Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
edu
111
antropologia / etnografia
Copyright © 2008 Meltemi editore, Roma
ISBN 978-88-8353-603-8
Meltemi editore
via Merulana, 38 – 00185 Roma
tel. 06 4741063 – fax 06 4741407
info@meltemieditore.it
www.meltemieditore.it
a cura di
Matteo Aria, Fabio Dei
MELTEMI
Indice
Premessa
Matteo Aria, Fabio Dei
p. 7
221 Bibliografia
1
Il convegno, dal titolo “Culture del dono”, si è svolto nel maggio 2006 a
Casole d’Elsa (Si). Una parte degli interventi presentati in quell’occasione è sta-
ta già pubblicata in un numero monografico della rivista «Religioni e società»,
2007, a cura di F. Dei e con scritti di V. Padiglione, F. Tiragallo, G. L. Mancini,
S. Di Giorgio, M. Cavazzini, C. Di Clemente, F. Coralli, V. Carmilla, A. Fantauzzi.
2
Si vedano ad esempio Komter, a cura, 1996; Schrift, a cura, 1997; Berking,
1999; Osteen, a cura, 2002; Wyschogrod, Goux, Boynton, a cura, 2002.
Tra le maglie della rete: il dono come pratica di
cultura popolare
Fabio Dei
1. Un imbroglio di Mauss?
4. Il dono in ospedale
5. La condivisione in rete
1. Premessa
zione come dono di tutto ciò che può essere pensato come
non-merce, cioè come non-prodotto di un lavoro alienato. Si
realizza così una sovradeterminazione della nozione di dono
che si riflette automaticamente su quella di merce. Quanto
di moralmente positivo è implicato nella nozione di dono fi-
nisce per qualificare la non-merce e dequalificare la merce co-
me moralmente negativa. Rivelare il carattere ideologico, so-
vradeterminato delle due categorie permette anche di demi-
stificare la concezione nominalista della loro complementa-
rità concettuale e funzionale.
6. Conclusione
1
Merce deriva dal lat. merx, sostantivo dal verbo merere, “toccare in par-
te, meritare”. Cfr. anche il verbo greco ant. µει′ροµαι, “ho in parte, o in sorte”
(v. Pianigiani 1937, p. 842).
2
V. Caillé 1989; 1994; Godbout 1992; 1996; 1998; 2000; nonché vari con-
tributi nel campo delle scienze sociali con riferimento ai rapporti Nord-Sud, v.
per tutti Latouche 1989; 1998a; 1998b; 2004.
3
Per quanto esposto nel seguito di questo paragrafo, v. La Somma Teolo-
gica di san Tommaso d’Aquino (1984) e, dello stesso autore, il De regimine prin-
cipum (1923).
4
V. particolarmente san Tommaso d’Aquino 1984, 2.-2., qq. 23-33 e qq.
57-79.
5
Questo punto di vista contrasta, però, con alcune evidenze etnografiche
da cui si ricava che oggetti alienabili sono scambiati tra soggetti interdipendenti
(Stirrat 1989), e che spesso il dono è per sua natura assolutamente alienabile
(Parry 1986).
Omaggi e doni nei Contes di Charles Perrault
Clara Gallini
Etnografia di un testo
I doni di Marc
Omaggi
Cappuccetto Rosso
Cominciamo da questo racconto notissimo, dalle innu-
merevoli varianti e anche dalle innumerevoli interpretazioni
psicanalitiche, interpretazioni che si sono focalizzate su altri
aspetti di una storia il cui motore è comunque rappresenta-
to da un gesto di “dono gratuito” nei termini in cui Sahlins
lo intenderebbe: la madre affida alla figlia, bambina, un bi-
scotto e un vasetto di burro da portare alla nonna malata.
Siamo ora nel bosco, e la nonna è già stata mangiata dal
lupo. Toc-toc. Chi bussa? “C’est votre fille la petite Chape-
CLARA GALLINI
Furti
Voila (…) les clefs des deux gran-grand meubles, voila celle de
la vaisselle d’or et d’argent qui ne sert pas tous les jours, voila
celles de mes coffre-forts, où est mon or et mon argent, celles
des cassettes où sont mes pierreries, et voilà le passepartout de
tous les appartements…
OMAGGI E DONI NEI CONTES DI CHARLES PERRAULT
Le Petit Poucet
Ma se è vero che i confini tra orchi e re non sono così net-
tamente disegnabili, specie sotto il profilo delle rispettive
ricchezze, come tracciare i limiti tra legittimità e illegittimità
nel comportamento dell’eroe che alla fine della storia ha la
meglio sull’Orco e riesce a portargli via tutto il tesoro? Al
Gatto furbo e intraprendente è andata molto bene, visto che
il suo padrone ha impalmato la Principessa e lui finirà im-
pinguandosi nel ruolo di Ciambellano. Ma la questione in-
quietante non può non avere intrigato l’estensore dei nostri
Contes, e forse anche la sua fonte orale. La metafora poteva
essere pericolosa e generatrice di aspirazioni eversive.
Pollicino è il più piccolo dei sette fratelli nati nella po-
verissima famiglia di boscaioli, e conoscerà anche la fame.
Della vicenda ricorderò solo la parte finale, marcata da ben
due furti perpetrati nei confronti dell’Orco che si era allon-
tanato dalla casa e dalla moglie, ignaro persino dell’uccisio-
ne delle sette figliolette orchessine. Pollicino dapprima gli
sottrae gli stivali delle sette leghe, poi, calzatili, torna dal-
l’Orchessa per raccontarle la panzana di una richiesta di ri-
scatto del marito rapito. La donna gli affida allora tutte le
ricchezze (richesses) di casa e Pollicino se ne scappa assie-
me ai fratelli.
La Morale della favola insiste sulla possibilità che proprio
il più piccolo marmocchio di una famiglia povera e numero-
sa faccia la “felicità” di un’intera famiglia.
Sia in Pollicino che nel Gatto con gli stivali, l’Orco ha un
antagonista che nasce povero. Più o meno esplicito, si agita
lo spettro della domanda: non saranno un po’ troppo intra-
prendenti questi nostri eroi? E proprio la storia di Pollicino
si conclude con la registrazione di una variante, che espun-
CLARA GALLINI
nella quale si sostiene che il tesoro più bello, la dote più al-
ta delle fanciulle da marito, consiste in quella “bonne grâce”
che è il vero dono delle Fate Madrine:
Moralité 1
La beauté pour le sexe est un rare trésor / de l’admirer jamais
on ne se lasse / Mais ce qu’on nomme bonne grâce / est sans
prix et vaut mieux encore.
C’est ce qu’à Cendrillon fit savoir sa Marraine / en la dressant,
en l’instruisant / tant et si bien que’ elle en fit une Reine / (Car
aussi sur ce pointe on va moralisant).
Belles, ce don vaut mieux que d’être bien coiffées / pour enga-
ger un cœur, pour en venir à bout / La bonne grâce est le vrai
don des Fées / sans elle on ne peut rien, avec elle on peut tout.
dendo alla madre sulle cause del ritardo, le escono dalla boc-
ca due Rose, due Perle e due grandi Diamanti e poi ancora
“une infinité de diamants”.
Lo sviluppo di questa parte della storia è forse prevedi-
bile, ma non i modi con cui lo scrittore ce lo restituisce con
una presa di distanza ironica:
1. Pre-testo
2. Il matrimonio
3. Il dono
Cerimonia dei doni alla sposa (Il matrimonio di Sonali Mandi, Talgo-
ra, 1995).
IL DONO RIDATO. UN’USANZA NUZIALE FRA I SANTAL...
4. Un esemplare unico?
che può dare in ogni caso non è poca cosa: aiuterebbe a de-
finire il campo entro il quale si generano le opzioni, un cam-
po che non è solo quello delle relazioni di dono riuscito e ge-
neroso, ma anche quello del dono rifiutato, del dono ripre-
so, del dono offensivo ecc.
Finora, ripeto, io non ho trovato dei corrispettivi9. Trovo
anzi delle spie significative che fanno pensare a una sorta di
implausibilità inconscia del ridare il dono ricevuto. Vi sono
culture, in effetti, che pensano o alludono al ridare indietro
il dono ricevuto (e comunque mai, mi pare, il restituire esat-
tamente lo stesso oggetto, piuttosto, un contraccambiare con
oggetti dello stesso genere), ma lo fanno proprio per indica-
re un comportamento negativo, come qualcosa di grave-
mente inappropriato, se non oltraggioso, oppure come atto
rivelatore d’un fallimento: una prestazione di scambio che
contraddice se stessa e si nega. L’esempio che mi viene in
mente è quello della festa che il big man, in Melanesia, tra i
kaoka di Guadalcanal, promuove in talune occasioni speciali,
in particolare quando si tratta di sancire la sua definitiva
ascesa nella scala del prestigio sociale. La “festa per togliere
le schegge”, nella quale appunto l’aspirante big man intende
solennizzare il suo primato, a un certo punto prevede una ge-
nerosa distribuzione di beni. Gli ospiti vengono chiamati
uno per uno per ricevere il dono che il big man gli ha desti-
nato. Ciascuno degli ospiti, per parte sua, è donatore prima
che donatario, poiché ha portato con sé un’offerta di cibo per
la festa: pesce secco, ignami ecc. Bisogna che il dono dato e
il dono ricevuto non coincidano: ridare come dono di con-
traccambio quel che è stato portato come presente per la fe-
sta sarebbe estremamente offensivo. Sarebbe come vedersi re-
spingere l’offerta (Hobgin 1966)10.
formale: non solo per se stesso, ossia per quello che effetti-
vamente contiene in quanto relazione espressa, ma anche
per quelle parti, inespresse, che possono essere congettura-
te a partire dalle sue reticenze e allusioni. Nel tracciarne ora
un possibile avvio, a mo’ d’aggiunta fuori testo, al di fuori del-
la stretta rilevazione etnografica, non intendo far altro che
presentare un esercizio complementare, alla ricerca delle ra-
gioni di sistema che possano dar conto d’un fatto che, a pri-
ma vista, sembra piuttosto incoerente rispetto alle logiche or-
dinarie dello scambio.
