soltanto il maestro che teneva la disptfa faceva una breve
lezione per permettere agli ascoltatori d'arrivare in tempo; poi
la disputa cominciava. Essa occupava una parte più o meno gran-
de della mattinata. Tutti i baccellieri della facoltà e gli allievi del
maestro che disputava dovevano assistere all'esercizio. Gli altri
maestri e studenti, a quanto pare, erano liberi; ma non c'è da du-
bitare che presenziassero più o meno numerosi a seconcla della
reputazione del maestro e dell'importanza dell'argomento in di-
scussione. Il clero parigino, i prelati e altre personalità ecclesia-
stiche di passaggio nella capitale frequentavano volentieri questi
tornei così appassionati. La disputa era la giostra dei chierici.
La questione su cui si doveva disputare era fissata, in an-
ticipo, dal maestro cui spettava di sostenere la disputa. Questa
era annunciata, in un giorno fissato, nelle altre scuole della fa-
coltà ...
La disputa si svolgeva sotto la direzione del maestro; ma
non era lui, per essere esatti, a disputare. Era il suo baccelliere
che assumeva l'ufficio di mallevadore e cominciava così il suo ti-
rocinio in questo genere di esercizi. In genere le obiezioni erano
presentate in sensi diversi, prima dai maestri presenti, poi dai
baccellieri c, finalmente, se era il caso, dagli studenti. Il baccel-
liere rispondeva agli argomenti proposti e, quando era necessario,
il maestro gli prestava il suo concorso. Tale, sommariamente, era
la fisionomia di una disputa ordinaria, ma questa ne era soltanto
la prima parte, anche se la principale e la più movimentata.
Le obiezioni proposte e risolte durante la disputa, senza un
ordine prestabilito, presentavano alla fine una materia dottrinale
29 In « Revue Tbomiste », 1928, pp. 267·269.

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112 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

abbastanza disordinata. meno simile tuttavia agli avanzi di un


campo di battaglia che ai materiali semilavorati di un cantiere di
costruzione. Per tale ragione a questa seduta d'elaborazione ne
succedeva una seconda, che portava il nome di determina::.ione
magistrale.
Il primo giorno leggibile, come si diceva allora, vale a dire il
primo giorno in cui il maestro che aveva disputato poteva dare le-
zione, poiché una domenica, un giorno di festa, o qualche altro
ostacolo potevano impedire che fosse il giorno immediatamente
seguente, il maestro riprendeva nella sua scuola la materia dispu-
tata il giorno o qualche giorno prima. Egli cominciava col coor-
dinare, per quanto la materia lo permetteva, in un ordine o in
una successione logica le obiezioni presentate contro la propria
tesi c dava loro una formulazione definitiva. Egli faceva seguire
queste obiezioni da qualche argomento in favore della dottrina
che stava per proporre. Dopo di che passava a un'esposizione
dottrinale, più o meno estesa. della questione in discussione, che
forniva la parte centrale ed essenziale della detenninazimze. Fini-
va poi rispondendo a ognuna delle obiezioni proposte contro la
dottrina della propria tesi ...
L'atto di determinazione, affidato alla scrittura dal maestro o
da uno degli ascoltatori, costituiva quelle che noi chiamiamo le
Questioni disputate c che sono il termine finale della disputa ".
Infine, in questa cornice. si sviluppò un genere speciale: la di-
sputa - se così sì può dire - quvdlibetica. Due volte all'anno i
maestri potevano tenere una seduta durante la quale ofl"rivano di
trattare un problema " posto da chiunque su qualunque argo-
mento (de quolibet ad voluntatem cujuslihet) ". 11 padre Glo-
rieux 30 descrive questo esercizio nei seguenti tem1ini. ·· La seduta
comincia verso l'ora di terza, forse, o di sesta; in ogni modo, as-
sai per tempo al mattino, perché può darsi che duri molto. Ciò
che la caratterizza, infatti, è il suo andamento capriccioso, im-
provvisato, e l'incertezza da cui è dominata. Seduta di dispute,
di argomentazione come tante altre; ma che offre questo carattere
speciale: l'iniziativa sfugge al maestro per passare agli ascolta-
tori. Nelle dispute ordinarie, il maestro annuncia in precedenza
gli argomenti di cui si occuperà, egli ha quindi riflettuto su di es-
si e si è preparato. In queste sedute, invece, chiunque può solle-
vare qualsiasi problem·a. E questo è per il maestro il grande pe-
ricolo. Le domande o le obiezioni possono venire da tutte le par-

;c La littérature quodlibétique, 1936.

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La società civile e la dialettica delle cose 113

ti, ostili o curiose, o anche maligne, poco importa. C'è chi può
interrogarlo in buona fede, per conoscere la sua opinione; ma
può darsi vi sia anche qualcuno che tenta di metterlo in contrad-
dizione con se stesso o di obbligarlo a pronunciarsi su argomenti
scottanti che egli preferirebbe ignorare. Talvolta sarà uno stranie-
ro curioso o uno spirito inquieto; tal altra un rivale geloso o un
maestro malizioso che tenterà di metterlo in imbarazzo. Qualche
volta i problemi saranno chiari e interessanti, qualche altra le do-
mande saranno ambigue e il maestro farà una certa fatica per
afferrarne l'esatta portata e il vero senso. Certuni si trincereranno
candidamente nel campo puramente intellettuale; altri invece nu-
triranno qualche scopo celato, politico o denigratorio ... Bisogna,
dunque, che chi vuole tenere una disputa di tal genere possieda
una presenza di spirito poco comune e una competenza quasi uni-
versale".
Così si sviluppa la Scolastica, signora rigorosa, stimolatrice di
un pensiero originale obbediente però alle leggi della ragione. Il
pensiero occidentale doveva restarnc segnato per sempre, esso
aveva fatto con la scolastica progressi decisivi.

5.8. La società civile c la dialettica delle cose. "La ricchezza


è potere"
Se ci è consentita una parola di commento al brano di Le Goff,
parafrasando Platino (cap. 5.3.) possiamo solo aggiungere che in
questo quadro la dialettica appare veramente la parte più riobile,
l'anima della Scolastica, il suo riconoscersi in una dimensione
non estranea alla ragione c alle ragioni degli uomini. Apoteosi o
metamorfosi, nuova nascita o tramonto, la dialettica ancora una
volta ha saputo rinnovare la sua tradizione, legata, come ha detto
Garin, indissolubilmente, al discorso umano, alla ricerca, all'atti-
vità sia scientifica che pedagogica e morale.
Poi una lunga decadenza - connessa anche alla decadenza del-
la Scolastica. Di qui il disprezzo di Erasmo, Lutero e Rabelais, il
disgusto di Malebranche. È un fatto. Siamo già entrati nella pie-
nezza dell'età moderna, del mondo del lavoro che preannuncia
l'industria. La scienza nuova è già nata.
Dobbiamo allora cercare di comprendere la nuova situazione.
La dialettica non trova e non desta interessi: " Questa tecnica
della discussione perfettamente elaborata verrà profondamente di-
sprezzata da coloro che sono e vogliono essere gli iniziatori della

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114 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

filosofia moderna. È notevole osservare che troviamo qui la stessa


sollecitazione che già in Platone - velatamente, se non per lui
stesso almeno per i suoi lettori - aveva determinato la trasforma-
zione della dialettica soggettiva in oggettiva: non basta che si
giunga all'accordo tra tutti i partecipanti alla discussione; potreb-
be essere un accordo puramente verbale; bisogna inoltre che que-
sto accordo riveli la realtà e ciò che è in verità. Più precisamen-
te (c con una formula meglio rispondente al pensiero moderno) è
necessario ritornare dal discorso alla realtà e fondare il discorso
sulla realtà se si vuol pervenire ad un accordo definitivo, indipen-
dente dalla buona o cattiva volontà degli individui in dialogo. Se-
guendo vie differenti, uomini del tutto diversi come Bacone e
Cartesio, completamente in disaccordo sulla questione del meto-
do, appaiono tuttavia uniti nel loro rifiuto della dialettica: la ve-
rità non emergerà dalla considerazione delle parole e delle for-
me del giudizio. Le loro concezioni della scienza della natura so-
no diametralmente opposte; l'uno, empirista, pensa di trovare la
realtà con l'osservazione, la raccolta e il confronto dci fatti, men-
tre l'altro, teoretico, discepolo e poi maestro della fisica mate-
matica platonizzante, intende fondare questa scienza sulla geo-
metria c, confidando solo nell'analisi, cerca non già uniformità
qualitative, ma leggi meccaniche. Nonostante questa divergenza
radicale, però, i due filosofi perseguono lo stesso fine, spezzare
il velo del linguaggio, sbarazzarsi dell'apparato dialettico, delle
nature costruite per garantire la coerenza del discorso, dci distin-
guo introdotti per evitare le contraddizioni. Da questo momen-
to in poi arbitro dei dibattiti sarà la pratica, il potere dello
scienziato sulla natura, il quale solo potrà dimostrare che la real-
tà è stata compresa: è vero non ciò che è coerente, ma ciò che
agisce. Il termine dialettica assumerà un senso negativo e lo con-
serverà a lungo " 31. ·
Non solo un senso negativo tuttavia. La dialettica, come ve-
dremo tra poco, sarà ospitata da una scolastica stanca ed esau-
rita, consegnata nei manuali, che non hanno più nulla a che ve-
dere con le Università del Medioevo. Ma tra il Sei c Settecento
prende forma una comunità nuova: è l'età moderna, l'antefatto
diretto del nostro mondo, che nasce con la Rivoluzione Francese.

L'Illuminismo, francese, e ben prima inglese, fanno tutt'uno -


anche se condizionati da situazioni storiche del tutto differenti -
per i loro problemi, ma anche per gli ormai possibili scambi di

31 E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, cit., p. 24.

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La società civile e la dialettica delle cose 115

informazioni, traduzioni, recensioni, incontri c scontri personali c


oggettivi: il mondo della società civile, del lavoro, del commer-
cio - quindi di una nuova pesante dialettica, la dinamica delle
cose ancora non sperimentata: l'uomo, l'individuo della tradizio-
ne classico-umanistica, il letterato, lo stesso intellettuale del Me-
dioevo, ormai un'ombra, finirà per esserne travolto. È la società
borghese consapevole dì sé. Essa si vuole, giustamente, società in-
dustriale. È un mondo nuovo, già carico di ·contraddizioni, lace-
rato di fatto, tuttavia ancora unitario, compatto nella coscienza
comune del tempo: un tempo in cui il lavoro è lavoro, la ricchez-
za ricchezza - cioè potere, come dice Smith, che cita Hobbes 32 -
l'uomo uomo, il bestiame bestiame. E qui l'uomo è anche " ric-
chezza " nel lavoro c " bestiame " nella durezza di quel meccani-
smo. È così. Tutti lo sanno. Il politico studia le mediazioni, l'eco-
nomista matematizza il mercato, il filosofo riconosce la situazione.
Tutti sono d'accordo: siamo al di qua delle mistificazioni ideo-
logiche della cultura borghese quando sarà ben presto immersa
.nella sua crisi.
Pensiamo al Settecento inglese, che ci è stato recentemente ri-
proposto 33 . Paradigmatici i temi delle nuove ricerche: filosofia e
situazione, antropologia e sociologia, moralità concreta, società
e Stato. Ricordiamo i nomi: dopo Mandevillc, c la sua non an-
cora del tutto esplorata Favola delle api (1714), l'eccezionale sta-
gione speculativa della Scozia nella seconda metà del '700, un
gruppo di filosofi " umanisti " impegnati con le tensioni del mon-
do commerciale: Steuart, Robertson, Smith, H urne, Fcrguson.
Persuasi del destino mondano e politico della filosofia, indivi-
duano le terrificanti conseguenze del progressivo commercializ-
zarsi della società sull'esistenza dell'uomo, individuano i diversi

" " Wealth, as M r. Hobbes says, is Powcr ": in A. SMnu, Saggio sul-
la ricchezza delle nazioni (1776): The Works of A. Smith, ed. D. Stewart,
ristampa Aalcn 1963, vol. n, p. 45. Cfr. P. SALvucci, La filosofia politica
di A. Smitlz, Urbino 1966, del quale si raccomanda il capitolo su Hegel e
Smith: il meglio nella bibliografia non vastissima sull'argomento. Per la
presenza di quest'opera si veda di L. CoLLETTI, Mandet•ille, Rousseau e
Smith, in Ideologia e società, Bari 1969.
" Intorno al rinnovato interesse per l'Illuminismo in genere ricordiamo
solo i nomi: Moravia, Merker, Di Crescenza, Landucci, e prima Diaz e
Alatri; poi le nuove edizioni di testi presso l'UTET e Laterza, per non cita·
re la dotta, attenta, vivacissima storiografia inglese contemporanea: pre-
senti e fattivamente operanti in P. SAr.vucci, A. Ferguson. Socio/ogia e fi-
losofia, Urbino 1972, che abbiamo seguito (le citazioni sono tratte da que-
sfo testo). Di FRRGUSON si veda ora, a cura di P. Salvucci, Sa[tgio sulla sto-
ria della società civile (1767), Firenze, Vallecchi, 1973 (con biografia cri-
tica e bibliografia di M. Massi).

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116 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

livelli dell'alienazione umana, denunciano la corruzione etico-


politica, il particolarizzarsi senza fine delle professioni e delle ar-
ti, i pericoli dell'individualismo, la solitudine di una vita che non
ha più spazio per legami viventi tra gli uomini, ma unicamente
per relazioni con cose, quindi di dominazione o antagonismo: o
avversari o strumenti da utilizzare, "come con il proprio bestiame
o con il terreno in vista del profitto che può derivarne_", come
dice appunto Ferguson.
In questo quadro crolla l'immagine di Smith filosofo dell'otti-
mismo, avversario di ogni for111a di intervento politico nell'eco-
nomia e quindi preteso assertore di un equilibrio sociale ed eco-
nomico che si mantenga spontaneamente. Questo equilibrio non
esiste, quell'ottimismo è frutto di una storiografia interessata (He-
gel e soprattutto Marx non mancheranno di denunciarlo). Crolla
in un certo senso anche il mito del buon selvaggio. La confuta-
zione radicale della necessità del progresso economico appare per
quella che è: una grande, giusta se si vuole, polemica moralisti-
ca. La diagnosi di Rousseau è corretta, ma le condizioni storico-
oggettive non gli consentono di penetrare addentro alta dialetti-
ca delle cose. " Per gli uomini moderni, in troppe nazioni d'Euro-
pa, il singolo è tutto e la comunità è un niente ": è ancora una
citazione di Ferguson, evidentemente anti-Rousseau. Ferguson
non rifiuta il progresso anche se ne riconosce le conseguenze alie-
nanti (divisione del lavoro, povertà, sfruttamento, concentrazione
della ricchezza). Egli interpreta così Smith e Rousseau - e passa
oltre. Egli sa che Io sviluppo capitalistico è progresso e civiltà, e
quindi cerca nella realtà i mezzi per intervenire. Ma proprio per-
ché si mantiene fondamentalmente fermo al riconoscimento del
carattere progressivo della natura umana, non assolutizza la so-
cietà capitalistica, non la considera il termine della storia, ma sol-
tanto uno stadio avanzato dello sviluppo progressivo dell'uomo -
di quell'essere fatto, secondo una sua definizione, " per la socie-
tà e per le realizzazioni della ragione ". H egel prima (il solo, non
dimentichiamolo, che in Germania prende criticamente coscien-
za del mondo del lavoro c della produzione, dell'economia " clas-
sica "), Marx poi rifletteranno attentamente su questi temi.

Per questi pensatori immersi nelle contraddizioni della realtà


non c'è posto per una riflessione " sulla " dialettica. Dialettica
è la loro stessa riflessione, perché è alle prese, direttamente, con
quella realtà, con la loro società, ne è investita e la coinvolge. La
stessa filosofia, il suo modo di esprimersi o di costruirsi ha smar-
rito, inevitabilmente, i suoi contorni tradizionali: non più " siste-

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La società civile e la dialettica delle cose 117

mi ", ma saggi, note di viaggio, storia e geografia, analisi morali


ed economiche; non più la costruzione teoretica, ma l'esplorazio-
ne pragmatica del mondo, dell'uomo, della società. È tutta una
opera cii trasformazione, di intervento sulle istituzioni e sulle co-
se. (E il discorso potrebbe trovare un contrappunto nelle analisi
degli Enciclopedisti e del materialismo francese). Kant, il solo
Kant, in una situazione storica, oggettiva ben diversa (non diret-
tamente condizionata e investita dall'evoluzione industriale), guar-
da a tutto questo suo recente passato e lo interroga. Egli cer-
ca di comprendere il senso della sua stessa giornata. E con Kant
sarà restituito alla dialettica il suo posto nella storia della filoso-
fia, moderna, e ormai contemporanea - in una storia della filo-
sofia che non potrà essere più, per sempre, il regno chiuso della
torre d'avorio, delle anime belle.

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6. Kant. La finitezza dell'uomo e l' "inevitabile"
dialettica della ragione

6.1. Premessa. Kant e la tradizione


L'età nuova, e ultima, della storia della dialettica ha inizio con
Kant. Una stagione brevissima che si compie nel volgere di un
cinquantennio o poco più. Concettualmente, come cercheremo di
dimostrare, il J 7li.!_ (anno delia pubblicazione della prima edizio-
ne della Critica della ragion pura) segna la data dell'ultimo grande
rivolgimento nella storia della dialettica. Questa affermazione non
significa che dopo Kant il problema sia stato accantonato o non
abbia subito una ulteriore profonda-evoluzione. Si vuole invece
, affermare che, sbstanzial!nenté, la problcmatìca contemporanea
* si muove entro-T'orizzonte kantiano, non l'ha trasceso e non l'ha
f.ID}0.~9. 1:: un fatto, non un giudizio, beninteso, sul valore o sui
limiti di quella problematiea, e con esso dovremo fare i conti
nel corso della nostra esposizione.

Vediamo schcmaticamente come si presenta a Kant la tradi-


zione culturale. Come sempre procederemo per grandi linee, per
indicazioni di dati e risultati di qualche respiro culturale, rin-
viando il lettore alla bibliografia e ad altre letture per l'accerta-
mento e la ricostruzione storica c filologica di quegli elementi.
Come punto di partenza possiamo prendere gli anni che stanno
a cavallo tra '500 e '600. Le polemiche sulla dialettica, traman-
date da scuola a scuola, avevano ottenuto il risultato di lasciar
cadere il titolo Topica anche presso gli aristotelici ortodossi e
anche se l'uso propriamente aristotelico del termine era stato raf-
forzato da quegli umanisti aristotelici come Zabarella che pole-
mizzavano con. la identificazione scolastica di dialettica e logica.
Limiti e significato di dialettica nella storia della logica, la sua
funzione, anche di fronte alla retorica, nella tradizione della lo-
gica aristotelica, il suo oscillare fra una direzione logica, che la

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Premessa 119

porta nei pressi di una metodologia della scienza, e un compito


paideutico, didattico, che inevitabilmente la conduce, ancora una
volta, nel corso di una polemica protrattasi nei secoli (e già pre-
sente - non lo si dimentichi! - nei testi di Platone e di Aristotele
e prima ancora nel vivo della cultura delle rispettive età), ad iden-
tificarsi con la retorica, tutto questo dibattito è al centro dell'ari-
stotelismo nella seconda metà del Cinquecento: Zabarella (con
la sua Opera logica, 1586) ne è un protagonista principe: egli
conclude, riassume, c riapre il dibattito.
Inaugurando una tradizione, Filippo Canaye in un'opera del
1589, pubblicata a Ginevra nel 1627, introduce la distinzione di
analitica c dialettica già nel titolo: L' m·gane, c'est à dire l'instru-
ment du discours, divisé en deux parties, sçaivoir est, l'Analyti-
que, pour discourir véritablement, et la Dialectique, pour discou-
rir probablement. Ma dobbiamo ]imitarci alla Germania. Il ra-
mismo aveva avuto uno straordinario sviluppo alla fine del seco-
lo XVI, ma i seguaci furono poi perseguitati come calvinisti e si
può dire che nel 1625 la scuola in Germania fosse già stata com-
pletamente estirpata c la sua attività limitata alla sola Svizzera
(almeno secondo quanto afferma il Bayle alla voce Ramus del
suo Dictionnaire). Lasciamo da parte le vicende della dialetti-
ca nel Seicento tedesco, il suo tradizionale identificarsi con la lo-
gica, il suo altrettanto tradizionale differenziarsene come topi-
ca 1• Ricordiamo invece Bohmer che, riprendendo il titolo di Ca-
naye, nella sua Logica positiva sive dialectica et analytica (Jena
1637) tiene ferma la distinzione aristotelica dei termini, accen-
tuandola, individua l'origine matematica del termine analitica e
una serie di significati che esso può assumere: forma, nelle figu-
re; materia, nelle cause; da ultimo ricerca, partizione.
Mentre Fonseca e Zabarella venivano pubblicati e ripubbli-
cati in Germania, nel 1711 appare l'edizione tedesca della sto-
ria della filosofia di Thomas Stanlcy; cd è importante perché ad
essa seguono una serie di lessici filosofici che forniscono notizie
dettagliate sulla storia della logica e sul significato dei termini

1 G. ToNELLI, Der historische Urspnmg der kantisclzen Termini "Ana-

lytik" und "Dialektik ", in « Archi v fiir Begriffsgeschichte », VII, Bonn


1962, pp. 128-132. Abbiamo seguito lo studio di Tonelli per la situazione
tedesca prekanliana. In questo contesto si veda di ToNFLI.l: Zabarella
inspirateur de Baumgarlen ... , in « Revue d'Esthétique », 1956; La tradi-
zione delle categorie aristoteliche nella filosofia moderna fino a Kant, in
«Studi Urbinati », XXXII, 1958 e il volume Elementi metafisici e metodo-
logici in Kant, 1745-1768, vol. 1, Torino 1959 (anche per il rapporto
Kant-Darjes e la scuola).

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120 Kant

in questione· (per es. Walch, Zedler, la storia della filosofia di


Brucker e la stessa Encyclopédie francese) 2• Notiamo ancora
l'opera del '32 (Jena) di Darjes, Introductio in artem inveniendi,
seu logicam theoretico-practicam, qua analytica atque dialectica
in usum ... , che per la prima volta in Germania presenta nel ti-
tolo la posposizione di dialettica ed analitica. " Logica probabi-
lium " questa, " scientia de regulis inveniendi veritates cum cer-
titudine " quella. Inoltre, la logica è appunto una " scientia in-
veniendi" (come per i wolffiani), una dottrina del metodo; l'ana-
litica tratta i concetti, le definizioni e la loro origine a priori o a
posteriori, i giudizi e principi, l'equivalenza delle proposizioni, le
prove (dirette, apagogiche, ccc.... ); la dialettica tratta la vero-
simiglianza in generale e il modo di pervenire dialetticamente al-
la verità, le proposizioni teorctiche a priori e a posteriori, le ipo-
tesi filosofiche, la vcrosimiglianza ermeneutica, critica, la proba-
bilità delle opinioni degli altri.
D'altra parte erano rimasti vivi in Gcmmnia indirizzi tradizio-
nali, elementi conservatori: ricordiamo quella corrente cattolica
che insiste nell'identificazione di dialettica e logica in generale,
che trova un suo testo nel Dictionnaire de Trévoux (Parigi 1752
e sgg.) dei Padri gesuiti; ricordiamo ancora la tradizione tomasia-
na di Wolff e dei suoi scolari: tutti presi dalla polemica contro
l'aristotelismo, restano estranei non già ai problemi logici, ma
certamente a quelli della partizione della logica c quindi del sen-
so e della funzione della dialettica. La filosofia, cioè la logica, è
e resta dimostrativa. La dialettica, come Logica probabilium,
non lÌa rilevanza 3•
Kant era perfettamente a conoscenza di questa complessa si-
tuazione culturale. Egli la ereditava, ma non ne era condiziona-
to. Conosceva pure, è evidente, quelle opere di Ch. Thomasius
(per es. Einleitung zu der V ernunftlehre e la A usiibung der V er-
nunftlehre del 1691), di Ch. Wolfi e soprattutto il popolare ma-
nuale di S. Reimarus (rcs() famoso da Lessing: 1 ed. del 1756
e v ed. del 1790), che a Logica contrappongono " un serio con-
corrente: la V ernunftlehre o V ernunftkunst, teoria o arte del ra-
gionare " 4• Lo attestano le sue opere, ovviamente, ma lo attesta-
no ancor più e meglio le pagine c gli appunti inediti che egli ci
ha lasciato a migliaia c soprattutto le sue V orlesungen (lezioni

2 Indicazioni bibliografiche in TONELLI, Der historische Ursprung ... ,

cit., pp. 134-5.


' G. TONELLI, Der historische Ursprung ... , cit., pp. 137-8.
• H. ScHoLZ, Storia della logica, trad. it. Milano 1962, p. 39.

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Analitica e dialettica · 121

universitarie) da qualche anno finalmente accessibili 5• Kant cono-


sce molto bene Darjes e la sua scuola; in alcuni particolari li ave-
va anche -seguiti. Inoltre, la storiografia contemporanea a Kant
ci dà la certezza che ~gli 11sava il termine diqlettica c_op.JQrme-:-
mente alla tradizione <lr-i~tQ!_e}ica e nol_!___a_quella Ql_a,tgnicl)-r(lm}:
Stici. Quanto' all'analitica non c'erano problemi - il solo signi-
-ficato in uso era quello aristotelico. Questa vecchia terminologia
adattata ai nuovi concetti kantiani da una parte continuava una
tradizione celebre per il suo passato c dall'altra permetteva a
Kant di distinguersi dai wolffiani e dagli ambienti ad essi vicini.
Kant ritorna ad Aristotele non soltanto nella partizione della lo-
gica. C'è qualche cosa di più, anche se non è possibile ·ctocum~n­
tare le letture aristoteliche qi K..a11t e, soprattutto, quella sua in-
terpretazione dell'Organ01,?, in particolare dei Topici, che va ben
al di là della lettera e dello spirito dei testi aristotelici, come ve-
dremo subito nel corso stesso della nostra esposizione.

6.2. Analitica e dialettica


Seguiamo letteralmente il testo di Kant nella Introduzione al-
la Logica trascendentale 6• Kant definisce la logica in generale co-
me la scienza delle leggi dell'intelletto così come l'estetica è la
scienza delle leggi della sensibilità in generale (p. 92). Una lo-
gica generale pura avrà, dunque, a che fare "soltanto con meri
' Come tutte le opere di Kant gli appunti inediti sono pubblicati dal-
l'Accademia delle Scienze di Berlino (ed. De Gruytcr, Berlin) in un'edi-
zione critica, storica c commentata, come terza parte delle Gesamme/te
Schriften, col titolo: llandschriftliches Nachlass; l'edizione tuttora in cor-
so delle lezioni (Vorlesungen: quarta -parte della raccolta delle opere) è
stata uno degli avvenimenti culturali più notevoli del secondo dopoguerra.
6 E. inevitabile presupporre una conoscenza sia pure elementare della

filosofia kanliana e della Critica della ragione pura. Si ricordi la partizio-


ne di quest'opera: Dottrina trascendentale degli elementi e Dottrina tra-
scendentale del metodo (spieghiamo nel testo il significato di " trascen-
dentale "). La prima si distingue in due grandi parti: Estetica trascenden-
tale (analisi della sensibilità e delle sue forme pure a priori) e Logica .tra-
scendentale, ripartita a sua volta in Analitica trascendentale (analisi del-
l'intelletto e delle sue forme pure a priori: i concetti) e Dialettica trascen-
dentale (h\ ragione e le idee). La Dottrina trascendentale del metodo, po-
che decine di pagine, indica " le condizioni formali di un sistema completo
della ragione " (vol. n, p. 536) e comprende una disciplina, un canone,
un'architettonica e una storia della ragione pura. - Il testo della Critica
viene citato secondo la traduzione italiana di G. Gentile e G. Lombardo
Radice, Laterza, Bari 1909; cito dalla ristampa 1944-45.

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122 Kant

principi a priori, cd è un canone dell'intelletto c della ragione,


ma soltanto rispetto a ciò che vi è di formale nel loro uso sia
qualsivoglia il contenuto " (p. 93). Insomma, la logica generale
è la dottrina pura dcll'intelletto e della ragione, " interamente di-
stinta da quella che costituisce la logica applicata " (ibìd.), cioè
una " logica dell'uso speciale dell'intelletto ., che comprende, in-
vece, " le leggi per pensare rettamente una specie determinata di
oggetti" (p. 92). La logica generale pura presenta questa seconda
caratteristica: essa " astrae da ogni contenuto dd la conoscenza
intellettuale e dalla diversità dei suoi oggetti, e non tratta se non
della .semplice forma del pensiero" (p. 93). Sebbene Kant non lo
dica, la logica aristotelica, in particolare gli Analitici, vengono
configurati in questa sfera: logica formale, come Kant, per pri-
mo, chiamò, e con successo, tutta la logica antecedente a quella
trascendentale 7 •
Ma vi è una logica che si occupa degli oggetti o meglio dell'ori-
gine della nostra conoscenza degli oggetti, ·• in quanto questa ori-
gine non può essere attribuita agli oggetti " (pag. 95): è una cono-
scenza pura a priori, cioè non ricostruita empiricamente, e tra-
scendentale come .; quella onde conosciamo che e come certe rap-
presentazioni (intuizioni o concetti) vengono applicati o sono pos-
sibili esclusivamente a priori (cioè la possibilità della conoscenza
o dell'uso di essa a priori) " (p. 95). Insomma, se tutte le forme
trascendentali sono a priori, non tutti gli a priori sono trascen-
dentali, ma soltanto quelli che rendono possibile la conoscenza di
oggetti dell'esperienza, cioè " la possibilità che hanno di riferirsi a
priori agli oggetti dell'esperienza" (ibid.). "Ncll'aspettazion~
dunque che si diano forse concetti che si possono riferire a prio-
ri ad oggetti, non come intuizioni pure o sensibili, ma semplice-
mente come funzioni del pensiero puro, e quindi come concetti,
ma non di origine empirica né estetica, noi ci formiamo antici-
patamente l'idea di una scienza dell'intelletto puro e della cono-
scenza razionale, onde pensiamo certi . oggetti completamente a
priori. Una scienza siffatta, che determini l'origine, l'estensione
e la validità oggettiva di tali conoscenze, si deve chiamare logica
trascendentale, poiché essa riguarda semplicemente cd esclusiva-
mente le leggi dell'intelletto c della ragione, in quanto si riferi-
sce ad oggetti a priori ... " (pp. 95-96).
Vorremmo qui solo far notare l'importante determinazione dei
.<;.Q!!cetti_ç<;Hne funzioni del pensiero puro, che abbiamo appunto
sottolineato nel testo. L'orizzonte aristotelico non soltanto è tra-

; H. ScHOLL, Storia della logica, ci t., p. 44.

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Analitica c dialettica 123

sceso, ma potremmo dire scomparso: se il concetto è una funzio~


ne dell'intelletto e del pensiero puro, se le categorie, come dirà
Kant più avanti, sono regole, veicoli della conoscenza intellet~
tuale della realtà, c se non c'è altra realtà se non quella, em-
pirica, resa possibile dalle forme intellettuali come funzioni 'del
pensiero, allora è definitivamente scomparsa quella concezione', -i'
della realtà dove la realtà fosse ancora intelligibile come proie-
zione antologica delle categorie e dove le forme del pensiero fos~
scro ricosLruibili per astrazioni successive dalla realtà. Tuttavia,
perché questo chiarimento non venga immediatamente inteso co~
mc una definizione o giustificazione di Kant come padre e fonda~
tore dell'idealismo (per quanto egli di fatto lo sia) e perché alla
pagina e alla problematica kantiana siano lasciate quella proble~
maticità e tensione che esse manifestano e quel fitto reticolo di
contraddizioni che ne sono l'anima, e che il sisrema della Critica
cerca di comporre, ricordiamo il fondamento che intero sorregge
la ricerca critica e la sua partizione in una estetica e in una Io~
gica trascendentali: " la nostra conoscenza scaturisce da due fon-
ti principali dello spirito, la prima delle quali è la facoltà di rice~
vere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni) [cioè la
nostra sensibilità], la seconda quella di conoscere un oggetto me~
diantc queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). Per la
prima un oggetto ci è At!..lfJ; per la seconda esso è Q._e_n§g!_Q_ in rap-
porto con quella rappresentazione (come semplice determinazione
dello spiriw) ·· (p. 91).
Con queste parole si apre la Logica trascendentale. Che un og-
getto sia dato alla sensibilità e pensato dall'intelletto, che la spon-
taneità umana risieda solo nell'intelletto e che la conoscenza sia
geneticamente possibile solo in quanto l'uomo è primamente affet-
to, come dice Kant, da un contenuto, da una materia della scn~
sibilità, che il filosofo non può ùedlJ..rre perché costituisce il fat-
to stesso della possibilità della conoscenza, questo sta a significa-
re che Kant tiene fermo a una figura dell'uomo come essere ff. .
nito, immerso nella sensibilità e da questa condizionato. La logi-
ca trascendentale vuole, dunque, essere la scienza o la logica df
questa finitezza. Come è accaduto e accade che l'uomo, essere
condizionato e finito, può riconoscersi o pretende di riconoscersi
in un mondo infinito c come è accaduto e accade che l'uomo ha
fatto passare questa credenza nelle sue infinite possibilità, que-
sto mondo ·chimerico, per un mondo reale scientificamente di-
mostrabile? A questa domanda risponde la Logica trascenden-
tale nella ':ua partizione di analitica e dialettica. La prima, una
par.\' consrruo::ns, mette capo alla costruzione del mondo dcll'cspe-

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124 Kant

ricnza e alla distinzione di tutti gli oggetti in gèncralc in fenome-


ni e n.oumcni; la seconda, una pars destruens, "logica dell'appa-
renza", restituisce all'uomo quel chimerico mondo assoluto e in-
condizionato delle idee che ha rappresentato per secoli il regno
della sua estraneazione. Ma ritorniamo alle pagine kantiane.
· Continuando, Kant accoglie la divisione, aristotelica e di una
; parte consistente deil'aristotelismo, della logica generale in anali-
Uica e dialettica. Egli dà per presupposta la definizione nominale
della verità come accordo della conoscenza con il suo oggetto (p.
96). Ma Kant non ritiene che la logica generale sia una logica
della verità: " il criterio semplicemente logico della verità, cioè
l'accordo di una conoscenza con le leggi gef1crali e fÒrmali dell'in-
telletto e della ragione, è ~cnsì una cmulitio sine qua non, quindi
la condizione negativa di ogni verità; se non che la logica non può
andare più oltre, e non ha pietra di paragone con cui possa sco-
prire l'errore, che tocchi non la forma ma il contenuto " (p. 97).
Questa parte della logica, che serve da pietra di paragone, alme-
no negativa della verità, Kant accetta di chiamarla analitica, ed es-
sa attende ancora di poter giungere ad una verità positiva, esa-
minando e valutando le conoscenze anche in rapporto con l'og-
getto (p. 98).

6.3. La dialettica come logica dell'apparenza. La finitez-


za dell'uomo e l'illusione trascendentale

La dialettica appare qui, secondo Kant, un'esasperazione o


meglio una mìstìficazione dell'analitica. In questa sua configu-
razione, sulla soglia della logica trascendentale, non c'è nulla di
aristotelico. Come sappiamo la dialettica aristotelica non ha nul-
la a che fare con l'eristica, non è una logica depauperata e non
è, non può e non vuoi essere la giustificazione di una presunzione.
Il senso vero della dialettica aristotelica verrà da Kant recuperato
dopo il risultato dell'Analitica trascendentale, nella costruzione
stessa della Dialettica trascendentale: qui egli ci offrirà anche,
di Aristotele, una interpretazione molto profonda quanto poco
nota. Egli per ora osserva: "C'è tuttavia qualcosa di così attraen-
te nel possesso di un'arte tanto appariscente qual è quella di da-
re a tutte le nostre conoscenze la forma dell'intelletto - sebbene
in relazione al loro contenuto si possa tuttavia restare vuotissimi
e poverissimi - che quella logica generale, la quale è semplice-
mente un canone di valutazione, viene impiegata altresì come or-

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La dialettica come logica dell'apparenza 125

garzo di effettiva produzione o almeno d'illusione di affermazioni


oggettive; e quindi, in realtà, l'uso che ·se n'è fatto è stato abusi-
vo. Ora, la logica generale, come tale preteso organo, si chiama
dialettica " (p. 98). ·
A questo punto Kan.t si allontana ancora di più dalla significa-
zione aristotelica di dialettica: egli ritiene che nonostante la va-
rietà di significati di questa scienza o arte, dato l'uso che gli an-
tichi di fatto ne fecero, essa " altro non fosse che la Logica del-
l' apparenza ". È molto importante ciò che Kant soggiunge: que-
st'arte sofistica che dava alla propria ignoranza e alle proprie vo-
lontarie illusioni la tinta delle verità, imitava quel metodo del pen-
sare fondato che la logica generale prescrive; e quindi in generale
" come un avvertimento sicuro e utile, si può osservare che la lo-
gica generale, considerata come organo, è sempre logica dell'ap-
parenza, cioè dialettica ", poiché nulla dice del contenuto della
conoscenza, ma, limitandosi alle condizioni formali dell'accordo
con l'intelletto, ha la pretesa di servirsene come di uno strumen-
to (organo) per allargare cd estendere le conoscenze (pp. 98-99).
Dove si deve almeno notare un curioso rovesciamento della tra-
dizione: alla tradizionale assimilazione della dialettica alla logi-
ca, Kant oppone la situazione opposta, e la motiva: se la logi-
ca generale si limita alle determinazioni delle condizioni formali
della conoscenza, in quanto viene presentata come strumento,
l'intera logica generale è dialettica. E conclude: " un tale inse-
gnamento non si addice in nessun modo alla dignità della filosofia.
E perciò si è attribuito questo nome di dialettica alla logica piut-
tosto come una critica dell'apparenza dialettica, e come tale lo
vogliamo anche inteso " (ibid.). Come vedremo, ci avviciniamo
a cogliere il senso della Critica della ragion pura nel suo intero:
proprio perché ci troviamo già, così, al centro della dialettica tra-
scendentale, che " intendiamo di svolgere dalle sue fonti, che so-
no profondamente celate dentro alla ragione umana" (p. 288).
La divisione della Logica trascendentale in analitica e dialetti-
ca trascendentale è una conseguenza che ora non presenta pro-
blemi. " La parte dunque della logica trascendentale, che espone
gli elementi della conoscenza pura dell'intelletto e i principi sen-
za i quali nessun oggetto può assolutamente essere pensato, è l'a-
nalitica trascendentale, e insieme una logica della verità" (p.99).
D'altra parte l'intelletto non riesce a sottrarsi alla seduzione di
usare le sue forme e prijlcipi anche oltre i limiti dell'esperienza,
indipendentemente dalla n\ateria, dagli oggetti che l'esperienza,
sola, può darci; l'intelletto corre il rischio, e non può farne a me-
no, di giudicare indiffcrenr'emente gli oggetti che non ci sono e

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126 Kant

non possono in modo alcuno esserci dati. Non soddisfatto della


sua natura di " canone di giudizio nell'uso empirico " l'intelletto
corre l'avventura metafisica nelle vesti di un "organo di uso ge-
nerale ed illimitato " (p. l 00): è la ragione, il mondo dei concet-
ti razionali o idee, " il campo di queste lotte senza fine [che] si
chiama Metafisica" (p. 5), al quale conduce, senza possibilità di
uscita, l'uso dialettico dell'intelletto puro. "La seconda parte del-
la logica trascendentale perciò deve essere una critica di questa
apparenza dialettica, e si chiama dialettica trascendentale, non
quasi un'arte che susciti dogmaticamente una tale apparenza (ar-
te, purtroppo corrente, ·di svariate ciurmerie metafisiche), ma co-
me critica dell'intelletto e della ragione rispetto al loro uso iper-
fisico " (p. l 00).
Per approfondire questo testo dobbiamo allora portarci al di
là dell'Analitica trascendentale, a quella breve introduzione alla
Dialettica trascendentale che tratta dell'apparenza o illusione tra-
scendentale e della sua sede, cioè la ragione pura. Kant comin-
cia col distinguere apparenza e verosimiglianza: quest'ultima " è
verità, p-~a conosciuta per via di principi insufficienti ... " (p. 277).
A maggior ragione bisogna tener distinta l'apparenza dal fenome-
no: "la verità infatti o l'apparenza non sono nell'oggetto, in quan-
to questo è intuito [dato alla e nella sensibilità], ma nel giudizio
su di esso, in quanto è pensato " (ibid.). Non si tratta qui dunque
dell'apparenza empirica, per esempio di quella ottica, che dipen-
de da un uso legittimo dell'intelletto sviato dall'immaginazione c
neppure dell'apparenza logica che trae origine, per imitazione del-
la forma razionale, da un difetto di attenzione alle regole logiche.
L'apparenza trascendentale, invece, è da collegarsi all'uso trascen-
dentale dell'intelletto, cioè al suo essere vittima di principi reali
che lo istigano a rovesciare tutte le barriere imposte dall'espe-
rienza (entro questi limiti l'uso dell'intelletto è immanente; "l'er-
rore del giudizio non convenientemente frenato dalla Critica dà
luogo all'uso trascendentale o abuso delle categorie ") (p. 279).
Se la Critica della ragion pura può arrivare a scoprire l'appa-
renza di quell'uso trascendente dell'intelletto e dci suoi pretesi
principi, è anche vero che l'apparenza trascendentale "non cessa
anche se altri già l'abbia svelata e ne abbia scorto chiaramente il
niente mediante la critica trascendentale " (p. 280). È questo un
punto fondamentale della Critica e di tutta l'istituzione kantiana.
L'uomo è esposto al niente dell'illusione trascendentale. §g}i__è
. ~SP_t?~()_a_gucst()_niente perché è finito. Fa parte della natura del..:
la ragione umana e della finitezza dell'uomo scambiare regole e
massime soggettive dell'uso della ragione per principi oggettivi,

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Intelletto e ragione, fenomeni e noumeni 127

considerare la necessità soggettiva di certe connessioni dei nostri


concetti, pur sempre immersi, condizionati e comprensibili solo
nel mondo empirico, come una necessità oggettiva della determi-
nazione della cosa in sé. Questo fatto non è superabile: " La dia-
lettica trascendentale sarà paga di scoprire l'apparenza dei giu-
dizi trascendentali e di prevenire insieme che essa non tragga in
ingatmo; ma che questa apparenza anche si dilegui (come l'appa-
renza logica) e cessi di essere un'apparenza, questo è ciò che non
può mai conseguire. Perché noi abbiamo a che fare con una il-
lusione naturale e inevitabile, che si fonda essa stessa su principi
soggettivi e li scambia,_ per oggettivi... essa ç dunque una dialetti-
ca _nat!u~l~ e:neçess~r!~ della ragion pura ... che è inscindibilmen-
te legata all'umana ragione e che, anche dopo che noi [la Critica
della ragion pura] ne avremo scoperta la illusione, non cesserà
tuttavia di adescarla e trascinarla incessantemente in errori mo-
mentanei, che avranno sempre bisogno di essere eliminati "
(p. 280).

6.4. Intelletto e ragione, fenomeni e noumeni


Cerchiamo ora di approfondire dal suo interno, sia pure bre-
vemente, il testo kantiano dell'analitica e della dialettica trascen-
dentale. Anche in questo caso, è bene ripcterlo, procederemo
sommariamente !imitandoci a presentare alcuni problemi. Non
possiamo addentrarci, in questa sede, neppure per accenni, nelle
grosse questioni filologiche, esegetiche e interpretative sollevate
dalle due edizioni della Critica della ragion pura (1781 e 1787:
profondamente diverse sia secondo i primi interpreti, che attac-
carono il kan.tismo, vivo Kant, sia secondo la storiografia) 8• Se
la Critica della ragion pura sia una semplice propedeutica, come
scrive Kant nella Prefazione della seconda edizione dell'opera,
o se invece non sia l'esposizione dell'intero sistema della filosofia
trascendentale, come lo stesso Kant dichiarò, con sdegno e con
un filo di rabbia, nel 1799 contro Fichte; se il compito della Cri-
tica della ragion pura sia quello di determinare i limiti dell'intel-

' La bibliografia è assai ampia. Si veda per tutte la monumentale ope-


ra in tre volumi di H.J. DE VLEESCHAUWER, La déduction transcendantale
dans l'reul're de Kant, Paris 1934-1937. Inoltre: A. MAssoLo, Introduzione
all'analitica kantiana, Firenze, 1946; L. LuèARINI, La logica trascendentale
kantiana, Milano 1950; P.;Cmom, La deduzione nell'opera di Kant, Tori-
no, Taylor, 1961; P. SALvuccr, L'uomo di Kant, Urbino 1963.

