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Storia Greca, Riassunto Musti

Storia Greca (Università di Bologna)

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Storia Greca, linee di sviluppo dall’età micenea


all’età romana
Domenico Musti

Introduzione
- Proporre un panorama generale della storia greca significa presentare
una nuova sintesi e dunque una nuova scelta di temi;
- Musti è convinto che, entro certi limiti, non sia possibile veramente
distinguere una storia politica da una storia culturale nel senso più
ampio: i fatti che si succedono al livello del registro politico sono al fondo
storia della cultura, delle idee e delle forme mentali;
- Bisogna compiere il massimo sforzo di applicare le categorie
interpretative e le forme mentali dei greci: tentare di vedere i Greci con
gli occhi dei Greci;
- Una coppia di categorie che ricorre quasi ossessivamente nei testi di
storici, oratori, teorici greci è la coppia pubblico e privato: è il binario
lungo il quale procede tutta l’esperienza politica e culturale greca;
- La storia greca come una ‘grande parabola’: un processo che muove
dagli inizi della storia arcaica, trova il suo culmine nel V secolo avanzato
e imbocca quindi una curva che “si stenta a chiamare di declino” ma che
certo è di grande trasformazione;
- Questa parabola, che tocca l’apice nel V secolo avanzato, è definita sulla
base della storia della città, e significa una storia della grecità come
storia della pólis [percorso diacronico della parabola];
- In ciascun punto di questa parabola è verificabile l’intreccio tra il politico,
il sociale, l’economico, la cultura, il mondo del mentale e
dell’immaginario in genere [intreccio sincronico dei punti della parabola];
- La parabola greca rivela in ogni suo momento il nesso stretto che
sussiste tra politica e cultura, un rapporto d’interazione dove è difficile
distinguere tra la causa e l’effetto, il prima e il dopo;
- Nel popolo greco si manifesta il processo per cui la natura si fa cultura,
senza mai smettere di essere natura, in una straordinaria congiunzione di
realismo e idealismo: la capacità di trasferire tutto sul piano dell’idealità,
dell’astrazione, dell’éthos, ribaltando però una base di partenza che è
realistica, naturalistica, utilitaristica, passionale, sensuale;
- La cultura greca è delle più realistiche della storia, ma è altrettanto
capace di creare un mondo di valori ideali in piena e lucida coscienza
degli impulsi e dei bisogni naturali e materiali dell’uomo;
- Non c’è nessuna massima o posizione ideale espressa nella grecità che
non sia stata sofferta, e filtrata, attraverso l’esperienza dell’esistenza
reale, di tutte le sue passioni, di tutti i suoi mali, o perfino dei suoi orrori.
L’armonia della pólis classica del V secolo è una pura invenzione di alcuni
moderni – l’esperienza greca della realtà è totale: il bene e il male, il
senso dell’amicizia e gli odi profondi, la capacità della dedizione generosa
e quella di tradire, vi si mescolano insieme;
- Una cultura dunque in cui l’armonia appare strettamente intrecciata alla
tensione;
- Quando i greci parlano di unità politica non intendevano unità territoriale
(come noi moderni), bensì un’unità nella diversità, un rapporto

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autonomistico, in cui ogni città conservasse la propria identità, i propri


usi, costumi, istituzioni: autonomía – questa però si intreccia,
realisticamente, con la hegemonía, cioè con la funzione di guida di
un’entità più autorevole, a cui tocchi la preminenza in forza del consenso
dei molti che, pur restando autonomi, accettano di farsi guidare;
- Physis: ogni essere ha un proprio sviluppo organico, non illimitato, in virtù
del quale ciascuno ha e conserva la sua identità, ma segnato dalla stessa
ferrea legge del tempo, che fa nascere, crescere, maturare ma che piega
anche a un inesorabile declino: entro questo pessimismo di fondo c’è pur
sempre uno spazio temporale e di possibilità reali perché entro cui
ciascuno può esprimere la propria identità; hybris: porsi contro questa
concezione è il peccato capitale per i Greci, il disprezzo della misura,
prepotenza, che vuole mettere in forse le eterne regole del gioco e
sfidare gli equilibri naturali, che immancabilmente si ricostituiscono;
- Nel processo della storia greca che porta dall’età alto-arcaica alla Guerra
del Peloponneso, assistiamo a un infittirsi e accelerarsi progressivo delle
esperienze, delle innovazioni, delle elaborazioni e distinzioni che, se
culminano nello sconquasso della guerra civile, costituiscono di per sé un
patrimonio di esperienze di straordinarie dimensioni e immenso valore,
per i Greci come per l’umanità intera: un patrimonio costituito, quasi
guadagnato, a costo di sofferenze indicibili, a riprova del nesso stabilito
una volta per tutte dai Greci tra sapere e soffrire;
- Questo capitale storico, politico e culturale, sarà investito in una quantità
di riflessioni, sistemazioni, elaborazioni, caratteristici della grecità del IV
secolo e dei secoli successivi;
- Ma è la stessa cultura greca ad avere un’intrinseca propensione a porsi
come paradigma, a cominciare dall’épos, il processo si intensifica via via
nel corso del tempo, accelerando nel passaggio dal V al IV secolo,
quando si aggiunge un netto sentimento dell’avvenuta conclusione di
un’epoca, la chiara consapevolezza di uno stacco tra passato e presente,
che consolida la già forte funzione paradigmatica del passato, in un
imponente processo di recupero di esso;
- Riepilogando: ruolo centrale assegnato alla nozione di pólis; al binomio
pubblico-privato, nei rapporti interni alla città, o egemonia-autonomia,
nei rapporti esterni; al rapporto tra società/economia e storia; al valore
indicativo delle forme mentali come filtro interpretativo tra situazioni
sociale e politiche, economiche e culturali.
- Tre grandi periodi della storiografia contemporanea sul mondo greco: dal
1725 alla fine del XVIII secolo; quello dai primi dell’Ottocento fino al
1870; quello tra questa data e gli anni 1914-1918;
- Dal 1725 al 1750 straordinaria stagione di riflessioni critiche e rinnovato
interesse archeologico e nuovi scavi (Ercolano, Pompei, si riscopre
Paestum); più informazione, più dati particolari più aspirazione alla
completezza e sistematicità nel confronto di essi – l’opera di
Winckelmann riflette bene l’entusiasmo per le nuove acquisizioni
archeologiche, ma rispecchia anche il gusto neoclassico, una visione
idealizzante ed estetizzante della grecità;
- Nei primi due terzi dell’Ottocento la ricerca di una posizione unitaria nella
descrizione dei fatti della storia greca è evidente, accingendosi a dare
una sintesi della storia dei Greci, ricavando un’unità di fondo e una linea

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di sviluppo: è la generazione quindi dei primi grandi manuali di storia


greca;
- Dopo il 1870 (vero spartiacque nella storia umana) molte cose cambiano,
è l’età del positivismo, dominata dalla tedesca Altertumswissenschaft
(scienza dell’antichità), si sviluppano le cosiddette Hilfswissenschaften
(scienze ausiliarie) della storia, che presto però aspirano a una loro
autonomia (archeologia, epigrafia, papirologia, numismatica, metrologia),
si moltiplicano ricerche, scavi, studi, raccolte a seconda della
specializzazione di ogni disciplina; è il periodo delle grandi edizioni
critiche e della scoperta di nuovi testi (papiro londinese scoperto da
Kenyon contenente gran parte della Costituzione degli Ateniesi di
Aristotele; scoperta di Troia di Schliemann); degno di nota il libro
Griechische Geschichte di Karlk Julius Beloch: quattro volumi, ciascuno
diviso in due tomi, di cui il primo è espositivo e narrativo, e il secondo
contiene l’apparato erudito e tutto il bagaglio filologico della ricerca; il
prodotto storiografico è di altissimo livello, anche se nel suo rigido
positivismo Beloch considerava le fonti antiche sempre sospette –
moltissime delle sue conclusioni però restano tuttora valide; da segnalare
anche Burckhardt e la sua Griechische Kulturgeschichte in cui assumeva
un ruolo centrale la categoria dell’‘agonismo’ e l’immagine dell’uomo
greco come ‘uomo agonale’
- Finalmente, l’ultima fase della storia della ricerca, cui lo stesso Musti
appartiene: moltiplicarsi e infittirsi delle ricerche particolari; massiccio
apporti dei più diversi paesi alla storia degli studi; declino dell’egemonia
di un particolare metodo d’indagine, quello positivista-ipercritico;
l’emergere di tematiche sociologiche, dagli studi sulla famiglia e sulla
condizione femminile a quelli sulla guerra e la pace, la diplomazia ecc;
progressivo affermarsi di esigenze interdisciplinari, che significano anche
la ridiscussione del ruolo delle Hilfswissenschaften di un tempo, e
l’impostazione di problemi comuni, a cui le risposte possono solo
provenire, se vogliono essere scientifiche, da una solida specializzazione:
questioni comuni, dunque, e risposte specializzate e competenti.

1. Preistoria e protostoria greca. Civiltà micenea. Alto


arcaismo
1. Neolitico; età del Bronzo
La memoria storica greci non si spinge molto oltre metà del II millennio a.C
(1500 a.C.) : si datano in quest'epoca le unioni degli dèi con gli esseri umani,
l’età degli eroi, che si protrae fino all'invasione dorica (1100 a.C.).

Neolitico, “età recente della pietra” (VI – IV millennio a.C.): prima dei greci, c’è
una Grecia; popoli non ancora indoeuropei (quindi non ancora greci) che
cominciano a darsi forme organizzate della vita sociale archeologicamente
documentabili.

L’età del bronzo si estende in Grecia dal 2800 al 1100 a.C.; la consueta
tripartizione (Antico – Medio – Recente) vale nel continente (Elladico), nelle
isole (Cicladico) e a Creta (Minoico).
Data importante è il passaggio dall'Antico al Medio Elladico, intorno al 2000-

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1800 a.C., a cui corrisponde la diffusione della ceramica Gray Minyan Ware, con
la cui espansione
dalla Tessaglia alla Focide alla Beozia all'Argolide potrebbe coincidere
l'avanzata di genti
indoeuropei (indicati come Achei) che costituiscono il nucleo della popolazione
ellenica in età pienamente storica.

2. La civiltà minoica
Il Minoico Antico, a Creta, è fase prepalaziale: l’uso del metallo influisce
sull’organizzazione sociale, si complicano/arricchiscono le forme ceramiche, la
gioielleria è raffinatissima, sintomo di sviluppo economico.
Medio Minoico I: nasce la civiltà palaziale (mégaron, palazzo semplice), nel
1900 a.C. ca sorgono i palazzi di Cnosso e Festo; in seguito vi è un
ampliamento e un’articolazione diversa delle funzioni dei diversi ambienti. ->
raffinamento del gusto e delle potenzialità artistiche, in ordine a uno sviluppo
delle forme del potere e dei correlati dati economico-sociali.
Importante è l’uso politico ed economico del mare, chiamato “talassocrazia di
Minosse” (controllo, dominio quasi militare sul mare).

3. La civiltà micenea e la sua espansione nel Mediterraneo. I Fenici


L’età micenea (1600-1100) si distingue archeologicamente in tre fasi: Tardo
Elladico I (1600/1580 – 1500 a.C.), II (1500 – 1425 a.C.), III (1425 – 1100 a.C.).
dal 1600 al 1100 a.C: le trasformazioni che in Creta minoica si presentano, le
abbiamo in Età micenea nel continente, sia per sviluppi interni sia per influenze
cretesi (soprattutto nella scrittura i micenei sono debitori dei minoici): è la
seconda fase della presenza greca nella penisola greca e nelle isole.
1450: insediamento di domino miceneo a Cnosso e a Chanià (Creta
occidentale).
Eredità minoica sopravvive forse ad una catastrofe naturale e certo ad una
sovrapposizione di dominio da parte dei Micenei, ma sopravvive come
patrimonio gestito dai Micenei; nell’insieme sono le tavolette di Pilo che ci
forniscono un maggior numero di dati interessanti la struttura della società
palaziale di epoca micenea: troviamo
1)liste di persone in qualche attinenza col palazzo e forma di subordinazione
rispetto ad esso;
2)liste di uomini addetti al servizio di guardia;
3)razioni di grano e di olio distribuite a singoli;
4)registrazioni di obblighi riguardanti il possesso terriero e coinvolgenti il
palazzo;
5)affitti di terre;
6)liste di tributi;
7)liste di oggetti (vasi, armi, mobili) e di quantità di materiali (tessili, metalli,
ecc).
Nel quadro di un’economia a fondamento agrario, la struttura politica/sociale è
fortemente centralizzata, sottoposta al dominio del wánax (“signore”), a cui è
sottoposta un’aristocrazia di capi militari, forse anche di detentori di ampie
porzioni di terra, affiancato dal lawaghétas (“comandante militare”); la base
produttiva è composta da strati di dipendenza, che contengono la possibilità
dello sbocco ultimo in forme di schiavitù -> economia verticistica, palaziale,
basata su agricoltura (grano, olio, vino), allevamento, produzione di tessili (lino
in particolare).

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L’artigianato ha funzione notevole, e forte è il controllo del palazzo


sull'industria tessile; vi sono
proprietà 'private' (probabilmente subordinate all'autorità del wánax) e
proprietà 'lasciate' in concessione (proprietà comunali); le seconde sono del
damos, la popolazione residente nel territorio.
Nei palazzi di età micenea, centri politici ed economici, non mancano
produzioni atte allo cambio di merci, anche se si tratta di scambio tra merce e
merce e non esistono ancora forme di economia monetaria; l’archeologia
documenta l’espansione nelle regioni del Mediterraneo (Sicilia, Spagna) di
ceramica micenea e i dati delle tavolette in Lineare B fanno riferimento ad
attività di scambio.
La Creta minoica può avere avuto funzione di mediazione tra la Grecia e le
regioni del Vicino Oriente, dall'Egitto alla Siria. Durante e dopo il dominio
miceneo a Cnosso (finito forse nel 1370) si colloca, in base ai dati
dell’archeologia, il periodo di massima espansione micenea.

Per riassumere, in epoca micenea (prima fase della storia greca):


1)Dopo l’invasione del continente e l'assestamento (secoli del Medio Elladico),
si raggiungono assetti e nuove forme di organizzazione
sociale/economica/politica;
2)A metà del XV tale assestamento ha portato all'espansione anche nell'Egeo,
a cui corrisponde l’insediamento di un principato miceneo a Cnosso e forse
anche a Rodi;
3)Importante fenomeno d'espansione commerciale determinato da una crescita
di popolazione greca che perfeziona la grecizzazione della penisola fino a
delineare i contorni di
quell'immensa diaspora greca che noi chiamiamo 'grecità' (capacità di portare
proprie conoscenze
tecniche ed espressioni artistiche, di contrarre relazioni di ogni tipo,
straordinaria capacità di
spostarsi, adattarsi a situazioni nuove).

4. La fine della civiltà micenea e la tradizione sulle migrazioni doriche


A partire dalla fine del XIII fino alla metà del XII secolo a.C. il mondo miceneo
ha segni di declino; i fatti archeologicamente più evidenti sono le distruzioni dei
palazzi di Micene e di Pilo. La causa principale è di matrice interna: i conflitti tra
strati sociali, o tra il sovrano e un'embrionale aristocrazia potrebbero essere
state accompagnate dall’irrompere di fattori distruttivi esterni, che
non sarebbero però ancora i Dori, benché quei fattori possano aver preparato
l’invasione dorica dei regni micenei. Importante è il grande mutamento che
riguarda l’uso dei metalli di particolare, ma non esclusiva, destinazione militare
(passaggio dall’età del Bronzo a quella del Ferro) -> ciò produce cambiamenti
di ordine socio-politico: vi sono innovazioni nelle linee di comunicazione, di
scambio e nascono così rapporti più stretti tra il mondo greco e l’Anatolia
orientale e l’entroterra siro-anatolico, ove si estrae e da cui si importa il ferro.
La maggiore disponibilità naturale di tale metallo significa anche un ruolo
diverso, nella società, dei possessori e degli artigiani di questo stesso; inoltre la
possibilità di un uso più ampiamente diffuso di armi nel nuovo metallo si
accompagna a una nuova organizzazione militare. A queste novità socio-
politiche si adattano innovazioni nella tecnica metallurgica, nell’organizzazione
e tattica militare, nel rituale funerario, nelle espressioni artistiche, di cui i Dori

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non furono necessariamente né gli inventori né i soli fruitori. In comune, sul


piano sociopolitico vi è una diffusione di valori collettivi, di espressioni di
massa, di tendenze ugualitarie che non sono da intendere come momento di
democrazia, ma come riflesso del crollo di precedenti forme di potere, più
accentrato, di tipo monarchico/palaziale.

5. Le origini delle « pòleis »


Tra la fine dell’età micenea e l’inizio di quella arcaica non può esserci stata una
continuità assoluta, l’apporto dorico è il passaggio fondamentale tra la fine dei
palazzi micenei e delle società e culture palaziali e la nascita di qualcosa di
nuovo, la pólis, realtà sociale e istituzionale troppo vitale e nuova per essere
solo il frutto di un impercettibile indebolimento della vecchia società micenea.
La polis è punto d'intersezione storico tra la società e la cultura palaziale e le
società e le culture di tipo tribale (quanto a organizzazione) e territoriale
(quanto a dimensione e forma dell'insediamento). La società micenea
trasmette al futuro dell'esperienza politica greca il ruolo centrale di un'acropoli,
l'idea stessa di un centro che è centro del potere, ma in età arcaica e nella
società cittadina sarà centro latamente simbolico del potere, non più solo del
sovrano (wánax), ma centro sacrale e politico diffuso fra i molteplici detentori.
Attorno all'acropoli si colloca l'ásty (città bassa), e intorno ad essa la chóra
(campagna, proprietà dei detentori del potere): la pólis vive dello scambio e
dell’equilibrio sociale, economico e politico tra ásty e chóra, tra città e
territorio. La struttura della pólis è circolare, organizzata secondo fasce
concentriche (ne testimonianza la decorazione dello scudo di Achille descritta
nel XVIII libro dell’Iliade). Stretta interrelazione, forte omologia tra struttura
politica e possesso/gestione del territorio. Le città storiche si costituirono talora
intorno alle rovine dei vecchi palazzi, talora si dettero centri distanti dai
precedenti; dominio territoriale, una volta accentrato nelle mani del signore del
palazzo, è trasferito all'insieme dei nuovi dominatori. Accentramento del
dominio territoriale e distribuzione del potere politico saranno caratteristiche
delle póleis doriche, e in senso lato delle póleis in genere.
Bisogna parlare di origini delle póleis, che si formano nei secoli
immediatamente posteriori all'età micenea (XI-IX) da diverse situazioni, con
diversi precedenti e differenti caratteristiche: nel VIII non nasce la pólis, ma la
forma comune delle póleis: diversi rivoli di esperienze cittadine confluiscono
nella pólis tipica, cioè la città aristocratica (le diversità permangono
internamente a un quadro comune, quello dell'aristocrazia oplitico-contadina).
Dall'atomismo delle singole póleis si passa alla koiné della civiltà della pólis;
come terza fase, nel VII-VI, si ha una regionalizzazione, legata alla creazione di
leghe, che tra VI-V si schierano con le due città egemoni, Sparta e Atene.

Restano le obiezioni mosse dagli archeologi all’idea di una migrazione dorica;


archeologia e storia parlano di movimenti e mutamenti: di un movimento
oggettivo la prima, di soggetti la seconda.

6. Colonizzazione dell'Asia Minore. Le città ioniche ed eoliche


Oggi si datano le presenze e gli stessi insediamenti coloniali greci di Eolide,
Ionia e Doride d’Asia in
piena epoca micenea. A questo proposito è innegabile la presenza di resti
micenei nella zona grecizzata dell'Asia Minore occidentale, in parte queste

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presenze possono riflettere la naturale circolazione di uomini, merci che


nell'Egeo c'è sempre stata. A tali presenze sporadiche
succede l'impianto di póleis, espressione di una precisa collocazione delle
comunità di partenza
rispetto ai problemi del bisogno/opportunità d'una migrazione. La
colonizzazione ionica è esempio
dello sviluppo, in nuove condizioni, dei movimenti/migrazioni di epoca micenea
(con l'intento di
appoggiarsi a realtà politiche/economiche esistenti, esterne al mondo greco),
come anche
prefigurazione di motivazioni e processi coloniali d'epoca arcaica.
L’espansione greca nel Mediterraneo, tra il periodo miceneo e quello ellenistico,
si divide in 4 fasi:
1. Frequentazioni micenee in aree diverse dalla penisola greca (II millennio
a.C.), a cui seguono significativi fenomeni di migrazione, esito del
dissolvimento della civiltà palaziale;
2. Colonizzazione d'epoca arcaica (tra VIII e VII/VI), con fondazioni di città-figlie
in tutto il
Mediterraneo, particolarmente in quello occidentale;
3. Espansione greca di carattere egemonico (o imperialistico), visibile
particolarmente nel IV s a.C.;
4. Espansione e colonizzazione greca nell'Oriente persiano, a seguito della
conquista di Alessandro Magno;

7. Le regalità omeriche
I poemi omerici non possono non proiettare sull’epoca della guerra
Nell’Iliade il re figura come detentore del comando
troiana gran parte dell’esperienza storica dell’alto arcaismo greco, ma
in guerra, presiede le assemblee in cui vigetale proiezione si ricongiunge in parte idealmente con le condizioni reali
un’apparente libertà di parola, ma in cui ladellamigliore
monarchia di età micenea: nei poemi vi è influenza poetica.
virtù è obbedire; nell’Odissea si va definendo In generale per “alto arcaismo” si intende il periodo corrispondente,
l’esistenza di una vera e propria aristocrazia:nella non si ceramica, all’orientalizzante (antico 730-630, recente
storia della
tratta più di una coalizione di capi sotto il capo
630-580); “tardo arcaismo” va dal 580 alle guerre persiane. D. Musti
supremo, ma di un gruppo sociale omogeneo. propone una definizione di ”alto arcaismo” per il periodo che va dalla
fine dell’XI secolo al 730, di “medio arcaismo” per il 730-580 e di “tardo
arcaismo” nell’accezione corrente (VI e inizio V sec.)
8. Regalità di città greche arcaiche
La natura della comunità politica greca, come emersa nell'alto arcaismo, è
fondamentalmente aristocratica. La pólis nasce già aristocratica, benché
all'origine si tratti di un'aristocrazia organizzata intorno a una leadership, che si
fa valere per origini divine, e che ottiene prerogative (ghéra) riconosciute, in
fatto di proprietà terriera, dell'esercizio di funzioni sacrali/militari, di
rappresentatività della comunità politica, in un quadro sociale di forte
omogeneità. Progressivamente l’aristocrazia si libera da tale bisogno di
leadership, e ciò avviene quando la
società è più stratificata e l'intero strato aristocratico vuole esercitare il potere
politico.
V'è persistenza coerente di regalità, fino al VII, in tutto il Peloponneso dorico, e
fino al V nella parte ad esso indipendente: come i Dori hanno contribuito alla
nascita della nuova forma istituzionale greca (pólis), essi hanno anche a lungo
conservato le forme politiche che all'origine erano un apporto nuovo, ma che
col tempo diventano conservazione.