Di norma, come ci insegna la scolastica maussiana, lo
schema dello scambio prevede che le cose scambiate non re-
stino mai tali e quali, che l’oggetto di transazione non si re-
plichi nel passare dalla prima fase alla seconda del ciclo di re-
ciprocità; oppure (o anche) che a mutare siano i titolari, re-
cettori e a loro volta donatori, quando si dà il caso che un og-
getto donato venga fatto circolare in una catena di trasferi-
menti fra partner, appunto, differenti11. Se offro in dono a
qualcuno un oggetto X, mi aspetto che quel che egli a sua vol-
ta mi donerà in seguito sarà qualcosa di diverso, un atto e un
contenuto nuovo. Altrimenti, qualora l’oggetto donato non
cambi (lo stesso bene, lo stesso oggetto prezioso, lo stesso sim-
bolo di pregio…), sarà un principio di variazione dei desti-
natari a valere: l’oggetto passerà dal soggetto primo a un al-
tro, da questi a un altro ancora, il quale a sua volta lo trasfe-
rirà a un quarto titolare e così via. Si noterà, di passaggio, che
in realtà, per le nostre regole di etichetta, cedere a un terzo
il dono ricevuto, in sostanza “riciclarlo” come si dice ironi-
camente, è qualcosa di pessimo gusto, che nell’autentico spi-
rito del donare appare inopportuno, una sorta di falso, una
relazione adulterata. Ma passiamo finalmente al nostro ten-
tativo di tipologia.
Vi sono, in sostanza, tre variabili di cui si deve tener con-
to: le persone (quanti sono i titolari degli atti donativi o part-
ner di scambio?), le cose (quanti sono gli oggetti, i generi
d’oggetti o esemplari precisamente identificati?), i tempi
(quanti sono i passaggi? Il momento del primo dono, quel-
lo del secondo, quello del terzo sono distinti? Vi è simulta-
IL DONO RIDATO. UN’USANZA NUZIALE FRA I SANTAL...
P C T
a 2 2 2
b 2 2 1
g 2 1 1
d 2 1 2
e 1 2 1
ζ 1 2 2
η 1 1 2
θ 1 1 1
1
Mi limito qui a elencare le sette varianti di unione, così come il lessico
locale le denomina (a Dangra, il villaggio del distretto di Bankura, PS di Ra-
nibandh, in cui ho condotto molte delle mie ricerche), da quella più ufficiale
e conveniente a quella di minor valore: 1) Dua.r sindur, le nozze con il sindur,
il vermiglione; 2) T.uṅki diple, matrimonio secondario; 3) A.gu gasha, convivenza,
la ragazza abita in casa del matrimonio prima delle nozze; 4) Kun.d.el ńapam,
matrimonio d’amore; 5) Itut’, matrimonio forzato, per cattura; 6) Saṅgha, se-
condo matrimonio, dopo un divorzio; 7) Ja.num Cetan, la moglie aggiunta, ma-
trimonio poligamico. Nella tradizione hindu, pure, esiste una scala di gradi
di unione, da quella più elevata (il kaniadān), a quella meno elevata (il matri-
monio asura).
2
È difficile dar credito all’ipotesi di una struttura, sia pure residuale, di
“scambio generalizzato” o asimmetrico, come talora si è cercato di inferire da
talune particolarità terminologiche. Il costume santal esclude il matrimonio fra
cugini, in qualunque direzione, con un’intransigenza fin troppo esplicita. Nel
corso delle mie rilevazioni sul terreno, lungo oltre un decennio, non ho mai in-
contrato né il modello esplicito, né le sue tracce nelle innumerevoli genealogie
alle quali ho lavorato.
3
Kut. umb (parola propriamente bengali) sono i parenti per alleanza. In san-
tali la distinzione più vicina a quella bengali (jinati Kut.umb) è quella “Or.ak’ Hor.”
/ “Per.a Hor.”, alla lettera “persone di casa”, “persone di fuori (parenti visitato-
ri)”. La relazione d’alleanza, co-suoceri, cognati ecc, inaugurata formalmente con
l’accordo matrimoniale, si stabilisce sotto l’etichetta formalizzata della catego-
ria bala.
4
Restituire lo stesso oggetto al donatore è considerato ovunque alla stre-
gua d’una risposta oltraggiosa, un’offesa. La nostra comune esperienza cultu-
rale basterebbe da sola a dar certezza a questo tratto che, a buon diritto si può
considerare universale. Pierre Bourdieu lo proclama quasi in forma d’assioma
in un passaggio ben noto dell’Esquisse: “on observe en effet, en toute société,
PIER GIORGIO SOLINAS
que, sous peine de constituer une offense, le contre-don doit être différé et diffé-
rent, la restitution immédiate d’un objet exactement identique équivalant de tou-
te évidence à un refus (i.e. à la restitution de l’objet)” (Bourdieu 1972, p. 339).
È vero che, comunemente, si rifiuta “per complimento”, fra noi, come al-
trove. Un “no, grazie”, tuttavia, non ha il senso pieno del rifiuto, o meno an-
cora del non voler accettare (nel nostro stesso frasario corrente dei convene-
voli il “come ricevuto”, esplicito o sottinteso, salvaguarda il gradimento del re-
cettore).
5
Bijoy Hambrom, ex impiegato delle poste a Calcutta, mio protettore sul
terreno, è stato insieme, per me, generoso consigliere e perfino, talvolta, ac-
compagnatore in qualcuna delle mie visite d’inchiesta.
6
Una quantità di monografie, dizionari, raccolte di testi, di varia datazio-
ne, dai lavori di Bodding a quelli di Marine Carrin, fornisce oggi agli studiosi
di questa etnia un corredo piuttosto ricco di fonti. Apporti di un qualche valo-
re vengono pure da missionari italiani, soprattutto quelli di Luigi Pussetto. Di
fonte missionaria sono i resoconti più vicini all’esperienza di terreno, preziosi,
oltre che per densità d’informazione per la loro datazione. Fra essi, quello del
missionario protestante L. Skreifrusd, che visse e lavorò nel Santal Parganas fra
il 1867 e il 1886 (a lui si deve un volume sulle tradizioni e istituzioni dei santal,
Traditions and Institutions of the Santals, pubblicato in una prima edizione nel
1887, poi in una nuova edizione, rivista da Bodding, nel 1916 e di nuovo nel
1929) e, soprattutto, quelli di padre Bodding.
7
Le differenze fra i funerali secondari degli hindu e quelle degli ādivāsī so-
no tuttavia considerevoli, soprattutto, se il Śraddhā hindu si tiene pochi giorni
dopo il decesso, quello dei santal può avvenire anche un anno più tardi: oltre
ciò, la cospicua presenza e importanza dei sacrifici animali, assente del tutto nel
funerale brahmanico di casta, marca sensibilmente, ancora, la distinzione di cul-
tura che segna l’autonomia etnica e religiosa dei santal.
8
La voce dan ha piena cittadinanza anche nella lingua parlata santali (cfr.
Bodding 1932-36, II, p. 25). In Bengali, dāna indica “an act of giving; act of gi-
ving away; bestowal; award; charitable giving or distribution”, mentre upahāra
“a presentation; a complimen tary gift, a present. v. to offer as a present” (Sai-
lendra Biswas, Samsad Bengali-English Dictionary, http://dsal.uchicago.edu/dic-
tionaries/biswas-bengali/).
9
In verità, occorrerebbe un’ispezione meticolosa e sistematica, con un pro-
tocollo metodico di incroci e confronti fra culture, ben più attenta di quanto
non mi sia stato possibile. Ho, naturalmente, consultato la letteratura di cui di-
spongo, specie in ambito sud-asiatico, africanista, oceanista; ho cercato di por-
re il quesito agli studiosi d’area che immaginavo avrebbero potuto imbattersi
in casi di un qualche interesse comparativo, e ho consultato i file HRAF. I risul-
tati sono stati piuttosto magri e, in ogni caso, non tali da giustificarne un im-
piego diretto e pertinente in questo contesto.
10
Un altro caso, differente per struttura di relazione e per contesto cul-
turale, in ambiente sud-asiatico (nelle vicende della guerra tamil, nello Sri-
Lanka) riguarda il rapporto di consultazione oracolare e il pagamento (e la re-
stituzione) del compenso che il cliente deve al divinatore. L’esempio è tratto
da un saggio di Patricia Lawrence. Riferisce della consultazione che un’indo-
vina e profetessa tamil fornisce ai parenti degli “scomparsi”, vittime della re-
IL DONO RIDATO. UN’USANZA NUZIALE FRA I SANTAL...
pressione governativa nel corso della guerra tra le Tigri tamil e le forze anti-
guerriglia. Una madre viene a chiedere un responso sulla sorte di suo figlio,
ultimo desaparecido di molti uomini della famiglia. L’oracolo dà una risposta
funesta: il ragazzo scomparso è stato ucciso. A questo punto, l’offerta torna
indietro, dall’indovina alla madre del ragazzo. La veggente ripone nuova-
mente il denaro, le foglie di betel, le noci di areca “back into the mother’s
hands. Her practice is to return the vettilaipāku when the person asked about
is dead” (Lawrence 2003, p. 116).