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128 KanL

letto e della ragione o non piuttosto quello dell'oggettività (uni-


versalità) delle nostre rappresentazioni (come alle nostre rappre-
sentazioni - intuizioni e concetti - corrisponda un oggetto fuori
...di esse); se queste due ricerche, compresenti nella Critica, si con-
l dizionino o si escludano reciprocamente, e come; in che senso ed
· entro quali limiti venga da Kant risolto oppure lasciato aperto il
; rapporto fra l'idealismo delle rappresentazioni e il realismo delle
Lcose, e quindi qual significato si debba dare alla sua affermazio-
• ne, che sconvolse i contemporanei : " L'idealista trascendentale è
...<!lclllCJ.Uf?.. un t:e.~iH~-~-IJ!Qir.ico " (p. 67 5;-fcstodeCi'n~ f):.. ttttii que~
'-sti problemi e antitesi sono l'anima c il motore della ricerca cri-
tica (non sempre, si badi, un suo risultato), assumono una confi-
gurazione c presentano soluzioni diverse secondo il testo delle due
critiche e infine, ciò che più conta per la comprensione della filo-
sofia kantiana e per il destino del kantismo c della filosofia dopo
Kant, sono da 'Kant lasciati agire all'interno della sua ricerca.
L'A naiiiii.;a ira.fc:e,1dentaie ha ai suo centro la deduzione tra-
scendentale delle categorie, in sostanza la costru?ione del mondo
dell'esperienza, il mondo della fisica classica, e cioè " la spiega-
zione del modo in cui concetti a priori si possono riferire ad og-
getti " (p. 120). Kant ricostruisce e rinnova la tavola aristotelica
delle categorie deducendola dalla tavola dei giudizi. Dimostra co-
mc queste categorie siano soltanto funzioni dell'intelletto e come
esse siano vuote senza le intuizioni empiriche ottenute dalla sin-
tesi operata dalle forme pure della sensibilità (spazio c tempo).
Ma come avviene ora l'unificazione di un molteplice in generale
sotto l'unità di una regola (categoria) dell'intelletto? Questo è
un atto della spontaneità dell'intelletto stesso. È la parte più
complessa dell'analitica: da _\l!!I! ...P.~nç_lil:>l:>il;lmo.J).Init~ sintetica
qrjgjl)aria della app~::rcezione, l:fq Pf:.fl~'(L (un termine kantiano che,
grosso modo, corrisponde a ciò che gli idealisti chiameranno co-
scienza di sé), che accompagna tutte le mie rappresentazioni e
che garantisce l'identità della coscienza in queste rappresentazio-
ni stesse (p. 130 e sgg.); l'operazione ha bisogno, d'altra parte,
di una mediazione : come è possibile applicare l'unità di una re-
gola pura dell'intelletto al diverso delle intuizioni empiriche pro-
dotte dalla sensibilità? Come conciliare questi due eterogenei? È
la dottrina dello schematismo, che ha tanto affaticato gli interpre-
ti. Abbiamo gli schemi e la loro facoltà, l'immaginazione, che
fanno da ponte tra l'intelletto e la sensibilità. ·(Un solo esempio:
" .. .lo schema puro della quantità, come concetto dell'intelletto,
è il numero, il quale è una rappresentazione che' comprende la
successiva addizione degli omogenei uno a uno. Cosicché il nu-

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Intelletto c ragione, fenomeni e noumcni 129

mero non è altro che l'unità della sintesi del molteplice di una in-
tuizione omogenea in generale, per il fatto che io produco il tem-
po stesso nell'apprensione dell'intuizione ", p. 162).
"Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell'in-
telletto puro esaminandone con cura ogni parte, ma l'abbiamo-
anche misurato, e abbiamo in esso assegnato a ciascuna cosa il
suo posto. Ma questa terra è un'isola, chiusa dalla stessa natura
entro confini immutabili. E la terra della verità (nome allettato-
re!), circondata da un vasto oceano tempestoso, impero proprio
dell'apparenza, dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefar-
si, danno a ogni istante l'illusione di nuove terre, e incessantemen-
te ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cer-
ca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non
sa mai sottrarsi, c delle quali non può mai venire a capo. Ma,
prima di affidarci a questo mare, per indagarlo in tutta la sua di-
stesa, e assicurarci se mai qualche cosa vi sia da speraTL~, sarà
utile che prima diamo ancora uno sguardo alla carta della re-
gione. che vogliamo abbandonare, e chiederci anzitutto se non
potessimo in ogni caso star contenti a ciò che essa contiene; o
anche, se non dovessimo accontentarcene per necessità, nel ca-
so che altrove non ci fosse assolutamente un terreno sul quale po-
terei fabbricare una casa; e in secondo luogo, a qual titolo noi
possediamo questa stessa regione, e come possiamo assicurarla
contro ogni nemica pretesa. Sebbene abbiamo già risposto suffi-
cientemente a queste domande nel corso dell'Analitica, tuttavia
una scorsa sommaria alle soluzioni di essa può rafforzare la no-
stra convinzione, riunendo i vari momenti di essa in un punto
unico" (pp. 237-238).
Tl "punto unico", al quale Kant fa cenno, è quello della distin-
zione di tutti gli oggetti in generale in fenomeni e noumeni: l'uso
empirico dell'intelletto e delle sue categorie, l'esperienza salda-
mente ancorata entro i limiti della sensibilità. Quelli dell'intellet-
to, dunque, " sono semplicemente principi dell'esposizione dei fe-
nomeni, c l'orgoglioso nome di Ontologia, che presume di dare
in una dottrina sistematica conoscenze sintetiche a priori delle
cose in generale, deve cedere il posto a quello modesto di sem-
plice Analitica dell'inteltetto puro " (p. 244). Le cose in generale,
oltre ai fenomeni, sono " altre cose possibili, ma che non sono
punto oggetto dei nostri sensi, come oggetti pensatisempliccmcn-
te dall'intelletto, e li chiamiamo esseri intelligibili (noumena) "
(p. 248) (dove è bene sottolineare quel pensati che rimanda alla
funzione non empirica dell'intelletto, in opposizione al conoscere
s

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130 Kant

che dell'intelletto è la funzione propria). II concetto di noumeno


è, dunque, un concetto limite, e di uso quindi puramente negati-
vo. Il noumeno può essere configurato anche in senso positivo,
ma allora dobbiamo supporre che esso sia l'oggetto di una intui-
zione non sensibile, '' un'intuizione intellettuale, la quale però non
è la nostra, e della quale non possiamo comprendere nemmeno
la possibilità " (p. 249) - una potenza veramente più che umana,
avrebbe detto Platone: ma dì questa potenza non si occupa, non
può occuparsi la filosofia critica.

6.5. L'oggettività della contraddizione e l'inevitabile dialet-


tica della ragione ·
" Ogni nostra conoscenza sorge dai sensi, indi va all'intelletto
e finisce nella ragione, al di sopra della quale non c'è nulla di più
alto per elaborare la materia dell'intuizione e sottoporla alla più
alta unità del pensiero... Se l'intelletto può essere una facol-
tà deU'unità dci fenomeni mediante le regole, la ragione è la fa-
coltà dell'unità delle regole dell'intelletto sottoposte a principi.
Essa dunque non si indirizza mai immediatamente all'esperienza
o a un oggetto qualsiasi, ma all'intelletto, per imprimere alle co-
noscenze molteplici di esso un'unità a priori per via di concetti;
unità, che può dirsi unità razionale, ed è di tutt'altra specie da
quella che può essere prodotta dall'intelletto " (pp. 281 e 283).
Kant chiama l'unità a priori della ragione, che serve a _C'!!_!!!:Pren-
dere, come i concetti dell'intèlletto a j_J_1[~rtc/er~(p. 289), secondo
-ra-ferminologia tradizionale; anzi proprio perché quella termino-
logia fa capo a Platone, non c'è motivo di mutarla: " un concetto
derivante da nozioni, e che sorpassa la possibilità dell'esperien-
za, è l'idea o concetto razionale " (p. 296).
La dialettica trascendentale presenta il sistema delle idee tra-
scendentali c di quei raziocini dialettici della ragion pura, la cui
natura abbiamo più volte indicato. Kant tiene fermo il rapporto
col mondo empirico come mondo del condizionato, e allora ri-
tiene che, in generale, le idee della ragione abbiano a che fare
con l'unità sintetica incondizionata di tutte le condizioni. Per ana-
logia con le operazioni dell'intelletto e con i suoi elementi, Kant
individua un ·soggetto, un oggetto e un oggetto pensato dal sog-
getto; configurando questi elem'enti in una dimensione, quella ra-
zionale, che per sua natura si sottrae alle condizioni e le annul-
la, Kant può ritenere che tutte le idee trascendentali si riducano a

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Oggettività della contraddizione e dialettica della ragione 131

tre classi: ·· la prima comprende l'assoluta (incondizionata) uni-


tà del soggetto pensante, la seconda l'assoluta unità della serie
delle condizioni del fenomeno, la terza l'assoluta unità della con-
dizione di tutti gli oggetti del pensiero in generale. Il soggetto
pensante è l'oggetto della psicologia; il complesso di tutti i feno-
meni (il mondo), l'oggetto della Cosmologia; e la cosa, che contie-
ne la condizione suprema della possibilità di tutto ciò che può es-
ser pensato (l'essenza di tutte le essenze), l'oggetto della Teologia.
La ragion pura dunque fornisce l'idea per una dottrina trascen-
dentale dell'anima (psychologia rationalis), per una scienza tra-
scendentale del mondo (cosmologia rationalis), e, infine, anche
per una conoscenza trascendentale di Dio (theologia trascendenta-
Tis). Lo stesso semplice disegno di una o dell'altra di queste scien-
ze non proviene punto dall'intelletto, quand'anche esso si unisca
al più elevato uso ·logico della ragione, ossia a tutti i raziocinii
immaginabili per spingersi da uno de' suoi oggetti (fenomeno) a
tutti gli altri. fino ai membri più remoti della sintesi empirica; ma
è unicamente un puro c schietto prodotto o problema della ra-
gion pura •·· (p. 305).
Tali idee trascendentali della ragione, che pur contengono o
esprimono una realtà trascendentale del tutto soggettiva, hanno
dato luogo c continuano a rendere possibili diverse serie di ra-
ziocini dialettici, veri c propri sistemi aventi una loro coerenza e
interna necessità; essi non contengono premessa empirica alcuna
e nondimeno, per quell'inevitabile apparenza, di cui abbiamo fat-
to più volte discorso, attribuiamo loro una realtà oggettiva. Ri-
portiamo ancora alcune righe di Kant, esemplari per il loro stile
dimesso, per quel suo rispetto per la finitezza e la povertà del-
l'uomo, per il dramma che l'uomo continuamente vive a causa
della lacerazione che la ragione produce e rappresenta in lui:
" raziocini siffatti, rispetto al loro risultato, son dunque da dire
sofismi, anzi che sillogismi, quantunque per la loro origine pos-
sono anche portare l'ultimo nome, perché essi non sorgono per
finzione od a caso, ma derivano dalla natura della ragione. Sono
sofisticazioni, non dell'uomo, bensì della stessa ragion pura, dal-
le quali il più savio non può liberarsi, c magari a gran fatica po-
trà prevenire l'errore, ma senza sottrarsi mai all'apparenza che
incessantemente lo insegue e si prende gioco di lui" (p. 308).
Non è il caso di seguire Kant nell'analisi dei paralogismi della
ragion pura, falsi sillogismi della psicologia razionale, nella quale
si parla dell'anima e della sua pretesa realtà; e neppure nella co-
struzione dell'ideale della ragion pura come risultato della criti-
ca delle varie prove dell'esistenza di Dio: " l'essere supremo re-

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132 Kant

sta per l'uso semplicemente specùlativo della ragione un sempli-


ce ma perfetto ideale ... la cui realtà oggettiva, è vero, non è di-
mostrata ma non può né anche essere contrastata" (p. 492); co- -
me è noto, lo ritroveremo, insieme alle altre due idee, l'anima e
il mondo, come postulato della ragione pratica. Mette conto in-
vece soffermarsi brevemente sull'antinomia della ragion pura, cioè
quel sistema di raziocini cui dà luogo l'idea del mondo. Qui la
_dialettica celebra se stessa in tutta la sua tradizione più gloriosa
e, come antitetica della ragion pura (sistema delle antinomie),
: apre la strada a quel nuovo intendimento o nuova figura della dia-
! lettica che sarà dell'idealismo - c poi di Hegcl. L'idea trascen-
lùentale del mondo produce quattro conflitti. l) Tesi: il mondo
nel tempo ha un cominciamento, e, per lo spazio, è chiuso den-
tro limiti; Antitesi: il mondo non ha né cominciamento né limiti
spaziali, ma è, così rispetto al tempo come rispetto allo spazio,
infinito. 2) Tesi: ogni sostanza composta nel mondo consta di
parti semplici, e non esiste in nessun luogo se non il semplice, o
ciò che ne è composto; Antitesi: nessuna cosa composta nel mon-
do consta di parti semplici; e in esso non esiste, in nessun luogo,
niente di semplice. 3) Tesi: la causalità secondo le leggi della na-
tura non è la sola da cui possono essere derivati tutti i fenomeni
del mondo. È necessario ammettere per la spiegazione di essi an-
che una causalità per libertà; Antitesi: non c'è nessuna libertà,
ma tutto nel mondo accade unicamente secondo leggi della natu-
ra. 4) Tesi: riel mondo c'è qualcosa, che, o come sua parte o co-
me sua causa, è un essere assolutamente necessario; Antitesi: in
nessun luogo esiste un essere assolutamente necessario, né nel
mondo, né fuori del mondo, come sua causa (pp. 348-375).
Kant dedica molto spazio all'esame di queste tesi e antitesi at-
traverso minuziose analisi: senza fare nomi, ma limitandosi a ci-
tare per lo più correnti importanti di pensiero, è tutta la storia .del-
la filosofia che entra in questo dibattito. E il dibattito posto in
questa forma non ha soluzione oppure " l'antinomia della ragion
pura nelle sue idee cosmologiche vien superata dimostrando che
essa è meramente dialettica, è un conflitto di un'apparenza che na-
sce da questo, che si è applicata l'idea dell'assoluta totalità, che
non ha valore se non come condizione delle cose in sé, ai fenome-
ni... " (p. 404) (ovviamente le opinioni dei filosofi consegnate nel-
~a storia della filosofia sono studiate anche a proposito dell'ani-
ma e di Dio).

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Dialettica tra l'essere finito dell'uomo e la sua libertà 133

6.6 La dialettica tra l'essere finito dell'uomo e la sua libertà


Giunti alla fine di questa esposizione, non possiamo non chie-
derci quale sia nel sistema la funzione delle idee trascendentali.
Non sta al sistema rispondere in quanto per esso ha risposto
già la dialettica trascendentale. Tuttavia Kant ne parla in un'ap-
pendice sull'uso regolativo delle idee della ragion pura e sullo
scopo finale della dialettica naturale della ragione umana. L'uso
regolativo delle idee è appunto c solo quello di indirizzare l'in-
telletto a un certo scopo per coPlerirgli la maggiore unità pos-
sibile con la maggior estensione, c la ragione è presente in que-
sta operazione come l'elemento sistematico della conoscenza,
cioè la connessione di essa secondo un principio (p. 494). Le
idee della ragione possono rappresentare il limite della cono-
scenza, nella coscienza che l'intelletto non può giungere ad es-
se, non può rcalizzarle in una esperienza. E allora si può anche
dire che le idee rappresentano, nella loro astratta formalità, il
sistema ideale (in effetti semplicemente regolativo) di ogni co-
noscenza razionale. " Così la ragion pura, che da principio pa-
reva prometterei nientemeno che l'estensione delle conoscenze
di là dai limiti della esperienza, se noi la intendiamo bene, non
contiene se non principii regolativi, che esigono bensì un'unità
maggiore di quella che può raggiungere l'uso empirico dell'in-
telletto, ma appunto perché spingono tanto innanzi il fine del-
l'approssimarsi ad essa, portano al più alto grado, mediante l'u-
nità sistematica, l'accordo di esso con se medesimo; ma se s'in-
tendono male, e si tengono per principii costitutivi di conoscen-
ze trascendenti, producono, con un'apparenza splendida sì, ma
ingannevole, una convinzione e un sapere immaginario, e con
ciò eterne contraddizioni e contrasti" (p. 531).
Con la sua Critica Kant ci consegna un'immagine dell'uomo
che non trova riscontro immediato nella cultura illuministica, nel
suo ottimismo, nella sua credenza da un lato nel progresso delle
scienze e delle lettere e dall'altro nella bontà originaria della na-
tura umana. Nonostante la sua anunirazionc per Rousseau, uno
dei pochi autori che Kant ha esaltato (c, forse, grazie a questa
ammirazione), non c'è in Kant nessun mito del buon selvaggio.
Anzi, se si bada alla Critica della ragion pura e se la si legge
non soltanto come un testo speculativo o, come vogliono certi
manuali, come il semplice risultato di una polemica tra razionali-
sti cd empiristi (una polemica inesistente anche se lo stesso Kant
l'ha schematizzata nelle pagine della Introduzione alla CritÌC{J -

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134 Kant

le sole universalmente note e altrettanto universalmente frainte-


se), ma come un complesso intreccio culturale, una risposta ai
problemi del tempo e quindi una critica di quella che poi si sa-
rebbe chiamata l'ideologia, allora troviamo qui una dissacrazio-
ne di quel mito. L'uomo per Kant non è naturalmente né buono
né cattivo: questo dipende dalla sua condotta morale, cioè dal-
l'uso che l'uomo sa e vuoi fare della sua libertà. Infatti, non
si dimentichi il primato della morale in Kant, nel senso, tra l'al-
tro, sia dell'interesse tutto particolare che la vita morale aveva
sempre suscitato in lui sia, in senso stretto, perché ciò che è pri-
mo, per Kant, è la vita morale. _Proprio l'analisi della conoscen:-
za ha indicato che l'uomo è un essere che agisce; e proprio in
quanto. agisce- è. vlÌole. agire, costruisce quel mondo empirico,
concreto, reso comprensibile c organizzato dai concetti e dalla
ragione.
È vero, la ragione non si esaurisce in questa attività perché
è una facoltà che regola tutta la vita dell'uomo. Si può dire:
.;t- J'uq_~_q_ è lib~_o p~rché si scopre conoscitivwnente_ fini~o. La Cri-
tica mostra che è vana la ricerca dell'incondizionato nella natu-
ra: ma questo incondizionato l'uomo e la sua ragione lo ritro-
vano immediatamente in se stessi, nel dovere. In quanto -pensa
e si pensa l'uomo non può fare a meno di pensarsi come univer-
sale e come libero. Questo è il senso del rapporto fra l'analitica
e la dialettica trascendentale, questo il senso del loro essere an-
corate all'estetica, cioè alla sensibilità: la dialettica trascendcn-
. tale fQrrcia la Critim perché proprio l'essèrefinitodcl.Fiiomo- espo~
sto all'illusione di una conoscenza dell'incondizionato dipende
dal suo essere immerso nella sensibilità c dal suo non aver rico-
nosciuto, prima della Critica, che il mondo della conoscenza
(empirico) non è il sapere. Dopo la Critica, dopo la dialettica
trascendentale, critica dell'apparenza, l'intelletto c la ragione si
trovano privati di quell'impero metafisica sul quale avevano or-
gogliosamente dominato. Si schiude loro il mondo della libertà
morale, ma è un mondo da farsi, una conquista continua. Na-
turalmente l'uomo non è un essere morale.
La pagina kantiana è umile; nulla è tanto estraneo a Kant
quanto le magnifiche sorti e progressive. Dopo Kant non ci sarà
dato facilmente di ritrovare questo senso di impotenza e di po-
vertà che silenziosamente percorre, come altri ha scritto 9, non po-
tenziato dal fiato di false divinità, tutta la sua opera: in polemi-
ca implacabile con l'ottimismo illuministico, essa ha a suo ulti-

• A. MASSOLO, Introduzione all"analitica kantiana, ciL, p. 48.

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Dialettica tra l'essere finito dell'uomo e la sua libertà 135

mo fondamento una concezione sanamente pessimistica dell'uo-


mo. Non c'è conoscenza infinita, non c'è dio, non c'è libertà co~
me qualcosa di dato. Il solo dato è l'essere dell'uomo nel mondo,
in un mondo che ha un senso, se c'è l'uomo: ma questo senso
deve essere scoperto. Questo spiega una certa fortuna di Kanf'
nell'esistenzialismo, almeno nella sua parte più seria 10 •
Riprendiamo e approfondiamo i temi della conoscenza, del
sapere e della libertà, motori c oggetti della dialettica. Come è
noto, su di essi è stato scritto praticamente tutto perché intorno
ad essi si è svolto fino ai nostri giorni il dibattito delle filosofie
postkantiane maggiori e minori e della cultura in generale. Ci
sembra opportuno riportare la pagina di un filosofo contempo-
ranco, che coglie il senso della problcmatica kantiana come si è
cercato di delinearla nelle pagine precedenti: " Ogni conoscenza
di ogni dato è condizionata e mediata; il sapere della libertà e
del dovere è immediato e incondizionato. Così nasce questa nuo-
va e doppia dialettica: come è possibile l'incondizionatczza del-
la libertà in un mondo che non è mondo, se non in forza delle
leggi determinanti e deterministiche della natura? E come può
avere un senso la vita dell'uomo, se questo senso è dato dalla
libertà e se nello stesso tempo la libertà non trova posto nel
mondo? ... In generale Kant dirà: alla prima domanda basta ri-
spondere che il problema stesso è dialettico in quanto vi si ri-
chiede una soluzione che va al di là dei limiti dell'uso empirico
della ragione; l'incondizionato non è nel mondo, è il fondamen-
to del mondo, e il mondo non può nulla contro di esso, non più
di quanto l'incondizionato possa contro il mondo: la distinzione
della conoscenza c del sapere, del relativo e dell'assoluto, è suffi-
ciente per superare una difficoltà che si fa invincibile solo a par-
tire dal momento in cui i due piani siano confusi. Quanto alla se-
conda domanda, la soluzione è positiva e non sta in una disso-
luzione del problema: poiché (e in quanto) la ragione cerca l'as-
soluto, ma evita di collocarlo all'interno del mondo, le è perfet-
tamente lecito credere in ciò che non potrebbe essere né con-
fermato né infirmato da una conoscenza condizionata. Dio, la
libertà, l'immortalità dell'anima, fino a che non saranno poste
come ipostasi, non saranno introdotte nella esperienza in for-
ma di forze agenti o di entità esistenti, sono i legittimi oggetti

10 In generale si veda L. PAREYSON, Studi sull'esistenzialismo, Firenze


1942 (recentemente ristampata e ampliata) e, tematicamente, di A. MAsso-
LO, i saggi e le note su Husserl, Heidegger, Jaspers e Kant in Logica hegc-
liana e filosofia contemporanea, Firenze 1967.

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136 Kant

della fede filosofica, consolazione e speranza del pensatore, il


quale sa bene di non aver il diritto di fondare su di essi la morale,
ma si è convinto della legittimità della sua speranza in una giusti-
zia trascendente che indirizza il mondo secondo la volontà pura
dell'universale e che ricompensa le intenzioni di quella coscien-
za morale che determina le proprie massime secondo la legge
dell'universalità. Alla dialettica oggettiva della soggettività si so-
vrappone (poiché è fondata sulla prima) una dialettica oggettiva
che si svolge tra la soggettività e il mondo da essa costituito,
mondo del quale tenterà sempre di dimenticare la costituzione
fondata sulla soggettività" 11 •

11 E. WEIL, Pensiero dia/ellico e politica, in Filosofia e politica, Firen·


ze 1965, pp. 27-28.

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7. Da Kant a Hegel: ragione, storia, dialettica

7.1. Il dibattito sulla dialettica trascendentale kantiana


La storia della filosofia dopo Kant può essere intesa, e lo è
stata di fatto 1, come una storia della filosofia kantiana. Indipen-
dentemente dai risultati e dalle interpretazioni dei singoli stori-
ci della filosofia non c'è ombra di dubbio che i grandi, anzi i
grandissimi dell'idealismo tedesco (Fichte e Schelling) come, a
maggior ragione, i cosiddetti minori (Reinhold, Jacobi, ecc., e lo
stesso Schopcn.haucr) scrivono le loro opere più importanti e si-
gnificative come risposta ai problemi che la filosofia di Kant ave-
va imposto al loro tempo. Non possiamo soffermarci su questo
punto. Tuttavia, per esemplificare, ci permettiamo di affermare
che il tardo idealismo religioso di Fichte come la filosofia della
natura c della mitologia di Schelling, per quanto grande possa es-
sere il loro peso nelle vicende culturali dell'epoca, restano acca-
dimenti quasi insignificanti per il dcsti"no della filosofia dopo
Kant. Oppure agiscono come semplici punti di riferimento sto-
rico (è il caso del cosiddetto secondo Schelling, appunto, con. i
suoi motivi esistenzialistici) 2 • Lo stesso Hegel, che, a sentire i suoi
compagni di studio, forse un po' maliziosi, non dedicava molte
ore ai filosofi e preferiva leggere Shakespeare, Tucidide e i tragi-
ci greci, cominciò come kantiano commentando la Metafisica dei
costumi e scrivendo una Vita di Gesù ispirata alla morale di Kant;
e quando, più che tren.terme, si presenta al pubblico con il celebre
saggio sulla Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schel-

1 Questa affermazione va intesa in senso stretto e quindi cade fuori di

essa la cosiddetta storiografia idealistica e neohegeliana: Kroner per esem-


pio e i nostri Croce, Gentile e De Ruggiero.
2 Su questo punto e per una interpretazione non idealistica dell'età
kantiana cd hegeliana si veda K. LOWITH, Da Hegel a Nietzsche, trad. it.,
Torino 1949.

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138 Da Kant a Hcgcl

/ing in rapporto ai contributi di Reinhold per una p1u semplice


comprensione d'insieme dello stato della filosofia agli inizi del
X I X secolo (180 l), Kant è ancora il suo nume tutelare.
La Critica della ragion pura è al centro del dibattito, esplicita-
mente, c basterebbe citare i titoli delle opere di Reinhold, Jacobì,
Maimon, del primo Fichte e del giovane Schclling. Tmplìcitamen-
te (e si tratta di una storia ancora tutta da scrivere - o da riscri-
vcrc leggendo Hcgcl), la Dialettica trascendentale è al centro del
dibattito sulla Critica della ragion pura. E questo per due motivi.
In primo luogo: abbiamo notato la presenza, nella Dialettica tra-
scendentale, di una serie di tesi, di una vera e propria storia della
tì.losofia sui generis. È un sorprendente ritorno di Aristotele, è
una interpretazione profonda della dialettica aristotelica, ignorata
dalla storiogralìa. Nonostante la diversità della situazione storica
c della impostazione filosofica dei problemi, resta il fatto, fonda-
mentale, che per Kant, come per Aristotele, oggetto della dialet-
tica non sono le cose, ma le opinioni sulle cose, c queste opinioni,
inoltre, possono determinarsi come ragioni contrapposte. Posta,
dunque, una certa identificazione, in Kant come in Aristotele, di
dialettica e storia della filosofia, la distinzione comincia a partire
dal fatto che nella dialettica kantiana le tesi sono riconosciute
come necessitate da una situazione umana: la ragione esposta al-
l'errore dell'illusione; in Aristotele, invece, sono lasciate nella loro
assoluta contingenza. Quindi quella dialettica o topica o dibatti-
to sulle tesi correnti che in Aristotele rappresentava la propedeu-
tica al filosofare, rientra con Kant nel sistema, giustificato dalla
struttura stessa della ragione dell'uomo.
·Va sottolineato: l'esame dei sistemi e delle tesi avviene come
se non avessero dimensione temporale; senza contingenza né arbi-
trarietà alcuna esse costituiscono le tappe, non cronologiche, del-
la storia necessaria della ragione (una storia filosofica ancora più
astratta di quella aristotelica). E in questa sua necessità la ragio-
ne, lo abbiamo visto, manifesta una sua struttura: l'antitesi, la
contraddizione. Non poteva sfuggire a H egei: " Kant pose la dia-
lettica più in alto, ed è questo uno dei suoi meriti maggiori. Egli
le tolse quell'apparenza di arbitrio, che ha secondo l'ordinario
modo di rappresentarsela, e la mostrò come un'opera necessaria
della ragione ... l'idea generale, che Kant pose per base e fece va-
lere, è l'oggettività dell'apparenza, e la necessità della contraddi-
zione appartenente alla natura delle determinazioni del pensie-
ro... " 3• Questo fatto resti qui soltanto accennato: esso è appunto

' Ho seguito, talvolta parafrasandole, alcune pagine del saggio, fonda-

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Il dibattito sulla dialettica trascendentale kantiana 139

il problema òeila filosofia dopo Kant. Come avviene che la ra-


gione umana, nell'esame al quale sottopone se stessa, si ma-
nifesti come contraddizione e antitesi? Come nasce l'antitesi nei
discorsi sulle cose? La dialettica, soggettiva, della ragione, costi-
tutiva della filosofia, non sarà essa il fondamento di una dialettica
oggettiva intesa sia come dialettica oggettiva della soggettività (ra-
zionale) sia come dialettica della realtà? Già questo interrogati-
vo, presente ai contemporanei, indica come la filosofia critica non
potèsse essere mantenuta nel suo equilibrio e come di fatto tra-
scendesse il pensiero dello stesso Kant. Una dinamica a sua volta
inevitabile, della quale non potevano essere responsabili né Kant
né i suoi interpreti. Il sistema aveva prodotto i suoi effetti sul tem-
po e il tempo rispondeva con altre interrogazioni facendo vio-
lenza al sistema.
In secondo luogo: la Critica della ragion pura apparve imme-
diatamente ai contemporanei - ben più dotati e culturalmente più
sensibili degli storici della fìlosofia loro successori - un edificio im-
ponente, ma fragile. Le contraddizioni (ne abbiamo qui sopra in-
dicata soltanto una, sia pure importante) sulle quali si reggeva, ri-
sultavano composte c in equilibrio, ma solo all'interno della filo-
sofia kantiana: non potevano resistere all'interpretazione. Sensibi-
lità (reccttiva) e intelletto (spontaneo), intelletto come facoltà del-
l'unità di un molteplice (sensibile) e ragione come facoltà dell'u-
nità incondizionata, fenomeni come oggetto di conoscenza e nou-
meni come pensabili, la materia della sensibilità come dato non
deducibile c le rappresentazioni (intuizioni, concetti, idee) come
costruzione dell'attività conoscitiva umana, !'io penso come co-
scienza di sé, unità sintetica originaria, e l'uso meramentc em-
pirico dell'intelletto, il realismo delle cose nello spazio e l'ideali-
smo delle rappresentazioni, l'esistenza della materia accanto alla
semplice coscienza di sé e l'idealismo della coscienza di sé rap-
presentante e unificante - contraddizioni sostanzialmente ricon-
ducibili ad una sola, cioè a quella, dichiarata dallo stesso Kant
e già ticordata: " l'idealista trascendentale può essere un reali-
sta empirico, e, come si dice, un dualista" (p. 674), cioè l'am-
missione, grosso modo, della coesistenza o non coesistenza nella
Critica di due sistemi contrapposti. È la celebre interpretazione
di Jacobi, che Fichtc farà propria, c che sì legge formulata co-

mentale, di A. MASSOLO, Per una le/tura della 'Filosofia della storia' di


llege/, in La storia della filosofìa come prohlema, Firenze 1967, pp. 171
sgg. La citazione hegeliana è tratta dalla Scienza della logica, trad it. di A.
Moni, Bari 1968, vol. r, pp. 38-39 (i corsivi sono di Hegel).

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140 Da Kant a Hegel

sì: " come è possibile accordare la presupposizione di oggetti


esercitanti una impressione sui nostri sensi e in tal modo susci-
tanti una rappresentazione, con una dottrina che vuol mettere
nel nulla tutti i fondanienti su cui questa prcsupposizione si fon-
da? " 4• Ma Fichtc andava oltre, esponendo il vero idealismo, cioè
quel punto di vista trascendentale e speculativo dal quale il filo-
sofo può osservare la deduzione che la coscienza empirica com-
pie del proprio sistema del mondo 5• Non già, dunque, due siste-
mi contrapposti: la loro coesistenza ha un senso perché Kant
avrebbe prefigurato l'idealismo come giustificazione del realismo.
Di qui quella dialettica fichtiana di io e non io, di tesi, antitesi
c sintesi, dalla quale avrà inizio una lunga evoluzione composta o
conclusa da Hegel.
Ma potremmo aggiungere una terza motivazione, che è poi al-
la base delle considerazioni precedenti. La filosofia kantiana è
in quegli anni al centro di· un grande dibattito non soltanto per
la sua potenza speculativa, ma soprattutto perché " i contempora-
nei ne avevano immediatamente avvertito l'interesse pratico-poli-
tico " 6• Essi penetravano facilmente nello spirito del sistema per-
ché si servivano non soltanto delle grandi opere sistematiche, ma
anche di quegli scritti cosiddetti minori, che poi per molto tem-
po sono stati ingiustamente trascurati. Basterebbe rileggere i due
brevi saggi del 1784 e 1791: Risposta alla domanda: che cos'è
l'Illuminismo (Aufklarung)? e Dell'insuccesso di ogni tentativo di
teodicea, " per renderei consapevoli della facilità, per un suo con-
temporaneo, di cogliere il significato della sua Critica in funzio-
ne e a servizio della instaurazionc dell'uomo ". Proprio nell'inter-
pretazione del'IIluminismo come " uscita dell'uomo da uno stato
di minorità che egli non può che imputare a se stesso ", emerge la
figura del criticismo "teso a garantire all'uomo non solo una real-
tà non ostile c non radicalmente estranea ma anche la possibili-

' Sull'idealismo trascendemale (1787), trad. it. a cura di N. Bobbio, in


« Rivista di filosofia»; 1948, n. 3, p. 256.
5 È il tema dell'opuscolo fìchtiano: Seconda introduzione alla Dottrina
della scienza (1797), uno degli scritti, cosiddetti minori, con i quali Fichte,
insieme a Schelling, partecipava fra il 1794 e il 1798 (anni in cui cadono
le due maggiori esposizioni della Dottrina della scienza) al dibattito sulla
filosofia kantiana. C'è una traduzione italiana con commento a cura di
Massolo, pubblicata per gli studenti a Urbino, 1948, ora fuori commercio.
Cfr. A MAssoLO, Il primo Schelling, Firenze 1953, Introduzione, partic.
pp. 11-12.
• A. MASSOLO, Sche/ling e l'idea/isn10 tedesco, in La storia della fi-
losofia come problema, cit, p. 132. Da questo saggio sono tratte le altre
citazioni che seguono.

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Fichte e Schelling oltre e contro Kant 141

tà di essere un costruttore del proprio destino ". Proprio questo


è il problema che troviamo al centro del dibattito, cioè come pos-
sa conciliarsi questa direzione del suo pensiero con la tesi secondo
la quale all'uomo non è dato trascendere tutti quei dualismi, tec-
rizzati in ultima istanza dall'esposizione dell'uomo al nulla dell'il-
lusione trascendentale, e ancora la contraddizione di una filosofia
che voleva porsi come sistema stesso della libertà e che al tempo
stesso denunciava l'impossibilità storica dell'uomo di porsi come
uomo totale.

7.2. Fichte e Schelling oltre e contro Karit

Per quanto la discussione sia fittissima, interessante e di gran-


de levatura gli interventi e le repliche (libri, recensioni, opuscoli,
giornali, fogli ufficiali, firmati o anonimi: non dimentichiamo che
si va preparando quella che pochi anni dopo verrà definita l'epo-
ca, l'età d'oro della filosofia, e in un certo senso, a ricostruirla
oggi, vi siamo già immersi in pieno), non terremo conto dei co-
siddetti postkantiani, cioè di coloro che, in definitiva, videro sol-
tanto la contraddizione propria di un sistema e non della situa-
zione, e credettero pertanto di eliminarla mediante una revisio-
ne del sistema stesso. Lo spirito del tempo è colto bene da Re-
gel, giovanissimo, in una lettera a Schelling del gennaio 1795.
Schelling non si dava ragione né pace della " miseria " dei profes-
sori di filosofia di Ttibingen che fraintendevano Kant, non capi-
vano il primato della ragione pratica e della libertà e Io adatta-
vano ad una nuova teologia con i suoi vecchi interessi di sem-
pre. " Ciò che tu mi dici ", scrive Hcgel, " sulla filosofia di Tli-
bingen, non ha niente di straordinario. Non si può distruggere l'or-
todossia sino a che la sua professione, legata ad interessi se-
colari, è inserita nello Stato. Questo interesse è troppo forte ".
Hegel aveva capito l'impossibilità di rispondere a quella diffi-
coltà rimanendo sul piano meramente filosofico e l'aveva ripor-
tata, quindi, sul suo piano vero, che è appunto quello pratico-
politico. Di questi esempi non sapremmo trovarne molti. Gli
stessi Fichte e Schelling, Schelling soprattutto, sfuggiranno ben
' presto al piano pratico-politico, rinunceranno a capirlo, ad es-
seme capiti.

Vediamo allora Fichte. Con il nome di dialettica fichtiana si


intende l'esposizione dei principi nella Dottrina della scienza del

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142 Da Kant a Hegcl

1794, che si chiama propriamente Grundlage der Wis.\emchafts-


lehre. Fichte ha iniziato la sua ricerca prima della Critica del
giudizio ed egli appare dominato dal primàto kantiano della ra-
gion pratica. La ragion pratica dovrà costituire quel fondamento
sul quale innalzare l'edificio solido, chiaro e coerente della filo-
sofia: presupposto, e risultato, di questa filosofia è la reale pos-
sibilità dell'uomo di liberarsi da una situazione. Abbiamo indica-
to le caratteristiche dell'uomo, in Kant, lacerato dai dualismi.
Poiché ne ignora la genesi, secondo Fichte, egli 11011 può libcrar-
sene: un passaggio che Kant, come abbiamo visto, non intende-
va compiere per rimanere fedele alla sua immagine (settecente-
sca) dell'uomo. La vita, la volontà sono l'oggetto della Dottrina
della scienza, c Fichte teorizzcrà la volontà di agire come sforzo
infinito c questo come l'unica seria possibilità d'intendere il reale.
Non c'è dubbio: sollecitato da Kant egli lo interpreta c ne eli-
strugge il sistema: vi abbiamo fatto cenno, non è possibile com-
porre le contraddizioni della filosofia e dell'uomo kantiani re-
stando all'interno del suo sistema. Altri tempi corrono. L'8 gen-
naio 1800 Fichtc scrive a Rcinhold: " Il mio sistema dal prin-
cipio alla fìne nient'altro è che l'analisi del concetto della liber-
tà". Ma la libertà di cui parla Fichte non è un dato né psicolo-
gico né speculativo, ma è il segno, il fermento dci tempi nuovi,
la libertà civile e politica affermata dalla Rivoluzione francese.
Fin dall'aprile 1795 egli aveva scritto allo svizzero Baggesen que-
ste parole che fanno da contrappunto a quelle che abbiamo so-
pra riportato di Hegel: " Il mio sistema è il primo sistema della
libertà. Come la nazione francese ha liberato l'umanità da cate-
ne materiali, il mio sistema la libera dal giogo delle cose in sé
e i suoi principi fondamentali fanno dell'uomo un essere autono-
mo. La Dottrina della scienza è nata nel corso degli anni in cui la
nazione francese, a forza di energia, faceva trionfare la libertà
politica; è nata in seguito ad una lotta intima con me stesso e con-
tro tutti i pregiudizi ancorati in me, e proprio questa conquista ha
contribuito a far nascere la Dottrina della scienza. Debho al valo-
re della nazione francese di essere stato sollevato ancora piì1 in
alto, di aver stimolato in me l'energia necessaria per compren-
dere quelle idee. Mentre scrivevo un'opera sulla Rivoluzione, i
primi segni, i primi presentimenti del mio sistema sorsero in me
come una specie di ricompensa " 7 •
' L'edizione migliore delle lettere di Fichte, delle quali purtroppo non
c'è una traduzione italiana, è quella a cma di H. Schulz, Fichtes Briefwe-
chse/, Leipzig 1925, in due volumi. L'opera sull~ Rivoluzione francese alla
quale Fichte allude è Contributo per relli(icare il giudizio del p11bblico

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Fichte e Schelling oltre e contro Kant 143

È giusto, dunque, affermare ·che Fichte, per primo, avrebbe


constatato che la genesi, il fulcro della dialettica, in quanto mo-
vimento reale, risiede nella società 8• È ancora più giusto osserva-
re che, proprio perché vera la constatazione precedente, non c'è in
Fichte una teoria ddla dialettica, una riflessione sulla dialettica:
con Fichte, per primo, la dialettica non è altro dal movimento
della realtà; la realtà, non il pensiero, è dialettica oppure il pen-
siero è dialettico in quanto pensa la realtà: ma la realtà- questo
il limite di Fichte - è l'Io. Solo con Hegel questo limite (letteral-
mente, cioè questa visione parziale della realtà) verrà superato.
Una volta indicate le caratteristiche fondamentali, non ha inte-
resse esporre nei particolari la filosofia, cioè la dialettica, fichtia-
na, esposizione facilmente reperibile presso i migliori interpreti e
in qualche buon manuale 9• Limitiamoci a presentare lo schema
contenuto nei tre principi fondamentali della Dottrina della scien-
za, la posizione dell'lo, la posizione del Non-io e la conquista o
superamento del Non-io da parte dell'Io. L'Io agente è il fonda-
mento di questa costruzione o produzione che non presuppone al-
tro che l'Io: l'Io realizza se stesso mediante un atto libero, nel
senso più forte del termine; la sua libertà è, infatti, anche un atto
di autolimitazione: il Non-io è opposto all'Io dallo stesso Io in
modo da avere quel contenuto che altrimenti gli mancherebbe. Il
compito dell'Io - l'azione, il suo manifestarsi come volontà - e il
suo contenuto coincidono. Da quello sdoppiamento l'Io procede-
rà, ritornerà verso l'unità, che sarà una· nuova unità, superiore,
concreta, di se stesso e del suo altro.
Questo movimento, questa dialettica è estremamente comples-
sa. Teniamo presente almeno che l'Io di cui parla Fichte non è
l'Io individuale o della coscienza individuale e neppure un ipoteti-
co Io dell'umanità. B un'astrazione, un lo puro (un termine che
diventerà tecnico, anche nella filosofia italiana, soprattutto in. Gen-
tile), nel quale non è possibile isolare il consapevole dall'inconsa-
pevole, il finito dall'infinito, l'Io teorico dall'Io pratico, l'Io che
agisce e produce c l'Io che osserva l'azione, la costruzione, e la
descrive -l'Io del filosofo, insomma: il solo che può ricostruire
e restituire quel fatto che è l'azione (Thathandlung in tedesco, che

sulla rivoluzione francese, 1793, ora in J.A. FrcHTE, Sulla Rivoluzione


francese a cura di V.E. Alfieri, Bari 1966.
8 Così G. GuRWITCH, Dialectique et socio/ogie, Paris 1962, p. 58.
9 Per esempio: M. GUEROULT, Evolution et structure de la Doctrine de

la Science, Paris 1930; A. MAssoLO, Fichte e la filosofia, Firenze 1948; L.


PAREYSON, Fichte, vol. I, Torino 1950 e P. SALVUCCI, Dialettica e immagi-
nazione in Fichte, Urbino 1963.

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144 Da Kant a Hegel

è una parola doppia, difficilmente traducibile: That-Handlung,


azione-atto), che precede ogni coscienza e la fa nascere, sia essa
collettiva o individuale o ancora, come si verifica anche storica-
mente, le due insieme. Questa dialettica, questa costruzione del-
l'Io è apparsa a Fichte " una storia prammatica dello spirito uma-
no " 10• Gli strumenti di cui si serve l'Io nel fare la storia e il fi-
losofo nel descriverla sono l'intuizione e l'immaginazione. È fre-
quente incontrare nelle pagine di Fichte questa espressione: " la
sola intuizione possibile è l'intuizione di noi stessi nel compimen-
to dell'azione o la certezza immediata della libertà della That-
Handlung ottenuta nell'azione ".
Nasce qui quella terminologia dell'in-sé e del per-sé, che sarà
poi di Hegcl: l'in-sé come il fatto dell'azione dell'Io (del suo pro-
dursi e del suo sdoppiarsi nel Non-io) che non può non coincidere,
per acquistare consapevolezza e storicità, con il per-sé, cioè con
il punto di vista del filosofo che rappresenta e rende possibile
quella consapevolezza stessa. È la dialettica della tesi, antitesi,
sintesi, una dialettica non della riflessione come in Kan.t: la co-
struzione dell'Io c del suo mondo, cioè la società e la storia sono
la dialettica stessa. Tuttavia, per usare un'espressione che sarà ri-
volta da Marx contro Hegcl, potremmo dire che da una parte,
con Fichte, si fa strada quel concetto della dialettica che sarà he-
geliano, ma, d'altra parte, il mondo fichtiano apparirà a Hegel un
mondo rovesciato: il reale, la società e la storia, non possono reg-
gersi sull'astrazione dell'Io; non l'Io, e la sua dialettica, ma la
realtà, sociale e storica, è il primo. Solo questa realtà può essere
dialettica, cioè concreta, in senso fichtiano.

Non sapremmo dire se la dialettica fìchtiana nella sua prima


formulazione (quella della Dottrina della scienza del 1794, la so-
la che abbiamo preso qui in considerazione e la sola veramente
degna di rilievo) u, sia una dialettica soggettiva o oggettiva. Certo,
come abbiamo tentato di dimostrare, l'Io puro come principio è

10 A. MASSOLO, Il primo Schelling, cit., p. 12.


11 In realtà abbiamo qui interpretato la Dottrina della scienza del 1794
alla luce dell'esposizione che Fichte fece della Dottrina della scienza nelle
lezioni tenute a Jena nel semestre invernale 1798-99, pubblicate da Jacob:
FICHTE, Nachgelassene Schri/ten, vol. n (solo apparso), Berlin 1937 (cfr.
ora la traduzione italiana a cura di A. Cantoni: J.G. FICHTE, Teoria del-
la scienza "nova methodo ", Milano-Varese 1959). La storia dell'evoluzio-
ne della Dottrina della scienza è estremamente complessa: in genere si
prende come fondamentale e definitiva (il che è contestabile, anche meto-
dologicamente) la Dottrina della scienza del 1794 (trad. it. presso Laterza).

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Fichte e Schclling oltre e contro Kant 145

ad un tempo soggettivo-oggettivo e il sistema che ne risulta sarà


chiamato ideai-realismo 12• Ma se il principio è l'Io, l'atto, o, con
un termine già in uso ma che diventerà tecnico solo con Schelling,
l'Assoluto, rimane pur sempre soggettivo: la natura è un sempli-
ce oggetto della soggettività e la storia smarrisce ogni autonomia.
Fiehte, infatti, studierà più in particolare i problemi del sentimen-
to, della religione e della comunità storica, e li studierà proprio in
dialogo o in polemica con Schelling. Fin dal principio (fin dalle
sue opere del 1795: l'lo come principio della filosofia e Lettere
sul dogmatismo e criticismo), Schelling aveva fatto valere una te-
si più radicale: " l'uomo non è nato per la speculazione, ma per
l'azione " (che è una tesi fkhtiana), ma nel senso che la filosofia
non è teoria, ma oggetto della libertà 13 . Con questo Schclling
intendeva affermare che il principio, l'Assoluto, unità del sogget-
tivo e dell'oggettivo, è anche unità dello spirito e delta natura (co-
mc verrà meglio precisando in opere successive, per esempio nel-
le Idee per una filosofia della natura del 1799), c che la tìlosofìa,
se nasce c quando nasce, è una malattia, la nostalgia dello spiri-
to stesso, mcmore di quella identità perduta, alla ricerca di una
sua ricostruzione.
Non è assolutamente possibile seguire Schelling lungo le infi-
nite pagine delle sue meditazioni. Egli ha sempre pubblicato tut-
to ciò che pensava. Ha detto bene Hegel, nelle sue Lezioni sulla
storia della filosofia, che egli " ha compiuto la sua formazione fi-
losofica al cospetto del pubblico. La serie dei suoi scritti filosofici
è anche la storia della sua evoluzione speculativa " 14 • Schelling
non ha svolto o costruito una forma particolare di dialettica. Egli
ritiene di poter realizzare quella sintesi alla quale Fichte non. per-
venne, di determinare l'identità' e la coincidenza del soggettivo e
dell'oggettivo, conservando nello stesso tempo sia il principio del-
la coscienza (l'Io) sia quello della natura (il Non-io). Su di lui agi-
sce più direttamente la presenza della Critica del giudizio, una in-
terpretazione del mondo dell'arte e della sua finalità: " la finali- .
tà dell'arte mediante la quale l'uomo e la soggettività passano nel-
la natura, e la finalità dell'organismo, nella quale la natura si ma-
nifesta alla soggettività come una specie di soggettività particola-

12 È la formula che usa Schelling, soprattutto per indicare la filosofia

del suo Sistema dell'idealismo tra.w.:endentale (1800), contro Fichte. Cfr.


le lettere Fichte·Schelling 1800- t 802, pubblicate in Appendice allo studio
di A. MASSOLO, Il primo Schel/ing, cit.
13 A. MASSOLO, Schelling e l'idealismo tedesco, cit., p. 134.
14 G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, Firenze, 1944,

vol. m, parte II, p. 376.