9. «Ghéne», fratrie , tribù

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La comunità politica si articola in tribù (phylaí), fratrie e ghéne. La fràtria,


cellula vitale di un tessuto più vasto, non si lascia agevolmente concepire come
entità autonoma: l’idea di fratellanza (artificiale) che contiene serve a creare
nessi più stretti fra i suoi membri, come articolazione di un corpo più vasto.
Forse solo la tribù può esser vista come entità che abbia avuto una vita
autonoma prima della nascita della pólis. Per tribù s'intende la ripartizione
aritmeticamente definita della comunità (non all'idea di tribù, che precede
qualunque forma di organizzazione cittadina, e costituisce il nucleo dell'idea di
popolo). I tipi fondamentali di tribù sono quello dorico (Illei, Dimani, Pànfili) e
quello attico o ionico (Opleti, Argadei, Egircorei, Geleonti), ed appartengono
all'epoca post-micenea; divengono parte essenziale dell'organizzazione
cittadina: lo sviluppo delle póleis potenzia le tribù, come suddivisione della
comunità. La tribù, nelle zone doriche, mostra vitalità e chiarezza/specificità di
funzioni che non ha altrove. Tra tribù genetiche doriche e ioniche c'è chiara
differenza: le prime sono ricordate con molta frequenza nei testi, le seconde
hanno ruolo molto minore. Le fràtrie sono un’originaria ripartizione delle phylaí,
in àmbito dorico (in ambito attico, ove altra è la funzione delle tribù, diversa è
anche la funzione della fràtria). Come ripartizione del corpo civico, costituito su
base aristocratica, la fràtria, per struttura, carattere, culti, appare come cellula
vitale del tessuto della società e della cultura aristocratica; tuttavia poco chiari
sono i rapporti con le eteríe, come con i ghéne (grandi famiglie o consorterie
nobiliari), che ebbero carattere artificioso e secondario in quanto attribuivano a
se stessi capostipiti eroici comuni (che può significare sforzo di appropriarsi del
passato miceneo, già preistorico per i Greci d'età arcaica, facendone mitica
premessa, vestendosi di titolo di nobiltà: consente ampia diffusione struttura
del ghénos) e vantavano un patrimonio di memorie che li distingueva dalla
gente qualunque; e fra loro stessi appaiono come esito storico della
stratificazione sociale presto impiantatasi nelle póleis, ma che in parte avrà
riprodotto/sviluppato premesse ancora tenui d'età micenea.

10. Altre realtà regionali dell'alto e medio arcaismo


In Tessaglia crescono d'importanza i centri più interni. Storicamente è divisa in
4 grandi regioni:
Istieotide, Tessaliotide, Pelasgiotide, Ftiotide. Nell'alto arcaismo v'è processo di
organizzazione del
territorio che comporta sviluppo di grande proprietà terriera (anche signori
della guerra), e quindi la
formaz- di saldissimi pot. aristocratici e di un cospicuo strato di servitù rurale
(penesti). Intorno alle
4 aree si dispongono i perieci (relativa autonomia e conservazione identità
etnica), soggetti a tributi
e obblighi militari. Le fonti nominano un basileús, forse da identificare quale
comandante generale
in guerra. Assenza di un centro cittadino rigorosam. egemone e lentezza dello
sviluppo urbano. I
Tessali, se erano Dori, non riuscirono a imporre dialetto: in età storica è l'eolico
(segno, se
immigrazione fu, che la popolaz. preesistente rimase sul luogo in quantità
cospicua). La Tessaglia
non conosce quelle forme di vita e organizzazione collettive tipiche di Sparta: il
privato delle grandi

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famiglie aristocratiche assolutam. dominante, e la comunità politica poco più


che l'espressione della
società aristocratica (notevole ruolo sociale/militare della cavalleria).
La storia della Beozia è alquanto diversificata nell'alto arcaismo. Certo declino
conosciuto da Tebe e
Orcomeno. Tebe tuttavia conosce una ricostituzione del suo ruolo egemone
nella regione, anche se
nella Beozia sud-occidentale vi sono spinte autonomiste/separatiste.
A Calcide d'Eubea in età arcaica v'è forma di società aristocratica equestre, che
s'ispira anche nei
comportamento militari a regole 'cavalleresche'. In Eubea grande persistenza di
forme politiche di tipo arcaico.

2. La Grecia delle città. Legislazioni, colonizzazione, prime


tirannidi
1. Legislazioni e forme politiche
Vi sono 3 aspetti con cui si considerano gli eventi tra VIII e VII:
– Colonizzazione, che assume particolare significato in Occidente, ma si svolge
anche nel
Mediterraneo orientale e lungo le coste del Mar Nero;
– Figure dei legislatori cittadini (Licurgo, Fidone, Draconte, Zeleuco, Caronda,
Filolao, Pittaco);
– Avvento di regimi tirannici in molte città;
Colonizzazione e tirannide possono studiarsi nelle caratteristiche d'insieme, le
legislazioni vanno
studiate nella storia delle città o delle aree storiche. È tuttavia possibile
guardarle nell'insieme sotto
due aspetti:
– Come momento della storia della trasformazione e della crisi delle
aristocrazie greche. Tale prospettiva si collega con:
a) La colonizzazione. Risposta allo squilibrio tra risorse e bisogni alla fine dei
sec. bui; solo in parte
esprime spontanea ribellione, e in parte è favorita dalle aristocrazie cittadine.
Alla migrazione si accompagna la diffusione di più risentita coscienza politica,
ma ciò riguarda anche le legislazioni e le tirannidi (i due fenomeni, espressione
di sviluppi interni, rappresentano, nell'evoluzione delle aristocrazie greche,
spesso soluzioni alternative fra loro; legislazioni: forme di adattamento,
autocorrezione, autocensura dell'aristocrazia, forse sollecitate da strati più
modesti e inquieti)
b) La tirannide. Il movimento storico assume forme più traumatiche, ma è
all'interno delle
strutture oplitiche che l'aristocrazia si è data: dal cuore dell'aristocrazia
nascono le tirannidi,
attraverso una catena di azioni/reazioni che configurano una presa di coscienza
da parte
dell'aristocrazia della necessità di revisione nel campo dei rapporti sociali, che
non conduce
però a una loro effettiva rivoluzione.
– Rapporto tra legislazione e scrittura. Le leggi di Licurgo a Sparta non furono
scritte, al contrario di

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quelle di Zaleuco a Locri e quelle di Solone, le quali sono la dimostrazione che


l’aristocrazia sa far uso pubblico della scrittura (anche se solo democrazia,
esaltando valore del pubblico, determina particolare sviluppo di scrittura e sue
funzioni: funzioni di controllo sociale connesse a pubblicaz. di decreti e
rendiconti). Il primo autore di legislazione scritta (nomografía) è Zaleuco di
Locri, uomo della grecità coloniale: le società coloniali, benché aristocratiche in
origini e sviluppi, ma proprio perché comunità allo stato nascente, sono
immediatamente disposte a forme di controllo sociale e a principi ugualitari, e
quali comunità nuove dispongono molto meno di tradizioni orali efficaci o
vincolanti; la codificazione per iscritto delle leggi è favorita dunque da cause
positive e negative. I casi considerati nei codici legislativi attengono ai reati
contro persone (omicidi, ferimenti) e proprietà; le pene, proprio perché scritte,
sono rigide.
– Rapporto tra il carattere orale della legislazione di Licurgo e le fortissime
oscillazioni della sua
cronologia: se storicamente vi sono stati uomini con tale nome, sono solo un
momento di un
processo più complesso che investe più individui (Licurgo sta alla legislazione
spartana come Omero alla tradizione epica).

2. La costituzione di Sparta
L’ordinamento politico di Sparta, per staticità e compattezza, ebbe sui Greci
conservatori effetto di
miraggio, e non nacque con Sparta. Stando a Tucidide, la città fu turbata da
conflitti civili (stáseis) molto più che negli altri stati greci, ma non imboccò la
strada della tirannide: ne uscì con una costituzione severa e stabile, modello di
«buon governo» (eunomía): un equilibrio che riflette in parte le premesse del
mondo dorico (importanza dell'apélla, o assemblea dei cittadini soldati, si
ricollega al ruolo dell'esercito come provato nella conquista; nel numero 30
degli anziani (ghérontes) si riflette l'esistenza delle 3 tribù; lo spirito
d'uguaglianza circolante all'interno di tale oligarchia è riflesso di condizioni
originarie).
E plausibile che l’ordinamento vigente nel VI sec. a Sparta non sia quello dorico
originario, perché altrimenti dovremmo poterlo ritrovare nelle altre città
doriche. La diversità di Sparta sarà da concepire come acquisita storicamente,
come risposta a conflitti che però non hanno snaturato condizioni originarie
(solo più peculiari e rigide). È possibile che la diarchia (potere dei due re, delle
famiglie degli Agiadi, dettisi discendenti dell'eraclide Euristene, e degli
Euripontidi, dettisi discendenti del fratello Procle) sia espediente per garantire,
nel corpo civico, condizioni di stabilità e equilibrio. L'ordine spartano (il kósmos)
trova la miglior formulazione nella Grande Rhétra, il responso delfico che
Licurgo avrebbe ricevuto e messo in atto forse agli inizi del VIII sec.; è una
legge detta, non scritta, che sancisce:
o la costruzione di un santuario di Zeus Syllanios e di Atena Syllania;
o la struttura tribale di Sparta, cioè l'organizzazione in phylaí (le 3 tribù
genetiche doriche) e in obaí, cioè tribù territoriali o villaggi (5, e altri);
o l’esistenza di una gherousía di 30 membri compresi gli archaghétai
(«capi», «capostipiti», i re dei due rami della famiglia eraclide);
o il funzionamento politico, basato su riunione stagionale dell'apèlla, in cui
il dâmos non

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o ha potere di controproposta, ma diritto di parola, di moderata discussione


che non stravolgesse la proposta della gherousía;
o Non menziona i 5 efori («ispettori, sorveglianti»), che Sparta conosce dal
754/753 (forse in rapporto ad un altro elemento di novità, le 5 obaí).

L’organizzazione sociale di Sparta prevede:


 Fissità del numero di cittadini, all'inizio della storia cittadina calcolato in
9000;
 Gli Spartiati sono padroni di 9000 klêroi, lotti di terreno, affidati agli iloti,
servi rurali, che nella tradizione sono residui dell'antica popolazione;
 I perieci – anch'essi d'origine dorica - sono liberi abitatori di borgate
periferiche, sottoposti a obblighi militari, ma dediti anche ad attività
artigianali e mercantili.
Tali aspetti s'integrano con quelli della agoghé, con le forme caratteristiche
dell'educazione, i cui
fondamenti sono:
– Divisioni in classi d'età;
– Preparazione costante all'esercizio della vita militare;
– Limitazioni alla vita famigliare, per un certo numero di anni;
– Partecipazione a pasti comuni (syssítia);
– Rapporto che si sviluppa all'interno di tali forme di familiarità e solidarietà
maschile.

Una tale articolata struttura può forse non essere maturata entro il VIII sec, ma
già nel VIII e VII,
nei conflitti con Messenii e Arcadi, si mette a frutto tale struttura,
organizzazione e singolare
disciplina; nel VIII e VII tale rigida organizzazione militare, date l'espansione e
la conquista, è nella
fase più attiva e vitale. Sparta, dove i ruoli cittadini tendono già a fissità, non
partecipa a imprese
coloniali che costituiscono prova di mobilità sociale/mentale degli altri Greci:
unica colonia
spartana d'Occidente nota alla tradizione è Taranto; con la conquista si cerca di
risolvere problemi di ordine demografico ed economico che altre città risolvono
con la migrazione.
Già nel VI secolo la capacità espansionistica si esaurendosi, e la città diventa
essenza di una statica conservazione, diventando la gendarme della propria
costituzione e delle aristocrazie in genere (Sparta è la loro tutrice/garante,
anche con lo strumento della Lega peloponnesiaca, e diventa sempre più il loro
modello ideologico), e si sente chiamata a responsabilità di difesa contro il
nuovo che turba gli ordinamenti politici e sociali greci (tirannidi e poi
democrazia ateniese). Il ruolo ideologico si riflette anche all'interno con la
xenofobia e la profonda chiusura, in cui s'ibernano i valori del kósmos. D'altra
parte, dato che Sparta è compatta e chiusa, ha bisogno di stranieri che
assolvano alle funzioni indispensabili (es. musica) per completezza delle
espressioni culturali di una città di struttura e base militare.

3. La conquista spartana della Messenia


Fino agli inizi del VIII Sparta era stata impegnata nel completamento della
conquista della Laconia.

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1° Guerra Messenica (743-724 secondo Pausania, 757-738 per Apollodoro):


aggirano verso
occidente la barriera del Taigeto e conquistano la Messenia o almeno la sua
parte centro-orientale.
2° Guerra Messenica (684-668 secondo Pausania): esplode la rivolta contro le
condizioni di durissimo sfruttamento imposte ai vinti. -> Sparta Vs coalizione di
Messeni ribelli, di Pantaleone re dei Pisati e di Aristocrate re dell'arcadica
Orcomeno:
Aristomene, eroe della rivolta, è sconfitto nella battaglia della Grande Fossa,
forse anche per il tradimento di Aristocrate -> dopo 11 anni cade anche la
fortezza di Ira, al confine con l'Arcadia -> Aristomene esule a Rodi -> Messenii
si disperdono nel Peloponneso e in Occidente.
Sparta Vs Argo:
– Fatti e cronologia incerti, si sa solo che nel 669/668: Argivi battono Spartani a
Isie
– Agli inizi del VI Spartani posseggono a oriente Parnone (che chiude la Laconia
ad oriente), la costa occidentale del golfo argolico da Zarax a Prasie e l'isola di
Citera
– I conflitti continuano nel VI secolo per ragioni di confine tra Laconia e
Argolide, come la Tireatide e la Cinuria
– Sembrano essere il prolungamento di un conflitto spartano-arcadico le guerre
contro Tegea, a cui
Sparta contende il possesso della parte più meridionale del suo territorio, la
cosiddetta Sciritide.

4. L'Atene arcaica e aristocratica


Territorio attica, articolato in poche e significative pianure:
Pedíon: tra Imetto e Egaleo, è la pianura per eccellenza per in più diretto
rapporto con l'ásty (parte bassa della polis, dove risiedono classi sociali inferiori
– artigiani e commercianti; si contrappone ad acropoli); un'altra si estende a
sud-est dell'Imetto, con l'importante demo di Peania; pianura di Maratona;
pianura di Eleusi, a nord-ovest dell'Egaleo.
Il resto è collina o montagna: Laurio (200 m), Imetto (1000 m), Pentelico (1500
m), Parnete.
Territorio articolato, naturalmente predisposto alla formazione di poteri locali
separati e distinti; fornito di risorse agricole (frumento, vite, olivo) e minerarie;
strategicamente proiettato sull'Egeo e quindi destinato a sviluppo marinaro in
termini commerciali e militari.
Atene fu sede di palazzo miceneo, posto sull'acropoli, fortificata con mura
ciclopiche. Nella tradizione mitica un ruolo particolare spetta a Teseo, re
famoso per la civilizzazione dei luoghi dell'Attica e tra questa e il Peloponneso e
per il sinecismo, cioè l'unificazione giuridico-politico-sacrale, non demografica
(ateniesi sarebbero rimasti anche dopo Teseo, dalla fine del XIII, legati ancora
per 8 sec. a residenza e vita autonoma nel territorio) - dell'Attica intorno a un
centro (Atene). Stando a Tucidide, Teseo ha operato per quel nuovo assetto
territoriale e organizzativo detto diakosmein (nuove strade, nuovo ordine).
D'altra parte quanto la tradizione ricorda per il periodo miceneo dell'Attica non
si concentra sulla figura di Teseo, prima del quale si ricordano i nomi di 4 re:
Cecrope, Erittonio, Pandione ed Egeo, padre di Teseo. Dopo Teseo sarebbero
succeduti altri 7 re, fino a Medonte o Acasto, e poi giunge la dinastia dei
Medontidi, in parte considerata come serie di re e in parte serie di arconti a

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vita: segno che tali basileîs sono a tal punto integrati nell'aristocrazia da poter
essere ricordati come arconti.
Al periodo degli arconti a vita (1049?-753) sarebbe seguito quello dei 7 arconti
decennali (753-683) e poi quello degli arconti annuali, rappresentanti del
cardine del sistema magistratuale dell'Atene classica.
Si conosce poco della storia dell'Attica nell'alto e medio arcaismo, e tuttavia
Teseo permette di
Avvertire una caratteristica costante della sua storia politica: egli è oggetto di
forte ideologizzazione, investito di particolari valori simbolici: talvolta
rappresenta l’inizio della democrazia ateniese, sorte di monarchia illuminata, in
cui prevale l’elemento del consenso e quindi del potere popolare; appare come
antagonista dei dynatoí, i potenti delle aristocrazie locali; in tal veste a volte è
tiranno, contro gli oppositori aristocratici che difendono le proprie libertà contro
un potere accentratore; talvolta rappresenta un governo moderato, cui
s'oppone la demagogia di Menesteo -> Non c'è contraddizione tra questi, che
appaiono varianti sul cliché del re liberale, democratico e moderato, mentre i
dynatoí difendono autonomie locali: in parte è retroiezione dello sviluppo del
centro cittadino, con libertà e forte autonomia per campagna (caratteristica
fondam. della democrazia ateniese), in parte gestazione reale di un assetto
politico caratteristico dell'Attica.
Una terra quindi che si segnala per i conflitti politici che sembrano vitalmente
contrastare l’accentramento del potere: il risultato è un equilibrio politico tra il
centro e le diverse periferie, tra spinte livellatrici e forti poteri aristocratici di
base locale e vocazione autonomistica; l’Attica è quindi un territorio in cui
l’avvento della tirannide non era facile: infatti Atene non ebbe tirannide (ma
solo un complotto) nel VII secolo, e l’ascesa di Pisistrato alla tirannide fu
laboriosissima e vide diversi fallimenti =>Ad Atene si determina una temperie
politica particolare: se è prematuro parlare di avvento dello Stato all'epoca di
Solone, è certo che il ruolo del valore pubblico si va preparando attraverso
lunga una gestazione, con processi e atteggiamenti anche negativi, come la
ricerca costante di bilanciamento dei poteri.
Atene – con Sparta - è l'esempio di come l'opera dei legislatori e le tirannidi
siano espressioni del
travaglio politico delle aristocrazie greche arcaiche e, essendo l'una e l'altra
risposta alle esigenze
emergenti, tra esse v'è rapporto alternativo. A Sparta già nell’VIII secolo il
processo sembra compiuto, ad Atene emerge dopo:
o 636 o632 a.C.: tentativo di Cilone (genero di Teagene, tiranno di Megara)
d'impadronirsi dell'acropoli e d'instaurare una tirannide, ma fallisce per
l'intervento violento della famiglia aristocratica degli Alcmeonidi e della
gente del contado al suo servizio;
o 624: opera del legislatore Draconte, con pene particolarmente dure e
severe: legislazione sui delitti di sangue; norme sull'omicidio involontario;
sottrazione alla sfera privata della punizione di delitti appartenenti in
gran parte all'iniziativa dei famigliari della vittima -> spazio al potere
giudiziario del basileús e dei 51 ephétai
All'interno dell'aristocrazia ateniese si determinano le premesse dello sviluppo
politico avanzato che farà di Atene città-guida della Grecia dal punto di vista
delle strutture e dei diritti politici:

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a) Eponimo, l’arconte per eccellenza (con il suo nome si indica l’anno, che ad
Atene va dal primo giorno del mese Ecatombeone all’ultimo giorno del mese
Sciroforione, all’incirca da luglio a luglio);
b) Basileús, che eredita nome e funzioni sacrali dello stadio monarchico
dell'aristocrazia attica;
c) Polemarco, che andrà perdendo funzioni militari, ma continuerà ad esercitare
la gestione
dell'”esterno” sul piano giudiziario;
d) 6 tesmoteti, forse all'origine legislatori e custodi di leggi.
Aristotele nella Costituzione degli ateniesi concepisce la storia del collegio dei
nove arconti come quella di una progressiva erosione del potere del basileus, a
cui si affianca il polemarco, e poi l’arconte e da ultimo i tesmoteti: egli ha colto
il carattere fondamentale del collegio, ispirato al principio dell’equilibrio dei
poteri.
Scaduto l’anno di carica gli arconti entrano nell'Areopago, consiglio di Atene
aristocratica che si riuniva sulla collina di Ares, sita a poca distanza
dall’Acropoli. In età classica gli arconti sono definitivamente coinvolti nel
processo di democratizzazione che s'espresse nella massima diffusione dei
tribunali popolari, presieduti da questi; secondo Aristotele l'eponimo in
particolare ha giurisdizione sulle cause di diritto privato fra i cittadini, il
polemarco sugli stranieri e il basileús sulle funzioni sacre, sulla direzione dei
misteri, delle Dionisie Lenee, dei sacrifici patrii, e presiede tribunali giudicanti
casi d'empietà e i tribunali particolari giudicanti casi d'omicidio.
Lo «Stato» aristocratico ateniese del medio arcaismo (VIII-VII) pare privo di
struttura consiliare
proveniente immediatamente dal basso: unica sembra quella degli ex-arconti,
dei notabili, che si
riuniscono sull'Areopago.