11
Quando il circuito donativo esce dalla simmetria stretta della reci-
procità a due, in effetti, il sistema di scambio subisce un mutamento sostan-
ziale di regime. La “terza persona”, ossia il termine interposto fra i due estre-
mi della catena di scambio (il primo destinatario diventa termine medio non
appena il circuito si allarga inglobando un nuovo partner di scambio) assu-
me il ruolo non solo di garante della simmetria messa in forse dalla rottura
della diade di base, del principio duale, ma anche di conservatore del tem-
po: un soggetto che si trova a metà tra passato e futuro, fra scambio consu-
mato e scambio che si anticipa.
Forme e dilemmi del dono a Futuna (Polinesia oc-
cidentale). Una rilettura etnografica di Marcel Mauss
Adriano Favole
1
Le riflessioni contenute in questo articolo fanno principalmente riferimento
alle ricerche compiute a Futuna nel 1996 e nel 1997, nell’ambito del dottorato
di ricerca in Antropologia Culturale ed Etnologia (Università di Torino). Una
più recente ricerca di campo, compiuta nell’estate del 2006, ha evidenziato im-
portanti mutamenti nei temi del dono analizzati in questo articolo: a essi tutta-
via si faranno solo alcuni accenni.
2
Nell’ultimo censimento (2003) l’isola contava 4.873 abitanti. La colletti-
vità di Wallis e Futuna ne contava 14.944, di cui l’85 per cento nativi delle due
isole. Circa il 10 per cento della popolazione risultava nativo della Nuova Ca-
ledonia (v. nota successiva), mentre soltanto il 5 per cento risultava originario
della Métropole (Buffière 2005).
3
Non esistono dati precisi in merito. Nell’ultimo censimento a base “etni-
ca” realizzato in Nuova Caledonia nel 1996, 17.763 persone si autodefinirono
“wallisiani-futuniani”. Le due categorie (“wallisiano” e “futuniano”) non furo-
no scorporate. Nello stesso anno a Wallis e Futuna vivevano 14.166 abitanti
(Roos 1997).
4
Il termine beachcombers indica quegli avventurieri, naufraghi, ammutinati,
artisti ecc., i quali, attratti dal mito dei Mari del Sud, furono tra i primi occi-
dentali a stabilirsi in modo permanente sulle isole.
ADRIANO FAVOLE
5
Per uno sguardo d’insieme ai tre territori “francofoni” del Pacifico v. Fa-
vole, a cura, 2007. Per un’introduzione all’etnografia di Futuna si rimanda a Fa-
vole 2000a; 2000b; 2002; 2004; 2006.
6
Una delle figlie di Aliano Filitika, Koleta, vive nell’Ariège pirenaico.
7
Disorso di congedo di Aliano Filitika, 13 settembre 2006.
8
Kava è il nome della pianta (Piper methysticum) da cui si ricava una bevanda
dalle proprietà psicotrope, il cui consumo è ampiamente diffuso in Oceania.
9
Con il termine Métropole si indica nei Territori d’oltremare la Francia con-
tinentale.
10
La moneta delle tre Collettività d’Oltremare francese in Oceania è il fran-
co del Pacifico (Franc CFP). Un franco CFP vale 0.00838 euro (un euro cioè equi-
vale a poco più di 119 CFP).
11
Fonte: Cherri et. al. 1997.
12
Si veda al proposito il saggio di Sahlins (1972, in particolare il cap. IV), il
quale critica a sua volta l’analisi di Lévi-Strauss.
13
Un tempo parte integrante del calendario rituale (Kirch 1994), la cir-
concisione avviene oggi nel dispensario dell’isola ed è praticata da un infermiere
futuniano.
14
Per un raffronto comparativo v. il saggio di Tcherkézoff (2003).
15
Intervista con T. F., Nouméa, 19 agosto 2006.
16
Intervista con M. F., Nouméa, 21 agosto 2005.
17
Colloquio informale con K. F., 7 aprile 2007.
18
Intervista con M. T., Futuna, 3 settembre 2006.
19
Intervista con Sepeliano Tuikalepa riportata da B. Decergy (2004, p. 55).
20
P. 59.
21
P. 60.
Il dono di Hertz a Mauss
Pietro Angelini
tutta una parte del diritto si identifica con l’attesa. (…) Anche
i fatti economici sono, per un verso, fenomeni di attesa: la lot-
PIETRO ANGELINI
1
Cfr. l’Introduction della moglie Alice a Sociologie religieuse et folklore
(Hertz 1928); v. inoltre Jamin 1988 e Prosperi 1994.
2
“Il ritratto fissato dal ricordo dei suoi amici lo mostra generoso e dispo-
nibile verso i bisogni degli altri, un po’ dispersivo e dissipato nei confronti di
se stesso: il giovane che durante il concorso per l’École Normale portava da
bere e da mangiare agli altri era anche quello che organizzava le riunioni poli-
tiche e alla cui opera si doveva principalmente la stampa dei Cahiers” (Prosperi
1994, p. XV).
PIETRO ANGELINI
3
Nel corso della vita (1878-1915) Hertz pubblicò soltanto tre saggi: Con-
tribution à une étude sur la représentation collective de la mort, «Année so-
ciologique», 10, 1907; La prééminence de la main droite. Étude sur la pola-
rité religieuse, «Revue philosophique», 34, 1909; Saint Besse. Étude d’un
culte alpestre, «Revue de l’histoire des religions», 67, 1913; più alcune re-
censioni. Una prima traduzione italiana dei primi due scritti uscì nel 1977
per Savelli, a cura dello scrivente; qui però utilizzeremo la traduzione apparsa
nella raccolta, più completa, curata da Prosperi (1994), che mette a dispo-
sizione del lettore italiano anche parte dell’opera postuma: ma su quest’ul-
tima ci soffermeremo nei prossimi paragrafi. Il testo di fondazione della so-
cio-etnologia religiosa è considerato l’Essai sur la nature et la fonction socia-
le du sacrifice di Henri Hubert e Marcel Mauss, uscito nel 1899 sull’«Année
sociologique».
4
Sul “sacrificio” del marito, cfr. la citata testimonianza di Alice Hertz; ma
anche la commossa nota biografica che Mauss premette alla edizione postuma
del primo capitolo di Le péché et l’expiation («Revue de l’histoire des reli-
gions», 76, 1922; ristampato in Hertz 1988).
5
Al saggio di Hertz sulla rappresentazione collettiva della morte, in cui la
cosiddetta “sepoltura provvisoria” viene trattata come un rito di passaggio, Van
Gennep dedica solo tre piccole e poco trasparenti note (1909, pp. 201, 204).
6
Il lavoro sulla preminenza della mano destra è stato probabilmente quel-
lo che ha suscitato, in generale, il maggiore interesse, soprattutto nella cerchia
del Collège de Sociologie (la più interessante rilettura si trova in L’homme et le
sacré di Caillois 1939); ma anche un autore poco in grado di apprezzare l’im-
postazione laica del saggio, come Edward Evans-Pritchard, fu tra i promotori
di una rassegna di studi in suo onore (Needham, a cura, 1953), così come nel
1960 volle stendere la prefazione alla traduzione inglese di questo e dell’altro
principale scritto di Hertz, Death and the Right Hand.
7
Su tale terzo aspetto dell’attività di Hertz, documentato dallo studio sul
culto di san Besso, v. Sibilla 1981.
8
Con una eccezione, per quanto riguarda il panorama italiano: di Ugo Fa-
bietti (1979), che fin dalla primissima edizione della sua “storia dell’antropo-
logia”, non ha mai trascurato l’opera di Hertz, dedicandole man mano sempre
maggiore spazio e attenzione.
9
La monumentale rassegna di Pettazzoni iniziò a comparire nel 1926 su
Studi e Materiali di Storia delle Religioni e si chiuse dieci anni dopo con l’edi-
zione definitiva in 3 voll.: ma l’opera incompiuta di Hertz su Le péché et l’ex-
piation dans les sociétés primitives (vedi sopra) era stata data alle stampe da
Mauss già nel 1922.
10
Al saggio sulla preminenza della mano destra è praticamente dedicato tut-
to il brano 324 de La fine del mondo (de Martino 1977, pp. 609-613). De Mar-
tino si serve qui della raccolta Mélanges de sociologie religieuse et folklore (Hertz
1928b), comprensiva anche dello studio sulla rappresentazione collettiva del-
la morte che in Morte e pianto rituale non viene mai citato.
11
Sempre a proposito dell’Étude sur la représentation collective de la mort,
Prosperi (1994, p. XXXVI) osserva che Hertz aveva qui “lasciato trapelare, in ma-
niera allusiva, una interpretazione della nozione cattolica del Purgatorio come
uno stadio della elaborazione storica della doppia sepoltura. Era un’allusione
IL DONO DI HERTZ A MAUSS
folgorante, che nessuno ha mai raccolto; la storiografia sulla morte e quella sul
Purgatorio – si ricorda in particolare la grande opera di Jacques Le Goff – han-
no seguito la storia delle idee e delle immagini, senza occuparsi mai del rapporto
tra quelle idee e le forme della sepoltura e del lutto, come se l’elaborazione cul-
turale e l’elaborazione del lutto procedessero su binari indipendenti”. Un ap-
punto che si può rivolgere anche all’altrettanto grande opera di Philippe Ariès,
L’homme devant la mort (1977).
