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Livio Sichirollo

La dialettica

ISEDI Istituto Edito~iale Internazionale

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Prima edizione, maggio 1973.
Prima ristampa, gennaio 1977.
Copyright @ 1973 by ISEDI,
Istituto Editoriale Internazionale
Via Paleocapa, 6 - 20121 Milano (Italia).
:B vietata la riproduzione, totale o parziale, della
presente opera, con qualsiasi mezzo, compreso le
copie fotostatiche e i microfilm. I relativi diritti
sono riservati per tutti i Paesi.
Stampato in Italia - Printed in ltaly.

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Indice

9 Introduzione

13 l. Dialettica, la parola e la cosa: etimo-


logia e preistoria
13 1.1. Premessa
14 1.2. Il verbo ~taÀÉyetv, ~taMye0'3at
15 1.3. Il sostantivo ì..6yoç
17 1.4. Un'interpretazione di Seno/onte·
18 1.5. Esempi di ~taÀÉyea3m in Ome-
ro, Erodoto e nell'uso attico

24 2. Esperienze dialettiche tra i Sofisti e


Socrate
24 2.1. Oratoria e sofistica
27 2.2. Dialogo e dialettica. Il punto di
vista di Aristotele
30 2.3. Dialettica e filosofia. lppia e Pla-
tone
34 2.4. Protagora e Gorgia. La dialetti-
ca nelle contraddizioni della re-
torica
37 2.5. L'esperienza socratica

41 3. Dìalogo, dialettica e filosofia in Pla-


tone
41 3.1. Premessa
43 3.2. Dialogo e dialettica
47 3.3. La dialettica come problema
51 3.4. La dialettica come "metodo " e
come " scienza " (la Repubblica)
55 3.5. Dialettica e politica dopo la Re-
pubblica

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6 Indice

60 4. Logica e dialettica, storia e filosofia


in Aristotele
60 4.1. Filosofia e coscienza comune: si-
}uazione della filosofia aristote-
lica
63 4.2. La " storia della dialettica " se-
condo Aristotele
68 4.3. Il rapporto sofistica, dialettica e
filosofia (Retorica e Metafisica)
72 4.4. Dialettica e antologia (Topici)
74 4.5. Dialettica, storia, politica

83 5. Morte e trasfigurazione della dialetti-


ca antica. Dagli Stoici all'età moderna
83 5.1. Dialettica soggettiva e dialettica
oggettiva
86 5.2. Qualche considerazione sulla
" dialettica " degli Stoici
92 5.3. La dialettica, ·ula parte più no-
bile della filosofia " secondo Pio-
tino
95 5.4. Figure, problemi e metodi della
dialettica nel Medioevo. Gli intel-
lettuali e il mondo delle città
97 5.5. Fiore e scorpione, scettro e ser-
pente: la dialettica nell'icono-
grafia
101 5.6. Fede e sapere
106 5.7. u Ars sermocinalis ": le Univer-
sità e la Scolastica
113 5.8. La società civile e la dialettica
delle cose. <·La ricchezza è po-
tere "

118 6. Kant. La finitezza dell'uomo e l' "ine-


vitabile " dialettica della ragione
118 6.1. Premessa. Kant e la tradizione
121 6.2. Analitica e dialettica
124 6.3. La dialettica come logica ·del-
l'apparenza. La finitezza dell'uo-
mo e l'illusione trascendentale

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Indìcc 7

127 6.4. /ntellett() e ragione, fenomeni e


noumeni
130 6.5. L'oggettività della contraddizione
e l'inevitabile dialettica della ra-
gione
133 6.6. La dialettica tra l'essere finito
dell'uomo e la sua libertà

13 7 7. Da Kant a Hegel : ragione, storia, dia-


lettica
13 7 7.l. Il dibattito sulla dialettica tra-
scendentale kantiana
141 7.2. Fichte e Schelling oltre e contro
Kant
146 7.3. Hegel contro Schelling. L'assolu-
to - realtà e ragione - come
storia
149 7.4. La dialettica non è un metodo
152 7.5. Dialettica è la realtà effettuale,
la storia
155 7.6. Il "mondo rovesciato" dell'uo-
mo comune
158 7.7. Il razionale è reale, il reale razio-
nale. "La dialettica non è sem-
plice vanità o smania soggettiva "

161 8. Marx e Engels. La dialettica realiz-


zata e la fine della dialettica
161 8.1. Il rapporto Hegel-Marx e la dia-
lettica: uno pseudoproblema fi-
losofico
168 8.2. Eric W eil: Marx e la Filosofia
del diritto
182 8.3. Intermezzo dialettico con Marx e
contro Marx
187 8.4. Storia, " blocco storico " e ideo-
logia in Gramsci

198 Epilogo

206 Guida bibliografica

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a Eric Weil

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Introduzione

" Un grande dibattito ebbe luogo in terra greca, un dibattito


determinante la direzione dell'intera storia del pensiero che più
non si muove lontano dal cammino dell'uomo (Parmenidc, fr. I),
ma lungo il sentiero stesso degli uomini. Noi dobbiamo restituire
ai primi eroi di questa lotta, a Protagora <pOQ!J-O<p6goç (facchino),
a Gorgia la loro gloria, e individuare in loro non i negatori di
uno scolastico criterio della verità, ma i primi grandi sostenito-
ri che il sapere non è una visione solitaria, che il sapere è co-
municazione, e che ciò che non è comunicabile o esprimibile non
è sapere ". Quando Massolo all'inizio degli anni sessanta diceva
queste parole (v. bibliografia) entrava nel vivo della problematica
contemporanea che ancora una volta si interrogava sul senso
della dialettica, nel suo rapporto con la realtà sul significato
della presenza di Marx e di Hegel nel nostro tempo. Egli ci
offriva anche, esplicitamente, una guida per intendere la storia
della dialettica, nel suo rapporto con la realtà, sul significato
le figure della dialettica si riconoscesse, cioè riconoscesse sè stes-
sa nel suo rapporto con la realtà e con le cose, nel suo uscir
fuori da queste.
La dialettica - nata in terra greca, almeno secondo il nostro
modo di intenderla. E rappresentò subito - come vedremo - il
nuovo ordinamento dei demi (quel po' di democrazia che fu pos-
sibile agli· albori della civiltà occidentale) contro l'ordine aristo-
cratico o meglio tribale, erede (o comunque l'equivalente), per
schematizzare, di ciò che va sotto il nome di dispotismo orien-
tale. Di contro alla libertà del principe, di uno solò, nascevano
le ·libere costituzioni delle città e con esse la libertà di molti o al-
meno di alcuni. Era la fine del mondo degli eroi, dei re-sapienti,
dei veggenti. È l'inizio del discorso, della comunicazione, impo-
sta dalla necessità di trovare il consenso e l'accordo nel dibatti-
to, da parte di molti, su un concetto (giuridico, politico). È la

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10 Introduzione

dialettica. Il sapere come visione viene dichiarato non-sapere, la


morale aristocratica, " che .sorge da un trionfante dir di sì a se
stesso", viene parimenti rifiutata.
,Non a caso abbiamo ricordato questo intervento dell'inizio de-
gli anni sessanta, uno dei tanti momentì di restaurazione politica
e culturale in Italia. Non a caso l'autore dal quale abbiamo preso
le mosse polemizzava con Heidcgger e attraverso Heidegger con
Nietzsche,' l'anti-Socrate della cultura contemporanea. Socrate, il
dialettico, il figlio di uno scalpellino, colui che strappò la filosofia
al cielo c la portò fra gli uomini (come rivelò subito Aristotele,
ripreso e divulgato da Cicerone), avrebbe incarnato lo spirito del-
la vendetta: " la dialettica è soltanto una forma della vendetta ";
" con la· dialettica la plebe prende il sopravvento ". E Nietzsche
chiamava i dialettici, cioè i predicatori dell'uguaglianza, " taranto-
le ": " Lo spirito della vendetta, questa è stata la migliore rifles-
sione degli uomini... l'odio della volontà contro il tempo e contro
quello che fu ". Sembra la cronaca dei nostri giorni, la citazione
da un quotidiano ufficiale (o ufficioso). Aristotele darà ragione ai
Sofisti e a Socrate, alle " tarantole ". Con la dialettica· rivendiche-
rà l'importanza dell'opinione e conquisterà alla filosofia il mon-
do d~ll'uomo comune, cioè" quell'intelletto che voleva trovare una
spiegazione per ogni cosa, tale che ognuno potesse comprenderla
e portarla al mercato " - e questa definizione sulla penria di Hei-
degger non suona certamente approvazione o elogio. La figura
dell'uomo comune, che si aggrappa alla sua ragione e vuole so-
stenerne le ragioni, che si sviluppa, quindi, accanto alla retorica,
fino a confondersi con essa, accompagnerà l'intera storia dell'uo-
mo, delle comunità umane raccolte nelle città.
La città è il vero luogo d'origine della dialettica, e questo spie-
ga la sua importanza anche nel pensiero medievale. Certo, qui è
soprattutto tecnica della disputa, retorica appunto, ma difesa del-
le pretese della ragione e della scienza di fronte ad un ordine
fondato o che si voleva fondato sulla fede. Poi nasce la scienza
nuova da una parte, le tecniche della produzione daJI'altra come
risultato dell'evolversi della vita delle città, del moltiplicarsi delle
loro esigenze; esigenze dell'uomo, create dall'uomo - ma finiran-
no per averne ragione. E: l'industria, la società mercantile, il mon-
do delle cose. Alla dialettica come scienza o tecnica dei discorsi
sulle cose va sostituendosi, proprio in un'epoca in cui di dialetti-
ca non si parla più (e. questo è particolarmente significativo), la
dialettica delle cose. Filosofia, politica, storia, sociologia e an-
tropologia si intersecano e si confondono nell'età che prepara
e accompagna la rivoluzione industriale. E: un'epoca di grandi

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Introduzione 11

tensioni. Al suo compimento stanno la Rivoluzione francese da


una parte e Kant .dall'altra.
Notiamo solo che Kant riscopre la dialettica, la restituisce al-
la filosofia, ma è una dialettica trasfigurata: la dialettica è della
ragione, è la ragione stessa, una sua opera necessaria e inevi-
tabile, ma è insieme la dialettica della realtà, il segno della pre-
senza di un mondo che non può non essere considerato come con-
traddizione e antitesi. Contraddizione e antitesi: il mondo, reale,
dell'uomo e deUa sua città, ora società borghese, del cittadino la-
cerato dalla proprietà. In questo senso da Kant a Marx si chiu-
de e si riapre ad un tempo quel grande dibattito che ebbe luogo
in terra greca: quel mondo dell'antitesi, dell'alienazione, il so-
lo mondo nel quale l'uomo può e deve vivere e lavorare - per-
ché è il mondo che è - non un'invenzione dci filosofi - è vera-
mente il mondo, la città dell'uomo, per l'uomo? Se l'uomo, alie-
nato, vuole ritrovar se stesso, superare quel suo esser-altro, non
potrà farlo che trasformando, spezzando la realtà storica che
rende (necessariamente) possibile quella situazione. La dialetti-
ca delle cose (quindi anche della lotta di classe) impone la di-
struzione e ·la trasformazione delle cose: la costruzione di un
mondo più umano lo richiede. Questo il risultato, il nodo storico
della storia del pensiero tra la Rivoluzione francese e Marx: la
filosofia riconosce la realtà dialettica, e riconosce questa realtà
come disumanizzante; trasformanla significa fare appunto appel-
lo alla dialettica - e nello stesso .tempo sopprimerla. Non è affat-
to una tesi, più o. meno paradossale: realizzare quella filosofia
che ha riconosciuto se stessa e la realtà come dialettica significa
riconoscere che la dialettica non è più un problema meramente
filosofico. Dopo Marx, infatti, altre mani hanno raccolto la filo-
sofia - e lo afferma Engels quando riflette sulla genesi del " mar-
xismo ", quando dichiara: " il proletariato è l'erede della filo-
sofia classica tedesca ". Appunto il rovesciamento della dialettica,
anzi il suo venir posta da parte.

Se ci è consentito di anticipare qualcosa della conclusione del-


la nostra storia, possiamo dire che, a ben guardare, .la dialetti-
ca esiste solo, oggi, per coloro che si pongono il problema della
" dialettica " come problema filosofico. Oggi, ma non solo oggi,
nella sua storia la dialettica apparirà come l'elemento di media-
zione per quei filosofi che investono con un interesse positivo Ja
politica e la realtà sociale, e se ne lasciano sollecitare. Proprio
per questo, proprio per non essere un problema " filosofico ", quel
dibattito che balzò fuori nel e dal mondo greco è ancora aperto

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12 Introduzione

oggi. Ed è ancora ~l dibattito tra il sapere come visione e il sape-


re come comunicazione, tra la scolastica o meglio le scolastiche,
cioè le filosofie che filosofano sulla filosofia (un fatto presente
anche nel marxismo contemporaneo) e quell'intervento dell'uo-
mo, politico o filosofo, che non riconosce la pretesa della coscien-
za privata di farsi inizio e di contenere il senso del filosofare, tra
" l'idealismo " delle scolastiche (e della dialettica: ma in questo
caso, se ha un senso e ciò che abbiamo detto e la storia che ci ac-
cingiamo a ricostruire, non si tratta affatto di dialettica), delle
astratte metodologie, delle ricorrenti analisi sulle " strutture ", e
quella ricerca che per tradizione continuiamo a chiamare filosofia
in quanto essa si riconosce in una situazione; storica, reale, e del-
la situazione di volta in volta mette allo scoperto le componenti
(strutturali, sovrastrutturali, ideologiche), quella ricerca che solo
in astratto è o filosofica o scientifica o storica, ma di fatto tiene
ferma l'unità di queste differenze e determinazioni e si costruisce
su questa unità. Marx ed Engels lo avevano indicato: la fine della
" separazione " fra scienze umane e scienze natùrali, fra storia
dell'uomo e storia della natura, fra dialettica come metodo per
intendere Ja realtà a partire dal suo interno e filosofia come siste-
ma, costruzione ideologica o itinerario personale posto come og-
gettivo.
Ma, diciamo ~a verità, che cosa sappiamo, oggi, di loro, im-
mersi nelle scolastiche, incapaci di opporci alle ricorrenti restau-
razioni? Il dibattito contemporaneo, al quale brevemente accen-
neremo, dimostra e la verità, da una parte, e il non-senso, dall'al-
tra, d~1le nostre inquietudini, delle nostre incapacità. Ma esso ci
indica anche il cammino da percorrere. Allora, e solo in questo
senso, possiamo affermare che è pur vivo lo spirito della dialet-
tica, cioè quel bisogno di cui parlava Socrate, di vivere nella cit-
tà, di non potersi soddisfare nella contemplazione <iella campa-
gna e degli alberi. La filosofia ha bisogno di realtà. Solo in que-
sto senso possiamo riaflermare la lezione di quel grande dibatti-
to che ebbe inizio in terra greca: in principio era la dialettica,
perché in principio è la città.

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l. Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria

1.1. Premessa

" Dialettica " è una parola che soltanto Platone consegna alla
storia della filosofia e attraverso la storia della filosofia alla cul-
tura in generale. Per essere più precisi potremmo forse dire che
tale operazione viene compiuta già da Socrate, ma dal momen-
to che non ci ha lasciato nulla di scritto dovremmo fondarci sul-
l'autorità di testimoni che erano troppo intelligenti, troppo colti
e, per i loro grossi impegni politici e culturali, troppo accorti per
essere del tutto oggettivi - troppo filosofi insomma. Ma non è fa-
cile mettere d'accordo Platone e Aristotele, Senofonte e Aristo-
fane. D'altra parte a noi ora interessa il documento scritto, non
la genesi di un atteggiamento che fu spontaneo, forse, prima di
essere filosofico o meglio prima di essere interpretato come filo-
sofico. A noi interessa non già l'inventore di un problema (e non
ci interessa perché il filosofo, se è vero filosofo, non inventa mai
i propri problemi, ma li trova, li individua nella realtà, nel dive-
nire del mondo umano che egli fa oggetto della sua riflessione),
bensì come un problema si è fatto tale per un filosofo, come un
fatto è divenuto problema ed è stato successivamente interpretato.
Cercheremo, dunque, di delineare la genesi linguistico-concettua-
le di lhaÀÉyecr{lm (dialettica), ma non ci occuperemo di presunte
figure dialettiche o della dialettica che potremmo anche trovare
nei più antichi autori. Una ricerca simile è destinata a muoversi
su un piano assolutamente arbitrario e a condurre a risultati del
tutto problematici. Infatti, o si deve accettare un generico con-
cetto della " dialettica " (per esempio : lo spirito della contrad-
dizione, la facoltà di rendere falso il vero e vero il falso, come
ritenne anche Goethe; oppure: " ... caratteristica della dialettica
è di non essere mai soddisfatta", dice R. Schaerer, storico e filo-
logo classico), un simbolo da applicare con significati e sfumatu-

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14 Dialettica, la parola c la cosa: etimologia e preistoria

re diversi, oppure si assume come mezzo di interpretazione una


delle figure storiche della dialettica (platonica, per esempio, o
aristotelica... ). In entrambi i casi si dà per presupposto e risolto
un problema che è ancora da chiarire nella sua genesi.

1.2. Il verbo atuÀ.Éysw, <lw/.Syso1'tctL


Prima di Platone incontriamo il verbo <ILctÀÉyEo1'tuL e l'aggettivo
sostantivato <lu:D,EKtoç, che significa lingua, modo di parlare; le
due forme <ltw.oyoç c <ltuÌcF.x.nx.oç ricorrono soltanto in Platone e
non si può affermare con sicurezza che si tratti di un caso for-
tuito della tradizione. Il verbo è usato da autori del v secolo, ma
si trova già in Omero, Archiloco e Saffo. Mette conto esaminare
questi luoghi per cercare di chiarire con esempi il significato del
3taÀiiyEa&m nell'accezione prefilosofica, nel suo uso comune. Il
linguaggio va spiegato anche storicamente, non c'è un significato
in sé della parola, non c'è un rapporto in sé tra la parola e la cosa
·o l'azione significate, e quindi non c'è neppure un destino metafi-
sica delle parole o di certe parole, sicché si debba ritenere che
la loro storia risulti necessariamente condizionata dall'interno.
Vediamo in primo luogo la struttura del verbo bwMynv,
btaMyfm'h:u.. Nel preverbo (che, considerato separatamcnte, equi-
vale al dis- latino in composti come discerpo, discerno, disiungo
ecc.) è presente l'idea di separazione, di divisione in due, di di-
stribuzione, di differenza e anche di compimento 1• In. particolare,
nell'uso attico, il l'na- esprime emulazione o anche, c meglio, il
concorso di più soggetti in un'azione con influenza reciproca: si
vedano per esempio i verbi, in genere di forma media, 3w~wA.o­
y€o~tuL, intendersi, stabilire qualcosa di comune accordo; <ltax.E-
Àf.l)o~uu incoraggiarsi, esortarsi reciprocamente; bwBod.o~m gri-
dare a gara, e altri. Basterebbe questa constatazione per spiegare
il significato generale e fondamentale del nostro verbo, un signi-
ficato che rimarrà costante nella lingua e nella letteratura antiche,

1 Abbiamo tenuto presente: W. M tiRI, Das Wort Dialektik bei Plato,

in « Museum Helvcticum », I, 1944, n. 3, in partic. pp. 152-3; MEILLET-


VENDRYES, Traité de gratm.naire comparée ... , Paris 1948, pp. 521 sgg., 782
sgg.; ScHWYZER-DEBRUNNER, Griechische Grammatik, vol. n, Miinchen
1950, p. 448 ("Il significato fondamentale entzwei, auseinander, zer-, è del
tutto mantenuto nel latino c nel gotico, ma nel greco solo nell'uso prever.
biate"; F'RISK, Griechisches Etymo/ogisches Worterbuch, fase. 4 (1956),
p. 383.

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Il sostantivo Myoç 15

nello stesso Platone, dove è opposto a " contendere " o a " di-
sputare " (ÈgftEtv), e vale disputare con reciproca comprensione
e soddisfazione allo scopo di un comune miglioramento e appro-
fondimento della cosa, conversare, insomma, nell'accezione più
alta del termine; Platone lo oppone anche a &fj!J-T)YO!.JELV, parlare
come pJ.Ibblico oratore, tener concione, ed è interessante ricordare
qui la traduzione che Croiset propone di lhaJ,Ex-nr.&rtEQOV (nella
sua traduzione, presso Les Belles Lettres, di un noto passo del
Menone, 75CD): "in un modo più conforme allo spirito della
conversazione ".

Analizziamo ora la radice del verbo (ì,Ey /Àoy: ÀÉynv, cfr.


Myoç). Ci limiteremo solo a qualche osservazione, a delineare i
contorni di questo fenomeno linguistico che è uno dei più com-
plessi e dei più studiati per le sue numerose connessioni con i
vari campi della scienza dell'antichità. Il valore etimologico di
Mynv è razionale e distributivo, indica, cioè, il calcolare e il
modo di ripartire una quantità; solo in un secondo tempo il verbo
acquista il suo noto valore dichiarativo indeterminato di par-
lare, e questo grazie anche al medio ÀÉyo~tw. (" intrattenersi, di-
scutere "), nel quale è presente il valore distributivo della radice
e l'idea di reciprocità del medio. Lo schema dell'evoluzione del
verbo può essere questo: l) raccogliere, scegliere e, solo in gre-
co, numerare, far di conto; 2) solo in latino percorrere in senso
locale, quindi, nelle due Hngue, percorrere in senso figurato enun-
ciativo: enumerare, raccontare, dire, parlare (in latino: leggere
la lista dei senatori, cioè fare l'appello dei senatori). L'evoluzione
compiuta da questo verbo in latino è caratteristica: lego, leggere,
e lego, scegliere, sono diventati due verbi indipendenti; per un
contemporaneo di Cicerone legere oleam e legere librum non han-
no nulla in comune. Queste due idee hanno finito, dunque, per
intrecciarsi nel significato di argomentare, dire qualcosa con or-
dine e simili, come vedremo fra poco.

1.3. Il sostantivo ì.oyo;


Il sostantivo Myoç ci mostra un'evoluzione e un risultato ana-
loghi. Àoyoç raccoglie l'eredità di· bwç e ~tv&oç che in un certo
senso ad esso si contrappongono: il primo è parola, vocabolo,
verbum, ma in senso assolutamente determinato e astratto, men-
tre il secondo significa pensiero che si esprime, opinione, lin-

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16 Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria

guaggio. Oltre, dunque, al valore etimologico, razionale puro, di


calcolo, numero (donde poi la ragione matematica, la proporzio-
ne), sono ad un tempo impliciti in Myoç i significati di vox, pa-
rola, e ratio, ragione. Quest'ultima è la facoltà dell'intelligenza
(in Democrito per es.), ma anche l'argomento, la spiegazione di
cui l'intelligenza si serve; vox, parola, è l'espressione in gene-
rale, il. diseorso in particolare (la definizione come termine filo-
sofico, il concetto in Aristotele), e in questo senso indica la
forma e il contenuto dell'espressione, il tema e la sua esposizione.
Omero, nei due soli luoghi in cui logos ricorre, al plura:le, è estre-
mamente significativo. Odissea, I 59: Calipso cerca di far di-
menticare ltaca a Odisseo con discorsi artificiali; Iliade, XV 393:
con parole abili Patroclo distrae dal dolore Euripilo ferito. Sono
dunque presenti gli espedienti oratori della sofistica e gli ulteriori
sviluppi razionali. All'alba della sua storia logos evoca un cal-
colo, una stima, conto e profitto.
Per finire e per chiarire ulteriormente si noti la contrappo-
sizione A6yoç: taTOQ la : questo secondo termine è da ricondursi
alla sfera della conoscenza empirica, della raccolta di notizie, an-
nuncia la ricerca, la storia, secondo la celebre dichiarazione in-
troduttiva di Erodoto: " Questa è la esposizione delle ricerche di
Erodoto... " (I, l).
Indipendentemente dalla loro complessa evoluzione, possiamo
dire che, mentre dnEiv (o altro verbo di dire) indica j,J semplice
parlare, il raccontare anche, ÀÉyav implica un parlare che racco-
glie degli elementi per spiegare qualcosa, un parlare che argo-
menta. Di qui un'ambiguità, che non si ritrova affatto in d:n:Ei:v
/ìtrtoç. Possiamo trovare esempi di questo genere: nella stessa pro-
posizione qJl1at o ÀÉya può essere immediatamente seguito da un
secondo ÀÉyn o ÀÉywv: col primo verbo vengono introdotte le pa-
role effettivamente dette da chi parla o da chi sostiene qualcosa,
mentre con il secondo viene presentata la loro interpretazione.
Analogamente Myoç è parola e senso, significato e significante.
La nostra lingua non offre l'equivalente e perciò dobbiamo di
volta in volta precisare nella traduzione, mentre questa possibi-
lità è offerta da altre ,lingue, dal tedesco per esempio, che con
Sinn può rendere, almeno fino ad un certo punto, la complessa
struttura di Myoç. L'ambiguità del termine risulta pienamente
dal fr. l di Eraclito, dove è presente anche la sua accezione filo-
sofica: "Questo logo, che pure è sempiterno non Io intendono
gli uomini, e prima che n'odano e tosto udito ne abbiano; e pur
tutto avvenendo secondo tal logo, inesperti ne sembrano... ". II
testo è molto difficile, ma almeno questo· sappiamo, che Myoç in-

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Un'interpretazione di Senofonte 17

dica: l) semplicemente ciò che dice Eraclito, 2) il senso di ciò


che egli dice, 3) la legge, l'ordine cosmico, che Eraclito nelle e
mediante le sue parole cerca di esprimere c di formulare 2•

1.4. Un'interpretazione di Senofonte


Analizzate le componenti, ritorniamo al nostro ~wMyuv, ~ta­
Mywihll. Noteremo che nel ~mMynv permane il significato origi-
nario del verbo semplice, e quindi la traduzione può essere sce-
gliere, trar fuori da un gruppo, raccogliere scegliendo. Ci sono al-
meno due ottimi esempi in Erodoto, dove si racconta della ritira-
ta della flotta persiana dopo Salamina e del tradimento di Temi-
stock: Scrse ordina a Mardonio " di scegliere dall'esercito gli
uomini che voleva c di compiere per quanto possibile fatti pari
alle parole" (8, 107, l); e poco dopo, avendo Mardonio deciso
di svernare in Tessag1ia, " dagli altri alleati trascelse pochi da
ciascuno, scegliendo quelli che erano belli e quelli dei quali sa-
peva che avevano compiuto qualche prodezza" (113, 3). Che si
sappia, non c'è in questo verbo nessun particolare carattere filo-
sofico, e neppure stmbra che abbia qualche rapporto col 5taÀéyr:-
a{}m, anche se un passo di Scnofontc, che di solito viene citato,
può lasciar credere il contrario.
Secondo Senofonte (Mem., IV, 5, 12) Socrate era solito usare il
verbo awMyw&at per definire quella deliberazione che uomini
convenuti insieme prendono in comune, discernendo (l)wÀéyov-raç)
le cose secondo i generi loro; questo atteggiamento caratterizza
l'uomo ottimo, capace di ragionare (ì'>w/,Éyw{}at) e di dominarsi:
in una parola il " dialettico ". Il discorso, infatti, volgeva intorno
alla temperanza. L'accostan;ento dei due verbi non è un'idea di
Senofonte, ma forse di Socrate stesso, anzi si ritiene, in comples-
so giustamente, che il significato di 1'ìtaÀÉyr:m'tm nella tradizione
preplatonica e del primo Platone sia adeguatamente determinato
proprio dalla testimonianza di Senofonte, esaurendosi in essa:
cruvt6naç xptvfi BotJAEtJr.a{}w, " trovarsi i]Jsicmc, incontrarsi e
prender consiglio in comune ".
Come si vede non è possibile tradurre direttamente in italiano
il 5Laì.Éyea-1tat rendendone J.'interna complessità. Ad essa si avvi-

2 Per quanto sopra cfr. H. FoURNIER, Les verbes " dire " en grec ancien,

Paris 1946, in partic. pp. 53-59, 211-224 e FRisK, op.cit., fase. 11 (1961),
pp. 94-96.

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18 Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria

cinano invece il verbo e il sostantivo tedeschi (sich) auseinander-


setzen e die Auseinandersetzung, anche questi difficilmente tradu-
cibili in italiano. In senso figurato, che è poi il più diffuso, il ver-
bo indica "spiegarsi con qualcuno ", " discutere per venire ad
una spiegazione ", con inclusa l'idea, viva anche nel sostantivo,
che il risultato di taJ dibattito (dialogo fra due persone o gruppi
di persone) sia di reciproca soddisfazione, porti al di là dei due
punti di partenza.

1.5. Esempi di l'\LaÀÉyEa{hn in Omero, Erodoto e nell'uso at-


tico
Per illustrare questa presentazione linguistica, un po' astratta,
del nostro (\taMyEa{}m, vediamo attentamente qualche esempio
tratto da Omero, Erodoto e dall'uso attico; ci caleremo così nella
storia viva del termine, nella preistoria del suo senso e uso filo-
sofico.
Incominciamo da Omero. Nell'Iliade (XI 407) leggiamo que-
sto verso: ?iA),à ·d ~ ~wt Taiim cp(ì,oç l'\tEÀ.É~aTa {h,~6ç, che in italia-
no possiamo rendere così: ma perché mai il mio cuore discute
(pensa) queste cose? Il verso è un'antica formula, citata di solito,
ma non discussa. Quando è stata presa in considerazione non si
è notato che si tratta di un verso stereotipo, e questo è di note-
vole importanza. Ricorre, infatti, in altri quattro luoghi della
stessa Iliade (XIX 97; XXI 562; XXII 122 e 385), ma non per
questo il verso e il verbo perdono il loro valore; d'altra parte
non è determinante l'altro fatto, che Eustazio commenti: 15tEÀf-
'ça'to sta senz'altro per dn~::, dice. Se osserviamo a fondo l'uso
che della formula fa i1 poeta, cioè i luoghi, il momento in cui
egli la introduce, ci apparirà qualcosa di più del semplice " dire ",
ma addirittura un'anticipazione della sua storia, del suo valore
filosofico.
n verso ricorre sempre in un momento di estrema tensione del
personaggio, al limite di una decisione che sta per prendere o che,
inconsapevolmente deliberata, non si è ancora pienamente mani-
festata come coscienza o meglio come coscienza dell'opposizione,
dell'alterità dell'uomo rispetto alla situazione e anche dell'uomo
rispetto al dio o al fato. Si vorrebbe soggiungere che affiora qui il
concetto della scelta e deUa libertà. In XI 407, Ulisse, lasciato so-
lo dagli Achei in fuga, decide di restare a ogni costo saldamente
al suo posto di combattimento. xrx 97 : la battaglia infuria intor-

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Esempi di ('HaMyEa{)-at in Omero, Erodoto e nell'uso attico 19

no a Menelao e ai cadaveri di Patroclo e di Euforbo; Menelao


vorrebbe porre in salvo Je armi di Patroclo quando sopraggiunge
Ettore con i Troiani; egli sa che dovrebbe combattere e resistere,
ma sa anche che non può opporsi al figlio di Priamo sospinto da
un nume - e decide quindi di indietreggiare. XXI 562: Agenore
deve affrontare· Achille sulle porte di Troia; divino nel suo im-
menso coraggio, nel momento dello scontro _si chiede se tentare
una fuga, e come. Ma perché riflettere su queste possibilità che
non offrono scampo? È più prudente accettare subito il combatti-
mento. E infine xxn 122: forse, insieme al primo, il luogo più
significativo: Ettore è in campo, solo, per la battaglia con Achil-
le; dalle mura lo invitano a rientrare. Il magnanimo cuore adi-
rato, e, come ci informerà il poeta poco dopo, in preda al terro-
re, egli va meditando. La sua riflessione si svolge su due piani:
se cede alJe lusinghe dei suoi cari ne avrà onta eterna, ché troppi
Troiani sono caduti anche per sua colpa; per il suo meglio non
può dunque che affrontare Achille, e vincere o morire. L'altra
possibilità è presentarsi ad Achille disarmato e concedergli fa-
vorevoli condizioni di pace, ma come può il suo cuore prendere
in considerazione un'idea simile? Achille lo ammazzerebbe come
una donna. È bene che si venga alla lotta.