5. Le anfizionie
Si tratta di leghi di popoli o di città costituite intorno ad un santuario: lega
sacrale fra popoli
abitanti in uno spazio geografico coerente, che non abbiano già altri motivi per
avere un centro
sacrale unico. Intorno ai santuari di Poseidone sono centrate la lega di Calauria
e quella di
Onchesto; intorno a santuari di Apollo si raccolgono la lega di Delfi e quella di
Delo. Se già a Delo
sappiamo che annualmente si svolgeva la panégyris (grande raduno, descritto
nell’omerico Inno ad Apollo) degli Ioni delle isole intorno e di Atenestessa, con
l'anfizionia delfica, la più famosa, c'è maggiore sicurezza: nel VII secolo
(momento di particolare prestigio dei Tessali in Grecia centrale e momento di
notevole allargamento della precedente lega tessalica e peritessalica), o forse
già nell’VIII, la lega, etnicamente composita (Tessali e perieci dei Tessali), ma
ancora non troppo eterogenea, che si raccoglieva intorno al santuario di
Demetra ad Antela, ingloba il santuari di Apollo a Delfi.
Gli anfizioni sono in primi istanza i popoli membri della lega, poi, di
conseguenza, i rappresentanti nel sinedrio, il cui titolo è propriamente quello di
ieromnemoni, coadiuvati dai pilagori. Nel sinedrio ogni popolo dispone di 2
delegati, cioè di due voti. I popoli anfizionici sono 12 (gusto greco di
un'aritmetica politica), di cui 7 sono i Tessali (se presi con i loro 6 popoli

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perieci), quindi con maggioranza assoluta (14 su 24 voti). Due volte l'anno vi
sono riunioni ordinarie (a primavera ad Antela, presso le Termopile; in autunno
a Delfi), dette pylaîai. Accanto ai 7 popoli vi sono ancora i Beoti, Locresi, Focesi,
Ioni (un voto spetta agli Euboici, l'altro agli ateniesi: significativo del grado di
sviluppo cittadino), Dori (un voto ai Dori della Metropoli, l'altro ai Dori del
Peloponneso: significativo del grado di sviluppo cittadino; Sparta userebbe
l'etichetta di entrambi).

Prima guerra sacra:


Primo decennio del VI secolo: Tessali guidati da Euriloco, Ateniesi guidati da
Alcmeone (e consigliati da Solone), Clistene tiranno di Sicione Vs Focesi di
Crisa, che disturbano i pellegrini diretti al santuario: segue la distruzione di
Crisa, la consacrazione al tempio del corridoio verso il mare, la proibizione di
coltivare la terra sacra che colpisce i Focesi, nel cui territorio sorge Delfi, e i
Locresi (occidentali) di Anfissa.
La vittoria anfizionica comportò il rafforzamento dei Tessali nella Grecia
centrale, l’ammissione di Atene nell'anfizionia e la riorganizzazione degli agoni
pitici (Phythò, antico nome di Delfi) nel 582.

6. Tirannidi arcaiche (VII-VI sec. a.C.)


Le tirannidi arcaiche possono essere distinte in “istmiche”, cioè di città
gravitanti intorno all’istmo di Corinto (Corinto stessa, Sicione, Megara), e in
“ioniche o egee”.
Tiranno (tyrannos: «signore», indicante potere personale assoluto, superiore a
quello dei basileîs, soprattutto perché non definito in prerogative (ghéra)
concordate dalla comunità e quindi non basato sul consenso) e tirannide sono
presenti nel vocabolario già dal VII: tyrannos porta peraltro già in Alceo una
nota di condanna, e raggiungerà valore più negativo negli scrittori del IV, che
risentono di un'ideologia democratica diffusa e dell'esperienza negativa di
tirannidi del V e IV (in particolare siceliote). Tyrannos non è d'origine greca:
forse micrasiatica (rapporti precoci tra Grecia e mondo asiatico).
La radice della tirannide è un'evoluzione interna alla pólis greca: essa è
conseguenza di un momento di crisi intestina dell'aristocrazia, crisi intesa come
trasformazione accelerata in un
determinato periodo; il tiranno è un aristocratico che viene in conflitto con il
suo gruppo sociale e i suoi scopi politici sono soltanto in parte in conflitto con
quelli degli altri aristocratici.
È falso legare l'avvento della tirannide a quello dell'oplitismo e alle
trasformazioni politico-sociali ad esso connesse: quest'è espressione militare di
gran parte delle aristocrazie greche già nell'alto arcaismo.
Per Aristotele il quadro sociologico e socioeconomico della base della tirannide
è quello di
una popolazione contadina che si lascia rappresentare da un capo.
Molti studiosi accentuano l’aspetto mercantile delle tirannidi, ma l’equazione
tirannide=mercante oggi non è più in auge; è stata addotta in sostegno di
questa concezione, la testimonianza di Tucidide, ma egli in realtà non dice che i
tiranni siano mercanti o rappresentanti dei mercanti, fornisce un
inquadramento cronologico (tra l'inizio del processo di colonizzazione e l'avvio
della
potenza coloniale corinzia) e di sviluppo economico complessivo, che
naturalmente include uno sviluppo commerciale. Aristotele definisce dunque la

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base sociologica della tirannide, Tucidide ne fornisce l’inquadramento


cronologico e storico-economico.
Non vanno cercate formule uniche, date le varianti locali, ma non vanno
neanche esasperate
le differenze, poiché una base sociale agraria è quasi ineliminabile, e un
contesto di accelerato sviluppo economico è innegabile. Non si può individuare
una causa unica (es. conflitti razziali, spinte individualistiche, motivazioni
politico-socio-economiche, ecc.).
Si può affermare una stretta connessione della tirannide con lo sviluppo
demografico e economico della Grecia, tra VIII e VII secolo, che ha come
conseguenze l'ampliarsi del campo dei bisogni e dei conflitti sociali, a cui le
vecchie strutture aristocratiche non rispondono più: la tirannide è espressione
dei movimenti significativi nell'economia e nella società antica, e per questo la
sua base sociale è proprio il contado. Ma non è possibile stabilire una specifica
caratteristica economica della tirannide. Non è neanche facile dare
un’immagine unicamente agraria della politica economica e sociale dei tiranni,
per Sicione ad esempio si ha traccia di provvedimenti volti a scoraggiare
l’immigrazione di gente dal contado alla città.
La tirannide di Corinto:
o vi dové essere una qualche vigilanza dell'aristocrazia sull'attività
artigianale o una sua
promozione, e un'implicazione diretta di membri dell'aristocrazia bacchiade nel
commercio; se a Corinto artigianato e commercio non sono apporto specifico
della tirannide (nasce dall'interno contadino), sarebbe primitivistico negare
l'interesse dei Cipselidi all'espansione commerciale (Occidente e Oriente) e
sarebbe fuori luogo dare un'immagine univocamente agraria della politica
economica-sociale dei tiranni;
o le opere pubbliche realizzate dai tiranni in città significano attenzione ad
essa e sviluppo
materiale e funzionale, che però non è ancora programmatico incremento
urbano (quest’ultimo sarà ad Atene piuttosto l’apporto della democrazia);
o sul piano socioeconomico il tiranno tende ad esercitare funzione
propulsiva, su tutte le
attività, nella prospettiva di un equilibrio nuovo, che consenta di dare qualche
risposta ai bisogni elementari degli strati più poveri, senza però ancora farli
entrare nella sfera del potere, che resta personale;
o la tirannide non è sempre l'anticamera della democrazia: lo è dove il
processo politico è
spostato in avanti (Atene), e accade naturalmente nelle epoche più avanzate. Il
passaggio dalla
tirannide alla democrazia non né diretto né indolore. Vi sono dati nuovi che la
tirannide comporta e che trovano un loro diverso e compiuto sviluppo nella
democrazia:
a) formazione di un potere al di fuori e al di sopra della semplice somma dei
cittadini;
b) sviluppo della fiscalità;
c) elaborazione e articolazione della stessa idea e forma di città.
Comunque il verificarsi della tirannide non lascia le cose immutate, come
minimo produce un’aristocrazia moderata, più temperata rispetto a quella
precedente la tirannide (una via classica è l’allargamento corpo civico,

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mediante l’ampliamento del numero delle tribù, come nel caso di Sicione con
Clistene, che alle 3 vecchie dell'aristocrazia dorica aggiunge quella degli
Archélaoi).

Non è vero che la tirannide risulta dall'alleanza tra classe oplitico-contadina


(intesa come totalmente opposta all'aristocrazia) e proletariato urbano (o
anche rurale): questa è la formula della democrazia classica, che in Grecia non
ha caratteri rivoluzionari, ma, anche nella sua forma storicamente più
avanzata, è l'esito di un’alleanza tra ceti medi (medi e piccoli proprietari terrieri
ed eventuali imprenditori, che proprio la democrazia ha sviluppato) e
proletariato dei teti (braccianti e salariati). La diversità della tirannide è nel
conservare gli originari legami con l’aristocrazia oplitica, nonostante i contrasti:
essa realizza, nel suo esito sociopolitico, realizza un equilibrio fra i diversi
ambienti, e il tiranno, pur nascendo dalla classe oplitica e dall'aristocrazia,
occupa una posizione mediana, così che riflette nel contempo le sue origini
dalla società oplitica e la sua attenzione alle esigenze del popolo minuto.
La funzione d'equilibrio vien meno con le generazioni, con l'accentuarsi degli
aspetti personalistici o le forme di violenza del tiranno che lo isolano dalla
società: le tirannidi arcaiche non riescono a completare facilmente più di 2
generazioni, e già alla terza esplodono conflitti (Aristotele sottolineava la
durata eccezionale di 100 anni per gli Ortagoridi di Sicione).

– A Corinto la tirannide che priva del potere l'aristocrazia assai esclusiva dei
Bacchiadi è instaurata da Cipselo (figlio di Labda, dello stesso clan dei
Bacchiadi e di Eezione, del dêmos di Petra):
A) gli oracoli riportati da Erodoto riflettono una valutazione complessivamente
positiva di Cipselo (pur se Erodoto evidenzia anche aspetti negativi), e ivi i
Bacchiadi sono qualificati quali 'tiranni'. Cipselo, al confronto con il figlio
Periandro, nella letteratura del IV (Nicolao di Damasco), diventa un personaggio
nettamente positivo: idea di un peggioramento progressivo del regime quanto
a rapporti con l'aristocrazia, verso una forma più chiaramente tirannica, è
comune a tutta la tradizione;
B) l'asprezza del conflitto della tirannide con i Bacchiadi ha giustificazione nel
carattere
esclusivo/statico della dinastia bacchiade, oligarchia con abitudini
endogamiche, di re
discendenti da un ramo eraclide cadetto, che regnarono a Corinto dal 1074 al
891, per poi
prendere con Bacchide la basileía fino al 747; dopo clan diede vita a forma
'repubblicana', al
cui vertice non più basileús, ma prytanis («principe»), magistrato annuale,
scelto all'interno
della stretta oligarchia (747-657): conflitto con tale aristocrazia non fa di
Cipselo nemico
dell'aristocrazia in generale e neanche della 'classe oplitica'. In virtù della sua
funzione di
polemarco (capo militare, di opliti) si mette in luce;
C) peggioramento con Periandro: si circonda di 300 guardie del corpo,
impedisce ai cittadini di acquistare schiavi (attacco a libertà economica),
spoglia le donne dei gioielli, nefandezze di ogni genere, anche verso famigliari:
realizza solitudine totale, tópoi del destino del tiranno;

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D) Socle, alla fine del VI, è portavoce della forma politica risultante dalla
tirannide e dal suo abbattimento: una democrazia, più moderata di quella dei
Bacchiadi, per cui Erodoto suggerisce termine isocrazia, che sembra unificare
la forma democratica e quella non democratica.

– Tirannide degli Ortagoridi, nella città peloponnesiaca di Sicione:


A) si coglie un progressivo accentuarsi della rappresentazione dei caratteri
popolari della tirannide;
b) in Diodoro (come in papiro di Ossirinco), tradizione secondo cui il capostipite
della dinastia, Andrea, sarebbe mágheiros («cuoco») dei sacrifici, inserviente
addetto alle cerimonie sacrificali, che un oracolo annunciava stesse per dare
origini a lungo periodo di tirannide in città: lo trascurò, ma il figlio Ortagora,
illustratosi nel servizio militare fino alla carica di polemarco (dunque in virtù di
carriera oplitica), conquistò il potere;
C) peggioramento del regime politico e dei comportamenti del tiranno con il
tempo. Erodoto, che non esprime giudizi critici in prima persona per una forma
di rispetto agli Alcmeonidi, con cui Clistene s'imparentò, presenta
indirettamente elementi critici: la Pizia ammonì Clistene a non espellere da
Sicione il culto dell'argivo Adrasto, che fu re dei Sicionii: Clistene usa astuta
mechané, introducendo il culto del tebano Melanippo; nell'ambito delle riforme
delle tribù, secondo Erodoto, le rinominò Hyâtai, Oneâtai, Choireâtai (Sunidi,
Asinidi, Porcidi), invece di Illei, Dimani, Panfili;
D) solo con Clistene i rapporti con l'aristocrazia si deteriorano radicalmente;
E) negli scrittori successivi ad Erodoto il giudizio peggiora: Nicolao di Damasco
lo vede come tiranno più violento e crudele dei predecessori;
F) il problema specifico di tale tirannide è l'incertezza della genealogia. Mirone I
può essere divenuto il Mirone Orthagóras («rettamente parlante»: epiteto
calzante per un demagogo), ma v'è anche lo schema genealogico oggi diffuso
(che ha delle aporie);
G) certa caratterizzazione razziale della politica dei tiranni, benché si tratti di
contrapposizione
politico-sociale, maturata contro l'aristocrazia dorica, e solo a livello ideologico
e simbolico di contrapposizione razziale. Gli aspiranti alla mano di Agariste
vedono esclusione dei rappresentanti delle città 'doriche' del Peloponneso.

7. Colonizzazione greca di età arcaica (VIII secolo)


Tale movimento ha caratteri nuovi rispetto alle frequentazione di regioni del
Mediterraneo orientale e occidentale d'epoca micenea: evento d'ordine politico-
militare che rompe la continuità di lunga durata (routinier) della conservazione
ininterrotta fra le diverse rive del Mediterraneo, che i Greci riassumevano con
la formula di emporía (andar per mare, soprattutto per commerciare): quel
secolare scambio di uomini e cose fra le rive del Mediterraneo, sfondo ovvio di
contatti, che non costituiscono né un evento politico né lo sbocco chiaramente
individuabile di un processo socioeconomico.
Le interpretazioni sulla colonizzazione greca sono due: colonie commerciali o
colonie agrarie e di popolamento. Di fronte al fenomeno coloniale, è utile
guardare diversi problemi:
– le condizioni demografiche, socioeconomiche e politiche della
madrepatria;
– l’atteggiamento psicologico dei Greci di fronte alla migrazione;

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– l’articolarsi e rapportarsi delle diverse esigenze economiche,


compresenti in tutte le colonie, e le nuove situazioni che ne
emergono;
– il costituirsi di autentiche 'aree di colonizzazione', specie d'entità
macroterritoriali, se confrontato con la pólis;
– i rapporti con l'ambiente e con la popolazione locale;
– i rapporti con la madrepatria;
Le aree più vitali in epoca micenea, particolarmente quelle con strutture
palaziali, non partecipano al moto coloniale dei secoli VIII e VII: Attica, Argolide,
Beozia (a parte la Messenia, conquistata da Sparta). Nella madrepatria sono
soprattutto interessate le città dell'Istmo, Corinto e Megara, quelle euboiche
dell'Euripo tra Eubea e Beozia/Attico (Calcide ed Eretria, la quale ha una
colonizzazione effimera, da riportare a minore intesa con le altre città
colonizzatrici), e le città dell'Acaia, e in Asia Minore, Rodi, Lesbo, Mileto e altre.
Ruolo particolare in Occidente per Corinzi e Calcidesi: l'espansione non dà
luogo a competizione, ma ad una redistribuzione di aree e a reciproca
integrazione.
I Greci che fondano colonie lontane dalla madrepatria tendono a 'riprodurre' il
paesaggio, la cornice ambientale e le opportunità strategiche della città di
partenza: i Corinzi, che sull'Istmo godono di almeno due porti, ne dispongono
d'altrettanti a Siracusa.
Isthmós («andare», come si addice a una via di terra) e porthmós
(«attraversare», come s'addice a breve percorso di mare) sono termini
indicativi della mentalità dei coloni, che puntano su posizioni strategiche da
mettere a frutto camminando o attraversando.

La colonizzazione di Pitecussa (Ischia) è stata considerata l’alba della Magna


Grecia, che si direbbe risplenda tra il VII e il VI secolo. Cuma (in Campania) fu la
prima colonia greca in Italia (1050 a.C ca).
La storiografia siceliota (essenzialmente siracusana) è determinante nella
storia e nella cronologia delle colonie greche d'Occidente, fornisce indicazioni
ad annum:
o 733 per Siracusa
o 734 per Nasso
o 728/727 per Leontini e Catania (e giù di lì per Megara Iblea)
Occorre tenere in considerazione l'esistenza di mete preferenziali delle diverse
imprese coloniali, spesso tendenti a recuperare condizioni simili a quelle di
partenza e a costituire aree di una qualche omogeneità, talora interrotte da
enclaves più o meno mal tollerate: da Crotone a Sibari a Metaponto si crea
un'area achea, che non sbocca nella creazione di un'unità territoriale e politica:
le póleis restano autonome, ma costituiscono forme di solidarietà di natura
culturale, cultuale, economica e politica. Il concetto di Megále Hellás, nelle
diverse accezioni, ricopre comunque e sempre lo spazio occupato dalle colonie
achee.
I greci arrivati in Sicilia trovano stanziate varie genti non greche: all'isola
davano il nome e la facies culturale preminente i Siculi e i Sicani, i primi
attestati nella parte orientale e centro-meridionale, i secondi nella parte
occidentale. I Siculi erano considerati strettamente imparentati con le
popolazioni della penisola; si distingue tuttavia tra facies culturale ausonia,
riscontrabile nelle Lipari e nel Milazzese dal XIII, e una facies propriamente
sicula, documentabile a Pantalica, Melilli alla fine dell'età del Bronzo e del II

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millennio (distinzione convenzionale).


Nel Tardo Bronzo (dal XVI/XV al XIII), nella Sicilia orientale, soprattutto nelle
isole Lipari, si riscontra una presenza notevole di materiale miceneo (prova di
frequentazioni).
I Sicani sono della parte occidentale, rispetto ai Siculi hanno meno
caratteristiche indoeuropee: sono considerati una popolazione o
preindoeuropea proveniente dall'area iberica o indoeuropea che ha perduto i
caratteri originari. Accanto ai Siculi e i Sicani, gli Elimi, con centri di Segesta,
Erice e i Fenici, insediati a Solunto, Panormo, Mozia, nell'area nord-occidentale.
L'ellenizzazione, nel V secolo, aveva compiuto passi notevoli; nel linguaggio
comune ellenizzazione significa due cose profondamente diverse:
o Acculturazione, perciò permeazione di elementi di cultura greca,
consistenti perlopiù in oggetti archeologici, tipicamente “polisemantici”,
suscettibili cioè delle più diverse interpretazioni storiche. In tal senso i
Siculi sono stati più ellenizzati rispetto ai Sicani;

o Controllo politico del territorio. In tal senso i Sicani sono stati più
ellenizzati rispetto ai Siculi: a) tra il 488 e il 472 il tiranno di Agrigento
Terone costituisce un dominio continuo, trasversale, che attraversa il
territorio sicano tra la sua città ed Imera (costa settentrionale);
b) il territorio selinuntino confina con quello segestano, e ciò ha
comportato una qualche capacità di tenere sotto controllo la popolazione
sicana dell'area o delle sue vicinanze. In tale direzione avanzò Falaride
nel IV: gli scontri che affrontò mostrano che i Sicani erano capaci di una
resistenza spentasi nel secolo successivo.

Complessa quanto istruttiva la storia del rapporto di Siracusa e di Gela


(doriche) col proprio
hinterland. Siracusa fonda Acre nel 663 e nel 643 Casmene; nelle prime tre
generazioni della colonia il problema principale è un controllo del territorio in
profondità, primariamente nella valle dell'Anapo, via di penetrazione verso
l'interno e minaccia dell'interno sulla costa.
Nel 598 Siricusa 'sfonda' sulla costa occidentale, creando Camarina: il disegno
siracusano appare quello della costituzione di un territorio ampio e continuo,
con la conquista di un sito sulla costa occidentale, già occupata, verso nord, da
Gela (fondata da coloni cretesi nel 688) e da Selinunte.
Successiva alla fondazione di Camarina sembra la nascita di una sottocolonia
geloa, Akragas
(Agrigento), forse da collegare con fermenti politici in Gela, e com'è confermato
dalla precoce
instaurazione di una tirannide ad Agrigento, con Falaride.
Il rapporto di Siracusa con la popolazione del territorio è caratteristico: essa
viene asservita, ma costituisce uno strato sociale di particolare rilievo, se ha
una sua denominazione particolare (Kyllyrioi), ed è capace d'istituire forme di
convivenza e alleanza politica con gli strati popolari siracusani, con il dâmos,
che nel V secolo è già polo opposto a quello dei gamóroi (pro. terrieri).

Elementi per capire l’estensione del dominio di Siracusa:


Ippocrate, tiranno di Gela, muore nel 491 combattendo contro la sicula Ibla:
assediò, nell'area etnea, Callipoli, Nasso, Leontini, più a nord Zancle, più a sud
Siracusa e i di lei alleati Siculi: i tentativi riescono con le città calcidesi, ma

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falliscono contro Siracusa (aiutata da Corinzi e Corciresi) e contro i Siculi di Ibla


-> il tentativo di costituire dominio continuo trasversale, dalla costa
occidentale a quella nord-orientale, fallisce di fronte alla resistenza indigena e
da parte dei Greci.
Il successore di Ippocrate, Gelone, più concentrato su aree tradizionalmente di
competenza siracusana o vicine ad essa: interviene a Siracusa in favore dei
gamóroi esuli a Casmene, contro il dâmos e i Kyllyrioi; trasferisce il centro del
suo potere da Gela a Siracusa, dove concentra tutti i Camarinesi, più di metà
dei Geloi e gli aristocratici di Megara e gli Eubeesi di Sicilia, vendendo in
schiavitù la parte più umile delle città vinte: idea di sviluppo demografico e
urbano del centro-guida, Siracusa, che ha l'effetto d'indebolire e obliterare altri
centri greci, e ciò comporta una concezione territoriale del dominio di Siracusa,
che può costare sacrificio di altre città greche; meno perseguito disegno di
Ippocrate di dominio territoriale indifferenziato sui centri siculi.
Poco dopo il 580, Pentatlo arriva in Sicilia con un manipolo di Cnidii e trova il
”tutto esaurito” rispetto alla possibilità di nuovi insediamenti greci (l’ultima
fondazione è del 580, di Agrigento). Appellandosi alla sua discendenza da
Ippote, discendente di Eracle, cerca d'insediarsi al Lilibeo e forse ad Erice,
sostenendo Selinunte contro Segesta, ma è sconfitto e ucciso da Elimi e
'Fenici'; suoi seguaci occupano le Eolie (Lipari ne diventa centro cittadino), in
cui si realizza esperimento comunistico, sentito come singolarità.