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146 Da Kant a Hegel

re -· questa doppia teleologia cesserà ora di appartenere alla sola


riflessione, e ciò che in Kant fu giudizio sulla conoscenza divente-
rà conoscenza della realtà c nello stesso tempo contenuto di que-
sta realtà: nella natura Io spirito va verso se stesso; nello spirito
la natura si fa cosciente e si compie " 15•

7.3. Hegel contro Schelling. L'assoluto - realtà e ragione -


come storia
Queste idee di Schelling, certamente fra le più geniali dell'epo-
ca (anche perché investono campi da altri inesplorati come la fi-
losofia della natura e le scienze naturali) non furono, però, mai da
lui compiutamente elaborate. E anche questo è un segno dei tem-
pi. Egli iniziò condizionato da Fichtc e da Kant (1794-95), ten-
tò di intrecciare subito un dialogo con Fichte, che ha il suo punto
culminante nello scambio epistolare del 1801-1802 16, una vera
gigantomachia intellettuale, ma fu contemporaneamente investito
dalle pubblicazioni di un Hegel che si atteggiava a schellinghiano,
ma che in realtà aveva già intrapreso un suo proprio cammino: è
lo H egei del 1801 -1802, dei saggi Fede e sapere e Differenza dei
sistemi fichtiano e schellinghiano, che anticipano incredibilmen-
te la Fenomenologia dello spirito c dove compaiono due tesi tipi-
camente anti-Schelling: il sapere filosofico, se è sapere, è tota-
lità, quindi identità di riflessione e intuizione (cioè, più tardi, è
la tesi del sapere come ragione che riflette sulla realtà che è data
prima); e l'assoluto non è né soggettivo né oggettivo, ma unità
dell'unità e della differenza, cioè l'assoluto non è né l'Io puro
fichtiano né l'identità schellinghiana di spirito e natura, ma, se è
possibile esprimersi così, quell'unità delle due posizioni che sola
consente di cogliere, al suo interno, il movimento della storia. La
posizione fichtiana viene da Hegcl, attraverso Schelling, rovescia-
ta: la storia è l'Assoluto. Cioè, le differenze, le antitesi, sono la
storia - l'assoluto rappresenta la possibilità di una loro compren-
sione, di una loro unificazione sul piano della ragione. :B la tesi
della Fenomenologia: l'assoluto non è sostanza, ma soggetto;
l'assoluto non è il primo, ma essenzialmente un risultato 17 •
15 E. W!òiL, Pensiero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Fi-

renze 1965, pp. 31-32.


" Cfr. sopra nota 12.
17 Fenomenologia dello spirito, trad. it. a cura di E. De Negri, Firenze

1960, vol. 1, pp. 13 e 15.

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Hcgel contro Schelling 147

Questa è la matrice speculativa della dialettica hegcliana. :B la


sua prima formulazione. Anzi, la sua prima forma. Paradossal-
mente si potrebbe affermare che tutta la cosiddetta dialettica he-
geliana sta in quelle due tesi anti-Schelling. La letteratura su que-
sto punto è vastissima. Il punto di vista hegeliano è talmente sem-
plice che merita di essere ancora una volta spiegato. E ricorrere-
mo per questo a due delle sue immagini più correnti, banali, ma-
nualistiche. L'Assoluto (di Schelling) è come " la notte dove tut-
te le vacche sono nere " 18 : H egei polemizzava con il mondo not-
turno e lirico dci romantici di Jcna, ma intendeva soprattutto di-
re che nell'Assoluto come identità, appunto come nella notte,
scompaiono e si annullano le differenze, cioè i vari aspetti della
vita, le cose nella loro molteplicità e nel loro divenire, il mondo
naturale e umano nelle loro contraddizioni, in una parola, la sto-
ria. L'Assoluto deve poter! a giustificare, spiegare o meglio com-
prendere, e allora non può essere che la storia stessa. Il filosofo
c l'uomo comune, ciascuno secondo le sue possibilità c i propri
concetti, debbono paterne discutere, parlarnc agli altri, compren-
derla nonostante le sue infinite contraddizioni; e allora, grazie ad
esse c all'infinità dei suoi aspetti, la storia, cioè la realtà, mostra
di avere in sé un suo senso, una sua ragione: la storia è la ragio-
ne; ed è per questo che Hegel dice che l'Assoluto è soggetto e ri-
sultato: soggetto indica non il logico, il soggettivo, ma il movi-
mento, lo sviluppo per forze proprie, perché così voleva la ter-
minologia del suo tempo; risultato vuoi dire· che l'Assoluto, c la
filosofia che ne è la comprensione, non è un primo, non sta all'ini-
zio, non è il creatore della realtà, bensì è quel principio che la fi-
losofia riconosce come tale, cioè principio, fondamento, proprio
perché è apparso per ultimo, alla fine di una lunga evoluzione. In-
somma, anche per Hegcl la filosofia è l'Assoluto, è il pensiero del
mondo o, se si preferisce, il mondo pensato; ma, questo è più im-
portante: " essa appare solo nell'epoca in cui la realtà effettuale
[la realtà fatta dagli uomini] ha compiuto il suo processo eli for-
mazione cd è bell'e fatta " (Prefazione alla Filosofia del diritto,
1821).
Allora risulterà chiara anche l'altra posizione hegeliana, sul-
l'intuizione di Schelling, paragonata ad un colpo di pistola. L'in-
tuizione era per Schelling un perfezionamento di quella fichtiana,
lo strumento per mezzo del quale l'Io potesse conoscere sé e la
sua azione. Essa diventava in Schclling, come intuizione intellet-
tuale, lo strumento principe della filosofia, il solo strumento che
18 Fenometwlogia delfo spirito, cit., p. 13.

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148 Da Kant a Regel

consentisse al filosofo di poter cogliere (in senso platonico, cioè


con un contatto immediato, quasi un vedere) l'Assoluto e il mo-
vimento delle cose nell'assoluto. L'intuizione non poteva quindi,
così, rendere ragione di quelle infinite mediazioni attraverso le
quali la realtà, le cose, la storia si compongono e si manifestano.
Sostenendo le esigenze e le pretese della ragione che deve poter
comprendere la realtà per il fatto stesso del suo esserci, e perché,
se c'è, e può essere compresa, deve avere in sé qualcosa di ragio-
nevole, Regcl, che pure polemizzò con Kant per tutto l'arco della
sua vita, rende un omaggio a Kant: la ragione, non l'intuizione
intellettuale, è lo strumento della conoscenza umana, e se la ra-
gione riflette le contraddizioni della realtà, compito della ragione
è soltanto quello di riconosecrle come proprie e di comprenderle.

Al mondo notturno, schellinghiano e romantico, di un Assolu-


to nel quale scompaiono le differenze della storia e dove a ten-
toni si muove un uomo incerto dci propri strumenti conoscitivi -
qui egli può solo affidarsi all'arbitrio c al soggettivo di un'intui-
zione - Regel oppone il regno del giorno, della ragione che ren-
de comprensibile all'uomo la ragionevolezza di se stesso e della
sua storia. La storia, totalità e infinità di aspetti contrastanti co-
me la vita, che ha nelle sue contraddizioni un suo senso, le sue
ragioni, la sua verità, sia pure nascosta; la filosofia come unità, co-
me coscienza del senso della storia, della ragione nella storia. Re-
gel ha voluto comprendere, comprendere tutto: " c compren-
dere la verità totale nella sua unità: l'uomo in genere ac-
cetta (anche quando le nota) le contraddizioni dei discorsi e
delle azioni, e si batte a favore della propria posizione; per Re-
gel, invece, è la molteplicità di queste posizioni che costituisce
un grande problema, il problema filosofico. Hegel vuoi essere fi-
losofo. Ma essere filosofo non significa costruire un discorso coe-
rente in più tra i molti altri discorsi coerenti, esplicativi, bensì
comprendere la realtà una nell'unità della verità. Hcgel è il più
sistematico dei filosofi, il più coscientemente sistematico. Tutto
ciò che noi chiamiamo la verità ha per Regel un valore limitato,
nessuna verità è la verità, e ogni verità particolare è anche falsa
perché particolare. Senza dubbio vi sono verità incrollabili : nes-
suno metterà in dubbio che la battaglia di Isso è avvenuta nel
333 a.C. o che il peso molecolare dell'idrogeno è uguale a l; ma
,queste verità di fatto non hanno senso in sé: lo acquistano uni-
camente nel quadro della storia o in quello della scienza naturale,
solo mediante concetti che organizzano i dati e li trasformano in
fatti per la scienza. Ora: le verità concettuali, le sole che richie-

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La dialettica non è un metodo 149

dono un senso, sì contraddicono, e nessun concetto sostiene se


stesso: l'essere è essere in divenire, l'ordine, ordine di un disordi-
ne, la storia produce ciò che trascende il tempo, e l'eterno si ri-
vela solo nella storia, la ragione è ragione dell'uomo appassiona-
to. Ogni concetto, ogni verità, sono aspetti di una sola verità e
realtà, ed ogni affermazione particolare diviene falsa quando, di-
menticando che essa è soltanto un'astrazione c una delle conside-
razioni possibili e necessarie, esige che tutto si riduca ad essa. La
verità è la struttura di tutte le verità, la struttura che le unisce, le
pone in contatto e in contraddizione. Tale struttura però è quella
della totalità: non una verità in più che si possa staccare o sot-
trarre: sarebbe altrettanto facile staccare dal corpo una parte che,
accanto alle altre, ne rappresentasse l'organizzazione o il movi-
mento. Hegel non vuole spiegare - c nulla è allo spirito umano più
naturale delle spiegazioni. Con ingenuità commovente ha ritenu-
to sufficiente dire agli uomini che il compito della filosofia consi-
ste nel comprendere, comprendere la scienza, comprendere la po-
litica, la religione, la poesia, e comprendere il tutto nella sua uni-
tà e a partire da tale unità, senza mai voler comprendere l'unità
da un punto dì vista esterno o superiore o più profondo. Egli vuoi
comprendere la ragione, come ragione, ma nella sua concreta esi-
stenza, con quelle sue contraddizioni che sono tali solo in quanto
ogni tesi particolare pretende di essere l'intero della verità, ogni
aspetto della realtà si pone come la realtà e si crede la realtà. La
realtà è l'unità delle contraddizioni. II frutto è in contraddizione
con il fiore perché è la morte del fiore, ma soltanto l'insieme del
frutto e del fiore costituisce l'organismo vivente.

7.4. La dialettica non è un metodo


" Questa è la cosidde{ia dialettica. Dialettica è unicamente la
realtà che comprende se stessa. Misticismo? Lo si è detto spesso
e Io si ripeterà sempre. La tentazione infatti è grande: basta con-
siderare questa dialettica come un metodo, come un'astuzia del
filosofo, un'invenzione, e subito si scopre il suo limitato valore ri-
spetto ai metodi della scienza, della logica formale, dell'analisi
attenta e prudente. Ma la dialettica non. è un metodo, il mondo
non è il suo oggetto: essa è il mondo nel suo presentarsi nel di-
scorso. In rapporto al mondo l'uomo non è l'altro, uno straniero
in cerca di un accesso impossibile; non. è un fotografo che ripren-
de ciò che gli sta sotto gli occhi. L'uomo è al centro della realtà,

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150 Da Kant a Hegcl

nella realtà, è parte della realtà stessa; c il filosofo, che vuole com-
prendere, sa che la visione della totalità non è altro che la totali-
tà degli aspetti della realtà: egli li sviluppa prendendoli sul se-
rio, letteralmente, nel loro presentarsi - la contraddizione gene-
rata dai diversi aspetti della realtà resiste sino a quando si accet-
tano alloro livello. Ma l'opposizione non è assoluta. Né la filoso-
fia la annienta. Per la filosofia essa appare come opposizione di
ciò che da ultimo è uno. C'è un presupposto comune, infatti, co-
mune a tutte le posizioni: l'uomo può parlare della realtà, e la
realtà si manifesta nel discorso degli uomini. Discorsi ragionevoli,
almeno nel senso che non sono in contraddizione assoluta con la
realtà: se non fosse così l'uomo non avrebbe più possibilità di
inserirsi nella realtà - ne morirebbe e con la sua morte finirebbe
l'umanità. Anche la realtà, dunque, è razionale. Non come l'uo-
mo che, ragionevole (parzialmente), ne è inoltre cosciente, ma per-
ché accessibile al pensiero e al discorso, perché genera discorso,
che è quel discorso dell'uomo reale. La realtà ha una struttura: il
reale è ragionevole, il ragionevole è reale. La dichiarazione hege-
liana ha sorpreso; ma questa meraviglia è ancor più sorprenden-
te, poiché nessuno ha mai dubitato della natura come insieme di
leggi, della regolarità naturale, della descrizione ragionevole e ra-
zionale che può ordinare i fenomeni. L'uomo pub parlare di cib
che è perché ne fa parte: ne rappresenta il linguaggio. Ma la ma-
nifestazione non si manifesta in un discorso unico. L'uomo non
è puro spirito, sopra o fuori della natura. Parla perché agisce e
agisce perché parla. Agisce e pensa insomma perché dispone di
una piccola parola: no. L'uomo è nella natura. Ma non è natura
come il minerale e l'animale: è scontento, insoddisfatto di ciò che
è, e nel suo discorso parla di ciò che non è, di ciò che egli vuole
introdurre nell'essere. In principio è la contraddizione.
" La dialettica non è dunque altro che il movimento incessante
tra il discorso che è azione e la rivelazione della realtà in questo
discorso e in questa azione. La dialettica è questo movimento,
non una costruzione dello spirito. Proprio perciò la dialettica fi-
nisce per sapere che essa è totalità non contraddittoria delle con-
traddizioni. Finisce per saperlo, c il suo sapere è il suo prodotto,
il prodotto delia storia reale dove l'uomo ha agito, parlato, tra-
sformato il mondo e se stesso con la parola e con la sua opera.
Il discorso nella sua storia, nel suo farsi reale, è pervenuto al
punto in cui non soltanto comprende ogni cosa, ma comprende
anche se stesso. L'uomo può volgersi al passato, al cammino per-
corso, riconoscersi in ciò che nel mondo fu compiuto. La storia
ha un senso. Non perché una Ragione, con lettera maiuscola, an-

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La dialettica non è un metodo 151

teriore al tempo c alla storia ne avrebbe predeterminato senso e


significato: è l'uomo invece che pensando e agendo col suo la-
voro, ha dato un senso al mondo, sua attuale dimora. Solo l'uo-
mo ha dato un senso a ciò che è stato prima di pervenire a quel
punto di vista, dove il senso è divenuto comprensibile, ed è com-
preso infatti, e da dove tutto appare, com'è giusto e necessario,
preparazione del risultato. Questo è la storia: n.egatività e discor-
so, e realizzazione del senso del no della parola e dell'azione.
Comprendere significa comprendere ciò che è divenuto a partire
dalla storia o meglio nella storia. La filosofia è innanzitutto com-
prensione del suo stesso divenire, del suo essere-divenuto " 19•

Abbiamo riportato questa lunga citazione perché questa pagi-


na ci sembra cogliere, più di un lungo commento, il senso e lo
spirito della dialettica hegeliana. Allo stato attuale degli studi c
della storiografia, c tenendo conto dell'interpretazione di Marx,
che fu uno dei pochi a comprendere a fondo Hegel in tutto il
corso del XIX secolo, non è più possibile tentare di ricostruire sui
testi quella " figura " o quel " sistema " della dialettica, ai quali
Hegel non pensò mai. B bene chiarire subito che la distinzione tra
il metodo hegeliano, dialettico e quindi corretto, progressivo, sto-
ricistico, antimetafisico e aperto, " rivoluzionario ", e il sistema,
conservatore, metafisica, chiuso e antistoricistico, distinzione che
risale a Marx e Engels, voleva avere un valore critico c interpre-
tativo: i due pensatori erano ben consapevoli che metodo e siste-
ma in Hegcl fanno tutt'uno, e lo sapevano tanto bene, e comprese-
ro Hegcl così a fondo che accettarono il metodo hegeliano soltan-
to per rovesciarlo, per restituire alla storia l'immagine di un uo-
mo che camminasse sulle gambe. 1:. un fatto storico. Chi non ha
compreso Hegel o lo ha rifiutato, come Kicrkegaard, o ne ha trat-
to una scolastica come i teologi della destra hegeliana; chi lo ha
capito, come Marx, non ha potuto che rovesciare il sistema. È
questa una tesi, un risultato fondamentale del pensiero hegeliano
che percorre tutto l'arco della sua meditazione: il sistema, cioè
la filosofia e il suo metodo, è una presa di coscienza della realtà;
questo intervento modifica la realtà c il sapere stesso che ne pren-
de coscienza fino a scuotere e a spezzare il sistema che la rende
possibile. Questa è la dialettica. Ed è la dialettica della realtà, che
nel sistema hegcliano, pur sempre un sistema c quindi chiuso, ri-
sultava rovesciata, perché si fondava sulla coscienza, sul pensie-

,. E. WEIL, Jfegel, trad. it. con alcune pagine inedite a cura di Livio
Sichirollo, Urbino 1962, pp. 13 sgg.

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152 Da Kant a Hegcl

ro e non sulla realtà. Marx rifiuta o meglio rovescia il sistema he-


geliano proprio perché comprende il risultato di quel sistema:
la realtà può essere modificata, trasformata - ma a partire dalla
realtà. Ma non anticipiamo.
Limitiamoci per ora a queste osservazioni, e ripetiamo ancora
una volta che per tutti questi motivi è arbitrario racchiudere in
una formula una definizione della dialettica. Teniamo presente
che questa pretesa definizione nei testi hegeliani non c'è come ri-
sulta anche da un lessico della terminologia hegeliana 20 • Se mai,
come esemplificazione o per tentare di cogliere lo spirito di ciò
che intende Hegel con quel termine, si può riflettere sù questa af-
fermazione e considerarla una definizione indiretta della dialetti-
ca: " compito della filosofia e della scienza è rendere fluidi i rigi-
di concetti, i duri pensieri (die festen Gedanken) " 21 • Ed è interes-
sante notare che Hegel aveva individuato in Platone questo com-
pito della filosofia c lo considerava appunto un merito immortale
del suo pensiero (come si può rilevare dal capitolo dedicato a
Platone e alla dialettica nelle sue Lezioni sulla storia della filoso-
fia). Non la dialettica come scienza o intuizione lo aveva affasci-
nato nei dialoghi platonici, ma il movimento stesso dei concetti,
le loro contraddizioni come movimento e contraddizione della
realtà. Se la dialettica sia o no un metodo o anche semplicemente
il metodo è, dunque, in Hegel, un falso problema. Molta parte
della filosofia dell'Ottocento, e anche del Novecento, se ne occu-
pò. Basterà ricordare Croce e Gentile. Essi parlarono e scrisse-
ro di una " riforma " della dialettica hegeliana come se un siste-
ma filosofico fosse un fenomeno astratto dalla realtà, un immagi-
nario mosaico che potesse essere restaurato. Proprio per questo
non ci occuperemo di loro.

7.5. Dialettica è la realtà effettuale, la storia

Vediamo, invece, i pochi passi nei quali Hegcl spiega che co-
sa intende per dialettica. Non è un caso che egli se ne occupi nel-
la Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817), la sola opera che
contenga per intero una esposizione del sistema. E non è un caso
che in quest'opera egli se ne occupi alla fine di una parte ìntro-

20 H. GLOCKNER, Het:el-Lexikon, 4 voli. presso Frommann di Stutt-

gart: fa parte di un'edizione delle opere di Hegel in 20 volumi.


" Fenomenologia dello spirito, cit., vol. 1, p. 27.

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Dialettica è la realtà effettuale, la storia 153

duttiva: infatti, si tratta di una chiarificazione a scopo didascali-


co, che cade sotto il titolo: " Concetto più pmiicolare e divisio-
ne della logica ". Teniamo ancora presente che la dialettica di
cui Hegel parla in questi pochi paragrafi è uno dei momenti della
logicità, cioè del movimento del pensiero, di quello stesso pensie-
ro che riflette il movimento della realtà prendendone coscienza :
si può quindi affermare, senza timore di far violenza al pensiero
hcgcliano, che a questo movimento del pensiero corrisponde un
movimento della c nella realtà (la realtà effettuale, come la chia-
ma Hegel, la Wirklichkeit, la realtà storica come prodotto delle
azioni e del pensiero degli uomini), c solo per comprendere, cioè
per rendersi ragione di questo tipo di realtà, ha un senso quello
che Hegel ci dice del movimento del pensiero.
La logicità ha tre aspetti: "a) l'astratto o intellettuale; b) il
dialettico o negativo razionale; c) lo speculativo o positivo razio-
nale " 22 • Hegel aggiunge, per chiarire, che questi tre aspetti non
sono tre parti della logica, ma tre momenti di ogni- atto logico rea-
le, cioè di ogni concetto o di ogni verità in genere. Come sappia-
mo, il concetto e la verità hanno una loro realtà effettuale, stori-
ca, cioè sono da ritrovare nella storia e nella cultura degli uomi-
ni all'interno delle quali agisce il momento dialettico. Il loro mo-
vimento, le loro trasformazioni sono possibili grazie a questa con-
siderazione della realtà, che è appunto dialettica. Infatti, con il
termine intelletto Hegel intende il pensiero fermo c rigido in una
sua posizione (Hegel dice determinazione), e nella differenza di
questa posizione rispetto alle altre (§ 80): è come se una cosa, un
fatto, un avvenimento venisse considerato a sé, in astratto, senza
nessuna connessione con· le altre cose, fatti o avvenimenti.
Questa connessione è possibile grazie al momento dialettico:
" esso è il sopprimersi da sé di siffatte determinazioni finite e il
loro passaggio nelle opposte" (§ 81). Il testo sembra difficile, ma
non lo è se badiamo al senso delle parole e all'esempio che ab-
biamo fatto. Quella cosa, fatto o avvenimento, che abbiamo pre-
teso di considerare a sé, come qualcosa di assoluto e di separato,
quindi come un finito, come tale non può sussistere ed è incom-
prensibile: ogni cosa diviene, si trasforma, e così anche ogni fat-
to o avvenimento, che sono quello che sono e possiamo studiarli
e parlarne e discuterne con gli altri proprio perché sono diventati
22 § 79. Seguiamo la traduzione di B. Croce, Bari 1963, che riprodu-

ce il testo della 2• ed. ampliata del 1827, in genere accolto come un testo
definitivo. Per questa impostazione ed esposizione, cfr. J.N. FrNDLAY, He-
gel oggi (1958), cap. 3, e la conferenza di E. WEIL, The Hegelian Dialectic
(cfr. " Guida bibliografica ").

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154 Da Kant a Hegcl

quello che sono c non qualche cosa d'altro, cioè hanno soppres-
so e superato la propria astrazione c il loro essere finiti, evolven-
dosi. Lo schema del movimento interno della loro evoluzione è
il loro porsi come qualcosa di opposto a se stessi.
Non è possibile comprendere che cosa intenda Hegel per dia-
lettica se non si arriva a capire la sua visione dinamica della
realtà, che è poi una visione storica. Ma anche questa è una spie-
gazione inadeguata, perché non si tratta di vedere la .realtà dal di
fuori, ma di comprenderla, nel suo movimento, dal suo interno.
Hegel, infatti, commenta il § 81 e ci dice che la dialettica non è
un'arte estrinseca che introduce nei concetti le contraddizioni:
questa dialettica è quella dello scetticismo, "il quale contiene la
mera negazione come risultato della dialettica". Essa è, invece,
" la propria e vera natura delle cose e del finito in genere ", una
" risoluzione immanente, nella quale la unilateralità e limitatezza
delle detern1inazioni intellettuali si esprime come ciò che essa è,
ossia come la sua negazione " - e non dimentichiamo che con de-
terminazioni intellettuali Hegcl intende cose, concetti o fatti iso-
latamente considerati, cioè astratti. Egli conclude il commento af-
fermando che la dialettica è l'anima motrice del progresso scien-
tifico, il principio per cui la connessione immanente e la neces-
sità (delle cose fra loro) entrano nel contenuto della scienza: e
così si ha, dice Hegel, " la vera e non estrinseca elevazione sul fi-
nito". Qui Hegel parla della scienza, ma dobbiamo ricordare, co-
mc abbiamo sottolineato, la connessione fra realtà e concetto o
filosofia o scienza, cioè fra la realtà e la comprensione della real-
tà che è il principio fondamentale della filosofia hegeliana: noi
parliamo di realtà perché c'è una realtà c perché possiamo com-
prenderla, e possiamo comprenderla solo a mezzo del pensiero e
dei concetti. Senza questo principio non ci sarebbe per Hegel né
realtà né concetti né linguaggio.
Il terzo momento, speculativo o positivo razionale, è il mo-
mento dell'unità di quelle determinazioni finite, astratte, di cui
abbiamo parlato, ma nella loro opposizione : " ed è ciò che vi ha
di affermativo nella loro soluzione e nel loro trapasso " (§ 82).
Qui H egel vuoi dire una cosa molto semplice : da una parte ab-
biamo le determinazioni finite, astratte, separate le une dalle al-
tre, rigide neHe loro differenze, senza connessioni; talmente astrat-
te c talmente sconnesse che equivalgono, dall'altra parte, al loro
opposto nel senso che passano, si trasformano nel loro opposto
- e il risultato di questo movimento sono le cose che ci stan-
no sotto gli occhi e gli avvenimenti dei quali possiamo parla-
re, _cioè le cose determinate, ma determinate come unità dell'uni-

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Il " mondo rovesciato " dell'uomo comune 155

tà e della differenza: l'unità del loro esser poste per se stesse,


nella loro separazione, e la differenza del loro essere in relazione,
del loro non poter essere e non poter essere considerate come en-
tità separate. L'unità, il positivo del risultato ·è una unità che c'è
già, ma non dispiegata, non presente appunto come risultato.
H egei dice nella Scienza della logica:." Su questo elemento dia-
lettico... nel comprendere l'opposto nella sua unità, ossia il positi-
vo nel negativo, consiste lo speculativo " 23 • Quindi, in· questa con-
figurazione della dialettica emerge anche il concetto del '.' negati-
vo del negativo " come caratteristica sua propria, e lo afferma
esplicitamente Hegel in un'altra pagina della stessa opera, che va-
le anche come commento: " ... il negativo del negativo, al quale
siamo giunti, è quel togliere della contraddizione; ma neppure es-
so, non meglio che la contraddizione, è l'opera di una riflessione
esteriore, essendo anzi l'intimo, più oggettivo momento della vita
e dello spirito ... " 24•

7.6. Il "mondo rovesciato" dell'uomo comune


Hegel stesso cl spiega la formulazione del terzo momento nel
commento al ~ 82. Egli -sottolinea il risultato positivo della dia-
lettica, " perché essa ha un contenuto determinato o perché il suo
verace risultato... è la negazione di certe determinazioni ". E ag-
giunge ancora, sul filo del ragionamento e degli esempi che ab-
biamo fin qui illustrato, una ulteri01.:e caratterizzazione di questo
" razionale ", " positivo ", di questo " risultato ", che è poi la dia-
lettica stessa: " Questo razionale è perciò, quantunque sia un
qualcosa di pensato e di astratto, insieme qualcosa di concreto,
perché non è unità semplice c formale, ma unità di determinazio-
ni diverse ". Il testo non potrebbe essere più chiaro. Rovesciando
il ragionamento hegeliano, ma, crediamo, nello spirito del suo fi-
losofare, si potrebbe dire: la realtà è qualcosa in quanto viene
pensata, e questo significa, ripetiamolo, il suo essere portata su
quel piano dell'universalità che sola permette il linguaggio, la co-
municazione e la comprensione. Certo, questa comprensione del-
la realtà nel pensiero e come pensiero, può anche essere o appari-
re qualcosa di astratto. Questo avviene, però, quando si ha di mi-
ra il particolare, le cose o gruppi di cose considerate al di fuori

" Scienza della logica, cit., vol. I, p. 39.


" Scienza della logica, cit., vol. 11, p. 948.

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156 Da Kant a Begel

delle loro connessioni: ed è, di fatto, il pensiero presente nelle


operazioni delle scienze che procedono per astrazioni; ma è an-
che il pensiero dell'uomo comune, che compie, senza averne co-
scienza, tutta una serie di generalizzazioni e presenta quindi dci
ragionamenti, astratti, che sono proprio il contrario del ragiona-
mento filosofico che considera la realtà come unità e totalità.
Hegel lo spiega molto bene in un piccolo saggio intitolato: Chi
pensa in astratto? 25 Egli fa l'esempio di una serie di classificazio-
nì, appunto astratte, tipiche dell'uomo comune o dello speciali-
sta che non hanno nulla di filosofico o meglio che rappresentano
una filosofia rovesciata: un uomo che commette un delitto è per
l'uomo comune, per l'avvocato, per il giudice che non tengono
conto e non vogliono tener conto dell'intero contesto nel quale
quell'avvenimento si è prodotto c della sua complessa genesi, un
"assassino", non già quell'uomo particolare che ha commesso
quel tal delitto. È, quindi, estremamente indicativo il nuovo signi-
ficato che i termini -astratti e concreti assumono nella sua problc-
matica. La coscienza comune tende a caricare di valore gli " a-
stratti ", umanità per esempio, mentre considera poco nobili le
determinazioni concrete o almeno prive di valore particolare. He-
gcl fa proprio questo linguaggio e gli astratti sono numerosi nel-
la sua pagina, ma egli capovolge questa scala di valori: l'astrat-
to è per lui la vuota rappresentazione, l'assolutamente indetermi-
nato, la forma concettuale " non sviluppata "; concreto è, invece,
ciò che si è dispiegato fino a determinazioni singole, particolari,
cioè il vero universale nella singolarità c della singolarità.
L'essere, questo concetto antico, solenne, è astratto, è il
concetto più povero, più vuoto; concrete sono le cose, la realtà,
la storia. Concreto, reale è il razionale; l'astratto una semplice
elaborazione dell'intelletto (della scienza o dell'uomo comune).
"Ai non iniziati " egli scrive a Voss, il traduttore d'Omero,
nel 1805 - cd è chiaro che intende riferirsi a coloro che non vo-
gliono fare lo sforzo di avvicinarsi alla filosofia, alla ragione, alla
comprensione razionale delle cose, c scambiano per filosofia i con-
tenuti, i riassunti dci manuali, " ai non iniziati quel mondo deve,
per il suo contenuto, inevitabilmente apparire come un mondo ca-
povolto, perché in contraddizione con tutti i concetti a cui sono
abituati e con quanto appariva ad essi come valido secondo il
cosiddetto buon senso ". Invece, " capovolto " è il mondo delle lo-
ro astrazioni, non quello della filosofia che vuoi soltanto compren-
dere le cose come sono c come sono divenute. Insomma, Hcgel
25 Trad. it. in «Rinascita», XIV, 1957, n. 1-2, a cura di P. Togliatti.

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Il " mondo rovesciato " dell'uomo comune 157

rovescia una lunga tradizione, o meglio l'interpretazione che è


stata data della tradizione : l'uomo comune ritiene di pensare (o
si ritiene che pensi), sia pure ingenuamente, le cose in modo con-
creto, per quello che sono; la scienza e a maggior ragione il filo-
sofo compiono delle astrazioni e quindi ci presentano un mondo
inventato, immaginario, che non sarebbe quello che noi abbiamo
sotto gli occhi. " Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà
ogni capriccio, l'errore, e ciò che è su questa linea, come pure
ogni qualsiasi difettiva c passeggera esistenza " (~. 6). Hegel di-
mostra che questo è un modo inadeguato di considerare la real-
tà e le cose; anzi, egli ritiene che proprio il mondo dell"uomo co-
mune e dello scienziato è un mondo rovesciato; un mondo astrat.:
to nel senso che è formato di cose particolari, separate le une dal-
le altre, immobili, cioè senza quelle relazioni reciproche che di
fatto hanno, se sono cose c se possiamo parlarnc.
Il problema non è se le cose stanno così o diversamente: che
le cose stiano come dice Hegel lo dimostra semplicemente il fat-
to che ci sono c ne parliamo, e quindi hanno in sé. qualcosa di ra-
zionale. Il problema è che lo scienziato e l'uòmo comune non lo
sanno e non possono sapcrlo. Solo la filosnfia, cioè la compren-
sione della realtà nella sua unità e totalità può comprenderlo; ro-
vesciando il punto di vista particolare dello scienziato c dell'uomo
comune, e rimettendo, quindi, il mondo sui piedi. A ben guar-
dare, infatti, " anche per l'ordinario metodo di pensare un'esisten-
za accidentale non meriterà l'enfatico nome di reale: - l'accidcn.-
tale è un'esistenza che non ha altro maggior valore di un possi-
bile che può non essere allo stesso modo che è " (ivi). Marx appli-
cherà ad Hegel la stessa critica che Hegcl fa all'uomo comune: c
sarà giusto, perché, come abbiamo accennato e come vedremo in
seguito, per poter andare oltre Hegcl egli abbandona la filosofia
di Hegcl, cioè la filosofia, c inizia dai bisogni degli uomini, dalla
loro lotta per l'esistenza e dalla loro organizzazione nel lavoro.
Ma questo è un altro discorso.
Ora, sia chiaro: il concreto di cui parla Hegel, non è, dunque,
neppure il punto di vista della filosofia e del filosofo, che sarebbe
ancora una volta una "unità semplice e formale", cioè un'astra-
zione, il punto di vista di una scienza particolare, ma è quell'" u-
nità di detenÙinazioni diverse ", quel risultino di un movimento
interno al pensiero e alle cose, come abbiamo visto, che partendo
dal loro semplice essere, attraverso una serie di negazioni e di fat-
to contraddizioni, ci consente di comprendere le cose per quello
che sono, qualcosa di concreto e unitario, che è e non è, diviene
quello che è e continuame.nte si trasforma. Questa è la realtà -

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158 Da Kant a Hegel

o, che è lo stesso, la filosofia. Allora questa è la sola realtà che la


filosofia (se è filosofia e non una qualsiasi scienza particolare) può
e deve comprendere. Questa è la dialettica.

7. 7. Il razionale è reale, il reale razionale. " La dialettica


non è semplice vanità o smania soggettiva "
Ancora poche osservazioni sulla presentazione che abbiamo
sin qui seguito, sulla pagina di Hegel, del suo concetto di dialet-
tica. In primo luogo riteniamo di non aver più bisogno di spiega-
re, a questo punto, quale sia il vero significato dell'affermazione
hegeliana " ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è raziona-
le " 26 • Ne sono state date, e ancora se ne leggono, interpretazioni
tra le più fantastiche e arbitrarie. Non è questa la sede per discu-
terle. Se lo vorrà, il lettore che avrà scorso le nostre pagine può
confrontare una qualsiasi monografia hegeliana o un manuale di
storia della filosofia. Possiamo solo aggiungere che se al posto di
razionale usiamo la parola ragionevole, che traduce meglio la pa-
rola tedesca verniinftig, ogni difficoltà o perplessità dovrebbero
scomparire e il senso del nostro discorso dovrebbe essere chiaro:
ragionevole è ciò che può e deve avere un senso, ciò che può e
deve essere compreso, totalmente compreso, come unità delle e
nelle sue contraddizioni. Razionale è, invece, più adeguato come
traduzione di verstlindig, che indica invece un punto di vista più
limitato, quelle operazioni della scienza che classificano e catalo-
gano. Ora sappiamo che non è questa la realtà o la filosofia di cui
· Hegel intende parlare: è una realtà, questa, non dialettica, senza
dialettica.
Ed ora comprendiamo anche che cosa Hegel potesse pensa-
re delle costruzioni " dialettiche " di coloro che lo avevano pre-
ceduto, una concezione sostanzialmente scettica che manteneva
distinte realtà e filosofia, cose c ragione. " Ordinariamente
si prende la dialettica come un procedimento estrinseco c nega-
tivo, che non appartenga alla cosa stessa, ma abbia la sua radice
nella semplice vanità, come smania soggettiva di dare il crollo e

26 Nella " Prefazione " ai Lineamenti di Filosofia del diritto, trad. it. a

cura di Messineo, Bari 1954, p. 15. Cfr. Enciclopedia, cit., § 6, nota. Per
comprendere il senso di " ragionevole " al posto di " razionale " si leggano
gli scritti citati di ERIC WEIL, in particolare Filosofia e politica, cit., p. 35.

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Il razionale è reale, il reale razionale 159

di distruggere tutto ciò che v'ha di stabile e vero " 27• Lo stabile
e il vero è la realtà nel suo intero, ogni " effettuale " considerato
come intero: la realtà che nel suo movimento si evolve c tal-
volta distrugge le forme, le culture, le istituzioni nelle quali si
è manifestata. Hegel stesso aveva sentito, come hanno dimostra-
to i migliori interpreti contemporanei, la fine di un mondo, del-
la·" vecchia vita", come soleva esprimersi, e l'incalzare di un'età
nuova. Lo dice chiaramente in una delle ultime pagine delle Le-
zioni sulla storia della filosofia: " Sembra talvolta che lo spirito ab-
bia dimenticato se stesso, si sia smarrito. Ma al suo interno, in
opposizione con se stesso, esso è progresso interiore - come Am-
leto dice dello spirito di suo padre: Ben fatto, brava talpa! - fi-
no a che, avendo acquistato forza in se stesso, solleva, per farla
crollare, la crosta terrestre che lo separava dal suo sole, dal suo
concetto. In tali epoche ha calzato gli stivali delle sette leghe;
la crosta, un edificio senz'anima, roso dai tarli, crolla c lo spiri-
to assume la forma di una nuova giovinezza " 28•
Prima di Hegel, dunque, la dialettica come metodo che si ap-
plica dall'esterno alle cose. Solo con Kant prende forma quel
nuovo concetto della dialettica che appartiene alla preistoria del-
la dialettica hegeliana (cfr. sopra 7.1 e nota 3): "È da ritenersi
per un passo infinitamente importante che la dialettica sia stata
di nuovo riconosciuta come necessaria alla ragione, benché da
ciò s'abbia a ricavare il risultato opposto a quello che ne venne
fuori ... " 29 • Hcgcl intende qui riconoscere in Kant la necessità
della contraddizione come appartenente alla natura e del pensie-
ro e della realtà, una necessità che in Kant, come è noto, era sol-
tanto formale, una caratteristica non delle cose, ma dei discorsi
della ragione sulle cose (e, quindi, il motivo dei " limiti " della
ragione). A questo proposito abbiamo analizzato con Hegel il
movimento della ragione interno alla cosa, cioè il movimento
della cosa come il suo essere stesso. Resta da aggiungere qual-
che parola sul termine tecnico che Hegel usa per indicarlo: il
verbo aufheben e il sostantivo die Aufhebung: sopprimere, su-
perare, ma ad un tempo mantenere c conservare ciò che è stato
messo da parte o soppresso. In italiano si è consolidato l'uso del
verbo togliere: " la parola togliere ha nella lingua il doppio sen-
so, per cui val quanto conservare, ritenere, e nello stesso tempo
.quanto far cessare, metter fine"; " Il conservare stesso racchiu-

" Scienza della logica, cit., vol. r, p. 38.


23 Lezioni sulla storia della filosofia, cit., vol. m, parte n, pp. 2 e 411.

" Scienza della logica, cit., vol. n, pp. 943-45.

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160 Da Kant a Hegel

de già in sé il negativo, che qualcosa è elevato nella sua imme-


diatezza "; " Il tolto è insieme un conservato, il quale ha perdu-
to soltanto la sua immediatezza, ma non perciò è annullato " >o.
Anche queste postille mostrano l'unità c la totalità del cosid-
detto movimento dialettico. Un movimento che si manifesta nel-
le singole cose o avvenimenti, ma che è presente altresì nella
storia, nella successione delle sue tappe, ma che in ogni momen-
to è, sempre, la storia nel suo intero. Solo così possiamo com-
prenderla, a mezzo della filosofia, comprendere l'universalità dei
suoi momenti particolari e la particolarità di quella totalità o
universalità che è in ogni momento, anzi che è ogni momen-
to stesso. ·

Se questo è il senso della dialettica hegeliana e il suo concetto,


il nostro compito può considerarsi esaurito. Non è il caso di rias-
sumere qui i grandi affreschi storici, "dialettici ", che Hegel dedi-
cò, nelle sue lezioni berlinesi, all'arte, alla religione, alla storia
della filosofia e alla filosofia della storia 31 • È sempre la storia del
mondo considerata come totalità e unità di totalità. Lungi dal cri-
stallizzarsi in formule, il suo sistema a Berlino si arricchì e si rin-
novò, si dispiegò in una dimensione storica che la filosofia non co-
nobbe più. Il risultato fu una tensione nella ricerca e una proble-
maticità quale le sue pagine non avevano ancora conosciuto. Egli
ripeteva se stesso, cioè il suo sistema, la Fenomenologia dello spi-
rito e l'Enciclopedia delle scienze filosofiche, ma come la storia
del mondo, non come il punto di vista del signor professor Hegel.
Anche per questo egli non parlava di sé, per sé o per i suoi con-
temporanei, ma per i posteri. Come disse Marx - lo vedremo su-
bito - Hcgel era la filosofia. Ed ora lo sappiamo, se abbiamo ca-
pito il fondamento della sua comprensione della realtà, della sto-
ria - e della filosofia.

"' Scienza della logica, cit., vol. I, p. l 00.


31 Oltre alle. Lezioni sulla storia della filosofia e sulla Filosofia della
storia, già citate, sono tradotte in italiano l'Estetica, Torino, 1967 e La fi-
losofia della religione, in corso di stampa presso Zanichelli, Bologna.

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8. Marx e Engels. La dialettica realizzata e la fine deJia
dialettica

8.1. Il rapporto Hegel-Marx e :la dialettica: uno pseudo-


problema filosofico
Leggendo i classici del marxismo, dagli scritti giovanili rimasti
a lungo inediti fino alle grandi opere della maturità 1, studiando
(quanto è possibile a ciascuno di noi farlo) una storiografia e tma
letteratura sterminate (non soltanto, ovviamente, per motivi fi-
losofici), ci troviamo in una situazione paradossale. Marx ed En-
gels si sono espressi chiaramente più volte c in momenti diversi
della loro attività speculativa sia su Hegel, cioè sul rapporto che
si veniva costruendo tra la filosofia classica tedesca (da Kant a
Feuerbach), la filosofia hcgeliana in particolare c la loro dottrina,
sia sul concetto di dialettica. Oggi, poi, disponiamo anche di quel-
le opere rimaste inedite (Manoscritti economico-fìlosofìci, Ideolo-
gia tedesca) 2, che i contemporanei non. conoscevano, ma che gli
autori dovevano continuamente presupporre. Tuttavia ciò che es-
si venivano pubblicando doveva essere abbastanza chiaro, se quel
fatto non fu mai per loro un problema. Basta leggere ciò che dice
Marx nel 1859 nella " Prefazione " a Per la critica dell'economia
politica ed En.gels nel 1888 nella prefazione e nel testo del Ludovi-
co Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca,
per non citare, qui, che i testi più significativi (ne discuteremo in
seguito altri) 3 • Ciò che essi pensano di Hegel è chiaro, che cosa

' Per motivi di spazio e per non tradire il fìlo conduttore che abbiamo
seguito fin qui - presentare, di questa storia, i grandi momenti e le fi.
gure fondamentali - lascjamo da parte le vicende interne della scuola he-
geliana, importanti certo, ma sostanzialmente riassunte, presenti e operan-
ti nell'interpretazione di Marx, sulla quale appunto ci soffermeremo.
2 Buone traduzioni italiane presso Einaudi e gli Editori Riuniti (le

citeremo avanti). Queste opere sono anteriori al Manifesto, 1848.


1 Rispettivamente Roma 1957 a cura di E. Cantimori Mezzomonti e

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162 Marx e Engels

rappresenti la dialettica dopo Hegel - come vedremo subito - è


ancora più chiaro: tuttavia storici e interpreti, marxisti e non
marxisti, i marxisti più dei non marxisti, hanno ritenuto, ritengo-
no e probabilmente sosterranno ancora per qualche genetazionc
che questi sono i due punti più oscuri della dottrina. Era inevita-
bile. Ogni grande dottrina non può non generare o diventare (an-
che) una scolastica. Ogni scolastica ha le sue diatribe. La diatri-
ba del marxismo è il rapporto Hegel-Marx e il connesso proble-
ma della dialettica. Di qui le variazioni nella diatriba: se la dia-
lettica sia un metodo o il sistema (questione già risolta da Hegel);
se la dialettica (idealistica) possa essere accolta in una concezio-
ne materialistica (questione risolta subito dai due classici); che co-
sa Marx ed Engcls debbono a Hegel e il valore e limiti della in-
fluenza di questi; se Marx cd Engels, accettando in parte Hegel,
ne hanno compreso gli errori e se, rifiutandolo o confutandolo, lo
hanno rifiutato e confutato in tutto o in parte - insomma, come
chiedersi se Marx ed Engels abbiano capito Hcgcl e se stessi. Co-
me se i testi non ci fossero c non parlassero da sé. In queste con-
dizioni, data l'ampiezza della problematica, il nostro compito sa-
rà di una banalità desolante: cercare di mostrare da una parte che
questo problema in· Marx ed Engels non esiste e dall'altra che, se
è presente nella storiografia, lo è per motivi non filosofici e che
non dipendono né da Hegcl né da Marx né da Engels.

Ciò che distingue Marx e coloro che da Marx discendono, En-


gels compreso 4 , è la configurazione della dialettica come metodo.
Non possiamo, e non intendiamo farlo, citare i numerosi passi
che possono dimostrare questa tesi (il lettore li troverà facilmen-
te nei manuali, sui testi, nella saggistica). Basterà ricordare il ce-
leberrimo Poscritto alla II edizione del 1 volume del Capitale
(1873) 5 dove Marx definisce "il mio metodo dialettico", distin-

in Marx-Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Roma 1971.