Se ricordiamo quanto abbiamo detto di /,r)yoç e /,f.yEtv, del


loro significato etimologico originario (duplice: razionale e di-
stributivo), non avremo difficoltà a riconoscere nel l:>w/,Éyo[Aat del
verso omerico " la nozione di esame riflesso aJ.lo stato puro ",
cioè quel senso logico di calcolare, pensare, cui la radice destinava
il verbo, ma al quale il solo /,ÉyEtv in Omero non perviene. È
caratteristico, ha seri tto un vecchio interprete, che in seguito a
tale analisi ideale, alla selezione dei casi possibili, maturi sem-
pre una decisione, sicché questa dialettica contiene, dunque, una
riflessione c una deliberazione, accentuando la natura logica, in-
tellettuale dell'uomo 3• Ma è ancora più caratteristico che per
questo dibattito a più voci, per questa pluralità di " io " che si
agitano nell'uomo e che conducono di volta in volta all'identifica-
zione di sé, l'antico poeta abbia fatto uso di un verbo che riflette
ancora soggettivamente e direttamente una situazione. Il suo si-
gnificato apparirà in seguito oggettivato, fino a coincidere in un
' L'interpretazione che rivela un piano intellettualistico o meglio gno-
seologico, dal quale vorremmo liberare il concetto, è di TEICHMULLER,
Neue Studien zur Geschichte der Begrifje, r, Gotha 1876, pp. 173-4. Eu-
CKEN nella sua Geschichte der phi/os. Terminologie, 1879 (rist. Hildesheim
1960) ricorda solo il concetto fra gli altri, ma non ne studia il problema.

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20 Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria

primo tempo con la situazione stessa (Socrate, Platone nel suo


primo periodo), e successivamente, assolutizzato c astratto il fat-
to logico contenuto nell'azione espressa dal verbo (Aristotele), si
viene con es:so a determinare un momento, una parte della filoso-
fia - la dialettica. Diogene Laerzio, infatti, ci dice che la filosofia
si occupò dapprima soltanto di un oggetto, la fisica; Socrate ne
aggiunse un secondo, l'etica, e Platone intese dare ad essa compi-
mento con la dialettica 4•
A questo punto è inevitabile porsi la domanda se ci sia e qua-
le una figura del ~taMyco-ltm (il verbo come tale non è attestato)
nel dialogo della tragedia. Non è il caso di seguire le operazioni
di Schaerer quando afferma: " per quanto grandi siano le quali-
tà di spirito, di vivacità e d'ironia a cui s'accompagna la discussio-
ne dialettica, resta il fatto che si sforza di evocare un modello;
in questo senso, è tragica ". Ma, dopo un preciso esame delle te-
si in contrasto nell'ultimo ventennio (fra il 1915 e 1935 circa),
quella tradizionale dell'unità psicologica e drammatica della tra-
gedia, e l'altra che negava queLl'unità, sostenendo che i personag-
gi obbediscono a necessità di ordine tecnico, scenico, conclude-
va: "Non è dunque possibile ... paragonare individualmente i dia-
loghi alle tragedie. Sarebbe più esatto stabilire la corrispondenza
tra certuni di essi e atti di tragedie; ma anche accostamenti di
questo tipo esigono molta prudenza" 5•
Il problema non. è questo. Qui ha visto bene Untersteiner: solo
dopo aver ricostruito la genesi e il concetto del tragico, la genesi
e la formazione delle parti tradizionali della tragedia (in partico-
lare: doppio coro e àywv, composizione epirrematica, " logos
contro logos ", stasimo e principio dell'unità binaria, della sizigia
tragica, sticomitie ecc.), solo allora egli ritiene di poter interpreta-
re come segue l'innovazione eschilea: " Eschilo introdusse H dia-
logo, perché la sua poetica Io richiedeva. La dialettica del tragico
doveva portare facilmente alla necessità di fissare nella nuova
forma d'arte, come suo elemento essenziale, il btaÀÉyé;a-ltat, il
btw.oyoç. Possiamo aggiungere l'influsso del dialogo, dell'epos e

• Vite dei filosofi, trad. it. a cura di M. Gigante, Bari 1962, m, 34, ma
cfr. il Proemio, 13, dove la tripartizione rimane con Zenone iniziatore della
dialettica, che è opinione aristotelica.
5 R. ScHAERER, La question platonicienne, Paris-Neuchatel 1938, pp.
219, 231 e cfr. L'homme antique et la structure du monde intérieur, Paris
1958, p. 110: "Mais le propre de la dialectique est de n'étre jamais sati·
sfaite ". Sul tema dialogo-dialettica e dialogo-tragedia in particolare in
Platone già HIRZEL, Der Dialog, Leipzig 1895, vol. I, pp. 200-218. Ma su
Platone cfr. ora P. VICAIRE, Platon critique littéraire, Paris 1960.

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Esempi di ~taÀÉyEo{}m in Ornerò, Erodoto e nell'uso attico 21

del canto popolare, per quanto non qlJi, come si pretende, stia la
radice del ()ta-Àoyoç (l'autore accenna al ()uJ.A.oyoç intellettuale fra
due personaggi, e cita l'esempio di Eteocle e dell'osservatore nei
Sette a Tebe di Eschilo, vv. 375-652). L'importanza di questo
dialogo, che trova la sua forma più trasparente e più intensa nella
sticomitia, è pertanto ovvia " 6 •
Non crediamo che si possa andare più in là di questa conclu-
sione se· manteniamo il discorso sul piano generale ()taÀÉyEo{}at-
dialettica-dialogo. Giustamente Untersteiner ha l'occhio esclusiva-
mente al documento ed esercita la sua interpretazione là dove il
testo e la tradiziçme lo consentono. Egli lascia pertanto cadere la
notizia di Suda sù Laso di Ermione, che parve ad altri tanto sug-
gestiva: "Si ritiene che per primo avesse scritto un'opera sulla
musica e che fosse stato uno degli iniZiatori dell'eristica. All'in-
fluenza di Laso (quale che sia d'altronde il senso esatto di que-
ste tradizioni) è da attribuire lo sviluppo dello spirito dialettico
in Simonide? Se non rispondere, si può porre la domanda " 7•
Dopo Omero e la tragedia ricordiamo i lirici, dai quali ()uxM-
yw{}m è usato ma in frammenti troppo brevi e corrotti per
paterne trarre qualche utile conseguenza. In Archiloco (fr. 108
Diehl), Saffo 134 e Alceo 129 (Lobel-Page) significa "parlare",
"far discorsi". Notiamo Saffo: ta < •. > v ..d;af-lCI.V OVUQ ')(.1)-
:rt(lOyÉvlla, " ti ho parlato in sogno, o Cip ride ". Esempi interes-
santi si trovano invece nella prosa erodotea e attica, dove balza
evidente l'indicazione del dialogo, del gioco di domanda-risposta,
lo scambio di opinioni fra due individui. E non solo di opinioni,
vorremmo aggiungere, ché in Aristofane troviamo di ()taÀÉyEo{}a.t
l'uso eufemistico per mJvouma~Etv (avere relazioni carnali), un si-
gnificato, quindi, non del tutto estraneo alla nostra storia (Pluto,
v. 1082; Donne a parlamento, v. 890 e cfr. Stephanus, Thesaurus
linguae graecae, IV, 1211).
Ma cominciamo con Erodoto e vediamo la descrizione delle
regioni joniche (I, 142, 2): dice che in alcune città della Caria i
cittadini parlano la stessa lingua: xa.-rà -.aù-rà ~tctÀ.EyopEvat. Va
sottolineata l'idea del reciproco comprendersi, presente insieme
all'idea della relazione che si istituisce fra diverse persone me-
diante il linguaggio. Non è un caso, o comunque può non esserlo,
che nel medesimo luogo affermi che non in tutta la regione si par-
• M. UNTERSTEINER, Le origini della tragedia c del tragico, Torino
1955, pp. 331-2.
7 A. et M. CROISET, Ilistoire de la /ittérature grecque, Paris 1951 '

(ristampa) p. 379.

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22 Dialettica, la parola c la cosa: etimologia c preistoria

lava la stessa lingua, utilizzando un altro verbo: y'Awcrcrav <'IÈ. ou


-r~v o:ùt~v VEVO!_dxam. Altri passi di Erodoto non sono altrettan-
to significativi e si limitano a riproporre un'accezione già discus-
sa. 3, 50-52: un figlio di Periandro, Licofrone, avendo avuto no-
tizia che il padre aveva ucciso la madre, tanto si addolorò che
non rivolgeva più la parola a suo padre e tWn gli rispondeva
quando questi gli parlava. Periandro lo cacciò di casa e con un
bando fece sapere che non gli si doveva prestare aiuto di sorta.
In seguito a ciò nessuno voleva parlare con Licofrone.
Nella Difesa di Palamede di Gorgia troviamo questa afferma-
zione: " Io voglio, dopo questa dimostrazione, discutere diretta-
mente col mio avversario", e segue, come ci si poteva aspettare,
una domanda in seconda persona, una domanda che pretende
una risposta. Si badi bene, però, che quando Palamede si rivolge
ai giudici, dai quali non attende risposta alcuna, usa un altro
verbo: EÌn:Eiv. Il significato vivo di " dialogo " in concreto, di
fatto, ormai si impone; non solo, ma possiamo già cogliere una
sfumatura preziosa per la successiva evoluzione del verbo. Esso
vuole indicare non tanto il dialogare di fatto, quindi una varia-
zione del parlare, quanto l'istituzione. del dialogo, la necessità
dell'inizio del dialogo come mezzo di intendimento, come stru-
mento per sostenere l'unione dci cittadini, per fondare ·la loro
comunità sui concetti, in particolare su quelli morali e giuridici.
Una figura nuova della coscienza sembra prender forma, nuova
non nel senso che vada sostituendosi ad un'altra precedente, ma
nel senso di un inizio assoluto - una coscienza che chiameremo
socratica. Incontriamo qui per altre vie quel momento di crisi,
quella emergenza di significato che abbiamo riscontrato sopra.
esaminando in astratto il passo scnofonteo dei Memorabili:
" ... il IStaì.ÉyEcrfrm, secondo Socrate, deve il suo nome alla pratica
dell'incontrarsi per prendere decisioni in comune scegliendo e di-
scutendo le cose una ad una ".

Parlare, o meglio pensare-dire; dialogare, cioè discutere, par-


lare con qualcuno dal quale è lecito attendersi risposta; voler
discutere. Non si tratta di una vera e propria evoluzione, bensì
di una stratificazione di significati, connessa alle possibilità lin-
guistiche latenti in tale voce e portata in luce per successivi ten-
tativi. Ma fino a che punto possiamo procedere oltre con questo
metodo? Il risultato ora raggiunto - l'indica7ione di un dialo-
gare che si pone come compito e che trascende quindi il suo sen-
so Jetterale - non sembra superabile (o lo· sarà, ma farà parte
della storia filosofica del nostro verbo) : dialettica e persuasione -

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Esempi di (haÀÉyEa-ltat in Omero, Erodoto e nell'uso attico 23

una delle poche ragioni valide operanti all'interno della cosid-


detta civiltà occidentale. Ebbene, non è violenza la nostra inter-
pretazione. Questo rapporto, come indicazione contenuta nel
(\taÌd~ywaw, è già presente in una pagina di Tucidide: " (fine del-
l'oligarchia, a. 411; i 400 e gli opliti del Pireo) ... parlavano loro,
uomo ad uomo, e cercavano di persuaderne alcuni ... " (av~Q
&v(\ QL (\tEÀÉyov-rò l:'E "/.al EJtEt{}ov ou;: 8, 93; cfr. anche 5, 59).
Qui la preistoria del (ìw/.ÉyEa{}w ha fine. Anzi, se ne ripercor-
riamo i punti principali (le sue componenti, Omero, l'interpreta-
zione senofontea e questi ultimi testi) non possiamo in senso
stretto parlare di preistoria, ma dobbiamo riconoscere che que-
sta aurora ha già in sé la piena maturità del giorno. Se il testo di
Tucidide ha un senso, una validità reale - nel suo presentare im-
mediatamente il rapporto dialettica-persuasione - ciò significa che
<l.a parola è ora a Socrate. Ma che cosa potremo dire di lui? Qua-
li sono le sue parole? " La sua filosofia, la sua dialettica, non è
che la sua vita, e la sua vita non è che 'persuasione' ", così scrive-
va Michelstaedter, consacrando una tradizione millenaria 8• Pla-
tone aveva d'altra parte fatto dire a Socrate, e non. molti anni lo
dividevano dal testo di Tucidide: " Ma colui che sa l'arte di in-
terrogare e rispondere come lo chiamerai se non dialettico? " 9 •

8 Opere, Firenze 1958, p. 862 (dagli Scritti vari).


• Cratilo 390CD. Si presenta spontanea la domanda: Platone ha letto
Tucidide? Non ci sono testimonianze: cfr. R. WEIL, L'archéologie de Pia-
. ton, Paris 1959, pp. 23 sgg.

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2. Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

2.1. Oratoria e sofistica


Studieremo ora la genesi filosofica e culturale di " dialettica ".
Per individuarla non ci rivolgeremo soltanto alla storia della filo-
sofia, ma al complesso delle vicende culturali del v secolo a.C.
o almeno lo faremo agire sullo sfondo come motore della ri-
cerca. Non si tratta di rispettare formalmente un canone inter-
pretativo. Il canone è qui imposto dalla situazione di fatto. In
primo luogo è bene tener presente che la filosofia non esaurisce
(come certi manuali filosofici lasciano credere) la cultura del v
secolo ateniese, pur manifestandosi come un fenomeno qualita-
tivamente e quantitativamentc imponente. In un periodo in cui
il livello culturale medio resta notevolmente basso e la diffusione
della cultura molto limitata, circoscritta rigidamente a élites, non
si può parlare di specializzazioni in senso moderno, di settori
indipendenti nel mondo culturale - ma d'altra patie proprio per
questo non si può neppure affermare che ci sia un'opinione pub-
blica, che manifestazioni e fenomeni culturali trovino profonda
risonanza esterna. Tuttavia qualcosa che corrisponde alla " stam-
pa" dell'epoca moderna c'è, quindi c'è uno Strumento che con-
sente entro certi limiti di portare il dibattito al livello della co-
scienza comune: l'oratoria.
Per spiegare l'importanza di questo fenomeno, che ci interessa
direttamente, si legga questa bella pagina di Burckhardt: " ... l'o-
ratoria ... anche qui dobbiamo ricordare anzitutto l'enorme po-
tenza e adattabilità della lingua greca ad esprimere tutto ciò che
si deve dire e comunicare ad altri - in netto contrasto per esem-
pio con quella ebraica - ed inoltre il grande impulso che l'elo-
quenza ricevette daJJa quantità di occasioni che le si offrivano
nella vita quotidiana, locale e bellica. E qui ci mancano i pa-
ralleli. Non sappiamo quanto anche i Fenici e i Cartaginesi sapes-

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Oratoria c sofistica 25

sero adoperare la loro lingua, non sappiamo nu1la della potenza


oratoria degli antichi Germani ~ di quei popoli che effettuarono
le invasioni barbariche, che dovevano avere anch'essi a disposi-
zione la piena armonia della lingua tedesca (o dei dialetti tede-
schi)... Invece a noi è stato conservato Omero. I discorsi dei
suoi personaggi - uomini e dei - hanno una altissima forza e
bellezza naturale, e in fondo sono concepibili solo in uno sviluppo
già assai considerevole delle facoltà volitive della ;tÙÌw;. Ciò si-
gnifica che già allora v'era un ambiente in cui si attribuiva la più
alta importanza al raggiungimento di uno scopo per mezzo del-
l'eloquenza, ed era già in corso un potente svolgimento agonisti-
co; dev'essere stato proprio questo che costrinse gli uomini a
riflettere per la prima volta sul mezzo che avevano per riportar
vittoria sulla parola [e qui l'autore annota: non deve essere tra-
scurato l'effetto esercitato dal simposio sullo sviluppo dell'ora-
toria]. Con la completa evoluzione della ;tÙÀu; che portò alla
democrazia, quando le sorti comuni si decisero nell'assemblea po-
polare e nel tribunale popolare, l'eloquenza doveva diventare
tutto, e l'arte oratoria, divenuta ora improvvisamente oggetto di
un insegnamento metodico, doveva diventare una questione di
altissimo interesse, che ben presto si doveva coltivare in tutta la
vita greca come uno degli elementi principali; e a questo punto
cade opportuno un parallelo che può gettare luce completa sul-
l'argomento, ossia il parallelo con la stampa moderna. Certamen-
te l'influenza dell'oratoria greca era legata al luogo e alla per-
sona e - malgrado ogni preparazione temporanea - al momento,
e non permetteva una trasmissione a distanza; uno doveva essere
presente in quel momento, al cospetto spesso di innumerevoli
spettatori: doveva:-attenersi a quella determinata causa per cui
egli e i suoi avversari si incontravano; certo non si poteva par-
lare, come per la stampa, di un'influenza sull'opinione pubblica
da lontano ... Ma tuttavia non vi è nulla presso gli Elleni che cor-
risponda al potere della nostra stampa come il potere della loro
oratoria in pubblico... Certo dobbiamo fin dal principio consta-
tare un fatto importantissimo: senza dubbio l'oratoria, nell'in.di-
riZz.o che le fu dato, venne a trovarsi in concorrenza col pensiero,
con la conoscenza e con l'indagine" 1•
Entro tale orizzonte è da comprendere l'importanza e il dif-
fondersi della sofistica, e non si intenda qui una scuola o un in-
sieme di scuole filosofiche, ma un aspetto della naLilda greca, la

1 J. BuRCKHARDT, Storia della cultura greca, trad. it. Firenze 1955,


vol. n, pp. 33-34.

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26 Esperienze dialettiche tra i Solisti e Socratc

consapevolezza cioè dell'ideale educativo della :rro),tç, dell'&QET~


politica. È il tema che percorre le lezioni berlinesi di Hegel, in
particolare sulla storia della filosofia: " I Sofisti sono i maestri
della Grecia; essi portano in Grecia la cultura (Bildung) in gene-
rale ". Non è facile oggi comprendere questo fenomeno. I Sofisti
ben presto non godettero buona fama e la tradizione rimase fedele
alle ragioni della polemica platonica, che contrappose loro So-
crate, il petulante uomo della strada, il filosofo per eccellenza.
D'altra parte: " Se ai tempi della pace di Nicia uno straniero
avesse in Atene chiesto a un cittadino del luogo quale fosse nella
città il più famoso sofista, questi avrebbe risposto senza dubbio:
Socrate " 2• Già in Platone dunque c'è un problema Socratc, che
non potremo forse mai del tutto chiarire. Socrate infatti non
scrisse nulla, le due maggiori testimonianze dirette non si accor-
dano sull'essenziale della sua personalità, e Aristotele, che è la
massima testimonianza indiretta, studia di Socrate soltanto il
contributo logico alla storia della filosofia. II problema è allora
quello delle fonti della filosofia platonica. Fino a che punto sono
originali i temi socratico-platonici? Entro quali limiti i Sofisti
(e chi di essi) agiscono nella genesi speculativa del platonismo?
Che si sia pensato di negare l'esistenza di Socrate (s'intenda: la
sua presenza decisiva nella storia ddla filosofia), di tracciare una
storia della filosofia senza Socratc, di restituire ai Sofisti il con-
tenuto del platon~smo nciie sue prime origini 3, tutto ciò· testi-

' W. NESTLE, Vom Mythos zum LoKos, Stut.tgart 1940, p. 529. Su


que~ta a!Termazione confronta per es. EscHINE in V. EHRENDERG, L'Atene
di Aristofnnt>, trad. it. Firenze 1957, p. 388. I Sofisti, praticamente assenti
nelle storit della filosofia del '700 (per es. Stanley e Tennemann), appena
ricordati d~ Kant (cfr. K. REICH, Kant und die Ethik der Griechen, Tti-
bingen 1935, p. 19), entrano gloriosamente nella storia della !Ìlosofia e
della cultura con H egei: com'è noto, nelle sue Lezioni sulla storia della
filosofia (Werke, 1833, vol. xrv, p. 9; trad. it. Firenze 1932, vol. u, pp.
7 -8), egli li paragonò agli Illuministi: " I Sofisti sono i maestri della Gre-
cia; con loro nacque in Grecia la cultura in generale (Bil~rmg~ ". Tale tesi
divenne opinio recepta. Cfr. W. JAF.GER, Paideia, trad 1t. F1renze 1953,
vol. r, pp. 459-563. Nestle, invece, che abbiamo citato, parla di una filoso-
fia della çu/tura, che avrebbe avuto l'Illuminismo per risultato.
' TI primo punto è la tesi di O. GIGON, Sokrates, Bern 1947 (per la
quale cfr. C.J. DE VoGEL, Il Socrate di Gigon, in «Antologia della cri-
tica filosofica», a cura di P. Rossi, Bari 1961); il secondo punto è la tesi
di E. DUPRÉEL, La légende socratique et /e.1· sou~·ces dt' Platm!, ~ruxelles
1922 e Les Sophistes, Neuchatel 1948. Per altra via e del :utto !ndJ~cndcn­
temente, a risultati analoghi è giunto M. UNIERSTEINER: m ~ .SojÌs/1, Tori-
no 1949 e nella sua edizione dei frammenti c delle testtmomanzc, Firenze
1949 sgg.

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Dialogo e dialettica. li punto di vista di Aristotele 27

monia una volta di più la grandezza di quel tempo, ~la comples-


sità dei pcrsonag&>i e soprattutto l'esiguità delle nostre infor-
mazioni.

2.2. Dialogo e dialettica. Il punto di vista di Aristotele


L'epocà ha tentato le possibilità estreme: dalla filosofia come
retorica di Protagora, dalla tesi " rendere più potente il discorso
meno valido " - che è libera interpretazione, trascrizione nel
nuovo linguaggio della parmenidea via dell'opinione, " ambito
naturale dello sviluppo di una retorica " - all'ideale isocrateo del-
Ia retorica come filosofia, come fondamento e compimento del-
l'educazione e della sapienza nell'uomo: basti ricordare che con
cptÀocrocp(a lsocrate non intçnde una filosofia particolare, ma la
cultura in generale, celebrata dagli Ateniesi. Va subito soggiunto
che all'interno di questo arco anche la dialettica si prova nelle
sue due estreme possibilità, bene individuate da antiche testimo-
nianze: dialettica come dialogo, come l'autentico esercizio filo-
sofico e dialettica come atteggiamento formale privo di risonanza
umana. Platone per esempio fa dire a Socrate: " Protagora qui
presente è capace di svolgere discorsi lunghi e belli (come l'espe-
rienza dimostra), ma è capace anche, quando è interrogato, di
rispondere .con brevi battute e, se è egli colui che interroga, di
aspettare e, quindi, comprendere la risposta, abilità questa che da
pochi è stata conquistata " - e di Gorgia: " E pur questa è una
delle attitudini che mi riconosco: che nessuno potrebbe svolgere
più brevemente di me i medesimi argomenti ". Ed ecco l'altra
voce nel dibattito: " E, di poi, non diede Isocrate il nome di so-
fisti agli cristi e, come essi direbbero, ai dialettici, mentre definì
se stesso filosofo e filosofi gli oratori e quelli che sono dediti
alle attività politiche? Alcuni dei suòi contemporanei usano la
terminologia in modo analogo " 4•

4 Protagora, 329 B (DIELS-KRANZ 80 A 7), Gorgia, 449 C (DIELS·

KRANZ 82 A 20), Elio Aristide in Diels-Kranz 79, l (trad. Untersteiner).


Vedi: il commento di G. CALOGERO alla sua edizione del Protagora plato-
nico, Firenze 1948, pp. 62-63 e la voce Protagora nell'" Enciclopedia ita-
liana" dove parla di un'arte dialettico-retorica; W. JAEGER, Paideia, cit.,
vol. m. cap. q: "La retorica di Isocrate come ideale di cultura", partic.
p. 83, nota 2 (va appena ricordato che la stessa terminologia troviamo nel-
la storia di Tucidide, n, 40, nel celebre capitolo che va sotto il titolo di
Epitaffio di Peric/e); M. UNTERSTEINER, ] sofisti, cit., pp. 86-87 e nota 54.

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28 Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

Siamo dunque nel vivo del problema. Da una parte veniamo


a sapere, dallo stesso Platone, che il dialogo socratico, la cosid-
detta esperienza dialettica di Socrate, l'interrogare e rispondere
per domande c risposte brevi (xanl [3Qaxv) non è nato direttamen-
te né esclusivamente da un Sokrateserlebnis; dall'altra che la dia-
lettica platonica può essere interpretata, e lo era di fatto dai con-
temporanei (Isocrate appunto, tra i massimi), non già come la to-
talità del sapere, o meglio come il fondamento del sapere del le-
gislatore, ma come eristica, un'educazione formale e parziale
(àl)o/:~:ax(u xat f.LLX(>OÀoyfu): se non danneggiava i giovani, non
promuoveva quel perfezionamento che i suoi cultori si ripromet-
tevano. Oratoria e sofistica, retorica e dialettica sembrano richie-
dersi ed escludersi a vicenda, ma non offrono direttamente la
possibilità di una distinzione dall'interno del dibattito.
La stessa connessione, e dunque la. collocazione del problema
della genesi della dialettica in una sfera culturale più ampia della
sola filosofia, troviamo anche in Aristotele. Ma la situazione ap-
pare subito diversa. Aristotele, infatti, guarda al problema a evo-
luzione conclusa, e può considerarlo sine ira, con interesse me-
ramente storico: il mondo della polis, che aveva generato, sorret-
to e giustificato lo scontro ideologico e le sue manifestazioni di
cultura, è ormai crollato. Non dobbiamo mai dimenticarlo: non
erano allora in questione i destini della filosofia, ma il senso e
il futuro della polis. Altrimenti quale significato avrebbe la tarda
dichiarazione di Platone, cittadino greco, ateniese, e aristocratico,
che nel Sofista ritiene di aver trovato nella dialettica " la scienza
degli uomini liberi " (253 CD)? I problemi della filosofia, della
retorica o dialettica come rrutl'ldu, definiti e messi a punto nelle
scuole di Platone o di Isocrate, venivano dibattuti sulla pubblica
piazza, nell' uyoQa dove erano primamente sorti come problemi
politici. Divenuti astratti, essi rientrano, con Aristotele, nel chiuso
della scuola, vengono configurati storicamente e codificati
nel sistema.
Ma il punto di vista di Aristotele è proprio per questo inte-
ressante, perché agisce a un tempo sulla conclusione di un'espe-
rienza storico-culturale e dell'evoluzione di una particolare pro-
blematica filosofica. Limitiamoci per ora a constatarne il risul-
tato in quel primo capitolo del libro 1 della Retorica, che si deve
ritenere una delle parti meno recenti dell'opera. È significativo
anche il movimento dell'argomentazione, il suo stesso incedere:
" La retorica fa riscontro (àni.a-rQocpoç) con la dialettica. L'una
e l'altra, infatti, vertono su questioni che sono in. qualche modo
alla portata di tutti, e non richiedono scienza determinata. Tutti

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Dialogo e dialettica. Il punto di vista di Aristotele 29

vi partecipano, quindi, a gradi diversi: è di tutti fino a un certo


punto discutere una tesi e sostenerla, accusare e difendersi. Ma i
più lo fanno a caso, altri per pratica che dipende da un habitus ".
Aristotele inizia, dunque, la sua ricerca sul piano stesso della re-
torica come piano della coscienza comune. B un inizio empirico,
storico potremmo dire, che sarà successivamente giustificato, co-
me lascia intendere subito con l'affermazione: " delle due possibi-
lità si deve ricercare speculativamente la ragione" (1354 a 10).
Esaminando le tecniche precedenti, i compiti delle varie figure di
retori, Aristotele rileva che la retorica ha il suo fondamento in
un tipo particolare di prova, di sillogismo, che la colloca ancora
una volta nell'ambito deila dialettica: "Bisogna inoltre poter
persuadere del contrario deiie proprie tesi, come nei sillogismi dia-
lettici... nessuna delle altre arti deduce i contrari, la dialettica e
la retorica sole possono farlo: entrambe, infatti, dei contrari si
occupano ... " - è quindi chiaro perché Zenone eleatico fosse ri-
tenuto da Aristotele l'inventore della dialettica: egli accettava le
tesi dell'avversario, ma deduceva una conclusione opposta me-
diante una serie di appositi passaggi intermedi. B interessante
notare che a questa figura logica, individuata da Aristotele, si fa
corrispondere un atteggiamento umano e psicologico particolare.
La tradizione non lascia dubbi su questo. Isocrate dice: " Zeno-
ne, che cerca di provare che le stesse cose sono insieme possi-
bi,Ji e impossibili ... " - e un tardo commentatore: " Fu detto dalla
duplice lingua non perché fosse un dialettico, come quello di Ci-
tio, o perché confutasse e dimostrasse ·vera la stessa cosa, ma
perché era un dialettico nella vita, dato che diceva una cosa
pensandone invece un'altra" 5•
" Compito proprio della retorica non è dunque persuadere,
ma riconoscere le condizioni della persuasione relative a ogni
soggetto... riconoscere ciò che persuade e ciò che persuade solo
in apparenza, come la dialettica, il sillogismo vero e quello ap-
parente ". Ora, Aristotele conclude questa definizione per ap-
prossimazione della retorica e ci riconduce a quel piano storico
che avevamo notato all'inizio della sua ricerca: " La sofistica,
infatti, non si fonda sulla capacità, ma sull'intenzione; inoltre
si sarà retore o per scienza o per intenzione, ma sofista per in-
tenzione, e dialettico non per intenzione ma per capacità " -

' A. PASQUINELLI, a cura di, l presocratici, Torino 1958, pp. 249 e


2.51. Per avere un'idea della forza di questa tradizione si pensi all'icono-
grafia medievale, ricchissima, e si legga il noto colloquio di Goethe con
Hegel, riferito da Eckermann, 18 ottobre 1827.

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30 Esperienze dialettiche tra i Sofisti c Socrate

dove per intenzione (ngoatQE<n.ç) sì deve intendere l'atteggiamen-


to con il quale si affronta l'oggetto: in un passo della Metafisica
Aristotele dice che l'intenzione nel dialettico mira alla cosa, men-
tre il sofista elabora una parvenza di verità, e il sofista si distin-
gue dal filosofo per il tenore di vita e il dialettico per l'uso della
facoltà conoscitiva (libro IV, cap. XIV, l 004 b 20 sgg.). ~vva!.uç,
che abbiamo reso con capacità (facoltà, possibilità), indica, al-
meno nella Retorica e nell'Organon, quell'arte che si perfeziona
e si compie nellà pratica.
Il rapporto di analogia istituito in principio fra retorica e dia-
lettica abbraccia nella conclusione anche la sofistica, ,la quale si
trova ad avere con esse qualcosa in comune: questo conferma che
il punto di vista, storico abbiamo detto, che rende possibile la
configurazione è poi anche quello della coscienza comune; solo
così esse hanno potuto operare c ricevere immediata intelligi-
bilità. Aristotele stesso lo riconosce in un passo del cap. I, che po-
tremmo intitolare "Elogio della retorica": "Anche se noi pos-
sedessimo la scienza più esatta di tutte, sarebbe difficile persuade-
re fondandosi su di essa; il discorso secondo la scienza è infatti
dell'insegnamento, e Ìn questo caso non possiamo fame uso; è ne-
cessario, infatti, che i discorsi e Je prove siano posti dalle nozioni
comuni come abbiamo detto nei Topici a proposito delle conver-
sazioni con l'uomo comune " (e i Topici, com'è noto e come ve-
dremo in seguito, è quel libro dell'Organon che si occupa delle
argomentazioni dialettiche, delle discussioni dell'uomo comune,
del dibattito dialogico: il discorso dello scienziato, il monologo
dell'insegnamento, invece, è oggetto della Analitica).