Gli sviluppi politici interni alle colonie, tra la fondazione e il VI secolo,


costituiscono uno dei capitoli più difficili della storia della grecità coloniale.
I primi due secoli di vita delle colonie occidentali sono anche quelli in cui da un
regime sociale tendenzialmente ugualitario si passa ad una sempre maggiore
stratificazione sociale, la quale determina la possibilità di conflitti (stáseis), con
conseguenti espulsioni o pericolose successioni di una parte di corpo civico, e
potenziali cambi di forme di regime (le primi tirannidi siceliote – Panezio a
Leontini - hanno ancora motivazioni simili a quelle delle tirannidi arcaiche in
genere; quelle di fine VI e soprattutto V secolo presentano motivazioni e
sbocchi più caratteristici).
L’area della colonizzazione greca in Italia e Sicilia è solo quella di maggior
addensamento della presenza greca fuori dalla madrepatria, ma non vanno
trascurate, nel contesto delle imprese coloniali greche, quelle che portano i
Greci nella regione degli Stretti, dall’Ellesponto al Bosforo, inoltre sulle coste
del Mar Nero, in Egitto e Libia. Questa colonizzazione però appare come la
prosecuzione e lo sviluppo di una sorta di migrazione/colonizzazione 'interna'
compiuta dai Greci nell'Egeo (fine VIII e VII):
- spicca ancora contributo dei calcidiesi d'Eubea, che colonizzano isole a
nord dell'Eubea e
vari siti della penisola poi chiamata Calcidica;
- Eretriesi occupano, sul golfo Termaico, Pallene e Metone (area
macedone);
- Corinzi fondano, sull'istmo della Pallene, Potidea (epoca di Periandro);
- fondazione colonia di Taso ad opera dei Parii (prima metà VII);
- Clazomene ad Abera, città ionica d'Asia Minore, impianta una colonia
(650), distrutta dai Traci;

Dalle città eoliche e ioniche d'Asia muovono molte delle colonie greche delle
coste dell'Asia Minore:

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- in Troade si stanziano i Lesbi, che colonizzano anche Eno (Tracia) e


Alopeconneso;
- Milesii, secondo Plinio, avrebbero fondato 90 città, nell'area degli Stretti e
nel Mar di Marmara, e una frangia in Asia Minore, sulle coste meridionali
del Ponto Eussino, e vicino alla foce del Danubio (Istro), e alla foce
dell'Ipani, e in Crimea (Teodosia), e sul Bosforo Cimmerio;
- Megara, presso il Bosforo, fonda Calcedone. Da Megara o da sue
sottocolonie deriva, sul Mar Nero, Eraclea Pontica.
L’ellenizzazione dell'area del Ponto non è, sul piano culturale e politico,
paragonabile a quella d'Italia e della Sicilia.

3. Sviluppi politici del VI secolo


1. Solone
L’opera di Solone, arconte nel 594/593 secondo Diogene Laterzio, o nel
592/591 secondo Aristotele, porta a piena maturazione le premesse politiche e
sociali della comunità aristocratica attica del medio arcaismo. Egli opera:
 sul terreno sociale con azioni innovative, volte a sanare i guasti
determinatisi nel corso del tempo nel corpo sociale e nell'economia;
 su quello politico-costituzionale con leggi costituzionali (autore di leggi
costituz.= nomoteta), che sostituirono i thesmoí di Draconte. Non fu
autore di riforme che stravolsero il vecchio profilo politico ateniese o la
realtà socio-economica (assetto proprietario) dell'Attica; egli fu un
codificatore, capace di portare ordine nelle vecchie e conservate
strutture.
Non fu creatore della democrazia, anche se si avverte un filo di sviluppo tra la
sua azione e il
formarsi di gruppi e programmi politici differenziati, con relativi conflitti, e
quindi la
tirannide di Pisistrato e la democrazia creata dall'alcmeonide Clistene nel
508/507.
Solone avverte divario tra la struttura politica, che va conservata anche se
perfezionata e resa stabile, e il rapporto sociale diventato conflittuale tra ricchi
e poveri, cioè tra i proprietari delle terra e i suoi coltivatori. È soprattutto in
gioco la condizione degli hektémoroi, che lavorano la terra per conto dei ricchi,
versando forse come canone 1/6 del prodotto, e rispetto a ciò sono spesso
morosi,
rischiando d'essere venduti schiavi e come tali trasportati fuori dall'Attica.
Con la crisi del potere miceneo si accentua in Attica la frantumazione delle
proprietà che porta ad un'articolazione collegata alla presenza sulla terra dei
suoi diretti coltivatori, che rapidamente ne diventavano possessori di fatto, con
obblighi di tipo tributario verso i grandi proprietari (unici ad avere titolo legale).
Solone proibisce la schiavitù per debiti, cioè la sua premessa, che è la
possibilità di contrarre debiti e assumere ipoteche sui propri corpi; abolisce i
debiti; riforma il sistema monetario, cioè sostituisce la dracma pesante
(dracma eginetica, 6,2 g) con la dracma leggera (dracma euboica, 4,36 g) ->
svalutazione della moneta del 30% che riduceva i debiti di altrettanto.
Sul piano politico-costituzionale conferma le vecchie articolazioni censitarie, le
vecchie classi (téle),
forse aggiungendone una, la prima, e definendo i termini quantitativi degli
ormai 4 téle:

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 Pentacosiomedimni: con rendita annua di 500 medimni di frumento (o


500 metreti di vino o olio), ad essi spetta carica di arconti e tesorieri;
 Cavalieri, con 300 medimni di frumento;
 Zeugiti, con 200 medimni di frumento;
 Teti (o salariati), sotto i 200: possono partecipare all'assemblea (ekklesía)
e al tribunale del popolo (heliaía), creato o massimamente potenziato da
Solone.

Forse arricchì il vecchio quadro istituzionale con nuovo consiglio, quello dei
400, cento per
tribù (divise in tre 'terzi' trittyes, e in 12 naucrarie, cioè distretti con funzioni
finanziarie).
Si tratta di articolazioni ulteriori dell'assetto tradizionale, che nella coscienza
generale sono
rafforzamento, non cesura: rifiutò le sollecitazioni a farsi tiranno, rifiuta la
redistribuzione della terra, che avrebbe significato rovesciamento dei diritti
formali di proprietà, quelli dei grandi proprietari, unici a possedere tali titoli che
fossero formalmente definiti.
Favorì l'artigianato, la produzione ceramica, con un certo sviluppo commerciale
(favorì
esportazione olio, pur vietando altre forme di esportazione).
Solone si presenta come valorizzatore del politico, come creatore di valori
comunitari, la sua debolezza sul terreno dei fatti fu di operare solo mediazioni:
è il dialektés, pacificatore, il grande mediatore, non vuole essere tiranno.
Quando si trasferisce per commercio e turismo in Egitto, ad Atene riprendono le
stáseis (conflitti politici) dopo 5 anni una nuova anarchia (= assenza di
arconte), e poi un arcontato di durata eccezionale di Damasia, seguito un
arcontato decimvirale, a cui succede un'articolazione in 3 gruppi politici,
composto da 5 eupatrìdai (gente id nobile lignaggio), 3 àgroikoi (contadini), 2
demiourgoì (artigiani); poco dopo troveremo una diversa articolazione sempre
in 3 gruppi politici, questa volta
su base territoriale: i pedieis (i proprietari terrieri del pedìon), i paràlioi
(proprietari di regioni costiere) e i diàkrioi (quelli della zona montuosa). Non
veri partiti, con ideologie, ma uno strumento di soluzione dei conflitti.
Solone aveva interpretato il ruolo dell'uomo di potere come una funzione di
mediazione degli interessi in conflitto, che operasse con la forza della legge ed
entro i limiti delle competenze magistratuali: era l'antitiranno.

2. La tirannide di Pisistrato
Nella carriera di Pisistrato si scorge lo stretto rapporto tra oplitismo e tirannide;
egli crebbe in prestigio e potere dopo esser stato polemarco, carica con la
quale conseguì importanti successi contro Megara, a cui furono sottratti l'isola
di Salamina e il porto di Nisea. I successi militari aprono la strada politica di
Pisistrato, che diventa capo dei diacrii (a capo dei pediaci Licurgo, a capo dei
paralii Megacle). Ha un programma politico e sociale molto più marcato di
quello soloniano, volto a dare una soluzione ai problemi che l'opera soloniana
aveva lasciato senza risposta: uno sviluppo della piccola proprietà e una
politica estera di espansione, di ricerca di reali punti d'appoggio per le attività
commerciali, a cui Solone aveva fornito più stimoli che non occasioni
d'esplicarsi in concreto.

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Non era facile instaurare una tirannide, col grado di coscienza politica e
comunitaria maturata ad Atene: resistenze molteplici provenivano da radicate
tradizioni di bilanciata gestione del potere, dal
vigoroso rafforzamento di tali principi nell'opera soloniana, dall'esistenza di più
'partiti' in città.
Non a caso, ad Atene, la tirannide è anticamera, premessa storica – non
pacifica – di democrazia. Ad Atene il treno dei rapporti politici è più avanzato
che in altre città (a Solone seguono decenni di dialettica politica, che
confermano scontro sociale e significano anche riluttanza a tirannide):
Pisistrato tenta 3 volte l'ascesa al potere (561/560; 549; 534/533) e 2 volte
viene indotto all'esilio.
Nell'ambito dei 3 tentativi emerge solo progressivamente la figura del tiranno,
e, per Aristotele, almeno nel primo periodo di potere governò più da 'politico' e
da 'cittadino' che da 'tiranno' (nella concez. politica greca tirannide è forma di
anticittà).

Il primo (561/560 - 556/555):


ottiene una guardia del corpo simulando un ferimento da parte degli avversari
politici, e si presenta come nemico della guerra quotidiana fra partiti, come
tutore della conciliazione e dell'ordine; viene contrastato inutilmente da Solone
(testimonianze storiche di Erodoto e Aristotele).
Pisistrato, illustre per le imprese contro Megara, a cui tolse Nisea, suscita un
terzo partito, quello degli diàkrioi, accanto ai due esistenti (pediakoí, partito
della pianura, parálioi, quello della costa); feritosi, chiede al popolo guardia del
corpo, ottenendo i korynephóroi (mazzieri), e non i doryphóroi (lancieri),
evitando così di ferire l'orgoglio oplitico.
Occupa l'acropoli, non cambia né magistrature né leggi, amministra bene e
ordinatamente la
città con regole tradizionali; egli sembra aisymnétes, arbitro e pacificatore fra i
gruppi in lotta, che sono in realtà all’origine del suo primo esilio: l’alleanza tra
Licurgo e Megacle impone il suo esilio che durerà 6 anni (555-549, Aristotele).

Il secondo (549-543/542):
il rientro, quindi l'inizio del 2° periodo di tirannide, è dovuto ad un’alleanza fra i
diákrioi di Pisistrato e i parálioi di Megacle (staccatisi dall'alleanza con la
grande proprietà del pedíon), e secondo un modulo spesso ricorrente, l’alleanza
politica è suggellata da un'alleanza matrimoniale (figlia di Megacle).
Stratagemma: una donna di altissima statura del demo di Peania, abbigliata
come la dea Atena, è fatta montare sul carro, in città preceduto da araldi,
annuncianti che la dea in persona riconduce Pisistrato al potere: ancora un
rientro in legittimità e tradizione. L’alleanza politica non regge, pare per
inadempienze matrimoniali di Pisistrato, che secondo Erodoto non volle figli
dalla stirpe sacrilega e maledetta degli Alcmeonidi; già sposato e ragionante in
termini di continuità dinastica, pensa agli interessi dei figli già avuti, non
propende per continuare la dinastia di Megacle, che sembra anch'egli entrato
nella logica della tirannide. La crisi dei rapporti fra suocero e genero, secondo
la Costituzione degli Ateniesi, scoppia nel 7° anno: Pisistrato lascia il potere
sotto la pressione dei due gruppi opposti, di nuovo collegati fra loro.

Il terzo (533/532-528/527):

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Dopo altri 10 anni di esilio (543/542-533/532), Pisistrato torna al potere per


rimanere fino alla morte, dopo la quale gli succede il figlio Ippia, fino al
511/520, anno della sua espulsione. Solo qui si hanno mezzi straordinari e
illegali, che fanno sostanza della tirannide: stabilisce il quartier generale fuori
città e dall'Attica, prima a Raicelo (Tracia) e poi nella vicina Eretria (in Eubea);
ottiene da Tebe aiuti in denaro, mercenari da Argo, sostegno dai cavalieri al
potere ad Eretria, e il supporto di Ligdami di Nasso (poi tiranno dell'isola delle
Cicladi); molto attivo nell'impresa è il figlio Ippia.
L’esercito insurrezionale sbarca a Maratona, e si rafforza dall'apporto di
partigiani dalle città e dai demi della campagna: l'esercito regolare gli va
incontro: vinta la battaglia, Pisistrato imbocca la strada della 'riconciliazione'
cittadina, pur provvedendo a rafforzare e radicare la tirannide con
numerosi mercenari, reclutati con proventi delle miniere presso lo Strimone in
Tracia. I figli degli ateniesi irriducibili sono trasferiti a Nasso come ostaggi; forse
gli Alcmeonidi lasciano la città.
Solo in questa terza fase la tirannide è una realtà piena; e solo in questa fase
Pisistrato che, come la maggior parte dei tiranni, proviene dai ranghi oplitici, si
pone in contrasto con loro: con uno stratagemma disarma gli ateniesi, li
'disoplitizza', rinviandoli alla cura delle faccende private.
La carriera di Pisistrato prova la complessità del distacco della tirannide dalla
matrice aristocratico-oplitica che la genera: per Aristotele egli volle sempre
gestire il potere secondo le leggi, e perciò con facilità riconquistava il potere
ogni volta che lo perdeva, perché lo volevano al tempo stesso «i più dei notabili
e del popolo». Sulla tirannide di Pisistrato sono unanimi le valutazioni positive
della tradizione antica: egli non cambiò leggi, ma si limitò ad occupare i
tradizionali posti di potere tramite parenti e amici (Erodoto e Tucidide); secondo
Aristotele governò con moderazione, più da cittadino che da tiranno (in parte
condizione obbligata in una società politicamente evoluta e cosciente come
quella ateniese). Inoltre, il paragone con il figlio Ippia, dall'aspro
comportamento, giovò alla sua immagine.
Pisistrato istituisce una forma di credito fondiario per favorire lo sviluppo
dell’agricoltura e
probabilmente anche della piccola proprietà terriera: politica con decisiva
componente rurale.
Impossibile ridurre la sua politica ad affermazioni pure e semplici dei diritti
della popolazione rurale contro quella urbana: la creazione di 'giudici itineranti'
per i dêmoi attesta l’attenzione alla campagna, ma la creazione delle grandi
Dionisie cittadine (pur aventi radici contadine) significa
mirare a un coagulo degli interessi della campagna e dell'ásty, a un
rafforzamento dei momenti di
unificazione della città nella sua interezza.
La tirannide, paradossalmente, anche contro le intenzioni, favorisce una
formazione di valori statali, che rafforzano l’idea di comunità come sede di un
potere distinto da quello dei singoli membri e ad esso superiore: matura il
processo di separazione e distinzione tra società e Stato.
La fiscalità, con una nuova nozione, vede definita un'imposta diretta (del 5 o
10% del prodotto): fondi che servono anche a finanziarie l’allestimento della
flotta. Sembra doversi a Pisistrato la creazione di un numero ristretto di ufficiali
superiori, gli strateghi; così anche di un corpo di mercenari sciti, con funzione
di polizia -> la guardia del corpo dà l’idea di un potere armato supremo,
distinto e incombente su cittadini.

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La politica estera è volta ad assicurare una presenza più significativa e solida di


Atene in zone per cui esisteva già un interesse tradizionale e di cui Pisistrato
aveva diretta esperienza: la riconquista di Salamina e la presa di Nisea sono
imprese di Pisistrato anteriori alla tirannide (forse 570). Riguardo alle isole
dell’Egeo centro-meridionale, egli applicò una politica non espansionistica, ma
più di prestigio, influenza, solidarietà: attuò il consolidamento dell’influenza a
Delo e buoni/stretti rapporti con Policrate, tiranno di Samo.
Diverso per l’Egeo nord-orientale: nel Cheroneso tracico s'insediò Milziade I,
figlio d'un Cipselo, della famiglia dei Filaidi (ricca e potente famiglia ateniese->
dominio famigliare). Nella Troade riconquista definitivamente la posizione di
Sigeo, strappata già ai Mitilenesi: Pisistrato v'impianta un dominio personale e
famigliare.
Milziade II (figlio di Cimone, fratello di Milziade I) colonizza le isole di Lembo e
Imbro, poi sedi dei cleruchi ateniesi. Il Cheroneso, Lemno e Imbro andarono
temporaneamente perduti per Atene dopo l’insurrezione ionica; dopo le guerre
persiane, Atene riprenderà questi possedimenti che, a questo punto, e
conformemente al clima politico del V secolo, saranno veri domini della polìs,
non possedimenti personali.
La tirannide arcaica non è 'malattia mortale' dell'aristocrazia (Burckhardt): fu
regime nato da crisi e
conflitti, destinato a creare traumi, ma 'malattia vitale' dato che ne nacquero
comunità politiche
diverse da quelle d'epoca pretirannica. Si segnala lo sviluppo artigianale e
commerciale, confermato da uno sviluppo monetario (che tuttavia giungono da
premesse storiche anteriori a Pisistrato).

Nel VI si definisce anche il ruolo egemonico di Sparta nel Peloponneso: come le


guerre spartanomesseniche sono seguito espansionistico dell'assestamento del
dominio spartano in Laconia, così i conflitti successivi mettono Sparta a
confronto con la composita realtà cantonale della montuosa regione
dell'Arcadia, e con un dominio di Argo, che raggiunse dimensioni ragguardevoli
lungo il fianco orientale del Peloponneso: per Erodoto, all'epoca di Creso di
Lidia (560-546) si era già costituito quel bipolarismo egemonico Atene-Sparta
che poi si accentuerà. Il conflitto di Sparta con Argo pare di lunga durata:
battaglia di Isie (669/668: vince Argo) e vittoria di Sparta a Sepeia (494). Tra VII
e VI la pressione spartana su Argo è sempre più forte e vicina: il contrasto con
gli Arcadi s'era già manifestato con la II guerra messenica (messenii ebbero
aiuto, poi rivelatosi infido, di Aristocrate, re arcadico di Orcomeno); forse il
resto dell'Arcadia, con i suoi distretti montuosi, era preda poco appetibile, o
difficile: più desiderabile la piana di Tegea, più pericoloso il suo dominio sulla
Sciritide, minaccia sull'alta valle dell'Eurota (guerra con Tegea nel VI). Tale
profilo della storia spartana del VI è funzionale a delineare il contesto formativo
della Lega peloponnesiaca: la prima attestazione di essa è del 506. Ma si
ritiene che il 524, anno
dell’intervento di Sparta a fianco dei Corinzi contro Policrate tiranno di Samo,
rappresenti il terminus ante quem. La Lega presenta un rapporto egemonico
lasso, vige il principio dell'autonomia: niente tributi (o tributi fissi), niente
guarnigioni spartane nelle città alleate; rappresentanza dei membri nel sinedrio
federale; decisioni a maggioranza. La Lega è da considerarsi nata sul terreno
delle intese di fatto e gradualmente crescenti.

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A Sparta si accostano città dell'Arcadia e del Peloponneso sud-orientale, e


quelle dell'Akte
argolica (Ermione, Epidauro), insofferenti del predominio argolico, ed Egina,
Corinto, ecc.
Sparta sperimenta uno strumento di difesa ben diverso dal dominio ferreo
esercitato in Messenia:
perciò l'invasione dell'Attica, dovuta a iniziativa spartana, poteva avvenire
anche in presenza
di un organismo federale già esistente, che niente però imponeva di utilizzare.