12
Oltre ai generici riferimenti alla triade Durkheim-Hubert-Mauss, le ope-
re di Mauss sporadicamente citate in nota sono: l’articolo Le sacrifice del 1896
e il saggio su La religion et les origines du droit penal sempre del 1896, entrambi
nel Contributo a uno studio sulla rappresentazione collettiva della morte, e De
quelques formes primitives de classification (1902) nella Preminenza della ma-
no destra.
13
L’aforisma è di Giorgio Manganelli, riferito naturalmente a se stesso.
14
L’unico luogo in cui Mauss fa i conti con l’opera edita di Hertz è il fa-
moso saggio sulle Tecniche del corpo: là dove parla della trasmissione della for-
ma delle tecniche, spunta un riferimento alla Preminenza della mano destra
che riporto per intero: “l’educazione del bambino è piena di particolari i qua-
li, per altro, sono essenziali. Si prenda, per esempio, il problema dell’ambi-
destrismo: noi non prestiamo sufficiente attenzione ai movimenti della ma-
no destra e a quelli della mano sinistra e non sappiamo bene in che misura
vengono appresi. Un musulmano pio lo si riconosce a prima vista: anche se
in possesso di una forchetta e di un coltello (il che accade di rado), farà l’im-
possibile per servirsi solo della mano destra. Egli non deve mai toccare il ci-
bo con la sinistra né certe parti del corpo con la destra. Per conoscere il mo-
tivo per il quale fa un gesto invece di un altro, non bastano né la fisiologia
né la psicologia della dissimmetria motrice nell’uomo, ma bisogna conosce-
re le tradizioni che lo impongono. Robert Hertz ha bene impostato questo
problema” (Mauss 1950, p. 396). Tutto qui. Altri fuggevoli riferimenti in: Le
totémisme et les origines de la religion, «L’Année sociologique», 10, 1907 (sul-
la recensione di Hertz a Frazer); L’art et le mythe d’après M. Wundt, «Revue
philosophque de la France et de l’éntrager», 66, 1908 (sulla nozione di ma-
na rilevata da Hertz presso i bantu); L’animisme dans l’archipel indien,
«L’Année sociologique», 11, 1910 (sulla doppia sepoltura); L’expression obli-
gatoire des sentiments, «Journal de psychologie», 18, 1921 (sui rituali fune-
rari australiani); Civilisation. Le mot et l’idée, Paris, 1930 (accenno a San Bes-
so); La polarité religieuse et la division du macrocosme, «Bullettin de l’Insti-
tut française de sociologie», 3, 1933 (sulla destra e la sinistra in Cina negli
studi di M. Granet).
15
Da un frammento citato da Mauss nella Prefazione a Le péché et l’expia-
tion dans les sociétés primitives (Hertz 1988, p. 4).
16
Sul n. 76 della «Revue de l’histoire des religions».
17
Il saggio, redatto in collaborazione con Henri Hubert, era apparso nel
1903 sull’«Année sociologique», e appare poi in Mauss 1950 (alla definizione
del concetto di mana sono dedicate in particolare le pp. 109-124 della tradu-
zione italiana).
18
G. Davy aveva inizialmente collaborato alle ricerche che condurranno al-
l’Essai (cfr. Mauss 1924, p. 160).
PIETRO ANGELINI
19
In una importante nota aggiuntiva al terzo capitolo del Saggio sul dono
si legge: “La nozione della forza inerente alla cosa non ha mai, d’altra parte, ab-
bandonato il diritto romano su due punti: il furto, furtum, e i contratti re. (…)
Per ciò che concerne il furto (cfr. Huvelin), le azioni e le obbligazioni cui dà ori-
gine sono dovute nettamente alla potenza della cosa. Essa possiede in se stessa
(cfr. Aulo Gellio) una æterna auctoritas, che si fa sentire quando viene rubata e
per sempre. Sotto tale rapporto, la res romana non differisce dalla proprietà in-
diana o haida (presso gli Haida, il derubato non ha che da mettere un piatto da-
vanti alla porta del ladro perché la cosa di solito ritorni). (…) I contratti re for-
mano quattro dei più importanti contratti giuridici: mutuo, deposito, pegno e
comodato. Anche un certo numero di contratti innominati – in particolare
quelli che secondo noi sono stati, insieme con la vendita, all’origine del contratto
stesso – il dono e lo scambio – sono detti ugualmente re. (…) Il contraente è
reus (cfr. Mommsen); è, prima di tutto, l’uomo che ha ricevuto la res altrui, e
diventa a tale titolo il suo reus, cioè l’individuo che è a lui vincolato dalla cosa
stessa, vale a dire dal suo spirito” (pp. 246-247). Nelle XII tavole, ricorda anco-
ra Mauss, “il reus non designa solo l’accusato, ma anche le due parti in tutte le
cause” (Mauss 1924, p. 248).
20
Cfr. Gift, gift, pubblicato in Mélanges offerts à Ch. Andler par ses amis
et ses élèves, Strasbourg, 1924 e tradotto in Italia in Granet, Mauss 1975, pp.
67-72.
21
L’affermazione esige comunque controlli più accurati. Per gli scritti spar-
si mi sono qui limitato alla consultazione degli indici analitici dell’ed. Minuit del-
le Œuvres.
22
Cfr. Sahlins 1972 e il più recente Kilani 1990.
23
Tra l’altro Mauss scrive (1950, p. 334) “Le popolazioni neozelandesi
e maleo-polinesiane in generale costituiscono il paese d’elezione di stati
emotivi di questo tipo. È presso di esse, appunto, che Hertz, in seguito a una
scelta felice, aveva avuto la possibilità di analizzare gli effetti stupefacenti dei
meccanismi della coscienza morale. I Maori, in particolare, presentano que-
sti massimi di potenza mentale e fisica di origine morale e mistica, e questi
minimi di depressione dovuti alle stesse ragioni. Nel libro di Hertz si trove-
ranno tutti i particolari di questa argomentazione, sulla quale non insistere-
mo oltre”.
24
Un altro importante riferimento a Hertz è contenuto in La cohésion so-
ciale dans les sociétés polysegmentaires («Bulletin de l’Institut français de so-
ciologie», 1, 1931): “il terzo momento del funzionamento di tutti questi segmenti
e di tutte queste sezioni è precisamente una cosa che è, sfortunatamente, poco
studiata anche da noi. Andrebbe restaurato uno studio come questo che è sta-
to classico tra i giuristi, circa 60 anni fa: è la cosa che esprime la nozione di pa-
ce. Una società è coerente, armoniosa e veramente bene disciplinata, la sua for-
za può essere decuplicata dall’armonia, a condizione che ci sia la pace. (…) Su
questa nozione di pace, troverete delle belle pagine nel libro di R. Hertz su Le
péché et l’expiation (Polinesia in particolare) quando potrò pubblicarlo. Potrei
farvi conoscere dei bellissimi poemi maori, quelli che Hertz aveva notato e al-
tri che non aveva conosciuto sulla pace che è l’armonia. Ci sono lì delle bellis-
sime cose sui clan, sui gruppi locali e la guerra, periodo nero” (trad. it. in Mauss
1998, p. 173).
IL DONO DI HERTZ A MAUSS
25
Mauss 1969, vol. III, pp. 513-516. V. pure Jamin, Lupu 1986.
26
In Conceptions qui ont précédé la notion de matière (Mauss 1969, vol. II,
p. 163; poi 1998, p. 346).
27
Oltre a Hertz, erano rimasti vittime della guerra M. David, A. Bianconi,
J. Reynier, R. Gelly e il figlio di Durkheim, André. L’articolo in questione è In
Memoriam. L’œuvre inédite de Durkheim e de ses collaborateurs («L’Année so-
ciologique», n.s., 1, 1925) e si può leggere ora tradotto in Mauss 1998.
La part maudite: dono, rango e perdita
Carla Pasquinelli
Celebrati dispendi
sualità, non più letti attraverso Freud come due principi an-
tagonisti, diventano “le fasi culminanti di una ridda cui par-
tecipa l’infinità delle creature viventi; e l’una e l’altra hanno
il senso dello spreco illimitato che la natura contrappone al
desiderio di sopravvivere, proprio di ogni essere” (Baudrillard
1976, p. 171). Ancora una volta la trama si svolge attorno al-
la ricerca dell’eccesso, che qui si condensa nella visione della
morte come un’anti-economia, da cui discende il suo carat-
tere lussuoso. “Se la vita non è che un bisogno di durare a
qualsiasi prezzo, allora l’annientamento è un lusso senza prez-
zo”. Infatti, come commenterà Baudrillard in quel suo cele-
brato cult book che è Lo scambio simbolico e la morte, “in un
sistema in cui la vita è governata dal valore e dall’utilità, la mor-
te diventa un lusso inutile, e l’unica alternativa” (p. 172).