2.3. Dialettica e filosofia. lppia e Platone


A questo punto è necessario che cerchiamo di individuare nel
discorso aristotelico una situazione storica, alcune figure con-
crete. Non dimentichiamo che la storia della filosofia antica dì-
pende, nelle sue fonti, in gran parte da AristoteJe, ma già in Ari-
stotele è fortemente condizionata dalla speculazione platonica:
com'è noto essa si è particolarmente esercitata nell'attaccare le
grandi personalità contemporanee e nell'investire polemicamente
una situazione di cultura a tal punto che i suoi contorni sono
apparsi ben presto indecifrabili. Si è potuto, pert~nto, ritenere
che i problemi agitati da Platone nel momento ~ostdqetto socra-
tico della sua evoluzione fossero in realtà sorti almeno mezzo

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Dialettica e filosofia. Ippia e Platone 31

secolo prima e che molte tesi ritenute di Socrate potessero avere


una ascendenza ben individuabile. Di questa interpretazione -
non è la sede per discutere i particolari - possiamo accettare al-
meno un punto, cioè quello che coincide con l'interpretazione ari-
stotelica, il rapporto retorica-dialettica o meglio la genesi della
dialettica da una polemica sul senso della retorica (che è poi un
diverso modo di porre un problema tradizionale) 6•
Platone ha rappresentato nei suoi personaggi un conflitto di
uomini e di idee da intendersi anche e forse soprattutto come
un'opposizione di generi letterari, che risale indietro nel tempo,
già stabilita e accettata nell'età di Socrate - anzi, con qualche
probabilità si tratta di un risultato estraneo al genio attico e a
Socrate, se deve pur avere un significato la testimonianza di Dio-
gene Laerzio, quando afferma: " Aristotele nel Sofista dice che
Empedocle per primo inventò la retorica e Zenone la dialettica...
Inoltre Satira nelle Vite riferisce che Empedocle fu anche medico
e oratore illustre; egli ebbe infatti per scolaro Gorgia ... " (vn 57-
58). Questa tarda testimonianza acquista un valore particolare
se la accostiamo ai Ragionamenti duplici (!'.taJ,É!;Etç), uno scritto
anonimo in dialetto dorico di data incerta (circa 400 a.C. o de-
cennio seguente). Esso investe direttamente la nostra questione:
" Io credo che spetti aJla medesima persona e alla medesima arte
avere la capacità di discutere con rapide risposte (xm;à ~guxù
btaJ.ÉyHr8m), conoscere la verità delle esperienze, saper retta-
mente giudicare, possedere l'attitudine a fare discorsi politici,
sapere l'arte deLla parola e insegnare intorno alla natura di tutto
in relazione alle sue proprietà e alla sua origine. Anzitutto, colui
che possiede una conoscenza intorno alla natura di tutto, come
non sarà in grado anche di operare rettamente di fronte ad ogni
situazione? Inoltre anche chi conosce l'arte della parola saprà par-
lare rettamente intorno a tutto. Infatti è necessario che chi si
propone di parlare rettamente, parli intorno a ciò che sa. Di con-
seguenza egli si intenderà di tutto. Egli, infatti, conosce l'arte
di ogni discorso e tutti i discorsi riguardano tutta la realtà" 7 •

• Una conferma indiretta di provenienza sociologica di alcune opinio-


ni del Dupréel si legga in B. FARRINGTON, Scienza e politica nel mondo
antico, trad. it. Milano 1960, pp. 65 sgg., 75 sgg., 105 sgg. Sulle conse-
guenze che se ne possono trarre e sul metodo da seguire ha scritto M.
Untersteiner, nella recensione alle ricerche del Dupréel (citate sopra, nota
3), in «Rivista critica d. st. d. filos. », 1950.
7 Sofisti. Frammenti t; testimonianze, trad. di Untersteiner, cit., vol.

m, p. 187 sgg. Stato delia questione in op. cit., pp. 147-8 e l sofisti, cit.,
p. 364 sgg.; A. CAPIZZI, Protagora, Firenze, 1955, p. 337.

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32 Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

Il testo dell'anonimo non si limita, dunque, a mettere in luce


l'idea del xaTà ~Qa;<:Ù awÀÉyw{tcit, ma pone esplicitamente in re-
lazione quest'arte con la conoscenza della verità delle cose, col
saper giudicare: chi conosce l'arte della parola, egli dice, saprà
rettamente parlare intorno a tutto. Ora, si noti: la paternità sofi-
stica di quest'opera è fuori dubbio, anzi gli interpreti credono di
poter individuare nel cap. VIII (che abbiamo riportato) il pen-
siero di Ippia, e in particolare una polemica sofistica, cioè la con-
futazione della retorica gorgiana a mezzo della dottrina di Ippia:
egli aveva fatto valere l'esigenza di una scienza integrale rappre-
sentata come capacità di rispondere in modo opportuno ad ogni
interrogazione. Ancora una volta Platone ci aiuta a vedere chia-
ro, a suo modo, nel problema. Leggiamo questo passo del Fedro:
"(Socr.) Ma, nel dir male della retorica, non ci siamo comportati,
amico mio, più rozzamente che non si dovesse? La quale, forse,
potrebbe dirci: ' Che son codestè sciocchezze, o ammirabili? Io
non forzo nessuno che ignori la verità, a imparare a parlare;
ma, se il mio consiglio è qualcosa, io gli dico che prima si acquisti
quella, c solo allora pensi di acquistare anche me. Quel ch'io so-
stengo, ed è cosa di grande importanza, è questo, che senza di
me, chi pure conosca il vero, non sarà mai capace di persuadere
secondo arte'. (Fedro) E dirà giusto, se dirà così. (Socr.) Sì, pur-
ché i discorsi che le muovono contro, attestino ch'ella è un'arte.
Ché già mi pare di udirne alcuni che s'avanzano e depongono
ch'ella mentisce c non è arte ma nuda pratica. ' Una genuina arte
del dire che non tocchi la verità, non c'è c non ci potrà essere
mai' " (dove pare si debba intendere, secondo il Dupréel, una al-
lusione a Ippia) (Fedro 260A-261A, trad. Diano, Laterza).
Già qui possiamo intravedere la novità della polemica anti-
retorica nel Fedro rispetto a quella del Gorgia 6• A partire da
questo punto il tema del dialogo è chiaramente definito, e So-
cratc generalizza il concetto e i compiti della retorica trovandosi
nella necessità di indicare norme per opporre all'insegnamento
formale dei retori discorsi sensati ben costmiti. Cade qui quella
celebre definizione della dialettica, che viene comunemente in-
dicata come metodo di analisi e sintesi; poi Socrate conclude :
"Ed è di questo ch'io sono amante, o Fedro, di queste divisioni
e unificazioni, per essere in grado . di parlare e pensare. E se
alcuno v'è ch'io ritenga per sua natura capace di figger lo sguardo
8 Retorica e filosofia in Platone è un tema classico che viene discusso

da tutti gli interpreti; vi si sofferma a lm1go W. JAEGER, Paideia, ci t., vol.


II, cap. vr e vol. In, cap. VIII (sul Fedro).

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Dialettica e filosofia. Ippia e Platone 33

nell'uno e. nei molti, io gli corro dietro, 'come sull'orme di un


dio'. E quanti hanno la possibilità di far questo, io, finora, se a
ragione o no lo sa dio, li chiamo dialettici. Quelli che sono ve-
nuti a imparare da te e da Lisia, dimmelo tu come li dovremo
chiamare. O è proprio questa l'arte per la quale Trasimaco c gli
altri son divenuti parlatori sapientissimi c tali fanno anche quanti
si mostrino disposti a. onorarli di doni, come re? (Fedro). Son uo-
mini, sì, regali, ma non hanno nessuna cognizione di quanto tu
domandi. No; c a me pare che ben a ragione codesta tua specie
tu la chiami dialettica; ma la specie retorica mi pare ci sfugga
ancora (Socr.) Che vuoi dire? Sarà pure qualcosa di bello ciò
che può fare a meno di questo c venir tuttavia colto da un'arte "
(Fedro 266 B sgg.).
Se confrontiamo questo passo del Fedro con quello sopra ri-
portato dell'anonimo (o di Ippia), ci si accorge che Platone sta
lavorando su una fonte, su un materiale offerto dalla tradizione o
dal dibattito del suo tempo. Seguitando, Socrate analizza le com-
ponenti di un trattato di arte retorica c ne approfitta per citare
alcuni retori famosi, che " han trovato la maniera di far discorsi
brevissimi e lunghissimi su qualunque argomento ", c aggiunge:
" A proposito di che, una volta, Prodico si mise a ridere e disse
che egli solo aveva trovato l'arte di fare i discorsi come van fatti
né lunghi né corti, ma in misura giusta. (Fedro) Parola sapien-
tissima, o Prodico! (Socr.) E Ippia non Io nominiamo? Anche il
nostro ospite eleo darebbe, credo, lo stesso voto. (Fedro) Perché
no?". Solo in questo luogo è nominato Ippia: vuoi fare appro-
vare Platone ciò che Fedro dice dal vero autore dell'idea enun-
ciata? lppia famoso per la sua scienza della misura, Ippia che
spiega il male come eccesso, avrebbe riconosciuto i giusti limiti
dei discorsi 9•
Nonostante l'interesse che la ricerca presenta, non è nostro
compito stabilire le fonti del platonismo. Abbiamo accostato que-
sti testi e ripercorso certi <luoghi di un'indagine suggestiva solo
per mostrare il pericolo delle schematizzazioni, e come queste
avvengono nei sistemi, per passare poi nella storiografia. La si-
tuazione culturale nella quale e sulla quale opera un filosofo è
sempre più complessa del sistema che la interpreta, e Platone ne

' E. DuPRÉEL, Les sophistes, cit., p. 265. Ad lppia, si badi, è dedicata


tutta la seconda parte di quest'opera. Della citata Légende socratique si
veda il cap. m della prima parte. Su questo momento della problematica
di lppia (cfr. Prolagora, 337 C - 338 B) insiste an<:he M. GIGANTE, Nomos
Basileus, Napoli 1956, p. 146.
2

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34 Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

è un eccezionale esempio. Dal Protagora e dal Gorgia e dalla ci-


tazione dei retori (Prodico, Ippia) nel Fedro risulta che, almeno
in uno stadio originario, dialettica e xaTà ~guxù btaMyw·lh:u sono
la stessa cosa. L'opposizione di dialettica e retorica è nata prima-
mente come antitesi di " brachilogia " e "macrologia ". La si-
tuazione si è modificata nella seconda generazione dei Sofisti:
dalla retorica come tecnica delle controversie giudiziarie e poli-
tiche, che doveva rappresentare una riduzione rispetto a una
concezione molto più vasta e generica dell'oratoria, sorse l'idea di
un'arte o di una tecnica particolari, che grazie a una capacità spe-
ciale fosse in grado di esercitarsi sulla verità indipendentemente
dalle circostanze. Se rileggiamo il brano riportato dei Ragiona-
menti duplici, e teniamo presente uno dei tanti passi platonici
sull'educazione e sulla formazione del retore-dialettico (per es.
Fedro 269 DE: " Se l'essere eloquente è nella tua natura, sarai
un buon oratore a condizione di aggiungervi scienza ed esercizio"
- c discute poi la ne~ssità di perfezionarsi nella filosofia natu-
rale), balza allora evidente che solo la capacità di pensare, di filo-
sofare, è il fondamento della retorica, arte di parlare -- ma nel
senso di saper esporre le cose per domande e risposte. La dia-
lettica non è che questa nuova retorica filosofica.

2.4. Protagora e Gorgia. La dialettica nelle contraddizioni


della retorica
È difficile dire quando e come si sia verificato il passaggio da
una forma all'altra, quando dall'antica figura si sia liberata la
nuova. Abbiamo già ricordato la posizione di Tppia, il sofista che
faceva valere l'enciclopedismo filosofico. Cerchiamo ora di stu-
diare il problema portandoci all'interno della tcmatica dei primi
Sofisti. Da una parte non dimentichiamo che· la dottrina del
xc.ng6ç (opportunità, circostanza, occasione) era un caposaldo di
tutta la tradizione retorica, in particolare della retorica formale
nel suo massimo rappresentante, Gorgia. D'altra parte c'è la
dottrina dell'antitesi, delle antilogic, che pure è antica ne)la tra-
dizione di quest'arte, e che si diffuse in terra greca al punto di
diventare un luogo comune. V a appena ricordato iJ celebre con-
trasto fra il discorso giusto e il discorso ingiusto personificati nelle
Nuvole di Aristofane (pp. 889 sgg.) :· "Tu vuoi schiacciarmi?
Chi sei? -Chi sono? Sono il discorso! - Da meno! -Buono per
sopraffare te, che ti vanti da più! - Sì, come? - Trovando tanti

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Protagora e Gorgia 35

concetti nuovi! " Protagora scrisse un libro sistematico che porta


appunto il titolo: Antilogie. Uno dei pochi frammenti (6a) pro·
tagorei rimasti dice: " Intorno ad· ogni esperienza vi sono due
logoi in contrasto fra di loro ". Non possiamo ripercorrew qui la
genesi storica e culturale di questa affermazione di. Protagora, le
sue ascendenze nella tradizione, le direzioni del ~uo valore polç.
miço (contro Parmenide) e i suoi. rapporti con l'altra affenriazione
sull'uomo-misura (fr. l). Riflctt;amo su quel contenuto delle
Antilogie, che si ritiene di poter ricostruire: Gli dei- Il mondo
fisico e la realtà dell'essere - Le leggi e lo stato - Le arti. " Il
problema di dio, le concezioni metafisiche. la validità del diritto
e delle leggi con le connesse questioni etiche, il fondamento teo-
retico delle arti: e{!co gli aspetti basilari della conoscenza che
si trovano sottoposti al dominio dell'opinione " 10• L'antilogia non
può che muoversi ed esercitarsi nella sfera del mondo dell'opi-
nione, che è ora quello stesso mondo sacro dell'essere in quanto
è stato ricondotto a una dimensione umana, alla sfera ddl"opina-
bile, del conflitto. del contrasto antinomico. Ma noi sappiamo che
proprio su questo piano, della coscienza comune in sostanza, la
dialettica ha mosso i suoi primi passi.
A. questo punto non possiamo che avanzare un'ipotesi. Se un
senso deve avere l'ulteriore evoluzione del dibattito, poco sopra
delineato, è necessario ritenere che i due ideali, quello del Y.WQ<)ç
c quello dell'antitesi siano ben presto entrati in conflitto, o me-
glio, abbiano finito per generare un conflitto. Infatti, la retorica
del -xmQ<); rappresentava il t' .onfo della retorica formale nell<\
sua massima generalizzazione; mentre l'esercizio retorico legato
alle antilogie teneva fermo a un contenuto di esperienze preciso,
determinato. da motivarsi c da esaurirsi nei dibattito fra le ra-
gioni contrapposte. Questo fatto può già aver opposto Gorgia e
Protagora. Ma l'opposizione si radicalizzò c si irrigidì, come si
è visto, con la seconda generazione di Sofisti, quando fu fatta
valere l'esigenza della scienza. Sicché noi troveremmo all'interno
della sofistica una doppia genesi della dialettica, una doppia di-
rezione dd sno p1imo movimento, avendone individuato il punto
di partenza, polemico, c i due momenti logici che si sono ad
un tempo manifestati nella stessa situazione di cultura.
Questa situazione può essere qui soltanto presupposta, ma si
deve almeno ricordare che nelle contraddizioni della consolidata
democrazia ateniese la sofistica rappresenta '' l'affermazione del-
la superiorità della vita sociale, fondata sulle tecniche" (Bréhier),

. 10 M. UNTF.RSTETNER, l sofìsti, cit., pp. 37-3"8.

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36 Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

"l'esigenza di fondare l'areté sul sapere" (Jaeger). Se quest'ul-


timo ideale è conforme aJ,Ja tradizione aristocratica, va però mes-
so in luce che è nuovo e più vasto il pubblico al quale la sofi-
stica si rivolge. Atene è ora scossa dal contrasto lentamente ma-
turatosi fra l'ideale scientifico e materialistico jonico, democra-
tico, e l'ideale religioso-filosofico dorico, aristocratico (del quale
sarà interprete sistematico Platone): al suo fondamento troviamo
la sovrapposizione della nuova struttura dei demi alla antica or-
ganizzazione tribale 11 • Basta riflettere sulla tematica dei Sofisti
per capire quale fosse lo scopo della loro azione, per compren-
dere quale dovesse essere il significato ultimo di una polemica
interna sul senso della retorica - la possibilità cioè di agire sul-
l'ordinamento sociale e a mezzo di esso. La dialettica, o meglio,
ciò che verrà qualche decennio dopo chiamato dialettica, rap-
pres'enta la coscienza politica, democratica della retorica. La sua
doppia genesi, come si diceva, nasce sul piano della coscienza
comune, ma si sviluppa nello stesso tempo (o quasi) sul piano
del·la coscienza filosofica.
Infatti, la polemica contro la generalizzazione retorica gor-
gian.a - almeno come questa risulta dal noto passo : " La parola
è un potente sovrano, poiché con un corpo piccolissimo e del
tutto invisibile conduce a compimento opere profondamente di-
vine " (fr. 11, dall'Elogio di Elena, cap. vm) - fa valere, con la
dottrina o le dottrine della antitesi, l'esperienza della coscienza
comune (" que logoi possono sempre presentarsi intorno alla stes-
sa cosa o esperienza "), cioè il fatto e la richiesta del dialogo,
che oppone la ragione alla forza della persuasione formale. Il pun-
to di arrivo è il r.a-rù ~Qaxv bwÀ.eyEcr&m, già presente, come sap-
piamo, nello stesso Gorgia. D'altra parte, a partire da questo
risultato - ma ci si deve riferire, si badi, non al risultato in sé,
ottenuto in un determinato momento, ma all'intera vicenda del
suo costituirsi come tale - si fa innanzi l'esigenza della scienza,
si configura nuovamente quella coscienza filosofica, che sembrava
essere stata nientificata daiia prima sofistica, dal suo cosiddetto
relativismo (Protagora) e nichilismo (Gorgia). " Così, con ra-
pide risposte attorno ad ogni argomento, deve rispondere, quan-
do sia interrogato; dunque, egli deve sapere tutto " (Dialexeis,
vm, 13). Alle origini, dunque, tcori~ della scienza integrale (lp-
11 B. FARI·>r.NGTON, Scienza e politica nel mondo antico, cit., pp. 105~
108; G. THoMsON, Eschilo e Atene, trad. it. Torino 1949, pp. 291 sgg.;
M. UNTERSTiiiNER, Fisiologia del mito, Milano 1946, pp. 241-242, 305
sgg. e in generale il saggio Le origini sociali della sofistica, in «Studi di
filosofia in onore di R. Mondolfo». Rari 1950.

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L'esperienza socratica 37

pia) e dialettica sono la stessa cosa; dialettica come dialogo,


come il filosofare nel suo più profondo esercizio e dialettica co-
me metodo e scienza particolari che innalzano la coscienza co-
mune alla coscienza filosofica o che ricercano nel sapere filoso-
fico una giustificazione della coscienza comune.

2.5. L'esperienza socratica


1:: interessante notare come la storia de1la dialettica ripresenti
sempre le sue figure. La sua evoluzione, se di evoluzione si può
parlare, descriverà ancora questa curva fondamentale. Solo il si-
stema filosofico nella sua totalità e chiusura ci offrirà qualche
possibiJità di pervenire a una definizione particolare univoca, ma
anche allora non verrà meno il pericolo di smarrime il senso nella
definizione concettuale, nel sapere. Perché questo è il carattere
della dialettica, di rappresentare nella genesi del sistema filoso-
fico il momento della negazione, dyl no, del non-ancora - cioè
quel fondamento reale del sistema,· quel punto di attacco della
filosofia con la storia, che viene negato nella costruzione, nella
universalità del discorso del filosofo. Se questo discorso sia a sua
volta dialettico (storico universale) è quanto di volta in volta il
filosofo deve provare e l'interprete pervenire a comprendere. Re-
sta il fatto non superabile della alterità di situazione e dialettica,
dialettica e filosofia, filosofia e situazione - alterità che riflette
e ripete l'estraneazione originaria dell'uomo rispetto al mondo
(il suo stupore e la sua protesta) e l'estraneazione ultima del filo-
sofo nella violenza delle cose. Diciamo la alienazione, ma così
abbiamo percorso l'intero circolo della dialettica, abbiamo evoca-
to la figura di Socrate.
:B giusto concludere con Socrate il capitolo sulle origini sto-
riche della dialettica. Ma con questo non intendiamo, aggiunge-
re un nostro contributo a più di due millenni di storiografia so-
cratica. La dialettica socratica è un fatto irripetibile nella sua ge-
nesi e nel suo fondamento. Ora, è sufficiente notare che nella tra-
gica figura di Socrate - tragica nel senso che coincide con la tra-
gedia della storia quando un principio si erge come assoluto (il
singolo, la coscienza comune, c i. suoi valori) di fronte a un
altro principio, esso pure oggettivamente assoluto (la tradizione
civile; la costituzione, la noÀtç 12) - la dialettica vive e si manifesta

11 È l'interpretazione di Hegel, che si può leggere nelle lezioni sulla sto-

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38 Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate

in un momento di eccezionale equilibrio, di unità con la situa-


zione, la storia, la vita. È l'uomo comune come coscienza della
città non ancora posta come problema a se stessa. Per questo è
un fatto unico e irripetibile. La risoluzione della situazione in
ricerca dialettica, il suo storico modificarsi, porta inevitabilmente
con sé il rifiuto e la distruzione della situazione stessa, la nascita,
quindi, della collisione tragica. E a questa nascita la filosofia non
può che essere estranea - la filosofia viene dopo. Socrate, il de-
mocratico, fu mandato a morte da un tribunale democratico, che
faceva proprie accuse dettate dagli ideali aristocratici tradiziona-
li. La contraddizione tragica della situazione non fu spiegata,
ma soppressa da Platone, che idealizzò Socrate come l'uomo del-
l'oracolo - l'uomo che trascende la situazione.
Di fronte a questa figura, che smarrisce continuamente nel
mito i suoi contorni, preferiamo lasciare la parola, per illustrare
il punto che ci interessa, ad un interprete che fu nei nostri tempi
un socratico. " La dialettica. Come procede ora tale ricerca? Un
atto, una situazione rimanda a un valore: a un principio generale
di azione, all'idea di una virtù, a un criterio di giudizio. È chiaro
questo valore alla coscienza? Sappiamo noi con certezza di che si
tratta? "h questa la domanda elenctica, il problema che prova e
mette in gioco la nostra sicurezza, con cui l'inchiesta si inizia.
E sin dal primo esame risulta che il nostro sapere è in questo
campo un'musionc, fondata su certe accezioni comuni che si
riflettono in un nome comune, ed hanno bensì la loro base in
una comune struttura etica - di ciò Socrate non dubita - ma che
qui s'è astratta, confusa e resa ambigua, capace di accogliere
ogni contenuto. Questa coscienza dell'ambiguità del linguaggio
era stata già riconosciuta nelle ricerche siQònimiche di Prodico,
ed era stata rilevata in tutta la sua importanza, come espres-
sione della crisi etica, da Tucidide. Ma qui Socrate va ancora
più a fondo: sotto l'ambiguità generica della parola, sotto l'astrat-
ta incctiezza della comune opinione, egli eccita, per così dire,
la singolarità delle opinioni, impegna ciascuno in una detenni-
nazione concreta di quel valore, e lo impegna a fondo, con la
sua esperienza, con la sua vita. Perciò ogni opinione è presa

ria della filosofia, ma anche in quelle sulla filosofia della storia: si vedano
alcuni giudizi di Hegel nel Socrate di A. Banfi, Milano, 19442, pp. 333 sg~.
(il brano che ora riportiamo è a p. 88 sgg.); poi K. LEESE, Die Geschichts-
phi/osophie Hegels auf Grund... , Berlin 1922, p. 206 sgg.; J. KuP'FER, Die
Aufjassung des Sokrates in Hegels Geschichtsphilosophie, Diss. L~ipzig 1927
c il nostro Antropologia e dialettica nella filosofia di Platone, m Storicità
della dialettica antica, Padova 1966.

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L'esperienza sncratJ.ca 39

con la massima serietà, proprio perché in essa deve esprimersi


con la massima vigoria la situazione personale di fronte a quel
problema, è chiarita in cgni suo presupposto, in ogni suo svi-
luppo, è rapportata sia all'esperienza personale come alla esten-
sione obbiettiva riconosciuta di quel valore etico. E in tal pro-
cesso si illuminanò i suoi limiti c il non sapere deHa persona
stessa, la sua mancanza di chiarezza con sé, di coerenza inte-
riore, l'ambiguità dei propri principi, prnprio là dove si esige-
rebbe il massimo di precisione; ed ecco nuove opinioni si af-
facciano, si contrastano, sono riprese a fondo e di nuovo le per-
sone reagiscono e prendono coscienza di sé. Tutta' quella sfera
etica è posta in movimento, messa in problema, e non un puro
problema di sistemazione teoretica, ma un problema di vita
e di partecipazione d'animo. Le reazioni, naturalmente, delle
singole persone sono diversissime, e qui ha avuto luce la grande
arte platonica; impassibile, sereno, comprensivo e insieme ironico
è Socrate, che iqcessantcmente svolge. intreccia, approfondisce
la ricerca, risolleva il discorso dalle facili affermazioni dogma-
tiche come dagli scoramenti.
"Questo esame che corre continuo e si sviluppa sotto il dia-
logo è la dialettica socratica. Essa si differenzia sia dalla reto-
rica sofistica, sia dall'eristica dei cinici, sia dalla dialettica spe-
culativa di Platone. Per riguardo alla prima essa è in netta oppo-
sizione. Giacché la retorica sofistica è lo svolgimento armonico e
persuasivamcntc coerente di un punto di vista, è l'univcrsalizza-
zione nel discorso di un'opinicnc, mentre la dialettica socraticu
è proprio il conllitto delle opinioni, 1a distruzione della loro cer-
tezza, la risoluzione del loro apparente equilibrio. Quanto al-
l'eristica cinica essa svolge uno dei motivi della dialettica socra-
tica, i·l motivo negativo del non sapere, in senso puramente scet-
tico: ciò che le importa e a cui usa tutti i mezzi di una retorica
del dissuadere, è di distruggere le pretese dell'intcllettualismo a
una legislazione della vita e di lasciar campo libero a.Jla virtù
spontanea della natura umana. Infine, la dialettiCa platonica ha
valore essenzialmente teoretico. Essa nasce sì dalla dialettica so-,
cratica, ma, pur sviluppando un elemento della sua natura, ne
modifica l'intenzione. Voglio dire che in Platone il movimento del
pensiero, attraverso il caos confuso dell'opinione, mira a sco-
prire il sistema delle idee che vi soggiacc, superando via via la
parzialità dì ogni posizione nell'ordine dei suoi rapporti c puri-
ficando quella in questi. 1:: insomma il regno universale e auto-
nomo della verità che così è conquistato, in modo che il pro-
cesso o il metodo dialettico si estende a tutti i piani c- le forme

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40 Esperienze dialettiche tra i Sofisti c Socrate

dell'esperienza. Pt:r Socratc la dialettica non è un metodo uni-


versale teoreticp: essa si riferisce solo al campo etico ed è il
processo per cui questo si traspone sul piano della moralità.
Giacché la dissoluzione della certezza dell'opinione, il riconosci-
mento della sua astrattezza o parzialità, il rilievo delle contrad-
dizioni tra opinione e opinione e dell'inadeguatezza di ciascuna
ad esprimere nella sua purezza e universalità il mondo etico, se
non. si arrestaper Socrate alla constatazione scettica di Antistene,
non procede neppure con Platone verso Ja definizione universal-
mente valida del concetto di quel valore. La dialettica ha per
Socratc un fine essenzialmente pratico: essa mira a riportare i
valori etici incerti nella crisi del costume a contatto con le esi-
genze e le situazioni personali, a trar queste fuori dal limite della
loro egoistica sufficienza, a far sì che sul comune piano di pro-
blemi le singole persone riconoscano la loro comune umanità ...
" La ricerca socratica ci dà il primo esempio spontaneo del
metodo concettuale, pur senza averne in chiaro, date le sue fina-
lità pratiche, l'efficacia teoretica. La reazione sofistica scettica
verso la filosofia razionale dei fisici, è un ritorno alla validità dei-
l'esperienza concreta e dell'opinione, con l'aspirazione pratica a
creare un'opinione retoricamente così universale da valere come
criterio di giudizio c di azione. Ma in Socrate l'esperienza, l'opi-
nione, !ungi dall'essere astratta, è lasciata valere nella sua con-
cretezza, è riconosciuta nella varietà della sua struttura e dei suoi
rapporti, la cui unità limite è per l'appunto i1 concetto. La dia-
lettica socratica è proprio questo metodo; solo che il suo inte-
resse è pratico, non teoretico, la sua funzione è protreptìca, ri-
volta alla formazione della coscienza e della responsabilità per-
sonale. Perciò il metodo resta aperto, la dialettica senza solu-
zione, il concetto non è raggiunto, e il suo essere - tratto fuori
dall'incertezza dell'opinione comune - è un limite della ricerca,
e quindi né definito astrattamente in senso logico né realizzato
metafi.sicamente come idea o come essenza sostanziale. Dal che
risulta che proprio la finalità pratico-protreptica della dialettica
socratica, la rende un tipico esempio di metodo concettuale aper-
to e progressivo, la pone, sia pure senza chiara coscienza del
suo valore teoretico, all'inizio di quel razionalismo della ricerca,
che dopo essersi espresso in Platone nella sua esigenza più pro-
fonda e definito e limitato sistematicamente in Aristotele, troverà
nel pensiero moderno il suo più largo sviluppo" 13•

" A. BANI'I, .Socrare, cit., p. 88 sgg.

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3. Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

3 .l. Premessa
Tre fatti essenzialmente impediscono allo storico e all'inter-
prete di accedere alla filosofia platonica con la stessa oggettività
di cui sa o almeno può dar prova in altri casi e oserei dire in
tutti gli altri casi: la forma letteraria, che Platone ha scelto per
consegnare a noi il suo filosofare, il dialogo, il dibattito dram-
matico, che presuppone invenzione di personaggi, creazione di
situazioni, e, diciamolo pure, mistificazione di uomini e di idee;
la mediazione,· che egli ha voluto creare, tra sé, i personaggi e il
lettore, inserendo nel . dibattito la persona di Socrate, solleci-
tatore della ricerca ma anche, ad un tempo, " figura dello scher-
mo", centro dal quale sfuggono verso un'immaginaria circonfe-
renza le linee di ~orza che quella ricerca ha messo in luce e de-
terminato cori. calcolo e perizia~; e infine una specie di " doppia
verità", messa in pratica da Platone, e cioè la filosofia contenuta
nei dialoghi c la filosofia esposta nelle lezioni all'Accademia, dci
cui limiti e rapporti oggi sappiamo ben poco, mentre i contempo-
ranei non potevano non esserne al corrente.
Per questi motivi l'interprete, sia esso filosofo o filologo, non
può che scegliere un momento, una tesi, un problema della fi-
losofia platonica presupponendo che tale tesi sia anche di Pla-
tone - e dare così per risolta una difficoltà che storicamente ri-
solta non è - ricostruendo secondo questo punto di vista il si-
stema o una sua parte o la sua evoluzione. Dobbiamo insomma
presupporre come nota una filosofia di Platone per· intendere in
Platone la filosofia. Hegel stesso, che ha fondato nella Storia
della .filosofia la sua magistrale ricostruzione del platonismo sulla
Repubblica, ha così posto da parte il dato storico, che Aristotele
non cita mai questo dialogo nella discussione dei problemi stret~
tamente filosofici o metafisici.