3. La tirannide dei Pisistrati. La politica estera di Sparta


Nel 528/527 a Pisistrato succedono i figli: Ippia e Ipparco (nati da moglie
legittima) e Iofonte e
Tessalo (dalla coniuge argiva, Timonassa figlia di Gorgilo); è da sottolineare lo
stretto rapporto con Argo che sarà fra le cause dell'ostilità di Sparta verso la
discendenza di Pisistrato al potere di Atene.
Il potere formale è nelle mani di Ippia, maggiore dei figli e migliore politico;
Ipparco è l'intellettuale, praticante del mecenatismo verso poeti (poesia di
corte).
L’accentuarsi di una pratica personale del potere e dei connessi abusi
determina la crisi della tirannide, che comunque esplode solo 14 anni dopo la
morte di Pisistrato (514/513).
Secondo diverse tradizioni è Tessalo, l’irregolare e violento della famiglia, a
creare il caso, oppure Ipparco: invaghitosi del giovane Armodio, ma da lui
respinto, passa a comportamenti persecutorii,
infamandolo per costumi e negando alla sorella di fare da canèfora
(«portacanestre») alle feste
Panatenee, in quanto parente di un corrotto. Armodio era amico di Aristogitone:
da un fatto personale nasce la prima grave crisi e congiura che dovrebbe
eliminare Ippia e Ipparco durante la processione delle Panatenee. L’
impressione di essere stati scoperti sconsiglia però ai congiurati a dar seguito
all’attentato contro Ippia che accoglieva la processione sull'acropoli, ma
uccidono Ipparco. I due congiurati furono trucidati. I tirannicidi nella
convinzione del popolo ateniese erano destinati a figurare come restauratori
della libertà e fondatori della democrazia: l’avvento della tirannide non aveva
cancellato l’opposizione, anzi la aveva con il tempo rafforzata. Gli Alcmeonidi,
esuli a seguito del 3° avvento di Pisistrato, s'erano creati base a Delfi, dove
assunsero l’appalto della ricostruzione del santuario, devastato da un incendio
nel 548 a.C.
Nel VI secolo nemica delle tirannidi è Sparta: tramite la Pizia, e in forza dei
radicati rapporti tra Sparta e Delfi, gli Alcmeonidi riuscirono ad averne aiuto,
nel 511/510 e dopo reiterati tentativi:
 primo tentativo, nel 513, compiuto da soli: dura sconfitta a Lipsidrio, nella
Diacria (a fianco di Ippia dei cavalieri tessali);
 intervento spartano: prima volta fallimento (piccola schiera di opliti), la
seconda, con l'intervento di re Cleomene I, che assedia Ippia, arroccatosi
sull'Acropoli, è vincente.
V'era anche l’opposizione interna, di cui è espressione la congiura del 514/513;
la presenza di un’opposizione interna diversa da quella degli Alcmeonidi si
dimostra dagli eventi seguenti la cacciata di Ippia (510): si apre un aspro
scontro tra l'alcmeonide Clistene, fautore di profondo rinnovamento politico-

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costituzionale (che fu poi la democrazia) e Isagora, fautore dell'oligarchia, esito


gradito anche a Sparta (fonte: Erodoto).
Poiché l’abbattimento della tirannide dei Pisistratidi avvenne in due tempi
(514/513 e 511/510), nell’opinione pubblica emersero diverse valutazioni circa
la maggiore importanza dell’uno o dell’altro dei due momenti: tra la gente era
fermo il sentimento di gratitudine dei confronti dei tirannicidi, Armodio e
Aristogitone; sarà l’ambiente pericleo a ridimensionare, se non denigrare,
l’impresa dei due amici tirannicidi.

Nel 506, ad Ippia, deluso dalla mancata restaurazione della tirannide da parte
degli Spartani che lui dava per scontata, i Tessali, provarono ad offrire, come
dominio sostitutivo, Iolco, e i Macedoni Antemunte. La linea pro-tessalica dei
Pisistradi era maturata in un atteggiamento antibeotico, e specificatamente
antitebano: infatti da tempo i Beoti avveano contrastato vittoriosamente
l’egemonia tessalica nella Grecia centrale; si apre così un capitolo di rapporti
strettissimi fra Atene e Platea, che durerà a lungo nella storia greca.

4. Policrate tiranno di Samo (dal 537 a 522)


La tirannide di Policrate a Samo appartiene al tipo di tirannidi di fase arcaica
avanzata, che più rapidamente sboccano in conflitto con l’aristocrazia locale e
giungono per vie traverse a porre premesse per la democrazia (infatti, dopo la
morte di Policrate, Meandrio, suo ex-segretario, instaura un regime isonomico).
Tuttavia anche per Policrate il cliché della genesi delle tirannidi arcaiche è
palese:
 è di origine aristocratica;
 è venuto in conflitto con l’aristocrazia cittadina: una dura opposizione gli
si solleva contro, la quale provocherà l'intervento di Sparta (nel 524, che
dopo quaranta giorni di assedio si concluderà in un nulla di fatto);
Pitagora è il più celebre antagonista;
 con 15 opliti conquista il potere (fonte Erodoto);
 sembra aver disarmato, cioè 'disoplitizzato', i concittadini;
 governa quindi con l’aiuto dei mercenari;
 possibile che fra i suoi avversari vi fosse anche il proletariato dei
pescatori di Samo, ad ogni modo Policrate non appare come capo di
alleanza tra ceti medi e proletariato.

La sua tirannide:
 ambizioni talassocratiche, esplicantisi in una temibile attività piratesca;
 esistenza di una corte e di poeti di corte;
 sviluppo industria della lana;
 grandi opere portuali, costruzione di gallerie e acquedotti.

La tirannide samia appartiene inizialmente a quel tipo di tirannidi, proprie della


Ionia, costituenti altrettanti regimi fiduciari della Persia: il tiranno quale agente
del gran re. La politica di Policrate era però troppo autonoma nei confronti del
re di Persia e dei suoi satrapi, e suscitò il loro sospetto e gelosia: Orete, satrapo
di Lidia, lo attirò con inganno a Magnesia e lo fece giustiziare come traditore
del sovrano e ne crocifisse il cadavere nel 522.

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4. La fine dell'arcaismo. L'avvento della democrazia, le


guerre persiane
1. Clistene e la fondazione della democrazia
Gli Alcmeonidi, rientrati ad Atene con l'aiuto di Sparta, posero presto mano a
una radicale riforma delle istituzioni politiche. Clistene opera una nuova
geografia/geometria dei rapporti politici (508):
 sistema tribale ateniese: divide lo stato in dieci tribù territoriali al posto
delle quattro tribù personali, allo scopo di eliminare i vecchi gruppi di
potere che monopolizzavano da tempo la vita politica ateniese;
 l’appartenenza alla tribù non dipende più dal rapporto personale e
famigliare, ma dalla residenza: sono adesso i demi, cioè le piccole
comunità, le cellule vitali della nuova struttura politica (i Greci furono
grandi inventori e plasmatori della comunità politiche, secondo principi
Clistene
d'aritmetica e geometria politica, particolarmente centrali nella divide la
riforma
clistenica); popolazione ateniese in 10
 della vecchia struttura permane l’articolazione in 3 sezioni, tribù,
d'unche prima erano 4.
terzo
ciascuna (trittyes); Queste 10 tribù le suddivide
 dei 3 vecchi gruppi politici (pediaci, paralii, diacrii) resta una
poitraccia,
in 3 sezioni (presenti
ma non più come basi di distinti gruppi di pressione, con interessi
anche nelle vecchie 4) e
economici definiti: tale tripartizione diventa, con lieve modifica, il in tutto 30 trittie;
forma così
quadro geografico per la costituzione del territorio di ciascuna tribù,
queste 3 sezioni sono
constante di una trittys dell'ásty (città), di una della mesógaia (interno),
urbana, costiera ed
di una della paralía (costa).
entroterra.
Il principio è quello di immettere nella nuova base della struttura comunitaria,
fondendole nella medesima tribù, frazioni che un tempo facevano blocco,
ciascuna, con altre località confinanti, e costituivano la base della divisione
dell'Attica in gruppi politici regionali contrapposti, equivalente alla
contrapposizione fra consorterie regionali capeggiate dalle grandi famiglie
(ghéne).
Ora ogni tribù contiene di tutto: e gli organi magistratuali rispettano
proporzionalmente, e secondo una rotazione, la struttura di raccordo che è la
tribù.
La parola d'ordine della riforma di Clistene, come afferma Aristotele nella
Costituzione degli Ateniesi, è «mescolare la popolazione», rendendo impossibile
la ricerca delle origini famigliari e quindi dei rapporti di interesse.

Nuove istituzioni:
 consiglio dei Cinquecento (boulé), sorteggiando 50 membri per ogni
tribù, e avrà così larga applicazione il titolo, altrimenti grandemente
selettivo, di prytanis («primo, principe»);
 la prytaneía è di 1/10 della boulé, quindi 50 membri (buleuti appartenenti
alla stessa tribù), e per 1/10 dell'anno (35/36 giorni) questa prepara
l'ordine del giorno (prógramma) e talora si occupa anche delle funzioni
consiliari (probuleutiche): la tribù per un tempo determinato può
rappresentare città;
 al calendario naturale, astronomico, si affianca quello politico scandito
secondo il numero 10: in ogni pritania ci sono un’assemblea ordinaria e
tre straordinarie.

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La residenza è la base dell'assetto costituzionale. Un’altra componente


essenziale è la campagna, il territorio con la sua autonomia locale; accanto ai
demi sussistono le fràtrie, con funzioni di stato civile, e le naucràrie, vecchie
strutture dello Stato aristocratico, con funzioni modificate e ridotte.

 non vengono abolite nella costituzione clistenica le distinzioni censitarie


presenti nella costituzione di Solone; l’opera di unificazione e
redistribuzione clistenica era diretta contro le spinte corporative
d'interessi locali, espressi dall'aristocrazia regionale, non contro il
principio dell'efficacia politica della condizione economica e del censo,
come parametri generali:
° permane la divisione in pentacosiomedimni, cavalieri, zeugiti, teti;
° le massime cariche sono ancora eleggibili e non sorteggiabili (es.
l’arcontato).
 Clistene escogita un sistema preventivo contro la tirannide, e istituisce
l’ostracismo, procedura semplice e democratica con cui si denunciava, in
due tempi (nelle assemblee principali della 6° e 8° pritania), il timore che
qualcuno e poi semmai un determinato personaggio politico fosse un
pericolo per la democrazia (la prima volta sarà nel 487 contro Ipparco di
Carmo, dei Pisistratidi).

Clistene doveva aver già elaborato gran parte della sua riforma costituzionale
quando gli si oppose Isagora, spalleggiato da Cleomene I, re di Sparta: primo
scontro vinto da Isagora, che ottenne l'arcontato pel 508/507, e 700 case di
partigiani della democrazia (fra cui gli Alcmeonidi) furono bandite. Venne allora
la risposta popolare: Isagora e Cleomene, assediati sull’Acropoli s'arrendono,
e Clistene rientra, e si ritiene abbia qui completato la sua opera.
Dal 506 le minacce si addensano, vecchi rivali si coalizzano contro Atene:
- I Beoti e i Calcidesi invadono l'Attica, ma respinti subiscono il
contrattacco, con una clamorosa sconfitta di Beoti ed Euboici;
- gli Spartani premono sulla Lega peloponnesiaca per un intervento contro
Atene e per la restaurazione della tirannide di Ippia, ma i Corinzi
s'oppongono e, con successo, fanno riflettere gli Spartani sui mali della
tirannide: la democrazia adesso respira.

2. La politica espansionistica dell'impero persiano (durante il regno di Dario)


Con le conquiste di Ciro il Grande e del figlio Cambise l'impero persiano
raggiunge dimensioni vastissime: dalle coste occidentali dell’Asia Minore al
Caucaso, al confine con l'India, all'Egitto. L’avvento di Dario introdusse nuove
forme organizzative nella struttura dell'impero e un nuovo
dinamismo nella politica verso l'esterno:
o organizzazione amministrativa e fiscale in 20 satrapie, che consentono
introiti annui di 14.560 talenti d'argento euboici;
o spedizione contro gli Sciti (513) per consolidare i confini, in tal caso
ritenuti naturali (Erodoto): dall'Istro (Danubio) ad occidente, al Fasi (nel
Caucaso) ad oriente. Assoggettano la costa tracica fino al fiume
Strimone, al di fuori di questi confini resta il mondo scitico.

3. Dall'insurrezione ionica alla battaglia di Maratona (500-490)


Le origini del conflitto greco-persiano vanno ricercate nelle condizioni dei Greci
della Ionia, nei loro

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rapporti con i dominatori persiani, nei loro malumori (Erodoto).


La rivolta degli Ioni d'Asia ha una premessa nell'episodio di Nasso (500):
Aristagora, nuovo tiranno di Mileto, propone ad Artaferne, satrapo di Sardi, una
spedizione contro l'isola di Nasso, fiorentissima tra le Cicladi, col pretesto di
lotte civili e l'intento di ricondurvi gli aristocratici scacciati. Dopo quattro mesi
d'assedio la spedizione fallisce, e Aristagora, che teme le conseguenze del
fallimento di una spedizione da lui suggerita, dà inizio alla rivolta; in patria
d’altronde doveva esserci un sotterraneo fermento contro i Persiani: Aristagora
depone la tirannide, cioè la funzione di rappresentanza della Persia, e subito
viene preso in considerazione il modello ateniese.
Le cause della rivolta ionica contro la Persia sono due e di intrecciano tra loro:
l’insofferenza per lo sfruttamento economico (risultante dall'esazione del
tributo da parte persiana) e il desiderio di libertà.
Aristagora chiede aiuti prima a Sparta, ma Cleomene rifiuta (pensa alle
dimensioni dell'impero persiano); migliore accoglienza da parte di Atene: segno
che cominciano ad operare richiami di natura ideologica (regime antitirannico e
popolare) e si rafforzano legami culturali, come quello di
origine ionica comune (comporta anche intervento dell'euboica Eretria).
I tiranni vengono abbattuti in tutte le città ioniche; Ioni, Ateniesi ed Eretriesi
attaccano quartieri
periferici di Sardi: ora anche Caria, Licia e Cipro si aggiungono alla ribellione
(498).
La brevità dell’impegno ateniese ed eretriese era dovuta alle condizioni e alla
finalità della rivolta: una volta ottenuta la liberazione dalla Persia, di più non si
voleva né doveva fare; a consolidare il risultato adesso dovevano provvedere
gli Ioni stessi.

L’adesione di Cipro fu solo parziale (498-496): Amatunte e Cizio erano rimaste


fedeli al re, i ribelli battuti presso Salamina da un esercito persiano, sbarcato
nel 497. Salamina e poi Soli rientrano nei ranghi. Il fallimento della rivolta di
Cipro fu uno dei tanti fattori della fine della rivolta ionica.
Aristagora abbandona il campo e cerca d'impiantare un dominio alla foce dello
Strimone in Tracia, ma muore a Mircino in uno scontro con i barbari Edoni.
Il Gran Re manda Istieo a Sardi per convincere i ribelli a cessare le ostilità, ma
questi cerca invece rifugio a Chio, successivamente a Lesbo e a Taso: tentativo
di spostare il centro della rivolta in un'area più settentrionale, meno a portata
dei Persiani (Erodoto).
Fu una flotta fenicia, con contingenti ciprioti, ad attaccare Mileto nel 494: al suo
apparire i Greci della costa meridionale (le città dell'isola di Rodi, Cnido e
Alicarnasso) dell'Asia Minore occidentale fanno pace col re, mentre gli Ioni
solidarizzano con Mileto, ma nello scontro presso l'isoletta di Lade sono
sconfitti (494), e Mileto è conquistata (una parte degli abitanti deportata in
Babilonia).

Nel giugno del 493 Istieo tenta di trasferire la guerra sul continente, e nel
territorio di Atarneo si scontra con l’esercito persiano, comandato da Arpago: fu
battuto e tradotto a Sardi e giustiziato.
La flotta fenicia torna in possesso di Chio, di Lesbo, dell'Ellesponto; Milziade II,
tiranno del Chersoneso tracico, trova scampo ad Atene
Nel 492 il re Dario invia suo genero Mardonio con esercito e flotta in Tracia ->
assoggettamento di

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Taso e di tutte le città greche, e riconoscimento dell'autorità formale della


Persia da parte della
Macedonia; ma da parte dei Traci Brigi, i Persiani subirono un attacco e gravi
perdite. Ciò fu la logica continuazione della reazione alla rivolta ionica, che
aveva spostato il suo centro di gravità verso l’area egea settentrionale e
tracica.
Il 491 fu l’anno dei preparativi per la spedizione punitiva contro Ateniesi ed
Eretriesi. Nel 490 Artaferne, nipote del re, e il medo Dati, conducono una flotta
verso le Cicladi, poi verso l'Eubea e l'Attica: Nasso fu distrutta, le Cicladi si
sottomisero, e a Delo Dati celebrò un solenne sacrificio; Eretria è data alle
fiamme, mentre i cittadini venivano trapiantati ad Arderica, presso Susa.
Da Eretria il passaggio in Attica: a Maratona sbarcò un esercito di 20.000
Persiani, e ad Atene si decise di uscire dalla cerchia delle mura («decreto di
Milziade») e di affrontare il nemico a Maratona, con l'affermazione della tattica
oplitica: 6.000-7.000 opliti ateniesi, al comando del polemarco Callimaco e dei
dieci strateghi, fra cui Milziade.
Gli eserciti si fronteggiano per alcuni giorni, poi gli Ateniesi, secondo Erodoto,
attaccano, percorrendo tra l’altro di corsa, con le pesanti armature, l’ultimo
tratto che li separava dai Persiani.
Rimangono sul campo 6.400 Persiani e 192 Greci (sepolti nel sorós, tumulo), fra
cui Callimaco.
I Persiani aggirano con la flotta il capo Sunio, e si aspettavano l'esito d'intese
con una parte ateniese (probabilmente amici dei Pisistradi, benché l’accusa
colpisse, ingiustamente per Erodoto, gli Alcmeonidi), ma l’esercito ateniese era
schierato sotto le mura, e i Persiani dovettero andare via.

4. Dopo Maratona: nuove guerre e riforme politiche ateniesi


La vera novità fu l’intrusione Persiana nelle Cicladi, sulle quali si concentrò
l'azione di Milziade II nel 489, che riuscì nelle Cicladi occidentali, ma urtò contro
la resistenza di Paro, rimasta fedele ai Persiani: Milziade, quando desistette
dall'assedio, fu accusato di corruzione da Santippo, padre di Pericle; Milziade
pagò una multa di 50 talenti e morì poco dopo di cancrena per una ferita alla
coscia procurata durante l’assedio.
Nel 488 si apre per Atene il conflitto contro Egina, preceduto da una guerra
(forse nel 506): dimostrazione del tharreîn (prender coraggio), che Aristotele
attribuisce dopo Maratona: disastro e ritirata; gli Egineti riprendono
nuovamente il golfo Saronico.
Con gli inizi della guerra contro Egina coincide una serie d'importanti
innovazioni in politica interna:
o prima applicazione dell'ostracismo, contro Ipparco (488/487);
o adozione procedura del sorteggio degli arconti (487/486);
o emerge, in un gioco al massacro tra filo e anti-tirannici, Temistocle, che
assurge a un ruolo politico diverso rispetto ai classici politici:
articolazione diversa della lotta politica, meno mossa sui binari di
amici/nemici dei tiranni, e sempre più attorno all’uso da fare della nuova
forma politica, la democrazia, all'interno e all’esterno.
5. La politica navale di Temistocle
Quando nel 482 vengono scoperti nuovi filoni argentiferi a Maronea (Laurio), a
una proposta di stampo democratico, ma tradizionale, di distribuire 100 talenti
di surplus tra i cittadini, Temistocle

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ne oppone una di spirito imprenditoriale e di finalità difensiva/imperialistica: i


100 cittadini più ricchi dovevano ricevere in prestito un talento ciascuno, con
cui allestire una trireme, e restituire il denaro solo se la città fosse stata
insoddisfatta del lavoro compiuto con quel prestito: nasce così la prima flotta
militare rispettabile di Atene, un'esigenza dati gli eventi di Egina.
Fra le vittime dell'ascesa di Temistocle v'è Aristide, ostracizzato (482). La
ragione del conflitto fra i due non è solo nella politica navale di Temistocle:
Aristide fu uno dei principali costruttori della potenza navale di Atene,
favorendo la creazione della Lega navale nel 478/477, definendone gli aspetti
dell’organizzazione tributaria e, sec. Aristotele, contribuendo alla creazione del
sistema sociale delle indennità (misthoí) e all'inurbamento della gente di
campagna, perciò allo sviluppo urbano complessivo di Atene.
La contrapposizione tra i due è puramente politica (anche se qualcuno parla di
rivalità amorose): con la proposta di Temistocle prende corpo la politica
imperialistica di Atene, e Aristide è contrario, in quanto politica di 'sacrifici'; a
modificarne l'atteggiamento sarà la guerra con i Persiani e la conseguente
facilità per Atene di darsi uno strumento efficace di potenza navale con il
sacrificio, almeno il contributo, degli alleati.
Tra i due vi era in gioco la concezione del sistema di rapporti, e degli obblighi e
diritti dei cittadini, all’interno della pòlis, cioè una maggiore attenzione al
privato di tipo tradizionale, attenzione che in questo caso giocava anche contro
la politica navale di Temistocle, che era invece assai più orientata
Verso un’idea di preminenza dell'interesse pubblico.

6. La spedizione di Serse e Mardonio contro la Grecia (480)


Nel 485 Dario muore durante i preparativi della spedizione punitiva contro la
Grecia interna, Serse ne eredita il disegno: l’obiettivo è far valere la grandezza
militare dell’impero persiano, doveva perciò essere una grande spedizione di
terra, affiancata dalla flotta.
Nel 481 le truppe di terra sono raccolte in Asia Minore, nel 480 varcano
l'Ellesponto, con Serse, raggiungendo Terme in Macedonia.
Nel frattempo si era tenuto il congresso all'Istmo degli Stati greci decisi a
resistere ai Persiani, nel quale:
o viene proclamata la pace generale fra i Greci;
o vengono richiamati in patria gli esuli politici (per. es. Aristide).
Gli inviati di Serse, che chiedevano sottomissione dei Greci alla Persia, vengono
mandati indietro. Ma il Gran Re contava sulla solidarietà, nel Peloponneso, di
Argo, nemica di Sparta; Corcira promise
aiuto navale, che spedì in ritardo; Gelone di Siracusa disse di associarsi alla
resistenza greca solo con il conferimento di una posizione di comando, che
tuttavia i Greci gli negarono.

Prima del passaggio dell'Ellesponto da parte persiana, Peloponnesiaci, Ateniesi


e Beoti sperimentarono lo sbarramento dei passi dell'Olimpo alla valle di
Tempe, ma verificarono l’impossibilità della difesa e l’aggirabilità dell'Olimpo:
ciò comportava l’arretramento alla strozzatura successiva e quindi l’abbandono
della Tessaglia, che dovette sottomettersi ai Persiani.
Le Termopile costituivano uno stretto varco tra il mare (che certo doveva essere
presidiato da una flotta greca) e le pendici dell'Eta, i cui passaggi potevano
permettere un aggiramento della posizione sulla sinistra, solo se mal
sorvegliati.