' Torneremo subito sulla collaborazione di Engels e Marx. Sulla fun-
zione di Engels nella storia del marxismo è nata, per una serie di motivi
che potremo solo accennare, una storiografia del tutto fantastica, smentita,
ma inutilmente, da due testi (fra i moltissimi) fondamentali dei due autori e
amici: cfr. di MARX la " Prefazione" a Per la critica dell'economia politica,
cit., pp. 12-13 (del 1859!) e di ENGELS la nota all'inizio del cap. lV del L.
Feuerbaclz e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca (del 1888!).
Stato della questione, indicazioni bibliografiche e una prima guida inter-
pretativa in S. TIMPANARO, Sul materialismo, Pisa, 1970, in partic. cap. m:
Engc/s, materialismo, " libero arbitrio ".
5 Roma 1955', a cura di D. Cantimori, vol. 1, l, pp. 27-28. Tra i molti

passi che si potrebbero citare ricordiamo almeno la lettera a Engels del

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Il rapporto Hegel-Marx c la dialettica 163

guendolo da quello hegeliano, che ne è" direttamente l'opposto".


Leggiamo questa pagina di Marx e lasciamo da parte ogni com-
mento: " Per H egei il processo del pensiero, che egli trasforma
addirittura in soggetto indipendente col nome di Idea, è il de-
miurgo del reale, che costituisce a sua volta solo il fenomeno ester-
no dell'idea o processo del pensiero. Per me, viceversa, l'elemento
ideale non è altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto
nel cervello degli uomini. Ho criticato il lato mistificatore della
dialettica hegeliana quasi trent'anni fa, quando era ancora la mo-
da del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo volume del
Capitale, i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora domi-
nano nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel co-
me ai tempi di Lcssing il bravo Moses Mendelssohn trattava lo
Spinoza: come un 'cane morto'. Perciò mi sono professato
apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino civet-
tato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di e-
sprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale sog-
giace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo
che_ egli sia stato il primo ad esporre ampiamente c consapevol-
mente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In
lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo
razionale entro il guscio mistico. Nella sua forma mistificata, la
dialettica divenne una moda tedesca, perché sembrava trasfigura-
re lo stato di cose esistente. Nella sua forma razionale, la dialet-
tica è scandalo e orrore per la borghesia e pei suoi corifei dot-
trinari, perché nella comprensione positiva dello stato di cose esi-
stente include simultaneamente anche la comprensione della ne-
gazione di esso, la comprensione del suo necessario tramonto,
perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire del movimento,
quindi anche dal suo lato transeunte, perché nulla la può intimi-
dire ed essa è critica c rivoluzionaria per essenza ".

Dobbiamo supporre che nel 1873, quanto al metodo, Marx sa-


pesse quello che scriveva. Il metodo è o almeno si annuncia qui
sia come quello, diciamo pure, del movimento degli opposti sia

14 gennaio 1858 (in Carteggio, Roma 1972, vol. m): " Quanto al metodo
del lavoro [=la teoria del profitto] mi ha reso un grandissimo servizio il
fatto che per puro caso ... mi ero riveduto la Logica di Hegel. Se tornerà
mai il tempo per lavori del genere [e questo non si verificò: di qui il
saggio su Feuerbach di Engels c la sua esplicita dichiarazione nella nota
sopra citata], avrei una gran voglia di rendere accessibile all'intelletto del-
l'uomo comune in poche pagine, quanto vi è di razionale nel metodo che
Hegel ha scoperto ma nello stesso tempo mistificato".

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164 Marx e Engels

come quello della relazione o contrapposiZione di clementi che


fra loro interagiscono. Non c'è dubbio alcun.o che Marx schema-
tizza, cioè presenta concettualmente i risultati delle sue ricerche,
e qhindi troviamo il riferimento più preciso nello stesso Marx, in
quella Prefazione all'opera già citata del 1859, dove è configura-
ta la cosiddetta dialettica struttura-sovrastruttura. Leggiamo an-
che questo testo: " Il risultato generale al quale arrivai e che,
una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può
essere brevemente formulato così: nella produzione sociale del-
Ia loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, ne-
cessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione
che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro
forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produ-
zione costituisce la struttura economica della società, ossia la ba-
se reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politi-
ca c alla quale corrispondono forme determinate della coscienza
sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in
generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non
è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al
contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.
A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali
della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzio-
ne esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto
l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'e-
rano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze pro-
duttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca
di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica
si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovra-
struttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensa-
bile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle con-
dizioni economiche della produzione, che può essere constatato
con la precisione delle scienze naturali, c le forme giuridiche, po-
litiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche
che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di com-
batterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli
ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di
sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre
invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita
materiale, con il conflitto esistenttl tra le forze produttive della
società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non
perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a
cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non
subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia

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ll rapporto Hegel-Marx e la dialettica 165

società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché


l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolve-
re, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che
il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua
soluzione esistono già o almeno sono in formazione " 6•

Di Engels ricordiamo subito i due grandi testi sulla Dialettica


della natura e I'Antidiihring (un capitolo di quest'ultimo è di
Marx, e la cosa non va sottovalutata) 7 , dove egli si studiò di ap-
plicare la metodologia dialettica elaborata da c con Marx alle
scienze naturali. Ne nacque un dibattito che non è ancora finito:
si pretenderebbe di vedere in Engels un metafisica del materiali-
smo, quindi un traditore di Marx, che avrebbe preservato il ma-
terialismo storico da pericolose contaminazioni positivistiche
(quindi metafisiche, ma questo resta da dimostrare) con la scien-
za in genere e con le scienze naturali in particolare. Il che è falso,
perché Marx era perfettamente al corrente delle ricerche di En-
gels e le condivideva: tra i due c'era stata una specie di divisio-
ne del lavoro che corrispondeva alle loro attitudini e ai loro in-
teressi. D'altra parte Engels si era espresso chiaramente su que-
sto punto nel Ludovico Feuerbach: perfetta identità di vedute
con Marx relativamente al rovesciamento della dialettica hegelia-
na. Engels sottolinea " l'aspetto rivoluzionario " della filosofia he-
geliana, cioè il metodo dialettico, riprende il testo marxiano che
abbiamo riportato e conclude con un'altra famosa immagine:
" .. .la dialettica di Hegel fu posta con la testa in alto, o, più pre-
cisamente, capovolta, perché si reggeva sulla testa, e fu quindi d-
messa di nuovo con i piedi in terra "; indica poi le possibilità, an-
zi necessità di applicazione di questo metodo alle scienze naturali,
se si vuoi tener conto delle tre grandi scoperte scientifiche che
hanno dominato, c capovolto, la scienza: la scoperta della cel-
lula, la scoperta della trasformazione dell'energia c quella del-
l'evoluzione della specie. Mondo storico-sociale, il mondo delle

' Per la critica ... , cit., pp. 10-11 (e si ricordi che la citazione continua
con la pagina sulla collaborazione con Engels: cfr. sopra nota 4).
7 Rispettivamente Roma 19551 (a cura di L. Lombardo Radice) e 19682

(a cura di V. Gerratana). Importanti, per quanto è detto nella nota 4, i


capitoli sulla dialettica: nell'A ntidiihring (1878) Engcls fa anche il punto
su come Marx ha inteso la dialettica hegeliana e sul senso della sua appli-
ziottc; nella Dialettica della natura (inedita fino al 1925) presenta e discu-
te le tre leggi della dialettica hcgcl-marxiana, ricavate dal mondo naturale
e dal mondo storico-umano, e ad essi applicabili: conversione della quan-
tità in qualità e viceversa; compenetrazione degli opposti e negazione della
negazione.

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166 Marx e Engels

scienze umane, e mondo naturale, oggetto della scienza, si unifi-


cano o almeno non presentano soluzione di continuità e sono su-
scettibili di essere trattati con lo stesso metodo 8 •
Nel presente contesto si può, allora, anche sostenere che, so-
stanzialmente, questa metodologia non abbia più nulla a che ve-
dere con la dialettica hegeliana. Si è parlato di astrazione deter-
minata, di circolo concreto-astratto-concreto per indicare il meto-
do (dialettico) storico, cioè quel procedimento che dall'analisi di
una situazione di fatto, concreta, storica, perviene all'individua-
zione di una legge o di una categoria, astratta, ma altrettanto sto-
rica quanto alla sua genesi, che viene infine applicata alla situa-
zione di fatto, alle vicende storiche, per comprenderle. Possiamo
accettare questa formulazione. Ma il suo presupposto non può e
non deve essere trovato in un presunto errore di Hegel (non esi-
. stono errori di filosofi, ma problemi o difficoltà da capire) e nep-
pure in pretese contraddizioni fra Marx filosofo e Marx scienzia-
to, fra scritti di Marx pubblicati e altri lasciati inediti (un testo
non pubblicato non può mai essere usato per confutarne uno pub-
blicato) 9• La filosofia hegeliana, a causa o grazie al suo metodo,
non poteva che essere rovesciata, e la storia lo ha dimostrato di
fatto. La concezione dialettica della filosofia, cioè il risultato della
filosofia hcgcliana, la storia e il mondo come dialettica, ha sop-
presso (aufheben, cioè soppresso, sublimato e conservato) la filo-
sofia (hegeliana), e la dialettica stessa. Questo è il senso della ben
nota (ma non sempre pienamente compresa) affermazione di En-
gels: " Il movimento operaio tedesco è l'erede della filosofia clas-
sica tedesca" (ultima frase del saggio su Feuerbach).

Riassumiamo : " Ciò che distingue Marx, c coloro che da Marx


discendono, è proprio l'accettazione della dialettica come metodo.
Tuttavia, per Marx come per Engels, la dialettica hegeliana è
idealistica, la qual cosa significa che procede dal pensiero, da un
pensiero che preesiste alla storia e che la dirige, diciamo così, dal-

' Ci atteniamo qui al cap. rv (" Il materialismo dialettico ") del saggio
su Feuerbach, cit., al quale rinviamo. Per una più ampia discussione della
questione rinviamo al libro di Timpanaro, citato nota 4. Poi vedi testo
e nota 9.
9 È l'interpretazione di Galvano della Volpe e della sua scuola: vedi
Saggio sulla dialellica, in La libertà comunista, Milano 1963 2 e Clzia~·e
della dialettica storica, Roma 1964, ma in complesso Logica come scienza
storica, nuova edizione Roma 1969; L. CoLLETTI, li marxismo e Her.:el,
ora in LENIN, Quaderni fìlosofìci, Milano 1969'. Su Engels, in negativo, ol-
tre a Colletti v. L. ALTHUSSER, Per Marx, trad. it. Roma 1967. In gene-
rale v. N. BADALONI, l/ marxismo italiano de!?li anni sessanta, Roma 1971.

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Il rapporto Hcgci-Marx c la Jialcttica 167

l'esterno. (Non c'è dubbio che alcune espressioni di Hcgcl si pre-


stano a questa interpretazione, soprattutto quando se ne assumo-
no i termini in un senso estraneo al pensiero hegeliano). Si tratta
quindi di riportare la filosofia sui propri piedi oppure - cd è la
stessa co~a - superarla rcalizzandola. La dialettica di Marx è al-
lora quella della lotta dell'uomo con le condizioni esterne della
sua esistenza, create dall'uomo stesso, ma che gli appaiono come
entità indipendenti. L'uomo è alienato e deve uscire da questa
alienazione: ne uscirà trasformando la realtà storica alienante, a
condizione, dunque, di trovarsi infelice in questa realtà; egli se
ne libererà, quindi, (c libererà l'umanità) con tanta maggior cer-
tezza quanto più è alienato. L'uomo assolutamente alienato è il
proletario, colui che per vivere deve trasformarsi in merce, ven-
dendo alle condizioni del mercato quella sua forza di lavoro che
lo costituisce in quanto membro della società. La dialettica della
storia si manifesta così come lotta di classe c la liberazione del-
l'uomo si realizzerà quando una classe, che non ha interessi par-
ticolari da difendere, sopprimendo il sistema stesso delle classi,
restituirà l'uomo a se stesso in un mondo divenuto umano. Il mez-
zo per raggiungere questo fìne è l'azione rivoluzionaria, un mezzo
che, nel presente immediato, contiene la propria giustificazione:
ciò che serve la rivoluzione serve allo scopo della rivoluzione. Il
risultato di queste tesi fu abbastanza dialettico nel senso che que-
sto appello alla dialettica condusse alla sua soppressione. In real-
tà, le condizioni del lavoro (i rapporti di produzione) determina-
no il pensiero di un'epoca, la situazione sociale determina il pen-
siero delle classi, la situazione oggettiva nell'ambito dell'econo-
mia e della tecnica offre o esclude la possibilità della rivoluzione:
la realtà economica si trasforma così in causa c il pensiero divie-
ne l'effetto di questa causa. Attribuire queste conclusioni ai fon-
datori della scuola sarebbe storicamente falso (vedi per es. le let-
tere di Engels a Bloch, C. Schtnidt, ecc., in Engels, Feuerbach,
trad. Brackc, Paris, 1952): furono hegeliani abbastanza fedeli da
non prendere il rapporto causa-effetto per un rapporto di entità
indipendenti. Ma furono anche, quali che siano stati i loro risul-
tati, hegeliani abbastanza fedeli da voler realizzare la filosofia (di
Hegel) e da non occuparsi di problemi dialettici come problemi fi-
losofici. Volendo far questo, si limitarono ai problemi dell'azione,
e la loro teoria politico-sociale, applicazione della dialettica, non
rimetteva in questione, esplicitamente, ciò che applicava e impli-
cava. Le interpretazioni causali, meccanicistiche, deterministiche
della storia, combattute da Engels come errori di avversari male-
voli o incapaci di comprendere, fuùrono ben presto col domina-

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168 Marx e Engels

re il pensiero della scuola - e questo avvenne tanto più facilmen-


te in quanto le riflessioni metodologiche e filosofiche del giòvane
Marx, fonti della sua teoria, restarono nascoste al pubblico " 10•

8.2. Eric Weil: Marx e la Filosofia del diritto 11

Sulle fonti del pensiero di Marx riteniamo, allora, che metta


conto spendere ancora una volta qualche parola. E questo non è
in contraddizione con quanto abbiamo detto all'inizio. Intendia-
mo mostrare come e perché il problema del rapporto Hegel-Marx
sia sorto come tale, costituisca ancora gran parte del dibattito del-
la filosofia contemporanea e ne rappresenti, anzi, la parte miglio-
re. Abbiamo deciso di non aggiungere su questo punto una no-
stra personale opinione, ma di lasciar parlare un interprete non
comune, che ha avuto il merito, a nostro avviso, d'investire il pro-
blema senza voler dare spiegazioni, ma cercando di capirlo, senza
voler dare risposte o inventare soluzioni "filosofiche", ma po-
nendo domande, il che resta il compito della grande tradizione del-
la filosofia, se ancora di filosofia possiamo parlare. È caratteristi-
co del nostro tempo, è solito dire l'autore delle pagine che sotto
riportiamo, essere capaci di rispondere a qualsiasi cosa, di trova-
re soluzioni, ma non sappiamo più porre domande, interrogare i
testi e la realtà. l?, una buona norma metodologica: in questo ca-
so dovrebbe ancora poter dare i suoi frutti.

10 E. WmL, Pemiero dialettico e politica, in Filosofia e politica.


Firenze 1965, pp. 37-38. Come uno dei fili conduttori interpretativi di que-
sto capitolo si veda anche A. MAssoLo. Marx e il fondamento della filo-
sofia, in Lo~?ica hegeliana e (iloso{ia contemporanea, nuova edizione Fi-·
renze 1967, che incise, più profondamente di quanto non appaia, nei di-
battiti sul marxismo e Hegel in Italia (vedi bibliografia). Questi testi - e
lo stesso modesto tentativo della nostra esposizione - dovrebbero dimo-
strare che non è sostenibile la tesi di Timpanaro (con il quale per altro
concordiamo praticamente su tutto) della " intrinseca idealisticità della dia-
lettica " (sic!: non della dialettica hcgcliana): cfr. Sul materialismo, cit.,
p. 74.
a Riportiamo qui, per motivi che non vanno più dichiarati perché fan-
no parte della costruzione di tutta la nostra esposizione, la traduzione ita-
liana di Marx et la Philosophie du droit, appendice a Hegel et l'Eta! di
Eric Weil, Paris 1950, non compresa nella traduzione italiana dell'opera
in Filosofia e politica cit. (nella collana " Socrates " del compianto Masso-
lo). Dopo il primo capoverso il testo fra asterischi corrisponde alle pp. 14-
17 (trad it. pp. 112-115) del saggio su Hegel e lo Stato: ci è parso neces-
sario inserirlo. Ringraziamo l'autore per il suo gentile consenso.

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Eric Wcil: Marx e la filosofia del diritto 169

Leggiamo il testo :
Sebbene la letteratura sui rapporti di Marx con Hegel sia di
un'importanza numericamente enorme, a nostra conoscenza e nel-
le lingue che ci sono accessibili (cioè, soprattutto, escludendo il
russo) presenta pochi lavori particolari e poche ricerche condotte
senza preconcetti. Una ricerca di questo genere incontra subito
grosse difficoltà: Marx ed Engels, vivendo in un'atmosfera hegc-
liana, riprendendo continuamente la lettura delle opere hcgelia-
ne e considerando Hegel come l'ultimo filosofo, presuppongono
sempre una conoscenza di Hegel che non si trovava già più al-
l'epoca dell'acme della loro influenza. Le critiche da loro rivolte
a Hegel sono dunque rapidamente divenute incomprensibili e, con
poche eccezioni (Plekanov o Lenin), i marxisti si sono limitati a
ripcterle senza domandarsi quale ne fosse la portata, che cosa la-
sciassero in piedi del sistema hegcliano, persino che cosa stabilis-
sero come principio di ogni critica che potesse pretendere di es-
sere "all'altezza". Il caso Liebknecht costituisce una buona te-
stimonianza.

* * *
Rivedendo ciò che è stato scritto su Hegel nella seconda metà
del secolo xrx ho trovato un solo testo, anzi non un testo, ma al-
cuni frammenti di lettere, che lo difendono dalla classica accus;1
che gli vien mossa di essere il filosofo della reazione 12 • Per il re-
sto son tutti d'accordo: guardiamo a quel. vecchio liberale che è

12 Per essere esatti bisognerebbe citare altre apologie come quella di

Rosenkranz: Apologie llegels gegen Dr. R. Haym, 1858. Ma a parte il fat-


to che lo scritto è debole, nonostante molte osservazioni giuste e pertinen-
ti, l'autore (come E. Gans) appartiene alla scuola hegeliana che è stata ben
presto obbligata a tenersi sulla difensiva e non ha avuto influenza a partire
dalla metà del secolo XIX. La storia della scuola hegeliana è ancora da
scrivere. Il miglior compendio si trova in J.E. ERDMANN, Grundriss der
Geschichte der Plzilosophie, 3" ed. (la quarta, fatta da Benno Erdmann, è
inutilizzabile), Berlino 1878, §.§ 331 sgg. Come giudichi Hegel la tradizio-
ne della Grande Germania del nostro secolo appare chiaramente dall'apo-
logia che ne fa F. Meinecke: " Pensa tori conservatori, liberali e radicali,
storici c dottrinari, nazionali e cosmopoliti potevano andare alla scuola di
questo sistema ... Hegel è in primo piano tra i gnmdi pensatori del secolo
XIX che hanno diffuso in generale il senso dello Stato, la convinzione del-
la necessità, della grandezza e della dignità morale dello Stato" in Welt-
biirRertum und Nationa!staat, Miinchen-Berlin 191 P, p. 272. [Cfr.. trad. it.
Cosmopolitismo e stato nazionale, Firenze 1930]. In altre parole, Hegel
non è così antiprussiano come è stato detto, benché sia ancora universali-
sta (lo dice Meinecke, op. cit., pp. 278 sgg.). Il nazionalista Meinecke è
d'accordo con il liberale Haym.

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170 Marx c Engels

Haym 13 - senza parlare di spiriti di minor apertura, ma non di


minore influenza, come Welcker o Rotteck, esponenti del partito
costituzionale della Grande Germania -, guardiamo all'estrema
sinistra con i Bauer e il loro gruppo: il verdetto è unanime 14 • Vol-
giamoci alla destra, a Schelling, agli credi del romanticismo, alla
scuola storica di Savigny; se per essi Hcgel non è dalla loro par-
te 15 è perché non ha camminato con il tempo - la " destra "·è, in-
fatti, sempre composta di gente che crede di aver finalmente com-
preso la verità eterna -, non ha colto le aspirazioni di un'epoca
rinnovata, purificata dai miasmi del secolo XVIII: anche per loro
Hcgel è rimasto indietro.
Dunque, un solo testo fa eccezione. Ecco di che si tratta: qual-
cuno ha pubblicato un articolo in cui si parla di Hegel; l'articolo
appare in una rivista, e, poiché siamo nel 1870 ed Hcgel è di-
menticato in Germania, l'editore crede di far bene ad aggiungere
una nota, per dire che Hegcl è conosciuto dal grosso pubblico co-
me colui che ha scoperto e glorificato l'idea " regio-prussiana "
dello Stato. Quest'ultima espressione suscita la collera dell'auto-
re dell'articolo, che scrive ad un amico comune: " Quest'animale
si permette di stampare, in calce al mio articolo, note che sono
delle vere c proprie scemenze, senza citarne l'autore. Avevo già
protestato, ma adesso la stupidaggine è così crassa che la cosa
non può continuare ... Quest'animale che per anni è stato a caval-
lo sulla ridicola antitesi fra diritto e potere senza sapere come ca-
varsela, come un fante messo su un cavallo bizzarro e chiuso in
un galoppatoio, quest'ignorante ha la sfrontatezza di voler liqui-
dare un tipo come Hegcl con la parola prussiano. Ne ho abbastan-
za ... Val meglio non essere pubblicato che·csscre presentato ... co-
mc un asino ··. Al che il corrispondente risponde a giro dì posta:
" Gli ho scritto che farebbe meglio a tener chiusa la bocca inve-
ce eli ripetere quelle vecchie bestialità di Rotteck e di Wclcker. ..
È un individuo davvero troppo stupido " 16 • Il povero editore è
,. Tra gli avversari di Hegel dì gran lunga il più importante è Haym
~ia per la qualità del suo libro che per la sua in1luenza. Hegel und seine
Zeir è stato scritto sotto l'impressione della politica reazionaria seguita al
fallimento della rì voluzione del 1848. Una seconda edizione (Lipsia 1927),
a cura di H. Rosenberg, contiene in appendice indicazioni utili sull'evolu-
zione di Haym e sulla storia dell'hegelismo.
" Ma cfr. sopra nota 12, e subito qui avanti per la critica del giovane
Marx.
15 N umerosc informazioni (senza alcuna comprensione dei problemi

filosofici) in I\1. LEI"Z, Geschichte der Universitiit Berlin, Halle 1910-1918.


Si seguirà qui facilmente l'evoluzione della politica ministeriale e. delropi-
nione universitaria.
" Engels a Marx, 8 maggio 1870; Marx a Engels, 10 maggio 1870

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Eric Wcii: Marx e la filosofia del diritto 171
Wilhelm Liebknecht, uno dei dirigenti della socialdemocrazia te-
desca, l'autore della prima lettera è Engels, la risposta viene da
Marx.
Ecco una cosa sorprendente : Marx ed Engels non vogliono
ammettere che Hegel abbia glorificato l'idea " regio-prussiana "
dello Stato, Marx ed Engels danno dell'animale a chi annovera
Hcgel tra i reazionari- ecco due difensori della reputazione poli-
tica di Hcgel, che passano tradizionalmente per i suoi critici più
severi. Come si spiega?È evidente che una opinione, anche se det-
tata da due buoni conoscitori di Hegel quali furono Marx ed En-
gels, non può fare autorità. Tuttavia, essa viene proprio a confer-
mare il nostro sospetto: in realtà, sarebbe naturalissimo veder ri-
prese le accuse di conformismo, di prussianesimo, di conservatori-
smo, da parte di coloro che si proclamano i pensatori della rivo-
luzione·. Se quelli che affermano di aver superato Hegel, disde-
gnano di servirsi di tale accusa, come non domandarci se possia-
mo continuare a sostenerla? Se non è possibile, dunque, conside-
rarla evidente, l'immagine tradizionale di Hegel non sarà soltanto
errata in qualche particolare: ogni correzione sarà impossibile c
bisognerà sostituirla con un 'altra.

* * *
Non ò possibile in questa sede chiarire problemi di questo ge-
nere tanto importanti quanto ingarbugliati. Tuttavia, è necessa-
rio chiedersi in che cosa il pensiero di Marx sia differente da quel-

(Icllen.: n. 1359 c n. 1370, ed. Mosca, vol. IV, 1939, pp. 38 sgg. [trad it.
Carteggio Marx-t:ngels, a cura dì E. Cantimori Mezzomonti, vol. VI, Ro-
ma 1972]. L'interesse del testo è duplice. Da una parte esso mostra la dif-
ferenza tra i fondatori del marxismo e i loro successori: Liebknecht ha
avuto la meglio su Marx ed Engels e attualmente i "rivoluzionari" sono
d'accordo con i .. reazionari " nel vedere in Hegel l'apologista dello Stato
prussiano. Anche l'ultima opera della scuola, G. LuKÀcs, Der junge Be-
gel. Ueber die Bezielumgen. von Dialektik und Oekonomie (Ztirich-Wien
1948) [cfr. trad. ìt. a cura di R. Solmi, Il giovane Hegel, Torino 1960],
afferma che Hegel, essendo idealista, non poteva non riconciliarsi con la
cattiva realtà della sua epoca. È vero che nelle sue analisi l'autore non va
oltre la Fenomenologia dello spirito e non si crede in dovere di provare
mediante la interpretazione dei testi ciò che propone in modo deduttivo.
D'altra parte il testo permette di capire le ragioni dell'alleanza così cu-
riosa tra " liberali " e " nazionalisti " tedeschi: gli uni difendono la socie-
tà contro lo Stato, gli altri lo Stato contro la società, cd entrambi si rifiu-
tano di pensare la società nello Stato, mentre Marx ed Engels, che si pon-
gono precisamente il problema dell'unità e dell'uno e dell'altra, riconosco-
no l'autenticità filosofica della analisi hegeliana e protestano contro il ten-
tativo di svalutarla partendo da una posizione dogmatica e servendosi di
giudizi di valore di ordine politico.

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172 Marx c Engels

lo di Hcgel: storicamente Hegel agisce attraverso Marx e nella


coscienza della nostra epoca Hegel è il precursore di Marx e non
già Marx il discepolo di Hegel; se il cadetto è comprensibile solo
a mezzo del primogenito, è il secondo che direttamente o indiret-
tamente fonda tutto il vivo interesse che oggi è rivolto al primo.
Com'è noto, e lo si è ripetuto a sazietà, la differenza fondamen-
tale fra i due è quella tra l'idealismo dell'uno e il materialismo
dell'altro. Questa opposizione acquista tin senso preciso quando
nei due casi si aggiunga l'aggettivo storico: si può e si deve con-
trapporre una dottrina della storia e dell'azione storica che inse-
gna l'onnipotenza dell'idea e una teoria che vede nelle condizioni
esterne dell'esistenza degli uomini la molla di ogni cambiamento
e di ogni progresso. Ma sul piano filosofico quella contrapposizio-
ne smarrisce ogni significato preciso sia per la metafisica tradizio-
nale che distingue il realismo dall'idealismo e lo spiritualismo dal
materialismo 17 sia, e a maggior ragione, per una filosofia dialetti-
ca, nella quale una delle astrazioni tradizionali c predialcttiche si
trasforma nell'altra. Nel senso della scuola Hegcl e Marx non so-
no stati né idealisti né materialisti e sono stati insieme l'una c l'al-
tra cosa.
È diverso quando si tratta di azione politica: qui divergono le
strade di Hegel c di Marx. Hegel crede che la semplice compren-
sione sia sufficiente per realizzare lo Stato della conciliazione tota-
le, nel senso che l'azione ponderata delle autorità dello Stato esi-
stente, cioè dell'amministrazione, farà tutto il necessario per pre-
venire una rottura fra la realtà sociale e la forma dello Stato im-
ponendo una forma del lavoro che darà ad ogni cìttadino fami-
glia, onore, coscienza-di-sé e possibilità di partecipare allo Stato,
in altre parole imponendo la mediazione totale. Marx è convinto
che solo l'azione rivoluzionaria potrà realizzare una società vera-
mente umana in uno Stato veramente umano.
Dopo ciò che abbiamo detto della filosofia politica di Hegel e
considerata la funzione decisiva che svolge in Marx la presa di
coscienza è evidente che questa contrapposizione è estremamen-
te schematica. Hegel insegna che le condizioni reali obbligano lo

17 " Aus der Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie " (qui abbreviato

Critica), in Marx-Engels Gesamtausgabe, vol. 1, l, Francoforte 1927, per


es. p. 455: .. Le corporazioni sono il materialismo della burocrazia e la
burocrazia è lo spiritualismo delle corporazioni " oppure p. 507: .. Lo spi-
ritualismo astratto è materialismo astratto: il materialismo astratto è lo
spiritualismo astratto della materia". [Cfr. trad. it. in K. MARX, Opere
filosofiche giovanili, a cura di G. Della Volpe, Roma 1969' oppure in
MARX e ENGELs, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Roma 1971].

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Eric Wcii: Marx e la filosofia del diritto 173

Stato (l'amministrazione) ad agire; Marx sa c dice che l'azione


violenta pura c semplice, senza un sapere chiaro dello scopo, sen-
za una scienza, è il contrario di un'azione progressiva: questa è
la pura conseguenza del fatto che né l'uno né l'altro aderiscono
ad un'astratta filosofia della riflessione, ma ad una filosofia dialet-
tica. Si potrebbe aggiungere: per entrambi l'azione non consapc~
vole o, più precisamente, il semplice sentimento della non-soddi-
sfazione è all'origine di ogni grande avvenimento storico; la pre-
sa di coscienza può effettuarsi soltanto quando l'azione sia intra-
presa e sarà completa solo quando l'azione sarà condotta a ter-
mine. Tutti e due, poi, sanno - Marx lo dice più apertamente di
Hegel 18 - che la completa presa di coscienza di una situazione
storica indica che questa situazione deve essere e sarà superata
così come tutt'e due vedono l'impossibilità di elaborare un'imma-
gine precisa dello stato da realizzare, poiché solo il senso dell'op-
posizione all'esistente è determinato, ma non la nuova forma ri-
sultato dell'azione. Tuttavia, è altrettanto vero, l'uno pone· l'ac~
cento sulla funzione delle masse (o delle classi - i due termini si
trovano in Hcgel e nel senso in cui li impiegherà Marx), l'altro sul~
l'azione del governo. Hegel non ha visto, quindi, uno dci problc~
mi scottanti del mondo contemporaneo, cioè la possibilità data al-
l'amministrazione di fare causa comune con una delle classi so-
ciali in conflitto. Hegel ha visto il conflitto in sé; non gli ha attri-
buito l'importanza che, con la lotta per lo Stato (non soltanto:
nello Stato), doveva rapidissimamcnte prendere.
È evidente la ragione di questo errore di valutazione (ed anche
le sue cause: esperienza vissuta di una rivoluzione fallita, diffe-
renze oggettive nella situazione economica delle due epoche
- Marx ha tredici anni quando Hegcl muore, tre quando esce la
Filosofia del diritto): Hegel è un teorico, un teoretico; non è c non
vuol essere un uomo politico. Ciò che gli interessa è la storia nel
suo senso c nella sua direzione, prendendo i due termini nella loro
totalità, e non il problema tecnico del successivo passo del pro-
gresso. Gli importa poco che la liberazione dell'uomo avvenga ora
o fra qualche secolo, che si verifichi qui o altrove, in questo modo
o in quest'altro; a Hegel basta sapere che cosa è (per il suo conte-
nuto - è impossibile, infatti, per Hegel come per Marx, anticiparne
la forma concreta) una società libera. Marx (e neppure qui insiste~
remo sul mutamento delle condizioni: la Prussia di Federico Gu-

" Cfr., sotto, la teoria della realizzazione della filosofia e della sua
soppressione come anche la teoria della coscienza. di classe del proletaria-
to nel Afanifesro del parli/o comunista.

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174 Marx c Engels

glielmo lV e quella di Federico Guglielmo III, l'economia euro-


pea del 1840 e quella del 1820 ccc.) non crede alla buona volon-
tà dell'amministrazione né alla sua intelligenza: dove Hegel aveva
visto un problema per l'amministrazione, Marx vede una lotta tra
l'amministrazione in carica e la classe oppressa (termine tanto he-
gcliano quanto marxista); dove Hegcl ·si riferisce all'interesse ben
compreso dello Stato, Marx ha fiducia soltanto nella rivolta di co-
loro che non hanno più né famiglia né morale né onore né patria.
Bisogna i.1otare che Marx, come Hegcl, non pensa alla violenza
pura c semplice; anche Marx pretende una direzione consapevole,
che si chiamerà l'élite rivoluzionaria, i dirigenti, il partito, la testa
del proletariato; ma questa nuova amministrazione, destinata a
conciliare l'uomo con se stesso in una nuova organizzazione - po-
co importa che la si chiami Stato o altro, tanto più che Marx non
ha mai elaborato una teoria dello Stato - si formerà contro l'am-
ministrazione ufficiale invece di derivare da questa mediante una
impercettibile trasformazione della costituzione 19 •
Si aggiunga: per Hegel il motore della storia è la guerra; uno
Stato sviluppa la sua nuova fonna di organizzazione ragionevole
della libertà c vince gli altri Stati mediante la lotta, e questo av-
viene per la ragione filosofica che esso è il veicolo dell'idea c per
la ragione materiale di poter contare sul patriottismo di tutti i
cittadini 20 • Per Marx il problema della guerra non è fondamentale
(e per il marxismo lo sarà solo con la teoria dell'imperialismo ab-
bozzata da Lcnin); lo è invece la rivoluzione all'interno degli Sta-
ti che renderà superflua la lotta tra le nazioni 21 •
Infatti, elaborando il concetto della lotta di classe, Marx tra-
sforma in concetto scientifico fondamentale ciò che per Hegel re-

19 Filosofia del diritto, § 298: " Il potere legislativo è, anche, una parte

della costituzione, la quale gli è presupposta, e pertanto, in sé c per sé.


si trova fuori della determinazione diretta di esso, ma consegue il suo ul-
teriore sviluppo nel continuo progresso delle leggi e nel carattere progres-
sivo degli affari generali del governo " [trad. it. a cura di Messineo-Plebc,
Bari 1954].
2° Filosofia del dirillo, § 289: " Questo è il segreto del patriottismo dei

cittadini visto secondo l'aspetto delle corporazioni, cioè che essi conoscono
Io Stato come loro sostanza, poiché esso mantiene le loro sfere tJarticolari,
il loro diritto e autorità come il loro benessere ". Questo patriottismo
manca, dunque, alla p!ehaulia.
21 " Con l'opposizione delle classi all'interno della nazione scompare

l'atteggiamento ostile delle lwzioni tra loro··: Manifesto del partito co-
munista, in Marx-Enge/s Gesamtausgahe, cit., vol. VI, p. 543 [cfr. trad.
it. commentata a cura di E. Cantimori Mezzomonti, Torino 1962, p. 155].
Anche per Hegel l'insufficienza della ricchezza sociale, dunque la crisi
(inevitabile), conduce alla politica espansionistica.

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Eric Weil: Marx e la filosofia del diritto 175

sta un concetto filosofico, un concetto, inoltre, al limite della filo-


sofia: la passione. Per Hcgel la passione è proprio la forza che
muove la storia; per usare il linguaggio della Fenomenologia dello
spirito (che più tardi non sarà più usato) la passione è la negativi-
là come appare all'uomo nella sua storia ( = per sé) e allo stori-
co-filosofo nell'uomo storico ( = in sé). Per Marx la passione è
determi.p.ata in ogni momento della storia, quindi anche nella si-
tuazione storica presente. Per Hegel solo la passione che si è rea-
lizzata e che si è così compresa determinandosi è scientifica-
mente conoscibile e, secondo l'autore della Filosofia del diritto,
la passione del proprio presente non è che un residuo, un avanzo
assimilabile da parte della coscienza di sé della realtà storico-mo-
rale dello Stato moderno (reale nell'amministrazione). Per Marx
questo Stato è Stato dell'alienazione e la passione non è soltanto
necessaria per realizzare la libertà, ma essa è determinata nella
sua tendenza dalla forza concreta della realtà nella e contro la
quale si scatena: le lince di forza secondo le quali la passione de-
ve attaccare, se vuole restare passione della libertà concreta, pos-
sono essere scientificamente conosciute. D'un tratto il soggetto c
l'oggetto dell'azione da politici che erano divengono sociali (seb-
bene per Marx si collochino nel quadro dello Stato hegeliano) e
fondano sulla filosofia politica una scienza sociale.
Potremo dire, dunque, che tutti gli elementi del pensiero-azio-
ne di Marx sono presenti in Hegel. Essi divengono concetti scien-
tifici e fattori rivoluzionari a partire dal momento in cui Marx ap-
plica il concetto della negatività, sviluppato dalla Fenomenologia,
ai dati strutturali elaborati nella Filosofia del diritto.

Le due tesi o più precisamente i due atteggiamenti derivano


dalla stessa tesi c da una medesima esigenza: la soddisfazio-
ne dell'uomo nel c a mezzo del riconoscimento di tutti c di ciascu-
no da parte di tutti e di ciascuno 22 ; ancora oggi esse sono attuali e
non sapremmo dire se gli avvenimenti hanno deciso per l'una o
per l'altra, pur restando confermato ciò che costituisce la loro co-
mune base: la necessità della liberazione dell'uomo - necessità
condizionale, necessità se devono sussistere la civiltà, l'organizza-
zione c la libertà positiva. Il problema dell'alienazione dell'uomo,
quello della ricchezza (no: della proprietà, in senso hegcliano),
" Aver fatto dci concetti di riconoscimento e soddisfazione il centro
dell'interpretazione del pensiero hcgeliano è il grande merito del libro di
A. Ko!F.vE, lntroduction à la /ec·tw·e de l!egel, Par!s 1947 [trad. it. non
completa col titolo La dialettica e l'idea della morte in Hegel, Torino
1948].

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176 Marx e Engels

dunque del capitale, sono visti sia da Hegcl che da Marx e da al-
lora suno riconosciuti come fondamentali da parte di ogni teoria
e di ogni pratica politica consapevoli. Che la loro soluzione sia il
compito del presente come lo era al tempo di Hcgcl e di Marx, è
da gran tempo communis opinio; ma non ci sono ancora neppure
i primi abbozzi di una teoria della politica che tenga conto delle
nuove forme. di Stato manifcstatesi nel frattempo: gli apologisti
dell'evoluzione· tranquilla, quelli della rivoluzione c della dittatu-
ra e i loro critici si sono tutti, in generale, limitati a dar prova di
molta passione, di molta pcnetrazione anche nella difesa delle lo-
ro personali opinioni contro quelle dei loro avversari, ma non han-
no quasi mai voluto pesa~e le conseguenze inerenti ai loro propri
principi. Si sa benissimo come provocare o domare una rivoluzio-
ne, come mettere in piedi o sostenere una dittatura rivoluzionaria
o controrivoluzionaria: non ci si è quasi mai chiesti quali sono i
punti forti c deboli dei sistemi dittatoriali e quelli aperti alla di-
scussione in rapporto al fine che si vuoi raggiungere, ancora me-
no quali sono le funzioni della costituzione e della morale concre-
ta di una certa nazione (i due-termini, soprattutto il primo, presi
in senso hegeliano) in rapporto alla possibilità dì utilizzare l'uno o
l'altro procedimento. L'accordo sui termini, l'omaggio reso da
tutti a parole come libertà, democrazia, autorità, legge, uguaglian-
za ecc. dimostrano soltanto mancanza di chiarezza nella discus-
sione. Per porvi rimedio bisognerebbe cominciare col problema
della coesistenza (consapevole) della rivoluzione, dell'evoluzione
e della reazione all'interno dello stesso mondo; e poi continuare
con la ricerca del senso concreto dei tem1ìni formale c reale, i
quali servono l'uno di giustificazione e l'altro come insulto e che,
tuttavia, indicano entrambi o delle realtà o momenti pure astratti
di realtà.

Le considerazioni precedenti hanno il solo scopo di mostrare


le difficoltà di un confronto fra Hegel c Marx; esse non mirano af-
fatto a chiarire il problema abbozzato e neppure a tracciar(;' la
strada che bisognerebbe seguire per giungervi. Ma erano necessa-
rie per poter parlare molto brevemente della Critica della filoso-
fia del diritto che il giovane Marx ha redatto tra il marzo e l'ago-
sto 1843 23 •
Non è nostra intenzione analizzare questo testo nei particola-
ri. In tal caso dovremmo fare un confronto tra questa critica c la

23 Per la data cfr. la prefazione di D. Rjazanov al vol. L l, pp. LX"XI


sg. delle. opere compfete citare,

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Eric Weil: Marx e la filoso/ùl del diritto 177

teoria hcgcliana e, visto come lavora Marx, dovremmo riprende-


re l'interpretazione della Filosofia del diritto paragrafo per para-
grafo. Avremmo allora occasione di notare certe obiezioni parti-
colannente brillanti e giuste 2\ altre invece che contengono errori
nella comprensione delle parole e delle tesi discusse 25 • Lasceremo
· questo lavoro agli specialisti che vorranno seguire l'evoluzione
del pensiero di Marx. Nel presente contesto vedremo soltanto le
grandi linee e i principi di questa critica.

Ben diversamente dall'Introduzione alla cntlca della filosofia


del diritto di Hegel, uscita a Parigi nel 1844, la Critica non ha fat-
to rumore: il manoscritto è stato pubblicato per la prima volta
nel primo volume dell'edizione critica dell'Istituto Marx-Engels
di Mosca nel 1927 e non ha attirato molto l'attenzione del pubbli-
co, anche di quello ristretto, interessato a tali problemi 26 • Si può
capire questa accoglienza: infatti, il testo è incompleto, pesante e
di lettura difficile perché è dedicato per la maggior parte ad una
critica diretta senza indugi interprctativi, c questo presuppone da
parte del pubblico una conoscenza di Hegel immaginabile proba-
bilmente nel 1843, non già oggi. Si deve aggiungere che il pensie-
ro è, per così dire, premarxista, se chiamiamo marxista l'enuncia-
zione dci principi nel Manifesto del partito comunista, elaborati
da Marx e Engels per tutto il resto della loro vita. Infine, il mano-
scritto è incompleto, non soltanto perché è andato perduto il pri-
mo foglio, ma perché in molti luoghi Marx ha lasciato delle pagi-
ne bianche che intendeva scrivere più tardi notando qua e là ciò
che bisognava precisare o aggiungere.
,., Per es. la critic<t della deduzione della monarchia ereditaria, del-
l'aver dimenticato l'importanza delb ricchezza (capitale) nell'analisi delle
condizioni politiche (sebbene lo stesso Marx non veda in questo momento
la differenza tra proprietà e capitale e resti così, di fatto, in ritardo sul-
l'analisi hegeliana della società).
" La più importante delle quali è di non aver visto che per Hegel la
costituzione è di essenza storica e che il tipo da lui configurato non è né
una soluzione buona per tutti i casi né un modello eternamente valido.
" Cfr. tuttavia l'articolo di J. HYPPOLITE, La conception hégéliemze de
l'Etat et sa critique par Marx, in « Cahicrs intern. de sociologie », vol. n,
a. II, Paris 1947, pp. 142 sgg. [trad. it. in Saggi su Marx e Hegel, Milano
1965]. Ci dispiace di non poterei dichiarare d'accordo con l'autore a cau-
sa di una differenza di principio nell'interpretazione di Hegel. - G. GTJP.-
WITCH, La sociologie du jeune Marx (ibid., vol. m, a. III, Paris 1948, pp.
3 sgg.), trascurando i passaggi nei quali Marx riconosce la validità del-
l'analisi hegeliana e non tenendo conto affatto del carattere frammentario
della Critica, è condotto a sottovalutare l'influenza di Hegel su Marx. [cfr.
ora di questo autore i capitoli' su Hcgel c Marx di Dialectique et sociolo-
gie, Paris 1962].

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178 Marx e Engels

Ma questo non è l'essenziale. Questa critica discute soltanto -


e doveva essere così 27 - il diritto interno dello Stato, la Costitu-
zione: manca, dunque, quello che sarebbe della massima impor-
tanza per il Jèttore contemporaneo, cioè una presa di posizione di
fronte alla teoria della società da una parte, della filosofia della
storia dall'altra. Marx ha in animo, è vero, di affrontare la teoria
della società, ma non l'ha certamente fatto in questo manoscritto:
in questo momento egli ha creduto che una critica efficace del
pensiero hegeliano fosse possibile sul piano puramente politico.
E su questo piano la sua critica è negativa, sebbene spesso giusti-
ficata; non soltanto egli non sviluppa nessuna teoria positiva del-
lo Stato, non fornisce neppure indicazioni che permettano di arri-
vare ad una conclusione sulle sue opinioni non espresse. Certo,
egli parla della preponderanza della proprietà (Eigentum) in que-
sto Stato, dell'opposizione dell'uomo e del cittadino, di quella fa-
glia mal celata che attraversa lo Stato e non consente la riconci-
liazione dell'uomo con lo Stato; insiste sull'appropriazione dello
Stato da parte dell'amministrazione, sul disprezzo di Hegel verso
la democrazia (che Marx condivide nella misura in cui tale demo-
crazia è formale), critica, e giustamente, la deduzione hegeliana
della monarchia ereditaria; ma tutto questo non giunge mai alla
profondità dei punti di vista successivi che cominciano ad annun-
ciarsi nella Introduzione (pubblicata) a questa Critica (non pub-
blicata). Non vi compaiono tutti i concetti fondamentali: l'alie-
nazione reale dell'uomo, la classe privata di ogni partecipazione
alla comunità storica, il concetto stesso di capitale. Il linguaggio
storico è quello di Feuerbach, il termine "la critica", tipico del-
l'influenza del gruppo di Bauer, è frequente 28 e l'atteggiamento
fondamentale è quello che, un. po' più tardi, Marx criticherà par-
lando della " confutazione " della religione da parte di Feuer-
bach: "Feucrbach dissolve l'essenza religiosa nell'essenza uma-
na. Ma l'essenza umana non è un abstractum che sta dentro all'in-
dividuo singolo. Nella sua realtà è l'insieme dei rapporti sociali " 29•
Per avere la caratteristica di questa Critica basta sostituire nella
21 Cfr. Critica, ci t., p. 497: " Noi non dovremo svilupparla in questa
sede, ma nella critica dell'esposizione hegeliana della società civile " e,
p. 499: "Il resto deve essere sviluppato nella sezione società civile".
28 Cfr. per es. Critica, cit., pp. 443, 446, 450, dove Marx rimprovera a

Hegel la sua mancanza di critica.