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42 Dialogo, dialettica c tilosofia in Platone

Le tre diflìcoltà di cui abbiamo parlato (forma dialogica, pro-


blema di Socrate c doppia verità) sono a più forte e a maggiore
ragione presenti, si unificano, direi, nel problema della dialettica,
nel senso però che· questo ne costituisce il fondamento, il loro
tessuto connettivo. Infatti, la dialettica nasce dal dialogo, è il
dialogo stesso almeno fino ad un certo punto, e si può sostenere
che la forma dialogica era richiesta, per darne un'immagine ph-
stica, dal dìalettizzare di Socrate o, se vogliamo, dall'interpre-
tazione che Platone intendeva dare della filosofia socratica. Già
per tale motivo problema di Socrate in Platone e dialettica sono
tutt'uno. Qual è, infatti, la forma della dialettica socratica? In
che si distingue dalla dialettica platonica? 't presente la distin-
zione in Platone, e, se c'è, a che punto e su quale piano ha
essa inizio? Non ha grande importanza per noi, in questa sede,
la questione delle " lezioni " platoniche, delle dottrine non scrit-
te, ma è chiaro che non può non esserci una relazione con ciò che
è stato l'anima di una lunga evoluzione, con quella dialettica che
ritorna, trasfigurata, anche negli ultimissimi scritti, per esempio
la Lettera VII.
Abbiamo premesso queste osservazioni per sottolineare la na-
tura particolare della ricerca platonica e addirittura la sua ecce-
~.:ionalità quando la si debba investire dal punto di vista della
dialettica. l dati della questione, infatti, si presentano in modo tale
che l'interprete si vede· costretto a esporre il problema della dia-
lettica in Platone come se esso costituisse ad un tempo la parte
c l'jntero di quella fi·losofia, il fatto c il problema, il presup-
posto del filosofare, il suo risultato e la prospettiva del filosofo.
Stando così le cose, molti problemi, che il lettore si" sarebbe im-
maginato di veder qui accennati o risolti, saranno lasciati in
ombra, altri, che la tradizione riteneva accolli o superati, ver-
ranno invece discussi a fondo. Ma tutto ciò, ormai lo si è detto
più volte, dipende dalla filosofia di Platone, dai suoi limiti - che
sono la sua stessa grandezza e la ragione del suo poter essere
continumnente ripetuta. Per chiarezza cercheremo di separare e
di tener separati questi piani, questi strati del platonismo, indi-
viduando prima una storia esterna del concetto di dialettica c
proponendo in un secondo momento una interpretazione.

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Dialogo e dialettica 43

3.2. Dialogo e dialettica


llw:MyEa1lcn inizia· la sua storia in Platone col significato di
" intrattenersi in colloquio ", " discutere ", " domandare e rispon-
dere " ecc. È l'uso degli scrittori attici intorno al 400 a.C. Il col-
loquio che viene con questo verbo indicato si svolge preferibil-
mente fra due persone, ma non necessariamente, perché al di-
battito partecipano spesso numerosi interlocutori. Non ha gran-
de importanza documentare questo dato preliminare. Basta sfo-
gliare qualunque dialogo platonico per accertarsene. Per esem-
pio: " Ed io non sono di quelli che pretendono denaro per
parlare... " (Apol. 33B); poco più avanti: "Abbiamo avuto, in-
fatti, voi ed io, troppo poco tempo per discutere ( =per venire
ad una spiegazione) " (3 7AB). Nel Protagora questo verbo ricor-
re, dicono, 33 volte 1• Vediamone qualche esempio: "Ora ti
farò una domanda sull'argomento intorno al quale poco fa tu
ed io si discuteva " (339AB); una volta è usato il duale: "Biso-
gna infatti che coloro che assistono a tali dibattiti siano impar-
ziali tra i due interlocutori " (337 AB); ancora: " ... nel vestibolo
parlammo a lungo finché ci si mise d'accordo" (314CD). Nel
F e do ne: " (perché il veleno faccia il suo effetto) è necessario
che ti spieghi di parlare il meno possibile " (63DE); anche in
un'opera tarda come le Leggi troviamo: "Avendo considerato
questa potenza militare di cui stavo parlando ... " (m. 686DE), e:
" In realtà il nostro colloquio è rivolto ad uomini, non a dei "
(v. 732E-733A).
Significative contrapposizioni illuminano in pieno, anche se
indirettamente, l'uso di questo verbo in Platone, una accezione
nient'affatto semplice perché di volta in volta Platone dà ad esso
se non un particolare significato almeno una sfumatura diversa.
Il discorrere, il conversare ordinatamente, la discussione onesta,
pura da invidia e da spirito di emulazione (come il filosofo si
esprimerà da vecchio nell'Epistola VII, cfr. 344BD), vengono
opposti al disputare, al dibattito eristico, sottile, capzioso, formaJe
(Repubbl. v. 454AB); alla contestazione oratoria, nel corso della
quale è lecito scherzare ed ingannare, mentre nel dialogo ci si deve
impegnare seriamente, aiutare l'avversario, mostrargli gli errori
(Teet. 167D-168A); alla pubblica allocuzione nell'assemblea o
nei tribunali, dove una parte deve schiacciare l'altra (per es.
Gorg. 471E-472A); secondo un noto passo del Protagora: "Pen-

1 W. MuRI, Das Wort Diaiektik bei Plato, in « Museum Helveticum ~,


1, 1944, n. 3.

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44 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

savo, infatti, (dice Socratc) che una conversazione tra persone


che si sono date convegno e un discorso al popo~o fossero due
cose distinte" (336BC) - e viene subito introdotto il noto tema
del discorso breve e del discorso lungo, dell'indagine che procede
per brevi domande-risposte e dell'esposizione continuata, siste-
matica potremmo dire, che avrebbe opposto prima i sofisti tra
loro, poi, in Platone, i sofisti e Socrate. Vorremmo, infine, ri-
cordare un luogo del Menone comunemente citato, che tuttavia
ha per noi un valore addirittura paradigmatico, se ha senso tutto
ciò che abbiamo detto e cercato di mostrare sulla genesi e sulla
natura della dialettica, su questa costante dell'interpretazione pla-
tonica: " Se poi l'interrogante fosse uno di quei sapienti eristici
e polemici, gli direi: ' Io ho parlato; se non ho detto bene, tocca
a te riprendere l'argomento e confutarmi'. Ma quando due amici,
come tu ed io siamo, hanno voglia di discutere insieme, allora
dovrei rispondere un po' più dolcemente ed in modo più conforme
allo spirito della conversazione. E questo significa non soltanto
rispondere la verità, ma anche fondarla su ciò che l'interlocutore
riconosce lui stesso di sapere" (75CE) (cfr. sopra 1.2). E così,
lo vedremo subito, ritorniamo, perfezionandola, alla situazione
del Protagora.

È indubitabile, infatti, che questa accezione, la pm VIcma,


come dobbiamo ritenere, al valore etimologico e semantico di
llt.aMyw{hXL-dialettica, esaurisca aQche, nel suo complesso, il
primo, socratico-platonico, significato di dialettica. Il fenomeno
è già stato da altri accuratamente studiato, la tecnica del dia-
logo socratico attentamente esplorata 2• Sul cosiddetto procedi-
mento elenctico si è innalzato addirittura un sistema, a torto se-
condo noi, perché in tal modo risulta annullata la libertà del pro-
cedimento socratico e platonico; il libero gioco della domanda-
risposta, dell'accettazione e della confutazione dell'ipotesi è stato
determinato nelle sue forme dirette e indirette, induttive, sillo-
gistiche, definitorie. A che scopo? Robinson alla fine del suo
progetto di lavoro conclude: "L'Eì.eyxo; si trasforma in dialetti-
ca, il negativo in positivo, la pedagogia nella.rivelazione, la mo-

2 Soprattutto nelle interpretazioni degli storici e filologi inglesi, fra le

più equilibrate nell'individuare nel platonismo il momento ·socratico e


quello platonico. Vedi per esempio A.E. TAYLOR, Socrate, trad. it Firenze
1952 e ROBINSON, Plato's E.arlier Dialectic, Oxford 1953 2, parte r: "Elen-
chus ··, pp. 19 e 69 per le citazioni qui sotto. Stato della questione e bi-
bliografia in V. DE MAGALIIAEs-VILHENA, Socrate et la légende platoni-
cienne, Paris 1952.

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Dialogo e dialettica 45

ralità in scienza ". L'elenco o confutazione non è, dunque, altro


che una prima forma della dialettica, una dialettica, per usare
la terminologia del Robinson, che non è ancora pervenuta al me-
todo, che non si sa ancora come metodo. Perché allora fare del-
l'elenco un metodo? Fra i luoghi in cui Platone fa reclamare a So-
crate libertà di movimento e di procedimento, scegliamo questo,
dal Teeteto, significativo perché abbastanza recente nell'evolu-
zione. Socrate, confutando Ja norma protagorea, riprende un'ar-
gomentazione dell'Eutidemo (287 A sgg.): se non possiamo in-
gannarci né con l'azione né con le parole né con il pepsiero,
a chi, di grazia, .volete dare lezione? Per qual motivo Protagora
sarebbe tanto saggio da poter insegnare agli altri se ciascuno di
noi è misura della propria saggezza? - e aggiunge: "Come non
dire che Protagora parla ad uso del popolino? Per ciò che ri-
guarda me e la mia arte maieutica è meglio non parlare di
tutto il riso che provocherebbe, e penso anche a tutta l'opera dia-
lettica ... " (161 E-1-62A).

Una volta esposta la situazione di fatto dobbiamo però porci


una domanda. Come avviene in Platone la determinazione filo-
sofica, la traduzione in valore concettuale di questo fenomeno
linguistico, lessicale, e ad un tempo (non dimentichiamo Socrate
e la prassi quotidiana del tempo) prammatico? Uno dei problemi
più affascinanti della storia della dialettica, forse dell'intera sto-
ria del pensiero antico, è destinato a nostro avviso a rimanere
senza soluzione, un enigma - ed esso racchiude la ragione, non
ultima, del suo provocare continuamente gli interpreti. Le radici
del problema, Ja sua genesi, o stanno semplicemente in quella
storia che abbiamo cercato di tracciare - una storia alla quale
Platone partecipa attivamente e si trova ad esserne /anche l'erede,
un epigono - oppure esse affondano nell'intrico dei rapporti So-
crate-Platone, in .un tessuto, dunque, dove ogni ipotesi è possi-
bile, ma dove ogni interpretazione rischia di essere una violenza
esercitata sui testi e sui documenti in nostro possesso.
Abbiamo accennato ora, per star fermi al nostro ùtaMyecr{hu
e per non coinvolgere temi dell'intera dottrina, all'interpretazione
del Robinson, e abbiamo ricordato a suo tempo quella senofon-
tea (cfr. sopra 1.4), senza eco, cioè non esplicitamente testimo-
niata, che si sappia, in Platone. A questo punto, per rispondere
più direttamente alla domanda posta, che in modo più adeguato
potremmo formulare così: Fra gli esempi riportati qual è la de-
terminazione del btaì,iyun'tm che si impone come filosofica? -
vorremmo riprendere la tesi del Calogero, che proprio sul

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46 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

bwÀÉyfo{}m fonda la sua ricostruzione socratica: " ... e anche se


la socratica volontà di dialogo si è qui (nel Fedro) già sensibil-
mente cristallizzata in ' arte dialettica ' (secondo quel processo che
segna la storia interna del pensiero platonico, e .che a poco a -poco
riduce Ja dialettica a non essere altro che una particolare dot-
trina, cioè un più o meno ragionevole logo nel dialogo), tuttavia
il fatto che si inseriscano i ÀélyOL come semi fecondi, negli animi
degli interlocutori continua ad èssere concepito come un proces-
so ininterrotto che si ripete in sempre nuovi animi e con sempre
nuovi ÀoyOL ... " 3 •
Se riteniamo accettabile questa configurazione, la determina-
zione del bwi.Éyw-frat, che ha in sé immediatamente qualcosa di
filosofico, è presente nel Protagora: qui per la prima volta So-
crate . dirige il dibattito, nel senso che impone ad esso certe
condizioni. Si tratta del lungo passo 328D-336C all'interno del
quale cade la citazione, che abbiamo sopra riportato: elogio del
discorso breve e di Protagora, che sa tenere " discorsi lunghi e
belli ", ma sa anche, quando è interrogato, rispondere con conci-
sione e, quando interroga, " attendere la risposta e accoglierla "
per valutaria correttamente (la qual cosa, ironizza Socrate, " è
data a pochi"); esposizione del procedimento come controllo del-
l'opinione sostenuta, sia essa quella degli interlocutori sia quella
di altri fatta valere nel dibattito, ma anche esame e di chi la do-
manda pone e di chi risponde - insomma il metodo del doman-
dare-rispondere in breve, attenendosi però al fatto, interpretando
correttamente la domanda, rispondendo a tono, dandone ragione
nella risposta a sé e agli altri. È un. momento del dibattito sul
quale Platone insiste, e lo sottolinea usando espressioni " tecni-
che" (alcune di esse ritroveremo anche più tardi: per es. Resp.
VII. 531E-532A e Politico 286A: "saper dar ragione di una cosa
e intendeme ragione"): ~çn&.~uv (sottoporre ad esame), 1!/,qxoç
(l'esame, la contestazione, e la dimostrazione che se ne dà),
f),Érxnv (mettere in atto l'EÀFy;(oç), ÈÀÉYXfm'}cn (essere oggetto
dell'EÀEyxoç); btW.Éyw{}m nella precisa accezione di rispondere ri-
ferendosi esattamente a ciò che è stato chiesto; Myov &ouvat (ri-
spondere a tono), Aùyov 6É~aaftm (intendere la risposta c inter-
pretarla opportunamente al fine di procedere nella conver-
sazione) 4•

' G. CALOGERO, Socrate, in <<Nuova Antologia», xc, fase. 1859, No-


vembre 1955, p. 100.
4 Cfr. 11. cc. in Protagora, a cura di G. Calogero, Firenze 1948.

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La dialettica come problema 47

3.3. La dialettica come problema


Dovrebbe essere risultato chiaro che finora la dialettica come
ataÀ.Éywihn è accettata e presentata nella filosofia platonica come
un fatto. Platone lascia agire il awMywihu socratico nella sua li-
bertà, nel suo movimento, nei limiti non ben definiti delle sue
norme. Dobbiamo ripetere che lasciamo del tutto aperta, o me-
glio non discussa a fondo, la questione se questo fatto della
filosofia platonica coincida con la cosiddetta filosofia socratica,
benché non sia possibile dubitare che esso coincide con la filosofia
di Socrate in Platone. Il mondo intellettuale di allora, comple-
tamente diverso, com'è ovvio, dal nostro, si mostrava del tutto
indifferente, si badi, al concetto e al senso della proprietà lette-
raria; di qui la buona fede degli autori dei cosiddetti plagi, delle
contraffazioni, delle opere suppositizie; a maggior ragione non
si può dubitare della buona fede della ·libera ricostruiione pla-
tonica. Con questo noi generalizziamo e semplifichiamo, per la
necessità dell'esposizione, un'opinio r:ecepta, un dato sul quale
si accordano storiografie di natura e ispirazione diversissime, che
pur fanno valere riserve, difficoltà, indicazioni o lezioni parti-
colari.
A partire da questo risultato, dallo stesso Gorgia, che per ra-
gioni interne ed esterne non può che collocarsi vicino al Prata-
gora, la concezione del 1haÀÉycoofrut entra in crisi nel senso che da
esso si libera, rendendosi autonomo e acquistando forme deter-
minate, il suo significato, diciamo pure, metafisica. L'accezione
originaria resiste, certo, accanto alla nuova ricerca, e vi rimane
ora semplicemente giustapposta ora invece come presupposta.
Infatti, l'arco lungo il quale si distende il dibattito nel Gorgia va
dall'affermazione di Socratc di fronte a Gorgia: " Se il tuo ca-
rattere è dunque simile al mio, se sci l'uomo cui piace confutare
ed essere confutato, allora parliamo" (458AC) -fino alla regola
che Socrate stabilisce con Callide: " ... se noi saremo d'accordo
su un punto, riterremo questo punto provato a sufficienza e non
avremo bisogno di altri esami. .. , il nostro consenso quindi si-
gnificherà il compiersi della verità" (487E-488A): ma in mezzo
sta quella ricerca sulla natura della retorica che è già in sé una
ricerca sulla dialettica. n awJJywofrut, insomma, non è più il fat-
to della filosofia platonica (socratico-platonica), ma è posto ora
come un suo problema.

L'analisi della retorica (natura, significato, compiti) si pre-


senta nelle sue linee generali secondo questa evoluzione. Nel-

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48 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

l'Eutidemo, in fom1a ironica e polemica, il retore e il sofista


sono sostanzialmente identificati. Antifilosofi per vocazione e d'al-
tra parte combattuti dai filosofi e da questi disdegnati, i retori
occupano una posizione che " sta al limite tra la politica c la filo-
sofia " (305CE). TI discorso va più a fondo nel Gorgia, dove alla
natura della retorica è dedicato più ampio spazio, tutta la prima
parte del dialogo. L'argomentazione platonica va determinando-
si : già la tradizione non considerava scienza la retorica, e ne
limitava la sfera d'azione al mondo dell'opinione; ora si tratta di
negare che la retorica sia. un'arte: " ... non è un'arte ma un'em-
piria, perché rispetto alle cose che offre non sa rendere nessuna
ragione di quale natura siano queste cose che offre, sì da non
poter dare la spiegazione di ciascuna" (465AB). Per Platone,
dunque, la retorica non è un'arte proprio perché è ciò che soste-
nevano i sofisti, cioè un'esperienza teorico-pratica, un'empiria.
Possiamo comprendere allora la posizione nuova rispetto al-
l'Eutidemo, la distinzione cioè della retorica dalla sofistica: esse
sono ugualmente due forme di adulazione, due contraffazioni, ma
" mentre la sofistica sarebbe contraffazione dell'arte della legisla-
zione, la retorica sarebbe invece contraffazione dell'arte dell'am-
ministrazione della giustizia " - affermazione che a Platone è
consentita senza altre spiegazioni in quanto è implicita nel pre-
supposto, comune all'età sua, dell'identificazione del saggio poli-
tico e del vero oratore.
Il nuovo passaggio è rappresentato dalla negazione del com-
pito della retorica gorgiana, la persuasione; ma tale negazione
è tutt'uno con la formulazione del ~taì.ÉyFa&m socratico, che
abbiamo già visto. Non c'è altra persuasione che quella solleci-
tata dalla pratica del dialogo, dalla disposizione della buona co-
scienza nel conversare c nel fare. Il circolo è, dunque, percorso,
chiuso; la prima figura autonoma della dialettica si rivela e
prende forma nel dibattito fra la retorica, la sofistica e la filo-
sofia. La nuova risposta, e il punto finale di questa evoluzione,
è nel Fedro. Ne esporremo brevemente il risultato, perché il
Fedro ci porta molto al di là del problema che stiamo indivi-
duando. Non dimentichiamo che il Fedro ha alle sue spalle il
Crati/o, il Simposio e soprattutto la Repubblica, cioè Platone
parla dopo una grande esperienza di pensiero, di cultura e di vita
morale, dall'alto di una posizione speculativa che egli considera
sicura c provata anche se non definitiva; almeno per ora, dice,
egli sa chi sono i dialettici (266BC) 5• Che cos'è, allora, la re-

' Per la datazione del Fedro v. la Notice premessa da L. Robin alla

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La dialettica come problema 49

torica? Come è facile vedere, -il piano della precedente ricerca


appare capovolto: non si cerca più la dialettica a partire dalla
retorica; l'argomentazione si sviluppa secondo questo progetto:
la critica della retorica di fatto, nelle sue opere e nell'insegna-
mento, dimostra che non c'è arte retorica autonoma, fondata sul
sapere e quindi sulla possibilità di essere insegnata; si può, in-
vece, affermare l'ideale di una retorica di diritto, che abbia il
proprio fondamento nella filosofia, nella dialettica; un'arte di
parlare e di pensare, retta dalla ricerca in comune e dal biso-·
gno, dalla necessità della verità, vivi e fecondi nello spirito del
maestro e del discepolo (agisce qui la celebre dottrina dell'amo-
re); una retorica filosofica- la dialettica, compiuta come metodo
e come techne (cfr. 269DE).

Possiamo anticipare subito come essa si determini e quale sia


il suo doppio movimento. Il primo, la sinottica, consiste nel ri-
condurre all'unità di una forma, di un'idea, diremmo noi, ciò
che è diverso e molteplice, a mezzo di una intuizione, di una vi-
sione, di una comprensione della totalità; il secondo, la diaire-
tica, mira invece a specificare l'unità definita in precedenza, cioè
a riconoscere quali forme dipendono dalla natura di quell'unità,
mediante una divisione di essa secondo le sue articolazioni na-
turali, cioè le sue specie. Si noti che in Platone il rapporto specie-
generi (dove specie= forme, idee) non è ben determinato e non
corrisponde a quello presente nelle nostre lingue. L'unità natu-
rale di cui si parla è paragonabile a quella di un essere vivente,
che ha parti uguali a destra e a sinistra. Nei due discorsi sul-
l'amore, che Socrate tiene in risposta al discorso di Lisia rife-
rito da Fedro, si sostiene che l'amore è un delirio e in quanto
tale viene una prima volta esaltato e la seconda vituperato, con-
siderandone prima la specie sinistra poi la specie destra, il de-
lirio umano e il delirio divino - operazione che deve continuare
per ciascuna determinazione fino alla specie indivisibile o idea
(cfr. 277AB):
" Questi due processi, condizionantisi a vicenda, costituiscono
tutta la dialettica. II che Platone rende chiaro col ricapitolare
brevemente lo svolgimento e il risultato delle differenziazioni con-
cettuali nel secondo dci due discorsi. Questa delucidazione delle
due funzioni del metodo dialettico, la sinottica (avvaywy~) e la
diairetica (btchQFmç) è quel che di più chiaro e penetrante Platone

sua edizione per la coll. « Les Belles Lettres », Paris 1954', pp. m-rx. Sulle
idee-specie-forme e sul rapporto col Fedone, citato avanti, pp. CLIV-CLVI.

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50 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

abbia mai detto su questo soggetto " 6 : " Amo, o Fedro, queste
operazioni del dividere e dell'unificare· affinché mi sia possibile
parlare e pensare. Se scorgerò poi qualcun altro capace di portare
il suo sguardo sull'uno e sull'unità naturale di un molteplice, que-
sti voglio inseguire, 'sulla traccia ch'egli lascia, come fosse quel-
la di un dio'. E infatti coloro che sanno fare questo - se è giu-
sto o no, dio lo sa - per ora io li citiamo ad ogni modo dialetti-
ci... " (Fedro 266BC). Il perché di questa definizione è dato come
noto: la pratiéa del dialogo è a suo fondamento come il Fedone
ha già: dimostrato (cfr. 73AB, 75DE c 78D: " Quest'essenza in
se stessa dell'essere della quale noi diamo ragione interrogando
e rispondendo ... ") - anche se le parole dialettico e dialettica non
sono ancora state pronunciate come avviene invece nel Cratilo.
e nel Menone. Che il dialogo sia indispensabile al primo dei due
procedimenti lo hanno provato a sufficienza i dialoghi giovan~Iì
con quelle induzioni che rappresentano lo scopo di una ricerca in
comune. Se si pensa al Sofista e al Politico, ci si convince che il
dialogo è altrettanto necessario al secondo procedimento illustra-
to dal Fedro.

Eravamo partiti dal ~Ìlaì.Éyt{hu socratico-platonico, dalla posi-


zione di Platone nel Protagora e nel Gorgia, e abbiamo trovato,
nel Fedro, nel tentativo di individuare le componenti della pole-
mica contro la retorica, la dialettica e il dialettico, in una delle
loro figure più complesse o meglio in una sfera che appartiene
già all'ultimo momento dell'evoluzione platonica. Se avessimo
condotto innanzi la lettura del Fedro, ci saremmo imbattuti an-
che nella definizione del filosofo. Alla fine del dialogo, infatti,
(278CE), il dialettico si identifica col fil9sofo in quanto filo-sofo:
il nome di sojo sembra qui a Platone eccessivo come quello che
" conviene soltanto ad un Dio ". Dal dialogo, dunque, alla dia-
lettica e alla filosofia; dalla pratica del dialogo, che esaurisce i
compiti del filosofare nel dar ragione della cosa a sé e agli altri -
la filosofia come quella persuasione che 8taMyw{}m promuove -
al metodo-techne della parola e del pensiero, la dialettica della di-
visione e dell'unificazione, che si fonda ora non più sul convinci-
mento e sulla convinzione dei dialoganti, bensì sulla possibilità
di un'intuizione dell'intero.

' W. W. J AEGER, Paideia, trad. it. Firenze 1959, vol. 111, p. 331.

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La dialettica come " metodo " e come " scienza " 51

3.4. La dialettica come "metodo" e come " scienza" (la


Repubblica)
Nel Fedro abbiamo per la prima volta colto il liberarsi di una
figura sistematica _della dialettica (filosofia) dal (ha/.Éyw{}m (dia-
lettica) di origine e ispirazione socratica. II linguaggio denuncia
questo nuovo stato di fatto quando Platone pone i:ltaAÉyEm'}m sen-
z'altro uguale a dialettica: " ... bisogna trattare con indulgenza
coloro che noo conoscendo la dialettica (1:\tuÀfyw{}cu.) ... " (269
BC). Dobbiamo chiederci come sia avvenuta questa si~temazione
concettuàle, perché a tale domanda abbiamo risposto solo in par-
te. Abbiamo, infatti, seguito la polemica antiretorica e notato che
Platone aveva alle spalle un'esperienza culturale non trascurabi-
le, e abbiamo anticipato così un risultato che ha le sue premesse
o più precisamente la sua fondazione nella Repubblica, un'opera
nella quale agiscono le preoccupazioni più dirette e immediate
del filosofare platonico. ·
Non dimentichiamo che il dibattito retorica-sofistica-dialettica-
filosofia non è in Platorte sollecitato dall'alto, a parte philosophiae.
La Lettera VII, della cui autenticità è difficile ormai dubitare 7,
è esplicita: ciò che ha indotto Platone a dedicarsi alla filosofia
è la condanna di Socrate, dell'uomo più giusto che mai fosse
apparso sulla terra; questo giudizio, questo scandalo che coin- .
volge tutti nella stessa responsabilità, non deve ripetersi. Che
fare? Combattere le cause della dissoluzione che hanno fatto
della nostra città una città ingiusta e creare i presupposti della
Città giusta, nella quale Socrate, il giusto, il filosofo, possa vi-
vere e operare. Platone propone una riforma dello Stato e ad un
tempo una riforma dell'educazione: d'altra parte, perché ciò sia
possibile (in realtà è una contraddizione), dati l'ingiustizia e il
disordine imperanti nelle nostre città, bisogna dare il potere ai
filosofi o educare i re alla filosofia. Come la Repubblica, nella no-
stra configurazione, sta al centro dell'intero pensiero platonico
così la " terza ondata ", il governo dci filosofi e la loro educazio-
ne, sta al centro di quella totalità sistematica che la Repubblica
in sé rappresenta ed espone. Le due " ondate " precedenti, cioè
massime difficoltà che nella costruzione della Repubblica di-
pendono dalla natura e dalla storia, sono rappresentate dalla ne-
cessità del servizio militare femminile e dalla comunità delle don-
ne e dei bambini
7 G. PASQUALI, Le lettere di Platone, Firenze 1938, pp. 77-114 e si

vedano le obiezioni di A. MADDALENA nella sua traduzione commentata:


PLATONE, Le lettere, Bari 1948.

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52 Dialogo, diàlettica e filosofia in Platone

Per la lettera del suo testo e per le sue implicazioni ideologiche


quest'opera platonica è stata ed è tuttora fra le più discusse e le
meno comprese. Naturalmente non possiamo qui analizzare una
lunga tradizione di interpretazioni e neppure esporre la costru-
zione del lavoro nella sua complessità 8• Vediamo invece diretta-
mente 11 posto che la dialettica occupa nell'educazione del per-
fetto custode (il filosofo che potrà governare al termine del tiro-
cinio dialettico, all'età di cinquant'anni) e il suo compito. Il pre-
supposto diretto, una volta stabilito il principio dei re-filosofi nei
due suoi momenti della necessità e della possibilità (v. 471C sgg.
e VI. 498D sgg.), è la dottrina dell'idea del bene (e della sua
immagine: il sole), " l'oggetto della scienza più alta (~tÉyu:n:ov
~uHhwa) dalla quale la giustizia e le altre virtù traggono utilità
e vantaggio " (VI. 505AB), termine del lungo periplo dell'educa-
zione del filosofo. Dalla relazione tra il Sole e l'idea del Bene di-
scendono altre corrispondenze, che sono state rappresentate sehe-
maticamente così: Ton:oç o(laToç e Ton:oç vo'Y}-r6ç (si badi che nella
forma greca è implicito il doppio aspetto " pensabile " e " pensa-
to ", " visibik ".e " veduto ", il che non è senza significato filo-
sofico), luce e verità, oggetti della vista (colori) e oggetti della
conoscenza (idee), soggetto che vede e soggetto che conosce, or-
gano della vi<>ta (occhio) e organo della conoscenza (voiiç), facoltà
della vista e facoltà della ragione, esercizio della vista ed eser-
cizio della ragione (intendimento, intellezione intuitiva, scienza).
Non sarebbe possibile qui spiegare i singoli termini greci e i
loro corrispondenti italiani. Abbiamo cercato di usare nel testo i
più comuni e più immediatamente comprensibili al fine di chia-
rire Je operazioni della dialettica.
Da quella dottrina dipende la divisione del conoscibile che
Platone espone due volte, nell'allegoria della linea (VI. 509E sgg.)
e nel giustamente celebrato e ripetutamente interpretato mito
della caverna (vn. 514A sgg.). Il conoscibile, è noto, risulta
diviso in un -r6n:oç og(m)ç e in un c6n:oç voYj-r6ç (un mondo o me-
glio un luogo dei visibili, veduto, e un mondo o luogo dei pensa-
bili, pensato); il primo è a sua volta diviso in immagini e cose
viventi, rispettivamente oggetti dell'opinione e della credenza, e
il secondo in intelligibili inferiori c superiori, oggetti della cono-
scenza discorsiva (cioè delle scienze che non possono trascendere
le ipotesi) e della pura intelligenza : " ad essi la ragione perviene

' Una eccezionale esposizione della Repubblica e delle motivazioni del


dialogo socratico-platonico si veda in A. KoYRÉ, Introduzione alla lettura
di Platone, Firenze (ma presso l'Università degli studi di Urbino) 1956.