E infine La souveraineté, scritta negli anni 1953-54 e pub-
blicata postuma. Anche questo è un libro trasgressivo, al
punto da indurre Bataille ad avvertire il lettore che “La so-
vranità di cui parlo ha poco a che vedere con quella degli Sta-
ti” (1976, p. 41). Ad affascinarlo non è la magnificenza del
potere bensì la sua dissipazione quale forma rovesciata di
esercizio del potere. Un potere che non comporta alcun co-
mando, alcuna costrizione, ma la pura esibizione della pro-
pria capacità di perdere, di fare a meno delle ricchezze, di
porsi “al di sopra della preoccupazione dell’utile”. Se il “be-
ne” della morale – del cristianesimo e del comunismo – con-
siste nel valorizzare il lavoro a spese del godimento e nel pe-
nalizzare il piacere del momento rispetto al fine supremo, al-
lora la sovranità è il male. Indifferente a ogni fine, essa im-
pone di “accettare come valore sovrano ciò che seduce” (Dio-
nigi 1980, p. 17).
Ma c’è anche una dépense “virtuosa”, se così la possiamo
definire, quale mera apertura all’Altro, che pur escludendo
contropartite non è pura e semplice dissipazione, ma gene-
rosità. Un dare a piene mani, per citare la traduzione italia-
na del libro di Starobinski, Largesse, liberalità, assunta come
arte di governo, quale privilegio del sovrano che al pari del-
la Fortuna pagana dona a occhi bendati. Quella largesse che
ha fatto per secoli parte del cerimoniale della regalità, spo-
LA PART MAUDITE: DONO, RANGO E PERDITA
L’obbligo di ricevere
Nel Saggio sul dono Mauss non parla di Boas. Il suo no-
me non compare mai nel testo; l’unico riferimento di una cer-
ta consistenza è il brano (su cui ci siamo appena soffermati),
CARLA PASQUINELLI
Se gli amici fanno i regali, i regali fanno gli amici. Una grande
percentuale degli scambi primitivi, molto più che i nostri odier-
ni, ha questa fondamentale funzione strumentale: il flusso ma-
teriale garantisce o dà inizio ai rapporti sociali. In questo mo-
do i popoli primitivi riescono a superare il caos hobbesiano (Sah-
lins 1965, p. 100).
Oltre la reciprocità
Nel testo del 1965 Sahlins, ispirandosi alla classificazio-
ne degli scambi sviluppata da Malinowski, non fa alcun ri-
ferimento a Mauss e il tema stesso del dono risulta comple-
tamente oscurato dall’elaborazione teorica della reciprocità
tripartita. È solo dopo aver trascorso due anni a Parigi24 che
“scopre” il Saggio sul dono ed esplora il conteso enigma del-
lo hau, mostrandone le possibili connessioni con altre parti
del testo, trascurate dalla dominante lettura strutturalista e
vicine al pensiero di Hobbes e di Marx.
La teoria generale del dono, che contiene in sé quella pe-
culiare dello hau, pervade il ragionamento di Philosophie po-
litique de l’essai sur le don (1968), in cui Sahlins confronta
le interpretazioni di Mauss con la filosofia politica di Hob-
bes e con il tema del contratto sociale. A suo avviso il Sag-
gio sul dono fornisce delle importanti riflessioni sulle carat-
teristiche non solo economiche ma anche politiche delle so-
cietà primitive, proprio perché mostra la loro profonda in-
terrelazione. Accostando le pagine di Mauss al Leviatano af-
ferma che il dono nel mondo arcaico svolge quella funzio-
ne di assicurare la pace che nella società civile è garantita dal-
lo Stato25. L’analogo primitivo del contratto sociale riesce tut-
tavia a superare la condizione originaria di disordine in mo-
do diverso dal modello hobbesiano. Non fa scomparire i con-
traenti, né sottrae loro il diritto di usare la forza, ma permette
attraverso uno scambio di doni la costruzione di un’allean-
za tra gruppi altrimenti in guerra26. Il raffronto con Hobbes
consente a Sahlins “di mettere nella migliore luce lo sche-
ma quasi nascosto del Saggio sul dono” (p. 176), mostrando
come il merito principale del pensiero maussiano non sia tan-
to quello di aver individuato il principio di reciprocità, ma
di aver posto al centro della vita sociale la drammatica al-
ternativa tra la guerra e il commercio e il ruolo dello scam-
bio come forma di contratto politico. Il Saggio sul dono, co-
MATTEO ARIA
1
Alla fine degli anni Ottanta Cheal (1988), Godbout (1992), Caillé (1989)
e altri ricercatori francesi facenti capo al movimento detto MAUSS (Movimento
Antiutilitaristico delle Scienze Sociali), hanno riscoperto il Saggio sul dono di
Mauss (1924) per sfidare l’ideologia utilitaristica e la teoria dello scambio a lun-
go dominanti nelle scienze sociali. Gli insegnamenti maussiani hanno rappre-
sentato per questi autori il punto di riferimento indispensabile per rivendicare
la centralità della sfera del dono nelle società contemporanee e il suo ruolo fon-
damentale nel costruire e consolidare i legami sociali. A fianco delle posizioni
espresse dagli antiutilitaristi, si sono affermate negli stessi anni due riprese an-
titetiche del dono. Da un lato in campo utilitaristico si è tornati a studiare il do-
no all’interno dell’economia di mercato, considerandolo un fatto economico fun-
zionale allo sviluppo. Alcuni economisti e alcuni sociologi (Akerlof 1984; Ca-
merer 1988; Hausman, McPherson 1993) hanno così attinto alle letture antro-
pologiche del dono al fine di sostenere nuove strategie per la gestione della pro-
duzione e della distribuzione dei beni economici. Dall’altro si è affermata, gra-
zie ai contributi di Levinas (1988), di Derrida (1991) e di Boltanski (1990), una
prospettiva “poststrutturalista”, che ha proposto una riabilitazione etica e filo-
sofica del dono più lontana dall’approccio maussiano e dall’analisi etnografica
delle pratiche sociali. Sono stati posti in evidenza sia gli aspetti disinteressati,
altruistici e gratuiti, sia i suoi possibili “avvelenamenti”, rintracciabili nel co-
siddetto dono egoista che, come ha mostrato Starobinski (1994), nel dono espri-
me solo il donatore e la sua autosufficienza, e umilia colui che riceve. A queste
riflessioni si sono recentemente affiancanti, oltre alle descrizioni dell’ideologia
del “dono perfetto” di Carrier (1995, pp. 158-159) e di Belk (1996), gli studi di
Laidlaw (2000) sull’elemosina ai rinunciatari giainisti dell’India e le indagini di
Yan (2002) su una comunità rurale della Cina nord-orientale. Le loro ricerche,
sovvertendo l’idea antropologica del dono come necessariamente reciproco, han-
no mostrato l’importanza e il ruolo sociale del dono puro (Laidlaw) e di quel-
lo asimmetrico (Yan).
2
Il Saggio sul dono è stato citato come precursore del transazionalismo di
Barth (Kapferer, a cura, 1976, p. 3), come sostenitore di una continuità soggia-
cente tra lo scambio del dono e della merce (Firth 1973, p. 370), ma anche co-
me dimostrazione di una netta separazione tra queste due sfere (Gregory 1982a,
p. 18). Per alcuni contiene un implicito modello evoluzionistico vicino a quel-
lo delineato da Marx nei Grundrisse (Hart 1982, p. 46), mentre per Lévi-Strauss
Mauss, come Mosè, conduce il suo popolo nella terra promessa dello struttu-
ralismo. Se infine per Bataille (1967) svela la tensione umana verso la dépense
MATTEO ARIA
fiuto” (p. 283). Secondo Caillé (1994; 1996) nel passaggio dal dono alla teoria
dello scambio Lévi-Strauss sostituisce la fragilità e la complessità delle defini-
zioni maussiane, in cui si accumulano nozioni apparentemente contraddittorie
e ambigue, con la certezza che i doni arcaici sono liberi e disinteressati solo nel-
l’apparenza, nella finzione o quanto meno nel mostrare o nell’ostentare: “Quan-
do sono studiati in profondità essi si rivelano in realtà obbligatori, strettamen-
te tributari dell’interesse personale” (1994, p. 77) e tendenti all’equivalenza.
14
Per la contrapposizione tra i due eredi di Mauss v. Karady 1968, p. III e
Balandier 1996, p. 23.
15
Merleau-Ponty (1959), a differenza di Lefort, non giudica il simbolismo
di Lévi-Strauss come l’emblema di un oggettivismo regressivo che la fenome-
nologia dovrebbe combattere per vocazione. Vi vede invece la continuazione le-
gittima di ciò che in Mauss rimaneva un’intuizione. In tal senso cerca di ren-
dere compatibile la nozione di simbolismo con l’ipotesi di soggettività fonda-
trice (Karsenti 1997, p. 321).
16
Questa duplice valenza del dono mostrata da Lefort è stata recentemen-
te ripresa da Berthoud (1991, p. 58).
17
Caillé, nel criticare la lettura che Lévi-Strauss fa di Mauss, dichiara espli-
citamente come “sotto certi aspetti, nel nostro tentativo di esplicitare quel che
chiamiamo il paradigma del dono non facciamo altro che cercare di sviluppare
le implicazioni della critica di Lévi-Strauss da parte di Lefort ritornando al ve-
ro Mauss (...)” (1996, p. 25).
18
Sigaud (2002, p. 351), passando in rassegna la letteratura antropologica
prodotta sul Saggio sul dono, sottolinea come, fino all’affermazione dello strut-
turalismo lévistraussiano negli anni Sessanta, non compaiono riferimenti al-
l’Introduzione. Così Johansen (1954), Leach (1955) e Bohannan (1955), che in
vario modo prendono in esame il testo di Mauss, non vi fanno alcun accenno.