2 ~ Marx-Enge/s Gesamtausgabe, cit., vol. v, p. 535, Tesi su Feuerbach,

n. 6 [queste pagine di Marx furono pubblicate da Engels in appendice al


suo Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, 1888:
le tesi di Marx e il saggio di Engels si leggono in trad. it. nelle citate
Opere ,\'celte].

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Eric Weil: Marx e la filosofia del diritto 179

citazione il nome di Feuerbach con quello di Marx e la parola


religiosa con la parola politica. L'importanza dottrinale del mano-
scritto è, dunque, limitata; alla fine riguarda soltanto il biografo
di Marx e lo storico dell'hegelismo.
Ben diverso il peso dell'Introduzione alla Critica. Qui la criti-
ca è più particolare, ma vi è anche il riconoscimento pieno che
Hegel è il filosofo, la coscienza dello Stato moderno. Non si tratta
più di correggere una certa tesi o di confutare una particolare de-
duzione: anzi: " noi tedeschi, siamo i contemporanei filosofici
del presente, senza esserne i contemporanei storici ... La filosofia
tedesca del diritto e dello Stato è la sola storia tedesca che stia al-
la pari con il moderno presente ufficiale " 30• " In politica i tede-
schi hanno pensato ciò che gli altri popoli hanno fatto ... La rivolu-
zione comincia nella testa del filosofo" ·11 • Questo omaggio a Re-
gel, è vero, non compare qui per la prima volta: il manoscritto
della Critica è ricco di espressioni che riconoscono in Hegel il fi-
losofo che interpreta correttamente una realtà mistificata 32 ; ma,
mentre il manoscritto presenta spesso delle esitazioni, l'Introdu-
zione è giunta ad una posizione netta: " Voi non potete aufheben
(sopprimere, sublimare e conservare) la filosofia senza realizzar-
la", tesi completata da quest'altra, rivolta alla critica teorica -
Bauer, Feuerbach: '· La critica credeva di poter realizzare la filo-
sofia senza sopprimer/a, sublimarla e conservarla (aufhehen: cfr.
sopra) " 33 • E subito ecco la considerazione decisiva per l'intera
evoluzione del pensiero di Marx: .. le rivoluzioni hanno bisogno
di un elemento passivo, di una base materiale " 3\ la rivoluzione
sarà realizzata come opera di liberazione totale dell'uomo unica-
mente a mezzo della " formazione di una classe che porta catene

30 Zur Krilik der He~e/.vchen Rechtophilooophie. Einleitung (qui ab-


brevialo Introduzione). in Marx-Engels Gesamtausgabe, cit. vol. I, l.
p. 612 (cfr. trad. it. in Marx e Engels, Opere scelte, cit., oppure in Annali
franco tedeschi, Milano 1965).
" Introduzione, p. 614 sg.
" Cfr. Critica, per es. p. 458: ·· lo Stato prussiano o moderno "; p.
487: " Hegel parte dalla separazione della società civile e dello Stato po-
litico ... Questa separazione, è vero, esiste nello Stato moderno"; p. 492,
dove Hegel è criticato per essersi voluto limitare all'apparenza della ricon-
ciliazione, ma dopo aver visto la contraddizione; p. 502: " lo Stato moder-
no, del quale H egei è l'interprete "; p. 529; " Hegel è stato spesso attac-
cato a causa della sua elaborazione della morale. Egli non ha fatto altro
che sviluppare la morale dello Stato moderno e del diritto privato moder-
no"; p. 538: "la mancanza dello sviluppo di Hegel e delle condizioni mo-
derne reali ".
" Introduzione, cit., p. 613.
" Introduzione, cit.; p. 615 sg.

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180 Marx e Engels

radicali..., la quale, in una parola, rappresenta la perdita totale


dell'uomo e non può, dunque, riguadagnarsi se non riguadagnan-
do l'uomo totalmente. Questa dissoluzione della società co-
me ( = dissoluzione stabilita in) stato particolare (Stand) è il pro-
letariato " 35•
Il seguito è noto: l'ehiborazione di una teoria tecnica della ri-
voluzione, il richiamo alla passione, l'organizzazione della passio-
ne, l'abbandono di ogni teoria teoretica, la costruzione delle cate-
gorie economiche a partire dall'uomo storico e in rapporto ad es-
so, la fusione del politico e dell'economico, l'introduzione di un
indice storico in ogni categoria morale, economica, politica: tutto
questò perché la tesi hegeliana è ora accolta nella sua totalità, per-
ché la storia ha un senso preciso, quello di liberare l'uomo nella
realtà e non soltanto nel pensiero, perché questa liberazione e la
conciliazione totale non sono ancora realizzate, i rapporti umani
dipendono ancora dalla passione, dall'arbitrio, dal caso, dalla vio-
lenza, la mediazione non è compiuta, la lotta continua ancora, la
vita non è ancora ragionevole.
Non è questo il luogo di chiedersi dove, come e in che misura
Marx, accettando la filosofia hegeliana con tutto il suo contenuto,
la superi, in particolare di intcrrogarsi sul significato della cele-
bre espressione " rimettere sui piedi ( = rimettere in piedi ciò che
stava rovesciato, sulla testa) ". Quanto all'essenziale, si tratta di
trarre da una filosofia una scienza e una tecnica, di optare per la
realizzazione di ciò che la filosofia enuncia come pura necessità
ipotetica e di cercarne i mezzi concettuali e politici disponibili e
indispensabili, di tradurre l'idealismo della filosofia (e di ogni
scienza teoretica) in materialismo storico e politico. È legittimo
questo passaggio dalla filosofia alla scienza c alla tecnica? È legit-
timo secondo i principi di quella filosofia che deve dare a questa
scienza la validità c la giustificazione indispensabili? Oppure, al
contrario: questa trasposizionc non introduce forse una contrad-
dizione non riconciliata e non riconciliabile tra principi e conse-
guenze? Se questa scienza tecnica può essere elaborata (non sem-
bra che sia stato fatto, almeno completamente), si può e si deve
trame delle conclusioni sulla natura del sistema che vi soggiace?
O, se si tratta di comprendere, non bisogna piuttosto giudicare le
pretese di questa scienza secondo l'insegnamento della filosofia al-
la quale si richiama? La scienza può voler prendere il posto della
filosofia? La filosofia può, sul piano dell'azione storica, evitare di

" Introduzione, cit., pp. 619 sg.

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Eric Weil: Marx e la filosofia del diritto 181

essere trasposta nella scienza o di servire come mezzo di raziona-


lizzazionc della passione?

Non dobbiamo rispondere a queste domande. Resta il fatto che


i problemi ai quali Marx risponde non si oppongono alle tesi di
Hcgel, ma partono da queste.
I fondamenti della scienza della liberazione dell'uomo alienato
si incontrano al completo in Hegel. È probabile che, per dirla con
Kant, noi vediamo tanto chiaramente le scoperte. (di Hegel) solo
perché ci è stato detto (da Marx) ciò che bisognava cercare 36 • Ma
questo non impedisce che quelle scoperte si trovino in Hegel. E
se ci è concesso di formulare un'ipotesi, sembra molto probabile
che Marx stesso ve le abbia trovate : in effetti, se vi è una diffe-
renza essenziale tra il punto di vista della Critica e quello dell'In-
troduzione, la causa non sarà da trovare nello studio della teoria
della società nella Filosofia del diritto ben più che nei contatti
che Marx ha a Parigi con gli ambienti operai? E non sarà forse
per questa influenza che Marx oppone la propria teoria dialettica
al comunismo francese dell'epoca che egli considera "un'astra-
zione dommatica " 37 ? Resta comunque il fatto che Marx, nella
Critica, annuncia la sua intenzione di affrontare la teoria hegelia-
na della società dopo aver chiarito quella della costituzione.
Questa ipotesi, qualunque valore essa abbia, nulla toglie al-
l'" originalità " di Marx (ne abbiamo parlato più sopra) e non
coinvolge la " responsabilità " di H egei: probabilmente Hegel
non avrebbe approvato la scienza di Marx - che tuttavia è stata
nella storia una delle traduzioni della filosofia di Hcgel. Abbiamo
avanzato queste osservazioni perché crediamo che esse possano
servire alla comprensione dei due autori, a quella comprensione
oggettiva, la quale soltanto può.. consentire di prendere una posi-
zione che sia altro dall'espressione di una fedeltà o di un odio, di
una preferenza istintiva o di un'avversione insormontabile - qual-
cosa d'altro e ben più importante di una questione di gusto.

,. KANT, Ueber eine Entdeckung ... , in Werke, ed. Cassirer, vol. VI.
Berli n 1923, p. l [: " .. .interpreti malaccorti vedono ora, del tutto chiara-
mente negli antichi, una quantità di scoperte ritenute nuove, dopoché è
stato loro mostrato che cosa vi dovessero vedere ''].
" Marx-Engels Gesamtausgahe, cit. vol. 1, l, p. 573.

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182 Marx e Engels

8.3. Intermezzo dialettico con Marx e contro Marx

Se possiamo trarre un. risultato dalle considerazioni svolte nei


due paragrafi precedenti, dobbiamo dire che la storia della filo-
sofia dell'800 c i problemi della filosofia contemporanea non pos-
sono essere capiti e neppure semplicemente affrontati, se si pre-
scinde da un loro confronto con la filosofia hegeliana da una par-
te c con l'interpretazione che Marx, ed Engels, ne diedero, dall'al-
tra, come problema interno alla filosofia hegeliana e al marxismo
e per ciò stesso alla storia della cultura del XIX e xx secolo. Il
rapporto Hegel-Marx diventa, dunque, paradigmatico, un nodo e
il motore della storia della filosofia. Si pensi, tanto per fare gli
esempi più noti e più celebri, che il lettore vorrà approfondire da
sé, al destino degli epigoni delle diverse scuole filosofiche: alla ri-
nascita di Kant presso i neokantiani e prima ancora in Herbart o
Schopenhauer, ripreso poi da Nietzsehe; all'esistenzialismo, che fu
fatto risalire a Kicrkegaard, il quale rifiutò Hegel e la dialettica
e rivendicò i valori dell'individuo particolare e della soggettività;
allo strutturalismo, nato dalle esperienze della linguistica e gene-
ralizzato, in polemica con la dialettica, come teoria generale delle
scienze umane 38• È la storia della filosofia dell'800, è la cronaca
dei nostri giorni: qui non può essere neppure semplicemente trat-
teggiata. Resta il fatto che l'interesse per questi autori e per que-
ste problematiche si risvegliò e si sviluppò in funzione del dibatti-
to politico, dci contrasti ideali tra i diversi settori del socialismo
c quindi ogni volta provocò un ritorno ai classici del marxismo,
a un nuovo studio dei loro testi, c ad una nuova ma non inquie-
tante proposta del rapporto Hegei-Marx.
L'esemplarità di quel rapporto impone una nuova concezione
della storia, in particolare della storia della filosofia: il rapporto
dialettico e la sua operatività nel e accanto al rapporto storico~
il conflitto tra il sistema (il sapere), che riconosce il reale ponen-
do la filosofia come storicità, e il nuovo sistema che comprende,
e giustifica, il reale c se stesso come storia c ideologia (sovrastrut-
tura). Tuttavia: " Il rapporto dialettico fatto valere assolutamen-
te e illimitatamente provoca lo smarrimento della dimensio-
ne storica, e ci pone nel rischio di cadere nel più pericoloso e
astratto scolasticismo ". Vediamo allora l'indicazione metodi-
" Non certo sine ira ha tracciato una storia della filosofia dell'Ottocen-
to relativa a questi problemi G. LuKÀCS, La distruzione della ragione, To-
rino 1959. Su marxismo e strutturalismo v. il volume dallo stesso titolo ùi
M. Godelier-L. Sève, Torino 1970 e, meglio, il cap.: " Lo strutturalismo e
i suoi successori" in S. TIMPANARO, Sul materialismo, cit.

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Intermezzo dialettico con Marx e contro Marx 183

ca, che a noi pare fondamentale, presente in questo avvertimen-


to: " Come prima osservazione avanzo l'esigenza di distinguere
il rapporto dialettico da quello storico. Il primo è più facile da co-
gliere, perché è dato dalla diretta critica di Marx, dalle sue stes-
se parole. Non si presta a possibili arbitri interpretativl; esso con-
tiene, sia pure soltanto in parte, la giustificazione del perché
Marx sia il costruttore di un nuovo sistema qualitativamentc al-
tro, c del perché non si dia passaggio logico da Hegel a Marx.
Debbo aggiungere che questa mancanza di passaggio non si ha
qui per la prima volta, anche se ne riesce difficile la motivazione.
Quel perché si trova altrove. Credere di trovare nel sistema che
sopravviene la interpretazione storicamente valida del preceden-
te, è cadere nell'equivoco secondo cui la filosofia farebbe storia
con se stessa, c che porta di conseguenza o ad esaurire lo studio
di Platone nella critica aristotelica o all'affermazione assurda che
i grandi filosofi sono cattivi storici della filosofia. Il sistema che
precede, si presenta nel nuovo in una figura che non è più l'ori-
ginaria, e questo perché è stato sottoposto a questioni, dalle qua-
li non è stato condizionato e alle quali non sa rispondere. Questo
suo non sapere è la giustificazione del nuovo " 39•
Se è vero che il rapporto storico comprende entro di sé la ne-
gazione, la rottura, e non può comprenderla se non come rappor-
to dialettico, come l'in sé del conflitto, allora il rapporto storico è
il per noi, è l'oggi, le sue figure e le sue deduzioni coincideranno
con le nostre ragioni e con i nostri interessi. Dell'ideale contrad-
dizione fra i sistemi, immanenti alla natura stessa dell'azione filo-
sofica, la storia della filosofia rappresenta la mediazione: essa fa
proprio e lascia agire quel non sapere (la rottura), il negativo, che
nel confronto fra i sistemi e le culture è un fatto e, riconducen-
dolo alle sue fonti, lo pone come problema, il problema di ... , il
nostro problema. Insomma, " ... dal punto di vista di Marx non
una parola di H cgel si salva; Marx,- nell'intero movimento della
sua ricerca, non riprende il problema di H egei. Ma, detto questo,
non si deve giungere a riconoscere che altro sono le idee di Marx
su Hegel, altro quelle che possono valere per noi, oggi, pervenuti
a questa stagione della ricerca storico-filosofica? Il rapporto He-
gel-Marx, come rapporto storico, comprende entro di sé la rot-
tura, ma la comprende appunto come rapporto dialettico, valida
cioè per quel Marx che non è mai stato hegeliano, non per noi" 40 •
" A. MASSOLO, Del rapporlo Hege/-Marx, in La sluria della filosofia
come problema, nuova edizione Firenze 1967, pp. 193-194 (è il testo di
un dibattito fra filosofi marxisti svoltosi in « Rinascita », 1962).
"" L. RICCI GAROTTI, Marx non è 1111 tribunale della filosofia, ora

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184 Marx c Engels

A questa collocazione nella storia della filosofia, che è da in-


tendere ora, si badi, e dovrebbe essere chiaro, come storia della
cultura, della scienza e della società, si è sottratta gran parte del-
la filosofia dell' '800 e della problcrnatica contemporanea, quella
parte che non ha riconosciuto il risultato hegeliano, la presenza
in esso del rnarxismo. Ci rendiamo conto che è tutta una storia da
riscrivere, in particolare quella del positivismo e dei vari interven-
ti e reazioni idealistiche che lo sollecitarono e ne furono provoca-
te. Si pensi soltanto, nell'evoluzione di questa storia, alla scarsa
influenza di Engels, un avvenimento sul quale oggi si va meditan-
do 41 • Abbiamo rapidamente fatto qualche cenno alla posizione
" dialettica " di Engels, ma non dobbiamo dimenticare che essa
rimase a lungo inoperante: essa proveniva dall'interno deJia scien-
za, ma tentava di agire dall'interno di quel rapporto che i tempi
c la cultura si rifiutavano di riconoscere. Non dimentichiamo che
Hcgcl, e la dialettica, era un " cane morto ", i classici del marxi-
smo considerati degli utopisti, delle " tarantole ", l'espressione del-
lo " spirito della vendetta " (Nietzschc) 42 •
Sulla dialettica, in opposizione al marxismo, nacque e si svi-
luppò una nuova scolastica. Non ci interessa la sua genesi nei par-
ticolari. Ci limiteremo ai fcnomenj più macroscopici che oggi
possiamo guardare sine ira. t un capitolo della nostra storia che
merita di essere ricordato: l'età d'oro della dialettica, gli anni
venti. Essi vedono maturare e svilupparsi varie correnti di pensie-
ro, sorte soprattutto in Germania, ma anche in Italia, prima e do-
po il primo conflitto mondiale. Rinascita hegeliana, storicismo, fi-
losofia dci valori, filosofia della vita costituiscono nel mondo della
filosofia l'equivalente di analoghi tentativi che si erano svolti e
che si stavano verificando in altri campi, dalla pittura all'architet-
tura, dalla lirica alle nuove forme del romanzo e del teatro. I va-
ri filosofi erano d'accordo solo nel diagnosticare una crisi della fi-
losofia che corrispondeva all'universale rclativismo e al generale
crollo dei valori. Come in tutte le epoche di decadenza politica e
sociale, di fronte ad una realtà in movimento, i filosofi, pallidi epi-
goni, rispondevano concentrandosi nella filosofia. Alla crisi del-
la filosofia si opponeva la filosofia della crisi, alle sue profonde
in Heidegger "contra" H egei, Urbino 1965 (il testo è apparso nella rivista
sopra citata).
41 Oltre al citato volume di Timpanaro, passim, si veda Sul marxismo

e le scienze, in « Critica Marxista », Quaderni, n. 6, Roma 1972 e << Aut-


Aut», nn. 129-130, maggio-agosto 1972 (Dialettica della natura e ma-
terialismo).
·" A. MASSOLO, La storia della filosofia e il suo signifìcato. in La
storia della filosofia ... , cit., pp. 41-42.

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Intermezzo dialettico con Marx e contro Marx 185

ragioni storiche e sociali veniva contrapposto l'alibi dell'og-


gettività.
Inutile fare nomi, italiani o stranieri. L'epoca è molto comples-
sa. Talvolta due anime si nascondòno e si dibattono, contempora-
neamente o in momenti successivi, nella stessa persona. Accanto
agli astratti furori dialettici, al delirio metafisico, che travolse l'e-
poca dopo averla nutrita, troviamo anche forme diverse di razio-
nalismo che tentarono di comprendere la realtà: si pensi a Cassi-
rer; ai grandi storici come Webcr, Troeltsch e Sombart; si pensi,
in casa nostra, a Martinetti prima, a Banfi poi, l'uno e l'altro, ve-
di caso, dialettici e antidialettici. Ad ogni modo la filosofia " uffi-
ciale " del tempo, quella delle accademie, può ben essere illustra-
ta da una espressione di Hegel, parafrasata da Marx - un'imma-
gine valida ancora: " la forma particolare della cattiva coscienza
che si appalesa in quella specie di eloquenza di cui si pavo-
neggia la superficialità liberale, può farsi sentire, e in modo preci-
puo, nel fatto che essa, allorché è assolutamente priva di ogni con-
tenuto spirituale, maggiormente parla dello spirito, e allorché è
più morta c più stecchita ha in bocca la parola vita ... " 43 • Anche
la cattiva coscienza degli anni venti ebbe la sua eloquenza, super-
ficiale e liberale come quella della Sacra famiglia - la dialettica.
Dialettica fu ciò che la " cri tic a ", la " coscienza critica ", il
"punto di vista critico " fu ai tempi dei giovani hegeliani, ogget-
to dello scherno di Marx e di Engels: è sorprendente notare l'at-
tualità, storica e speculativa, del celebre testo marxiano-engelsia-
no, l'oggettività della sua ironia, che porta sul piano della storia,
innalza al valore di categoria intcrprctativa (della storia della fi-
losofia), i termini di un dibattito legato alla cronaca del giorno.
Chi oggi legga la Sacra famiglia, e non si curi dei nomi, vi rico-
noscerà gli ultimi quarant'anni di problematica filosofica. Infini-
ti nomi possiamo sostituire a quello di Bauer nella frase della Pre-
fazione: " Ciò che noi combattiamo nella critica baueriana è pre-
cisamente la speculazione che si riproduce in forma di caricatu-
ra". E non dimentichiamo di correggere critica con dialettica.
Si veda, per parlar di noi, una delle cosiddette " riforme " della
dialettica hegeliana. Già l'enuncìazione del tema denuncia tutta
l'astoricità o meglio l'antistoricità del tentativo. Astratta dal si-
stema hcgcliano, nel quale dobbiamo leggere un'interpretazione
della storia, la dialettica, preteso metodo, sembra contenere un er-
rore, un residuo di logica tradizionale, scolastica (la logica del
" La sacra famiglia on·ero critka della critica critica contro Bauer e
soci, Roma 1954, p. 94.

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186 Marx e Engels

pensiero, del fatto), in contraddizione con il principio: il pensare


come spirito, il fare - e si presume di poter ricostruire un sistema
che trovi il suo fondamento sulla correzione di quell'errore, sul-
l'approfondimento di quel principio. Alla dialettica delle catego-
rie come fatti compresi dal pensiero, alla dialettica della storia co-
me manifestazione della storia dello spirito umano, come fatto,
dunque, della storia dell'uomo, va sostituita una dialettica dell'at-
to del pensare, creativo, la quale " non conosce mondo che già
sia " 44 • Il che significa sottrarre alla dialettica hcgcliana quel ter-
reno della storia che l'aveva resa possibile. Ancora una volta una
forma di mistificazione della realtà, di teologia.
Una posizione analoga troviamo in Kroner, che è poi la fonte
dei cosiddetti sistemi dialettici del Liebert e del Marck. Dice il
Kroner: " La differenza tra pensare cd essere, tra filosofia e non
filosofia, ltra speculazione e vita] è anche una differenza nel pen-
siero stesso. Mentre il pensiero si pensa scopre questa differenza
in sé", La categoria fondamentale, commenta il Marck, è un'in-
tuizione: il pensiero come presupposto del sistema hegeliano non
può più mostrarsi dall'esterno. Non c'è dunque posto per la dia-
lettica dell'alienazione e della conciliazione, delle differenze e del-
la totalità (o delle differenze nella totalità), che aveva sorretto la
configurazione della storia in Hegel 45 •
Tuttavia, in questi testi troviamo solo una risposta vaga alla
domanda: che cos'è.la dialettica? Liebert risponde: " Dialettica
è in generale problema ", ma un problema che non nasce dalla
storia c ad essa non si riferisce; un ethos lo genera, cioè la vita
stessa. Vita e dialettica sono termini correlativi; la libertà, lo hu-
mor, lo spirito critico sono manifestazioni dirette c indirette del
loro conllitto. La dialettica platonica (e la filosofia di Platone) è
la dialettica eterna. Marck ritiene, invece, che ci sia correlazione
fra realtà e dialettica, fra dialettica e situazione storica. Dialettica
è quel punto di vista critico che permette di mantenere aperte e
vive le contraddizioni, non conciliati gli opposti. Egli parla, infat-
ti, di dialettiche, di filosofie, al plurale, onde porre l'accento sulla
pluridimensionalità del mondo storico e del mondo dei valori, sul-

" G. GENTILE, La riforma della dialettica hegeliana, Messina 1913.


Cfr. G. GIANNANTONI, Dell'uso e del significato di dialettica in Italia, in
«Rassegna di filosofia», 7. 1958, n. 2 e F. VALENTINI, La controriforma
della dialettica, Roma 1966.
,; R. KRONER, Von Krmt bis Hegel, Ti.ibingen 1920-1924, vol. II, p.
66. Cfr. S. MARCK, Die Dialektik in der Philosophie der Gegenwart, 2
voll. Tlibingcn 1929-1931 e A. LIEBERT, G'eist und Welt der Dialektik.
vol. l: Gnmdle[!ung der Dialektik, Berlin 1929.

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Storia, " blocco storico " e ideologia in Gramsci 187

la tensione non risolvibilc fra i soggetti e il mondo. Per questo


egli ritiene, paradossalmente (ma c'è una coerenza con c nella sua
epoca), di dover rifiutare Hegel, la sua (pretesa) assolutizzazione
della dialettica c la sua (cosiddetta) chiusura nel sistema della
storia del mondo. Ma la chiusura hegeliana (Hegel avrebbe posto
il proprio sistema come fine della storia), l'assolutizzazione della
dialettica che gli si obietta, ha pur rappresentato storicamente il
tentativo più alto, lo sforzo più coerente per togliere la dialettica
da una posizione di sudditanza rispetto alla logica e alla filosofia:
la dialettica non è più logica minor c come risultato del tutto nuo-
vo Hegel perviene a calare la filosofia c la logica delia tradizio-
ne nella storia, a intendere la filosofia come l'espressione di un'e-
poca, il tempo stesso nella sua più compiuta manifestazione (co-
scienza concettuale). 11 filosofo abbandona per sempre la forma
della prima persona. Dopo Hcgel filosofia (dialettica), considerata
in sé e a sé, è locuzione priva di significato: il filosofare trova il
suo senso e il proprio fondamento (dialettico) solo presentandosi
e costruendosi come filosofia della storia c della scienza.

Ora, che questi autori agiscano all'interno della problematica


hegeliana è un fatto, ma è un fatto ben diverso dal " ritorno " a
Hegel che-si verificò in Francia negli anni trenta e in Italia nel se-
condo dopoguerra attraverso la mediazione di Marx. Ciò che ca-
ratterizza i filosofi di cui abbiamo parlato e la filosofia tra il 1919
c il 1939 è l'esercitarsi sulla forma c sul metodo della filosofia he-
gcliana come se nulla fosse successo dopo Hegel. Da filosofi riflet-
tono sulla filosofia, col classico comportamento degli accademici
e degli epigoni, sempre e comunque indifferenti al mondo storico.
Questa astrazione ritengono libertà e credono in essa come in una
situazione storica oggettiva, e pertanto ritengono di poter essi so-
li parlare di una crisi della filosofia, ma in realtà manifestano sol-
tanto la crisi della propria astrazione, di una vicenda personale
posta come assoluta.

8.4. Stori~, " blocco storico " e ideologia in Gramsci


Abbiamo inevitabilmente parlato di noi e del nostro tempo, e
questo, crediamo, è proprio lo spirito della dialettica. I nostri
idealisti hcgeliani, e quindi antihegeliani, hanno coerentemente ri-
fiutato o meglio mistificato l'esperienza marxiana per una serie di
motivi che in parte abbiamo esposto. Della cosiddetta circolazio-

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188 Marx e Engels

ne della filosofia italiana nella cultura europea, una riscoperta


dell'idealismo nostrano, è rimasta soltanto la tradizione idealisti-
ca della filosofia italiana 46 - disiecta membra. Abbiamo ritrovato,
questi sì veramente da riscoprire, i veicoli di quel filosofare, e ri-
cordiamo solo Vico c Dc Sanctis 47 • Non per caso, dunque, ancora
una volta, e per motivi largamente discussi, abbiamo attaccato nel
secondo dopoguerra Marx - e H egel attraverso Marx: mediatori
la lotta politica, nuove ideologie culturali e in particolare il pen-
siero di Gramsci: nei Quaderni dal carcere abbiamo veramente
ritrovato una casa o almeno le sue prime indispensabili strutture.
È solo da rammentare che su di esse si sia riflettuto troppo poco.
Ma proprio per questo non ci sembra inutile, alla fine di una sto-
ria della figura e del concetto di dialettica, che, eliminandosi co-
me filosofia, ha ritrovato se stessa, non ci sembra inutile soffer-
marci sui problemi della filosofia e della tradizione filosofica in
Gramsci, non per co"ncludere, ma per porre qualche domanda -
c non sarà rultima - al nostro tema e alla nostra realtà.

Leggeremo il testo gramsciano, in particolare la meditazione


di Gramsci su Hegel e Marx, sollecitati da una libertà non sogget-
tiva. C'è una premessa, infatti, di carattere metodico, che rite-
niamo necessaria: " .. .l'importanza filosofica del p'ensiero di
Gramsci... è piuttosto da riccrcarsi nel livello in cui le diverse
questioni si incontrano e tendono ad articolarsi, nell'indirizzo e
contenuto d'insieme e nel metodo del suo pensiero" 48 • Un'affer-
mazione da intendersi all'interno di questo schema interpretativo :
"Non a caso Gramsci si proponeva proprio il problema di chi
voglia ricostruire la genesi e la struttura di una ' concezione del
mondo' che l'autore non abbia mai 'esposto sistematicamente',
e quindi non sia rintracciabile ' in ogni singolo scritto e serie di
" B. SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con la fìloso{ìa
europea, Bari 19261 (a cura di G. Gentile) e G. GENTILE, Storia della fi-
losofia italiana, Firenze 1969 (una raccolta sistematica di tutti gli scritti
gentiliani di storia della filosofia a cura di E. Garin). Cfr. invece E. GARIN,
Storia della filosofia italiana, 3 voli., Torino, 1966 e per la filosofia, i di-
battiti contemporanei Cronache della filosofia italiana, Bari 1955 e La
cultura italiana tra '800 e '900, Bari, 1962.
" Sollecitato (anche) dalla pubblicazione delle opere di Gramsci nel
dopoguerra si svolse un ampio dibattito sul rapporto De Sanctis-Croce e
De Sanctis-Gramsci: oltre alle opere di Garin, citate, il lettore può rico-
struirlo sulle riviste, in particolare « Belfagor » e «Società». Si riaccese
l'interesse per Vico e si intraprese per la prima volta una edizione com-
pleta, storico-critica delle opere di De Sanctis presso Laterza e Einaudi.
" C. LUPORINI, La metodologia filosofica del marxismo nel pensiero
di A. Gramsci, in «Studi Gramsciani», Roma 1958, p. 37.

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Storia, " blocco storico " e ideologia in Gramsci 189

scritti, ma nell'intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in


cui gli elementi della concezione sono impliciti ' " 49 • Nel testo
gramsciano, dunque, almeno come lo leggiamo ora, e prescinden-
do dalla quasi impossibile configurazione dell'evoluzione, si deve
tener presente e lasciare agire in tutta la sua apertura la coinci-
denza tra frammento e problema, tra probl_ema c sistema, che vi
si manifesta in sé, allo stato possiamo dire puro, con tutte le diffi-
coltà che ne derivano. Ma c'è una premessa poi di carattere più
interno, che riteniamo altrettanto necessaria: la nostra storiogra-
fia filosofica, è noto, ha presentato e presenta in alcune sue figu-
re una determinazione del rapporto Hegel-Marx, idealismo clas-
sico tedesco-marxismo, del tutto originale, storicamente giustifi-
cata dall'evoluzione marxiana e riconducibile, in alcuni suoi nes-
si, alle individuazioni positivo-negative che di Hegcl si leggono
nel Nachlass di Lenin ~0 • Non ha qui importanza né interesse al-
cuno fare nomi. Vorrei soltanto ricordare il giudizio di uno di
questi interpreti sull'evoluzione di un filosofo non più tra noi, la
cui grandezza solo ora cominciamo a misurare. Massolo ha detto
di Banfi: Egli manifesta la coscienza piena che il marxismo vie-
ne da lontano. Questo giudizio è un omaggio a Gramsci, e la-
sceremo che esso ci guidi nell'esplorazione degli incontri di Gram-
sci con Hegel e Marx, nella determinazione di quel rapporto sto-
rico e dialettico che Gramsci configura tra la filosofia della pras-
si e Hegel, fra il marxismo e la filosofia della prassi, cioè: fra il
testo marxiano e l'interpretazione che esso sollecita.

La meditazione di Gramsci su Hcgel non è nella sua disconti-


nua continuità un fatto gratuito e neppure marginale. Agli occhi
del lettore appaiono subito i due momenti opposti dell'accettazio-
ne e del rifiuto; dovremo considerarli sempre come operanti, li-
bere componenti della riflessione gramsciana: " Hegel rappresen-
ta, nella storia del pensiero filosofico, una parte a sé, pòiché, nel
suo sistema, in un modo o nell'altro, pur nella forma di romanzo
filosofico, si riesce a comprendere cos'è la realtà, cioè si ha, in un
solo sistema e in un solo filosofo, quella coscienza delle contrad-
dizioni che prima risultava dall'insieme dei sistemi, dall'insieme
dei filosofi, in polemica tra loro, in contraddizione tra loro " (p.
93) 51 ; ma d'altra parte: " ... gli elementi di spinozismo, di feuerba-
" E. GtRIN, A. Gramsci nella cultura italiana, i b., p. 4 (cfr. p. 395).
50 Si tratta dei Quaderni filosofici (cit.); estratti, riassunti, commenti,

note in margine,. un lavoro fatto quasi interamente su opere di Hegel.


51 Salvo indicazione contraria l'indicazione delle pagine si riferisce a

Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce, Torino 1948.

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190 Marx e Engels

chismo, di hegelismo, di materialismo francese ccc., non sono per


nulla parti essenziali della filosofia della prassi né questa si ridu-
ce a quelli, ma ciò che più interessa è appunto il superamcnto del-
le vecchie filosofie, la nuova sintesi o gli elementi di una nuova
sintesi, il nuovo modo di concepire la filosofia ... È certo che l'hc-
gelismo è il più importante (relativamente) dei motivi al filosofa-
re del nostro autore... " (pp. 158-159).
Ritenere tali posizioni libere articolazioni di una riflessione che
ha per oggetto del proprio esercizio solo la pagina sulla quale pro-
cede esercitandosi, significa non già assolutizzarle, ma porre a noi
stessi il dovere di ricostruire la loro mediazione. Essa è subito evi-
dente come ricerca di una tradizione possibile della filosofia della
prassi, di un intero storico-ideologico che abbia costituito e costi-
tuisca il presupposto, il tempo di quella filosofia, e insieme espri-
ma la ragione di una comprensione, storica, e speculativa. Ci ac-
compagni il contrappunto: "La filosofia della prassi è stata un
momento della cultura moderna; in una certa misura ne ha deter-
minato o fecondato alcune correnti" (p. 81) e " (l'hegclismo) eb-
be certo un'importanza eccezionale e rappresenta un momento
storico-mondiale della ricerca filosofica " (p. 159).
" La filosofia della prassi presuppone tutto questo passato cul-
turale, la Rinascita e la Riforma, la filosofia tedesca e la Rivolu-
zione francese, il calvinismo e l'economia classica inglese, il libe-
ralismo laico e lo storicismo che è alla base di tutta la concezione
moderna della vita. La filosofia della prassi è il coronamento di
tLttto questo movimento di riforma intellettuale e morale, dialcttiz-
zato nel contrasto tra cultura popolare e alta cultura " (p. 86).
Tradizione, dunque, come tradizione umanistica; c si sa quanto
valga questo termine in Gramsci, che meriterebbe un'intera trat-
tazione. Interessa qui notare direttamente: il nuovo momento del
mondo è " umancsimo assoluto " (p. 105), " un umanesimo asso-
luto della storia " (p. 159). Ma c'è anche un elemento di rinno-
vamento della tradizione, di irriducibilità, che ci riconduce al te-
ma del secondo momento, della novità storica della filosofia della
prassi: " Corrisponde al nesso Riforma protestante più Rivolu-
zione francese: è una filosofia che è anche una politica e una po-
litica che è anche una filosofia " (p. 87, cfr. pp. 217 -218). Segue
subito una ulteriore determinazione, un passaggio dal rilievo so-
ciologico alla comprensione storica, quasi una aggettivazione (sto-
ricizzazione) della filosofia della prassi, posta come oggetto della
coscienza del filosofo: " Attraversa ancora la sua fase popolare-
sca: suscitare un gruppo di intellettuali indipendenti non è cosa fa-
cile, domanda un lungo processo, con azion.i e reazioni... è la con-

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Storia, " blocco storico " e ideologia in Gramsci 191

cezione di un gruppo sociale subalterno, senza iniziativa storica,


che si amplia continuamente, ma disorganicamente, e senza poter
oltrepassare un certo grado qualitativo che è sempre al di qua del
possesso dello Stato, dell'esercizio reale dell'egemonia su l'intera
società che solo permette un cetio equilibrio organico nello svi-
luppo del gruppo intellettuale" (p. 87).
Questo punto, autenticamente e. tematicamente gramsciano,
sembra il risultato (o la condizione?) di un fattivo incontro, di
una intelligente lettura di Hegel. Così, infatti, si esprimerà più tar-
di: " ... enorme importanza la posizione assegnata da Hegel agli
intellettuali ... Con Hcgcl si comincia a non pensare più secondo
le classi o gli stati, ma secondo lo Stato, la cui aristocrazia sono
appunto gli intellettuali. La concezione patrimoniale dello Stato
(che è il modo di pensare per caste) è immediatamente la conce-
zione che Hegel deve distruggere (polemiche sprezzanti e sarcasti-
che contro von Haller). Senza questa valorizzazione degli intellet-
tuali fatta da Hcgcl non si comprende nulla (storicamente) dell'i-
dealismo moderno c delle sue radici sociali " 52 • Nell'avverbio sto-
ricamente - è inutile sottolinearlo - è la chiave della citazione, e
dell'intera pagina che stiamo analizzando.
Proseguiamo: " La filosofia della prassi è diventata anch'essa
pregiudizio e superstizione: così com'è, è l'aspetto popolare dello
storicismo moderno ma contiene in sé un principio di superamen-
to di questo storicismo " (p. 87). La formulazione è ora diversa.
Il piano sociologico e quello storico della ricerca sono avvicinati
e ne risulta un concetto della filosofia della prassi come di una fi-
losofia della storia: infatti, subito dopo, si parla dell'antitesi ma-
terialismo c spiritualismo come antitesi di classe popolare e classi
tradizionali che si genera ad ogni fase di rivolgimento - e Gram-
sci fa propria la filosofia della storia hegeliana: " Hegel, a caval-
lo della Rivoluzione francese e della Restaurazione, ha dialettiz-
zato i due momenti della vita del pensiero, materialismo e spiri-
tualismo, ma la sintesi fu un uomo che cammina :çulla testa" (p.
87). Questa interpretazione ritorna in Gramsci ancora, e non
sembra del tutto mediata da Marx (cfr. pp. 70-71).
Per finire con questo testo, consideriamo il non comune paral-
lelismo istituito da Gramsci tra la filosofia della prassi e la filo-
sofia hcgcliana: " I continuatori di H egei hanno distrutto questa
unità e si è ritornati ai sistemi materialistici da una parte e a quelli
spiritualistici dall'altra. La filosofia della prassi., nel suo fondato-

" Gli intellettuali e /"organizzazione della cultura, Torino 1949, pp.


46-47.

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192 Marx e Engels

re, ha rivissuto tutta questa esperienza, di hegclismo, feuerbachi-


smo, materialismo francese, per ricostruire la sintesi dell'unità dia-
lettica: l'uomo che cammina sulle gambe. Il laceramento avve-
nuto per l'hegclismo si è ripetuto per la filosofia della prassi, cioè
dall'unità dialettica si è ritornati da una parte al materialismo fi-
losofico, mentre l'alta cultura moderna idealistica ha cercato di
incorporare ciò che della filosofia della prassi le era indispensa-
bile per trovare qualche nuovo elisir" (p. 87; cfr. pp. 104-105).
Hegel è qui pienamente restituito alla storia. E con Hegcl, Marx.
E non si tratta di semplice restituzione alla storia, bensì del rico-
noscimento, nella storia della filosofia della prassi, delle ragioni
dell'idealismo tedesco o speculativo, della filosofia come storici-
tà. Torneremo subito su una valutazione di quest'ultimo termine,
ma teniamo ferma l'affermazione di Engels, già citata: " Il pro-
letariato è l'crede della filosofia-classica tedesca".
Gramsci, leggendo Marx, restituisce Hcgcl alla storia, e que-
sto riconoscendone la lezione più alta, il suo aver accolto nella fi-
losofia il mondo storico e l'aver posto quindi la filosofia come
ideologia: " Si può vedere con maggiore esattezza e precisione il
significato che la filosofia della prassi ha dato alla tesi hcgcliana
che la filosofia si converte nella storia della filosofia, cioè della
storicità della filosofia. Ciò porta alla conseguenza che occorre
negare la filosofia assoluta o astratta e speculativa, cioè la filoso-
fia che nasce dalla precedente filosofia c ne eredita i problemi su-
premi così detti, o anche solo il problema filosofico, che diventa
pertanto un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i
determinati problemi della filosofia" (p. 233). E in polemica di-
retta con Croce, che era il suo Hegel, afferma: " Questa propo-
sizione del Croce della identità di storia e filosofia è la più ricca
di conseguenze critiche: I) essa è mutila se non giunge anche alla
identità di storia e di politica (e dovrà intendersi politica quella
che si realizza e non solo i tentativi diversi e ripetuti ... ) c, 2)
quindi, anche alla identità di politica e di filosofia. Ma se è neces-
sario ammettere questa identità, come è possibile distinguere le
ideologie (uguali, secondo Croce, a strumenti di azione politica)
dalla filosofia? Cioè la distinzione sarà possibile, ma solo per gra-
di (quantitativa) e non qualitativamente. Le ideologie ... saranno
l'aspetto di massa di ogni concezione filosofica, che n.cl filosofo
acquista caratteri di universalità astratta, fuori del tempo e dello
spazio, caratteri peculiari di origine letteraria e antistorica " (p.
217).

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Storia, " blocco storico " e ideologia in Gramsci 193

Se teniamo presente il brano riportato all'inizio (" Hegcl rap-


presenta, nella storia del pensiero filosofico, una parte a sé... nel
suo sistema... si riesce a co_mprendere cos'è la realtà "), c le ri-
ghe che immediatamente lo precedono (la determinazione del ra-
dicarsi della filosofia nelle contraddizioni della società, ma come
antitesi al sapere, alla mera coscienza ideale di queste contraddi-
zioni nel sistema: infatti, " Ogni filosofo è e non può non essere
- convinto di esprimere l'unità dello spirito umano... se una
tale convinzione non fosse, gli uomini non opererebbero,
non creerebbero nuova storia, cioè le filosofie non potreb-
bero diventare ideologie ") (p. 93), non deve apparire violen-
za o comunque sollecitazione del testo l'individuata compren-
sione della filosofia hegeliana, anzi il riferimento ad un testo ben
preciso, alla Prefazione alla Filosofia del diritto, che stabilisce il
compito della filosofia nella " comprensione del presente e del
reale", un <:ompito da vedersi assolutamente in una contingenza:
non è possibile, infatti, alla filosofia " ringiovanire le figure della
vita ", ma soltanto " riconoscerle ". Insomma, certamente alcuni
fra quei testi nei quali Marx aveva trovato gli clementi della cri-
tica "che sorpassano di molto il punto di vista hegeliano ".
La scoperta del passato della filosofia della prassi, la restituzio-
ne di una tradizione, il riconoscimento dell'importanza della pre-
senza di Hegelnella tradizione della filosofia come ideologia, riap-
paiono indirettamente in un tema marx-engelsiano molto caro a
Gramsci: " Può disgiungersi l'idea di progresso da quella di di-
venire? Non pare. Esse sono insieme, come politica (in Francia),
come filosofia (in Germania, poi sviluppata in Italia) " (p. 33).
Siamo qui ad un nodo della filosofia della prassi in Gramsci, al
concetto di blocco storico, del condizionarsi in esso di struttura e
ideologia, all'interno, dunque, del rapporto fra il politico (storico
in generale) e lo speculativo (filosofico-ideologico). Un altro passo
precisa: "Nel brano sul materialismo francese nel secolo XV /Il
(Sacra famiglia) è abbastanza bene c chiaramente accennata la
genesi della filosofia della prassi: essa è il materialismo perfezio-
nato dal lavoro della stessa filosofia speculativa e fusosi con l'u-
manismo" (p. 43). Sino a che punto questa formulazione è per
Gramsci problematica? Egli si pone, è vero, una domanda: " ...
l'elemento speculativo è proprio di ogni filosofia, è la forma stes-
sa, che deve assumere ogni costruzione teorica in quanto tale,
cioè speculazione è sinonimo di filosofia e di teoria? " (ib.); ma di-
mostra anche (indirettamente e a partire da un problema diverso)
come fosse esatto il nostro primo rilievo sulla presenza della filo-
sofia hegeliana in Gramsci: " Occorre dimostrare che la conce-

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194 Marx e Engels

zione soggettivistica, dopo aver servito a criticare la filosofia della


trascendenza da una parte e la metafisica ingenua del senso co-
mune e del materialismo filosofico, può trovare il suo invcramen-
to c la sua interpretazione storicistica solo nella concezione delle
superstrutture mentre nella sua forma speculativa non è altro che
un mero romanzo filosofico" (p. 141). Il tema ora accennato di-
venta problema nei brani sulla cosiddetta " Traducibilità dei lin-
guaggi scientifici e filosofici ": rapporto fra il linguaggio politico
francese e il linguaggio della filosofia classica tedesca, fra Hegel e
la Rivoluzione francese ecc. 53 • Il marxismo può mostrarsi come
coscienza dello storicismo, a sua volta come storicità (pp.
22, 93-94).
Lo stesso circolo potrebbe essere percorso a partire da un al-
tro testo, dall'esame, per esempio, degli appunti schematici rac-
colti sotto il titolo " Egemonia della cultura occidentale su tutta la
cultura mondiale " : è sempre centrale il motivo cultura europea e
il suo processo di unificazione in Hegel, decomposizione dell'he-
gelismo, filosofia della prassi come risultato storico.

Ripcrcorriamo rapidamente i testi studiati e cerchiamo di in-


dividuare alcuni nodi della dottrina, gli interventi dì Gramsci sul
e nel marxismo stesso :

l) La filosofia come storicità e ideologia, formulazione teorica


della espressione : la filosofia non comincia con la filosofia, la fi-
losofia non fa storia con se stessa, ma con e a partire da altro.
In questa posizione è veramente da vedere un'eredità della pri-
ma speculazione greca: essa si presenta a noi, nei pochi docu-
menti rimasti, o come mito o come scienza, e il filosofo nella figu-
ra o del poeta o dd politico, come ha detto bene Gìgon, e quindi
nei due aspetti del dominatore e dell'uomo paradossale, isolato,
" perché l'uno e l'altro rappresentano una reazione provocata dal-
l'evidente indifferenza dell'uomo comune" 54 • Nell'uomo comune
sta la ragione dell'interrogazione, di quel "perché? " che egli non
53 Pp. 63 sgg. Gramsci si intrattiene sul famoso verso carducciano:

" Decapitaro Emmanuel Kant iddio, Massimiliano Robespierre il re ":


cfr. D. CANTIMORI, Un parallelo letterario fra Kant e Robespierre, in
«Studi di storia», Torino 1969 e S. LANDUCCI, Di un celebre paragone fra
la Rivoluzione francese e la filosofia classica tedesca, in « Bclfagor », 18,
1963, n. l. Si veda poi Passato e presente, Torino 1951, p. 58 e Il materia·
lismo storico ... , p. 145, dove Gramsci rinvia all'interpretazione engelsiana
della proposizione di Hegel sull'identità di reale e razionale.
54 O. GrGON, Grundprobleme der antiken Philosophie, Bern 1959,
p. 19.