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La dialettica come " metodo " e come " scienza " 53

a ,mezzo della facoltà dialettica" (511AB), che mira al prin-


cipio, considerando l'ipotesi come tale, cioè come un momento
della sua ascesa.
Ma che cos'è questa facoltà della quale fino a questo punto
non sappiamo altro? Ritroveremo la dialettica una volta com-
piuta l'educazione scientifica del filosofo, una volta percorso il
cammino verso l'alto che porta alla realtà che è (521CD), esau-
rite le scienze dette del preludio: aritmetica, geometria, stereo-
metria, astronomia. Il primo contatto con la dialettica è una de-
terminazione negativa: "Non penserai per caso che siano dia-
lettici coloro che sono versati in queste scienze?! " (531DE).
Platone richiama esplicitamente 'l'attenzione sul nesso della dia-
lettica filosofica come capacità di afferrare l'essenziale concetto
di qualche ·cosa con il vero e proprio domandare e rispondere,
secondo l'antica e nota caratterizzazione del dialogo socratico:
" Ma credi tu che persone incapaci di condurre e sostenere una
discussione (di dare e intendere ragione di una cosa) sapranno
mai qualcosa di ciò che noi riteniamo si debba sapere? " (531E-
532A). Dialogo, esercitazione suile scienze, visione del bene: ec-
co la sinfonia che la dialettica esegue (ivi).
L'individuazione di ciò che dialettica è appare univoca nei
suoi· due momenti: l'intero processo, che abbiamo seguito, è il
metodo, la via dialettica, il solo che ·· superando di volta in
volta 'le ipotesi si innalza fino al principio per assicurarne salda-
mente le conclusioni" (533CE). Ma dialettica è anche l'esercizio
diretto intorno al bene, " questa meravigliosa trascendenza ...
che per dignità e per potenza va molto al di là dell'ente e del-
l'essenza" (509BC). Due momenti, dunque, che costituiscono
un'unicità, una totaJlità, come nel Fedro, come la via in su e la
via in giù, di cui Platone parla ripetutamente facendo coincidere
il movimento speculativo dell'intelligenza (511BC) e l'arco del-
l'educazione del filosofo, che deve ridiscendcre nella caverna
per assicurare la giustizia nello Stato (519C sgg.). Infatti: " Dia-
lettico è colui che mira al fondamento dell'essenza - ma per ciò
che può rcnderne ragione a sé e agli altri " (534BC), c questa la
sua " legge ": " ... dedicarsi soprattutto a quel tipo di educa-
zione che dia la capacità di interrogare e rispondere il più scien-
tificamente possibile " (534DE).

Dialogo, scienze, dialettica - fondamento e fondato, presup-


posto e principio. È un monumento innalzato a Socrate, se è
vero che l'intera costruzione della giustizia e del sapere trova
possibilità e giustificazione nel l'na/,iywitm socratico - è il mas-

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54 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

simo riconoscimento storico e speculativo del pensiero e dell'opera


di un maestro. Resta tuttavia il problema, si badi, della scelta dei
futuri fùosofi, di quei giovani particolarmente dotati di qualità
fisiche, spirituali e mentali (535A sgg.), degni pertanto di essere
ammessi al lunghissimo noviziato. Due nonne rendono possibile
e naturale la scelta: la libertà dell'azione e nell'insegnamento
(536D-537 A) e la capacità sinottica (537BE). Improvvisamente
la costruzione che abbiamo finora portato in luce viene rovesciata,
quell'educazione che nell'esercizio dialettico doveva compiersi,
presuppone altro che non il dialogo e la pratica delle scienze:
" ... presenteremo Loro le scienze che nella giovinezza sono state
insegnate senz'ordine, perché debbono essere condotti alla sinossi
dei reciproci rapporti fra Je scienze e della natura dell'essere ...
e questa è la massima prova della natura dialettica e di quella
che non è tale: il sinottico, infatti, è dialettico, quello che non
lo è, no " (537CD).
Rovesciamento, si è detto; ma non è forse più giusto parlare
di uno spostamento del piano dCilla ricerca o addirittura di un
altro piano? Innanzitutto teniamo ben fermo il nuovo punto di
vista: dialettica assume soltanto qui una sua propria autonomia,
una configurazione speculativa assoluta. Nei testi che ora ab-
biamo esaminato compare, riteniamo, il sostantivo 1'1 ùta/,Exnx~
(534E-535A e 536DE): sono i soli casi della Repubblica e tra
i pochissimi di tutta l'opera platonica della maturità. In quanto
si fonda sulla sinossi, ci è presentata da Platone nel suo attuarsi,
cioè nel suo essere ad un tempo il presupposto, il compito - c
la via che il presupposto apre per accedere all'assoluta trascen-
denza del Bene, e per poterra quindi manifestare. Ancora un..;
volta una relaziorte fra il soggetto e l'oggetto della costruzione:
dialettica della sinossi è nelle soggettive possibilità del filosofo
analoga all'idea del Bene nella oggettiva struttura della Città-sta-
to pensata. Sinossi e idea del Bene vengono a trovarsi in un rap-
porto reciproco di condizione e conseguenza.
Non c'è, allon, propriamente, un rovesciamento, ma anzi un
approfondimento. La nuova figura della dialettica, infatti, era
pur stata prcannunciata: ricordiamo l'azione momentanea dell'in-
tellezione dell'anh11a (intuizione) nel suo procedere (dialettico)
nella verità: " Quando l'anima si fissa là dove brilla la verità
e ciò che è, essa d'un tratto intende e conosce e appare in pos-
sesso del voiiç (508DE) 9 ; ricordiamo nel testo sulla "linea"
quella capacità dialettica che ci permette di cogliere la superiore
9 PASQUALI, Le lettere di Pl., cit., pp. 91-92, che spiega bene, in ana-

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Dialettica e politica dopo la Repubblica 55

sezione dell'intelligibile (511 BC) e, più avanti, la risposta di ·so-


era te a Glaucone che pretendeva di sapere quale fosse la natura
della dialettica, quali le sue specie e vie (di ascoltare insomma
l'intera " sinfonia " non soltanto il " preludio " - le scienze):
" Non potresti seguirmi, mio caro, nonostante la mia buona vo-
lontà; tu allora vedresti non l'immagine del bene, bensì il vero
in se stesso, almeno come· a me pare. Se è realmente così o no,
non è questo il momento di dimostrarlo... La facoltà dialettica
sola può manifestarlo a chi sia esperto nelle discipline ora esposte
- in nessun. altro modo è possibile" (533AB). Nel suo ultimo
risultato, dunque, in quanto essa ha nella sinossi e nella ecce-
zionalità del suo oggetto la propria motivazione, la dialettica
della Repubblica è ad un tempo dialogo e sinossi, presupposto
e compito - e la via, il metodo, che ne stabilisce la relazione.

3.5. Dialettica e politica dopo la Repubblica


Per concludere vorremmo spingere più a fondo l'interpre-
tazione e poter indicare alcune conseguenze che l'analisi del
concetto di dialettica nella Repubblica porta immediatamente con
sé. Se la dialettica nelle sue parti e nel suo intero, nel movimento
della sua azione, insomma, è da intendersi come ~ stata or ora
descritta, allora quel riconoscimento (storico) della filosofia di
Socrate (il ~tuì.Éyecn'hu come " presupposto " della dialettica e
accesso ad essa) - quel monumento di cui abbiamo detto - ne
rappresenta anche la negazione. In quanto Platone restituisce So-
crate alla storia, e alla sua storia, se ne allontana definitivamen-
te; in quanto ricerca e fonda nel &tar.Éyw·3-cu le possibilità del
filosofare (che nella Repubblica è ancora filo-sofia), Platone parla
da un punto di vista più alto, il punto di vista del sistema, chiuso
nelJa sfera di una raggiunta sofia. Il sistema, il sapere è qui una
idealità nella quale, non dimentichiamolo, la costruzione della
filosofia coincide con la fondazione dello Stato.
Possiamo comprendere, allora, come e perché la dialettica-
sinossi altro non sia che quel sapere, la superiore scienza del
pensabile, del Bene - la coscienza del sofo alla quale, lo si è
visto, si richiamerà il Fedro. La configurazione, l'azione di Pla-
tone è pienamente giustificata. La prassi del awHyE0"3-UL per

logia con Lettera VII, 344BD, l'uso dei tempi, l'azione indicata e la natu-
ra di questo tipo di conoscenza.

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56 Dialogo, dialettica e filosofia in Platone

potersi manifestare c attuare richiede l'unità della coscienza co-


mune, cioè il fatto del riconoscimento da parte dell'individuo
dell'altro individuo, e da parte di tutti dei vaJ.ori oggettivi della
Città. Ma l'epoca di crisi, di lacerazione delle coscienze nella
quale vive Platone non lo consente, l'unità, non riconosciuta, è
stata nella città ingiusta definitivamente spezzata perché Socrate
è stato ucciso. Non c'è posto per il tìtaì.Éyw-&at, esso non può va-
lere in assoluto se non nella Città giusta, nella Repubblica plato-
nica, quando sarà " per noi e per voi una realtà e non un sogno "
(520CD). Per ora, nella Città pensata, che progetta le condi-
zioni della sua esistenza e indica le tappe del tirocinio dei filo-
sofi-governanti, il l'ìr.aMyr.~t'tm non può che trovare la sua ragio-
ne ontologica nel principio stesso della Città, il Bene - non
può che farsi dialettica, scienza-sinossi, che nel Bene ha il suo
oggetto e il suo principio.
L'unità-dualità di 1'ìtaMyw1'l'm-dialettica diviene chiaramente
comprensibile e giustifica l'affermazione che il riconoscimento
del filosofare socratico porta in se stesso, in Platone, la sua ne-
gazione. Ma così Socrate è ricondotto da Platone a quella storia
che gli è propria, una storia che solo per astrazione è racchiusa
nelle vicende della dialettica, perché essa è in realtà, di fatto,
la storia delle città, dell'operare degli uomini.

L'esposizione della dialettica platonica potrebbe trovare qui


la sua conclusione; l'affermazione non deve suonare paradossale:
con la Repubblica e il Fedro abbiamo già percorso, infatti, le
posizioni più alte dell'evòluzione platonica, nel senso almeno che
i grandi dialoghi successivi, le esercitazioni e sistemazioni dialet-
tiche del Parmenide, Teeteto, Sofista e Politico, sono, limitata-
mente a quanto riguarda il concetto di dialettica, in gran parte
anticipati nei risultati precedenti. Certo, c'è ancora uno svolgi-
mento, e importantissimo, nel pensiero di Platone, ma in quanto
esso non è decisamente e direttamente investito da quella luce, in
quanto se ne rende indipendente, le figure della dialettica coinci-
dono con l'intero della filosofia platonica, con il cosiddetto si-
stema delle idee o forme. Se le idee esistano come realtà a sé,
separata: XÙ>QLç (Parm. 130BC, per es.), quali relazioni intercor-
rano fra le cose e le idee e quale sia l'interna comunanza del-
l'essenza e delle forme (xOlvcl)vla: cfr. Sof. 250-257), questo è il
problema che Platone pone a sé e al lettore come problema spe-
culativo c aperta _questione storica. La novità della ricerca pla-
tonica consiste appunto nel lasciare un margine notevole al di-
battito storico, con l'eleatismo parmenideo e zenoniano, con il

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Dialettica e politica dopo la Repubblica 57

socratismo e l'eleatismo della scuola di Megara, forse con i suoi


stessi scolari. Non ha senso allora seguire taJi interpretazioni e
costruzioni; esse non appartengono alla presente storia, giusto il
principio, fatto fino ad ora valere, di individuare il concetto della
dialettica nei suoi momenti di distinzione dalla filosofia, di deter-
minarne il posto e il compito nel sistema, di coglierne insomma di
volta in volta la genesi, rendendosi conto del perché della sua
continua crisi. Il resto, il momento dell'identità, della sistemazio-
ne concettuale il Jettore può trovare in un buon manuale di sto-
ria della filosofia o in particolari monografie.
Tuttavia è. bene fissare qualche punto dell'ultima fase della
ricerca platonica che .può indirettan1ente iLluminare e approfon-
dire il precedente dibattito. Il tema è esposto con forza in un
passo del Parmenide: se si nega l'esistenza alle forme degli es-
seri, se non si pongono forme definite, se non si accetta che tali
forme debbono mantenere eterna identità con se stesse, " allora
va perduta del tutto ogni possibilità della dialettica " (135CD) 10•
Che cosa Platone ora per dialettica intenda, al di là della con-
tingente polemica svolta nel Parmenide, è detto nel Sofista, che
ha a suo oggetto le forme nella loro connessione (cfr. per es.
257AB, 250BC): il discorso è possibile per noi solo se c'è reci-
proca connessione delle forme; se rimanessero estranee l'una
all'altra come potremmo parlarne? (251 DE). Non è difficile scor-
gere la trasposizione, sul più alto piano del movimento meramen-
te concettuale, del rapporto ~HaÌ,ÉyEcn'tm-dialettica, che abbiamo
sempre tenuto in luce, e, quindi, di uno dei risultati della Re-
pubblica. Se poi analizziamo la nuova forma della dialettica come
è esposta dal Sofista, quell'azione è ancora più evidente: " Di-
videre per generi e la stessa forma non ritenerla per una diversa
né una diversa per la stessa, non diremo questa l'opera della
scienza dialetticà?" (253DE): una scienza ed una capacità straor-
dinarie, poter vedere una forma unica spiegata in una pluralità
di forme tra loro distinte, differenti, e a loro volta dall'esterno
racchiuse in una fonna sola. Che nome dare a questo altissimo

10 Com'è noto Hegel definì il Purmenide " il più celebre capolavoro


della dialettica platonica" (Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. Fi-
renze 1932, vol. 11, p. 212). Ma .l'affermazione è difficile da sostenere. La
dialettica del Parmenide è in realtà quella di Zenone: essa consiste nel-
l'ottenere otto conclusioni tra loro contraddittorie, relative all'uno e al
molteplice, poste le due premesse della realtà e dell'irrealtà dell'uno. Tra
i dialoghi platonici il Parmcnide è forse quello. pitl variamente interpreta·
· to e tormentato dalla cl'itica. Si veda il cap.: Il " Parmenide " platonico,
in G. CALOGERO, Studi su/l'eleatismo, Roma 1932.

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58 Dialogo, diakttka e filosofia in Platont

esercizio, si è chiesto poco prima Platone? " Forse senza saperlo


ci siamo imbattuti nella scienza degli uomini liberi? " E così
abbiamo scoperto il filosofo e la filosofia, perché di quelle ope-
razioni sarà capace unicamente " colui che lìlosofa con purezza
e giustizia" (253C~254A). Non c'è bisogno di ricordare i·l Fedro
e la Repubblica, ma va tuttavia sottolineato che della Repubblica
viene ripreso qui il motivo più alto e più complesso, la scelta
e la educazione del filosofo-dialettico, accettato semplicemente
come un presupposto: il tema dialettica e libertà.

Si deve ancora registrare, nel Politico, un impressionante


ritorno socratico, non uno scarto nell'evoluzione, ma una nuova
dimostrazione della continua presenza dei due phmi attraverso i
quali si articola il concetto di dialettica. Nella digressione sulla
"giusta misura " (283B sgg.), per altro pienamente giustificata
all'interno della definizione del politico mediante il paradigma
della tessitura, il Òt(l},~yEm'hu ricompare, non casualmente, non
come mero ricordo o notazione esterna aHa costruzione del dia-
logo (come può sembrare in d'.le celebri passi del Teeteto e del
Sofista: il pensiero come discorso, come dialogo, che l'anima
tiene silenziosamente con se stessa - cfr. rispettivamente 189E-
190A e 263 E-264A), bensì nella sua originaria e forte apertura
e disponibilità, una volta di più una crisi, ma ora all'interno della
ben consolidata c presupposta dottrina delle forme.
L'arte della misura, che si applica a tutto ciò che diviene
(285AB), può dar ragione anche dei nostri discorsi: se sono
troppo brevi o troppo lunghi, " non ne valuteremo le dimensioni
nel loro reciproco rapporto, ma secondo quella sezione dell'arte
della misura che prima abbiamo detto doversi tenere a mente,
cioè la convenienza ... Quanto alla soluzione del problema posto,
poterlo scoprire nel modo più facile e più breve, è secondario,
non di prima importanza, come la ragione ci insegna, prescri-
vendoci di onorare invece assai di più e innanzi tutto quel me-
todo che rende capaci di distinguere secondo specie, e così col-
tivare quel discorso, anche se sia lunghissimo a tenersi, che
rende più inventivo colui che l'ascolta, e non crucciarsi punto
per la lunghezza, c così neanche se è troppo breve... Colui che
biasima la lunghezza dei discorsi di questi convegni c non ac-
cetta i giri delle digressioni, non conviene affatto !asciarlo in
libertà presto né subito appena ha biasimato il discorso come
lungo, ma ritenere che egli sia in obbligo di mostrare che, se
fosse stato più breve, avrebbe reso gli uditori più dialettici c atti
a trovare col ragionamento la verità delle cose ... " (286D-287B).

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Dialettica e politica dopo la Repubblica 59

La lunga citazione è giustificata, se è vero che dobbiamo intra-


vedere in essa un'altra relazione, quella di lìtaì.ÉyEm'}m e Myo;,
che abbiamo tradotto una volta con " ragione " e la successiva
con "ragionamento"; un Myoç, che è poi la ricerca stessa, e
il suo metodo, "che insegna a dividere per specie"; esso nien-
t'altro è che la norma stessa, il nuovo canone del tìtaÀéyw-&m e
di coloro che vi si esercitano.

Se riteniamo dì aver così esaurito ndle sue linee essenziali la


nostra descrizione (ma vorremmo dire: 'rassegna) de1le forme
della dialettica platonica, tuttavia non possiamo separare-i da Pla-
tone se non indicando ancora un'antinomia, se non ponendo noi
e illettorc di fronte ad un'ulteriore interrogazione: il lìwÀéyca-&m,
è vero, ha ben presto scoperto in sé la necessità di una norma,
di un principio - il Politico è soltanto la conclusione di una
lunga storia -la dialettica può ripresentarsi come lìtaì.éyEa-frcu ma
l'equazione tìtaÀiyEaflm = dialettica non è reversibile. La Repub-
blica lo ha dimostrato e la pagina ora citata del Politico lo con-
ferma. Ma nella stessa pagina leggiamo: " (Lo straniero) : E che
ne è allora della nostra ricerca intorno al politico? t:. stata pro-
posta proprio per questo argomento o non piuttosto per diven-
tare intorno ad ogni oggetto migliori dialettici? (Socrate il giova-
ne): Anche questo è evidente, per diventare migliori dialettici
intorno ad ogni oggetto. (Lo straniero): Possiamo ben dirlo,
andare in cerca della definizione della tessitura per amore della
tessitura nessun uomo dì senno vorrebbe farlo... Bisogna dun-
que esercitarsi nel saper dare ragione di ogni cosa e intenderla "
(285D-286B). Precisamente il motivo dal quale avevamo ini-
ziato. Un lungo percorso circolare, una lunga fatica, un lavoro
che non ha fine (le espressioni sono di Platone: ~tax.gà :TE(ltolìoç,
rco],/.ÌJ rcouyJ.lm:du, n:ci!-A:rro/.u ì!gyov, per cui cfr. Fedro 273E-274A,
Repubblica VI. 504BC e VII. 531DE): come vorrebbe aver di-
mostrato l'intero corso della nostra esposizione - se ha colto
l'anima o meglio le anime della dialettica platonica. In parte sarà
consegnata alla storia come la dialettica, in parte ne sarà sol-
tanto una figura, storica ed etema.

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4. Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

4.1. Filosofia e coscienza comune: situazione della filosofia


aristotelica
Riprendiamo contatto con quel primo capitolo del libro I della
Retorica che ci ha chiarito il dibattito nel cuore del v secolo (cfr.
sopra cap. 2.2): " La retorica fa riscontro con la dialettica. L'una
e l'altra, infatti, vertono su questioni che sono in qualche modo
alla portata di tutti, e non richiedono scienza determinata. Tutti
vi partecipano quindi a gradi diversi; è di tutti fino a un certo
punto discutere una tesi e sostenerla, accusare e difendersi. Ma
i più lo fanno a caso, altri per pratica che dipende da un habi··
tus" (1354 a l /7).
Sul significato letterale del testo non ci sono dubbi. Da una
parte retorica e dialettica mantengono lo stesso rapporto con la
scienza: l'insegnamento e la dimostrazione scientifici, infatti, si
fondano su verità necessarie razionalmente valide in ogni tempo
e luogo, mentre le dimostrazioni del<la retorica e della dialettica
riposano su opinioni (verità d'opinione) accolte dalla maggior
parte degli uomini e per lo più (btÌ. -rò JtoÀ:Ù). D'altra parte la reto-
rica è simile alla dialettica perché né l'una né l'altra esigono una
particolare specializzazione: c'è scienza (particolare) solo in quan-
to è determinato il suo oggetto, il genere. Quelle invece apparten-
gono alla sfera dell'opinione, dell'.uomo comune. Quando Ari-
stotele constata che tutti gli uomini si preoccupano o di discu-
tere una tesi (Àoyov ... f:~w:i~av) o di sostenerla (vJt€x.av) parla
della dialettica, quando constata che tutti credono di poter accu-
sare o difendersi, parla dell'eloquenza giudiziaria: ora, a partire
da quest'ultima osservazione (la possibilità di accusare c difen-
dersi a caso o per pratica), se Io scopo è ugualmente raggiunto, sa-
rà sufficiente determinare speculativamente ({h::coe~:i:v) le cause di
questi sùccessi per avere il metodo della ricerca retorica (1354

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Filosofia e coscienza comune 61

a 7 /Il) 1• Ma se questo è il problema nella sua configurazione


esterna, c'è un suo senso che va al di là della posizione .stessa del
problema. Questo rivolgersi, da parte della retorica e della dialet-
tica, a questioni che sono in qualche modo alla portata di tutti,
che non richiedono scienza determinata, vuol significare, da parte
di Aristotele, non già un mero calare la--ricerca nell'empirico, un
far valere il metodo sperimentale, bensì un far scaturire la ricerca
da quel piano dell'esperienza storica, sul quale essa si era in ori-
gine e di fatto manifestata. Questa esperienza è per Aristotele
quella dell'uomo comune. Comprenderla è il compito del filosofo.

Aristotele lavora in un momento di smarrimento della coscien-


za speculativa, ma in un'epoca, si badi, di estrema lacerazione
della coscienza umana. Il mondo della n6À.tç sta alle sue spalle.
L'identità uomo-greco va perdendo il suo senso per essere sosti-
tuita da una più vasta determinazione dell'uomo e da un nuovo
concetto dacché l'uomo deve ora trovare le ragioni del suo essere
e del suo operare al di fuori dell'immediata struttura politica del-
Ia città 2• Più che ad uno smarrimento si assiste alla nientificazione
della coscienza comune, deHa coscienza della città come comu-
nità umana significante: ciò che si era presentato finora come un
fatto storico che poteva soltanto essere riconosciuto o non-ricono-
sciuto dal filosofo, diviene il problema della filosofia, che ne deve
ricostruire la figura per rendere possibile l'intendimento del suo
discorso. Entro tale quadro potremo comprendere perché e come
Aristotele rifiuti - non semplicemente limiti - il concetto platoni-
co di dialettica.
Vediamo le linee di fondo del nuovo punto di vista aristoteli-
co: " La connessione di dialettica e politica è stabilita fin dagli
inizi o quasi. Se non si può parlare di un interesse di Parmenide
per i problemi della città, un tale interess~ è invece perfettamen-
te riscontrabilc in Eraclito ... determina fortemente il pensiero dei
Sofisti e diviene centrale in Socrate e Platone. La dialettica è
chiamata a fondare l'unione dei cittadini sulla comunità dei con-
cetti e in particolare dei concetti giuridici e morali "; " La dia-
lettica aristotelica si pone così in modo del tutto naturale accan-
to alla retorica, mondo del verosimile, delle opinioni tramanda-

.I Cfr.- M. DUFOUR nell'Introduzione a ARISTOTE, Rhétorique, Paris 1960


(ed. Les Belles Lettres). vol. r, pp. 35-37.
2 In generale si vedano i saggi di A. KOJÈVE, 'Tirannide e saggezza (a

cura di N. De Sanctis) e di H. KELSEN, La filosofia di A r. e la politica gre-


co-macedone (a. cura di M. Massi) in "Studi Urbiuati ··, n.s.B., 1969, n. L

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62 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

te o sostenute con l'autorità di un gran nome, del dibattito pub-


blico con i suoi stratagemmi psicologici, botte e risposte, assalti
e finte. Così essa perviene alla politica. Ma non è l'equivalente
della scienza politica di Platone che fondava lo Stato sull'Esse-
re e la scienza politica sull'antologia: ha a che fare con la tecni-
ca dell'azione politica, tecnica· del condizionamento dei cittadi-
ni o dei giudici in vista di un risultato politico immediato. Una
scienza politica aristotelica esiste, ma la terminologia di Aristotele
esige che questa scienza del tutto pratica ma vera non sia dialet-
tica (nel senso aristotelico): essa fa uso della dialettica (sogget-
tiva) allo stesso modo e con la stessa intenzione di tutte le scien-
ze filosofiche, come procedimento cioè di scoperta dei principi e
dei problemi. Una semplice differenza di terminologia fra Aristo-
tele e Platone, ma una differenza decisiva per la storia della paro-
la, che da questo momento in poi indicherà uno strumento (òrga-
non), non una parte della filosofia " 3 ..
Ma la connessione dialettica-politica (ne facciamo qui cenno
come un presupposto che cercheremo di dimostrare) va tenuta in
luce, fatta agire e continuamente scoperta accanto e insieme al-
l'altra: dialettica e dosso grafia, cioè .una delle prime forme della
storia della filosofia e della storiografia in generale.
Infatti, è antica la constatazione che le opere scientifiche di
Aristotele non fanno uso di sillogismi formali e che d'altra parte
egli inizia le sue trattazioni con una storia del problema in ogget-
to. Ci si è appunto domandato: "Che cos'è quella dossografia co-
sì caratteristica del Liceo se non l'applicazione delle regole della
critica (la dialettica dei Topicl) alle premesse storicamente propo-
ste? ... Al contrario dello storico moderno della filosofia, Aristo-
tele non si è mai chiesto che cosa queste tesi significassero per gli
antichi, ma se le loro dottrine erano vere. E non l'ha fatto per
mostrare la propria superiorità oppure il loro essere superate, ma
perché c'è a suo avviso un diverso inizio della ricerca. Ogni in-
segnamento, ogni scienza discorsiva nasce da conoscenze preesi-
stenti " 4• Insomma, la dialettica aristotelica " consente di trarre
dalle tesi presenti nella storia del pensiero ciò che esse contengo-
no di vero e i problemi che implicano, spesso senza enunciarli: si
potrebbe parlare di un dialogo istituito dal filosofo con tutti i
suoi predecessori e contemporanei allo scopo di Jiberare il conte-

3 E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Firen-

ze 1965, pp. 21-22.


4 E. WEIL, La logica nel pensiero aristotelico, in .Filqsofia e politica.
cit., p. 61.

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La " storia della dialettica " secondo Aristotele 63

nuto di verità delle opinioni o universalmente accettate o propo-


ste da un pensatore determinato" 5•
In questa astrazione e limitazione in rapporto a Platone, ma nel
senso, realmente, di uno spostamento del punto di vista nel qua-
le il filosofo si colloca rispetto alla realtà e alla storia, Aristo-
tele ricerca e prova una nuova dimensione del filosofare: il com-
pito della filosofia come dialettica è ora la riconquista del passa-
to, ricerca del senso della tradizione: storia, dialettica e politica
si trovano allora connesse in una delle prime sistemazioni del
filosofare.

4.2. La " storia della dialettica " secondo Aristotele


Per esporre il problenia della dialettica in Aristotele è neces-
sario, quindi, porsi all'interno del procedimento aristotelico, e
chiedersi prima di tutto se e come Aristotele configuri una sto-
ria della dialettica, se e come egli individui dei predecessori nel-
la ricerca.
E quasi un luogo comune iniziare con il capitolo conclusivo
dell'Organon, un passo no~o, di datazione incerta, ma importan-
te sia per le notizie autobiografiche sia soprattutto per 11 suo pre-
supporre in certo modo l'unità delle trattazioni logiche 6•
Dopo aver brevemente riassunto il contenuto del libro, non
resta, dice Aristotele, che richiamare alla memoria il nostro pro-
gramma iniziale, aggiungere qualche parola c far punto (183 a
34/36). Quanto al programma ci interessa in questo momento
la citazione di Socrate e della sofistica, che qui vengono distin-
ti, ma nel senso che viene proposta una certa superiorità della
sofistica sull'atteggiamento socratico. Quella capacità di ragio-
nare in generale a partire da premesse il più possibile probabili
che noi chiamiamo dialettica (183 a 37 /39) deve fondarsi ed
esercitarsi non soltanto nella direzione, socratica, dell'interro-
gazione (183 b7 /8: · Socrate interrogava e non rispondeva, egli
5 E. WEIL, Pensiero dialettico ... , cit., pp. 20-21.

• Cronologia e stato della questione in E. WEIL, La logica nel pensiero


aristotelico, cit., pp. 53-56 e note. Per l'Organon ho tenuto presenti sia
la traduzione francese di J. Tricot, Paris 1946-1950 sia la traduzione ita-
liana di G. Colli, Torino 195'5. Per il testo greco delle opere aristoteliche
ho seguito sia l'edizione Bekker, Berlin 1831 (recentemente ristampata:
di questa edizione è universalmente accolta la numerazione per pagine,
colonne e righe) sia l'edizione nei classici greci di Oxford e nella collezio-
ne Les Belles Lettres (edizioni non complete).

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64 Logica c dialettica, storia e filosofia in Aristotele

ammetteva, infatti, di non sapere), ma anche sulla capacità di


rispondere e di difendere così la propria tesi - come se si cono-
scesse l'oggetto della discussione: questo in virtù della sua vici-
nanza alla sofistica (183 b1 / 6). Non dimentichiamo la definizio-
ne dei Topici, il trattato sulla " dialettica ": " Questo trattato è
utile in tre modi: per l'esercizio, per le conversazioni con l'uo-
mo comune e per le scienze connesse alla filosofia ... in virtù della
sua natura ricercatrice la dialettica ci apre il cammino ai prin-
cipi di tutte le scienze" (I 2. 10la25-b4).
Per dar forza a questa argomentazione e alla sua conclusione,
Aristotele riprende una tesi che ha più volte esposto nel corso
di questo libro, cioè il rapporto della critica e della dialettica:
la critica è una parte della dialettica (8.169b25, cfr. 11.171 b4,
172 a21 e il nostro testo: 34.183 a39); l'argomentazione o il
ragionamento critico si propone l'interrogazione, nella risposta
si limita al sì c al no e agisce in vista non già di colui che sa ma
di colui che non sa c pretende sapere (171 b3/6); nei confronti di
costui l'argomentazione dialettica può provare una falsa conclu-
sione (I 69 b26). Ora, tenuto conto che né l'una né l'altra sono
scienze di un oggetto detcnninato, ma si rivolgono in generale a
qualunque cosa, e considerato che vi sono principi comuni alle
diverse arti e scienze (172 a 28/30, cfr. Anal. post. 1 10. 76 a 37
sgg. e 11.77 a 26 sgg.), possiamo dire che il dialettico considera
e discute tali principi nella loro applicazione all'oggetto del dibat-
tito e il sofista fa la stessa cosa ma solo in apparenza (171 b6/7):
dialettico è colui che critica a mezzo dell'arte sillogistica.
Nella seconda parte del cap. 34, quando Aristotele denuncia
in che consisterebbe la caratteristica del suo studio, " quale av-
venimento costituisca questo nostro scritto " (183 bl6-17), egli
ritorna sull'importanza della sofistica. Riportiamo i passaggi sa-
lienti del testo: il lento progresso che ha investito tutte le arti e
scienze, sia quelle tramandate sia quelle oggetto di un'invenzio-
ne originale, sì che i contemporanei si trovano ad essere gli ere-
di di una lunga tradizione: esemplari i discorsi retorici (183
Q26j27); relativamente alla nostra ricerca non esisteva niente del
tutto (183 b35/36): si potrebbero ricordare i discorsi eristici
e Gorgia, ma in entrambi i casi non l'arte veniva insegnata ma i
risultati, i prodotti dell'arte (184 a 2/3). La ricerca, insomma,
non era stata innalzata al livello della scienza, ma lasciata alla
contingenza empirica e pratica: " .. .intorno alle questioni reto-
riche molto e di antico era stato çletto, sui ragionamenti non c'era
assolutamente nient'altro, e però il lavoro ha richiesto fatica e
molto tempo" (184 a 8/b3).