È solo a partire dall’elezione di Lévi-Struass al Collège de France nel 1959 e con
la creazione del Laboratoire d’Anthropologie Social che le sue riflessioni criti-
che al Saggio sul dono cominciano a essere considerate un “classico” (Condo-
minas 1972, p. 4). Il consolidarsi del suo prestigio è, come sostiene Sigaud, “la
principale ragione del fatto che la sua interpretazione fu così influente” (2002,
p. 353).
19
Vedi tra gli altri i costanti riferimenti presenti negli autori della «Revue
du MAUSS» e in particolare l’ultimo Godbout (2007).
20
V. MacCormack 1976, p. 98; Godbout 1992, pp. 28 e 281; Sigaud 2002,
pp. 351-354 e Osteen 2002, pp. 4-5.
21
In Traffici e mercati negli antichi imperi Polanyi (1957), analizzando le dif-
ferenze tra le economie delle società primitive e quelle di mercato, evidenzia il
modo in cui i sistemi economici sono istituzionalizzati (ovvero incorporati nel-
la società) e individua nella reciprocità, nella redistribuzione e nello scambio i
tre principi d’integrazione economica. A suo avviso “la reciprocità sta a indi-
care movimenti tra punti correlati di gruppi simmetrici; la redistribuzione in-
dica movimenti appropriativi in direzione di un centro e successivamente pro-
veniente da esso; lo scambio si riferisce a movimenti bilaterali che si svolgono
tra due ‘mani’ in un sistema di mercato” (pp. 305-306). La reciprocità ha sullo
sfondo gruppi organizzati in forma simmetrica dove non vi è traccia di rappor-
ti di subordinazione e gerarchizzazione, ma esistono solo comportamenti mu-
MATTEO ARIA
30
Nell’Esquisse d’une théorie de la pratique (1972) Bourdieu, analizzando
le pratiche del dono a partire dal caso etnografico cabila, ha cercato di supera-
re i limiti delle interpretazioni oggettiviste di Lévi-Strauss e di quelle fenome-
nologiche di Mauss, dando conto della doppia verità in esse presente: “L’ana-
lisi fenomenologica e quella oggettivista portano alla luce due aspetti antago-
nisti dello scambio, il dono come viene vissuto (...) e il dono quale appare al-
l’esterno” (p. 282). Esiste, a suo avviso, una costante tensione tra ciò che uno
scienziato sociale può individuare come regole soggiacenti a una pratica socia-
le e il modo in cui gli attori stessi le pensano. Per Bourdieu la struttura tempo-
rale dello scambio di doni rende possibile l’esistenza di queste due realtà op-
poste. È, infatti, il tempo che intercorre tra il dono e il controdono che permette
a una verità soggettiva (noi diamo senza pretendere niente in cambio) e al suo
contrario oggettivo (il donatore e il donatario stanno calcolando i benefici) di
coesistere. In questo senso il dono è il paradigma di tutte le operazioni attra-
verso cui “l’alchimia simbolica” produce e mantiene una realtà soggettiva che
dissimula la realtà oggettiva.
31
Smart (1993) sottolinea che la teoria economica neoclassica è stata re-
centemente utilizzata per spiegare i fenomeni sociali intesi come parti non con-
venzionali dell’economia di mercato. A questo nuovo orientamento è corrispo-
sta la tendenza dei sociologi e degli antropologi a estendere l’analisi culturale e
sociale allo studio dell’organizzazione capitalistica occidentale (Granovetter
1990; Hirsch et al. 1990; Zukin, DiMaggio 1990; Carrier 1997). I mercati, le or-
ganizzazioni d’impresa e l’attività imprenditoriale sono stati considerati come
forme sociali e culturali che determinano la propria efficienza anche attraverso
risorse socio-culturali.
32
Per un quadro riassuntivo del dibattito interno all’antropologia marxi-
sta francese v. Meillasoux 1972; Kahn 1981; Nannini 1981; Wilk 1996, pp. 139-
144; Pavanello 1992, pp. 42-49.
33
A partire dalla metà degli anni Ottanta anche in campo storico si è cer-
cato di andare oltre le ricostruzioni che vedevano il dono come una pratica di
scambio destinata a lasciare progressivamente, ma inesorabilmente, il posto al-
le pratiche e ai valori mercantili, così come avevano messo in evidenza i lavori
di Finley (1954), o quelli di Duby (1973). Gli studi di Hermann (1987) sulla Gre-
cia antica e quelli di Rosenwein (1989) sull’Europa medievale hanno mostrato
come il sistema di scambio di doni e quello commerciale rappresentano due mo-
delli che possono funzionare insieme. Il contribuito più significativo rimane a
questo proposito il recente contributo di Zemon Davis (2000) sui significati e
sulle pratiche del dono nella Francia del Cinquecento.
34
La prima celebre rivisitazione dei “luoghi” classici dell’antropologia del
dono è rappresentata dall’etnografia della Weiner (1976) che, a cinquanta an-
ni di distanza dalle ricerche di Malinowski, è tornata ad analizzare “sul cam-
po” lo scambio alle isole Trobriand, mettendo in luce il mondo delle ricchez-
ze e degli oggetti di scambio femminili totalmente ignorato in Argonauti, e ri-
valorizzando al contempo il ruolo della dicotomia maussiana volontario/ob-
bligatorio. Ha mostrato, infatti, come le sequenze di doni e di controdoni con-
sentono alle parti coinvolte nello scambio di manifestare una certa autonomia
e una certa indipendenza, esprimendo contemporaneamente generosità e in-
teresse (pp. 9-10).
MATTEO ARIA
35
Strathern (1971), anticipando le riflessioni di Gregory, ha mostrato co-
me il tradizionale sistema di scambio detto moka si sia ben adattato all’econo-
mia capitalistica e, anziché scomparire, sia stato in grado di rifiorire utilizzan-
do le nuove opportunità offerte dalla diffusione degli scambi competitivi.
36
Mauss (1924, pp. 165-167) utilizza per la prima volta i termini “mobili”
e “immobili” per definire e distinguere i beni maschili polinesiani (gli oloa) da
quelli femminili (tonga).
37
V. i saggi Gregory 1980 e Damon 1980 e, sempre sulle pagine di «Man»,
la succesiva “corrispondenza” tra gli stessi Damon (1982), Gregory (1982b) e
Feil (1982).
38
Come hanno sottolineato sia Schwimmer (1995, p. 75) che Mirowski
(2001), Gregory collega Ricardo a Mauss attraverso la rilettura del pensiero di
Marx, di Gramsci e della teoria economica di Sraffa.
39
Carrier (1995, p. 28) precisa che i doni sono possessi, mentre le merci so-
no proprietà.
40
Per Hyde (1979) “all’irriducibile conflitto tra lo scambio di doni e il mer-
cato” (p. 305) corrisponde l’opposizione tra l’eros – inteso come principio di
attrazione, di unione e di coesione che crea dei legami emotivi psicologici e spi-
rituali tra le parti coinvolte – e il logos – immaginato come la ragione e il prin-
cipio di differenziazione di cui l’economia di mercato è un emanazione (p. 17).
41
Secondo Parry e Bloch (1989, p. 9) uno degli esempi più significativi di
questa trasfigurazione romantica del mondo del dono è rappresentata dalla ri-
flessione di Taussig (1980) sul modo in cui la popolazione contadina della val-
le Cauca in Colombia ha costruito simbolicamente il mondo delle relazioni
mercantili.
42
Carrier (1995, p. VIII) ha ripreso la dicotomia dono-merce di Gregory so-
stenendo la necessità di utilizzarla non per separare e reificare le società del do-
no da quelle mercantili, ma per distinguere le differenti parti di una singola so-
cietà e i diversi aspetti della vita dei popoli. È così possibile applicare il model-
lo maussiano allo studio delle società capitalistiche industriali indagando il mo-
do in cui gli oggetti sono implicati nelle relazioni sociali.
43
Gregory (1997, pp. 42-45) ha replicato alle accuse di Appadurai soste-
nendo che le sue critiche non colgono il tema centrale della riflessione presen-
te in Gift and Commodities: ossia il paradosso dell’effervescenza e dell’espan-
sione del dono in un sistema dominato dal mercato. A suo avviso inoltre la pro-
spettiva culturalista di The social life of things nega il principio logico della dif-
ferenza e, teorizzando l’universalità della merce, finisce a sua volta per reificar-
la, rinunciando a pensarla come una precisa forma storica: “il risultato è una teo-
ria contraddittoria della merce-come-tutto e della merce-come-qualcosa: la mer-
ce è sia genere che specie” (p. 44).
44
Frow (1997) ha recentemente rielaborato queste prospettive mostrando
come spesso vi sia una particolare relazione tra l’estetica degli oggetti e il loro
valore di mercato.
45
Parry, ripercorrendo il testo maussiano e le sue impostazioni evoluzioni-
stiche, mostra come nelle economie con un vasto settore mercantile lo scambio
di doni cessa di avere quel significato materiale che ha in molte società tribali,
dove costituisce il solo accesso alle risorse sacre. Il dono, analogo primitivo del
contratto sociale, può così essere dato con l’unico obiettivo di cementare le re-
DONO, HAU E RECIPROCITÀ
Nel testo, l’anno che accompagna i rinvii bibliografici secondo il sistema auto-
re-data è sempre quello dell’edizione in lingua originale, mentre i rimandi ai nu-
meri di pagina si riferiscono sempre alla traduzione italiana, qualora negli estre-
mi bibliografici qui sotto riportati vi si faccia esplicito riferimento.