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Storia, " blocco storico " e ideologia in Gramsci 195

si pone, c poi della risposta a quel " perché? ", che egli non sa
a
dare. Questa noi sembra la sola interpretazione plausibile della
antica tesi intorno alla genesi della filosofia dallo stupore, dalla
meraviglia, quando si ponga mente che lo stupore è sollecitato da
altro, da qualcosa che desta appunto meraviglia, e il discorso che
trova qui il suo inizio è un discorso a partire da questo qualcosa,
su e per esso.
Se questa interpretazione è giusta, si dovrà anche ammettere
che la natura del discorso filosofico, il suo porsi come discorso
·universale (univcrsalmentecomunicabile), come totalità (cioè co-
me çliscorso uno e coerente), il suo esaurire quindi la realtà o
comunque il suo mirare ad una completa risoluzione (sapere, si-
stema) non contraddice la genesi storica della filosofia, il concet-
to della filosofia come storicità 55 • In altri termini possiamo dire:
il filosofare è un atto condizionato quanto alla sua genesi e al suo
contenuto, incondizionato quanto alla sua forma - ma sempre, as-
solutamente contingente, perché esso si realizza a mezzo di una
decisione libera. La filosofia non ha a che fare col necessario, ma
con ciò cb e è: di qui la sua natura ideologica, astratta.

2) Il concetto di blocco storico è alla base delle considerazioni


sopra svolte. Infatti, la natura e la struttura ideologica, astratta
del filosofare non vale in assoluto, ma va configurata come tale
in funzione di ciò di cui essa è l'espressione ideologica, ideologia
di un determinato momento storico, di una certa situazione, di-
ciamo pure di un certo contenuto. Assumiamo questa definizio-
ne: " ... blocco storico, in cui appunto le forze materiali sono il
contenuto e le ideologie la forma, distinzione di forma e contenu-
to meramente didascalica, perché le foi·ze materiali non sarebbe-
ro concepibili storicamente senza forma e le ideologie sarebbero
ghiribizzi individuali senza le forze materiali " (p. 49). Certo non
è la sola definizione in Gramsci; potrebbe essere studiata compa-
rativamente o nell'evoluzione e nella sua genesi nei classici del
marxismo, ma non è questo il luogo. È metodicamente utile osser-
vare: la sua importanza sta nella sua articolazione de facto, all'in-
terno delle singole ricerche. E. decisiva, inoltre, la sua connessio-
ne con il concetto di dialettica: " La struttura e le superstrutture

" Sulla natura e sulle figure (strnthtra, si direbbe oggi) del discorso
filosofico, sulla sua inevitabile dialettica, rinviamo a E. WmL, Logique de
la philosophie, Paris 1950, in particolare al capitolo introduttivo "Philo-
sophie et violence ". Il meglio a nostra conoscenza. Una nuova formula-
zione delle riflessioni di Weil sulla storia della dialettica in Dialettica
oggettiva, in «Il pensiero», 15, 1970 (numero unico dedicato a Hegel).

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196 Marx e Engels

formano un blocco storico, cioè l'insieme complesso contradditto-


rio delle soprastrutturc è il riflesso dell'insieme dci rapporti sociali
di produzione. Se ne trae: - che solo un sistema di ideologie to-
talitario riflette razionalmente la contraddizione della struttura c
rappresenta l'esistenza delle condizioni oggettive per il rovescia-
mento della prassi " (pp. 39-40). " Si può dire ", commenta un
interprete, " che per blocco storico Gramsci intenda il risultato,
in una certa situazione storica, del rappmio dialettico di struttura
e superstruttura. In un celebre passo, dove egli dice che la strut-
tura e le superstrutture formano un blocco storico, e spiega quali
sono le condizioni storiche necessarie perché l'ideologia trasfor-
mi la realtà, ciò che esprime, in termini hegeliani, dicendo che il
razionale si fa reale, conclude: il ragionamento si basa sulla reci-
procità necessaria tra struttura e superstrutture (reciprocità che è
appunto il processo dialettico reale) " 56 •
Il concetto è, dunque, abbastanza esteso e comprensivo per
consentire quell'articolazione di cui si è detto, e Gramsci ne ha
dato più di un esempio, troppo poco seguiti, in verità, perfeziona-
ti o ampliati. Non daremo qui uno schema delle varie possibilità
per non essere immediatamente accusati di meccanicismo, socio-
logismo ecc. (purtroppo siamo ancora a questo punto!). Diremo
soltanto: " forze materiali " c " ideologie " come rapporto di con-
tenuto c fonna è soltanto una relazione base, sulla quale si svol-
ge almeno una doppia dialettica, quella interna alle forze materia-
li e quella interna ulle ideologie. In una certa situazione storica,
dato il blocco storico come risultato del rapporto fra strutture e
supcrstrutturc, si dovranno studiare le condizioni perché l'ideolo-
gia trasformi (o non trasformi o trasformi parzialmente) la realtà
c come la realtà agisca c reagisca a queste sollecitazioni. In altre
parole : il concetto di blocco storico può essere assunto come il
positivo, il negativo essendo le componenti che lo attuano, lo pon-
gono in crisi e lo rovesciano.

3) Le forze materiali, le ideologie e la loro dialettica sono i ter-


mini della presentazione di un problema che ha un valore mera-
mcntc didascalico. Accertata la connessione di dialettica e blocco
storico, non ha senso, se non metaforico, parlare di dialettica di ... :
la filosofia come storicità e ideologia e il concetto di blocco stori-
co non sono un punto di vista, ma un risultato storico, e il con-
cetto di dialettica, che ne è la mediazione, si identifica con Ja

56 N. Bonmo, Nota sulla dialeflica in Gramsci, in « Studi Gramsciani»,

cit., p. 78: cfr. Il materialismo storico ... , cit., pp. 39-40.

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Storia, " bl<:>cco storico " e ideoiogia .in Gramsci 197

realtà storica quando sia intesa come e nella pienezza di contrad-


dizioni. Questa tes.i andrebbe lungamente discussa. Ora, però,
non possiamo che rimandare al precedente discorso su Hcgcl,
Marx c Gramsci che la illustra e a quella problcmatica contem-
poranea che l'ha accolta e sostenuta pur senza identificarsi sen-
z'altro con le posizioni del marxismo; Diciamo con Bobbio, che
cita Gramsci, almeno questo: ·· .. .il rapporto tra filosofia e con-
sapevolezza delle contraddizioni è sempre presente nel pensiero
di Gramsci, nel quale il marxismo è, in quanto filosofia, superiore
alle filosofie precedenti, e quindi anche allo. hegelismo, solo nella
misura in cui ha acquistato più piena consapevolezza delle con-
traddizioni, e si pone, anzi, da se stesso come un elemento della
contraddittorietà della storia": "In un ·certo senso, pertanto, la
filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo,
è una filosofia liberata (o che cerca di liberarsi} da ogni elemento
ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle con-
traddizioni, in· cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o in-
teso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contrad-
dizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione,
eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi
di azione" sì.

Se ancora qualcosa possiamo aggiungere rileggiamo il noto,


troppo noto, testo hegeliano: " Per dire ancora una parola su que-
sto modo di prescrivere come il mondo deve essere, la filosofia in
ogni caso arriva sempre troppo tardi. Pensiero del mondo, essa
appare soltanto nell'epoca in cui la realtà effettuale ha compiuto
il processo ddla sua formazione cd è esaurita ... Quando la filoso-
fia dipinge il suo grigio sul grigio una forma della vita è invecchia-
ta c non si lascia ringiovanire con del grigio.; essa si lascia soltanto
riconoscere ". Certo, possiamo spezzarla, dobbiamo trasformarla
(XI tesi su Feuerbach) - ma questo, risultato della dialettica, non
è più il compito della filosofia.

·" N. BoBBIO, art. cit., p. 79: cfr. Il materialismo storico ... , cit., pp.
93-94. Sul negativo fondamentale il passo a p. 22.

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Epilogo

Agli inizi del secolo, quando la Società francese di filosofia di-


scusse c redasse la voce " dialettica ", per un dizionario filosofico
rimasto· giustamente celebre 1, preferì evitare qualsiasi definizione
e si limitò, dando prova di una pmdenza forse eccessiva, ad in-
dicare i vari significati storici del termine; ritenne inoltre di dover
aggiungere la seguente nota critica, quasi un ammonimento:
"Questo termine ha assunto accezioni tanto diverse da non po-
ter essere utilizzato se non indicandone con precisione di volta in
volta il senso. Anche con questa limitazione c'è pur sempre il pe-
ricolo di rendere possibili associazioni improprie che è bene con-
siderare con sospetto". Correvano gli anni intorno al 1905. In
una successiva edizione, quaranta anni dopo, è stata aggiunta la
seguente osservazione: " in un senso ancor più largo diaJettica in-
dica ogni connessione di pensieri ordinati logicamente, dipenden-
ti l'uno dall'altro ". Un tentativo di definizione estremamente ge-
nerico, un'aggiunta molto significativa. Mezzo secolo di evolu-
zione del pensiero scientifico e filosofico non ha permesso di giun-
gere ad un risultato tanto modesto come la definizione di un ter-
mine, di un concetto, da parte di chi professa discipline che in
quel termine trovano una delle ragioni e sollecitazioni più pro-
fonde e di quel concetto si servono nei modi più vari.
La persona intelligente, l'intellettuale di professione ha come
sempre una risposta, una spiegazione pronta: ma è chiaro, dirà,
ciò dipende dalla natura stessa del filosofare, che è essenzialmen-
te dialettico; filosofare è riproporre sempre gli stessi problemi ed
esercitarsi continuamente sulle risposte che si debbono alle iden-
1 Com'è noto il Vocabulaire technique et critique de la philosoplzie
(ora nella trad. it. Dizionario critico di Filosofia, con prefazione di M.
Dal Pra, Milano 1971) è opera collettiva pubblicata da A. Lalandc. Cito
secondo la 5" ed. ampliata, Paris 1947. La nota è a p. 218 e l'aggiunta a
p. 217, sotto F.

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Epilogo 199

tiche domande, e non mancherà di aggiungere che la storia della


filosofia è la dimostrazione più evidente di questo fatto. Anche se
non spiega assolutamente nulla, e dimentica che proprio del fi-
losofare è il porre questioni, domande, sempre diverse, il capire,
non semplicemente spiegare, la risposta è fino ad un certo punto
accettabile, almeno per colui che vive una certa situazione, ma ha
in sé il vizio di dare per risolte questioni che la storia della filo-
sofia e la problematica contemporanea hanno lasciato del tutto
aperte, e si manifesta da ultimo come l'intervento della coscienza
comune, che opera e vive tra i fatti e le contraddizioni che dai
fatti si generano, ma non sa nulla di esse.
Cerchiamo di spiegare questo intervento della coscienza comu-
ne, la tendenza, in essa manifesta, ad identificare dialettica e filo-
sofia. l?. una risposta viziata, si è detto, e potremmo soggiungere
difettosa, sotto due diversi aspetti. Innanzi tutto assume come fat-
to un dato piuttosto problematico, in sé e storicamente. La storia
della filosofia non dimostra affatto che la filosofia è la risposta ai
massimi e perciò eterni e identici problemi dell'uomo. Affermarlo
significa ritenere che la filosofia comincia con la filosofia, che la
filosofia si nutre di filosofia e a filosofare si impara filosofan-
do. Certo, così si è insegnato, e questo si è lasciato credere, ma
autori ne furono dotti e archivisti che redassero quelle storie del-
la filosofia, che Hegcl ai suoi tempi chiamò " raccolte di opinio-
ni". Anche oggi lo si sostiene, come dimostrano scuole, storie,
sistemi fìlosofiei. Ma dopo Hcgcl una simile prospettiva è un non
senso : proprio gli appunti e gli scritti del lungo periodo della for-
mazione hegcliana consegnano a noi la figura del filosofo nuovo,
del moderno uomo di cultura, che si occupa di politica, di eco-
nomia, di letteratura, c che si infastidisce (come testimonia un
contemporaneo) quando la conversazione cade su argomenti a-
strattamente filosofici. E tutta la storia della filosofia in generale,
la storia della dialettica nei suoi momenti fondamentali dimostra
che la filosofia è l'interrogazione che il filosofo rivolge al suo tem-
po, ai problemi che la sua epoca gli impone, e conferma d'altra
parte che alla filosofia - ricordiamo gli educandi platonici! - si
giunge solo tardi, solo ad un certo punto, quando il ciclo delle
esperienze personali e storiche rende possibile una risposta, una
comprensione concettuale (ripetiamo, non una spiegazione), una
interpretazione della realtà non immediata, non più direttamente
condizionata dagli eventi.
Vediamo il secondo aspetto della risposta della coscienza co-
mune, la pretesa essenza dialettica del filosofare, origine e risulta-
to della lunga e celebre tradizione platonica. l?. un tema noto, opi-

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200 Epilogo

nio recepta. In realtà, si tratta di un luogo comune che dice ben


poco; se mai esso ci impone di riflettere sull'ammonizione del La-
lande e ne giustifica una volta di più le preoccupazioni c la pru-
denza. Il luogo presuppone, è chiaro, un'identità possibile o reale
di dialettica e filosofia, quindi anche di storia della dialettica c di
storia della filosofia. Ma una tale identità va di volta in volta ri-
messa in discussione, non già semplicemente accettata sulla auto-
rità della tradizione platonica o di una presunta tradizione hege-
liana - per altro ampiamente confutata nelle pagine precedenti.
Caratteristico l'unico manuale di storia della dialettica in lingua
italiana: " A stretto rigore una storia della dialettica dovrebbe
comprendere l'intera storia della filosofia, in quanto processo di
momenti spirituali, che vengono ad essere via via superati. Ma sti-
mo opportuno circoscrivere la trattazione in limiti più modesti:
allo studio della forma logica in cui gradatamente s'adagia il con-
cetto di divenire " 2• Rimane così in parentesi il problema del sen-
so, cioè del significato che assume in questo caso il termine dia-
lettica.

Carica di una storia bimillenaria, ricca di una eccezionale for-


za di evocazione e di suggestione, la parola " dialettica ", al di là
e nonostante le sue determinazioni storiche può apparire equivo-
ca, ambigua, pericolosa per l'uso e l'abuso che se ne fa nella lin-
gua parlata, nella pratica giornalistica 3• Indipendentemente da co-
me viene registrata nei dizionari, non sappiamo neppure - e lo si
è visto - se si è fissata come sostantivo o come aggettivo. L'acce-
zione medioevale, che può ancora avere un senso (" l'insieme dei
metodi e dei procedimenti che pongono come problema l'oggetto
del sapere ", sostanzialmente di origine aristotelica), è andata per-
duta. D'altra parte il suo uso e il suo significato, riconosciuto in
un luogo di un sistema filosofico o come " sezione " di un siste-
ma, ha un valore del tutto particolare (per es. Dialettica trasçen-

' M. LosACCO, Storia della dialettica. l: Periodo greco (unico volume


pubblicato), Firenze 1922, p. IX.
3 Interessante e istruttivo un inventario delle locuzioni cui il tennine
ha dato vita e un esame dei lemmi di enciclopedie· e dizionari italiani o
stranieri. Bisogna distinguere l'uso corretto (per es. in B. Brecht: cfr.
Teatro, Torino 19562, vol. 11, p. 625) dall'abuso sul quale insiste N. Ab-
bagnano nel suo DiZionario di filosofia, Torino 1961, p. 223: questo deri-
verebbe - e non sono d'accordo: ho cercato di mostrarne il perché in que-
ste pagine - dall'accezione hegeliana di dialettica come sintesi degli opposti.
Respinge· di fatto que~ta tesi Devoto-Oli, Dizionario della lingua italiana,
Firenze 1971. alle voci "dialettica .. e "dialettico··, a mio avviso perfette.
Per altro vedi s.v., BATrAGLIA, Dizionario della lingua italiana.

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Epilogo 201

dentale nella partizione della Critica della ragion pura), per altro
non racchiuso e definito in se stesso, ma a sua volta motore di
una nuova realtà, storica e speculativa. Infatti, dopo Kant, Hegel,
e dopo Marx, dialettica è una parola che continua ad animare la
nostra coscienza storica, che fa parte addirittura del nostro abito
mentale. È comunemente e indifferentemente accettata nei più di-
sparati campi del dialogo contemporaneo per indicare e caratte-
rizzare ciò che è e deve ritenersi in movimento, in formazione,
ciò che non può e non deve essere staticamen.te configurato; ma
definisce anche, in una accezione più nobile, l'atteggiamento criti-
co del pensiero non intellettualistico, ·della riflessione concreta,
realistica - del pensiero, appunto, alle prese con le cose, con le
loro contraddizioni, che cerca di comporle per poterle compren-
dere. D'altra pane l'immediatezza, la corrispondenza quotidiana
col pubblico, che è propria del littérateur presenta a sua volta
una particolare struttura dialettica 4•
Non dimentichiamo in ogni caso che questa nostra coscienza
storica, o meglio questa nostra attività speculativa e interpretati-
va, è nata e ha assunto forme e figure determinate, ben individua-
bili nel dibattito dci nostri giorni proprio in rapporto a ciò che
viene detto l'evoluzione " dialettica " del filosofare, il " dialettiz-
zarsi ", il " farsi dialettica " della filosofia . .B vero: facciamo così
nostro un luogo comune, facciamo nostra l'interpretazione della
coscienza comune e ci serviamo di un'espressione mctaforica per
risolvere un passaggio che dovremmo invece spiegare. Ma è pro-
prio la metafora in sé che ci interessa - dialcttizzarsi, farsi dialet-
tica - come registrazione di una formula del linguaggio filosofico
c non soltanto filosofico. La formula ha un'ascendenza perfetta-
mente chiara, ed ora lo sappiamo. Da una parte la tradizione
marxiana e socialista, con i suoi testi teorici, dove viene fissata la
polemica anti-Hegel (accettazione della dialettica come "meto-
do "), nella sua evoluzione speculativa e pratico-politica. Qui il
concetto assume significati c sfumature diversi, passati poi nella
dottrina e nelle varie forme del linguaggio: dialettica e dialettico
sono sinonimi di scienza e scientifico, di reale, realismo, realistico,
termini con i quali si intende caratterizzare il divenire storico e il
suo procedere per conflitti (lotta o dialettica di classe), indicando
ad un tempo (nella stessa espressione " lotta di classé ") la forma-
zione dei contrasti, il costituirsi dell'opposizione nei suoi vari mo-

• Non posso che rinviare all'immagine di Sainte-Beuve, " lettore eter-


no", alla sua "lettura totale", continuamente presente e operante in C.
Do, Della lettura (1942), Firenze 1953.

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202 Epilogo

menti (struttura c ideologie, economia e cultura ccc.), la loro ten-


sione c soluzione.
Dall'altra parte troviamo la tradizione che risale a Kierkegaard.
Egli ci ha consegnato un'immagine della dialettica che ha avuto
fortuna più di mezzo secolo dopo nelle cosiddette filosofie dell'e-
sistenza. Anche Kierkcgaard polemizzò contro Hegel, c ritenne di
dover attribuire la dialettica dell'essere (logica) e la dialettica del-
la storia (che seconçlo certi interpreti, già attivi fra i contempora-
nei di Kierkcgaard e Hcgcl, si identificherebbero) alla sfera indi-
viduale. Le categorie dialettiche (hegcliane) dell'essere e del nul-
la, le grandi categorie della storia e quelle della filosofia (coscien-
za c coscienza di sé) sono rimaste, ma hanno subito nella nuova
sfera una profonda trasformazione. Sono divenuti centrali il rap-
porto uomo-Dio e la dialettica, nell'uomo, di vita e fede. " Kier-
kegaard non è stato dunque un dialettico, anzi, ma poiché egli
conosceva la dialettica e la rifiutò per insistere sul mistero e sullo
scandalo della fede c della salvezza dell'individuo, si creò questa
situazione: la dialettica oggettiva hcgcliana divenne un estremo
di quell'opposizione, nella quale l'individuo e la sua irriducibile
soggettività costituiva l'altro estremo " 5• Heidegger e Jaspcrs, i
più celebri " esistenzialisti ", ripropongono lo stesso dilemma in
una forma che è ancora sostanzialmente teologica, comunque me-
tafisica. Nello " Schcitern" (lo scacco, il naufragio) la dialettica
" ritorna alla sua vera essenza, che è quella di celebrare con pie-
tà gli dei": così l'heidcggeriano W. Brocker nella sua breve sto-
ria della dialettica 6• La dialettica come " Umweg zur Wahrhcit
tibcr den Irrtum " (il lungo giro o deviazione verso la verità at-
traverso l'errore), cioè come soluzione di aporie e progetto conti-
nuo (Platone); essa si nientifica.quando viene oggettivata (Hegel),
ma anche di questa morte vive, come abbiamo ricordato. Gli an-
ni venti rappresentano l'apoteosi di queste immagini e tradizioni
- c ne abbiamo detto il perché, abbiamo tentato di capirlo (cfr.
sopra cap. 8.3). ·

La formula, nelle sue complesse ascendenze c direzioni (il dia-


lettizzarsi della filosofia, la filosofia come dialettica), vuole indica-
re oggi - oggi, si badi - il riconoscimento del mondo storico da
parte della filosofia, la discesa verso la caverna, celebrata da
Platone e che la storia ha sempre riproposto: il filosofo ne pre-

5 E. WEIL, Pe11siero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Fi-


renze 1965, p. 44.
6 Dialektik, Positivismus, Mythologie, Frankfurt 1948, pp. 21, 41.

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Epilogo 203

se coscienza, giUstificandola e comprendendola nel sistema, solo


fra Kant e Marx. Vorremmo sottolineare: riconoscimento del
mondo storico non significa annullamento della storia, vittoria
dell'astratto concetto, ma piuttosto che alla realtà storica debbo-
no ricondursi le domande e le risposte della filosofia, e non ha
senso al di là della storia l'operare del filosofo. È il risultato della
nostra storia. Lo abbiamo visto: il filosofo si ripresenta - non può
non ripresentarsi - secondo l'immagine del presocratico, uomo po-
litico c scienziato, re e filosofo. Proprio l'immagine platonica del
re-filosofo, dell'uomo di cultura che riconosce se stesso e la sua
azione nel mondo e per il mondo, uomo tra gli altri nella violenza
della città, racchiude, se interpretata adeguatamente, tutto il si-
gnificato di dialettica. Se la parola non viene deliberatamente li-
mitata all'accezione formale, logica, consacrata dalla tradizione
aristotelico-medioevale, oggi dialettica nient'altro indica che la
realtà in quanto ha un senso per l'uomo. Coscienza del reale,
quindi, nelle antitesi della coscienza comune c nell'unità della co-
scienza del filosofo, astratta e sempre rimessa in discussione.
Non si dia a questa definizione un valore metafisica. Realtà è
la totalità del mondo nel quale viviamo: natura, società umana,
cultura. L'uomo fa parte di questo intero, è questa totalità stessa,
distingue una cosa dall'altra, indica ciò che è ed esclude pertanto
ciò che non è, egli parla, semplicemente; nomina le cose, e intro-
duce così il tempo, la contraddizione e la storia. Ciò che è in un
determinato momento, è qualcosa che è stato altro, e non è ancora
ciò che sarà successivamente. L'azione c la parola dell'uomo, al-
l'interno della totalità nella quale l'uomo è immerso, manifestano
l'infinita vicenda delle contraddizioni che formano e animano il
tessuto della realtà. L'affermazione e la negazione, il tempo e
quindi la storia, che il linguaggio rende possibili, costituiscono
già un primo .senso della realtà, il suo stesso essere dialettica. Co-
me l'uomo perviene alla coscienza della situazione, quando e se
possa pervenirvi, è il grosso problema dcll'individuazione delle ·
forme della coscienza comune e della sua distinzione dal sapere
del filosofo. È il problema, insomma, della storia della dialettica.
È il suo risultato. In altre parole: " L'uomo non ha immediata-
mente accesso alla totalità nella sua unità, egli la scopre soltanto
nel movimento del suo discorso che è azione, della sua azione che
è pensiero, a passo a passo, punto per punto, e nessun passo è
l'ultimo, nessun punto è il privilegiato. La verità è nel discorso,
verità come essere, essere che si manifesta: ma la negazione cop-
diziona il discorso nel suo inizio e nel suo movimento, e soltanto
la totalità del discorso, la totalità delle contraddizioni è non con-

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204 Epilogo

traddizionc ... La dialettica non è dunque altro che il movimen-


to incessante tra il discorso che è azione e la rivelazione ddla
realtà in questo discorso e in questa azione. La dialettica è que-
sto movimento, non una costruzione dello spirito. Proprio per ciò
la dialettica finisce per sapere che essa è totalità non contradditto-
ria delle contraddizioni " 7•
Quella forma astratta del ragionamento, che il passato ha tra-
mandato col nome di dialettica, si è a poco a poco trasformata in
analisi della storia e poi nella storia stessa. Arte dell'interroga-
re e del rispondere nelle sue più remote origini (Sofisti, Socrate,
Platone), argomentazione che procede sul fondamento di ciò che
è solo probabile (Aristotele), logica formale in genere nel sistema
delle " arti" medioevali, logica dell'apparenza con Kant (cioè,
motore della conoscenza prima, conoscenza logica poi o nel suo
intero o nel suo fondamento), dialettica è oggi sinonimo di real-
tà storica, ma in quanto l'uomo prende coscienza della realtà c
agisce in vista di una sua continua trasformazione. Ma se dialetti-
ca è la realtà umana, la storia, si può obiettare: se tutto è dialet-
tica, allora nulla è dialettica! I momenti della storia che abbiamo
tracciato hanno risposto a questa domanda. Come tutte le doman-
de, però, è ancora giustificata. Ma ricordiamo il nostro risultato:
tutto è dialettica e nulla è dialettica, c questo dipende dalla co-
scienza o meno che l'uomo come uomo comune o come filosofo
ha della sua politicità, cioè del suo volere c potere partecipare o
meno alla storia degli uomini. " Dialettica c politica sono stretta-
mente connesse fin dalle origini o quasi. Se non è possibile parla-
re di un interesse di Parmenide per i problemi della Città, un in-
teresse simile è invece ben individuabile in Eraclito ... influenza i
Sofisti e diviene centrale in Socrate e Platone. La dialettica è chia-
mata a fondare l'unione dei cittadini sulla comunità dei concetti
e in particolare dei concetti morali e giuridici " 8•
In principio, dunque, era la dialettica. E dialettico è il senso
della sua stessa fine - come crediamo di aver dimostrato.

Ma siamo veramente pervenuti a un risultato o non siamo tor-


nati piuttosto al punto di partenza? :B vera l'una e l'altra cosa - e
non è una contraddizione, come ora dobbiamo sapere. Le ragio-
ni della inadeguatezza della definizione di " dialettica " nel Lalan-
dc o in altro manuale, della varietà e del contrapporsi delle rispo-

7 E. WEIL, Hegel, trad. it. con alcune pagine inedite, nella coli. « Dif-

ferenze », Urbino 1962, pp. 23, 25.


• E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, cit., p. 18.

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Epilogo 205

ste e delle configurazioni, lo stesso punto di arrivo, non sono da


vedersi e da ricercarsi all'interno della filosofia o di un filosofare.
La filosofia non ha di queste responsabilità. La filosofia trova di
fronte a sé un mondo estremamente complesso, già elaborato:
una lunga storia la precede ed è storia di lotte e conquiste umane.
Il filosofo si trova ad operare quando è già sopravvenuta la vec-
chiezza dell'uomo e del tempo, Alla storia degli uomini, al dive-
nire delle loro società c costituzioni, all'interno dei complessi rap-
porti che intercorrono fra quelle vicende e il mondo della cultu-
ra vanno ricondotte le interrogazioni e le risposte del filosofo per
essere capite, cioè vanno ricollocate in quel solco che ha dato lo-
ro vita e nutrimento, ancorate alla Città, che le ha sollecitate. Da
Socrate a Brecht gli alberi non hanno mai destato la curiosità del
filosofo. A Fedro, che l'aveva condotto fuori le mura, lungo l'Ilis-
so, Socrate dice: " Non la campagna c gli alberi, ma gli uomini
nella città possono inscgnarmi qualcosa" (Fedro, 230-231). Di
Brecht ricordiamo almeno la strofa: " In me combattono l l'en-
tusiasmo per il melo in fiore l e l'orrore per i discorsi dell'imbian-
chino [Hitler]. l Ma solo il secondo l mi spinge al tavolo di la-
voro".
Allora, proprio per il motivo ora esposto, la situazione nella
quale ci troviamo a lavorare e dalla quale non possiamo fare
astrazione, agisce in noi, e inevitabilmente sul lettore, in modo
tale da porre di continuo come presupposta una determinata con-
siderazione della dialettica, un certo movimento della sua storia e
del suo concetto. Le grandi risposte della storia condizionano per
sempre ogni nostro discorso. È sempre utile studiarle, ripcrcorrer-
nc le tappe. Se ci siamo subito chiesti: che cos'è la dialettica, e se
abbiamo ritrovato alla fine quei problemi del nostro tempo con i
quali abbiamo investito la ricerca stessa sulla dialettica nelle sue
origini, questo avviene perché non abbiamo voluto sottrarci alla
storia, perché crediamo nella storia- quindi nella dialettica. Non
abbiamo, dunque, percorso una falsa pista, non ci siamo smarriti
in un circolo vizioso, non siamo giunti ad un risultato arbitrario.
La via della ricerca, storica o filosofica, se vuol farci comprende-
re, come è suo compito, le vicende degli uomini, è sempre indiret-
ta. La filosofia, se di filosofia si tratta, non conosce vie reali, non
è un cammino, diceva Hegel, che si possa percorrere in maniche
di camicia. Segucndone l'evoluzione abbiamo colto la parte mi-
gliore, reale, della dialettica - la nostra impos~ibilità di fare a
meno della mediazione, di andare al di là e della storia e del no-
stro tempo.

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Guida bibliografica

La seguente bibliografia è essenziale in due sensi: in primo luogo per-


ché riporta, anche se non esclusivamente, i libri citati nel testo; in secon-
do luogo perché intende rigorosamente attenersi alla voce e al concetto di
" dialettica " secondo la presentazione che ne è stata data qui sostanzial-
mente: momento o dimensione o anche " sezione " del filosofare (parte
della filosofia, dovremmo dire) nella sua autonomia rispetto e alla filosofia
e alla logica. A parte le convinzioni di chi scrive e l'efficacia delle sue ar-
gomentazioni, se si prescinde da questa limitazione una guida bibliografica
diventa praticamente impossibile.
Insomma, per dirla franca, sono raccolti qui i testi essenziali in positi-
vo e in negativo, cioè quelli che non possono non essere conosciuti e quel-
li che debbono essere confutati. Gli altri sono indifferenti c qui superflui;
deciderà il lettore come collocarli nelle sue riflessioni.
L'indicazione bibliografica completa è data solo nella Bibliografia ge-
nerale, posta alla fine della parte ragionata della presente Guida biblio-
grafica. Le note contengono altre indicazioni bibliografiche non necessaria-
mente riportate nell'elenco. Quando un testo contiene a sua volta indica-
zioni bibliografiche, ne è data notizia.
Non citiamo i vari dizionari di filosofia di uno o più autori, italiani o
stranieri, perché, per non usare metafore. non ne vale la pena (lo stesso
discorso vale per le enciclopedie filosofiche): fanno eccezione, da una par-
te, il Dizionario critico di filoso(ìa a cura di LALANDE e il Dictionnairc dc
la langue philosophique, di P. FovLQUIÉ, 1962 e, dall'altra (cioè da un altro
fronte, afilosofico, e c'era da aspettarselo!), il DEVOTO-OLI, Dizionario del-
la lingua italiana, 1971.

Premessa
La citazione e le altre espressioni tra virgolette (anche la frase sia di
Nietzsche sia di Heidegger) sono tratte da A. MASSOLO, La storia della fi-
losofia e il suo sixnificato, prolusione letta il l o marzo 1961 a Pisa; il tema
è sostanzialmente quello da noi seguito: la connessione di dialettica e po-
litica o, meglio, la connessione di filosofia e politica a mezzo della dialetti-
ca, cioè a mezzo di quel momento interno al filosofare che è andato de-
terminandosi storicamente come dialettica. Massolo ha sviluppato questo
tema in tutte le sue opere di storia della filosofia, che citeremo in seguito;
qui .ricordiamo solo: La storia della filosofia come problema (1955), Per

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Guida bibliografica 207

una lettura della "Filosofia della storia" di Hegel (1959), Del rapporto
f/egel-Marx (1962) e soprattutto in Marx e il fondamento della filosofia
(1949), dove si dimostra come la dialettica della ragione, risultato, in
Kant, dell'alienazione dell'uomo posta come fatto assoluto, si rovescia,
cioè diviene situazione storica (dialettica), in Marx, attraverso la storia
dell'idealismo tedesco, Questa linea interpretativa è molto vicina a quella
sostenuta, del tutto indipendentemente, da Eric Weil: " ., tra i filosofi so-
lo quelli che hanno subito la sollecitazione della dialettica (di una delle
diverse forme del pensiero dialettico) investono con un interesse positivo
la politica e la realtà sociale", in Pensiero dialettico e politica (1955), che
contiene anche le idee e la traccia per una storia della dialettica - un te-
sto che è stato da noi ampiamente riportato. Come contrappunto ricordia-
mo una diversa posizione, che pure più avanti discuteremo (cap. 8): l'in-
terpretazione dichiaratamente " marxista" di Della Volpe e della sua scuo-
la, di Luporini e Badaloni, che però dissentono e non su punti marginali
dal Della Volpe, secondo il quale non c'è rapporto ma soluzione totale di
continuità tra Marx e Hegel, e quindi una storia, " vera ", della dialettica
è possibile solo a partire da Marx - posizione opposta a quella che noi
sosteniamo (tuttavia gli autori citati non si sono occupati della storia c
delle figure della dialettica prima di H egei). Si veda: G. DELLA VOLPE,
Sulla dialettica (1962) e Chiave della dialettica storica (1964); su Della
Volpe cfr. C. LuPORIN!, Il circolo concreto-astratto-concreto (1962) e L.
CoLLETTI, Il marxismo e Hegel (1969, ma risalente in parte al 1958); in
generale si tenga presente N. BADALONI, M arxismo come storicismo ( 1962)
e Il marxismo italiano degli anni sessanta (1971) e ancora Il problema
della dialettica (1971). Su Badaloni cfr. il nostro Marxismo come storici-
smo, in « Belfagor », 17, 1962, n. 4. ora in Per una storiografia filosofica,
Urbino 1970 (Pubblicazioni dell'Università, " Serie Lettere e Filosofia",
xxvn/1-2). In questo quadro ricordiamo, infine, S. TIMPANARO. Engels,
materialismo, "libero arbitrio·· (1969), che sostiene con molta intelligenza
e dottrina una tesi opposta alla nostra, cioè !'intrinseca idealisticità della
dialettica: alla confutazione di questa tesi sono dedicate le pagine di que-
sta storia, una tesi che mi pare dipenda, almeno in parte e, per altro, per
giustificati motivi (penso al livello del dibattito filosofico e politico in Ita-
lia, da sempre) da un pregiudizio (Timpanaro scuserà) e " filosofico " e
" politico ". ·

l. Dialettica, Ili parola e la cosa: etimologia e preistoria


1.1. Mette conto riportare per ésteso lo scambio di battute, al quale ab-
biamo fatto allusione nel testo, fra Goethe e Hegel, che di dialettica senza
dubbio si intendevano. Si tratta di una delle Conversazioni con Goethe,
riferite da ECKERMANN, 18 ottobre 1827: " La conversazione cadde sulla
dialettica. 'T n fondo - disse Hcgel - la dialettica non è altro che lo spirito
di contraddizione, regolato e metodicamente coltivato, insito in ogni uo-
mo; uno spirito che celebra la sua grandezza nella distinzione del vero
dal falso'. 'Purché- intervenne Goethe - questa capacità e queste arti del-
lo spirito non siano così spesso male impiegate e utilizzate per rendere vero
il falso e falso il vero'. ' Certo - ribatté Hegcl - questo succede, ma soltan-
to ad uomini che hanno lo spirito malato' .. _ Abbiamo riportato il testo
per la sua profondità, a conferma inoltre del fatto che ci siamo studiati in
tutto il corso della nostra trattazione di non prendere in considerazione

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208 Guida bibliografica

le definizioni generiche, diciamo così " letterarie " di dialettica (su alcune
delle quali ritorneremo nell'"' Epilogo ··, come quella, qui citata, di. R.
SCHAERER, L'homme antique et la s/mcture du 1iumde imérieur, (1958).
Potrebbe anche risultare una ricerca interessante: ma un n raccolta lessico-
grafica di questo genere, considerato l'uso e l'abuso del terri1ine nel mondo
contemporaneo (dopo il marxismo, gli hegelismi e le esperienze del pen-
siero socialista), impresa vastissima, e disperata, è destinata presumibil-
mente ad un fallimento perché verrebbe inevitabilmente presupposto un
determinato concetto della dialettica. Il caso tipico, all'interno della storia
della filosofia, e per giustificare quella essenzialità di cui abbiamo parlato
introducendo questa bibliografia, è ovviamente quello di Hegel; dalle sue
Lezioni sulla storia della filosofia, dove storia della filosofia è uguale a storia
della dialettica, è nata una scolastica: per es., [C. L. MICHELET]-G.L. HA-
RING, Historisclz-kritiscl!e Darstel/ung der dialektischen Methode Hegcls
(1888) continuato da A. DORR, Zum Pmblem der hegelschen Dialektik und
ihrer Formen (1938). Inutile soggiungere che questi testi, per parlar meta-
foricamente, sono di limitata utilità. Vi sono voci su " dialettica" nell'En-
ciclopedia italiana, di M. LOSACCO, Xli. 19 31 (pessima), in N. ABBAGNANO,
Dizionario di Filosofia (196 I), AA. VV., Dizionario di Filosofia, Milano,
Comunità, 1957 e nell'Enciclopedia filosofica, Firenze, Sansoni, 1961; una
definizione a nostro avviso perfetta nel Dizionario della lingua italiana di
DEVOTO-OLI, 1971 e una buona raccolta di esempi dalla letteratura e dalla
filosofia nel Grande dizionario della lingua italiana, di S. BATI'AGLIA, To-
rino, Utet, 1961 sgg. Buona la voce di S.N. FINDLAY, in Encyclopaedia
Britannica, VII, 19 59. Infine, come strumento di consultazione per la parte
antica (non mi risulta che ci sia un testo equivalente per la parte moderna
e contemporanea), preciso nel riferimento ai testi e al problema, cfr E.
ZELLER, Die Phìlosoplzie der Griechen: un indice dei nomi e delle cose
è stato compilato solo per la l' ed., Tiibingen 1844-Uì52, e per la 3" ed.,
1869-188 l (qui il Register, 1882, è un volumetto separato). Indici, biblio-
grafia, excursus specifici nella monumentale traduzione italiana ampliata di
quest'opera, a cura di Rodolfo MONDOLFO (e altri autori) presso la Nuova
Italia di Firenz.e (per ora non completa).

L2. A nostra conoscenza (ma potremmo sbagliarci, considerata l'enorme


produzione di lavoro nel campo della filologia classica) questo è il primo
tentativo di raccogliere con qualche sistcmaticità e con un minimo di com-
pletezza esempi non filosofici di quel ~~a).ÉjEa&at, antefatto di (hciì.oyoç e
1i~aA.sx-nx6ç (aggettivo) che ricorrono soltanto a partire da Platone. È un
fenomeno curioso: l'esemplificazione addotta in questo e nei successivi pa-
ragrafi presenta una sua vivacità c non è senza interesse per la storia di
dialettica in Platone e dopo Platone. Abbiamo cercato di completare il
saggio di W. MORI, Das Wort Dialektik bei Plato (1944), ben più utile dei
classici manuali di TEICHMi.iLLER, Neue Studien zur Geschiclue der Be-
griffe, vol. r, (1876) e di EucKr..N, Geschichte der philosophischen Termi-
nologie (1879). W. Schadewaldt aveva iniziato a Ttibìngen nel semestre
estivo del' 1960 un corso (al quale chi scrive ebbe la ventura di assistere)
continuato nei semestri successivi sulla terminologia filosofica greca come
introduzione ad una storia della filosofia presocratica, rimasto per ora ine-
dito. Il meglio si legge ancora nell'introduzione e nel commento di G. CA-
LOGERO al Protagora di Platone (1948). Naturalmente come guida per in-
tendere la struttura del verbo abbiamo seguito i noti manuali (citati nelle
note) di MEILLET-VENDRYES, SCHWYZER-DEBRliNNER, FOURNIER, ai quali

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Guida bibliografica 209

si deve aggiungere K. von FRITZ, Die ARCHAI in der griechischen Ma-


thematik (1955).
1.3. Per Àoyoç; la bibliografia è viceversa sterminata. Per l'aspetto etimolo-
gico-linguistico rinviamo ai testi sopra citati (ai quali si può aggiungere
FRISK, Griechisches Etymologisches Wiirterbuch, Lief. 11. 1961); per l'a-
spetto filologico-concettuale (o linguistico-filosofico) si tenga presente che
accanto a ricerche filologiche e filosofiche si sono sviluppate (e sono le più
interessanti: ci limiteremo ad alcune di queste) le ricerche storiche, che
investono più specialità, o se ne lasciano investire, sull'origine della forma-
zione dei concetti nel mondo greco: J. STENZEL, Studien zur Entwick!ung
der plaronischen Dialektik von Sokrc1tes zu A ristoteles (1917); Zur Enrn•i-
cklung des Geistbegriffes in der griechischen Philosophie, in Kleine Schrif-
ten zur griechisd1en Philosophie (1956); Zur Entstehung des wissensclwftli-
chen Begriffe.\' in der griechisclren Phi!osophie (1934); Ueber den Einfluss
der griechischen Sprache auf die philosophische Begrif!sbildung (nelle cita-
te Kleine Schriften): E. HoFrMANN, Die Sprache und die archaische Logik
(1925); G. CALOGERO, l primordi della lof.:ica antica (1935), ma ora cfr.
Storia della logica antica, vol. I: L'età arcaica, 1967; B. SNELL Di e Aus-
driick.- fiir den Be{?rifJ des Wissens in der vorplatonischen Philosopllie, Ber-
lin 1924, poi Die Entdeckung des Geistes, Hamburg 19553 (cfr. nell'elenco
la trad. it.); A. PAGLIARO, Eraclito e il logos (19 53); 'buona esposizione del-
lo stato della questione in A. CAPIZZI, Protagora (1955); in generale: J.
STENZEL, Sinn Bedeutung Begriff Defùzition (1958Y; K. von FRTTZ, Philo-
sophie und sprachlicher Ausdruc:k hei Demokrit, P/alo und Aristoleles
(193!!) e, di grande valore metodologico anche se in margine alla nostra
ricerca, G. PASQUALI, La scoperte dei concetti etici nella Grecia antichissi-
ma (1935). Siamo qui sempre tuttavia nell'ambito della lìlologia. intesa
sia pure come scienza storica, e della storia della filosofia. Recenti " studi
di psicologia storica " (è il sottotitolo di uno di questi libri. aggirantisi
attorno alle " strutture " (lo " spazio ", la famiglia, il diritto, le tecniche del
lavoro, la " regalità " ecc.), sono o dovrebbero essere i motori di una nuo-
va storiografia: cfr J .P. VERNANT, Les origines de la pensée grecque, Pa-
ris, P.U.F., 1962; trad. ìt. Mito e pensiero presso i Greci, Torino, Einaudi,
1969, c gli studi del suo maestro, L GERNET, raccolti in Anthropologie de
la Grèce antique, Paris, Maspero, 1968 (tutti, però, relativi ad un periodo
!nteriore a quello da noi studiato).

1.4. Il passo di Senofonte è citato naturalmente da tutti gli storici: si veda


ancora il celebre H. MAIER, Sokrates (1913), tr. it. vol. I, pp. 60-62; ciò
che ha posto in rilievo MUti, e che a noi è parso di dover sviluppare, è la
possibile "interpretazione" senofontea. del òLctHyew- òwHysa&ctL come
prima determinazione di " dialettica ", l'aver scoperto o individuate, o in-
tuito il destino filosofico di quel verbo di uso corrente. Un punto sul quale
il grande P'asquali avrebbe avuto certamente qualcosa da dirci.

1.5. Sull'esemplicazione raccolta in questo paragrafo non abbiamo, come


si è fatto cenno, una bibliografia specifica da citare (non è il caso di ri-
cordare i lessici dei singoli autori classici). Sul verso omerico: E.R. Dooos,
I Greci e l'irrazionale, tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1959~ pp. 26-28 c
note; J. Bi:iHME, Die Seele und das lc/z im omerischen Epos, Leipzig-Berlin
1929, pp. 77 sgg.; U. von WILAMOWITZ-MOELLENDORF, Die lleimkelzr des
Odysseus, Berlin 1927, pp. 196 sgg., Chr. VOIGT, Ueberlcgung und Entschei-
dwzg, Berlin 1934, p. ~7; W. Kuu MANN, Das TVirkm der Giitter in der

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210 Guida bibliografica

llias, Berlin 1956, pp. 106 sgg.; in generale: M. GIGANTE, · Nonzos basi-
leus, Napoli, Ricciardi, 1956-, cap. 1 e A.W.H. ADKINS, Merit and Respon·
sability, Oxford 1960. Tutti questi autori, tuttavia, più che sul 1l~ccUysoii-M
pongono attenzione al ~~i)p.o;. Su 1l~ccHjsoil-a;~ • ,'J.u116~ cfr. B. GENTILI, Al-
ceo POxy. 2165, col. l, v. 21 (1947). Sulla tragedia, ma soprattutto sulla
sua tecnica (" struttura ") e sulla sua connessione con il concetto di dialo-
go-dialettica vedi almeno; Thyco von WILAMOWIT7-MOELLENDORF, Die
dramatische Tecfmik des Sophokles. Berlin 1917; R. SCHAERER, La question
piatonicienne, Paris-Neuchatel l938, cap. IX, "Dialogo e tragedia", che
present<t un sommario ma preciso esame delle tesi in contrasto nell'ultimo
ventennio, quella tradizionale dell'unità psicologica e drammatica della tra·
gedia (sostenuta per es. da Weinstock, Jaeger, Reinhardt, Pohlenz, Fried-
liinder ecc.) e quella che negava quell'unità, ritenendo che i personaggi ob-
bediscono a necessità di ordine tecnico, scenico (il giovane Wilamowitz,
sopra citato, seguito da E. Howald); DucHEMIN, Agon, Paris 1945; PE·
RETTI, Epirrema e tragedia, Firenze 1939; W. ]ENs, Die Stichomytlzie in
der friiheren grit~c:ltischen Tragodie, 1955, che studia la sticomitia come
tecnka, i suoi generi, in particolare la sua forma, nelle Supplici, di Frage-
wul-Antwort-Stichomytltie, sulla sua prima evoluzione in dialogo e libera-
zione dalla pricr•.ç. Ma per tutti cfr. M. UNTERSTEtNI:'.R, Le oril{ilzi della tra-
gedia e del tragico (1955), che si sofferma sul Gcetì.éyso&ac-dialettica. In
generale, sul tema del dialogo, rispettivamente nella tragedia e. nei lirici,
cfr. il classico R . .HlRzEL, Der Dialog, 1!!95 e W. ScHADEWALDT, Monolog
und Selbstgespriich, 1926 .

2. Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socratc


Qui e altrove, comunque in generale, i frammenti dei filosofi presocra-
tici sono citati con la sigla FV oppure DK seguita da un numero, una let-
tera e un numero: è un rinvio, universalmente accettato, all'opera del
Dmr.s-.KRA.Nz, Die Fragmen.te der Vorsokratiker, da pilt di mezzo secolo
aggiornata e ristampata: il primo numero indica il capitolo corrisponden-
te all'autore antico; la lettera (A, B, C) indica la testimonianza, il frammen-
to o l'imitazione; il secondo numero la posizione del frammento ecc. C'è
nn'edizione italiana, ampliata; con commento e traduzione., presso la Nuo-
va Italia, non ancora completa (sono qui comparsi l Sofisti di UNTERSTEI·
NER); solo traduzione. e sobrio commento filologico in due volumi a cura
di. vari autori presso Laterza: l presocraticì, a cura di G. GrANNANTONI,
1969 (che ha rinnito così, in una nuova veste e presentazione, i singoli vo-
lumi usciti e da tempo esaurili nella nota " Collezione Filosofi antichi c
medioevali ").

2.1. Che la cultura e l'educazione fossero un privilegio - nonostante le


ben note esaltazioni della democrazia ateniese che hanno la loro fonte nel
celebre Epitaffio di Pericle nella Storia della guerra del Peloponneso di
TuciDIDE (n, 40) - afferma anche PLATONE in Protag. 362C sgg, Ma de-
finire la questione nel senso da noi indicato è difficile e resta controversa:
per es. non se la pongono grandi storici come G. DE SANCTIS, G. GLOTZ
(le loro storie dei greci sono pubblicate rispettivamente presso La Nuova
Italia e Einaudi) e gli autori della Cambridge Ancient History (tr. it. pres-
so Il Saggiatore); per un'interpretazione tradizionale, diciamo tucididea, si
veda J. Bl!RCKHARDT, Storia della cultura greca. lr. iL Firenze, Sansoni,

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Guida bibliografica 211

1955, vol. I, p. 104; W.W. JAEGER, Paideia, vol. I (1934), p. 157; V. EHREN-
BERG, L'Atene di Aristofane, tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1957, pp.
404 sgg.; H.D.F. KITTO, l Greci, tr. it. Firenze, Sansoni, 1958, pp. 293
sgg.; G. CHILDE, Il progresso nel mondo antico, tr. it. Torino, Einaudi,
1949, ora ristampato PBE, p. 242, che cita le osservazioni sulla libertà di
pensiero di B. F ARRINGTON, che si trova sull'altro versante, sociologico-
marxista: cfr. Scienza e politica nel mondo antico, tr. i t. Milano, Feltrinel-
li, 1960. Sulle contraddizioni della democrazia ateniese c sulle loro conse-
guenze pongono l'accento: G. TIIOMSON, Eschilo e Atene, tr. it. Torino,
Einaudi, 1949, pp. 283 sgg. e The First Philosophers, London, 1955, pp.
228 sgg. (una tr. it. di quest'opera è apparsa nel 1973 presso Vallecchi di
Firenze) e M. UNTERSTEINER, Le origini sociali della sofistica (1950). Le
citazioni sulla funzione e le forme della retorica nel mondo greco classico
potrebbero moltiplicarsi all'infinito. Sulla presenza dci Sofisti nell'attuale
contesto le indicazioni storico·bibliografiche fondamentali sono date alla
nota 2. Si aggiunga che grazie a DupréeL uno studioso di formazione so-
ciologica, e a Untcrstcincr, un filologo classico all'antica ma di salde con-
vinzioni marxiste, l'interesse per i Sofisti si è completamente rinnovato, e
con esso anche l'interesse per Socrate (citeremo qui sotto le loro opere).
Ricordiamo solo due risultati notevoti: P. F.r.THFN, Les Soplristes et P/a ton
(1960), una ricerca gramsciana sui Sotìsti, come intellettuali, che merite-
rebbe di essere approfondita: ·' ... nei dialoghi platonici la polemica contro
i Sofisti è nettamente diversa dalla critica degli altri filosofi come Parmc-
nide o Eraclito. È una polemica, infatti. contro i mediatori, contro gli spi-
riti cioè che vengono a trovarsi a mezzo cammino tra la coscienza ingenua
e la coscienza filosofica, e sono sprovvisti di dottrina pur dichiarandosi
sapicnti " (p. 6): sarà la polemica di Rousseau con gli Enciclopedisti, di
Marx con gli ideologi, di Nietzsche con i professori, di Heidegger con gli
umanis1i; V. DE MAGALHÀEs-VILHE~;A. /.e problème de Socmte e SoCI·ate
et la /égende platmzicienne (1952), dove il problema di Socrate appare ro-
vesciato: non ci si pone più la questione del Socrate "storicQ ", "vero",
ma della storicità dei testimoni e delle loro grandi testimonianze (Senofon-
te, Platone, Aristofane, Aristotele). Alle spalle di queste nuove ricerche sta
l'opera sempre utile di H. GOMI'ERZ, Svphistik tmd Rhetorik (1912), l'ulti-
mo degli studiosi, forse, che presenta il fenomeno .. sofistica" come un in-
tero prescindendo dalle singole figure dei sofìsti nei loro rapporti con So-
cratc c Platone. In generale; cfr. M. RuccELLATO, Rassegna di studi sofì-
stici, in «Rassegna di filosofia», 1953. Siamo così nel vivo anche del pro-
blema Socrate, per cui vedi le indicazioni fondamentali alla nota 3.
2.2.J Questo momento della nostra ricerca sulla storia della dialettica ha
un senso se si tiene ferma una certa unità (fin dove possibile) o meglio se
si mantiene sempre operante il rapporto fra i solisti, Socrate e Platone. Per
questo riteniamo fondamentali le opere di E. DUPRÉEL, La lét?ende soC/·ati-
que et /es sources de Platon (1922) e Les Sophistes (1948-1949) e di M. UN-
TERSTEINER, l Sofìsti (1949, nuova ed. ampliata 1967) e la sua edizione dei
frammenti e delle testimonianze (presso La Nuova Italia). Per altra via e
del tutto indipendentemente Untersteiner è giunto a risultati analoghi a
quelli del Dupréel, filo conduttore del presente capitolo. Le ricerche del
Dupréel, condotte secondo un criterio " intuitiw>-filosofico ", come ha scrit-
to UNTERSTEINER (ree. in « Rivista critica di storia della filosofia», 1950),
non sono state in generale accettate favorevolmente: cfr. MANSION, in
« Rev)Je néoscolastique de philosophie », 1924; Dr:s PLACES, in « L'anli-
quité classique », 1950: A. DIÈs, Autour de Platon. 1, Paris 1927. Per

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212 Guida bibliografica

quanto riguarda Socrate fondamentali le opere sopra citate di V. DE MA-


GALHÀEs-VILHENA, pure accolte con riserve: cfr. P. Rossi, in «Rivista cri-
tica di storia della filosofia», 1953 (Rossi è autore di Per una storia della
storiografia socratica, in Problemi di storiografìa filosofica, a cura di A.
BANFI, Milano, Bocca, 1951, molto utile in particolare per il periodo po-
steriore a Hegel); G. BIANCHI, in «Società», 1953; J. TROUILLARD, « Revue
philosophique de Louvain », 1954 e Ph. MERLAN, in « Philosophische
Rundschau », 1956. Ma vediamo nella storiografia moderna lo stato di
quel problema Socrate che noi ci siamo studiati di mostrare come già pre-
sente e operante nell'antichità: per Schleiermacher e Croiset il problema
non si pone perché questi autori si fondano sulle sole testimonianze di Pla-
tone e Senofonte; segue la ricostruzione dello Zeller, ripresa da Zuccante,
che è detta" eclettica" perché si serve anche.delle testimonianze di Aristo-
tele, oggi riproposta dal Calogero - per noi la pil1 interessante perché diret-
tamente sollecitata dalla problematica del i;caHyscrlku: cfr. ree. al Socrate
di A.E. TAYLOR (tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1952), in «Giornale cri-
tico della filosofia italiana», 1934; Socrate, in «Enciclopedia Italiana»,
vol. XXXI, 1936 e Socrate, in «Nuova antologia>>, novembre 1955. Solo
col Jocl e con Th. Gomperz la testimonianza aristotelica assume valore
privilegiato come quella che ci consente di distinguere ciò che è storico
in Platone e in Senofonte, come conferma, quindi, sia di Platone e Se-
nofonte sia di Platone o Senofonte. Questa soluzione non si impose affat-
to. La tesi di Taylor e Burnet (Aristotele non avrebbe potuto o voluto di-
sporre di fonti di informazione originali rispetto a Platone e pertanto la sua
testimonianza è inessenziale: il Socrate storico è il Socrate di Platone) fu
poi seguita da notevoli studiosi, dal Wilamowitz al Cornford. RoniN, che
l'aveva suggerita quasi agli inizi del secolo, la considerò ben presto un'im-
passe (recensione al Taylor, in « Revue des études grecques », 1916 e Les
fins de la culture grecque, in « Critique », n. 15-16, 1947): il Socrate pla-
tonico non rappresenta verosimilmente per Aristotele il Socrate storico,
ma solamente lo stesso Platone. E con questo siamo alle posizioni di Gi-
gon, Dupréel (e in parte di Untersteiner, per quanto riguarda i Sofisti) ci-
tate alla nota 3 (testi, bibliografia e date in Le problème de Socrate, pp.
231-234). Per quanto riguarda Aristotele e il suo intervento sulla retorica
dei Sofisti rinvio il lettore al testo e alla bibliografia relativa ai paragrafi
4.2-3.

2.3-4. Abbiamo già dichiarato le fonti della nostra interpretazione, in po-


sitivo e in negativo. (Altri problemi possono sorgere se la problematica
viene posta all'interno della filosofia platonica intesa nella evoluzione, nel-
la storia della sua formazione. Ma per questo rinviamo al capitolo su
Platone). Qui ricordiamo: M. BuccELLATO, La retorica sofìstica negli scritti
di Platone (1953) e Linguaggio e società alle origini del pensiero greco
(1960); A. CAPIZZI, Pra/agora (1955) e G. GIANNANTONI, Il frammento l di
Protagora in ww nuova testimonianza platonica, in « Rivista critica di
storia della filosofia>>, 1960; J. LucciONI, Xénophon et le socratisme, Paris,
P.U.F., 1953; M. DE CoRTE, Parménide et la Sophistique, in Autour d'Ari-
stole, Louvain-Paris, Ed. Universit~.iies, 1955; A. PLEBE, Breve storia detla
retorica antica, Mitano, Nuova Accademia, 1961; C.A. VIANO, La dialettica
stoica (19 58), i primi due paragrafi sui rapporti eleatismo, sofistica, socra-
tismo. Sul conflitto che scuote Atene fra l'ideale scientifico-materialistico,
jonico, democratico e l'ideale filosofico-religioso, dorico, aristocratico, ol-
tre agli autori citati alla nota 12, si tenga presente la cosiddetta interpreta-
zione spiritualistica (accanto, appunto, a quella di ispirazione sociologica):

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Guida bibliografica 213

J. STENZEL, Metaphysik des Altertums, Miinchen, Oldenburg, 1931 e Plato


der Erzieher, Hamburg, Meiner, 1961' (tr. it. ùella l" ed., Bari, Laterza.
1936 - ma non si è tradotta l'Introduzione, molto importante, sulla prei-
storia della filosofia platonica, e quindi il cap. "Atene e l'Attica", che ha
un corrispondente nell'opera citata sopra del 1931) e W. NEsTLE, Grie-
chische Geistesge.~chichte, Stuttgart, Frommann, 1944', il cap. vn: "La fi-
losofia jonica nell'Attica". Per altro, cfr. J.N. FINDLAY, "Dialectic ", in
Encyclopaedia Britannica.
2.5. Alle indicazioni date sopra (2.2) aggiungiamo: A. LABRIOLA, Socrate,
Bari, Laterza, 1909 (nuova ed. nelle Opere complete a 'cura di L. DAL
PANE, Milano, Feltrinelli, 1961), un Socrate riformatore sociale, un'im-
magine sanamente positivistica; WINSPEAR-SILVERBERG, Wlw was Soe~·ates!.
New York 1960' (tr. it. col titolo Realtà di Socrate, Urbino, Argalia, 1965),
una demitizzazione del filosofo, fondata praticamente su Aristofane e Po-
licrate, un criptodemocratico al servizio degli interessi dell'aristocrazia; R.
MoNDOLFO, Moralisti greci, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, la leggenda di
Socrate negli studi più recenti; I. BRUNs, Das literarische Portriit der Grie-
chen, (1896), rist. Hildesheim, Olms, 1961, sulle vicende delle prime in-
terpretazioni antiche di Socrate e sulla tecnica biografica dei greci; G.
MisCH, Geschichte der A utobiographie, Frankfurt/Main, t 949', vol. I, t. I;
infine per l'intreccio di problemi di dossografia. storia e ideologia, il nostro
Problemi di dossograjia aristotelica. Socrate in Aristotele, in Storicità della
dialettic-a antica, Padova, Marsilio, 1965.

3. Dialogo, dialettica e filosofia in Platone


3.1. Gli scritti di Platone furono anticamente ordinati dal grammatico
alessandrino Aristofane di Bisanzio (m sec. a.C.) in trilogie. DIOGENE
LAERZIO, Vite dei filosofi (tr. it. Bari, Laterza, 1962, m, pp.61 sgg.) ci ha
tramandato questo ordinamento come anche quello di Trasillo (forse un
matematico vissuto sotto Augusto e Tiberio), in tetralogie, rimasto tradi-
zionale (accolto ancora nell'edizione critica del testo greco - la migliore -
di Oxford, a cura di BuRNET, coll. " OCT Oxford Classica! Texts ''): 36
dialoghi, le Definizioni (un'opera della scuola), alcuni dialoghi spuri, 13
lettere sulla cui autenticità si sono elevati seri dubbi, 33 epigrammi, alcuni
dei quali, di ispirazione erotica, bellissimi (in Antologia Palatina, testo, tra-
duzione, introduzione e commento presso Les Belles Lettres, Paris). ARI-
STOTELE (De Generatione et cormptione, n, 2) cita anche le Divisioni,
non un'opera, ma probabilmente una nomenclatura ad uso didattico, e
(Fisic-a, IV, 2) le "cosiddette dottrine non scritte", senza dubbio lezioni
orali, alle quali Aristotele deve aver assistito prendendo appunti, che con-
servava. Una di tali lezioni può essere la celebre Sul bene O'idea centrale
della Repubblica e della l~ettera VII), che ci è stata tramandata come scrit-
to aristotelico (forse Aristotele ha diretto seminari su questo tema) nel cor-
po dei frammenti aristotelici (su queste dottrine è fondamentale: L. Ro-
BIN, La théorie platonicienne des idées et des nombres cfaprès Aristate,
1908, rist. Hildesheim, Olms, 1963). I dialoghi di Platone (dobbiamo la-
sciar càdere questioni di autenticità e storia del testo, che si possono leg-
gere nell'esemplare schema di G. CALOGERO, Platone, in Enciclopedia Ita-
liana, xxvn, 1935) sono citati universalmente con un numero e una let-
tera: è l'impaginazione dell'edizione curata a Parigi nel 1578 da Henri
EsTIENNE, in tre tomi, rispettivamente di pp. 542, 992, 416 (le lettere da

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214 Guida bibliografica

A a E indicano la divisione della pagina in colonne). Una buona edizione


moderna (oltre alla citata di Oxford) è quella a cura di vari autori presso
I.es Belies Lettres, Paris (coli. "Universités de France, Fondation G. Bu-
dé "): i dialoghi sono ordinati cronologicamente, con ampia introduzione,
traduzione francese, commento (filologico e filosofico); un lessico in due
volumi completa l'edizione (altro noto lessico è quello di Fr. AsT, Lexi-
con platonicum, 3 voli., Leipzig 1835-38, rist. Darmstadt 1956). La tradu-
zione italiana pill nota è quella a cura di vari autori apparsa presso La-
terza, ora (1966) in due volumi, a cura di G. GrANNANTONI: sommari in-
troduttivi ed un indice abbastanza utile non sostituiscono la mancanza di
un commento. Impossibile indicare persino le linee di una bibliografia pla-
tonica. Si veda, F. ADORNO, l.a filosofia antica, vol. I, Milano, Feltrinelli.
1961, pp. 564 sgg.; A. CAPIZZI, Studi su Platone dal 1940 a oggi, in « Ras-
segna di filosofia», 1953, e, meglio, le "Note bibliografiche" premesse da
F. ADORNO alla sua edizione di Platone, Opere politiche, Torino, UTET,
1953-58.
3.2. Per i motivi piit volte esposti ci limitiamo a presentare opere diretta-
mente consultate e fatti ve nella nostra ricerca. Ci limiteremo, inoltre, a
quelle strettamente connesse, di volta in volta, al tema. Diamo per presup-
poste le grandi monografie del WTLAMOWITZ e del FRIEDLANDER, del ROBIN,
del Rnrm, del TAYLOR e dello JAEGER (questi ultimi due tradotti in italia-
no presso La Nuova Italia; di Platone si tratta nel n e 111 vol. di Paideia).
L'intelligibilità dell'espo&izione del tema " dialogo e dialettica " riposa an-
che sulle già citate opere di MURI, STENZEL, CALOGERO e MAIER, alle quali
si aggiungano i lavori socratico-platonici di TAYLOR e RoaiNSO~. qui citati
alla nota 2 ed ora G. GIANNANTONI, Il problema della genesi della dialet-
tica platonica, 1966. Inoltre, in generale: J. ANDIOEU, Le dia/opue antique.
Structure et présentation, (1954); P. MAZON, Sur une /ettre de Platon, in
Mélanges de philosophie wecque offerts à Mgr. Diès, Paris 1956; più in
particolare: E. PACI, La dialettica in Platone (1958), a nostro avviso una
delle esposizioni più acute e sollecitanti, proprio per essere l'autore riusci-
to a individuare alcune figure della dialettica platonica pur investendo i
temi nodali, classici del platonismo; J. STENZEL, Literarische Form und phi-
losophischer Gehalt des platmzischen Dialoges (1916), che rappresenta il
presupposto indispensabile del nostro lavoro; A. KoYRÉ, Introduzione alla
lettura di Platone (1944): un libretto aureo, che dopo secoli di storia-
grafia c filologia agguerrite riesce a dare una risposta al problema dei dia-
loghi aporetici (quelli privi di una conclusione) e quindi a scoprire il senso
filosofico del dialogo platonico: un dialogo che veniva letto, di fronte ad
un uditorio che conosceva molto bene le questioni e sapeva quindi da par
suo trame le conseguenze, e le conclusioni (ottima anche la parte sulla
Repubblica, sulle connessioni in Platone di filosofia e politica, un fatto
per· Platone, non dimentichiamolo - ma contivuiamo a dimenticarlo - che
diventa un problema per noi); infine M. BUCCELLATO, Studi sul dialogo pla-
tonico, 1963, sulla tecnica dialogica in relazione alla tradizione e all'am-
biente sociale. Ovviamente si ricordi Hirzel, e altri citati 1.5.
3.3-4. Siamo al centro della costruzione del problema e quindi anche per
noi si pone inevitabilmente il problema dell'evoluzione, della formazione
del pensiero platonico, del rapporto cJn Socrate e della sua interpreta-
zione come problema dell'evoluzione del platonismo. Data la situazione di
fatto è una via senza uscita. L'interpretazione presuppone un'idea dell'evo-
luzione, l'idea dell'evoluzione presuppone l'interpretazione. Le due tesi, di-

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Guida bibliografica 215

scontinuità c continuità nel pensiero di Platone, sono da sempre presenti


e appaiono difficilmente conciliabili perché questioni di cronologia e di in-
terpretazione si intrecciano e si condizionano a vicenda .. E il problema So-
crate, che ne è l'anima, resta una specie di enimma (cfr. sopra 2.2 e 2.5).
La nostra è soltanto un'ipotesi di lavoro, diciamo così, forse vaga: con-
tinuità e discontinuità insieme, ma per strati, per problematiche che si pre-
sentano, scompaiono, riaffiorano, si intrecciano, si confondono. La Re-
pubblica, come crediamo di aver mostrato (3.4), rappresenta un momento
di equilibrio e, dal nostro punto di vista, di crisi. È di qualche utilità nota-
re qui che il problema si è posto da sempre, anche a partire, ovviamente,
e a fortiori, dalla filologia platonica in senso stretto, la quale si basa su
queste tre opere, ne discende, e in esse di continuo si ritrova: K.Fr. HER-
MANN, Geschichte und System der platonischen Philosophie, Heidelberg
1839; F.D. ScHI.EIERMACHER, Platons Werke, Berlin 1804-1810 con intro-
duzione e traduzione tedesca rimasta esemplare (oggi l'opera circola fra
gli studenti in un'edizione tascabile); W. LUTOSLAWSKJ, The origin and
growth of Plato's style ami of the cronology of his writings, London 1897,
1907', che riprese e discusse precedenti lavori di L CAMPBELL (autore del-
la voce " Platone " nell'Enciclopedia Britannica) e di BLASS e DnTEM!lERG.
Lo Hermann ebbe il merito di introdurre per primo la considerazione evo-
lutiva del pensiero platonico (in sé già presente agli antichi editori, e a
Platone stesso; si pensi alla successione Parmenide, Teeteto, Sofista, Poli-
tico: cfr. H. ALLINE, Histoire du text de Platon, Paris 1915, "Bibliothèque
Ecole Hautes Etudes ", fase. 218). ma abbandonando l'idea che vi fosse.
un sistema di Platone, da costruirsi nella pretesa coerenza dei vari dialo-
ghi. Lo ScHLEIERMACHER, precedentemente, nell'" Introduzione " citata,
aveva sostenuto il criterio opposto: all'interno del pensiero di Platone co-
gliere quel piano o schema in armonia col quale comprendere, giudicare e
cronologicamente disporre i vari dialoghi. Questo piano egli individuò nel
Fedro (264C e 265C scgg.): il doppio processo della sinossi dell'oggetto e
della sua definizione e l'esercizio dialettico della divisione nelle singole spe-
cie. Il Lutoslawski adottò, invece, tutt'altro criterio: l'esame linguistico o,
come si dice, di statistica linguistica. Si tratta di esaminare gli usi lingui-
stico-sintattici e la fraseologia tecnico-filosofica di un autore in un momen-
to sicuramente databile della sua evoluzione (in PLATONE, Le lexJ:i, per es.)
e rapportare a questo periodo le opere che presentano identità di usi, a un
periodo anteriore quelle che presentano diversità e ad un periodo interme-
dio le altre. Questo criterio, che permette ovviamente di espungere certe
opere " attribuite " caratterizzate da usi e strutture impossibili a determi-
narsi, non è però la panacea .della filologia: si può usare, e, se usato come
mezzo relativo a questioni particolari c soprattutto come un mezzo fra gli
altri, può dare risultati soddisfacenti. Oggi la storia della filosofia antica e
la filologia sono ritornate al punto di partenza: V. GoLDSCHMIIJT, Les
dia/ogues de Platon e Le paradigme dans la dialectique platonicienne, Pa-
ris, P.U.F., 1947 (il secondo è molto utile: mostra come, in realtà, le va-
rie forme [paradigmi] della dialettica [dialogo, divisione, sintesi, sinossi]
possano variamente implicarsi) riprende con maggior libertà la tesi di
Schleiermacher; gli editori dei dialoghi presso Les Belles Lcttres ripropon-
gono con prudenza ma con convinzione la tesi di Hermann; tuttì accettano
l'ipotesi di Lutoslawski. Stato della que~tione in P.-M. SCHUHL, Etudes sur
la fabulation platonicienne, Paris, P.U.F., 1947; L'1euvre de Platon, Paris,
Flammarion, 1954; Etudes platoniciennes, Paris, P.U.F., 1960 e la biblio-
grafia ragionata di E.M. MANASSE, Biiche1· iiber Platon, in « Philosophische
Rundschau » 19 57 e 1961 (fascicoli speciali).

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216 Guida bibliografica

3.5. Sulla Repubblica e sull'evoluzione della dialettica dopo la Repubblica


si veda: l'edizione del testo in tre volumi a cura di B. JowETT-L. CAMP-
BELL,· Oxford 1896 c l'edizione, pure in tre volumi, a cura di A. DIÈs, Pac
ris, Les Belles Lettres, 1947; P. KucHARSKI, Les chemins du savoir dans
les derniers dialogues de 1'/aton, 1949; B. LIEBRUCKS, Platons Entwicklung
zur Dialeklik. 1949. Sulla Le fiera V Il sono fondamentali il libro di PA-
SQUALI e la lunga discussione con Pasquali e con la storiografia di A.
MADDALENA, citati nota 7, che presuppongono due notevoli saggi di STEN-
ZEL in Kleine Schriften zur griechischen Phi/osopllie (1956); H.-G. GADA-
MER, Dialektik und Sophistik im Vll. platon. Brief, 1964. Ma sulla Re-
pubblica, sulle connessioni di dialettica, filosofia e politica, uno dei testi
più sollecitanti rimane il capitolo " Platone " delle Lezioni sulla storia della
filosofia di Hegel (tr. it. presso La Nuova Italia): per esso ci sia consen-
tito rinviare ai nostri saggi Antropologia e dialettica nella filosofia di Plato-
ne e Letture di Platone nella "Storia della filosofia" di Il epel, in Storicità
della dia/eUica antica (cit. sopra: 2.5). Infine, sul tema Hegcl e la filosofia
greca (in particolare Platone e Aristotele), si legga di J. STENZEL, Hegel e
la filosofia greca, in Hegeliana, "Differenze", n. 5, Urbino, 1965; sul tema
Filosofia c saggezza (Hegel e Platone) - cioè il problema del rapporto co-
scienza comune-filos(')fia e filosofia come sapere (concetto, totalità)-mondo
storico (in sostanza la domanda filosofica che al mondo politico posero He-
gel e Platone) .- si legga il saggio, che reca quel titolo, di A. KoJÈVE, in
Hegeliana, cit. (un capitolo della sua lntroduction à la lecture de Hegel,
J>aris, Gallimard, 1947, non compreso nella tr. it.).

4. Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele


4.1 ~2. Di Arh>totelc possediamo circa 50 opere, scritti di filosofia, trattati
scientifici, raccolte di materiali. piani di lavoro (opere come le Etiche e
la Politica, che Aristotele chiamava ;tpo:y:.w:c~i c, pare fossero elaborate
in comune, e rimaste incompiute, con gli scolari sulla base di uno sche-
ma di Ari&totele), non tutti aristotelici e non sempre nella f0rma e com-
posizione originaria, poiché di queste opere per un paio di secoli non si
seppe quasi nulla fino a quando furono pubblicate a Roma da Andronico
di Rodi. pare, nel r sec. a.C. l contemporanei e l'antichità conobbero
i lavori letterari, pubblicati, destinati al pubblico, quindi, (opere essoteri-
che), per lo più dialoghi, ma non drammatici alla maniera platonica:
Eudemo, Sulla filosofia, Protreptico ecc., dei quali ci sono rimasti pochi
frammenti. Il Corpus aristotelicum giunto a noi contiene, invece, le opere
esoteriche o acroamatiche, cioè per gli scolari, testo o risultato di lezioni.
A partire da questo fatto nasce un problema estremamente complesso che
riguarda l'ordinamento, la datazione, la composizione - e ovviamente, co-
me per Platone, l'interpretazione - e dell'intero sistema e delle singole
opere: ne è nata una filologia aristotelica talmente specializzata che è sta-
to trascurato il fondamentale compito della pubblicazione delle opere com-
plete del filosofo: infatti, non abbiamo, oggi, un'edizione aristotelica mo-
derna, critica, completa come quelle indicate per Platone (abbiamo citato
alla nota 6 l'edizione del testo-greco presso l'Accademia delle Scienze di
Berlino - che si è dovuta recentemente ristampare - a cura di BEKKER,
BRANDIS, BoNnz: 2 voli. di opere - la cui impaginazione è stata univer-
salmente· accolta: accanto al numero romano o alla lettera indicante il li-
bro dell'opera e àl numero indicante il capitolo, dopo un punto, si fa se~
guire nelle citazioni la pagina, la colonna, a oppure b, e la riga; un volume

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Guida bibliografica 217

di traduzioni latine, un volwne di scoli, un volume di supplemento con


altri scoli, i frammenti - più volte, come le altre opere, aggiornati e ti-
pubblicati autonomamente - e I'Index aristotelicus di BoNITZ di enorme uti-
lità). In italiano buone traduzioni con breve commento delle principali
opere aristoteliche presso Laterza, Bari, e tra esse la Metafisica a cura di
A. CARLINI (1928, ma recentemente ristampata); ricordiamo inoltre: l'Or-
ganon, a cura di G. COLLI, Torino, Einaudi, 1955 e Politica e Costituzione
degli Ateniesi, a cura di C.A. VIANO, Torino, UTET, 1955; ancora, la Me-
tafisica e gli Analitici, primi volumi di una grossa edizione commentata
del corpo aristotelico, a cura di G. REALE, in corso di realizzazione presso
Loffredo, Napoli, 1"968 sgg. Buona la traduzione francese c il commento
di tutte le principali opere a cura di J. TRICOT, presso Vrin, Paris. Per
quanto riguarda l'evoluzione del pensiero aristotelico, si tenga presente:
Aristotle and l'lato in the Mid-Fourlh Century, in «Studia graeca et lati-
na Gothoburghensia », 11, 1960. Inutile tentare una bibliografia. Le vicen-
de delle opere aristoteliche sono raccontate da SmABONE (xiii, l, 54) nel-
la sua Gèo/.lrafia, ma si sono scoperte altre fonti studiate dagli specialisti:
rinviamo per Lulli a A. MANSION, Les listes anciennes des ouvrages d'Ari-
stole, Louvain, Ed. Unìversitaires, 1951; W.W. JAEGER, Aristotele. Prime
linee di una storia della sua evoluzione (1923), il fondatore della moderna
interpretazione evolutiva; G. VARET, Manuel de bibliof?raphie phi/osophi-
que, Paris, P.U.F., 1956, vol. 1, pp. 120 sgg. (bibliografia dell'Aristotele
perduto e dell'interpretazone evolutiva); in generale, F. ADORNO, La filoso-
fia antica, cit. sopra 3.1., pp. 267 sgg., 572 sgg. Per quanto riguarda la
presente ricerca seguiamo le ipotesi c i risultati di E. WEIL nei due saggi
sulla Logica c sulla Metafisica, citali note .1 c 7, dove è brevemente indi-
cato anche lo stato della questione.
Per comprendere questi primi due paragrafi - cioè la situazione del-
la filosofia aristotelica, soggettiva e oggettiva, la nuova dimensione sto-
rica e " dialettica " della sua ricerca, che trova la sua origine, giustifica-
zione e il suo obiettivo nella coscienza dell'uomo comune - è necessa-
rio tenere presente: Aristotele è senza dubbio e senza paragoni il fi-
losofo più completo, una personalità ecçezionalc, la più importante dell'in-
tera storia della filosofia e della cultura. " Maestro dì color che sanno "
per Dante, tutto di lui è caduto con la scienza nuova - ma la filosofia
e le scienze, nelle loro parti c totalità, nei fondamenti e. nel loro compi-
to, sono creazione aristotelica e costituiscono ancora oggi il contenuto del
nostro patrimonio filosofico e culturale; anche la forma, in gran parte,
perché creazione aristotelica è il vocabolario c il linguaggio filosofici.
Greco di ascendenza (Stagira era colonia jonica) Aristotele vede crol-
lare la Città-Stato (polis) e assiste agli inizi della ellenizzazione del mondo
mediterraneo, ma egli aveva appreso dalla vita della poli~> la sua ragione
più alta, cioè il senso della politicità e della storicità del sapere. Come pre-
cettore egli ha certamente trasmesso ad Alessandro l'idea che tuili gli uo-
mini possono diventare cittadini di un solo stato in quanto essi hanno una
sola e medesima essenza e, d'altra parte, che l'impero deve poter essere
l'espressione non di una casta o popolo, ma di una civilrà (fondata sulla
scienza, sul logo, sulla cultura). Come fondatore del Liceo Aristotele ha
dimostrato di fatto e per sempre che la ricerca specializzata (fisica, stori-
ca, naturalistica), cioè il lavoro dello scienziato, deve radicarsi nell'uni-
versalità dell'idea e della filosofia, cioè nella visione che hwmo ha di sé
e del mondo in cui vive. Come filosofo in senso stretto Aristotele è il pri-
mo pensatore che ha fondato la sua filosofia c nello stesso tempo l'inqua-
dramento storico e della sua ricerca e della propria personalità speculati-

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218 Guida bibliografica

va (come ha giustamente detto, c dimostrerà, 1AEGER, Aristotele, p. 1).


Ogni filosofo è un uomo del proprio tempo, ma Aristotele sa di esserlo
e quindi presenta consapevolmente il proprio sistema all'interno di un'evo-
luzione culturale (cfr. i libri introduttivi alla Metaftsica, Fisica, De anima,
sul primo dei quali, soprattutto, avremo occasione di ritornare). Oggetti-
vamente, tenuto conto delle vicende delle sue opere nel mondo arabo e cri-
stiano, Aristotele è il mediatore fra la cultura del mondo greco classico e
il pensiero medioevale e moderno. Come si vedrà, questo fatto ha una
sua dimensione " politica ": è stato notato che c'è un''' ~la destra " della
storiografìa ottocentesca " che considerava il platonismo come il culmine
del pensiero antico, condannava nel modo pill aspro gli atomisti e i Sofisti,
considerava Aristotele troppo empirista ... c'era una tendenza meno estre-
ma che ammetteva la validità della critica di Aristotele alla dottrina delle
idee e riconosceva alla sofistica almeno una funzione di stimolo critico "
(S. TIMPANARO, Th. Gomperz, in « Critica storica», 1963, n. 1). Insomma,
Hegel e Zellcr contro Schleiermancher c Wolf (una storia che si sarebbe
ripetuta in questo dopoguerra, riflettendo sui pericoli del platonismo di
JAECiER e della sua Paideia). Comunque, sul tema sopra delineato in queste
righe vedi la traduzione italiana dei saggi di KOJÈVE e KELSEN citati alla
nota 2. Poi: A HEuss, A lexander der Grosse un d di e poli lische Ideologie
des Altertums, in « Antike und Abendland », IV, 1954; R. WEIL, Aristote
et le fédéralisme, in « Actes du Congrès Budé >>, Lyon 1958, Paris, Les
Belles Lettres, 1960. Il problema può essere studiato come storia della ge-
nesi e ricorso dell'ideale filosofico (privato) e politico della vita (ed ebbe
un suo momento rilevan{e presso le filosofie della cultura): W. W. JAEGER,
Genesi e ricorso deli'ilh·ule filosofico della vita, in app. alla tr. it. cit. di
Aristate/,,; A. GRILLI, Il problema della vita contemplativa nel mondo gre-
co-romano, Milano, Bocca, 1953. Non sembrino paradossali (e neppure
semplici curiosità erudite) due citazioni .di saggi-romanzi, 'che ci danno
l'idea della forza suggestiva che ancora esercita la figura di Aristotele nel
quadro da noi sopra tracciato: R. ALLENDY, Aristate ou le complexe de
trahison, Genève, ed. du Mont Blanc (Coll. "Action el Pcnsée ", 9), s.d.
(ma primi anni del secondo dopoguerra) c Klaus l\1ANN, (figlio di Thomas),
A lexandre. Roman de l'uropie, Paris, Stock, 1931 (il lettore sa, è noto,
che proprio per la sua posizione filosofica e culturale, Aristotele fu accusa-
to o comunque sospettato di tradimento da Alessandro, dagli Ateniesi e da
alcuni amici). Infine: sulla storia e sulla storiografia in Aristotele c'è pure
una bibliografia notevole, soprattutto tedesca, secondo la quale Aristotele
avrebbe sistematicamente deformato (non fosse che per la sua forza specu-
lativa) il pensiero degli autori di cui riporta continuamente notizie e fram-
menti e nei casi più favorevoli avrebbe classificato autori e dottrine in
funzione del proprio sistema posto come ultimo e definitivo (cfr. esposi-
zione del problema e stato della questione in La storiografia filosofica an-
tica di DAL PRA, 1950). I saggi di WmL sulla logica aristotelica e sulla
storia della dialettica (1950 e 1955: citati alle note 3 e 4) hanno comple-
tamente rinnovato la quèstione, rovesciandola, all'interno stesso del pensie-
ro aristotelico: dossografia (storia) e dialettica (implicante un'ontologia)
fanno in Aristotele tutt'uno, sono due aspetti della stessa ricerca. È la tesi
che abbiamo seguito c ritenuto di sviluppare in queste pagine: approfon-
dendola si dimostra sempre più ricca di conseguenze. Per una bibliografia
specifica su questo tema ci si consenta di rinviare ai nostri lavori su Ari-
stotele in Storicità della dialettica antica, ci t.. c A ristote/ica, Urbino
1961 (Pubblicazione dell'Università, "Serie Lettere e Filosofia", xn), con
una raccolta di testi aristotelici commentati.

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Guida bibliografica 219

4;3-4. Qui' si fa agire una i11.terprctazione della Metafisica che riposa sulla
definizione che ne dà Aristotele stesso: la scienza oggetto della ricerca
(m, 1), che presenta due figure o stratificazioni fondamentali in rapporto
alla particolarità o all'universalità dell'essere, suo oggetto: la scienza del-
l'essere comune a tutte le cose (IV, 3) e la scienza più eminente che ha per
oggetto il .;çenere più eminente (vi, 1). Accettano questa configurazione
AuBENQUE e WETL, citati, che a loro volta accettano, con diverse riserve
e motivazioni, l'interpretazione evolutiva di Jaeger. Sostiene rigorosamente
un'interpretazione unitaria G. REALE, l/ concetto di filosofia prima e l'uni-
tà della Metafisica di Aristotele, Milano 1961 (Pubbl. Università S. Cuore).
Ancora: V. DÉCARJE, L'objet de la Métaphysique se/on Aristate, Paris-
Mohtréal I 961; A. MANSION, Philosophie première, pllilosophie seconde et
métapllysique chez Aristate, in « Revue philosophique de Louvain », 1958:
U. D'HONDT, Science wprème et antologie chez Aristote, in c.s., 1961 (e la
recensione all'opera di Aubenque, in e.s., 1963); L. ELDERs, Aristate et
/'ohjet de la Métapilysique, in c.s., 1962; AA. VV., Aristotele nella critica
e negli studi collfemporanei, Milano 1957 (Pubbl. Università S. Cuore) e
Aristate et le.v problèmes de la métlwde, Paris-Louvain, Ed. Universitaires,
1961. Sono anche da ricordare due lunghi studi, in tedesco, sulle origini
del nome "metafisica" e sulle sue connessioni con la biblioteconomia, di
H. REINER, in « Zeitschrift fiir philos. Forschung », 1954 e 1955. (Una bi-
bliografia specifica sulla Metafisica aristotelica si legge, oltre che in Au-
BbNQUE, in J. OwENS, The doctrìn of Being in the Aristotelian Metaphysics.
Toronto, (Pontificai Institut of Medieval Studies), 1957'. Più particolarmen-
te il rapporto retorica-dialettica (in relazione o non con la Metafisica) è
studiato dai seguenti autori: Ch. THUROT, Etudes sur Aristate. Politique,
dialectique, rhhorique, Paris 1860, un'opera preziosa, praticamente sco-
nosciuta, ricordata da Aubcnque, che è all'origine della nostra imposta-
zione del problema; W. KROLL. l'articolo " Rhetorik ", Real-Encyclopii-
die (PAUtY-WISSOWA), Suppl.-Rd. VII, 1940: C.A. VIANO, La logica di 'Ari-
stotele (1955) c La dialettica in Aristotele (1958); A. MICIIEL, Rhétorique et
philosophie clzez Cicéron (1960); L. LtrGARTNI, Dia/elfica e filosofia in Ari-
stotele, 1959; e ancora, oltre agli autori citati sopra c nelle note, la tradu-
zione c il commento al testo dci Topici, a cura di J. BRUNSCHWIO presso
Les Belles Lettres. vol. 1 (I-IV), t 967 e gli Atti del nr Simposio aristoteli-
co: Aristotle 011 Dialectic: T/re" Topics ", a cura di G.E.L. OwnN,- Oxford
U.P., 1968.

4.5. L'autonomia del libro 1 del De partibus animalium, di natura meto-


dologica, dimostrata fin dai primi dell'Ottocento da Fr. N. TITZE, Arista-
te/es iiber die wissenschaftliche Behandlungsart der Naturktmde iiberhaupt,
Leipzig 1823', ma erroneamente valutata come introduzione al libro sulla
Storia degli animali (cfr. Traité des partie.1· des animaux et de la marche
des animaux, tr. fr. a cura di J. BA.RTHÉLEMY-SAINT-HII.ATRE, 2 voli., Paris
1885, "Introduzione"), è stata recentemente rivendicata da Fr. NuYENS,
L'évolution de la psyc/iologie d'Aristate, Louvain-Paris, Ed. Universitai-
res, 1948 e in particolare da J.M. LE BLOND, Aristate. Philosophie de la
vie ... (1945, cfr. nota 20). I n fine si veda la recente edizione di questo testo
presso Les Belles l.cttres, 1956, a cura çli P. Lou1s. Sui rapporti morale-
politica vedi E. WEIL, L'anthropologie d'Aristate (1946), P. AUDENQUE, La
prudence chez Aristate, e gli autori-editori citati alla nota 19. Tutti questi
autori notano, ovviamente, la concordanza dell'inizio dell'Etica nicomachea
e della Politica. Anche su questo argomel)to la bibliografia è sterminata.
Ricordiamo soltanto J. BuRNET, 1'he Ethics of Aristotle, testo, introduzio-

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220 Guida bibliografica

ne, e commento, London 1900, che dichiara (pp. v-vi) di intendere gli
scritti etici aristotelici come dialettici, non scientifici, o meglio come, sol-
lecitati da un punto di vista dialettico. Un a tesi recentemente confutata da
GAuTHIER-JouF (1958-59), vol. 1, p. 88, vol. n, p. 9 - alla quale la sto-
riografia è ritornata. crediamo con qualche successo, quando si sia me-
glio inteso che cosa Aristotele intenda per dialettica. ,

5. Morte e trasfigurazione della dialettica. Dagli Stoici all'età


moderna
5.1. I problemi esposti in questa premessa sono ora ripresi da E. WEIL.
De la dialectique objective (1970), un saggio che rappresenta la conclu-
sione di una lunga meditazione sulla dialettica e sulla sua storia: egli di-
mostra come la distinzione di dialettica soggettiva e oggettiva non sussi-
sta; come essa sia una e una sola dialettica: intenderla significa compren-
dere quel discorso che vuole comprendere coerentemente, sistematicamen-
te, la realtà - e, quindi, a loro volta, dialettica, discorso, realtà formano
un intero.
5.2. l frammenti degli Stoici sono raccolti nei quattro volumi di H. V<m
ARNIM, Stoicorum veterum fragmenta, Leipzig 1903-1924. La traduzione
italiana è .indicata alla nota 6. Il lettore tenga presente un'esposizione ge-
nerale della storia e della cultura dell'età alessandrina: indico E. VACHE-
ROT, Histoire critique de l'Eco/e d'A lexandrie, 3 voll., Paris 1846-1851 (re-
centemente ristampata), un'opera di grande respiro, che è stata lasciata in
margine da una storiografìa (soprattutto filosofica) che si è ritenuta più
preparata c fondata (penso alle varie ispirazioni storicistiche, antipositivi-
stiche e in polemica con la concezione primo ottocentesca della scienza).
Sugli Stoici è fondamentale M. POHLENZ, Die Stoa, Giittingen 19592 (tr. it.
Firenze, La Nuova Italia, 1967, 2 voli. a cura di Vittorio Enzo Alfieri) e,
più in generale, T:uoma greco, tr. it. La Nuova Italia, Firenze, 1967', due
opere, che, pur dovute ad un grande studioso e pur disponibili in italiano,
non ci sentiremmo di raccomandare se non invitando alla prudenza: la
visione della grecità qui operante è talmente letteraria e astorica (quindi an-
tistorica) che manifesta persino tracce di razzismo (il che non è inconsue-
to presso certa storiografia tedesca fra le due guerre). Sulla dialettica stoica
la migliore e più recente monografia italiana è quella di C.A. VIANO, cita-
ta nota 4. Spieghiamo nel testo i motivi per i quali dissentiamo dal Viano,
soprattutto nell'interpretazione della tradizione che confluisce negli Stoici.
Egli poi sostanzialmente identifica dialettica e logica, una problematica
che noi, anche qui, abbiamo cercato, sia pur sommariamente, di tenere di-
stinta o di individuare nel momento della differenza. Alla nota 45, p. 89
del saggio di Viano si legge anche una adeguata bibliografia. La si -integri
con la bibliografia,relativa agli Stoici nella già citata Filosofia antica di F.
ADoRNO, pp. 587 sgg. Nel volume, citato, di A. MICHEL, Rhétorique et
phi/osophie clzez Cicéron, si vedano i passaggi su aristotelismo, platonismo
e stoicismo nel mondo romano, che ci sono stati molto utili. Qualche buona
indicazione in W.C. c M. KNEALE, Storia della logica, tr. it. Torino, Einau-
di, 1972. Inutilizzabili, come al solito, la nota breve Storia della logica di
H. SCHOLZ, citata, cap. 6, nota 4 c la Storia della dialettica di LosAcco.
5.3. Di Plotino, oltre alla tr. it. a cura di V. CILENTO, con commento, ci-
tata alla nota 13, si tenga presente l'edizione commentata del testo greco,

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Guida bibliografica 221

con tr. fr. e introduzione a cura di E. BRÉHIER, 7. voli., Paris, Les Belles
Lettres, 1924-19 38. A nostra conoscenza non è possibile ricostruire una
bibliografia speciale sulla dialettica plotiniana. Si veda; GuRWITCH, I 962:
e V. VERRA, Dia/euica e fìlomfia in Plotino, Trieste 1963; il lettore con-
sulti inoltre B. MARIEN, Bibliografìa critica degli studi plotiniani con ras-
segna delle loro recensioni, riveduta e curata da V. Cilento, vol. m, parte
n (1949) della sua traduzione. Dopo il 1949 cfr. F. ADORNO, Filosofia an-
tica, vol. n, Milano, Feltrinelli, 1965, pp. 857 sgg., tenendo presente, dagli
Stoici ai Padri della Chiesa, BARWICK, Probleme der stoischen Sprachlehre
und Rhet~Jrik, 1957 ..
5.4. È superfluo far notare che la bibliografia sulla filosofia medioevale è
vastissima. Anche se ci si limita al campo dei nostri interessi - quando si
tenga conto che la dialettica medioevale ha un'autonomia molto relativa,
che in realtà essa oscilla continuamente fra la logica e la retorica, con le
quali tende a unificarsi, c che, trattandosi di un'epoca nella quale il siste-
ma, la sua architettonica, da un lato, la sua discussione in pubblico, messa
in problema, dall'altro, hanno un'estrema importanza, essa finisce per co-
prire tutte le manifestazioni della filosofia e della scienza. Ci limiteremo
pertanto ad indicare le opere più importanti, di preferenza italiane, senza
dimenticare peraltro di E. GILSON, Lo spirito della filosofia medievale
(19322), Brescia, La Morcelliana. 1969, per l'apertura, la curiosità intellet-
tuale e la singolare trattazione della storia della filosofia e dei suoi problemi;
C. VAsou, La filosofia medioevale, Milano, Feltrinelli, 1961: è da rite-
nersi, a nostra conoscenza, una delle migliori storie della filosofia del Me-
dioevo, attenta alle diverse implicazioni, storiche, sociali, civili di una cul-
tura complessa, dinamica, policentrica (un'ampia bibliografia, generale e
particolare, per testi, materia e autori rende il volume uno strumento in-
dispensabile di lavoro); per la caratteristica ora accennata della cultura
medioevale non, si dimentichi la vecchia opera di F. PICAVET, Esquisse
d'une histoire des philo.mpl!ies médiévales, Paris, Alcan, 1907 (recente ri-
stampa Frankfurt 1967) e le due celebri monografic di Martin GRABMANN,
citate nota 15, fondamentali: quasi interamente fondate su materiale d'ar-
chivio, manoscritto, vivacissime nell'esposizione, acute nell'individuare le
sfumature più diverse del rapporto dialettica-filosofia da una parte e dia-
lettica come tecnica della disputa dall'altra, gioco, anzi sport (come ha di-
mostrato tanto bene Weil nel suo saggio, citato, sulla logica aristotelica);
altro lavoro di base è C. PRANTL, Storia della logica in occidente, tr. it.
del voL n, parte r; " L'età medioevale fino al XII secolo"; R. Mc KEON,
Dia/ectic and Politica/ Thought and Action, 1954; D. HAYDEN, Notes on
aristotelian Dialectic in theo/ogical Metlzod, 1957; E. GARIN, La dialettica
dal secolo XII ai principi dell'età modema, 1958, il lavoro più completo
- pur nei limiti di un saggio - che possediamo su questo specifico argo-
mento: abbiamo addotto le ragioni della nostra adesione alle tesi qui
sostenute nel nostro testo (5.6; cfr. nota 26 e all'inizio di 5.8). Garin
presenta, in una nota iniziale, una breve bibliografia speciale (a lui dob-
biamo la citazione di Heydenreich, particolarmente sollecitante, non sol-
tanto perché ci ha consentito di redigere il par. 5.5) e segue, discutendo-
la, la storiografia nelle varie note; G. PRETI, Dialettica terministica e pro-
babilismo nel pensiero medioevale, 1953; G. PRETI, Studi sulla logica for-
male nel Medioevo, 1953; M. DAL PRA, Studi sul problema logico del lin-
guaggio nella filosofia medioevale, 1954; M. DAL PRA, Fede e ragione nel-
l'interpretazione della filosofia medioevale, 1955; G. PRETI, La dottrina del-
la "vox significativa" nella semantica terministica classica, 1955. Due altri

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222 Guida bibliografica

lavori specifici sono citati alle note 29 e 30. Sulla persistenza di questi te-
mi, sulle successive articolazioni del nostro problema, che abbiamo per al-
tro lasciato cadere, ritornandovi brevissimamente nella Premessa a Kant,
cfr. C. VASOLI, La dialettica e la retorica dei/'Unumesimo. "Invenzione" e
"metodo" nella cultura del XV e XVI secolo, 1968.