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A difendere il passo furono inviati 4'000 opliti peloponnesiaci, guidati da


Leonida, cui si congiunsero le forze dei popoli della Grecia centrale, Focesi,
Locresi e Beoti; la flotta greca si attestò presso il tempio di Artemide, sulla
costa settentrionale dell'Eubea.
Intanto la flotta persiana, mentre Serse giungeva alle Termopile (fine 480),
muoveva da Terme, per
raggiungerlo, ma al capo Sepia una violenta tempesta provocò l’affondamento
di molte navi.
Qualche giorno dopo navi persiane potevano ancorarsi ad Afete, di fronte
all'Artemisio. In 2 scontri, un discreto numero di navi finirono ai Greci, e
l'attacco successivo vide gravi perdite per i persiani.
Per via terra i Persiani tentarono l’aggiramento del passo sulla sinistra grazie
alla negligenza focese
sulla via Anopea (segnalata ai barbari da un disertore greco): fra i greci
sorveglianti il passo si diffuse il panico, con fuga generale, ma 300 opliti
spartani, guidati da Leonida, sacrificarono la loro vita, con loro 700 Tespiesi (in
tutto 4.000 greci morti). Ormai per la flotta la posizione dell'Artemisio era
indifendibile e ne seguiva l’abbandono dell’Eubea e il rientro dei diversi
contingenti navali.
Allo sfondamento della posizione delle Termopile segue il dileguarsi dei Focesi,
la resa dei Beoti
e dei Locresi Opunzi.
La spedizione persiana mette in luce la diversità di comportamenti nel mondo
greco e il formarsi di una solidarietà forte solo tra i Greci delle regioni
meridionali della penisola, in cui la forma cittadina ha avuto più sviluppo e il cui
asse portante è Atene e, per il momento, Sparta.
Ad Atene si decide di abbandonare la città, trasferendo donne, bambini,
suppellettili e animali a Salamina, ad Egina e soprattutto a Trezene, in
Peloponneso: “decreto di Temistocle” (480).
Atene è abbandonata alle devastazioni dei Persiani.

La flotta greca si concentra a Salamina, comandata dallo spartano Euribiade;


quella nemica dall'Eubea raggiunge il Falero. Ateniesi, Egineti, Megaresi
ottengono che i Greci affrontino i Persiani nel canale tra Salamina e l'Attica, e
non all'altezza dell'Istmo, ch'avrebbe garantito la sicurezza del solo
Peloponneso.
La flotta persiana, con contingenti fenici e ionici, forza il canale, mentre truppe
persiane sbarcano a
terra, nell'Attica e nell'isoletta di Psittalia, sita nel canale. Lo scontro avvenne al
mattino, sotto gli occhi del re. Che aveva fatto installare il suo trono sulla costa
ateniese: agilità, capacità di manovra, esperienza dei luoghi giocarono in
favore della flotta greca, che sospinse quella persiana verso la costa attica,
producendogli gravissime perdite; un corpo di opliti ateniesi, che si trovava a
Salamina, sbarcava a Psittalia, facendo strage della guarnigione persiana.
Essendo la Persia una potenza territoriale, poteva pensare di giocare ancora la
sua migliore carta: la flotta rientra in Asia, mentre l'esercito è ricondotto negli
accampamenti invernali in Tessaglia, affidato al comando di Mardonio.
I Greci recuperano posizione nelle Cicladi e in Tracia.
Mardonio, dopo aver invano sollecitato gli Ateniesi alla resa, anche servendosi
degli uffici di Alessandro I re di Macedonia, invade la Beozia e poi devasta
Atene (giugno 479), evacuata di nuovo.

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Le forze peloponnesiache si riuniscono all'Istmo, al comando dei reggenti


Eurianatte e Pausania.
Un'avanguardia mette Megara in salvo dalla minaccia dei Persiani, che si
ritirano in Beozia. Circa 50.000 Greci riuniti a Megara procedono verso la
Beozia (12.000 opliti dal Peloponneso, 8.000 da Atene, Megara e Platea e, per il
resto, truppe leggere) contro forze doppie.

Battaglia di Platea (479 a.C.)


inizialmente le forze si fronteggiano, più in alto sono i Greci; successivamente
Pausania sposta il suo centro e lascia gli Ateniesi a fronteggiare i Persiani: nel
corso di questa manovra si sviluppa l’attacco persiano contro uno
schieramento ormai disarticolato. Pausania riesce però a tener fronte fino alla
costruzione, con il sopraggiungere di Corinzi e di altri, di un solido fronte; nel
contrattacco travolge i Persiani, soprattutto dopo che Mardonio è caduto sul
campo.
I Greci prendono l'accampamento persiano, ma Artabazo, luogotenente di
Mardonio, porta in salvo circa 40.000 soldati sopravvissuti allo scontro.

7. Dopo Platea
 Sul campo di battaglia fu eretto un altare a Zeus Eleutherios (“della
libertà”), presso il quale ogni anno si celebrava un sacrificio, e ogni
quattro anni avevano luogo giochi panellenici che continuarono fino ad
epoca romana;
 Parte del bottino fu dedicata a Delfi, ad Olimpia e al santuario di
Poseidone sull’Istmo;
 Tebe venne punita, costretta alla resa dopo un assedio di 20 giorni:
Attagino, capo dei filopersiano, fuggì, altri giustiziati, e la lega beotica fu
sciolta.

Nel 479 la flotta greca, al comando del re spartano Leotichida, raggiunse Chio e
Samo per sollecitazione degli stessi Ioni; i resti della flotta persiana, in sosta
presso Samo, abbandonarono l'isola per raggiungere il continente. Le navi
vennero tratte in secco, non lungi dal promontorio di Micale: distruzione delle
fortificazioni persiane e le loro navi in fiamme.

Seguono:
 ribellione di tutti gli Ioni;
 abbattimento delle tirannidi filopersiane;
 inserimento delle isole di Samo, Lesbo e Chio nella Lega greca.
Sull'Ellesponto, Abido e Sesto erano ancora nelle mani persiane: la flotta greca
si dirige verso la zona degli stretti, ottenendo la defezione di Abido; ma con
l'autunno i Peloponnesiaci tornano a casa, lasciando il campo agli Ateniesi, che
assediano e prendono per fame Sesto (primavera 478), con la cooperazione
degli Ioni, che già qui resuscitano quel rapporto privilegiato con Atene avuto
agli inizi della rivolta del 499.
Nella primavera del 478 una forza navale peloponnesiaca comandata da
Pausania torna ad operare, con Ateniesi e Ioni, sulla costa caria, a Cipro, di cui
una parte è sottratta ai persiani, e nell'area degli Stretti, dove finalmente è
conquistata anche Bisanzio.
Il rapporto degli Ioni con gli Spartani si deteriora per il comportamento duro,
quasi tirannico, tenuto da Pausania, che, sospetto anche di filomedismo, è

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richiamato in patria (477); si rafforza, anche per vincoli di sangue, il rapporto


degli Ioni con Atene, e Dorci, sostituto di Pausania, non trova migliore
accoglienza e torna a casa, privato d'ogni autorità sulla Lega ellenica, che ha
cambiato vertice.
Più congeniale a Sparta il compito di 'gendarme' dei doveri nazionali greci, che
si assume con la spedizione punitiva guidata da re Leotichida in Tessaglia
(477): contro gli Alevadi di Larissa (famiglia a capo di Tebe) non ebbe
significativi successi, che conseguì invece nella regione di Fere, dove prende
Pagase: a Sparta viene quindi accusato di essere stato corrotto dagli Alevadi,
viene condannato ed esiliato a Tegea.
Dopo gli anni (481-477) in cui aveva esercitato un ruolo fondamentale nella
storia nazionale greca, Sparta, pur forte di grande prestigio, rientra in una
dimensione politica quasi regionale; Atene invece, in una lega di cui detiene
egemonia, procede per libero e autonomo consenso degli alleati Ioni, ad
un’organizzazione sistematica dei rapporti andatisi annodando intorno ad essa.

8. Le città di Magna Grecia e Sicilia fino alla tirannide dei Dinomenidi a Siracusa
Il VI secolo è il periodo di massima fioritura della Magna Grecia, a cui
corrispondono spinte espansionistiche, volte a modificare delimitazioni areali
originarie. Il periodo in cui la denominazione di Megále Hellás è stata più
calzante è quello in cui le città achee si impegnarono a costituire un’area
unitaria e a cancellare ogni traccia d'intrusione. Magna Grecia può significare il
dilatarsi verso occidente della grecità in quanto tale, e solo secondariamente
un'area coloniale specifica. Quando comparirà nei testi (Polibio, II-I secolo a.C.)
sarà solo un’espressione di nostalgia di perduta grandezza culturale e politica,
che evoca e appartiene al passato.
La guerra vinta dagli Achei contro i Siri (575), e quella perduta dai Crotoniati
contro i Locresi (battaglia della Sagra, 550), hanno ancora l’aspetto di comuni
conflitti arcaici territoriali; mentre lo scontro tra Crotone e Sibari, culminante
nella distruzione di questa, si arricchisce di un motivo ideologico: a Sibari
l'aristocrazia è oppressa dalla tirannide di Telys – le tirannidi erano rare nella
Magna Grecia arcaica –, 500 rappresentanti ottengono asilo a Crotone, ma Telys
ne chiede l’estradizione, ma da parte di Crotone concederla significa
acquiescenza, negarla significa la guerra. Pitagora, da anni gran consigliere
dell'aristocrazia crotoniate, è il promotore del riarmo morale e materiale della
città, spinge e convince alla guerra.
Sibari viene distrutta dopo un assedio di 70 giorni, e ciò si ripercuote
negativamente su Pitagora e i suoi: alla tesi degli estremisti (tendenza
oligarchica o popolare) della necessità di distribuire le terre strappate ai
Sibariti, si contrappone la tesi pitagorica di gestione comunitaria della terra
(teoria della 'terra indivisa'): apparentemente Pitagora ha dalla sua la città, ma
la sua sede (synhédrion) viene incendiata e lui costretto a peregrinazioni, fino
alla fuga a Metaponto, dove morirà.
Formalmente il motivo dei disordini antipitagorici sta nel sospetto che Pitagora
e i suoi 300 mirassero a instaurare una tirannide (che in tale periodo in Grecia
equivale a un aspro conflitto con l’aristocrazia).
La tirannide sembra una formula politica (o antipolitica) particolarmente adatta
a determinati sviluppi territoriali, e il principio opposto è quello dell'autonomia
della pólis, che equivale ad accettare il frazionamento territoriale, quel
policentrismo tipico della mentalità cittadina dei Greci.

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Le tirannidi di Sicilia si rivelano come la formula di governo più adatta alle


prospettive di un incremento territoriale di alcune città in epoca post-arcaica:
così Cleandro governa tirannicamente Gela per 7 anni (508/498), e per altri 7
gli succede il fratello Ippocrate (498/491), che a danno dei Greci e dei Siculi
cerca di costituire un territorio ampio e continuo (II capitolo, paragrafo 7).
Nelle tirannidi siceliote di V secolo i progetti espansionistici, le prospettive
d'ordine territoriale e
militare prevalgono sulle scelte sociali antiaristocratiche (es. rapporto positivo
di Gelone con i proprietari terrieri).
Quando il modello espansionistico viene assunto anche da Terone di Agrigento,
in un'area vicina al dominio di Cartagine, si capisce la reazione di questa:
l’attivismo cartaginese è la risposta all'atteggiamento ormai nuovo dei Greci
verso il territorio.
La nuova politica trova espressione anche in alleanze che, senza fondare
diversa unità statale, costituivano nuove forme di coesione territoriale, coagulo
di potenza e possibile minaccia per gli occupanti la Sicilia: Terone diede così in
moglie a Gelone la figlia Damarete ed egli stesso sposa la figlia di Polizalo,
fratello di Gelone.

Quando Terillo, tiranno di Imera, cacciato da Terone, si rivolse ai Punici, questi


intervennero con esercito di cittadini cartaginesi, di sudditi libici e di mercenari,
al comando di Amilcare, e con alleato Anassila di Reggio e la città di Selinunte.
L’esercito punico, sbarcato a Panormo, muove all’assedio di Imera, controllata
da Terone; ma Gelone annienta i Cartaginesi (probabilmente, prima dello
scontro, dei cavalieri siracusani uccisero Amilcare): lo scontro, secondo
Erodoto, è avvenuto nello stesso giorno della battaglia di Salamina (estate del
480).
Gelone, pur interessato all’espansione territoriale, concede la pace ai
Cartaginesi in cambio del pagamento di 2.000 talenti, e obbliga Anassila di
Reggio e Selinunte a seguirlo in guerra.
A Gelone, morto nel 478, non può succedere il figlio impubere, e quindi sale il
fratello Ierone, con cui si accentuano gli aspetti personali del potere: intorno a
lui si costituisce una vera corte, a cui partecipano i più grandi poeti greci come
Simonide, Eschilo, Pindaro, ecc.
Egli riprende la spinta espansionistica, sempre con gradualità ed eterogeneità
delle soluzioni, a
seconda dei territori e della loro distanza da Siracusa. Assoggetta Catania, e ne
trasferisce gli
abitanti a Leontini, ne sostituisce la popolazione con nuovi abitanti (siracusani,
mercenari peloponnesiaci) e la ridenomina Etna; dopo la morte di Ierone, gli
antichi abitanti tornarono a Catania (461), e gli Etnei migrarono a Inessa,
ribattezzata Etna: l’intento di Ierone è di concentrare l’elemento calcidese
(catanesi e nassii) a Leontini, più vicina a Siracusa e quindi controllabile,
mentre a Catania crea la sua roccaforte, concepita d’altra parte come regno del
figlio Dinomene.
Negli anni di Ierone, Messana è ancora strettamente collegata a Reggio, ma al
di là dello Stretto Ierone non manca di far sentire la sua voce in difesa dei
Locresi contro Anassila di Reggio e in difesa dei Sibariti contro Crotone (476).
Ma con l'allontanarsi dall'area etnea, la politica di Ierone si presenta solo come
intervento occasionale, impegno militare circoscritto, manifestazione di
presenza e ricerca di una posizione

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egemonica, non annessione territoriale.


Nel 474 intervenne in favore di Cuma, sconfiggendo la flotta etrusca, ma
semplicemente installò a Pitecussa (Ischia) un presidio siracusano, presto
rimosso per incessanti fenomeni tellurici; a Pitecussa sopraggiunse poi il
dominio di Neapolis.
Il fenomeno tirannico in Sicilia si caratterizza non solo per l’espansione
territoriale e per i trasferimenti di popolazione, ma anche per l’insediamento di
mercenari di varia origine. La tirannide perde in popolarità anche per contrasti
nella famiglia dei tiranni, riprova dell’accentuarsi caratteri personalistici del
regime. Dopo la morte di Ierone, nuove discordie a Siracusa: a Trasibulo,
succeduto al fratello, si opponeva un partito di seguaci del figlio di Gelone.
Siracusa insorge contro il tiranno, che, dopo solo 11 mesi di governo, dovette
fuggire a Locri.

5. Il cinquantennio dall'età di Temistocle all'età di Pericle


1. Tucidide e la storia della pentacontaetía
Per pentacontaetía i moderni intendono il periodo di circa 50 anni che va dalla
fine delle guerre persiane (con la conseguente fondazione della Lega navale
delio-attica) e l’inizio della guerra del Peloponneso. L’idea di considerare
unitariamente quegli anni ricchi di eventi diversi e complicati è di Tucidide, che
lo considera un’ampia premessa (I libro delle Storie) alla narrazione della
guerra del Peloponneso.
Nella descrizione di Tucidide si mescolano due nozioni fondamentali:
1. il concetto di auxànesthai, per cui gli Stati tendono a crescere come
esseri organici, e quindi, se in uno spazio storico, geografico e politico
concrescono due realtà di questo tipo è fisiologico che esse si scontrino:
è ciò che accade tra Sparta e il mondo peloponnesiaco da un lato, e
Atene e il suo impero dall’altro;
2. la concezione più critica della responsabilità di ciascuna di queste realtà:
Sparta si configura come il mondo della conservazione, del timore di ciò
che è diverso; Atene è la città del coraggio, dell'iniziativa che sconfina nel
gusto del rischio.
Tucidide ha anche dato il senso fondamentale dello svolgersi degli aventi della
politica interstatale greca, ma non ha segnato cesure che forniscano una
periodizzazione del rapporto tra Atene e gli alleati né ha dato una
rappresentazione parallela degli svolgimenti politici interni ad Atene.

Sulla responsabilità di fondo di Atene, e della sua crescita imperialistica, nello


scoppio della guerra del Peloponneso Tucidide non ha alcun dubbio, ma allo
stesso tempo attribuisce la responsabilità immediata, dell’apertura cioè della
guerra, ai Peloponnesiaci: la guerra “del Peloponneso” è così definibile perché
l’aprirono, nel senso dell’avvio delle ostilità, i Peloponnesiaci.
La rappresentazione psicologica in Tucidide è linguaggio storiografico: ciò non
significa che le cause psicologiche siano per egli determinanti nella storia, ma
un tratto di essa; l’opposizione
paura-coraggio, che riassume l’opposizione Sparta-Atene, è appunto un ritratto
simbolico.

2. Fondazione della Lega delio-attica (477 a.C.)

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Il momento decisivo della presa di coscienza di Atene del suo ruolo nel mondo
greco è nell'assunzione dell'egemonia della Lega ellenica. Vi contribuiscono
fondamentalmente gli Ioni, ma non tutti a condizioni identiche: i più
pagheranno un tributo in denaro (phóros), che in totale ammonta a 460 talenti
annui; con navi contribuiscono le città insulari (Samo, Chio, Lesbo), che hanno
la funzione di sentinelle sul fianco orientale dell'impero egeo che sta nascendo.
Sede del tesoro e delle riunioni del sinedrio federale sarà Delo, isola
tradizionalmente teatro delle grandi panegyreis (“assemblee”) ioniche, e
località abbastanza distinta da Atene perché la scelta non sia sentita come una
mortificazione della dignità degli altri Ioni, ma abbastanza vicina e in stretto
rapporto perché resti soddisfatta l’esigenza di Atene di esplicare il suo ruolo di
città-guida.
La finalità dichiarata è la continuazione della difesa dai Persiani, e di un
regolamento dei rapporti
nell'Egeo soddisfacente per i Greci, cioè per la loro sicurezza e i loro interessi.
La cerimonia solenne del giuramento sancisce l’impegno ad avere sempre «gli
stessi amici e gli stessi nemici». Su tale programma ad Atene le voci discordi
sembrano poche e isolate, tra cui quella di Temistocle, assai meno interessato
ad un conflitto con la Persia e più sensibile al maturare di un conflitto con
Sparta, ma fu ostracizzato nel 471.

3. Temistocle e Pausania il reggente


L’ostracismo porta Temistocle dapprima nel Peloponneso in città ostili a Sparta,
e poi in Epiro, in Macedonia e infine presso il re persiano Artaserse (Serse
muore nel 465), il quale gli assegnerà il possesso di Magnesia, Lampsaco e
Miunte, nell'Asia Minore occidentale, dove morrà suicida poco dopo. Nella
tradizione, a motivare l'ostracismo di Temistocle, domina il medismo, un
sospetto che grava anche su un altro grande protagonista delle guerre
persiane, il reggente spartano Pausania, il quale, negli anni 471-469 viene
inquisito e accusato di tentare con gli iloti una sovversione contro lo stato
spartano e in particolare contro l'eforato, e si rifugia quindi nel tempio d'Atene
Calcieco (“in bronzo”), da dove esce solo all'avvicinarsi della morte.

4. Democrazia nel Peloponneso


Non sono fondate le voci secondo cui Temistocle abbia alimentato il “moto
democratico” nel Peloponneso, cioè le trasformazioni politiche che nella prima
metà del V secolo avvengono in città diverse da Sparte e magari ostili ad essa
(Argo, in Elide, in Arcadia); non si può parlare di esportazione del regime
democratico ateniese, perché non è un processo semplice e automatico.
In Arcadia, ad esempio, non si può affermare che nel V secolo vi fosse una
forma politica democratica generalizzata; per Argo ed Elide non si può definire
la preminenza di un modello politico per gli sviluppi interni. Ad Argo, dopo la
sconfitta a Sepeia (494) ad opera degli Spartani, si instaura un governo di
servi; è probabile che l'ammissione dei perieci («abitanti intorno») nella
cittadinanza (attestata da Aristotele) sia in relazione a tale episodio, anche se
transitorio, ed è anche probabile che nei perieci debbano riconoscersi servi
rurali ammessi alla cittadinanza: per questo ad Argo un’evoluzione verso forme
democratiche, attraverso un assorbimento nelle strutture politiche della
popolazione rurale, che invece a Sparta permane in condizione dell'ilotia;
inoltre ad Argo vi è l’introduzione di una quarta tribù (degli Hyranáthioi, che
con il nome indica propria collegamento con la dimensione rurale), accanto alle

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3 doriche tradizionali (Illei, Dimani, Pànfili), che pare segnare tale sviluppo.
Nasce così la simpatia di Atene, che sboccherà nel trattato di alleanza del 462,
e la letteratura ateniese lo attesta (Supplici, Eschilo).
In Elide gli sviluppi verso la forma democratica, compiutisi nel V secolo, sono il
risultato storico, favorito dall'affermazione della democrazia ad Atene, della
condizione e organizzazione del territorio: una campagna libera, popolata da
centri dotati di forte autonomia, che assieme promuovono un centro urbano,
sede delle decisioni politiche (forma moderata di democrazia).
5. Cimone o il lealismo dei conservatori
Ad Atene è il momento dell’ascesa di Cimone, figlio di Milziade e generale delle
prime operazioni della Lega navale: le azioni militari della Lega cominciano in
quell'area egea settentrionale che, per essere meno direttamente a tiro della
potenza persiana e del governatore persiano di Sardi, è quella in cui si
concentrano gli ultimi tentativi di resistenza alla Persia.
Cimone libera dalla residua presenza persiana Eione, alla foce dello Strimone
(476), poi assoggetta Sciro (475); non è certo se gli vada attribuita la guerra
contro Caristo in Eubea, che si conclude con un accordo; ancor meno certo che
sia il generale che asservì l'alleata Nasso contro tutte le regole vigenti (471):
questa è una delle poche cesure marcate da Tucidide, quale salto di qualità
deteriore nei rapporti tra Ateniesi ed alleati, sempre più in balìa degli umori
della città egemone, che è
sempre più potente militarmente.
L'acme della carriera di Cimone è nella battaglia dell'Eurimedonte, duplice
battaglia, navale e terrestre (470/469 secondo Diodoro): a secondo dei casi le
fonti la collocano alla foce del fiume della Panfilia per entrambi i momenti, o
distinguono uno scontro navale tenutosi a largo di Cipro, ed uno terrestre
svoltosi presso la foce dell'Eurimedonte.
L'acclamazione di Cimone a giudice del concorso tragico delle Dionisie del 468,
quello che diede la vittoria a Sofocle contro Eschilo) ne attesta l’alto prestigio,
ma dato che non è di carattere pacifico (alla designazione degli strateghi come
giudici s'arriva solo a seguito di una non prevista rissa fra spettatori), non è da
concepire necessariamente come la prima celebrazione del reduce o di un
trionfatore di recentissima data.
Ben noto è il ruolo di Cimone nella spedizione – a seguito di una rivolta – contro
Taso (ancora Egeo
settentrionale), isola prospiciente le coste della Tracia e l'area mineraria del
Pangeo, dove Taso sfruttava miniere d'oro, non meno redditizie di quelle
possedute dall'isola stessa: nel 465 defeziona, e da qui al 463 si svolge un
lungo assedio. La miniera di Skaptè Hyle e i possessi del continente passano
agli Ateniesi. La guerra di Taso è un salto di qualità nella politica ateniese verso
gli alleati: è in campo l’interferenza nell'assetto economico.
Nel 465 gli ateniesi tentano anche di colonizzare Ennéa Hodoí, sul corso dello
Strimone, ma sono sconfitti a Drabesco dai Traci Edoni.