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La " storia della dialettica " secondo Aristotele 65

Gli elementi più importanti della conclusione, nella quale Ari-


stotele quasi a sottolineare l'importanza di ciò che sta dicendo
ritorna più volte sugli stessi temi, sono due: il parallelo retorica-
dialettica e l'esclusione di Platone da questa storia.

Cominciamo dal secondo elemento e chiediamoci innanzitut-


to se al silenzio che qui avvolge il nome di Platone non contrad-
dica .qualche altro testo aristotelico. È evidente che si pensa su-
bito a quel luogo del primo libro della Metafisica dove Aristotele
espone la distinzione di Platone dai Pitagorici: l'introduzione
delle specie (in sostanza, le forme, le idee) fu possibile per il
suo studio della logica, per il suo metodo delle definizioni: i pre-
decessori non si erano occupati della dialettica (I 6.987 b32/34).
Il passo sembra chiaro: i predecessori o sono i pitagorici o sono
coloro che hanno filosofato prima di Platone in generale, quindi
a Platone spetta la paternità dell'invenzione della dialettica. Si
noti poi che l'espressione aristotelica ~tà T~v Èv Toiç ì..Oyotç .•.
ax.Éljnv è intesa come definizione della dialettica dal commentato-
re Alessandro (a.l., ed. Hayduck, pp. 54, 26/55,4). Ma il proble-
ma non è risolto così, perché viene riproposto in un altro passo
della Metafisica, di redazione posteriore 7 : è la celebre interpre-
tazione di Socrate, che si sarebbe applicato allo studio delle vir-
tù morali e per primo in queste ricerche avrebbe tentato la de-
finizione universale ... : in quel tempo non c'era ancora il vigore
dialettico sì da poter prendere in esame indipendentemente dal-
l'essenza le opinioni contrarie e vedere se dei contrari la scienza
è la stessa (XIII 4. 1078 b17/27). Anche se non è possibile, sul
fondamento di questa testimonianza, asserire che ora Aristotele
vede in Socrate l'inventore della dialettica, anche se qui Aristote-
le parla, forse 8 , con una certa ironia e fa uso dell'espressione
vigore dialettico e del termine dialettica con un senso poco favo-
7 Per il problema della composizione e della datazione della Metafisica

mi attengo a W. W. lAEGER, Aristotele, trad. it., Firenze 19472; P. AuBEN-


QUE, Le problème de l'eire cltez Aristote, Paris 1952 (con bibliografia) e
E. WEIL, Quelques remarques sur le sens et l'intelllion de la Métaphysi-
que d'Aristate, in <<Studi Urbinati ~. n.s.B, 1967, nn. 1-2, t. n.
' ~ la tesi di D. Ross nella sua edizione della Metafisica, Oxford 1958,
vol. I, p. 173. A proposito dell'intendimento di dialettica in Aristotele
l'uso dell'espressione tecnica [ ay.é~~ç àv -rotç Mro~ç] è attestata da Ales-
sandro d'Afrodisia. Ross indica. altri due luoghi della Metafisica dove la
trattazione platonica degli universali come sostanze è caratterizzata in ter-
mini analoghi (xii, l. 1069a26 e xm 8. 1084b23). D'altra parte i platonici
sono chiamati ot h -.olç ì.oyo-~ç in IX 8. 1050b36. Inoltre, la frase usata
sembra abbastanza chiaramente una reminiscenza del Pedone (lOOAB):
-ròv tv -rotç À6yo ~,. oxor.oup.svov 't~ 5nct, cioè Sperate che studia le cose

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66 Logica c dialettica, storia e filosofia in Aristotele

revole, resta il fatto che egli intende così affermare che già ai
tempi di Socrate la dialettica esisteva sia pure in una fom1a non
adeguata. L'affermazione è coerente con quanto abbiamo visto
sopra discutendo il capitolo conclusivo dei Topici, ma lascia aper-
ta però la questione dei rapporti fra Socrate e i Sofisti, determi-
nati solo in quel capitolo, dove anziché situare Socrate semplice-
mente·· nel prolungamento della Sofistica, a noi sembra che Ari-
stotele circoscriva l'azione socratica a vantaggio proprio della
Sofistica, la quale avrebbe coltivato di fatto la dialettica, mentre
il vigore dialettico di Socrate si sarebbe limitato all'esercitazione
critica. Ma fra i due passi della Metafisica, se si guarda a fondo,
la contraddizione è più apparente che reale. Infatti, stando ai
risultati della critica evolutiva Aristotele scrive Metaph. I, 6 in un
periodo in cui tende ad esagerare l'originalità del pensiero del
maestro ed esprime quindi un giudizio sul quale più tardi sarebbe
·ritornato - e questo potrebbe spiegare la coincidenza del secondo
passo con la conclusione dei Topici, dove il giudizio è più me-
ditato perché viene formulato in un momento in cui Aristotele
si accinge a ·rivendicare la completa originalità della pro-
pria ricerca.

Ma la storia della dialettica rintracciabile nei testi di Aristo-


tele ha almeno un altro capitolo. Esso ci chiarirà l'altro elemen-
to della conclusione dci Topici, il parallelo retorica-dialettica. È
noto, infatti, che nel giovanile Sofista, secondo un frammento ri-
ferito da Diogene Laerzio e Se.<>to Empirico, Aristotele afferma
che Empedocle è stato l'iniziatore della retorica, Zenone della
dialettica - "e questo è senza alcun dubbio sostanzialmente ve-
ro, sebbene gli inizi, almeno, di questo metodo dell'argomenta-
zione siano stati contemporanei alla fondazione della scuola di
Elea" 9• La citazione di Zenone non va, dunque, sopravvaluta-
ta e il suo valore storico è solo molto relativo. Riferisce infatti
Sesto: " Non sembrerebbe che Parmenide fosse del tutto ignaro
dell'arte dialettica, se Aristotele pensa che. il suo discepolo Ze-
none ne sia stato l'iniziatore ", c poco prima: " Aristotele dice

col metodo della definizione e lo descrive. Aristotele discute la dialettica


platonica e la . presenta col linguaggio platonico stesso.
9 J. BURNET, L'aurore de la philosophie grecque, trad. frane. Paris.
1952, p. 359. Poi cfr. Aristotelis Fragmenta se/ecta, ed. Ross, Oxford 1957,
p. 15 e D!ELS-KRANZ, Fragmente der Vorsokratiker (ed. 1954), 29A10 e
31 Al9. L'intera questione (quindi anche l'attribuzione a Zenone dell'in-
venzione del dialogo) v. in Zenone. Testimonianze e frammenti, a cura di
M. Untersteiner, Firenze 1963, pp. 7-10 e 62-64.

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La " storia della dialettica " secondo Aristotele 67

che Empedocle ha per primo dato inizio aJia retorica ". È molto
più importante a nostro avviso e più ricca di conseguenze non la
semplice testimonianza su Zenone, ma l'intero contesto, cioè l'ac-
costamento Empedocle-Zenone e quindi il parallelismo retorica-
dialettica (un caso tipico di interpretazione aristotelica, che farà
scuola: Aristotele collocherà se stesso all'interno, e al limite, di
una tradizione, della quale egli è ad un tempo la radice e un ra-
mo, l'iniziatore e un momento dell'evoluzione).
Con la sua citazione zenoniana Aristotele intende dire che
Zenone ha creato la cosa, non il nome, e questa è la constatazio-
ne di un fatto, se è vero che retorica e dialettica sono le sole ar-
ti che hanno la possibilità di dedurre i contrari: l'eleatico accet-
tava, infatti, le tesi dell'avversario, ma deduceva conclusioni op-
poste a mezzo di una serie di passaggi. L'individuazione aristote-
lica sorprende: Aristotele dovette ben presto (forse già all'epo-
ca del suo discepolato presso Platone) aver chiaro il movimento
della critica alla dialettica platonica. e quindi le linee del suo
piano. Abbiamo già letto testimonianze diverse, da quella di lso-
crate a quella di Elio Aristide (cfr. sopra cap. 2.2.). Se poi voles-
simo addirittura tener conto che da una parte Zenone, secondo
Diogene Laerzio (m, 48), sarebbe stato anche il primo scrittore
di dialoghi e che, dall'altra, l'attribuzione aristotelica della sco-
perta della retorica a Empedocle non può che essere posta in
relazione con l'attività politica di questi 10 , ci è già possibile scor-
gere, sia pure dall'esterno e indirettamente, quelle connessioni
di dialettica, storia e politica nell'ambito della retorica che noi
crediamo appunto di poter mettere in .·luce interrogando o solle-
citando i testi aristotelici.
Ritornando ad essi chiediamoci: qual è, alla fine, il senso ul-
timo del frammento del giovanile Sofìsta? L'accostamento che vi
compare di Zenone ed Empedocle, di retorica e dialettica, è sol-
tanto la prima di una serie di testimonianze aristoteliche che ci
è dato incontrare nella tradizione dossografica antica. Non può
essere un caso, infatti, che Diogene Laerzio scriva, proprio all'ini-
zio del libro dedicato ad Aristotele: " Insegnava ai discepoli ad
esercitarsi su un tema determinato e insieme li allenava ai dibat-
titi oratori " (v l ,3).
Come è stato giustamente sottolineato, Aristotele avrebbe con-
dotto innanzi di pari passo la formazione dialettica e quella orato-
ria dei suoi scolari 11 • Ma è ancora più importante ritornare al te-

10 J. BURNET, L'aurore ... , cit., p. 236.


11 E. WEIL, La logica nel pensiero aristotelico, cit., p. 62, nota 21.

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68 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

sto del capitolo conclusivo dell'Organon, dove a chiare lettere si


viene a sapere che le ricerche sulla retorica avevano preceduto
quelle sulla dialettica e sulla logica in generale. Ricordiamo: in-
torno alle questioni retoriche molto e di antico era stato detto,
ma sui ragionamenti non c'era assolutamente nient'altro, e però
il lavoro ha richiesto fatica e molto tempo (184 a 8fb3). Una no-
tizia autobiografica di grande valore. Essa non contraddice all'af-
fermazione contenuta nel frammento giovanile e la giustifica in
quanto la cosa è in quel punto in questione, non il nome. Ma ad
un tempo ci indica che una tradizione aristotelica, cioè promossa
da Aristotele stesso, si è inserita ed è stata conservata nella tra-
dizione dossografica: un caso nel quale la dosso grafia sembra
confermare il piano di un'evoluzione che proprio Aristotele ave-
va configurato.

4.3. Il rapporto sofistica, dialettica e filosofia (Retorica e


Metafisica)
Ritorniamo all'introduzione (cap. I) della Retorica. Ne abbia-
mo messo in luce il presupposto, l'analogia o meglio il contrap-
punto retorica-dialettica. Subito dopo, com'è noto, affermata la
possibilità e la funzione di una techne, e la necessità delle argo-
mentazioni (solo le prove, le argomentazioni, infatti, sono tecni-
che, tutto il resto è secondario- 1354 a 13/14), Aristotele ri-
vendica ancora una volta, come alla fine dcll'Organon, rorigina-
lità della sua ricerca: " Coloro che non ci dicono nulla intorno
agli entimemi (gli autori delle tecniche dei discorsi) dedicano la
maggiÒr parte dci loro trattati a questioni esterne all'oggetto..,
(1354 a 14 l 16). La dichiarazione va sottolineata, tenendo so-
prattutto presente che viene ripresa (" Se le cose stanno così, è
chiaro che gli autori di tecniche si occupano di questioni esterne,
mentre definiscono tutto il resto ... "- 1354 b16/18) dopo la cri-
tica dei predecessori, che coltivarono quasi esclusivamente l'elo-
quenza giudiziaria; e come conclusione nuovamente il rapporto
retorica-dialettica (1355 a 6 sgg.). _
Non ci deve meravigliare questa insistenza né il silenzio di
Aristotele sui precedenti. Egli è consapevole di una scoperta che
ha spostato il punto di vista della ricerca e della filosofia: " ...bi-
sogna poter persuadere del contrario di una tesi come nei ragio-
namenti dialettici... delle altre arti nessuna deduce i contrari ... "
(1355 a 29 sgg.); poi si passa dall'oggetto alla funzione: " Che,

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Il rapporto sofistica, dialettica e filosofia 69

dunque, la retorica non appartenga a un genere determinato ...


e che sia utile, è chiaro, e inoltre la sua particolare funzione non
è persuadere, ma individuare i mezzi della persuasione relativi
ad ogni oggetto ... " (1355 b7 sgg.), affermazione che ci riporta
alle prime righe ael primo capitolo ("L'una e l'altra vcrtono su
questioni che sono in qualche modo alla portata di tutti e non
richiedono scienza determinata") dopo un'ampia argomentazio-
ne. Ma la ripetizione e la conclusione non sono casuali (cfr. so-
pra 2.2 e qui 4.2, all'inizio).
Ora Aristotele, determinata l'autonomia della retorica, può
configurarla sistematicamente. " È chiaro, inoltre, che ila retorica
individua il persuasivo e il persuasivo apparente come la dialet-
tica il sillogismo e quello apparente. La sofistica, infatti, non sta
nella facoltà, ma nell'intenzione; però si sarà retore o per scien-
za o per intenzione; invece, sofista per intenzione e dialettico poi
non per l'inten~ione ma per la facoltà" (1355 bl5/21): per in-
tenzione (nqoa((>wu;) si deve intendere l'atteggiamento con il qua-
le si affronta l'oggetto, la scelta, il tenore del genere di vita, e
Mvfffllç, che abbiamo reso con facoltà, indica quell'arte che si
perfeziona e si compie nella pratica.
Aristotele intende inserire la dialettica nella partizione de-lla
scienza o almeno tenta una partizione provvisoria, alla quale egli
è costretto per due motivi: il primo è pienamente manifesto e
corrisponde all'esigenza di rendere esplicita c definire la posizio-
ne nei confronti della sofistica, cui si è riferito indirettamente in
precedenza e della quale abbiamo diffusamente parlato; mentre
il secondo motivo risponderà alla necessità, esplicita solo nella
Metafisica, di istituire un rapporto fra la dialettica e la filosofia:
Aristotele cercherà di chiarire a se stesso l'oggetto e la natura di
quella scienza ricercata, scienza oggetto della ricerca, che coinci-
de di fatto con la ricerca esposta nei libri metafisici, ma che non
sempre e non univocamentc coincide con la filosofia (scienza del-
le cause, dei primi fondamenti, scienza dell'essere in quanto ta-
le, filosofia prima) 12•
Questo momento va per ora appena accennato; vediamo come
si pone il rapporto dialettica-filosofia (scienza) a partire dal te-
sto stesso della retorica. l risultati di un'attenta lettura possono
essere questi: la sofistica viene a cadere nell'orizzonte degli in-
teressi della retorica in forza di quell'intenzione che ha un suo

" Questi problemi possono essere qui solo accennati. Cfr. sopra nota
8 e v. anche L. LUGARINI, Aristotele e l'idea della filosofia, Firenze 1961.

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70 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

compito preciso nella retorica stessa. La sofistica non si fonda


su1la facoltà, dice Aristotele, ma sull'intenzione. D'altra parte,
nella retorica concorrono ugualmente l'intenzione e la scienza.
Ma che cos'è scienza, qui, se non la facoltà, che la retorica si
trova ad avere allora in comune con la dialettica? Alla dialetti-
ca partecipa, dunque, indirettamente la sofistica e direttamente
la retorica. La costruzione, che sembra chiudere il circolo di re-
torica-sofistica-dialettica tra l'intenzione e la facoltà, avviene, non
dimentichiamolo, su~ piano della retorica, che abbiamo chiama-
to piano della coscienza comune, nel senso del compito indivi-
duato dal filosofo per rendere intelligibile e comunicabile il pro-
prio intervento, il proprio discorso. All'interno di questa costru-
zione sofistica e dialettica mantengono, tuttavia, una posizione
particolare che ci porta al di là dell'orizzonte della retorica: in-
fatti, per quanto riguarda la dialettica non possiamo sapere, stan-
do a questo testo, che cosa sia Mva~w;, e d'altronde la sofistica,
in forza dell'intenzione, ripropone sempre il suo sfuggire nell'om-
bra del nulla ( Plat., Soph. 254AB, cfr. 237 A sgg.).

Il momento negativo, platoniCo, della sofistica è messo a fuo-


co nella Metafisica. Aristotele sta dimostrando che non c'è scien-
za degli attributi dell'essere, dell'essere per accidente, e dice:
" ... l'accidente è infatti soltanto una specie di nome. Platone,
dunque, non ebbe torto di collocare la sofistica nella sfera del
non-essere" (VI. 2.1026 bl3/ 15). Con una terminologia appena
mutata questo apprezzamento della sofistica si ritrova in un al-
tro passo della Metafisica (Iv. 2.1004 b 17 /26), dove si rende an-
che ragione di quella lluva~tlç di cui abbiamo discorso e, per l'uni-
ca volta nell'opera metafisica, dialettica e filosofia vengono e ri-
sultano poste in relazione: " .. .i dialettici e i sofisti si mostrano nel-
la figura del filosofo (la sofistica, infatti, è sapienza soltanto appa-
rente c così i dialettici), disputano di tutto, c l'essere è comune a
tutte le cose. ~ chiaro che discutono di tutto per ciò che questi
sono gli oggetti propri della filosofia. Sofistica e dialettica si ag-
girano, infatti, intorno allo stesso genere di realtà della filosofia,
ma la filosofia si distingue dalla dialettica per la natura della fa-
coltà (n!} -rq6rr(p -rljç ()uvaJlHùç) e dalla sofistica per il tenore di vi-
ta (-roil ptou •n n:goatQÉO'Et). La dialettica è peirastica intorno a
ciò che la filosofia conosce (yvroqtanxi]); la sofistica, invece, è ap-
parente, non ha realtà (rpmvo~tÉ\'11, oùcra ()' ov)".
Vediamo di spiegare letteralmente il testo, che ha già trova-
to, ovviamente, autorevoli commentatori a cominciare dagli an-
tichi; per ciò che concerne la Metafisica seguiremo, infatti, Ales-

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n rapporto sofistica, dialettica e filosofia 71

sandro che mostra di essere, com'è naturale (e· la cosa non an-
drebbe mai sottovalutata), più disinteressato di noi e più vicino
alla problematica aristotelica (cfr. ed. Hayduck, 259, 24 sgg. -
260, 22 sgg.). Da un confronto immediato dei due passi, della
Retorica e della Metafisica, ci si accorge subito che la retorica
è scomparsa dalle relazioni che la M eta fisica istituisce. La scom-
parsa è però solo apparente. Nella Retorica il sistema sofistica,.
retorica-dialettica è retto dalle due costanti dell'intenzione e del-
la facoltà, con la conseguenza che sofistica e retorica vengono
assimilate in forza dell'intenzione e retorica e dialettica a parti-
re dalla facoltà, scienza. Ora, è proprio questo rapporto, questo
concetto della dialettica che comprende in sé la retorica (così co-
me, d'altra parte, si è visto, la retorica mantiene un rapporto con
la sofistica e la innalza al piano della considerazione filosofica)
e la giustifica, la figura stessa della dialettica presente nella Me-
tafisica.
Qui, però, il sistema appare costruito secondo una prospetti-
va diversa: ,sofistica-dialettica-filosofia trovano la ragione del lo-
ro essere in rapporto nell'identità dell'oggetto (" sofistica e dia-
lettica si aggirano intorno allo stesso genere di realtà della filoso-
fia ", cioè " l'essere che è comune a tutte le cose "), ma i due
clementi, intenzione e facoltà, entrano ugualmente in gioco: la
dialettica e la filosofia si distinguono per la facoltà, e hanno quin-
di l'intenzione in comune (quella che Bonitz chiama disputandi
facultas), per cui la dialettica è peirastìca e la filosofia conosci-
tiva; la sofistica e la filosofia si distinguono per l'intenzione: la
sofistica è una specie di arte (XQlHtutwnxrJ) e il sofista un uomo
che trae profitto da una saggezza apparente e non reale (cfr. El.
Soph. 1.165 a 21/23 e 11.17 l b27/29) e a maggior ragione per
la facoltà: la sofistica, infatti, è una saggezza apparente, essa
stessa· non ha realtà anche se si aggira intorno all'essere. Ora, dal
momento che l'intenzione porta la dialettica nei pressi della filo-
sofia e la facoltà conoscitiva della filosofia colloca la dialettica in
un ambito diverso, non rimane che avanzare_ l'ipotesi che quanto
all'uso della facoltà dialettica e sofistica abbiano qualcosa in co-
mune - un risultato che il testo della Retorica escludeva.
Queste, allora, le conclusioni: la sofistica è ancora una volta
riacquistata al movimento della speculazione per la sua paren-
tela con la dialettica e la dialettica innalzata in dignità per la sua
vicinanza alla filosofia; inoltre, anche qui non c'è soppressione
o assimilazione di una di queste tre figure dcl sapere da parte di
un'altra: ciascuna di esse mantiene la propria autonomia e de-
terminatezza. Stando alla Retorica, secondo il metodo, anche il

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72 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristo<ele

sofista può essere un dialettico, ma se ne distanzia nettamente a


mezzo dell'intenzione, la quale nel dialettico mira aJla cosa, men-
tre nel sofista ha a che fare solo con una parvenza di verità. La si-
tuazione verrebbe ad essere capovolta nella Metafisica, dove l'ar-
gomentazione si fonderebbe sulla distinzione di realtà (essere) e
apparenza: la dialettica si contrappone così alla sofistica, collo-
candosi dalla parte della filosofia, ma da questa si distingue per il
metodo, che invece l'avvicina senz'altro alla sofistica. "Con una
affermazione più rigorosa potremmo azzardare di dire così: la
posizione intermedia propria della dialettica si dimostra a parti-
re dal suo metodo che la pone in prossimità della sofistica e dal-
la sua intenzione che essa ha in comune col filosofo" 13 • È un'in-
terpretazione chiarificatrice, ma non possiamo accettare la vec-
chia tesi, che sembra qui riaffacciarsi, di una dialettica come phi-
losophia minor, "metodo", rispetto ai quali la filosofia sola è
la scienza, episteme. La dialettica, lo si è già visto, è altro.

4.4. Dialettica e ontologia (T o p ici)


Vediamo di approfondire e di spiegarci alcune difficoltà del
testo aristotelico. Teniamo presenti ,le due affermazioni dei To-
pici: " Sino a che si tratta di mettere in luce il luogo, la ricerca
è comune al filosofo e al dialettico, mentre il successivo ordina-
mento c il porre domande è il compito proprio del dialettico "
(VIII 1.155 b7/10). Ma d'altra parte topica e antologia "non
sono che due aspetti della stessa realtà", come lascia capire Ari-
stotele stesso in un capitolo degli Elenchi sofìstici: " Quanto al
numero dei luoghi da cui dipendono le confutazioni, non biso-
gna cercare di stabilirli senza la scienza di tutte le cose. Ma que-
sto non è di alcuna disciplina. Infinite, infatti, sono le scienze,
sicché è chiaro che lo sono anche le dimostrazioni " (9 .170 a
20/23). Aristotele continua e spiega che ogni scienza particolare
(la geometria, la medicina per esempio) possiede le sue dimostra-
zioni, vere e false, e quindi le sue confutazioni, vere e false, le
une e le altre in numero infinito. " È chiaro, dunque, che non di
tutte le confutazioni, ma soltanto di quelle che dipendono dalla
dialettica, sono da detenninare i luoghi: questi ultimi, infatti,
sono comuni ad ogni arte e capacità" (170 a 34/36). In altri

13 P. WrLPERT, Aristoteles und die Dialektik, in « Kant-Studien », 48,


1956-57, pp. 252-3.

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Dialettica e antologia 73

termini, sempre secondo il testo aristotelico, è il tecnico, lo scien-


ziato (ÈmcrTr]~tw,•) che deve giudicare se l'argomentazione rela-
tiva alla scienza di cui si occupa è apparente o reale e perché,
mentre l'esame di quelle confutazioni che riguard~ano i principi
comuni e non una tecnica particolare spetta al dialettico. Un
rinvio ai Topici, quindi, che hanno stabilito i luoghi dai quali
dipendono i ragionamenti probabili intorno ad un oggetto qual-
siasi: " Abbiamo così i luoghi da cui dipendono tutte le confu-
tazioni di questo genere. Se abbiamo questo, abbiamo anche le
soluzioni: le obiezioni a quelle confutazioni sono infatti solu-
zioni " (170 b3/5). A questo punto è bene fare intervenire il
passo di Soph. El. 11, che ripete Metaph. IV 2. l 004 h22 sgg.,
ma che ora, dopo il commento al capitolo immediatamente pre-
cedente dell'Organon, acquista un senso nuovo e chiude in un
certo senso il discorso lasciato aperto nella Metafisica: "È dia-
lettico, dunque, colui che considera i principi comuni rispetto al-
Ia cosa, mentre chi fa questo in apparenza è un sofista " ( 171
b6j7).
Per riassumere: ancora una volta Aristotele si riporta alla
sofistica nel cuore della ricerca metafisica; tuttavia, è vero che
la dialettica, considerata nel centro della problematica dei To-
pici, non ha più nulla a che fare con la sofistica o almeno sem-
bra mantenere con essa un rapporto esterno. Rispetto alla sofi-
stica la dialettica aristotelica rappresenta la coscienza di un me-
todo, ma di un metodo, si badi, che non è più la platonica :rroQELa
[viaggio, via], bensì una ricerca che motiva e giustifica se stessa
accanto all'ontologia, alla scienza (nel significato sopra descritto).
V orrcmmo ora notare : non va mai persa di vista, sul piano del-
l'interpretazione storica, la relazione istituita da Aristotele fra la
propria ricerca (retorica, metafisica e topica) e la sofistica, al di là
della dialettica platonica.
Un unico leitmotiv accompagna la storia del pensiero antico,
dall'idea della retorica gorgiana alle figure della dialettica ari-
stotelica: l'ideale cioè di un sapere universale (retorico nel sen-
so aristotelico), che non ha oggetto proprio, ma che ha in sé la
possibilità di far valere le altri arti e tecniche, l'idea di una scien-
za sostanzialmente socratica, ma non socratico-platonica: " ...
Aristotele ignora una forma di discorso che coinciderebbe con il
movimento stesso a mezzo dci quale le cose si svelano c che sa-
rebbe qualcosa come il linguaggio di dio. Con Aristotele il lo-
gos cessa di essere profetico; risultato di un'arte umana e stru-
mento della comunicazione tra gli uomini è descritto come di-
scorso dialettico, e la sua forma più alta sarà tutt'al più il di-

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74 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

scorso del professore (colui che giunge al massimo dell'astrazio-


ne, ma non del tutto, in relazione al comportamento dell'udito-
re)'". In aJtre parole: "l'universalità ricercata non può essere
l'universalità di un sapere, reale o apparente, ma quella di una
negazione, più precisamente di una critica o, come dirà Aristo-
tele, di una :n:a!_lacrnxlj. Lo stesso uomo non può sapere tutto,
ma può interrogare chiunque su qualunque argomento. Socrate
scopre il solo potere che sia legittimamente universale: la doman-
da, la sola arte alla quale nessun'altra può contendere la supe-
riorità, la priorità: l'arte di porre domande nel dialogo, cioè la
dialettica " 14•
E necessario, allora, esaminare un nuovo arco di testi aristote-
lici c studiare a partire da questo risultato come possa ulterior-
mente articolarsi la ricerca della Metafisica all'interno di quel
rapporto con la storia, la politica e la dialettica, che abbiamo co-
stantemente tenuto in luce.

4.5. Dialettica, storia, politica


Vediamo Metafisica m 1.995 a 24/b4, quel testo sull'aporia
(che, secondo la formulazione di Eth. Nicom. VII 4.1146 b7 /8,
è già, neila sua soluzione, scoperta): " In vista della episteme
intorno alla quale la ricerca verte è necessario determinare, in
primo luogo, a proposito di quali cose principalmente si debbano
rilevare le aporie (rbtoQflom), cioè le questioni sulle quali ·altri
si siano espressi in modo diverso e quelle, inoltre, che eventual-
mente siano state trascurate. A chi vuole camminare bene
(E-ùrroQflcrm) giova passare accuratamente attraverso le aporie
(1harrogflam xaÀ<i>ç), poiché il successivo buon cammino (E"Ùrroefa)
non è che lo scioglimento delle aporie rilevate in precedenza e
non è possibile sciogliere un. nodo senza riconoscerlo. Ma la pre-
senza di un nodo attinente alla cosa di cui si tratti è d'altronde
manifestata dall'incepparsi della mente; la quale, trovandosi im-
pedita di procedere, soffre in maniera simi,le a coloro che sono
in catene, in quanto è impossibile per l'una e per gli altri il pro-
cedere oltre. Bisogna quindi avere considerato da prima tutte le
difficoltà, sia per quanto si è detto, sia perché coloro che si pon-
gono a cercare senza averle prima attraversate assomigliano· a
chi non sa ove dirigersi, e ignorano se a un dato momento abbia-
14 P. AUBENQUE, Le problème de l'etre chez Ar., cit., pp. 115, 275.

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Dialettica, storia, politica 75

no o no trovato ciò di cui andavano in c~rca : non è chiara, per


loro, ,la meta, che invece lo è per chi abbia preliminarmente fis-
sato le aporie (t({> :1l{lOlFWQEY..o·n). Inoltre, si trova necessariamen-
te in condizione migliore per giudicare chi, come giudice di una
contesa, ascolta anche tutte le ragioni opposte " 15•
È noto che gli antichi commentatori vedevano in questo testo
il vero inizio della Metafisica. L'espressione: le questioni sulle
quali altri si siano espressi in modo diverso è così commentata
da Alessandro: " Ciò potrebbe significare che o non convenien-
temente o in modo opportuno ma erroneamente o che alcuni in
un modo altri in un altro si occuparono di tali questioni: infat-
ti, offrono soprattutto difficoltà quelle cose di cui sono state da-
te precedentemente opinioni· differenti da parte di coloro che le
hanno trattate ... " (ed. Hayduck, p. 127). Non è necessario esa-
minare tutti i passi paralleli aristotelici. Uno,. però, resta fon-
damentale: " Ma costoro (i sostenitori dell'antica tradizione co-
smologica di Talete) sembrano ricercare fino ad un certo punto,
bensì non fin dove sussiste possibilità di dubbio (Mvm:ov -rfj;
ù:rrog[aç). A noi tutti, infatti, questo è abituale, di non istituire
la ricerca per la cosa in se stessa (n:gòç -rò n:gay!J.a), ma per colui
che dice cose contrarie alle nostre (n:QÒ; -ròv nivun[u ì.éyovtu):
infatti, noi stessi in noi ricerchiamo fino a che non è più possi-
bile avere da ribattere. Per questo bisogna che chi vorrà effet-
tuare bene una ricerca rimanga tenace di fronte a tutte le obie-
zioni appropriate al genere, ciò che deriva dal contemplare tut-
te le differenze" (De Coelo n 13.294 b6/13) 16•
In primo ~uogo dobbiamo registrare come da Aristotele ven-
ga qui delineata l'istanza del metafisica, il punto di vista del sa-
pere, che ora coincide con l'opera di fondazione della scienza
intorno alla quale la ricerca verte. La scienza è e rimane ogget-
to della ricerca, ma proprio per questo Aristotele si innalza so-
pra la coscienza comune, proprio per questo egli enuncia e de-
nuncia un sapere che è altro e da quello della coscienza comu-
ne e della filo-sofia della tradizione. Il ritmo dei due capitoli ini'"
·ziali del 1 libro dell'opera, il loro stesso avvio lo provano: " Tut-
ti gli uomini per loro natura tendono al sapere " (I l. 980 a 21)

15 La traduzione è di L. Lugarini, in Aristotele e fidea della filosofia,


cit., pp. 134-5.
16 Passi paralleli sono indicati da E. ZELLER, Die Philosop!zie der Grie-

chen, Leipzig 1921•, vol. II, t. II, pp. 243-5, che è bene leggere anche per
la configurazione del problema e del rapporto aporia-dialettica-filosofia.
Altri passi paralleli: De Anima I 2. 403b20·24, De Coelo I 10. 279b4-12,
Anal. post. 1 l. 71al-13.