Carrin, M., 1986, La fleur et l’os. Symbolisme et rituel chez les Santal,
Paris, Cahiers de l’Homme-Éditions de la Maison des Sciences de
l’Homme.
Carrin, M., 1997, Enfants de la Déesse. Dévotion et prêtrise féminines
au Bengale, Paris, CNRS-Éditions de la Maison des Sciences de
l’Homme.
Cheal, D., 1988, The Gift Economy, London-New York, Routledge.
Cherri, C., Makalu, L., Rallu, J.-L., Yung-Hing, A., 1997, Images de
la population de Wallis et Futuna: principaux résultats du recense-
ment 1996, Paris, INSEE.
Ciarcia, G., 1993, Les rapports entre anthropologie et exotisme dans la
revue Documents. Mémoire présentés en vue du DEA, Toulouse,
École des Hautes Études en Sciences Sociales.
Clifford, J., 1988, The Predicament of Culture. Twentieth-Century
Ethnography, Literature, and Art, Cambridge (Mass), Harvard
University Press; trad. it. 1993, I frutti puri impazziscono. Etno-
grafia, letteratura e arte nel secolo XX, Torino, Bollati Borin-
ghieri.
Condominas, G., 1972, Marcel Mauss et l’homme de terrain, «L’Arc»,
48, pp. 3-6.
Cowell, A., 2002, “The Pleasures and Pains of the Gift”, in Osteen, a
cura, 2002, pp. 280-298.
Culshaw, W. J., 2003, Tribal Heritage: A Study of the Santals, London,
Lutterworth Press.
Dalton, G., 1961, Economic Theory and Primitive Society, «American
Anthropologist», 63, pp. 143-167.
Dalton, G., 1971, Economic Anthropology and Development, New
York, Basic Books.
Damon, F. H., 1980, The Kula and Generalized Exchange: Considering
Some Unconsidered Aspects of Elementary Structures of Kinship,
«Man», 5 (2), pp. 269-292.
Damon, F. H., 1982, Alienating the Inalienable: Correspondence,
«Man», 17, pp. 342-343.
Damon, F. H., 1983, “What Moves the Kula: Opening and Closing Gifts
on Woodlark Island”, in J. W. Leach, E. Leach, a cura, The Kula:
New Perspectives on Massim Exchange, Cambridge, Cambridge
University Press, pp. 309-342.
Datta-Majumder, N., 1956, The Santal; a Study in Culture-Change,
Delhi, Manager of Publications.
Decergy, B., 2004, L’Église évangélique sur l’île de Futuna, Mémoire
DEA, Aix-Marseille, Université de Provence.
de Certeau, M., 1980, L’invention du quotidien. 1. Arts de faire, Paris,
Union générale des éditions; trad. it. 2001, L’invenzione del quo-
tidiano, Roma, Edizioni Lavoro.
BIBLIOGRAFIA
Dei, F., 2008, “Tra dono e furto: la condivisione della musica in rete”, in
M. Santoro, a cura, Cultura in Italia, Bologna, il Mulino-Istituto Cat-
taneo, pp. 51-76.
Dei, F., a cura, 2007, Il sangue degli altri: culture della donazione fra gli
immigrati stranieri in Italia, Firenze, Avisbook.
de Martino, E., 1958, Morte e pianto rituale, Torino, Boringhieri; nuo-
va ed. 2000.
de Martino, E., 1977, La fine del mondo, Torino, Einaudi
Derrida, J., 1991, Donner le temps, Paris, Galilée; trad. it. 1996, Donare
il tempo. La falsa moneta, Milano, Raffaello Cortina.
Dionigi, R., 1980, “Bataille sur Nietzsche”, in trad. it. Bataille 1945.
Douglas, M., Isherwood, B., 1979, The World of Goods, New York, Ba-
sic Books; trad. it. 1984, Il mondo delle cose, Bologna, il Mulino.
Duby, G., 1973, Guerriers et paysans, 7°-12° siècle. Premier essor de
l’économie européenne, Paris, Gallimard; trad. it. 1975, Le origi-
ni dell’economia europea. Guerrieri e contadini nel Medioevo, Ba-
ri, Laterza.
Duby, G., 1984, Guillaume le Maréchal, ou le meilleur chevalier du mon-
de, Paris, Fayard; trad. it. 1985, Guglielmo il maresciallo, Roma-Ba-
ri, Laterza.
Dumont, L., 1980, “On value”, in Proceedings of the British Academy,
LXVI, London, Oxford University Press, pp. 207-241.
Durkheim, É., 1912, Les formes élémentaires de la vie religieuse. Le sy-
stème totémique en Australie, Paris, Presses Universitaires de Fran-
ce; trad. it. 1963, Le forme elementari della vita religiosa. Il sistema
totemico in Australia, Milano, Edizioni di Comunità.
Epstein, A. L., 1969, Matupit. Land, Politics and Change Among the To-
lai of New Britain, London, Hurst.
Evers, H.-D., Schrader, H., a cura, 1994, The Moral Economy of Tra-
de: Ethnicity and Developing Markets, London, Routledge.
Fabietti, U., 1979, Antropologia. Un percorso, Bologna, Zanichelli.
Favole, A., 2000a, La palma del potere. I capi e la costruzione della so-
cietà a Futuna (Polinesia Occidentale), Torino, Il Segnalibro.
Favole, A., 2000b, La royauté oscillante. Ethnographie et histoire de la
cérémonie d’investiture du Tu’i Agaifo d’Alo (Futuna), «Journal de
la Société des Océanistes», 111 (2), pp. 195-218.
Favole, A., 2002, “Il sapere dell’orizzonte. Incontri con la società fu-
tuniana”, in L. Brutti, A. Paini, a cura, La terra dei miei sogni.
Esperienze di ricerca sul campo in Oceania, Roma, Meltemi, pp.
140-160.
Favole, A., 2004, “Futuna: una poliarchia al centro del Pacifico. Orga-
nizzazione politica, diaspora, cristianizzazione della tradizione in una
società polinesiana”, in A. Destro, a cura, Territori dell’antropolo-
gia. Memorie, testi, corpi, Bologna, Pàtron, pp. 73-98.
BIBLIOGRAFIA
Humphrey, C., Hugh-Jones, S., a cura, 1992, Barter, Exchange and Va-
lue. An Anthropological Approach, Cambridge, Cambridge Uni-
versity Press.
Hyde, L., 1979, The Gift: Imagination and the Erotic Life of Property,
New York, Vintage Books; trad. it. 2005, Il dono. Immaginazione
e vita erotica della proprietà, Torino, Bollati Boringhieri.
Jamin, J., 1988, “Préface”, in Hertz 1988.
Jamin, J., Lupu, F., 1986, Le Péché et l’expiation dans les sociétés infé-
rieures. Mise au point des recherches inédites de Robert Hertz. Cours
de Marcel Mauss, «Gradhiva», 2.
Johansen, J. P., 1954, The Maori and His Religion in Its Non-Rituali-
stic Aspects, Copenhagen, Ejnar.
Kahn, J., 1981, “Marxist Anthropology and Segmentary Societies. A Re-
view of the Literature”, in J. Kahn, J. Llobera, a cura, The Anthro-
pology of Precapitalistic Societies, Atlantic Highlands, Humanities
Press, pp. 57-88.
Kapferer, B., a cura, 1976, Transaction and Meaning: Directions in the
Anthropology of Exchange and Symbolic Behaviour, Philadelphia,
ISHI Press.
Karady, V., 1968, “Présentation”, in M. Mauss, Œuvres, 1. Les fonctions
sociales du sacré, Paris, Minuit.
Karsenti, B., 1997, L’homme total. Sociologie, anthropologie et philosophie
chez Marcel Mauss, Paris, PUF; trad. it. 2005, L’uomo totale. Sociolo-
gia, antropologia e filosofia in Marcel Mauss, Bologna, Il Ponte.
Kilani, M., 1990, “Que de hau! Le debat autour de l’Essai sur le don et
la construction de l’objet en anthropologie”, in J. M. Adam, M. J. Bo-
rel, C. Calame, M. Kilani, Le discourse anthropologique. Description,
narration, savoir, Paris, Méridiens Klincksieck, pp. 135-168; trad.
it. 2002, “Quanti Hau! Il dibattito sul saggio sul dono e la costruzione
dell’oggetto in antropologia”, in J. M. Adam, M. J. Borel, C. Cala-
me, M. Kilani, Il discorso antropologico. Descrizione, narrazione, sa-
pere, a cura di G. D’Agostino, Palermo, Sellerio.
Kirch, P., 1994, The Pre-Christian Ritual cycle of Futuna, Western Poly-
nesia, «Journal of the Polynesian Society», 103, pp. 255-298.
Komter, A., a cura, 1996, The Gift: An Interdisciplinary Perspective, Am-
sterdam, Amsterdam University Press.
Kopytoff, I., 1986, “The Cultural Biography of Things: Commoditiza-
tion as Process”, in Appadurai, a cura, 1986, pp. 64-91.
Krige, E. J., Krige, J. D., 1943, The Realm of a Rain-Queen: A Study of
the Pattern of Lovedu Society, London, Oxford University Press.
Kuper, A., 1999, Culture: The Anthropologists’ Account, Cambridge,
Harvard University Press.
Laidlaw, J., 2000, A Free Gift Makes no Friends, «The Journal of the
Royal Anthropological Institute», 6 (4), pp. 617-634.