Probabile errore politico di Cimone è stato assumersi la responsabilità di una


politica non sua, una politica “democratica” con aspetti imperialistici, quando,
più degli altri politici, egli sembrava voler conferire alla lega solo una funzione
di strumento contro i barbari e avere equità con gli alleati.
Il processo, a vittoria conseguita, che i gruppi democratici radicali emergenti gli
intentano, pur rimasto senza condanna, è inteso a colpire che aveva imboccato
una curva politica discendente:

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esecutore di una politica solo parzialmente sua fu denunciato pel sospetto di


essere stato corrotto da Alessandro I il Macedone, al fine di evitare spedizione
ateniese, che avrebbe dovuto punire Alessandro per aver aizzato i Tasii alla
ribellione e mostrato troppo vivo interesse all'area mineraria del Pangeo.
D’altronde l’Egeo settentrionale era un’area di interesse per Cimone per
tradizione familiare: Cheroneso Tracico, Lemno e forse Pangeo, dove del resto
sappiamo che lo storico Tucidide, parente di Cimone, aveva possedimenti
familiari.

Cimone commette il suo maggiore errore politico nel 462, quando impegna
Atene in misura eccessiva al fianco degli Spartani, che avevano richiesto aiuto
(anche ad altre città) nella guerra contro i Messenii e gli Iloti ribelli: 3° guerra
messenica (464-455), «del terremoto». Il terremoto che distrusse Sparta, e
produsse vittime tra gli Spartiati, giunse durante la guerra di Taso: ne
approfittarono per ribellarsi gli iloti della Laconia e soprattutto della Messenia (i
Messenii asserviti) e un paio di comunità perieciche dell'area del Taigeto (Turia,
Aithaia). Ne nacque una guerra di rivolta e resistenza 'nazionale' dei Messenii,
arroccati sull'Itome (parte orientale della Messenia).
L’intervento ateniese, voluto da Cimone, non risulta efficace, e alimentò negli
Spartani il timore di collusioni con gli insorti derivanti da una qualche
solidarietà ideologica antiaristocratica.
Di qui segue la decisione di rinviare a casa gli ateniesi.
L’insuccesso umiliante segna la svolta apertamente antispartana della politica
estera ateniese (alleanze con Argo, con i Tessali, con Megara in funzione
anticorinzia e quindi in generale antipeloponnesiaca) e il crollo della credibilità
politica di Cimone, il quale nel 461 viene ostracizzato con l’accusa di far
prevalere la convinzione personale sull'interesse dello Stato. Ormai l’ostracismo
era uno strumento per regolare i conti con il partito avverso, in un clima di
frontale contrapposizione politica che si va sempre più determinando all’interno
della democrazia ateniese.

Alla fine della ribellione messenica (464 al 455 ca), buona parte dei Messenii
lasciò il Peloponneso, a patto di non tornarvi più, e fu aiutata dagli Ateniese a
colonizzare Naupatto, sul golfo di Corinto.

6. Le riforme di Efialte e la conclusione della III guerra messenica


Liquidato Cimone, fu facile condurre in porto le riforme costituzionali di Efialte e
Pericle sui poteri politici dell’Aeropago:
 abolizione dei poteri politici della sorveglianza sulla costituzione
(nomophylakìa) e forse anche la custodia dei testi delle leggi);
 riduzione alla sfera giurisdizionale dei delitti di sangue (omicidi volontari);
In tale clima maturano progetti di creazione di uno stato assistenziale, da
realizzare con la remunerazione dei magistrati, dei buleuti e soprattutto degli
eliasti, cioè i giudici delle giurie popolari; le nuove entrate, connesse con
l'acquisizione dei possedimenti continentali di Taso in Tracia, forniscono i mezzi
per le riforme.

7. Pericle uomo di Stato


Il separarsi della sfera privata da quella pubblica, e il consolidarsi di
quest'ultima, all'interno della storia politica greca, è il processo e il momento di
formazione dello Stato, di cui Pericle fu massimo fautore.

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Politica estera:
 il suo periodo di governo ingloba il momento di maggiore espansione
della Lega delio-attica ma anche momenti di grave crisi interna, connessi
con le ribellioni (451-440) di Mileto, dell'Eubea (Calcide ed Eretria), di
Samo, e con l'avvio della guerra del Peloponneso, che produsse la
scomparsa dell'impero;
 la sua strategia di contenimento e logoramento dell’avversario ebbe poco
tempo per esplicarsi, data la sua morte (429) nel corso della peste
scoppiata ad Atene nel 430.
Politica interna:
 la sua grandezza è nella politica interna e nell'ideologia che la sorregge:
è il campione della democrazia, e Tucidide lo definisce (II libro) 'primo
cittadino'.
L a rigorosa distinzione e decantazione tra pubblico e privato è il segno più
caratteristico e l’aspetto
storicamente più produttivo delle qualità di statista di Pericle.

8. Pubblico e privato nella democrazia periclea


Il rapporto tra pubblico e privato, visto da Pericle, si coglie nell’Epitafio per i
caduti ateniesi del primo anno della guerra del Peloponneso (Tucidide, II libro).
La distinzione tra pubblico e privato è presentata in chiave di un equilibrio, non
statico, ma carico di forte tensione, che lo stato democratico pericleo si
incarica di comporre. Nel pubblico vale il diritto (dei poveri e dei ricchi, assistiti
dalla politica periclea delle indennità: remunerazione destinata al cittadino per
l'esercizio di una funzione civica) a partecipare, se capaci, all'esercizio della
cosa pubblica. Non v'è totale
subordinazione del privato e del privilegio al pubblico: tale omogeneità sociale
e politica non è l’apporto e la caratteristica della democrazia, nel grado di
sviluppo che essa conosce nell’Atene classica. Il privato, l'economico, che già a
metà del V secolo ha una sua storia e la sua forza produttrice di tensione ed
eterogeneità sociali, si presenta bilanciato e coordinato al pubblico: si tratta in
ogni caso di una delle esperienze politiche più avanzate in quelle condizioni (la
successiva democrazia radicale dei dirigenti politici di estrazione non
aristocratica non rappresentò qualcosa di radicalmente nuovo sul terreno
sociale: Cleone, ad esempio, non chiede la redistribuzione delle terre o
l’abolizione dei debiti).
L’ambito del privato si configura come regno dell'individuale (o familiare) e del
diverso, e anche della divergenza; pubblico come regno dell'uguaglianza e
dell’omologia. Due cose diverse, ma che devono essere messe d'accordo, nella
visione periclea: solo a questo punto appare il 'predominio del “politico”.
Lo Stato pericleo si incarica, in quanto realtà politica, di realizzare l’accordo e
l’armonia tra il mondo del diverso e del conflitto (quello del privato e
dell'economia) e quello dell'intesa, a cui corrisponde la sfera dei diritti politici
generalizzati (pubblico): le leggi dello stato pericleo consentono di essere ricchi
(e di arricchirsi), ma sono appunto le leggi che lo consentono.
Va attenuata l’impressione che storicamente il valore del pubblico proprio della
democrazia periclea sia qualcosa di radicalmente nuovo: lo è in quanto
'liberato' dal sociale, cioè dalle vecchie distinzioni aristocratiche secondo
connessioni familiari e rango economico, e in quanto definito in nuove
istituzioni, ma è anche vecchio poiché è anche l'estensione e sviluppo (in altro

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ambito e in diversa misura e con diversa qualità) del vecchio valore ugualitario
dell'isótes, e di valori omogenei,
prodotti da precedenti comunità aristocratiche.
Il privato, invece, se da un lato è in gran parte quello tradizionale, quello della
proprietà e del privilegio, che Pericle lascia in vita, dall'altro è anche – segno
dei tempi nuovi, del clima culturale – un privato di tipo molto individuale, quello
dei nuovi bisogni, di un'educazione più ricca e di un uso libero della mente e
del corpo (che Pericle rivendica in antitesi all'educazione militaristica spartana:
saperne godere liberamente, senza inutili costrizioni, ma sapere anche che al
momento opportuno si dovrà combattere e morire per la propria città).
Pericle, in termini di eloquenza pubblica e di psicologia, rispetto al dêmos si
colloca in un atteggiamento antagonistico: piega il popolo al timore, quando si
esalta inopportunamente, e lo rincuora quando è impaurito irrazionalmente.
Pericle agisce nella sfera razionale, il suo rapporto con il dêmos è mediato da
un filtro intellettuale, e qui il sentimento non è assente, ma distinto, perché è
sulla sfera dei sentimenti e dello stato d'animo che agisce.

9. Gli inizi di Pericle


Nasce nel 495/493 da Santippo, vincitore della battaglia di Micale (478), e da
Agariste, figlia di un fratello di Clistene (la parte materna è il ghénos più illustre
ad Atene nel VI secolo: la famiglia degli
Alcmeonidi era la più aristocratica).
Appare sulla scena politica come accusatore di Cimone, quando questo, dopo la
resa di Taso agli Ateniesi (463), mancò di trasferire la guerra sul continente
contro Alessandro I di Macedonia e di assicurare ad Atene un più esteso
dominio nel distretto aurifero del Pangeo; inutilmente Elpinici, sorella di
Cimone, gli offrì i suoi favori; l’accusa rimase, ma il tono di Pericle fu
estremamente moderato, e Cimone fu assolto.
Chiarezza d'intenti, gradualità dell'azione politica, razionalità della gestione
delle possibilità offerte dalla situazione storica caratterizzano già gli inizi di
Pericle.
Dal primo matrimonio con una donna di cui non ci è tramandato il nome ebbe
Santippo e Paralo, che morirono durante la stessa epidemia di peste in cui morì
egli. Intorno al 450 inizia la relazione con Aspasia, etera di Mileto [particolari
donne di compagnia, per alcuni aspetti assimilabili a cortigiane e prostitute; si
trattava, tuttavia, di sofisticate figure che, oltre a prestazioni sessuali, offrivano
compagnia e spesso intrattenevano con i clienti relazioni prolungate], da cui
ebbe Pericle il giovane, che sarà tra gli strateghi condannati a morte nel
“processo delle Arginuse” (406).
Se da un lato la democrazia ateniese non è caratterizzata da violenza politica,
dall'altro essa appare
come la ribalta storica su cui si sperimenta ogni altra forma di durezza. Nel
momento in cui si introduce la contrapposizione frontale, all'interno della
democrazia, si avverte l'opinione pubblica come insieme di opinioni individuali
che si presente come un personaggio nuovo, nella misura in cui ha trovato
canali istituzionali in cui esprimersi: uso deciso della diffamazione, del
linciaggio morale.

10. Pericle e la politica estera degli anni Cinquanta


Il dominio di Pericle durò circa cinquant’anni (fonte Plutarco). Il rilievo avuto da
Pericle in politica estera va distinto dal suo contributo in politica interna per il

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profilo sociale della democrazia, in cui v'è la sua vera cifra. Le iniziative di
politica estera, coincidenti con gli esordi di Pericle, sono da riconoscere nelle
alleanze strette con Argo, i Tessali, Megara, dopo lo smacco inferto agli Ateniesi
dagli Spartani (III guerra messenica).
L'alleanza con Argo ha anche un profilo ideologico, poiché questa aveva
trasformato in democratico il suo regime (contro l'oligarchica Sparta).
L’alleanza con le aristocrazie tessaliche e con la dorica Megara è in tal senso
meno coerente (i cavalieri tessali tradiranno, e Megara si ribellerà).

Cimone vuole intervenire a Cipro in funzione antipersiana: spedizione a Cipro e


in Egitto (460-454).
Alla spedizione in Egitto si attribuisce di solito una finalità di ordine economico:
la conquista di un paese produttore di grano; tuttavia questa volta il movente
sembra essere diverso. Inaro, principe dei Libii ai confini con l'Egitto, invita ad
intervenire in Egitto gli Ateniesi, i quali si accingevano ad attaccare Cipro (si
tratta sempre di liberare il Mediterraneo dai Persiani): la guerra d'Egitto non
nasce come guerra per la conquista del granaio del Mediterraneo, ma si
inserisce in una megále strateía, “megalomania” (espressione di Tucidide).
Per qualche tempo gli Ateniesi occupano la zona del Delta e Menfi; i Persiani,
inutilmente, inviano Megabazo con denaro a Sparta perché intervenga in Attica,
e spediscono Megabazo in Egitto, dove gli Ateniesi sono assediati nell'isola
Prosopitide per un anno e mezzo; poi i Persiani prosciugano l'acqua intorno
all'isola: la flotta è catturata, e gli Ateniesi fuggono, attraverso la Libia, verso
Cirene, dove giungono in pochi. Inaro è tradito dai ribelli e consegnato ai
Persiani. Una flotta ateniese di 50 navi, non informata e quindi sopraggiunta nel
luogo, subisce la stessa sorte.

Guerre più domestiche:


 con Corinto, che si sente provocata dall'alleanza tra Atene e Megara:
alterne vittorie;
 con Egina, che dopo 3 anni cede (456);
 si estende la guerra navale di Atene:
a) fino al 456 essa si esplica nel golfo Saronico, tra Attica e Argolide;
b) nel 455 Tolmide effettua incursioni contro Gizio (arsenale di Sparta),
contro Metonte (costa messenica occidentale), in Acaia e Corinzia: un
vero periplo che aggira il Peloponneso in senso orario.
L’inclusione di Megara nell'alleanza di Atene favorisce anche il controllo
ateniese sui 2 porti della città confinante col territorio attico: Nisea sul golfo
Saronico, e Page sul golfo Corinzio.
c) una presenza navale ateniese a nord dell'Istmo spiega la dinamica della
spedizione di Pericle nel 454/453 (navigazione lungo le coste
settentrionali del Peloponneso e verso l'Acarnania): non è un trionfo, si
risolve in un nulla di fatto.
Il duro colpo inferto da Atene in Egitto viene indicato da Plutarco come la causa
del trasferimento del tesoro da Delo ad Atene: il motivo addotto fu quello di
una minaccia persiana; che si trattasse in
parte di pretesto è possibile, sbagliano invece coloro che ritengono che i
Persiani non potessero comunque rappresentare una minaccia. La situazione
geografica di Delo è poco coperta sul versante orientale: è plausibile che a fare
la proposta del trasferimento fossero i Samii, sentinelle dell'impero su quel
fianco.

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Un intervento spartano in favore dei Dori della Metropoli contro i Focesi, nel
458/457, blocca i tentativi d'espansione di Atene – che tradizionalmente
sostiene i Focesi – nella Grecia centrale.

Intanto ad Atene per la prima volta vi è un complotto contro la democrazia: c'è


chi vuole fermare la costruzione delle Lunghe Mura, che uniscono la città al
Pireo, e il connesso sviluppo di una democrazia a base navale (nella potenza
militare) e fondata sul sostegno delle masse marinare (sotto il profilo sociale);
ma i conservatori, all’interno della democrazia, restano leali.

Intanto gli Spartani rischiano di restare bloccati nella Grecia centrale, per
effetto della nuova situazione strategica determinata dalla politica ateniese di
alleanze e di espansione, in particolare dal controllo della Megaride. Tuttavia, in
uno scontro avvenuto in una località tra Tebe e Tanagra (457), gli Spartani si
mettono in condizione di forzare il blocco ateniese e rientrare nel Peloponneso
passando per i monti della Gerania.
Dopo 61 giorni gli Ateniesi, al comando di Mironide, battono ad Enofita i Beoti,
alleati tendenziali degli Spartani. Viene sciolta la Lega beotica, e si correggono i
confini tra Beozia ed Attica (incerto se anche Tebe cade sotto il predominio
politico ateniese): questa situazione dura fino al rovescio degli Ateniesi nel 447
a Coronea (Beozia occidentale).

Gli anni Cinquanta presentano caratteri d'espansionismo esasperato di Atene:


 intervento, con il sostegno di Beoti e Focesi, in Tessaglia, in favore di
Oreste, figlio del tago (capo militare) Echecratida, e contro Farsalo, che
resta senza effetto;
 Cimone, rientrato dall'ostracismo, esegue una spedizione contro Cipro
(450/449), con imprese notevoli in terra (contro i Persiani) e per mare
(contro i Fenici); forse nell’isola fu conquistata Marion;
 Presso Salamina si svolse, dopo la morte di Cimone, una battaglia
terrestre e una navale, in ci gli Ateniesi riuscirono vincitori.

Più difficile delineare politica ateniese nelle regioni del Mediterraneo


occidentale: negli anni '50 persegue una politica d'intese con gli elementi non
greci (anche se grecizzati) della Sicilia occidentale (Elimi di Segesta), con città
non doriche di Sicilia (Leontini) e d'Italia (Reggio), e invio di una flotta nel golfo
di Napoli.
Nel 444/443 fonda la colonia panellenica di Turii (odierna Sibari, in Calabria).
Nonostante gli scossoni della sconfitto d'Egitto (454), i piani grandiosi non
vengono meno, e l'impresa di Cimone contro Cipro ne è la prova, ed è anche
prova del fatto che sulla politica d'impero si trovasse ancora una base
d'unificazione per il popolo ateniese.

11. La pace di Callia


Nel 449 Cimone è morto, e una tradizione colloca in questa data la stipula di un
accordo tra Atene e la Persia, che chiude ai Persiani l'accesso al mare Egeo,
vietando alle navi di superare capo Chelidonia, a sud, e le isole Cianee, a nord,
e interdice all'esercito persiano di avvicinarsi alla costa
occidentale dell'Asia Minore (l’area delle città greche) a una distanza inferiore
ai 3 giorni di marcia.

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La pace di Callia chiude formalmente la seconda guerra attico-persiana per il


controllo del Mediterraneo orientale: la Persia cedeva sulla Ionia, Atene
rinunciava ai sogni espansionistici. Dieci anni dopo, era già cominciato un certo
ripiegamento dell’imperialismo ateniese.
12. Nuovi toni dell'imperialismo ateniese
Il ripiegamento degli anni '40 è pur sempre in direzione di una funzione-guida,
dal punto di vista religioso e internazionale e di esigenze greche generali.
I Focesi avevano (2° guerra sacra) occupato il santuario panellenico di Delfi,
sorgente nel loro territorio, ma che non si identificava con la Focide e i suoi
interessi, aspirando a un ruolo ben più ampio: gli Spartani intervengono a
favore dell'autonomia di Delfi, mentre Pericle restituisce ai Focesi
l'amministrazione del santuario: ancora una volta, da una parte Atene-Focesi,
dall'altra Sparta-Delfi.
Pericle, senza successo, convoca un congresso panellenico di tutti i Greci
viventi a est del mar Ionio, per decidere: 1) della ricostruzione dei templi
distrutti dai Persiani e dell'esecuzione dei voti pronunciati durante la guerra; 2)
della libertà di navigazione; 3) del mantenimento della pace.
Atene vuole ancora esercitare un ruolo panellenico:
Pesanti interferenze nei regimi interni delle città alleate si hanno solo in zone
molto vicine ad Atene, come l'Eubea; altrove Atene ha maggiore duttilità verso
i regimi:
 in Beozia, le tradizioni politiche locali avevano forse dapprima imposto
agli ateniesi un atteggiamento di rispetto, ma poi ivi vi devono essere
state delle trasformazioni dei governi in senso democratico se un certo
numero di esuli è in grado d'occupare (447/446) Orcomeno e Cheronea e
altre località beotiche; interviene Tolmide, che espugna Cheronea, ma a
Coronea, nella marcia di rientro, è attaccato dai Beoti esuli da Orcomeno,
da Locresi, da esuli Euboici (anch'essi vittime d'intervento ateniese nel
regime interno) e da altri alleati con stesse idee politiche. Alla sconfitta
segue la liberazione della Beozia dall'interferenza politica ateniese.
 in Eubea, subito dopo, si scatena una rivolta: Pericle si reca ivi, ma gli
giunge la notizia della defezione di Megara, sostenuta da una coalizione
peloponnesiaca; egli così si muove e sventa l'attacco ad Eleusi (pare
abbia corrotto con il denaro il re spartano Plistoanatte e Cleandria, il
generale che lo accompagna). Parata la minaccia spartana, con la
cessione di Megara e dei suoi porti, poi ratificata nella pace trentennale
del 446/445, Pericle ritorna in Eubea, doma la ribellione, e da Istiea
caccia gli abitanti, sostituendoli con una cleruchia ateniese.
 Calcide ed Eretria sono vincolate a trattati che menomano fortemente la
loro autonomia.