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76 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

e " È dunque chiaro che la sapienza è scienza di certe cause e


principi - poiché questa è la scienza che cerchiamo, dobbiamo
vedere di quali cause e principi è scienza la sapienza" (I 1.982
a 1-6). ·
È la posizione che troviamo all'attacco del primo capitolo del
libro terzo; ad esso è immediatamente collegato J'altro tema fon-
damentale, che si articola, appunto, sulla problematica storica
del primo libro: l'esigenza storica della configurazione e istitu-
zione di una tradizione (" il successivo buon cammino non è che
lo scioglimento delle aporie rilevate in precedenza ") che renda
comprensibile il proprio promuovere determinate questioni (altri-
menti la men~e " soffre in maniera simile a coloro che sono in
catene, in quanto è impossibile ... il procedere oltre"), coincide
con l'esigenza dialettica, in noi abituale " di non istituire la ri-
cerca per la cosa in se stessa, ma per colui che dice cose contra- ·
rie alle nostre ... " (De Coelo, cit.).
Con Aristotele si fa strada un atteggiamento complesso, un
~ioç che il pensiero greco non ha ancora riconosciuto: la co-
scienza comune (i molti) diventa un problema, si. spezza l'iden-
tità filosofia (scienza)-dialettica (filo-sofia). Le ragioni di questo
avvenimento sono esterne al filosofare, c sono da ricondursi ano
smarrimento della immediata politicità della ricerca filosofica,
all'assenza in essa di un valore pedagogico, assiologico in gene-
rale: il filosofo ha veramente perduto la sua anima o almeno la
parte più viva di essa; ora la sua ricerca vale unicamente per il
singolo, alla fine trova, se assolutamente imposta agli uomini, il
grigio del silenzio. Cade a proposito un'osservazione che può ave-
re qualche valore storico, un'interrogazione su un momento della
riflessione che Aristotele compie sul significato della sua diapore-
tica 11 • Dalla necessità di considerare preliminarmente tutte le dif-
ficoltà questo risulta: " Perché coloro che si pongono a cercare
senza prima aver attraversato tutte le difficoltà assomigliano a
chi non sa ove dirigersi e ignorano se a un dato momento abbi·t-
no o no trovato ciò di cui andavano in cerca " (995 a 33/995
b 2). Indubbiamente, a nost>o avviso, una risposta al Socrate-

17 Con questo termine intendiamo, con Lugarini, la ricerca aristotelica


nel libro m della 1\1elaJÌsica (esposizione dei problemi della filosofia o
della filosofia per problemi) e che consideriamo come un momento conti-
nuamente operante della sua ricerca. Si può anche dire, con Ross, melOdo
aporematico o con Tricot metodo diaporematico: questi evidentemen-
te si basa sull'espressione usata da Aristotele stesso per indicare il
libro III [tv "tOtç aLGtrrop"Jj:LG!CH: cfr. Metaph. XIII, 2. 1076bl, XIII, 10.
1086b15.]

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Dialettica, storia, politica 77

Platone del Menone, quando all'argomentazione sofistica del-


l'impossibilità della conoscenza sia di ciò che si sa sia di ciò che
non si sa, nel primo caso perché non c'è bisogno della ricerca,
nel secondo perché non è possibile (Men. 80 D/81 A) - un ar-
gomento, come è noto, che suona dolce alle orecchie degli uo-
mini pigri (81 DE) - Platone oppone il mito della reminiscenza,
che renderebbe gli uomini operosi e ricercatori (ib.): una opero-
sità, si badi, che è sollecitata unicamente dalla coincidenza, nel
sapere, della ricerca e del sapere (81 DE), il cui fondamento è da
cogliere in quel sapere come mito che alla fine è estraneo alla ri-
cerca e all'uomo.
Se Aristotele risponde a Platone, è per tornare ancora una
volta all'esperienza sofistica e socratica, per riconquistare lo spi-
rito di una ricerca veramente operosa e quindi una misura più
adeguata dell'uomo. Con l'osservazione che abbiamo sottolineato,
egli tende a porsi dalla parte dell'argomentazione sofistica, la qua-
le aveva trovato la propria verità e realk>t storica nella polemica
contro l'assolutizzazione dell'essere, cqntro un essere che veniva
detto in un modo solo. L'essere- non si stanca di ripetere Aristo-
tele- si dice in molti modi (rtoÀÀax&ç HyE-raL n) ()v). Ma è chiaro
che non si tratta di un ritorno puro e semplice. Aristotele, infatti,
traspone l'argomentazione sofistica come figura logica sul piano
dell'esperienza storica: lo dimostra proprio la pagina dell'Orga-
non dove il passo del Menone viene esplicitamente citato e dove
Aristotele afferma che l'individuo, del quale egli si occupa, " in
un certo senso sa, ma in un certo altro senso non sa" (An. post.,
1 l. 71 a 26). Anche in questo caso egli riprendeva Platone, il
celebre tema di Diotima: "Forse che è ignorante colui che non è
un saggio? Non credi tu forse, che tra scienza e ignoranza vi sia
qualcosa di intermedio? " (Conv. 202 AB), un tema, tuttavia, che
coincide col mito del quale è oggetto. Aristotele rifiuta il mito,
accetta la situazione di fatto e la inserisce in un più profondo ri-
sultato storico.
Il rapporto tra le due introduzioni alla Metafisica, storico-dia-
lettica la prima, dialettico-diaporetica la seconda, risponde alla
necessità ora descritta di fondare da una parte storicamente la
scienza (potremmo quasi dire: di storicizzare la scienza, di porla
all'interno di una coscienza che si sappia storica) e di offrire
d'altra parte alla scienza in via di fondazione (la Metafisica) una
intelligibilità che non può altlimenti spiegarsi se non nel circolo
chiuso del sapere filosofico. In questa direzione uno dei significa-
ti e dei compiti della dialettica aristotelica coincide con ciò che
è stata poi chiamata la stmia, la coscienza storica; con una ter-

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78 Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele

minologia più vicina alla problematica aristotelica potremmo de-


finirla configurazione, storicizzazione della tradizione.
Se ora riportiamo il testo del terzo libro all'interno del dibat-
tito che abbiamo cercato di chiarire in Metaph. IV, 2, possiamo
dire di aver raggiunto una conclusione n,uova o almeno di aver
aggiunto qualcosa di nuovo alla precedente conclusione: quella fi-
losofia che è yvwgto..nxf] è la scienza oggetto della ricerca, l'idea
della scienza, quella scienza suprema, agxtxo,;dnl, di cui si fa
discorso anche nel libro precedente (cfr. 1 2.982 b 4/5); ma la
scienza in atto, il filosofare, del quale di volta in volta si parla
nella Metafisica, è la dialettica, Jtft(lM'tlXfJ (cfr. Top. IX, 8 c 11):
una figura della " scienza ", ma quella che si determina, storica-
mente, nel btan:ogYjom. Il filosofo, il suo sapere e la coscienza co-
mune non si oppongono e d'altra parte non coincidono, di fatto,
come per il passato, ma trovano nella storia il loro senso c la pos-
sibilità di riconosccrsi, perché uno è il sapere, ma ad esso non è
estranea l'opinione.

A questo punto, il nostro discorso potrebbe ricominciare da


capo. Se siamo venuti in chiaro circa il senso della dialettica in
Aristotele, dalle sue origini come sofistica e sistema delle opinio-
ni, e quindi: l) teoria della coscienza comune c 2) motore, co-
me storia, della ricerca metafisica, della determinazione della
scienza filosofica dell'essere (un senso eminentemente politico
per ciò che tiene fermo il proprio oggetto, i molti, pur apponen-
dolo all'uno, oggetto della scienza), abbiamo lasciato aperto nel-
la sua problematicità il concetto della scienza secondo quanto ri-
sulta dai testi aristotelici. Ne abbiamo indicato sopra le deter-
Ininazioni fondamentali sulle quali hanno operato le grandi inter-
pretazioni della storia, cioè la distinzione, e non il conflitto, or-
mai classici, tra una metaphysica generalis che riguarda l'ens
commune e una metaphysica specialis che verte sul summum
ens, Dio. Ma il conflitto, la contraddizione non risolta è già in
Aristotele: " ... l'opposizione dell'antologia e della teologia come
quella dell'opinione e della scienza, della retorica e del mestiere
riproducono in realtà su un piano diverso il conflitto di aristocra-
zia e democrazia. Ci si deve meravigliare di ciò? Può destare me-
raviglia il fatto che la preistoria della metafisica ci conduca ad
un nodo di problemi in cui politica, filosofia, riflessione sulla pa-
rola e suU'arte s'infrecciano e si scambiano di significato in un
complesso indissociabile? Che il progetto di una scienza dell'es-
sere in quanto essere, che sembrò subito astratto quando se ne
smarrirono le risonanze umane, tragga la propria origine, e quasi

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Dialettica, storia, politica 79

la sua linfa, da un dibattito in cui era in gioco la condizione e


la vocazione nello stesso tempo teorica, tecnica e politica dell'uo-
mo in quanto uomo? ... n filosofo è l'uomo qualunque, l'uomo in
quanto uomo oppure il migliore degli uomini? Il suo oggetto è
l'essere comune, cioè l'essere in quanto essere oppure il genere
più eminente dell'essere? L'essere appartiene a tutti e di volta in
volta anche alla più umile delle nostre parole oppure si svela nella
sua meravigliosa trascendenza unicamente nell'intuizione degli in-
dovini e dei re? E infine: il discorso del filosofo è la parola di un
uomo semplicemente uomo che avrebbe rinunciato ad apostrofa-
re l'essere come teologo, fisico o matematico oppure è la parola
distante di colui che, primo in. tutti i generi, sarebbe d'accordo
con gli dei? " 18• ~ ancora il dibattito che aveva caratterizzato la
sensibilità filosofica e politica degli uomini del v secolo. Vediamo
di approfondire la questione e teniamo presente che è sempre
buona norma metodica non solo lasciare aperte le contraddizioni
individuabili in un filosofo, ma farle agire e sollecitarle: non sem-
pre esse sono componibili nell'unità o nel circolo del sistema.
Chiediamoci il senso dell'affermazione aristotelica nel primo li-
bro dell'Etica nicomachea: posta la diversità degli scopi umani e
uno scopo supremo e quindi un'unità di questi scopi, ci deve es-
sere una scienza (EmaT~fll)) di questa unità, che sarà la più impor-
tante e la più architettonica (xt'(H(t>nhq, UQZt'tfXTovtxi)) - la " po-
litica. Essa determina quali scienze sono necessarie nella città e
quali ciascuno deve apprendere e fino a che punto. Vediamo, in-
fatti, che anche le scienze più onorate si trovano sotto di essa, co-
me la strategia, l'economia e la retorica. Dal momento che essa si
serve delle altre scienze pratiche, e inoltre stabilisce che cosa bi-
sogna fare e che cosa ·evitare, il suo fine potrebbe comprendere
quello delle altre, cosicché sarebbe il bene umano " (1094 a
26/b7). Segue la fondamentale affermazione, che tiene in luce la
differenza-relazione tra l'etica e la politica: se è identico il bene
per il singolo e per la città, si deve scegliere e salvare quello della
città, ché questo è un compito più bello e più divino. ·
~ inutile sottolineare la concordanza di questo inizio dell' Eti-
ca nicomachea con quello ben noto della Politica 19• Lasciamo

18 P. AunENQUE, Le problème de l'ètre chez Ar., cit., pp. 279-280, ma

cfr. E. WEIL, Quelques remarques ... , cit. sopra nota 7, pp. 844-49.
" ARISTOTE, La politique, vol. I, Paris 1960 (coli. Les Belles Lettres),
a cura di J. AUBONNET, p. 105. È molto importante l'introduzione all'edi-
zione di questo testo aristotelico. Sulla Politica si ricordi almeno E. BAR-
KER, The Politics oj Ar:, Oxford 1952; R. WmL, Ar. et l'histoire. Essai sur
la" Politique ", Paris 1960, e la traduzione italiana a cura di C.A. VIANO,

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80 Logica e dialettica, storia c filosofia in Aristotele

pure da parte, anche se la connessione non sarebbe ingiustifi.cata,


l'elogio della città c della comunità politica che lo segue immedia-
tamente, che ritorna nel trattato sull'amicizia (partic. vm 11) e
che apre il libro sulla Politica. La chiave per intcnderlo si trova
a nostro avviso nello stesso contesto: " A questo (scienze neces-
sarie nella città, detenninazione del bene per il singolo e per la
città), mira, dunque, il nostro trattato, che è politico. Sarà suffi-
ciente che esso tratti chiaramente intorno alla materia proposta.
Infatti, non bisogna cercare in tutte le discussioni una precisione
uguale come neppure nelle professioni manuali ... Ci si deve ac-
content<u·e, quindi, trattando di queste cose (il bello e il giusto og-
getti della scienza politica) e partendo da principi simili, di mo-
strare la verità in maniera sommaria e approssimativa, e quando
si parla di cose generali e da principi generali si argomenta, di
trarre conclusioni pure generali ... infatti, è proprio dell'uomo
colto richiedere in ciascun genere di ricerca tanta esattezza, quan-
ta ne permette la natura dell'argomento: e sarebbe lo stesso loda-
re un matematico perché è persuasivo c richiedere all'oratore del-
le dimostrazioni. Ciascuno giudica bene ciò che conosce, e solo
di ciò che conosce è quindi buon giudice. Nelle questioni partico-
lari giudica bene chi è competente in esse, in quelle generali chi
ha una cultura generale" (T 1.1094 b 10/1095 a 2).
Aristotele ripresenta qui quell'opposizione, che abbiamo appe-
na accennato, fra i due atteggiamenti possibili in ogni genere di
ricerca,. di cui parla nell'introduzione al De Partibus animalium:
la vera e propria scienza della cosa (rmon'w11 toii ngtiy~wto;) e
quella specie di cultura (mHì)f(u n;), propria dell'uomo colto, che
gli consente di giudicare (x~nnxò;) per così dire di ogni cosa,
mentre l'altro non può che occuparsi di una natura determinata (I
1.629 a l l 10). La stessa problematica in due contesti diversi può
avere lo stesso significato? È sufficiente, è adeguata l'interpreta-
zione secondo la quale ·· quando Aristotele parla di questioni di
metodo, com'è il caso dell'intero libro 1 del De Partibus anima-
lium, interviene come uomo di cultura e non in quanto scien-
ziato?" 20 • Può confermare il testo dell'Etica nicomachea questa

Torino 1955. Sull'Etica Nicomachea v. la traduzione francese e il com-


mento a cura di Gauthier-J.olif. 3 voli.. Louvain 1958-59 e la traduzione
italiana a cura di A. Plebe. Bari 1957.
20 P. AUBENQUE, Science, culture e dialectiqite chez Ar., in « Actes du

Congrès Budé », Lyon 1958, p. 146 e cfr. J.M. LE BLoND, Aristate. Plti-
losophie de la 1•ie. Le livre f<' du Traité sur les parties des animaux, Paris
1945, pp. 53-54 e ARISTOTE, Les parties des animaux, Paris 1956 (coli.
Les Belles l.ettres) a cura di P. Louis. p. 167.

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Dialettica, storia, politica 81

interpretazione? Non lo crediamo. Se è vero che queste funzioni


della cultura sono proprio quelle che Aristotele assegna alla dia-
lettica nei Topici - quella critica e quella peirastica che sotto-
pongono a prova quel discorso che può sembrare un sapere -
" una disciplina che si può possedere anche senza avere la scien-
za e per cui è possibile, da parte di colui che la scienza non pos-
siede, esaminare chi non ha scienza della cosa ,· (Soph. El. 11.172
a 22/24) - noi crediamo che debba avere un valore particolare,
fondamentale, non semplicemente di metodo, il fatto che tale pro-
blematica ritorni in un testo che pretende di elaborare nella poli-
tica la scienza più importante e più architettonica.
Per Aristotele la comunità politica rappresenta la comunità
più comprensiva (Eth. nicom. VIII 11.1160 a 8/9 sgg., cfr. Poli t.
T 1.1252 a 3/7); in essa sola ha un senso l'operare dell'uomo-
" un animale che per natura deve vivere in una città " in quanto
"unico animale che abbia la parola" (Polit. I 2.1252 a 2/3 e
9/JO). Non è necessario insistere su questo punto, ma chiederci,
come ci siamo chiesti, il perché, ora, del rapporto della cosiddet-
ta metodologia dialettica - che abbiamo visto configurarsi come
teoria e ideologia della coscienza comune - con la ricerca sulla
politica come scienza eminente. Il senso di questo rapporto è da
trovare in un passo della Retorica, l'opera dalla quale avevamo
preso l'avvio: " .. .la retorica è come una ramificazione della dia-
lettica e della scienza morale, che è giusto chiamare politica. Ed
è per questo che la retorica prende la maschera della politica sia
per mancanza di cultura sia per ostentazione sia per altre ragioni
umane " (1 2.1356 a 25/30). II testo ci sembra prezioso: esso
dimostra da una parte l'unità delle ricerche etiche e politiche,
sulla quale pone l'accento il celebre capitolo finale della Nicoma-
chea, le ultime righe in particolare che riassumono e ad un tem-
po rinviano alla scienza politica come quella che può mandare a
compimento la filosofia dell'uomo (x 10. 1181 b 13/15), e d'al-
tra parte come nell'evoluzione del pensiero aristotelico al paral-
lelismo retorica-dialettica, che risale addirittura agli anni giovani-
li, si sia sostituito il parallelismo etica-politica - sostituzione pe-
rò che si è manifestata e agisce in forza di quel risultato e da in-
tendere a partire da esso. Nella partizione del sistema rimane ov-
viamente valida la configurazione deiia politica come scienza pra-
tica (Eth. Nicom., VI 8.1141 b 26/27 e Metafisica, VI 1.1023 b
23/24): essa non esclude, anzi lascia liberamente e nuovamente o-
perare la possibilità di comprendere questa direzione del pensiero
aristotelico, una lettura politico-dialettica della M eta fisica, che
coincide con la dimensione metafisica (della scienza) della Politica.

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82 Logica c di_alettica, storia e filosofia in Aristotele

Allora è chiaro il nuovo punto di vista di Aristotele e il nuo--


vo piano della sua ricerca: la scienza politica, che pure si co-
struisce nella stessa sfera della retorica e della dialettica, all'in-
terno, dunque, dell'orizzonte della coscienza comune, ne rappre-
senta ad un tempo l'espressione più alta e più adeguata, e come
tale si pone come scienza o almeno pone la scienza come suo
ideale. Non c'è possibilità di contraddizione né con la determina-
zione dialettica che circoscrive l'ambito reale entro il quale si
trova ad operare la scienza, l'oggetto dell'intervento della scien-
za, né con il discorso sulla scienza esposto e ripetuto nella M eta-
fisica, dove la ricerca è iniziata dal filosofo e per esso, in un rap-
porto con la realtà e con la storia che risulta da una continua me-
diazione. Aristotele dà alla filosofia e apre così alla tradizione,
che sarà nostra, la possibilità di un discorso sulla scienza, e della -
scienza, nelle diverse dimensioni nelle quali di volta in volta si
riconoscono il filosofo e l'uomo comune, il sapere e la coscien-
za comune: una differenza ideale che ha la sua motivazione in
un fondamento reale, storico, quella figura della dialettica aristo-
telica che non rifiuta le opinioni, vuoi rendere ragione della mol-
teplicità dei discorsi, ricondurre il bisogno della filosofia ad una
misura umana e riconoscere a mezzo della scienza il destino del-
l'uomo e delle sue città - la storia.
Allora la dialettica del re-filosofo - una potenza veramente
più che umana (per dirla col Crati/o platonico, 438 CD) - appa-
re veramente come la notte. E Aristotele, come ha scritto AE.
Taylor, " un platonico che ha smarrito la propria anima. Anche
Péguy ha parlato dell'evoluzione della filosofia greca come degra-
dazione del mistico nel politico ". È, però, un fatto - e Aristotele
lo ha conquistato alla filosofia. Un fatto che non cessa di porci in
questione se crediamo ancora di poter filosofare, e riconoscerei
nelle città, in un mondo che rifiuta il mito. Aristotele lo ho espli-
citamente dichiarato (in un frammento giovanile): "Più io sono
solitario e isolato, più amo i mi ti ".

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5. Morte e trasfigurazione della dialettica antica.
Dagli Stoici all'età moderna

5 .l. Dialettica soggettiva e dialettica oggettiva


Tra i Sofìsti e Aristotele, abbiamo avuto più volte occasione
di notarlo, la dialettica esaurisce- sostanzialmente tutte le sue pos-
sibilità, presenti e future: è il dialogo e la sua tecnica, l'arte del
discorso breve, della discussione, della persuasione; è la scienza,
teoria o teoresi in senso greco, cioè la visione dell'intelligibile, ma
è anche il cammino, il tirocinio che alla scienza conduce; lo stru-
mento, quindi (ma solo in Aristotele), che consente di pervenire
ai principi de.Ue scienze ed eventualmente di discuterli; la scien-
za-non-scienza senza un suo particolare oggetto, quindi un'arte,
una tecnica, pure in senso greco, che pone l'uomo nelle condizioni
di poter parlare di tutto, un tipo di educazione, come si esprimeva
Aristotele, che fa dell'uomo comune un uomo colto e dello scien-
ziato, dello specialista (cioè, in senso aristotelico, del professore
che insegna) una persona capace di parlare con gli altri, con i non
specialisti.
Possiamo fare la stessa osservazione anche se ci esprimiamo
con una terminologia moderna, estranea e ignota ai greci. Tra i
Sofìsti e Aristotele la dialettica esaurisce o - se vogliamo essere
più prudenti - fa un'esperienza irripetibile o ripetuta solo con
l'aggiunta di qualche corollario, sia pure importante, delle sue
due grandi possibilità, di quelle sue configurazioni dalle quali non
si sarebbe più liberata: dialettica oggettiva cioè, grosso modo, la
dialettica del dialogo come espressione o effetto delle contraddi-
zioni della realtà, insomma la dialettica antologica, e dialettica
soggettiva, diciamo così (anche qui grosso modo), la dialettica lo-
gica, in senso aristotelico, dove logico significa astratto o meglio
vuoto, cioè senza un contenuto determinato, la dialettica del dia-
logo insomma o il dialogo come dialettica per mostrare come un
discorso o un'argomentazione debole possa diventare forte, cioè

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84 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

possa convincere l'interlocutore: da questo punto di vista Prata-


gora e Socrate non sostengono tesi diverse o comunque molto
lontane fra loro.
La dialettica soggettiva presuppone la pluralità delle opinioni,
presuppone un mondo dell'opinione come una dimensione del
reale, come un mondo che è quello che è, né vero né falso, ma
che di volta in volta, nel dibattito, viene provato come vero o co-
me falso: ammesso che se ne sia occupato, è la dialettica degli
uomini dalla doppia testa di cui parlava Parmenide; è il movi-
mento delle contraddizioni interne al discorso comune, e se ne
occuperà Zenone. B, al fondo del pensiero dei Sofisti, che, lo ab-
biamo visto, la traggono fuori dalla gloriosa tradizione della re-
torica; la sua teoria è esposta da Aristotele nei Topici, e allora la
dialettica (o topica) è il sistema degli Èvùoça, delle tesi divulgate
o correnti, cioè quelle che sono accettate da tutti o dalla maggio-
ranza o dai sapienti e tra questi o da tutti o dalla maggioranza o
da quelli più illustri e più famosi per reputazione: è l'inizio della
ricerca, la discussione delle tesi precedenti, non filosofia ma pro-·
pedeutica.
La dialettica soggettiva percorre tutta la tarda antichità posta-
ristotelica (gli Stoici non vi aggiungono molto di nuovo quanto al-
l'essenziale) e la così detta lunga notte del Medioevo (Hegel): da-
gli Stoici, per i quali si trova accanto alla retorica come scienza
delle parole e del criterio della verità, agli Scolastici, per i quali
è la pratica stessa del dialogo e della discussione, lo strumento
che sorregge l'elaborazione dogmatica e conduce alla soglia del
dogma senza per altro pervenirvi. Essa, di nuovo, ha una funzio-
ne sistematica tra le arti liberali, ma anche una funzione pro-
trcptica, pedagogica, perché insegna la coerenza del discorso e
quindi aiuta l'uomo a liberarsi dalla contraddizione c del discor-
so e della realtà, a superare i pericoli del dubbio e dello scetti-
cismo: ancora, una propedeutica.
Alla fine di un lungo dibattito, che in questa sede potremo sol-
tanto sommariamente indicare, la dialettica soggettiva celebra la
propria morte e trasfigurazione con Kant. Qui ci limiteremo a
notare una sorprendente analogia con la ricerca aristotelica, per-
sino la ripresa, nella Critica della Ragione Pura, della distinzione
di analitica e dialettica, e la dialettica come discussione delle te-
si correnti, delle tesi precedenti - ma la dialettica, soggettiva, non
è più la propedeutica, non sta più sulla soglia della filosofia,
bensì è collocata da Kant all'interno del sistema come fatto neces-
sario e originario della ragione umana: è il prodotto - dice Kant
- di una illusione trascendentale inevitabile e naturale, che ha lo

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Dialettica soggettiva e dialettica oggettiva 85

scopo di " scoprire l'apparenza ingannevole delle non fondate pre-


tese dell'intelletto e della ragione ". La dialettica, soggettiva, ma
non più propedeutica, quest'opera necessaria della ragione (come
Hegel non mancò di rilevare nella sua Scienza della logica)\ è
una parte costitutiva della filosofia (e da questo momento anche
la storia della filosofia rientra definitivamente nel sistema filosofi-
co), è il fondamento della dialettica oggettiva intesa sia come dia-
lettica della reàltà sia come quella dialettica oggettiva della sog-
gettività che dell'intero della realtà è soltanto un aspetto. È la
fine della filosofia moderna; l'inizio, con Hegcl, della filosofia
contemporanea, ma anche - come vedremo - la fine della
dialettica.
Le vicende della dialettica, sia pure 'di quella soggettiva, sono
ben più complesse di questo breve schema preliminare. Per il
semplice fatto, soprattutto, che _fin dalle origini (e lo abbiamo
ampiamente mostrato) le due forme, quella soggettiva e quella
oggettiva, nascono e si sviluppano insieme, si intrecciano, fino al
punto che in certi autori è difficile e anche improprio distinguerle.
Si pensi ad Eraclito. Ammesso che si sia occupato di dialettica
(ma i suoi frammenti non lasciano dubbi sul senso del mondo
concettuale che sarà indicato più tardi con quel termine), è certa-
mente il primo pensatore che rileva una dialettica oggettiva, nelle
cose, sebbene, poi, i nomi manifestassero in Eraclito una dialet-
tica che è ad un tempo soggettiva e oggettiva. Si pensi a Platone,
certamente il teorico della dialeHica oggettiva sia essa 'interna alle
cose, immagine del mondo delle idee, sia essa interna al mondo
delle idee stesso e loro propria: tuttavia, anche nei dialoghi più
tardi (e ne abbiamo addotto esempi), egli non tradì mai il com-
pito sofìstico-socratico (soggettivo) della dialettica, cioè il dovere,.
da parte del filosofo, di imparare a rendere ragione a sé e agli
altri dell'oggetto della sua visione, "meravigliosa trascendenza ".
C'è una dialettica oggettiva anche in Aristotele, e basterà pensa-
re alle opposizioni fondamentali della sua fisica e metafisica (atto
e potenza, materia e forma ecc.): " ma Aristotele non indica mai
la dialettica oggettiva col termine dialettica, e, fino a Kant com-
preso, la parola sarà presa nel senso datole da Aristotele o me-
glio col senso che Aristotele le ha restituito, poiché di fatto egli

' La citazione di KANT è in Critica della ragione pura, trad. it. a cu-
ra di G. Gentile e G. Lombardo Radice, Bari 1944, vol. r, p. 100, e cfr.
i passi di HEGEL in Scienza della logica, trad. it. di A. Moni, Bari
1968, vol. I, pp. 38-39 c vol. n, pp. 943-945, per cui vedi avanti il cap. 7.1,
nota 3 e 7.7, nota 29.

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86 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

riprende soltanto e ristabilisce quell'uso che fu del giovane Plato-


ne" 1• Con la sola eccezione, forse, di Plotino, e di certi aspetti
del pensiero di alcuni Padri della Chiesa, almeno là dove la tra-
dizione platonica è più viva e forte.
Infatti, la dialettica in Plotino è la pura scienza, quella nella
quale prende fine il cammino irto di errori attraverso il sensibile:
l'anima si muove liberata dall'errore nella sfera della verità, vede
le idee e le distingue, e coglie l'essenza delle cose. È qualcosa di
più e di diverso dalla <pQÒVl1<Jtç e dalla saggezza in senso stretto;
sì, c'è un aspetto metodico e soggettivo della dialettica che si con-
fonde con la logica e con i suoi esercizi sulle proposizioni e i sil-
logismi; ma c'è indubbiamente un aspetto oggettivo, quel suo iden-
tificarsi col sapere del voùç, quel suo presentarsi come necessità
e fondal'Si, quindi, su una facoltà non psicologica: ricevere i prin-
cipi dal vouç, principi che solo in un secondo momento sono svi-
luppati dall'anima.
Ma riprende-remo questo discorso. Nel presente contesto que-
ste poche indicazioni valgono semplicemente come un esempio.
Un esempio singolare, a quanto ci risulta, perché di dialettica og-
gettiva, in senso stretto, non se ne parlerà più fino ai postkantia-
ni, c sostanzialmente fino a Hegel. S_tudieremo in che senso la dia-
lettica con e dopo Hegel è una dialettica oggettiva e in che senso
questa dialettica oggettiva (hegeliana) possa ancora definirsi dia-
lettica. Ma per concludere su questo punto non è superfluo rileva-
re che proprio Hegel, la sua cosiddetta unità di reale e razionale,
cioè di realtà e discorso, rende possibile e sollecita quell'interpre-
tazione di Eraclito, Platone o Plotino da un lato e dell'evoluzione
della dialettica nella sua storia dall'altro, che abbiamo brevemen-
te illustrato, raccogliendò i risultati precedenti e anticipando la
trama della nuova epoca.

5.2. Qualche considerazione sulla " dialettica" degli Stoici


Non è il caso di seguire nei particolari l'evoluzione del concet-
to di dialettica attraverso l'antichità postaristotelica e il Medioe-
vo. " Le ricerche degli Stoici o di Plotino hanno apportato qual-
che arricchimento considerevole, talvolta essenziale, a quella tec-
nica. D'altra parte, però, il signifièato della parola non cambie-

2 E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Firenze

1965, p. 25.