BIBLIOGRAFIA
Needham, R., a cura, 1953, Right and Left. Essays on Dual Symbolic
Classification, Chicago, University of Chicago Press.
Nicolas, G., 1991, Le don rituel face voilée de la modernité, «Revue du
MAUSS», 12, pp. 7-29; trad. it. 1994, “Il dono rituale faccia nascosta
della modernità”, in A. Salsano, a cura, Il dono perduto e ritrovato,
Roma, manifestolibri, pp. 69-95.
Nizan, P., 1960, Aden Arabie, Paris, Maspero; trad. it. 1998, Aden Ara-
bia, Milano, Mondadori
Orans, M., 1965, The Santal: A Tribe in Search of a Great Tradition, De-
troit, Wayne State University Press.
Osteen, M., 2002, “Introduction. Question of the Gift”, in id., a cura,
2002, pp. 1-42.
Osteen, M., a cura, 2002, The Question of the Gift: Essays Across Di-
sciplines, London, Routledge.
Parry, J., 1986, The Gift, the Indian Gift and the “Indian Gift”, «Man»,
21, (3), pp. 453-473.
Parry, J., 1989, “On the Moral Perils of Exchange”, in Parry, Bloch, a
cura, 1989, pp. 64-93.
Parry, J., Bloch, M., 1989, “Introduction: Money and the Morality of Ex-
change”, in Parry, Bloch, a cura, 1989, pp. 1-32.
Parry, J., Bloch, M., a cura, 1989, Money and the Morality of Exchan-
ge, Cambridge, Cambridge University Press.
Pavanello, M., 1992, Sistemi Umani. Profilo di antropologia economica
e di ecologia culturale, Roma, CISU.
Pavanello, M., 2000, Forme di vita economica. Il punto di vista dell’an-
tropologia, Roma, Carocci.
Pecora, V. P., 1997, Households of the Soul, Baltimore, Johns Hopkins
University Press.
Perrault, Ch., 1989, Contes. Textes établis et présentés par Marc Soria-
no, Paris, Flammarion.
Pianigiani, O., 1937, Dizionario etimologico della lingua italiana, Mila-
no, Sonzogno.
Polanyi, K., 1944, The Great Transformation, New York, Rinehart;
trad. it. 1974, La grande trasformazione, Torino, Einaudi.
Polanyi, K., 1957, “The Economy as Instituted Process”, in K. Polanyi,
C. Arensberg, H. Pearson, a cura, Trade and Market in Early Em-
pires, New York, Free Press, pp. 243-270; trad. it. 1978, “L’econo-
mia come processo istituzionale”, in K. Polanyi, C. Arensberg, H.
Pearson, a cura, Traffici e mercati negli antichi imperi. Le economie
nella storia e nella teoria, Torino, Einaudi.
Polanyi, K., 1959, “Anthropology and Economic Theory”, in M. Fried, a
cura, Readings in Anthropology, New York, Cromwell, pp. 161-184.
Posner, R. A., 1980, Anthropology and Economics: Review Article,
«Journal of Political Economy», 88 (3), pp. 608-616.
BIBLIOGRAFIA
Pospisil, L., 1963, Kapauku Papuan Economy, New Haven, Yale Uni-
versity Press.
Pribram, K., 1983, A History of Economic Reasoning, Baltimore, John
Hopkins University Press; trad. it. 1988, Storia del pensiero econo-
mico. I. Nascita di una disciplina 1200-1800, Torino, Einaudi.
Prosperi, A., 1994, “Cristianesimo e religioni primitive nell’opera di Ro-
bert Hertz”, in R. Hertz, La preminenza della destra e altri saggi, To-
rino, Einaudi.
Pussetto, L., 1978, La parentela fra i Santal del Bangladesh, «L’Uomo»,
2 (2), pp. 3-42.
Pussetto, L., 1983, I Santal del Bangladesh. Tradizioni e feste, Bologna, EMI.
Raheja, G., 1988, The Poison in the Gift: Ritual, Prestation and the Do-
minant Caste in a North Indian Village, Chicago, Chicago Univer-
sity Press.
Rak, M., 2005, Logica della fiaba, Milano, Bruno Mondadori.
Rella, F., 1996, “Lo sguardo ulteriore della bellezza”, Introduzione a G.
Bataille, La parte maledetta, Torino, Bollati Boringhieri.
Remotti, F., 2005, “Plasmare volti. Una lettura antropo-poietica di The
sexual life of savages”, Introduzione a B. Malinowski, La vita ses-
suale dei selvaggi nella Melanesia nord-occidentale, Milano, Corti-
na, pp. IX-XXX.
Risset, J., 2006, Il silenzio delle sirene. Percorsi di scrittura nel Novecento
francese, Roma, Donzelli.
Robbins, L., 1935, “The Subject Matter of Economics”, in An Essay on the
Nature and Significance of Economic Science, London, Mac Millan.
Roos, W., 1997, Recensement de la population de la Nouvelle-Calédo-
nie, Paris, INSEE, n. 506.
Rosenwein, B., 1989, To Be the Neighbour of Saint Peter: The Social Mea-
ning of Cluny’s Property, Ithaca, Cornell University Press.
Sahlins, M. D., 1965, “On the Sociology of Primitive Exchange”, in M.
Banton, a cura, The Relevance of Models for Social Anthropology,
London, Tavistock, pp. 139-186; ripubbl. in Sahlins 1972; trad. it.
1972, “La sociologia dello scambio primitivo”, in E. Grendi, a cu-
ra, L’antropologia economica, Torino, Einaudi, pp. 99-146
Sahlins, M. D., 1968, Philosophie politique de “L’essai sur le don”,
«L’homme», VIII, 4, pp. 5-17; ripubbl. in Sahlins 1972; trad. it.
1980, “Filosofia politica del saggio sul dono”, in trad. it. Sahlins 1972.
Sahlins, M. D., 1970, “The Spirit of the Gift: un explication de texte”,
in Echanges et Communications, mélanges offerts à Claude Lévi-
Strauss à l’occasion de son soixantième anniversaire, Leyde, Mouton;
ripubbl. in Sahlins 1972; trad. it. 1980, “Lo spirito del dono”, in trad.
it. Sahlins 1972.
Sahlins, M. D., 1972, Stone Age Economics, Chicago, Aldine-Atherton;
trad. it. 1980, L’economia dell’età della pietra, Milano, Bompiani.
BIBLIOGRAFIA
Tambiah, S. J., 1984, The Buddhist Saints of the Forest and the Cult of
Amulets, Cambridge, Cambridge University Press.
Taussig, M. T., 1980, The Devil and Commodity Fetishism in South Ame-
rica, Chapel Hill, University of North Carolina Press.
Tcherkézoff, S., 2003, Fa’aSamoa, une identité polynésienne, Paris,
L’Harmattan.
Thomas, N., 1991, Entangled Objects: Exchange, Material Culture and
Colonialism in the Pacific, Cambridge, Harvard University Press.
Thompson, E. P., 1968, The Making of the English Working Class,
Harmondsworth, Penguin.
Titmuss, R. M., 1970, The Gift Relationship. From Human Blood to So-
cial Policy, London, Allen & Unwin; 2a ed. 1997, a cura di A. Oak-
ley, J. Aston, New York, The New Press.
Tommaso d’Aquino, De regimine principum; nuova ed. 1923, trad. e in-
trod. di A. Meozzi, Lanciano, R. Barabba.
Tommaso d’Aquino, La Somma teologica; nuova ed. 1984, testo latino
dell’ed. leonina, trad. e commento a cura dei domenicani italiani,
Bologna, ESD.
Van der Grijp, P., 2002, Selling is Poverty, Buying a Shame: Represen-
tations of Work, Effective Leadership and Market Failures on Wal-
lis, «Oceania», 73, pp. 17-34.
Van der Grijp, P., 2005, Development Polynesian Style: Contemporary
Futunan Social Economy and its Cultural Features, «Journal of the
Polynesian Society», 114, pp. 311-338.
Van der Grijp, P., 2006, Entrepreneurs des îles: développement des pe-
tites et moyennes entreprises à Wallis (Polynésie occidentale), «Jour-
nal de la Société des Océanistes», 122-123, pp. 91-108.
Van der Grijp, P., 2007, “Recombination of South Pacific Market Ex-
periences: The Case of Wallis”, in Favole, a cura, 2007, pp. 123-138.
Van Gennep, A., 1909, Les rites de passage, Paris, Nourry; trad. it.
1981, I riti di passaggio, Torino, Boringhieri.
Veale, K. J., 2003, Internet Gift Economies: Voluntary Payment Schemes
as Tangible Reciprocity, «First Monday», 8, (12) (http://firstmon-
day.org/issues/issue8_12/veale/index.html).
Veblen, T., 1899, The Theory of the Leisure Class, Chicago, Chicago Uni-
versity Press; trad. it. 1949, La teoria della classe agiata, Torino, Einaudi.
Watters, R., 1984, The Village Mode of Production in MiRAB Societes,
«Pacific Viewpoint», 25, pp. 218-223.
Weiner, A. B., 1976, Women of Value, Men of Renown: New Perspecti-
ves in Trobriand Exchange, Austin, University of Texas Press.
Weiner, A. B., 1980, Reproduction: A Replacement for Reciprocity,
«American Ethnologist», 7, pp. 71-85.
Weiner, A. B., 1985, Inalienable Wealth, «American Ethnologist», 12,
pp. 210-227.
BIBLIOGRAFIA