6. Kant. La finitezza dell'uomo e l'inevitabile dialettica della ragione


6.1. Per questa premessa mi limito a rinviare ai lavori di TONELLI, citati
nota l, che contengono altri riferimenti bibliografici. Tuttavia, in generale,
anche per certe nostre affermazioni sulla filosofia kantiana in rapporto allo
spirito deli'JIIuminismo (cfr. 6.3 e 6.4), ollre a quanto abbiamo esposto e
alle opere citate nel paragrafo 5.8, si tenga presente la fondamentale, non
ancora superata opera di E. CASSIRhR, La filosofia dell'Illuminismo, tr. it.
Firenze, La Nuova Italia, 19702• - Abbiamo indicato alla nota 5 l'edizione
tedesca delle opere di Kant. È utile sapere che c'è una buona edizione eco-
nomica delle opere di Kant presso la Wisscnschaftliche Buchgesellschaft di
Darmstadt e Insel-Verlag, Frankftlrt, a cura di W. WEISCHEDEL, Kant. Stu-
dienausgabe, in 6 voli. più un volume di tavole di raffronto fra le varie
edizioni delle opere kantiane e il Kant-Lexikon di K. Ch. E. ScuMID,
1798', che già ai suoi tempi era un efficace strumento di lavoro. A R.
ErsLER dobbiamo un più moderno Kant-Lexikon, 1930, rist. Hildesheim,
Olms, 1961. Ci sono buone, talvolta ottime, traduzioni italiane (le tre Cri-
tiche c le più importanti opere prccritiche presso Laterza; una raccolta
di scritti politici presso UTET di Torino). A noi interessa direttamente la
Critica della ragion pura: cfr. la citata traduzione di Gentile-Lombardo
Radice presso Laterza, di G. Colli presso Einaudi e la recente di P. Chio-
di presso UTET, tutte disponibili. Una buona antologia dci Pro/egomeni,
Fondazione della metafisica dei costumi e Critica del giudizio, con due ot-
time introduzioni, generale a Kant e speciale alla Critica del giudizio (at-
tente alla funzione della dialettica), si trova in A. BANFI, Esegesi e letlure
kantiane, vol. r a cura di N. DE SANCTIS c vol. II (studi critici su Kant e il
kantismo) a cura dì L. Rossi, Urbino, Argalia, 1969.
6.2-5. Non possiamo qui dividere la bibliografia in paragrafi corrisponden-
ti al testo: la nostra presentazione, interamente fondata sulla Critica della
ragion pum, con ampie citazioni, si aggira intorno al solo problema della
dialettica e costituisce t:n'unità. La letteratura kantiana è sterminata, in
particolare sulla Critica, paragonabile solo alla letteratura su Aristotele e
inferiore solo a quella su Marx, per sollecitare la quale hanno agito, come
è noto, le più diverse motivazioni politiche. Kant è l'autore più studiato
del XIX e xx secolo. Esiste una Kant-Gesel!schaft, che promuove congressi
e pubblicazioni, e unà rivista « Kant-Studien » (alla quale è annessa una
collezione di opere autonome), attive dagli inizi del secolo, quasi intera-
mente rivolte allo studio di Kant. Inoltre, storiografia e bibliografia coin-
cidono, almeno per un cinquantennio, con il dibattito filosofico stesso: la
filosofia da Pichte a Hegel (come in parte abbiamo mostrato nel cap. 7.1-2)
e· al vecchio Schelling, dai postkantiani ai neofichtiani e agli stessi neohege-
liani contiene già una storiografia, che è ppi la più interessante e decisiva.
Il neokantismo della seconda metà dell'Ottocento (Cohen, Vaihinger, Can-
toni, Rickert, Windclband ecc.) è in fondo una scolastica, una filosofia di
epigoni, che studiano Kant con Kant, ne discutono ed aggiornano il siste-

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Guid·a bibliografica 223

ma come .se nulla dopo Kant fosse successo. TI Kant di Fichle, Schelling,
Hegel (ne abbiamo dato i punti di riferimento fondamentali nel capitolo
sopra citato), e dello stesso Schopcnhauer, è una realtà culturale, politi-
ca viva ed operante, è lo spirito del tempo che si pone in questione interro-
gando Kant. Il lettore che voglia avere una idea di come, quando e quanto
c in quale direzione storici e filosofi hanno lavorato su Kant, consulti G.
VARET, Manuel de bibliographie philosophique, Paris, P.U.F., 1956, vol.r,
il cap. "Kant et la philosopbie kantienne ", che contiene una rara crono-
bibliografia con brevissimi commenti e indicazioni di recensioni, riviste,
ecc. Riportiamo l'indice del capitolo: 1) Cronobibliografia del kantismo eu-
ropeo: Kant fino al 1784; Il movimento filosofico dal 1784 al 1804; Le
scuole kantiane tedesche dal 1804 al 1870. n) Le interpretazioni del kan-
tismo: Schelling, Herbart, Fries, Schopenhauer; Hegel postumo; Kant po-
stumo: la nuova. filologia kantiana; le interpretazioni filosofiche neokan-
tiane; i temi kantiani. m) Le filosofie francesi all'epoca kantiana. Ricordia-
mo per Lulli: X. L{;ON, Fie h te et san temps, 3 voli., Paris, Colin, 1922-1927,
un'ampia, affascinante storia della cultura non soltanto filosofica di questa
stagione aurea della filosofia, ricchissima di documentazione (in qualche
caso ancora inedita); J. VUILLEMIN, L'héritage kantien et la révolution
c:opemicienne, 1954, che ha studiato proprio le tre correnti filosofiche con-
temporanee che si sono rispettivamente ispirate all'Estetica, all'Analitica e
alla Dialettica trascendentale della Critica, ritenendo ciascuna di queste
parti il fondamento dell'intera opera; P. SALVUCCI, Grandi interpreti di
Kant. Fichte e Scftelling, Urbino 1958 (Pubbl. Università di Urbino, "Se-
rie Lettere c Filosofia ", rx), che contiene anche una recensione di Vuille-
min, e L'uomo di Kant, particolarmente importante per la dottrina dello
schematismo (ricostruzione storica e teorica) e per le sue implicazioni con
l'intendimento della dialettica (citato nota 8, dove sono citati anche i lavori
di DE VLEESCIIAUWER, fondamentale per la storia interna del testo della
Critica e per l'evoluzione del criticismo, M ASSOLO, la cui interpretazione è
stata qui seguita, CHIODI); F. BARONE, Logica formale e logica trascen-
dentale, vol. I, Torino, Ed. Filosofia, 1957: L. GoLDMANN, Introduzione a
Kant. La comunità umana e l'universo (1945), Milano, Sugar, 1972, una
delle opere più originali sul pensiero kantiano e sulla sua evoluzione in-
centrata sul concetto di " totalità " e quindi indirettamente importante per
intendere la posizione della Dialettica trascendentale (ispirata al pensiero
del primo Lukacs, fino a Storia e coscienza di classe per intenderei, ha
svolto una certa influenza sulle interpretazioni esistenzialistiche e marxi-
stiche di Kant, sullo stesso Massolo). Oltre a queste opere si ricordi ancora
MAssoLo, Marx e il fondamento della filosofia (1949), citato nella biblio-
grafia alla Premessa iniziale, dove spieghiamo come questo saggio abbia
operato per una storia della dialettica (e della filosofia contemporanea) che
trovi il suo punto di volta in Kant. In particolare, sulla Dialettica trascen-
dentale kantiana, la migliore esposizione complessiva si deve a P. CHIODI,
La dialettica di Kant, 1958, che presenta, discute e interpreta con singolare
equilibrio i fondamentali significati di " dialettica " nella Critica e nelle al-
tre opere kantiane. Siamo sostanzialmente d'accordo col Chiodi, che per al-
tro presenta uno studio più ampio e documentato del nostro. Riteniamo,
tuttavia, che anche all'interno della sua interpretazione sia possibile indivi-
duare e giustificare il ruolo fondante della Dialettica trascendentale, il suo
essere, nella costruzione della Critica e nella rappresentazione della fini-
tezza dell'uomo, a partire dalla quale il mondo è subìto e si rivela come
contraddizione, il presupposto della Critica stessa. A nostro avviso - per
schematizzare - non la distinzione delle cose in fenomeni e noumeni (ri-

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224 Guida bibliografica

sultato della Analitica e determinazione del senso della realtà a mezzo del-
la scienza) dà luogo alla dialettica della .-agione - ma: dacché l'uomo è
finito, dacché pe.- questo -fatto è esposto all'illusione dell'infinito, è neces-
saria quella ricerca critica (della Critica) che mette capo alla distinzione
delle cose in fenomeni e noumeni. Ma, forse, questo risultato è implicito
nella ricerca del Chiodi ed egli stesso lo condivide. Che è poi la sostanza
delle argomentazioni di Jacobi e di Hegel, diversamente motivate (cfr. cap.
7.1 e 7.7), il punto intorno al quale si articola, dal quale si diparte e si di-
vide l'intera storiografia kantiana. Cfr. gli studi, tra i tanti, classici, su
questo tema: H. VAIHINGER, Beitrage zum Verstiindnis der Analitik und
Dialektik ·in der Kritik der rei n e n Vermmft, 1903; L. BRUNSCHWICG, La
technique des antinomies kantiennes, 1928; M. GUEROULT, Le jugement
de flegel sw· /'antithétique de la raison pure, 1931 e GuRWITCH, capitolo
kantiano di Dia/ectique et sociologie, ciL

7. Da Kant a Hegel: ragione, storia, dialettica


7 .1-2. ln generale cfr. quanto è stato detto e citato nella bibliografia rela-
tiva al paragrafo precedente. I testi di cui ci siamo serviti e le traduzioni
italiane sono tutti citati nelle note. Qui aggiungiamo: SCHELLING, Lettere
fì!osofìclle sul dommatismo e criticismo, a cura di G. SEMERARI, Firenze,
Sansoni, 1958 (la VI lettera è su Kant e l'interpretazione è presentata nel
testo); per la storiografia, stato della questione c critica, A. BANFI, In/onzo
al problema di una storia dell'idealismo (1931), ora in Incontro con Hegel.
1965: Banfi discute e confuta la storiografia cosiddetta neohegeliana, idea·
listica e ne mostra l'unilateralità e la parzialità: proprio questa storiografia
nega la· funzione fondante della dialettica kantiana, vi identifica il proble-
ma dei limiti della .-agione come problema J?noseo/ogico e quindi traccia
una storia della filosofia dopo Kant come la storia del superamento di
Kant e dell'esigenza della liquidazione della dialettica, ma come esigenza
"filosofica". Quanto è poi avvenuto, oggettivamente, storicamente, non è la
manifestazione di tale esigenza, ma appartiene alle esigenze della storia, ai
bisogni degli uomini di cui parlò Hcgel, come crediamo di aver dimostrato
- e quindi la dialettica è stata liquidata per le ragioni opposte a quelle so-
stenute per es. da Croce e Gentile, pe.- restare tra noi: non la realtà si è
trasformata in spirito o ha dimostrato di poter essere risolta (risolubile.
conoscibile) nell"' atto" dello spirito, ma la realtà si è imposta allo spirito,
cioè alla ragione, finita, dell'uomo, che può soltanto riconoscer/a, e come
attività pratica trasformarla. A questo proposito cfr. i lavori di GENTILE.
GIANNANTONI, VALENTINI citati cap. 8 nota 44; si aggiunga: B. CROCE, Ciò
che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel (1904), in Saggio sullo
flegel, 1948 e R. FRANCHINI, Croce interprete di Hegel, Napoli, Giannini,
1958 e soprattutto Le origini della dialellica, 1961, una storia della dialet-
tica " vera ", cioè quella crociana, dalle origini a Croce (ma, è bene tenerlo
presente, Croce parlava di dialettica degli opposti e di nesso dei " distinti ";
cioè, nel suo sano buon senso, si accorgeva che la realtà, per lui il divenire
dei distinti (le forme dello spirito: arte, economia, pratica e filosofia), è
già in sé dialettica: dialetticò, stricto sensu, è solo il tipo del movimento,
per opposti). Ancora F. VALENTINI, Diritti e torti della dialettica, in << So-
cietà», 1959 (recensione del volume, Studi sulla dialettica, 1958).
7.3-7. Data l'importanza, in assoluto, della filosofia hegeliana, il peso della
presenza· di H e gel nel dibattito filosofico contemporaneo, lo spazio che noi

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Guida bibliografica 225

stessi abbiamo creduto di dover dedicare a questo filosofo (non soltanto


nel presente capitolo; questi fattL come per Marx, ma a differenza di Kant,
- lo ~i è già fatto notare - trovano motivazioni anche, e forse soprat-
tutto, non strettamente filosofiche), la natura del suo stesso filosofare, nel
quale, come in Platone, filosofia, dialettiça e sistema sembrano intrecciarsi.
anzi sono un intero e ad un tempo una differenza (è il tema della nostra
esposizione), ci consigliano di presentare una bibliografia particolare, più
analitica per ciò che riguarda le opere. Bibliografie.; B. CROCE, Ciò che è
vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel (1904); K. GRUNDER, Biblio-
graphie zur politischen Theorie Hegels. in J. RITTER, Hegel und die franzi>-
sische Revolution, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1965 (tr. it. Napoli, Guida.
1970); una buona bibliografia, con elenco delle singole opere hegeliane,
pubblicate e postume. con l'indice dei volumi delle edizioni complete, in F.
WIEDMANN, Hegel, Hamburg, Rowohlts Bildmonographien, 1965; aggiorna-
menti bibliografici, bibliografie ragionate. nuovi testi e lettere hegeliani, nel-
le riviste « Hegel-Jahrbuch », 1961 (Dobbeck Verlag, Monaco), 1964 sgg.
(A. Hain, Meisenheim a. G.) e « Hegel-Studien » 1961 sgg. (Bouvier, Bonn),
organi delle· due associazioni hegeliane. rispettivamente la « Hegel-Gesell-
schaft » e la « Hegel-Vereinigung ». Edizioni fondmnentali delle opere he-
ge/iane: l) Werke Vollstiindige Ausgabe durch einen Verein von Freunden
des Verewigten: Ph. Marheineke, J. Schulzè, E. Gans, L. v. Henning, H.G.
Hotho, K.L. Miche/et, F. Fi.irster: 18 voli. (in 21), 1" ed. 1832-1845 e 2•
ed. 1840-1847. Come supplemento a questa edizione è stato pubblicato il
fondamentale Hegels Leben di K. RosENKRANZ, 1844, con un'appendice di
scritti giovanili e jenesi allora inediti (ora cfr. tr. it. Vita di Hegel, a cura
di R. BoDEI presso Vallecchi, 1966, senza l'appendice). Le due edizioni di
questa raccolta delle opere differiscono fra di loro, soprattutto circa il testo
delle Lezioni berlinesi. Questa edizione dell'Enciclopedia è la sola che con-
tenga le cosiddette " Aggiunte" (= Zusiitze) e .. Chiarificazioni ·· (= Erliiu-
terungen), raccolte da appunti hegeliani c da quaderni di scolari compilati
durante le lezioni: occupa 3 voli. ed è nota come Grande Enciclopedia;
2) Siimtliche Werke. Jubiliiumsausgabe a cura di H. GLOCKNER, 26 voli.,
Stuttgart, F. Frommann, 1949, 1959 3 : è una riproduzione delle due prece-
denti; notevole è la ristampa della Enciclopedia. 1817, l" ed.; coh1e sup-
plemento lo Hegei-Lexikon in 4 voli. e la monografia hegeliana del GLOcK-
NER, 2 voli. (che ha buoni capitoli sulla dialettica vista nella direzione del-
l'idealismo e storicismo tedeschi, cioè non mediata da Marx); 3) Siimtliche
Werke: a cura di G. LASSON, Leipzig, Meiner, 1911 sgg. È il primo tenta-
tivo di un'edizione critica completa delle opere hegeliane. Rimase incom-
piuta, in 21 voli. Importanti sono i volumi: Erste Druckschrijten (vol. r),
Schrijten zur Politik und Rechtsphilosophie (vu). Philosophie der Weltge-
schichte (vm-Ix: un testo molto più ampio di quello fino allora noto, su
questa edizone si fonda la traduzione italiana, v. sotto), Vorlesungen iiber
di e Geschichte der Philosophie, I (xva: è la sola Introduzione, in una reda-
zione critica, ampliata e datata, a cura di l. HoFFMÉISTER); 4) Siinitliche
Werke. Neue kritische Ausgabe: a cura di J. HOFFMEISTER, Hamburg,
Meiner, 1952 sgg. L'editore. che già aveva collaborato all'edizione Lasson,
lo sostituì e progettò a sua volta, alla morte del Lasson (1932}, un nuovo
piano che rimase incompiuto. Importanti sono: la raccolta degli scritti va-
ri degli anni berlinesi, la nuova· redazione dell'introduzione alla Philoso-
phie der Weltgeschichte e i 4 voli. di Brieje von und an H egei (con com-
mento, aggiunte, documenti e indici), 1952-1960, ai quali si è aggiunto il
volume fondamentale Hegel in Berichten seiner Zeitgenos.çen, a cura di
G. NICOI.IN (cfr. nostra recensione in « Il pensiero» 1970). Dopo la morte

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226 Guida bibliografica

di Hoffmeister (1955) si è pensato ad un grande lavoro collegiale, afTitìaw


allo « Hegel-Arehiv » (presso la Bochum-Universitlit) sotto gli auspici del-
la Deutsche Forschungsgemeinsclwft; si tratterà di una edizione completa.
storico-critica, delle opere, delle lezioni c delle lettere. Sono per ora usciti
solo due volumi di scritti a stampa e inediti del periodo di Jena: un;•
edizione, in grande formato, di altissimo livello scientifico (sempre presso
Meiner di Hamburg, 1968 c 1971). Infine: presso Suhrkamp, Frankfurl.
1971 è uscita un'edizione economica. tascabile delle opere, che riproduce
la prima qui citata. Opere posll/me: Hegefs Theplogische Jugendschriften.
a cura di H. NoHL, Tiibingen, Mohr, 1907: contiene gli scritti del periodo
giovanile della formazione hegelìana; Die Verjassung Delllschlands e Sy-
stem der Sittlichkeit: scritti molto importanti della fine del periodo giovani-
le e dei primi anni di Jena, ora pubblicati da LASSON, in Schriften zur Po-
litik ... , cit.; Jenenser Logik, Metapilysik une/ Nalllrphilosophie, a cura di
LASSON, 1923 e Jenenser Realplzilosophie, a cura di J. HoFFMEI S'I l'R.
1931: sono i cosiddetti sistemi di Jena. il testo delle lezioni tenute da He-
gel fra il 1802 e il 1806 (nasce e si sviluppa in tutte queste opere la
dialettica della scissione e riunifi,·azione, dell'alienazione e appropriazione,
dell'unità e differenza, sulla base di analisi storiche del mondo antico e
della Germania contemporanea. che si completeranno nella Fenomenolo-
gia 'con la dialettica del signore e del servo); Dokumente zu Hege/.1' Entwi-
c,klung, a cura di J. Hoffmeister, Stuttgart, Frommann, 1936: nuovi ine-
diti, dal periodo ginnasiale fino agli anni di Jena; è un complemento fon-
damentale del Nohl. Traduzioni italiane: Enciclopedia delle scienze filosofi-
che in compendio, tr. B. Croce, Bari, Laterza, 1907, 1963'; Lineamenti di
filosofia del diritto, t r. F. Messìneo, ivi 1913; nuova edizione 1954 con le
Note manoscritte di Hegel, tr. A. Plebe; Lezioni sulla storia della filosofia.
tr. G. Sanna e E. Codignola, Firenze, La Nuova Italia, 4 voli. .1930 sgg ..
1964' (testo della seconda edizione 1\1 ichelet); La fenomenologia dello spi-
rito, tr. E. De Negri. 2 volL ivi. 1933. 1964'; l-ezioni sulla filo-
sofia della storia, tr. G. Calogero e C. Fatta. 4 voli., ivi 1941 (r), 1947 (ul
e 1963 (I-IV) (testo del Lasson); l principi di Hegel (Frammenti giovanili.
Sc.:rittì del periodo jenese. Introduzione alla Fenomenologia), introduzione.
tr. e commento di E. De Negri, ivi. 1949. 19622 (cfr. ora la traduzione de-
gli Scritti teologici giomni/i raccolti da Nohl. a cura di E. MIRRI, Napoli.
Guida, 1972); Propedeutica fìlosofiw. tr_ Radetti, Firenze, Sansoni, 1951
(testo delle lezioni dedicate agli studenti del Ginnasio Liceo di Norimber-
ga); Sulla religione nazionale (frammento di TuhinRll), in appendice al
volume di C. LACORTE, l/ prinw Hegi!l. c.s. 1959; Scrilli politici a cura di
C. Cesa, Einaudi, 1972; Scritti di fìlosvfia del diritto ( 1802-3), tr. A. Negri.
Laterza, 1962 (contiene Le maniere di trattare scimtificamente il dirillo
naturale e Il sistema dell'Eticità); Estetica. tr. N. Merker e N. Vaccaro.
Torino, Einaudi, 1967; Rapporto dello scetticismo con la filomfia, I X02,
e Le prcJI'e dell'esistenza di Dio, presso Laterza 1970; Lo spirito
del cristiane.,imo e il suo destino. a cura di E. MIRRI. L'Aquila.
Japadre, 1970; Vita di Gesù, a cura di A. NEGRI, Laterza 197 J; Primi scrit-
ti critici (Fede e sapere, Differenza dei sistemi di Fichte e di Scflel/ingl, a
cura di R. BOD!òl, Milano, Mursia, 1971 e infine le Lettere. a cura di E.
GARIN, presso Laterza, 1972 (un'antologia; c'è una tr. fr., Gallimard, l'aris.
1962 sgg. del carteggio completo in 3 voli.: è in corso di stampa presso
Zanichelli di Bologna Lezioni sulla filosofia deÌ/a religione). Sono inoltre
da ricordare le due antologie: Introduzione alla .1·toria della filosofia, a cura
di L. PAREYSON e A. PLEHE, Bari, Laterza, 1956' (secondo il testo Hoffmei-
ster) e Il si.ltema filosofico. introduzione (fondamentale), tr. e note di A.

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Guida bibliografica 227
Banfi, Firenze, La Nuova Italia. 1966 (dall'Enciclopedia e dalla Filosofia
del dirillo). Ricerche su Hegel (indichiamo solo le opere fondamentali):
R. HAYM, lleKei und seine Lei!. Berlin 1857, Leipzig 1927' (ampliata. con
introduzione importante di H. RosENDERG): F. RosENZWEIG. lle!(el und der
Staat, 2 voli., Miinchen-Berlin 1920. Aalen 1962; R. KRONER, Vm1 Kan1
bis Hegel, 2 voli., Tiibingen 1921-24. 1961': E. DE NEGRI. lnterprelazionc
di l/ef?e/, Firenze. Sansoni. 1943, 1969': H. MARCUSE, Reason ami Rei'O-
lution. Ilege/ and t/w Rise of social Throry, London-New York 1941.
19542 (tr. it. Bologna. Il Mulino. 1966): G. LuKÀCS, Der junge Hege/.
Zi.irich-Wien 1948, Aerlin 1954 (tr. it. Torino. Einaudi, 1960): E. WEIL
Hegel et l'état, Paris 1950 (tr. it. in Filosofia e politica. Firenze, Vallecchi.
1965); E. BLOCH, Subjekt-Objckt. Erliiulenmgen ZII Hegel, B~rlin 1951.
Frankfurt a.M. 1962 (tr. it. parziale, con altri saggi hegeliani, in Dialettica
e speranza. Firenze, Vallecchi, 1967 e ora K. Marx. Bologna, Il Mulino.
(importante in particolare Marx e la dialettica idealistica); E. WEIL, Hegel.
Urbino, « Quaderni di Differenze », 1962 (brevissima, fondamentale intro-
duzione al pensiero di Hegell: A. BANfl, Incontro con lfe!(el. Urbino, 1965
(raccoglie tutti i saggi di Banfi su Hegel): si raççomanda anche L. MITTNER·.
Storia della letteratura tedesca, Torino. Einaudi, 1964, vol. 11, §§ 447-49.
Importanti gli studi generali e speciali apparsi in queste riviste in occasione
del centenario: « Logos », vol. xx, TUbingen 1932; « Revue de Métaphysi-
quc et de Morale :<>, vol. XL, Paris 1931; « Rivista di filosofia neoscolasti-
ca », vol. XXIII. Suppl., Milano 1932; « Il Pensiero ». VII, 1962, n. I -2:
AA.VV., Incidenza di Hegel. a cura di F. Tessitore. Napoli 1970; AA.VV ..
L'opera e l'eredità di 1-le;<e/, a cura di V. VERRA, Bari. Laterza, 1972 (con·
tiene una bibliografia delle riviste e delle raccolte ai studi per il 11 ccnte·
nario della nascita). Sulle opere giot·cmili di He;:e/: W. DILTHEY, Die Ju-
gendgeschichte l/egc/s. Berlin 1905 (di qui inizia la leggenda di Hegel ro·
mantico e mistico); Th. HAERINn, HeRel. Sein Wollen und sein Werk, 2
voli., Lcipz.ig-Berlin 1929-193l.l. Aalen 1963'; A. MASSOLO. Prime ricercht·
di Hegel, Urbino, 1959, ora in La storia della filosofia come problema.
nuova ed., Firenze, Vallecchi; i 967: C. LACORTE, Il primo l/e;:el, Firenze.
Sansoni, 1959 (sulla formazione hegeliana al Ginnasio e a Tiibingen). Sulla
Fenomenologia dello spirito: J. WAHL, Le malheur de la conscience dans lu
phi/osophie de Hegel, Paris, P.U.F., 1929, 1951': di qui inizia la cosid-
detta interpretazione esistenzialistica (tr. it. presso l'I.L.T.. Milano, 1971):
J. HYPPOLITE, Genèse et structure de la Ph. d. l'E., Paris, Aubier 1946
(tr.· it. Firenze. La Nuova Italia, 1972); A. KOJÈVE, lntroduction à la tec tu-
re de lleRel, Paris. Gallimard, 1962': tr. it. parziale in La dia/elfica e l'idea
della morte in Hegel, Einaudi, 1948: un'opera fondamentale, forse la più
importante - anche se. molto discutibile - sulla dialettica hegeliana, che
esercitò un'influenza enorme. Diffusione della filosofia he~:eliana: manc(l
ancora un lavoro esauriente c aggiornato: si veda J .E. ERDMANN, Darstel-
lung der deutsclzen Philosophie sei t H egels T od, l R96, rit. Stuttgart t 964 a
çura di Liibbe; W. MooG, l/egei und die Hegelsche Schule. Miinchen 1930:
K. Lowrm, Von He)<el zu Nietzsche, Ziirich-Wien 1941 (tr. it. Da Hegc/
a Nietzsche, Torino, Einaudi, 1949, 1959'). Sul senso della filosofia hege-
liana dopo Hegel cfr. ERIC WEIL, Pensiero dialertico e politica, in Fi-
losofia e politica, ci t.: A. MASSOLO, Marx e il fondamento della filosofia.
in Ricerche sulla logica hegdiww e altri saggi, cit.; L. MARINO, A. M ii/la.
Dialettica e controrivoluzione, in "Rivista dì filosofia", 1968, e per gli
studi contemporanei: L RICCI GAROTfl, Interpreti italiani di l/egei del do-
poguerra, in Heidegger contra l/egei, Urbino 1965. in particolare, sulla ge-
nesi del materialismo storico, si veda, nell'immensa bibliografia, oltre alle

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228 Guida bibliografica

opere filosofiche giovanili di Marx (tr. Della Volpe, Roma, Editori Riu-
niti, 19694 ; tr. Bobbio, Torino, Einaudi, 1949 ·(ristampa nella NUE); tr.
Firpo, Torino, Einaudi, 1950) e alle altre opere di Marx e di Engels per
le quali vedi bibliografia cap. 8, il UiWITH, cit., e M. Rossr, Marx e la
dialettica hegeliana, 2 voli., Roma, Ed. Riuniti, 1960-63. (cfr. Da H egei a
Marx, Milano, Feltri nel! i, 1970): un lavoro che sostiene tesi esattamente
opposte alle nostre su tutti i punti che riguardano Hegel, il rapporto He-
gel-Marx e Marx, troppo facilmente confutabili, tuttavia ricco di dottrina e
di informazione (cfr. avanti cap. 8.1 e nota 9). Infine, per ciò che riguarda
il tema della dialettica, si leggano alcune relazioni presentate al Seminario
di Heildelberg sulla Filosofia politica di Hegel a cura deli'Institut lnter-
national de Philosophie politique (non ancora pubblicate): W. KAUFMANN.
L'alienazione inevitabile; N. BOBBIO, L'idea di costituzione; L.W. BECK, La
Riforma. la Rivoluzione. la Restaurazione nella politica di Hege/; E. WEIL.
Il concetto di rivoluzione irr Hegel. Due parole: l'analisi di Weil è come
sempre cauta: Hegel non tematizza la rivoluzione; per lui è l'espressione
di una malattia dello Stato e questa malattia è ciò che gli interessa, e può
esprimersi in modo completamente diverso; di qui una serie di analisi sto-
rico-filosofiche, che ci aiuteranno a comprendere anche il rapporto-non-
rapporto Hegel-Marx. Sullo stesso tema O. PoGGELER, Filosofia e ri~·o­
luzione nel giovane H egei (1972): nonostante la buona informazione cir-
ca il complesso tessuto culturale nel quale si muove il giovane Hegel, non
ci convince la tesi che Hegel proprio per comprendere il fenomeno sto-
rico avrebbe inteso la rivoluzione come un'opera di trasformazione spiri-
tuale. Convinzioni opposte ·a quelle di Weil e insieme di Poggeler, mostra
di avere J. D'HONDT, L'appréciation de la guerre révolutionnaire par He-
gel, in De Hegel à Marx, 1972. Un altro testo di Weil sulla dialettica he-
geliana è citato alla nota 22 (cfr. Bibliografia generale): svolge il tema.
che ci trova del tutto consenzienti (il supporto stesso del· cap. 7.5 in par-
ticolare): della dialettica hegeliana, se si vuol comprenderla con H e geL
non sì può parlare, bisogna seguirla o rifiutarla. Su questo tema, seguendo
. i passi dell'Enciclopedia c della Scienza della logica, si veda anche J.N.
FINDLAY, Hegel oggi. Milano, I.L.l. 1972. Come il lettore avrà visto, per le
ragioni ampiamente addotte nel testo, non c'è una bibliografia specifica
sulla dialettica hegeliana come non t:è una sezione del filosofare, una par-
te del .sistema hegeliano intitolato " dialettica ". Una esauriente breve mo-
nografia sulle varie figure nelle quali si presenta quella che si è convenuto
comunque di chiamare la dialettica hcgeliana, in Pietro Rossr, La dialet-
tica hegeliana ( 19 58), che segue l'intera evoluzione del filosofo da Tiibin-
gen e Berna a Berlino.

8. Marx e Engels. La dialettica realizzata e la fine della dialettica


8.1-2. Le opere complete di Marx e di Engels cominciarono ad essere
pubblicate in una grande edizione storico-critica nel 1927 a Francoforte:
è la cosiddetta MEGA (Marx-Engels Gesamtausgabe) che restò incompiu-
ta. Ora disponiamo di una grande edizione a cura dell'Istituto per il marxi-
mo-leninismo del PC della RDT e dell'analogo Istituto di Mosca, pubblica-
ta, e in corso di completamento, presso Dietz Verlag di Berlino: 39 vo-
lumi di opere e lettere, 2 volumi di appendici, 2 volumi di cataloghi e
indici (Marx-Engels Verzeichnis). Purtroppo non esiste, ch'io sappia, una
bibliografia marx-engelsiana. Mi sono noti: E. DR AH N, Marx-Bihliographie.
Ein Lebensbild K.M. in biographischen und bibliographischen Daten, Ber-

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Guida bibliografica 229
lin-Charlottenburg, Deutsche Verlagsgesellschaft fiir Polìtik und Gesehi-
chte, 1920 e un lnhaltsl'erg/eichsre~ister der Marx-En;;els Gesamtausgaben a
cura di G. HERTEL, Berlin, Deutscher Verlag der Wissenschaften, 1954 (e
altre cronobibliografie delle opere - non della letteratura - di Marx che
non è qui il caso di citare). Possono considerarsi più che buone le tradu-
zioni italiane di quasi tutte le opere e le lettere di Marx e Engels uscite
presso Rinascita di Roma, poi ripubblieate, con nuove introduzioni e re-
visioni delle traduzioni presso gli Editori Riuniti, Roma, negli ultimi an-
ni. Vi si sono adoperati storici, marxisti c marxologi di competenza indub-
bia. Citiamo i titoli, nomi e date relativi alle opere prese in considerazione
nelle note ai vari luoghi del testo. Quanto alla bibliografia, in una situazio-
ne nella quale la ricerca teorica si intreccia con il dibattito politico quoti-
diano e ne è immediatamente condizionata, non è possibile non operare
delle scelte, indicando solo i testi sui quali ci si è fondati e i punti di ri-
ferimento oggettivi, cioè gli elementi che hanno provocato un dibattito.
Il lettore procederà poi da sé e vorrà tener presente che, dato il tema e
l'impostazione della nostra ricerca, numerosi riferimenti bibliografici sono
già stati dati nel capitolo precedente e potranno essere riscontrati nel,l'elen-
co posto qui alla fine. Sul rapporto Marx-Hegel, oltre alle opere di MASSO·
LO, WEIL, LUPORINI, COLI.ETTI, DELLA VOLPE, T!MPANARO, BADALONI.
Lmùcs e GuRWITCH, citate nella bibliogra"fia generale deiJa " Premessa " e
qui nelle note, si tenga ancora presente: M, RAPHAEL, Zur Erkenntnistheo-
rie der konkreten Diale,ktik (1934), che è forse l'ultima espressione, almeno
di qualche rilievo, di una interpretazione gnoseologica della dialettica
marxiana, un punto di vista idealistico-primo-ottocentesco che oggi riaffiora
nella peggiore scolastica dei sordi. presunti ideologi di partito (una realtà,
ovviamente, con la quale bisogna fare i conti: si pensi, per es., a Zdanov);
" Atti del Congresso internazionale di Filosofia ", Roma 1946, tomo n, Il
materialismo storico, 1947, che ci offre il primo panorama della ripresa de-
gli studi hegcliani e marxistici dopo la guerra; Atti del convegno di studi
hegeliano-marxistici, Roma, Istituto di Filosofia del diritto dell'Università,
1948, un complesso di interventi di grande importanza (poco noti e poco
studiati) soprattutto nel quadro del rinnovamento della cultura italiana;
nell'estate 1962 e 1971 si è svolto su "Rinascita" un serio dibattito su
questo tema che meriterebbe di essere raccolto in volume; nel 1955 sulla
" Deutsche Zeitschrift fiir Philosophie " si è sviluppata un'analoga discus-
sione sulla quale riferisce N. MERK~R, Una discussione sulla dialettica,
ora in Dialettica e storia (s.d.), interessante perché mostra ancora una vol-
ta lo scontro fra una ideologia burocratica e un'elaborazione teorica in
movimento nelle contraddizioni di una società (quella della RDT) in co·
struzione; N. Bonnro, La dialettica in Marx (1958), una delle più semplici
ed equilibrate esposizioni del problema; M. DAL PRA, La dialettica in Marx.
Du;;li scritti giovanili all'" Introduzione alla critica dell'economia politica"
(1965), l'analisi più ampia e documentata che possediamo sull'argomen-
to. Una esposizione dell'attuale stato della questione (recupero, di-
ciamo così, di Engels incluso) si legge nell'articolo di G. PRESTIPINO.
Momenti e "modelli" della dialettica marxista (1972). Buona presen-
tazione di "Hegel e il materialismo storico" nella prima parte di. D. CoR-
RADINI, Politica e dialettica, 1972.
8.3. Per questo paragrafo rinviamo ai testi citati nelle note. Sul libro di
Marck, citato nota 45, si veda H. MARCUSE, Zum Problem der Dialektik
(1930), che difende il LuKÀcs di Storia e coscienza di classe (1923), cioè
il concetto della storicità della dialettica come totalità nella situazione, pur

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230 Guida bibliografica

in un momento in cui Lukàcs polemizzava con il cosiddetto mcccanicismo


e positivismo di Engels. Certo all'interno degli Anni venti si deve tener
conto del dibattito che si accese sul "marxismo" di E. Bloch, K. Korsch
e Lukàcs, un marxismo teorico, acutissimo, che aveva il vizio di non es-
sere maturato a sufficienza a contatto con le lotte della classe operaia, di
non aver scontato la propria origine borghese: questa l'accusa degli orto-
dossi, i quali però non scrissero un rigo degno di attenzione. Ma, a nostra
conoscenza, questo dibattito, per ciò che concerne la dialettica. inftul mag-
giormente nel secondo dopoguerra: un'eco in « Arguments ». n. 7, 195!ì.
ma si pensi a L. Goldmann e allo stesso Sartre e alla ripresa ·· strutturali-
sta" (cfr. nota 38). Cfr. ora C. LUPORINI. Marx secondo Marx; 1972, che
mi pare prenda le distanze da Althusser, finalmente, accentuando il tema
storia, il momento dell'analisi storica operante all'interno della problemati-
ca del Capitale. Sul tema Sartrc-marxismo-strutturalismo un buon punto di
riferimento resta il confronto Sartre-Lévi-Strauss, per cui cfr. il cap." Hi-
stoire et dialectique " di La pensée sauvage, 1962. Sul tema marxismo-esi-
stcnzialismo si veda Marxisme et existentialisme. Controverse sur la dia-
/ectique, 1962 e di A. MAssoLO, Frammento etico-politico, 1958, in parti-
colare la postilla su Sartre. Ma si deve sottolineare che ora non è più o
non è soltanto la dialettica che viene posta in questione, ma è l'intera fi-
losofia contemporanea, il senso stesso del suo intervento. Due sociologie.
per esempio, positivistico-scientifica l'una e di ispirazione umanistica l'al-
tra si confrontano nel nome della dialettica, rivendicando due parziali con-
cetti della scienza, sostanzialmente astorici e quindi antidialettici: si vedano
gli interventi di K. POPPER, Th.W. ADORNO, ] . HABERMAS e altri, in Dia-
lettica e positivismo in .wciologia (1972: il dibattito si svolse nel '61). Ma
lo stesso fenomeno si verifica all'interno dell'esistenzialismo, come dimo-
strano W. BROCKER, Diah-ktik. Positivismus, Myt/wlogie, 1958, e M. MER-
LEAU-PONTY, Existence et dialectique, 1956 (ma anche Les (n•entures de
la dialectique, 1955) e all'interno del neopositivismo, per cui cfr. C. CA-
SES, Marxismo e neopositivismo, 1958. Allora si comprende, evidentemen-
te, perché la letteratura sia sterminata e qualsiasi scelta arbitraria. I testi
che abbiamo indicato qui e nelle note stanno ad indicare, in positivo e in
negativo, che dialettica ha un senso solo per quella filosofia che accetta di
fare i conti col marxismo oppure. ciò che per noi è lo stesso, con il risulta-
to del marxismo, c cioè che la realtà, l'essere sociale dell'uomo è il primo.
e che questo fatto è la dialettica stessa, il nostro essere nella città e il
nostro volerei comprendere in essa nel suo continuo modificarsi ad opera
nostra. Al di fuori di questo fatto - siamo andati dimostrandolo adducen-
do qualche ragione - c'è la letteratura, l'accademia, la scolastica, le par-
rocchie - contrarie c uguali.

8.4. Le opere di GRAMSCI, non soltanto i Quaderni dal carcere, sono state
pubblicate da Einaudi, Torino, 1948 (il volume Passato e presente contiene
un indice per materie). Una buona raccolta è ~tata pubblicata presso Il
Saggiatore, Milano 1964, col titolo Duemila pagine di Gramsci. Su Gram-
sci la letteratura è piuttosto scarsa: una prova, a nostro avviso, della mo-
destia (per tacer d'altro) dell'elaborazione teorica del marxismo italiano
(si tenga, tuttavia, presente, N. BADALONI, Il marxismo italiano degli anni
sessanta, 1971 c Per il comunisnw, 1972 c G. VACCA, Politica e teoria nel
marxi.wno italiano 1959-1969. Bari, De Donato, 1972). L'interesse per
Gramsci è piit attivo su altri fronti come possono testimoniare gli atti dei
due convegni gramsciani ora pubblicati: Studi gramsciani, Roma, Ed.
Riuniti, 1958 e Gramsci e la cultura contemporanea, Roma, Editori Riu-

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niti, 1969, 2 voli. Sulla dialettica in Gramsci. il ~olo contributo di N.


BOBBIO, citato nota 56. e ripreso nel nostm testo. Ricordiamo P. SALVUCCI.
Gramsci e la storia della filosofia, in Studi Gram.1·ciani. dt., ora in Saggi,
Urbino, Argalia, 1963 e il contributo di A. PIZZORNO, Sul metodo di Gram-
sci: dalla sloriografìa alla scienza politica. in Gramsci e la cultura conlem-
pm·anea, cit., che dimostrano ancora una volta. ed è necessario sottolinearlo.
come una riflessione m/fa dialettica non ha piì1 necessariamente ad og-
getto la dialettica - se hanno un senso le pagine e le annotazioni che sia-
mo venuti redigendo in questo libretto.

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Enciclopedia filosofica ISI<DI

l Arte di D. Formaggio
2 Segno di U. Eco
3 Dialettica di L. Sichirollo
4 Mito di F. Jesi
5 ·Logica di M.L. Dalla Chiara Scabhi
6 Etica di C.A. Viano
7 Natura di P. Casini
8 Valore di c. Napoleoni
9 Materia di A. Pacchi

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