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Qualche considcraziop.e sulla " dialettica ;, degli Stoici 87

rà quasi per gli Stoici, che su questo punto seguono Aristotele: la


dialettica è la scienza delle parole e del criterio delhi verità, cd es-
si la collocano accanto alla retorica che, per gli Stoici e per la lo-
ro epoca, diviene un esercizio formale, svuotato di ciò che essa in.
Aristotele contiene di psicologia nell'accezione moderna del ter-
mine; d'altra parte, l'influsso del loro insegnamento (: stato in-
diretto ed ha agito soltanto sui particolmi (talvolta estremamente
importanti) di una tecnica ormai costituita o considerata tale. Sa-
rebbe possibile mostrare la persistenza di influssi stoici in nume-
rosi momenti dell'evoluzione" 3•
Questa indicazione a noi sembra giusta, soprattutto se si segue
una interpretazione della dialettica aristotelica come quella che
abbiamo qui proposto, cioè di una " logica " di tipo particolare,
quella scienza-non-scienza (e lo abbiamo sottolineato) esposta nei
Topici, autonoma rispetto agli Analitici, fondata, per semplificare
al massimo e per mostrare le connessioni con l'evoluzione stoica
deJla dialettica, su due caratteristiche fondamentali: la situazio-
. ne dialogica e il suo spirito competitivo, da una parte, e la sua
parentela con la retorica, dall'altra; due caratteristiche che, in re-
lazione all'ascendenza platonica, diventano una sola: da un lato
c'è una continuità rispetto al platonismo, nella concezione di una
dialettica come dialogo, come esercizio, come strumento dell'uo-
mo comune, ma, dall'altro, si presenta una frattura, che non ver-
rà più colmata, in quanto la dialettica non è più e non sarà più
scienza, secondo una deHe accezioni del platonismo, ma una sem-
plice propcdeutica della quale il filosofo e lo scienziato si servono,
se e quando lo ritengano opportuno, per accedere ai principi del-
le scienze e per discuterli.
Rispetto a questp risultato il problema non cambia anche se
si ritiene che la dialettica stoica abbia una fonte diversa da Ari-
stotele e da Platone e si rifaccia alla tradizione che risale ai cir-
coli socratici, a)le discussioni sulla dialettica e sull'eristica, quin-
di,· sostanzialmente, ad una evoluzione della scuola megarica. È
vero che ci sono alcuni punti fondamentali sui quali la dialettica
stoica sì differei:lzia da quella aristotelica, come, per esempio, la
scoperta di strutture logiche né vere né false, dell'indipendenza
della struttura logica da quella metafisica della sostanza e quindi

' E. \VEIL,. art. ci t., p. 22, che qui ricorda la celebre Geschichte der
Logik i m A bendiande (Storia della loxica in occidente) del Prantl (un'opera
non ancora sostituibile per ampiezza e ricchezza, tradotta in italiano pres·
so La Nuova Italia), tanto parziale verso la "vera" logica ari~totelica e
ingiusta verso gli Stoici, l'influenza dd quali egli rivela, suo malgrado,
nel corso di una pretesa lunga decadenza.

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88 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

il riconoscimento del carattere ipotetico del ragionamento, del


rapporto di necessità e insieme di contingenza tra una struttura
logica e il suo carattere linguistico 4• Questi elementi consentono
di sostenere, come appunto è stato fatto, quell'indipendenza e ori-
ginarietà storica della dialettica stoica nei confronti dei due gran-
di predecessori, che, come abbiamo qui brevemente accennato, a
noi sembra discutibile. La connessione, presso le scuole cinica e
megarica di ispirazione socratica, della discussione sulla dialetti-
ca con la discussione del problema del linguaggio; le tesi dei me-
garici e dei cinici, presenti nel Cratilo ed esemplificate nell'Euti-
demo, secondo le quali da una parte " tutti gli usi linguistici so-
no egualmente arbitrari " e dall'altra " tutti gli usi linguistici sono
egualmente legittimi " e il loro corrispondente in una figura della
dialettica, da una parte, "come strumento per l'eliminazione della
possibilità di qualsiasi confutazione " e, dall'altra, come dimostra-
zione che " le regole linguistiche convenzionali conducono ad apo-
rie e perciò non possono essere invocate per qualificare l'oggetto
qual è " 5, rimangono operanti nello stoicismo; tuttavia, è altret-
tanto evidente che la dialettica aristotelica, che non è più quella
platonica, ha il suo contrappunto nella retorica, e questa per Ari-
stotele ha un'accezione ben più ampia di quella di filosofia o teo-
ria del linguaggio: un parallelismo, fra retorica e dialettica, che
indica (così almeno a noi è parso) quanto a fondo Aristotele aves-
se meditato su quelle discussioni e su quei risultati.
D'altra parte, dobbiamo anche dire che la tesi qui riferita cade
in gran parte fuori del quadro aristotelico che aveva tenuto fenna
la distinzione della dialettica dalla logica e di questa dalla filoso-
fia. Nella nostra ricostruzione della storia della dialettica ci siamo
sempre soffermati sul momento della differenza della dialettica
dalla logica, sui momenti di " autonomia " della dialettica per
mostrai-ne appunto il carattere e la funzione particòlari. Per que-
sto motivo di fondo riteniamo giusta la tesi secondo la quale il
contributo degli Stoici a questa storia non è fondamentale e rien-
tra se mai in un quadro che non è il nostro. Si deve poi aggiunge-
re che Io stato dei testi è talmente frammentario, la tradizione
tanto imprecisa e aperta su un arco di tempo talmente ampio che
è difficile, se non impossibile, ricostruirla nei particolari con un
minimo di coerenza sistematica. Si tenga presente, infine, il tipo
di scuola fondata da Zenone, " costituita c ordinata come una

4 Vedi lo studio di C.A. VIANO, La dialettica stoica, in Studi sullr1

dialettica, Torino 1958, partic. pp. 110-111.


5 VIANO, art. cit., pp. 63, 73, 74.

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Qualche considerazione sulla " dialettica " degli Stoici ~t}

corporazione, o addirittura come una famiglia, i cui membri non


:tvevano in comune soltanto la scienza e la scuola, ma anche la
vita " 6 - e questo implica, come del resto per altre scuole filo-
sofiche antiche delle quali poco sappiamo, una difficoltà an-
cora maggiore nell'interpretazione del senso, dell'intenzione e
della collocazione del frammento o della testimonianza. Insistia-
mo su questo punto. Certo, lo stoicismo (ma che dire dell'epicu-
reismo?) è la sola filosofia antica che sia sopravvissuta all'antichi-
tà, ma grazie alle massime della sua etica tramandateci dalla cul-
tura latina: Delle connessioni interne del sistema, c quiqdi della
funzione della dialettica, non sappiamo quasi nulla.

Non discutiamo qui la sua importanza, certamente grande al-


meno a giudicare dalla violenza· antidialettica di Aristone e da
certe posizioni di Cleante; esse, però, non sembrano presupporre
una concezione " nuova " della dialettica, ma quella tradizione
sofistico-dialettica che Aristotele aveva storicamente configurato.
Ricordiamo alcuni frammenti di Aristone: " I discorsi dei dialet-
tici somigliano ai ragnateli, che non servono a niente, ma son
fatti con arte mirabile"; " Quelli che si approfondiscono nella
dialettica somigliano a coloro che masticano dei gamberi, che
per poca polpa si affannano attorno a molti ossi .. ; " la dialetti-
ca è come il fango delle vie, che è inutile anch'esso, ma si attacca
ai viandanti "; "L'elleboro preso in grani piuttosto grossi è pur-
gativo, ma ridotto in polvere minuta, soffoca; e così la sottigliezza
in filosofia " 7 •
Essi trovano d'altra parte un contrappunto nello stesso Zeno-
ne, in un'affermazione generica come quella: " La dialettica è la
scienza del discutere bene " o in quest'altra, più precisa: " Zeno-
ne raccomanda l'insegnamento della dialettica, come quella che
mette in grado di scoprire e confutare i sofismi " : essa denuncia
esplicitamente il rapporto eristica-dialettica c non esclude la pos-
sibilità di un uso o di un'intenzione..cristic.a, individuati nella loro
parzialità c storicità da Aristotele, ma presenti anche a Zenone,
al quale è pure attribuito il frammento: " le arti dei dialettici so-
no come misure di precisione adoperate per la paglia o per il le-
tame, invece che per il frumento o per altre derrate di pregio " 8•
Quanto a Cleante vorremmo ricordare quelle tre forme di attività
del sapiente: legislativa. pedagogica (TÒ .rrmbn!Etv) e letteraria, al-
·' l frammenti degli Stoici antichi, a cura di N. Festa, Bari 1932-35,
vol. II, p. 76.
7 op. cit., vol. II, p. 29.

8 ibid.

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90 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

le quali si contrapporrebbero tre attività analoghe non virtuose,


cioè la demagogia, la sofistica (TÒ ao<ptaTEUEtv) o insegnamento
per lucro e la produzione di libri dannosi 9• Anche qui sofistica c
dialettica si contrappongono in modo del tutto tradizionale: l'atti-
vità pedagogica, infatti, doveva avere qualcosa in comune con la
dialettica dal momento che i Libri logici di Cleante contenevano
una parte o presentavano un sottotitolo Sulla diàlettica.

Fatte queste premesse di ordine generale e metodologico vedia-


mo ora di cogliere il senso delle caratteristiche fondamentali del-
la dialettica stoica, tenendo presente che essa si identifica con la
logica, è collegata con la retorica e la teoria del linguaggio e, infi-
ne, con quella ricerca del criterio della verità che rappresenta una
prima forma di metodologia filosofico-scientifica. Di fronte alla
complessità di queste connessioni, estremamente difficile e forse
impossibile da ricostruire sui testi, la posizione della dialettica ap-
pare piuttosto vaga come abbiamo visto dalle due citazioni di Ze-
none poco sopra riferite e presenta un carattere sostanzialmente
metodico e propedeutico. Stabilito che " la filosofia si divide in
fisica, etica e logica", "nell'ordine dell'insegnamento va messa
prima la logica, poi l'etica, infine la fisica. Giacché prima la men-
te deve essere fortificata per conservare tenacemente le dottrine,
e tutto il tirocinio dialettico è come un corroborante della men-
te; poi si deve tracciare la teoria morale, diretta al miglioramento
dei costumi, c questo studio si presenta scevro di pericoli soltan-
to se è ben fondata la facoltà ragionatrice; per ultimo si deve
esporre la teoria fisica, perché ha un carattere divino, e richiede
più lenta ponderazionc " 10•
La dialettica, insomma, pare già qui uno strumento del saggio
e n~m c'è dubbio che essa viene presentata secondo uno dei si-
gnificati che essa aveva avuto in Platone. Anzi, Zenone riprende
in un certo modo il tema platonico dialettica-scienza-virtù, se de-
ve avere un senso questa tesi che gli attribuisce Diogene Laerzio:
" La dialettica è necessaria al sapiente e comprende sotto di sé
altre virtù : 'la mancanza di precipitazione', che è la scienza del
quando si debba acconsentire e quando no; l''inconfutabilità', che
è, nel discorso, la forza di non lasciarsi trarre all'opinione oppo-
sta; la 'mancanza di leggerezza', che è l'abito di riportare alla ret-

• op. cii., vol. n, pp. 95-96.


10 Questo testo e i seguenti vedi in l frammenti .. , cit., pp. 28-30 e in

DIOGENE LAF.RZIO, Vite dei filosofi, trad. it. di M. Gigante, Bari 1962, Li-
bro vrr, capp. 42 e 46.

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Qualche considerazione sulla " dialettica " degli Stoici 91

ta ragione i dati dci sensi. La scienza stessa o è comprensione si-


cura, o è un abito di accogliere i sensibili in modo che la ragione
non abbia niente a mutarvi. Senza lo studio della dialettica il
sapiente non può essere sicuro nel ragionamento. Essa insegna
a distinguere il vero dal falso, ad accertare i gradi della probabili-
tà, a scoprire le ambiguità. Senza la sua guida, non è possibile
procedere metodicamente nell'interrogare c nel rispondere ".

La conclusione di Diogene, che definisce il compito della ·dia-


lettica come la possibilità di procedere metodicamente nell'inter-
rogare e nel rispondere, non ci dice nulla di nuovo, ma ci dà una
caratteristica che nella dialettica degli Stoici era rimasta evidente-
mente ben viva. Infatti, in un altro passo egli afferma: "defini-
scono la retorica la scienza di dire bene su argomenti pianamente
c unitariamente esposti e la d~alettic.a la scienza di discutere ret-
tamente su argomenti per domanda e risposta. Perciò danno an-
che quest'altra de.finizionc: la scienza di ciò che è vero e ciò che
è falso, e di ciò che non è né vero né falso ". Con questa citazio-
ne l'autore introduce un tema classico della dialettica stoica, la
teoria degli indifferenti, che occupa nella filosofia stoica un posto
di rilievo. Ora, a noi non interessa entrare nei particolari di que-
sta dottrina. Vorremmo soltanto far notare che per quanto riguar-
da la dialettica è presente qui una tesi tipicamente aristotelica, se
è giusta l'interpretazione che abbiamo dato della dialettica di Ari-
stotele: le tesi correnti, le tesi sostenute dalla maggioranza degli
uomini o dai più saggi non sono, appunto, né vere né false, oppu-
re insieme vere c false, sono l'opinione comune della quale non si
può non tener conto; può essere discussa, ma va presa per quello
che è. A questa problematica sono riconducibili almeno due fram-
menti di Zenone di provenienza diversa: " l'opinione è una com-
prensione malferma mista di elementi falsi e ignoti "; " stretta-
mente connesse tra loro sono la scienzà c l'opinione, e sul confi-
ne di entrambe, la comprensione. Se la comprensione è salda e
sicura, sì che nessun argomento dialettico possa scuoterla, essa è
scienza, se debole e incerta, è ignoranza". In questi testi è in-
teressante far notare da una parte la definizione dell'opinione e
il rapporto scienza-opinione, e. dall'altra la citazione dell'" argo-
mento dialettico ", che ci riconducono proprio alla tradizione ari-
stotelica. P-, chiaro che se l'opinione è una forma di comprensio-
ne e se scienza e opinione risultano " strettamente connesse ", il
problema generale resta quello del discorso, e quindi del rappor-
to fra la dialettica e la retorica, cioè quel problema che Ari-
stotele aveva saputo individuare. E Zenone non può non rico-:

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92 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

noscerlo se gli è attribuito questo passo: " Il discorso è di due


maniere: ragionativo e oratorio. Sicché, o dialettica o retorica ".
Il testo continua con una delle tante esemplificazioni che sono
state attribuite a Zenone, e che ci riconducono alle considerazioni
con le quali abbiamo iniziato la presentazione della dialettica stoi-
ca: " Col pugno chiuso Zenone so leva indicare il carattere con-
ciso e serrato della dialettica, con la palma aperta e le dita tese
l'ampiezza e la diffusione della retorica " 11 •

5.3. La dialettica, "la parte più nobile della filosofia" se-


condo Plotino
Dedicare alcune pagine a Plotino in una storia della dialettica
è pura convenzione. Gli interpreti riconoscono non solo la sua
ascendenza platonica, ma il suo essere una elaborazione della dia-
lettica di Platone. Anche se è apparsa tipica di una certa conce-
zione della dialettica, quella " mistica " o " ascendente ", con i
suoi significativi prolungamenti nei mistici tedeschi e attraverso
questi fino a Hegèl 12, si deve però dire che tale elaborazione risul-
ta piuttosto confusa.
In primo luogo possiamo osservare che se la dialettica stoica,
per riprendere lo schema delineato all'inizio di q ucsto capitolo,
può essere senz'altro definita soggettiva, quella di Platino è una
dialettica oggettiva e si identifica con la scienza: " ... procede con
scienza e non opinando ... ella si ferma nel regno dello spirito ed
esercita lassù il suo compito " 13• Tuttavia, c'è in questa figura
plotiniana un elemento soggettivo, propedeutico. Infatti, Plotino
afferma che la filosofia è " la cosa più nobile " e la dialettica si
identifica con la filosofia nel senso che ne costituisce " la parte
più nobile ", ma aggiunge: " non si deve affatto ritenere un sem-
plice strumento del filosofo ", non si esaurisce in regole e teore-
11 l frammenti ... , cit., pp. 36 e 29 (il secondo dei frammenti qui citati

è attestato anche da Sesto Empirico).


12 Si veda il capitolo su Plotino e i mistici nella storia della dialettica
in G. GURWITCH, Dialectique et sociologie, Paris 1962.
" PLOTINO, Enneadi, trad. it. a cura di V .. Cilento, Bari 1947 sgg: il
capitolo m dell'Enneade r è dedicato alla dialettica; il capitolo è a sua
volta diviso in sezioni e in paragrafi indicati col numero romano e col nu-
mero arabo, che d'ora in poi riporteremo direttamente nel testo. Si tenga
inoltre presente che l'opera di Platino era il testo base dell'insegnamento e
della scuola e che nella forma attuale è stata raccolta e redatta da Partì-
rio. La citazione corrisponde a IV, 11.

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La dialettica secondo Plotin.o 93

mi - ma investe le cose stesse, " ha gli esseri, per così dire, come
sua materia: eppure si avvicina agli esseri con un metodo tutto
suo, perché possiede ad un tempo, insieme con i teoremi, anche
le cose stesse" (n, 14). La dialettica è anche un metodo, dunque,
sia pure di tipo particolare, ma è inoltre e nello stesso tempo una
" scienza ausiliaria ", come si cura di dichiarare Platino nel ca-
pitolo successivo: " Se, quindi, la dialettica è la parte nobile, ciò
vuol dire che la fìlosofia ha ancora altre parti: e, di fatti, spe-
cula nel campo fisico, attingendo dalla dialettica come da scien-
za ausiliaria né più né--meno delle altre scienze che si giovano pu-
re dell'aritmetica " (vi, 16).
1:: difficile, come si vede, per non dire impossibile ricavare dal
testo di Platino una definizione univoca della dialettica e del suo
compito. Forse è meglio lasciare il termine nella sua ambiguità,
non imputabile ad una intenzione di Plotino e neppure del redat-
tore dell'opera; certamente essa dipende dalla complessità della
tradizione che Plotino trovava di fronte a sé e della cultura della
sua epoca. E quindi più opportuno rintracciare e rilevare altre
caratteristiche, che ci appariranno non meno contraddittorie: le
lasceremo nella loro apertura e problematicità.
Prima di nominare l<j. dialettica, Platino parla dell'arte o me-
todo o vita che bisogna seguire, del cammino che si deve percor-
rere e del luogo dove si deve andare, della meta alla quale indiriz-
zarsi; parla altresì di coloro che vorranno affrontare questa im-
presa, cioè un certo tipo di vita, che richiede una certa condotta
per pervenire al " bene e al principio primo ", come egli dice, ci-
tando, si ritiene, Platone: costoro sono uomini predestinati ad
essere filosofi, musici o amanti (I, 1-3). A noi sembra che la de-
finizione, la funzione e il compito della dialettica si esauriscano
qui; prima, si badi, che il termine dialettica sia da Platino pro-
nunciato. Si tratta di una violenta schematizzazione e di un impo-
verimento del platonismo (basti pensare che scompare tutto il
problema del tirocinio " dialettico ", aperto non soltanto ai prede-
stinati e ai ben nati, come scompare anche il rapporto scienze-
dialettica-filosofia) - ma non c'è dubbio che questo " attacco "
della digressione plotiniana sulla dialettica è interessante cd è
una acuta interpretazione del platonismo stesso. Detto con altro
linguaggio: può essere dialettico il mio discorso sulla dialettica?
Caratteristico della dialettica è il suo escludere una teoria della
dialettica. In una teoria della dialettica la dialettica si esaurisce e
si spegne.
Infatti, la dialettica viene nominata alla fine della descrizione
della natura del filosofo, "già balzato verso l'alto "; "mal certo

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94 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

del cammino, ha bisogno solo di chi glielo additi"; "In verità,


occorre dargli solo quegli insegnamenti che l'avvezzino a coglie-
re pienamente l'incorporeo e ad averne sicura fede... ed essendo
egli spontaneamente virtuoso, bisogna elevarlo ad un perfezio-
namento di virtù e dargli, dopo le discipline matematiche, le dot-
trine della dialettica: farne, insomma, un dialettico " (m, 9).
La citazione conferma le difficoltà che avevamo notato
all'inizio: in sostanza o la filosofia e la dialettica coincidono come
scienza oppure la dialettica è un semplice strumento oppure, an-
cora, la dialettica è le due cose insieme - tesi eminentemente pla-
tonica, che in Platino tuttavia resta da dimostrare. E Platino non
lo dimostra affatto neppure nel capitolo IV quando cerca di de-
finire la dialettica identificandone i contenuti e i compiti. Si può
dire che egli riprende nello stesso tempo le immagini e le tesi del-
la Repubblica e del Fedro: la dialettica procede verso il "regno
dello spirito ", " dopo aver dato tregua al nostro vagabondaggio
nel campo sensibile "; poi si esercita all'interno del " campo della
verità ", un ritorno, esplicito perché dichiarato, de,l platonico
mondo delle idee.
A questo punto (Iv, li) non è più possibile comprendere nei
particolari le operazioni della dialettica a meno che non si tratti
del cosiddetto metodo dell'analisi e della sintesi, della divisione e
della riunificazione, di cui parla il Fedro : con la differenza che
mentre in Platone era conservato ed era vivo un rapporto fra le
idee e le cose, in Platino l'esercizio dialettico si genera e si esau-
risce nel " campo dello spirito " - quello stesso spirito che forni-
sce i principi alla dialettica, principi " evidenti, sol che uno sia
in grado di coglierli, con l'anima" (v, 15). Qui c'è un'ennesima
difficoltà o oscurità o contraddizione. Infatti, Platino aggiunge
che la dialettica, alla quale lo spirito, suo campo d'azione, forni-
sce i principi - un atto del tutto incomprensibile perché si tratta
realmente di un dono dello spirito (non dimentichiamo i prede-
stinati a filosofare e il poter essere in condizione di cogliere i
principi) - "interviene nelle conseguenze (dei principi), e le po-
ne insieme, le intreccia, le separa sino a raggiungere lo spirito
perfetto ". Se queste parole e se questa costruzione hanno un
senso, quello di Platino è un caso paradigmatico d'identità o co-
munque di confluenza di dialettica soggettiva e dialettica ogget-
tiva, che pur mantengono, o si sforzano di mantenere, una loro
propria autonomia. Insomma, la dialettica è lo spirito, è nello
spirito.

A noi sembra che la tesi di Platino sia o diventi comprensibile

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Figure, problemi e metodi della dialettica nel Medioevo 95

quando si tiene presente l'identità di dialettica e sapienza (VI,


17) : questa unità non rappresenta più un punto di vista per una
costruzione teorica, ma il metro del valore e del significato delle
virtù. Non ci interessa questa dottrina in particolare. Vorremmo
solo far notare che nella sua connessione con la sapienza e la
prudenza, la dialettica acquista ancora una volta in Platino una
dimensione platonica, ma ormai legata ad un discorso interiore,
personale, c_he ha smarrito qualsiasi contatto con la realtà e con
la storia e in definitiva qualsiasi possibilità di comprenderle e di
giustificarle - non c'è un filosofo che, percorsa la caverna, ritor-
ni nel mondo degli_ uomini - " ... allora, poi, tenendosi tranquilla -
in una pace quale che sia, nel limite dello spirito - senza affannar-
si più per nulla, raccolta in unità, guarda ... " (rv, 12).

5 .4. Figure, problemi e metodi della dialettica nel Medio-


evo. Gli intellettuali e il mondo delle città
" La danza macabra che alla fine del Medioevo trascina i di-
versi stati, cioè i differenti gruppi della società, verso il nulla in
cui si compiace la sensibilità di un'epoca al suo declino, accan-
to a re, nobili, ecclesiastici, borghesi e gente del popolo porta via
spesso con sé un chierico che nòn sempre si identifica con i mo-
naci e i preti. È il discendente di una stirpe caratteristica nel
mondo occidentale medievale, quella degli intellettuali... Fra i
tanti nomi: scienziati, eruditi, chierici, pensa tori (la terminologia
del mondo del pensiero è sempre stata vaga), quello di intellet-
tuale abbraccia un ambiente dai contorni ben definiti, quello dei
maestri delle scuole. Si annuncia nell'alto Medioevo, si sviluppa
nelle scuole urbane del XII secolo, fiorisce nelle università a par-
tire dal. secolo decimoterzo. Esso indica coloro che per mestiere
pensano e insegnano il loro pensare. E questa alleanza della ri-
flessione personale e della sua diffusione nell'insegnamento carat-
terizzava appunto l'intellettuale. Prima dell'epoca contemporanea,
l'ambiente degli intellettuali non fu mai, senza dubbio, così ben
delimitato e non ebbe più chiara coscienza di sé cç>me nel Me-
dioevo " 14•
Le scuole e l'insegnamento, il dibattito filosofico e politico nel-
la riconquistata dimensione delle città - è il mondo proprio della
dialettica. Non c'è bisogno, a questo punto, di argomentare l'af-

" J. Ln GoFF, Genio del Medioevo, trad. ii. Milano 1959, pp. 5-7.

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96 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

fermazione·. Non possiamo che rimandare ai capitoli precedenti


di questa storia, in particolare ai Sofisti. Basterà sottolineare che
secondo questa prospettiva l'intera storia della filosofia e in ge-
nere della cultura medievale si identificano con le vicende della
dialettica, un'impresa, quindi, disperata quando se ne voglia ten-
tare una ricostruzione. E questo vale anche se ci limitiamo allo
schema interpretativo che abbiàmo talvolta seguito, d'individua-
re la dialettica nelle sue due forme o momenti, soggettiva o og-
gettiva.
Certo, il Medioevo ci presenta in tutta la varietiì. delle sue
manifestazioni, forme, figure, la dialettica soggettiva, la dialet-
tica del dialogo c della discussione, e la pratica intensamente in
perfetta coerenza col mondo delle scuole e delle città. Ma, come
è stato giustamente detto, ·· enumerare i nomi di coloro che da
Abelardo - c vi furono anche dei predecessori - fino alla fine del
Medioevo, fino alle scuole cattoliche e protestanti del xvii seco-
lo han~o insegnato e affinato il metodo, significherebbe redigere
un catalogo tanto vano quanto inutile ... Che la dialettica formale
c soggettiva rinvii a un'altra, oggettiva, è un fatto: sarebbe sor-
prendente che non fosse così in una tradizione in cui convivono
platonismo, aristotelismo e tradizione paolina, tre dottrine dia-
lettiche nei loro stessi principi, nei loro reciproci rapporti e con-
ciliabili solo mediante uno sforzo che miri all'accordo del discor-
so teologico-metafisico non soltanto con se stesso ma anche con
la realtà terrestre, la realtà soprannaturale e la grazia. Ma questa
dialettica della realtà non deve presentarsi in senso stretto come
dialettica, c la volontà di quel pensiero non mira a conciliare la
contraddizione riconosciuta come reale, ma a coordinare (e quin-
di distanziare) i diversi piani dell'Essere e della verità. Anche là
dove non si giunge alla concezione di una doppia verità, ciò che
si vuoi determinare è la non-contraddizione di ciò che è soltanto
diverso e che si limita a completarsi: la contraddizione non è
superata, è evitata. La coerenza del discorso serve solo a preser-
vare l'uomo dalla contraddizione e dalle contraddizioni della real-
tà c così deve proteggerlo dai pericoli del dubbio, dello scettici-
smo e della miscredenza come conseguenze di un discorso in se
stesso duplice. Più la dialettica oggettiva diviene oggetto di ti-
more, più acquista importanza la dialettica soggettiva come mez-
zo di svelare e quindi evitare le contraddizioni " 1'.

" E. WEIL, Pensiero dialettico e politica, cìt., p. 25. Su questi punti,


in partìcolare sulla pratica della dialettica, vengono qui ricordate le due
celebri opere di M. GRABMANN. Dìe Gewlrichte der Sclwlus(ischen Metho-

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La dialettica nell'iconografia 97

5.5. Fiore e scorpione, scettro e serpente: la dialettica nel-


l'iconografia
Se queste sono, dunque, le caratteristiche della dialettica del
Medioevo, prima di presentare alcune sue configurazioni con-
nesse alla storia del pensiero, ci sembra utile vedèrne qualche
traccia nella vastissima iconografia dell'epoca. Anche questo è
un fatto che non ha bisogno di spiegazioni: il mondo delle città
e delle scuole è il mondo di un'imponente rinascita della vita pub-
blica e delle sue istituzioni; cattedrali, edifici pubblici e privati,
intere città vengono costruite o ricostruite, e in questa opera tro-
va spazio infinito la fantasia dell'uomo e la sua capacità di nar-
rare e di illustrare. ~ inutile fare esempi. Il ciclo e le immagini
delle arti liberali, e tra queste della dialettica, è un leitmotiv, dif-
fusissimo, fra i più cari agli artisti.

Le descrizioni fondamentali della dialettica, alle quali si può


far risalire gran parte dell'iconografia, si leggono in un passo di
Marziano Capella (v sec.) e in un brano di un poemetto di Ala-
nus ab lnsulis o Alano di Lille (XII sec.) 16 • Sono abbastanza in-
teressanti.
Dice Marzi ano Capella: " ... al richiamo di Apollo si è pre-
sentata una donna un po' pallida, ma dall'aspetto risoluto e con
gli occhi vibranti e continuamente mobili; i capelli apparivano
sinuosi, arricciati con una piega elegante c intrecciati, ed essi poi
disposti in ondulazioni progressive conferivano una struttura co-
sì circolare a tutta la testa tanto da pensare che non mancava
nulla... aveva il velo e la veste di Atena, ma ciò che aveva in
mano poteva sembrare inaspettato e inadatto a tutte le sue at-
tività. Nella sinistra, infatti, teneva un serpente raggomitolato
in enormi spire; nella destra alcune formelle o tavolette finemen-
te lavorate, splendenti per la bellezza delle loro variopinte illu-
strazioni e trattenute da un amo nascosto; e mentre la sinistra
nascondeva sotto il vestito quelle insidie viperine, la destra in-
vece era offerta a tutti... ".

de, Freiburg 1909-1911 e soprattutto Die Sophismataliteratur des 12. und


l 3. Jahrhunderts, in « Beitragc zur Geschichte der Philosophie des Mitte-
lalters », 1940.
1 ~ MARTIANUS CAI'ELLA, De Nuptiis, Lipsia 1866, IV, 99 e ALANUS AB

lNsuus, Anticlaudianus, m, l (Patrologia Latina, 21 O, 509). Seguo per


questo paragrafo la voce "Dialektik " di L.H. Heydenreich, in ScHMITT-
GALL-HEYDENRETCH, Reallexikon zur deutschen Kunstgeschichte, Stoccarda
1954, m, pp. 1387 sgg.

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98 Morte e trasfigurazione della dialettica antica

Leggiamo ora il testo di Alano: " ... l'abito, il comportamen-


to, la magrezza, il pallore, rappresentano gli insonni moti del suo
animo ed esorta la vigile Minerva e le attente guide a vigilare
con lei. Nel dirimere una questione porta i capelli verso il bas-
so e combattendo con se stessa lotta senza motivo; il pettine non
cura i suoicapelli, né le forbici Ii tagliano ... mentre gli occhi con-
tendono con le stelle, sembrano ardere; la vista dell'aquila non
è così acuta e neppure quella della lince : i loro occhi si dichia-
rano vinti e temono il confronto. La mano destra tiene un fiore
come un dono, mentre uno scorpione che avanza minaccia la si-
nistra con la punta della coda. La destra ha il sapore del miele,
la sinistra del fiele, l'una promette sorrisi e l'altra invita al pian-
to; l'una attrae e l'altra respinge; quella accarezza e questa fe-
risce; l'una scoraggia e l'altra dà forza. Non giaceva nello squal-
lore del sudiciume ma non era neppure avvolta da una superba
luce, ma aveva qualcosa dell'uno e dell'altro modo, come una
via di mezzo. Un nuovo pittore con un'arte nuova, pantomima
della verità, insegna la battaglia delle confutazioni e il duello
della logica ".

Certo, a chi ha presente l'iconografia medievale oppure ha


soltanto una certa consuetudine con i testi, queste descrizioni
possono sembrare un po' di maniera, quasi delle images d'Epi-
nal, ed effettivamente lo s