Atene diventa ormai la portatrice dell'idea democratica: atteggiamento che


accentua il conflitto ideologico, la creazione di fronti contrapposti nel mondo
greco; ma non si tratta di esportazione in tutte le direzioni: le distanze e le
coerenze geografiche contano.
Ma è nella seconda metà degli anni '40 che si consolida la politica sociale di
Pericle, l’attività nel campo dell'edilizia pubblica, la costruzione dello Stato
sociale, la democrazia nautica, la ricerca di centralità per Atene nel mondo
greco.
Come il modello si rafforza, l'opposizione interna cresce, ma Pericle è ancora in
grado di vincere

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(ostracismo di Tucidide figlio di Melesia, 444/443). Le iniziative di politica estera


sono meno ispirate a mania di grandezza: nel 444/443 viene fondata, sul sito
dell'antica Sibari, una colonia panellenica, e sulle dieci tribù, che rappresentano
l'impronta attica più evidente, solo quattro richiamano Atene e il mondo ionico.
Ma entro l'impero navale i contorni della politica di dominio, della lotta
ideologica, dell'immagine nuova di Atene da proiettare verso l’esterno e verso
l’interno, si fanno più netti. Dopo il 446 vi è un imperialismo più duro all'interno
dei confini dell'impero, e ideologicamente più connotato, che succede a un
espansionismo megalomane, per gli antichi.
Si vanno determinando le condizioni di una spaccatura netta, politica e
ideologica, all'interno del mondo greco: è il vero periodo “classico” della storia
greca.
13. Riorganizzazione e crisi della Lega navale ateniese
L'impero si organizza meglio al suo interno: nel 443/442 avviene la ripartizione,
rigorosamente registrata nell'iscrizione degli alleati contribuenti, in 5 distretti
(Ionico, Ellespontico, Tracico, Cario,
Insulare).
Nell'intervento a Samo (441-439) si riconosce un salto di qualità nei rapporti
interni alla Lega navale: l’occasione è offerta da un conflitto per il possesso di
territorio di Priene tra Mileto e l'isola di Samo (entrambi membri della Lega):
Mileto chiede aiuto ad Atene, Pericle prende Samo e vi instaura una democrazia
(441). Nel 440 una rivolta riporta al potere gli oligarchici, con man forte di
Bisanzio, alcune città della Caria e il satrapo persiano di Sardi, Pissutne.
Pericle, attende invano aiuti da Sparta e dalla Persia, intanto l'isola resiste; al
9° mese d'assedio, interviene, nel 439, v'è la resa, con cui Samo perde
l’autonomia e il dominio su Amorgo, vi sono esili, consegna della flotta,
abbattimento delle mura e pagamento delle spese di guerra.
Non si sa se Pericle impone la democrazia, ma probabilmente al potere non
resta l'oligarchia.

In Eubea ingerenza nella determinazione delle forme di governo accompagna


altre vistose limitazioni dell'autonomia.
In città della Ionia che vedono interventi ateniesi vi sono prassi specifiche: ad
Eritre la lotta è contro il partito detto dei 'tiranni' filopersiani; a Colofonte
l'intervento è a favore del partito democratico.

14. L'opposizione a Pericle alla vigilia della guerra del Peloponneso


Già prima della guerra del Peloponneso Pericle conosce un’opposizione, di cui si
citano tre episodi, cioè tre processi (se non quattro) intentati contro persone
del suo entourage (Anassagora, Aspasia, Fidia) e contro egli stesso.
Non è facile ammettere la parabola descritta da alcuni storici, tra cui Beloch, di
un Pericle dapprima sfrenato demagogo al servizio degli interessi delle masse,
e poi orientato su posizioni moderate, tanto da suscitare l’opposizione di
Cleone (ricco esponente di ceti artigiani emergenti) e da guadagnare il plaudi
dei conservatori come lo storico Tucidide. Infatti quest’ultimo non fa riferimento
a nessun mutamento, e ad oggi Tucidide è l’interprete più attento.
La politica di Pericle sembra piuttosto configurarsi come un complesso sistema,
che innovò per alcuni aspetti, conservò per altri; naturalmente si poteva anche
dare una qualche strumentalizzazione, ad opera di oppositori di parte
conservatrice, proprio degli atteggiamenti tradizionalistici della grande massa.

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In questo potrebbe risiedere l’accusa d'empietà verso Anassagora, filosofo di


Clazomene, teorico del noûs (mente) come principio universale, amico e
maestro di Pericle e rappresentante dell'impulso razionalistico conosciuto e
promosso dal secolo della democrazia. L'accusatore è Diopite, un
chresmológos (raccoglitore e interprete di oracoli), rappresentante di una
religiosità popolare tradizionalista. Anassagora si sottrasse alla condanna
lasciando Atene, ritirandosi a Lampsaco (Asia Minore).
Aspasia, compagna di Pericle, fu accusata di empietà e prossenetismo [azione o
comportamento che mira, spec. nella lotta politica, alla costante attuazione di equivoci
compromessi]; Pericle la salvò solo con un'accorta mozione degli affetti.
Fidia, scultore del Partenone, è accusato di essersi appropriato di oro e avorio
destinati alla statua della dea Atena: morì in carcere, prima della condanna.
L'accusante fu il meteco Menone, il quale per decreto popolare ottenne
l'esenzione dalle imposte.
Pericle non sembra collocarsi al centro di due opposizioni, l’una conservatrice
l’altra popolare: gli strumenti della democrazia, e il demos stesso, sono spinti
dall’opposizione conservatrice, ai danni di chi quegli strumenti li aveva
inventati; se la parte popolare crea problemi a Pericle, paradossalmente ciò
accade non per un’opposizione ideologica, ma proprio in virtù di un'affinità
coerente fino in fondo. E dello stesso stampo sono le accuse rivolte a Pericle di
malversazione di fondi. Se d’altra parte avesse subito una vera opposizione
popolare, nel segno di una contrapposizione ideologica, e questa si fosse
sommata con l'opposizione conservatrice, egli non avrebbe continuato ad
essere eletto annualmente stratego.
Il primo vero conflitto con il popolo si avrà nel 430, quando i “sacrifici” della
guerra faranno individuare in Pericle un capro espiatorio, che viene deposto
dalla strategia, per essere subito rieletto nel 430/429.

15. Crisi e trasformazioni politiche nell'Occidente greco


Aspetti salienti del periodo post-tirannico in Sicilia:
 restaurazione democratica, da intendere come «forma repubblicana»,
regime politico non soggetto a un monarca o tiranno;
 questione dei mercenari (ancora greci, di Sicilia o del Peloponneso),
espulsi da Gela, Agrigento e Imera:
- quelli di Gela s'insediano a Omphake e Kakyron
- quelli di Agrigento a Minoa
- quelli di Imera sono coinvolti nelle vicende di Messina;
 Messina, che fino al 461/460 aveva condiviso le sorti di Reggio, ove, dopo
la morte del tiranno Anassila (476), un parente, Micito, assunse la tutela
dei figli minorenni dello scomparso, e accentuò la politica di dinamismo
espansionistico, colonizzando Pissunte (471/470), condivide la sconfitta
con i Tarentini dopo averli aiutati contro gli Iapigi.
Ne seguì:
- per i Tarentini il disastro militare fu occasione per la ricerca delle
responsabilità e per una decisa trasformazione politica (sec. Aristotele
passaggio da politeía a una costituzione democratico-moderata, alla
demokratía);
- a Reggio esilio di Micito e avvento al potere del tiranno Leofronte;
- poi ribellione a Reggio e Messina (461/460), che recuperavano la loro
libertà; a questo punto a Messina intervengono i mercenari espulsi da
Imera, che si impadroniscono della città.

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Le città siceliote controllano il territorio sicano: la sicana Crasto è pomo della


discordia e oggetto di contesa fra città greche e non greche: Imera, aiutata da
Gela si batte contro Agrigento, aiutata da Siracusa. Queste ultime cacciano da
Eraclea Minoa i mercenari ivi rifugiati.
Una pace generale permette ai mercenari di andarsene a casa, gli esuli furono
richiamati nelle città, le terre furono restituite o redistribuite.
Con la fine degli anni Sessanta possono dirsi conclusi i sussulti politici interni
alle città di Sicilia (a parte il tentativo di un certo Tindarida di rifondare la
tirannide a Siracusa con l'aiuto dei diseredati).

Si riacutizza la situazione sicula, per un ultimo sussulto della realtà indigena


della Sicilia centro-orientale, mai scomparsa come realtà demografica, sociale,
militare e culturale:
rivolta di Ducezio, capo dei Siculi, che riunì in una sola confederazione tutte le
città sicule, tranne Ibla, raccolse un esercito notevole, trasferì Menai dalle
alture in pianura, fondò Menainon e distribuì ai suoi le terre intorno a
Morgantina (fonte Diodoro). Nel 461 Ducezio interviene contro la fondazione di
Ierone (Etna-Catania), poi (451) si pone contro Etna-Inessa, occupata dai
mercenari e da Dinomene, figlio di Ierone. Ducezio si era inserito abilmente nel
contenzioso creatosi fra i Greci stessi, e può concepire un programma
sistematico di conquista delle località interne della Sicilia, anche forse in area
sicana (questo dimostra come i Sicani fossero stati domati dai Greci).
Ducezio batte Agrigentini e Siracusani, ma l'anno successivo è sconfitto dai
Siracusani a Nomai,
abbandonato dai suoi; si rifugia come supplice presso gli altari dell'agorá di
Siracusa, e poi è spedito a Corinto. Siracusa riprende Morgantina, Inessa e
Menai, mentre la parte settentrionale del dominio di Ducezio, proprio per la
minore capacità di resistenza della città greca più vicina, Messina, resta libera.
Qualche anno dopo, Ducezio, sostenuto dal re della sicula Erbita, Arconida,
prova a fondare una nuova città sulla costa settentrionale, a Calatte; il nuovo
intervento sembra contestuale al conflitto fra Siracusa ed Agrigento, dopo la
vittoria su Ducezio, e la tolleranza mostrata da Siracusa verso il ribelle:
448/447 vittoria di Siracusa al fiume Imera.
Molti aspetti della vicenda di Ducezio dimostrano che l'opposizione tra Siracusa
e Siculi non era radicale, e i Siculi erano permeati di cultura greca e soprattutto
capaci di intessere un rapporto che è in parte di subordinazione, in parte di
collusione e comunque di non totale assoggettamento.
Con la fine di Ducezio la volontà di resistenza politica dei Siculi si affievolisce,
ma non scompare: diventano oggetto di protettorati esterni; alcune delle linee
politiche seguite dai tiranni e poi dalla democrazia saranno ricalcate e
sviluppate da un tiranno come Dionisio I, più crudamente coerente nel progetto
di creazione di un dominio territoriale continuo e esteso.

6. La guerra del Peloponneso come guerra civile dei Greci


(431-404)
1. Il problema delle cause
La pace del 446/445 tra Spartani (e Lega peloponnesiaca) e Ateniesi, prevista
per 30 anni, durò assai meno: gran parte degli anni '30 sono già percorsi da
avvisaglie del conflitto (431-404). Si tratta di una guerra che oltre, come

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sempre, ad avere per oggetto la potenza e il potere, ha in più fortissima


connotazione ideologica: è dunque la contrapposizione non tra due partiti, ma
tra due tendenze politiche, cui aderiscono le molteplici entità del variegato
mondo greco, le poleis, città democratiche e città oligarchiche all’interno delle
quali si trovano a loro volta i due partiti contrapposti.
Quale data d'inizio si assume l'invasione dell'Attica da parte dell'esercito
peloponnesiaco, guidato dal re di Sparta Archidamo II: da ciò il nome, esteso
impropriamente, di guerra archidamica dal 431 al421(il re spartano morì già
nel 427).
Per Tucidide la causa immediata delle guerre greche è territoriale; egli dà una
forte caratterizzazione del rapporto tra Sparta e Atene, e Corinto e Atene: è la
storia di un’ostilità degli Ateniesi verso Sparta, e dei Corinzi verso Atene.
Le cause reali, sempre descritte da Tucidide, sono tre o quattro grandi fatti:
1. l’intervento di Atene nel conflitto tra Corinto e la sua colonia nel mar
Ionio, Corcira, per il comportamento da tenere nel conflitto civile tra
democratici ed oligarchici ad Epidamno (a Corcira si rivolgono gli esuli
oligarchici, a Corinto i democratici impadronitisi del potere);
2. la ribellione di Potidea, colonia corinzia sull'istmo della penisola di
Pallene, contro la pretesa ateniese di indebolire i rapporti con Corinto;
3. il decreto di Atene contro i diritti commerciali di Megara, sita tra Atene e
Corinto;
4. si può forse premettere un episodio del 437, cioè l’intervento dello
stratego ateniese Formione a favore degli Epiroti nel conflitto con
Ambracia, colonia corinzia, nella parte sud del territorio epirota.
Sono le colonie di Corinto il bersaglio diretto di Atene (negli anni ’30 infatti
colpirà anche Siracusa).
Il conflitto inizia dunque come questione territoriale, e magari anche
economica (concorrenza mercantile).

2. Aspetti territoriali
Questione corcirese:
nel 435 i democratici prendono il potere ad Epidammo: i possidenti, scacciati,
chiamano gli Illirii
contro la città, che si rivolge a Corcira, madrepatria diretta (comune capostipite
è Corinto), la quale respinge le richieste; Epidamno si rivolge quindi a Corinto,
che interviene ma è battuta dai Corciresi, con il risultato della resa di Epidamno
a Corcira che la assediava.
Nel 433 Corinto cerca la rivincita, e Corcira chiede aiuto ad Atene, che cerca di
aggirare le clausole limitative della pace dei trent'anni, stipulando non
un'alleanza tout court (symmachía), ma una sui generis (epimachía), confinata
a una funzione difensiva: i Corinzi si ritirano meditando vendetta.

Atene era interessata ad un’azione provocatoria di portata limitata, che


lasciasse l'ultimo tratto verso la guerra con Corinto (cioè con la Lega
peloponnesiaca) agli avversari, facendo cadere su essi
la responsabilità morale: si ragiona in quadro di 'guerra giusta', e di 'opinione
pubblica' greca, e il fine è far maturare lo scontro, senza determinarne l'avvio
diretto.

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Simile è il caso di Potidea, colonia corinzia entrata nella Lega navale ateniese
con una funzione anti-persiana e in generale di controllo dell'area
settentrionale dell'Egeo e di contenimento di Traci e Macedoni.
Atene ordina di recidere il cordone ombelicale costituito dall’epidamiurgo (un
supermagistrato), inviato annualmente da Corinto alla sua colonia (che verso la
madrepatria assolveva da oriente quel ruolo di testa di ponte verso l’interno
balcanico, che ad occidente assolvevano Apollonia, Corcira, Ambracia,
Anattorio, Leucade).
Potidea doveva anche abbattere le mura verso la Pallene (la penisola più
occidentale fra le tre della Penisola Calcidica che si protendono nell’Egeo nord-
occidentale): una specie di resa incondizionata, che Atene propone quando il
confronto con Corinto per Corcira le ha ormai mostrato quanto forte sia la sua
potenza.
Nel 432 Potidea rifiuta, e disdice gli obblighi quale città alleata di Atene; è
sostenuta da Perdicca II re di Macedonia, che induce Bottiei e Calcidici a
rafforzare Olinto e a inglobare il corridoio che si apre fra le alture del grosso
'interno' della Calcidica, da Olinto (che è a nord di Potidea) in direzione del lago
Bolbe (ca 60km a nord-est da Olinto).
Gli interventi ateniesi furono numerosi, dati dalla necessità di fronteggiare
Perdicca II, a cui fu tolta Terme e minacciata Pidna, e poi, nel 431, restituita la
vitale posizione di Terme.
Di fronte alla Lega peloponnesiaca sempre più pronta a controazioni, Pericle
prende una decisione ostile, che colpisce nei fatti una delle città della Lega
Peloponnesiaca, presentandola come deliberazione interna alla Lega navale
attica: proibisce ai Megaresi di frequentare l'agorá attica e i porti dell'impero
(“decreto megarese” 432/431); significava strangolarla, poiché Megara viveva
d'esportazione di tessuti e vesti di lana, non potendo contare sulla terra da
coltivare.
[Pallene -> penisola calcidica; Pellene -> città dell’Acaia, sul golfo di Corinto].

3. Il problema delle responsabilità


La tradizione antica ha talora attribuito a Pericle la responsabilità della guerra e
ha individuato i motivi di questa scelta nell’intento di creare un diversivo per le
difficoltà suscitategli dall’opposizione, e nel desiderio di tutelare la sua
posizione di potere: quadro accolto anche da alcuni moderni.
Dall’altra parte vi è l’interpretazione di Tucidide, più rispettosa dei processi
storici in atto; questi vede nello scontro tra Atene (e il suo impero) e i
Peloponnesiaci, l’esito ineluttabile di un processo naturale, quello della crescita
(aúxesis) di un organismo in piena espansione, quale era l'impero ateniese, la
cui intraprendenza genera timori negli altri: nella dinamica dei fatti l'iniziativa
della guerra è dei Peloponnesiaci, nelle cause ultime la responsabilità è
dell'espansionismo ateniese.
A monte c'è il progressivo costituirsi degli elementi di due società, che vanno
costituendosi come
entità storiche in larga misura distinte e tendenzialmente fra loro alternative.
L'espansionismo ateniese non aveva necessariamente il fine di unificazione
politica di tutta la Grecia: potevano aver deciso di allargare sempre più la loro
sfera d'influenza e di esportare il loro modello democratico, che funge da
strumento di dominio, ma un progetto di unificazione della Grecia sotto il loro
dominio non è dimostrabile.

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I Peloponnesiaci invece si impadroniscono subito, alla vigilia della guerra, della


bandiera dell'eleuthería e dell'autonomía, che si staccavano dal campo della
demokratía, per la quale significò un costo storico pesantissimo; alla fine del
conflitto, il giorno dopo la resa di Atene sarà salutato come data di inizio della
libertà greca, e occorreranno vari anni prima che Atene possa recuperare le
parole d’ordine della parte democratica (libertà e autonomia).

Eventi tra la primavera e l’estate 432:


I Potideati, subito dopo la ribellione ad Atene, ottengono dagli efori spartani
una promessa d'aiuto, ma solo il caso di Megara fa sì che l'assemblea spartana
e poi l'assemblea federale peloponnesiaca dichiarino che Atene ha violato la
pace, e decidano la guerra.
Passarono diversi mesi prima che, con la bella stagione, si aprissero le ostilità:
l’intervallo di tempo fu speso in contatti diplomatici, con funzione
propagandistica, e in appelli all'opinione pubblica interna ateniese e greca
comune.
1. Una prima ambasceria spartana ad Atene chiede espulsione di Pericle (il
'sacrilegio'), appartenente alla famiglia enaghés (sacrilega) degli
Alcmeonidi;
2. la seconda ambasceria spartana chiede di rinunciare a Potidea e ad
Egina, e di abrogare il decreto contro Megara;
3. la terza ambasceria postula che gli Spartani vogliono la pace, ma che
essa può esserci solo se gli Ateniesi lasciano autonomi i Greci: è un invito
a sciogliere o modificare la Lega navale.

La guerra
Scoppia all'inizio della primavera del 431; nasce con un incidente a Platea, in
Beozia meridionale, stretta alleata di Atene: con la complicità di oligarchi
plateesi, una notte irrompono 300 Tebani, che tuttavia sono sconfitti (180
giustiziati): la pace è violata, e le ultime ricerche d'alleanza definiscono gli
schieramenti:
Sparta: Atene:
tutti i Peloponnesiaci, tranne gli Chii, Lesbii, Platesi; nella Grecia
Argivi e quasi tutti gli Achei, che nord-occ. i Messenii stanziati a
restano neutrali (i secondi Naupatto, la maggior parte degli
sceglieranno poi Sparta); anche i Acarnani, e Corcira e Zacinto; le
Megaresi, i Beoti, i Locresi, i città dell'impero sparse dalla Caria
Focesi, e le colonie corinzie di alla Doride d’Asia, alla Ionia,
Ambracia, Leucade, Anattorio all’Ellesponto, alla Tracia, alle isole
(potenze navali sono Corinto, ad oriente di Creta e del
Ambracia, Leucade, Megara, Peloponneso, alle Cicladi, tranne,
Sicione, Pellene, Elide; forniscono per ora, Melo e Tera (potenze navali
cavalieri Beoti, Focesi, Locresi e sono Chio, Lesbo, Corcira, con fanti
fanti gli altri). e denaro gli altri).

4. Aspetti cronologici
La periodizzazione della guerra in due fasi (431-421 e 413-404) è determinata
dalla pace 'di Nicia', del 421. Tucidide raggruppa la narrazione degli eventi in
gruppi di tre anni.

5. Dall'inizio della guerra alla morte di Pericle

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Due mesi dopo l'attacco fallito a Platea (maggio-giugno 431), 20.000 opliti
peloponnesiaci, al comando del re spartano Archidamo II, rafforzati da 5.000
Beoti, invadono l'Attica settentrionale per circa un mese: devastazione dei
campi, nel territorio di Acarne e dintorni, mentre gli Ateniesi,
seguendo la strategia periclea, si chiudono in città e tra la città e il Pireo
(Lunghe Mura).
Archidamo si ritira in Beozia oltre il Parnete e Oropo, e poi all'istmo di Corinto,
vi sono controazioni ateniesi sulle coste del Peloponneso, dove Atene guadagna
Cefalenia e la colonia corinzia Sollio (in Acarnania).
Gli abitanti di Egina, accusati di tramare con gli Spartani, vengono sloggiati in
favore di cleruchi ateniesi: i profughi vengono accolti dagli Spartani a Tirea, al
confine con l’Argolide (431).

Nel 430 è identico lo schema dell'invasione peloponnesiaca, che penetra più in


profondità nel territorio attico, arrivando a sud di Atene, ma l'azione è bloccata
dalla diffusione della peste, venuta dall’Etiopia e dall’Egitto, risalita per le isole
e le coste asiatiche fino a Lemno, di qui passata in Attica.
Gli ateniesi trasferiscono i contingenti (già contagiati) ad Epidauro (Argolide) e
Potidea: inevitabile la ritirata, con molte vittime.
Per Pericle – che nell’inverno del 431/430 aveva pronunciato l’epitafio per i
caduti del primo anno di guerra – è il momento più critico: il popolo vuole un
accordo con Sparta, ed egli viene privato della carica di stratego e condannato
ad una multa.

Nell’inverno successivo il confronto si svolge più a distanza: Potidea cade nelle


mani degli ateniesi nell'inverno 430/429, anche se questi vengono sconfitti a
Spartolo, nella Bottia, regione a ridosso della Calcidica.
Successivamente ha luogo la famosa spedizione di Sitalce, re dei Traci Odrisi, in
territorio macedone, quasi fin sotto le mura di Pella, con ripiegamento in
Macedonia orientale e nella Calcidica -> molto rumore per nulla, storia di una
“grande paura”.

Pericle è rieletto alla strategia nel febbraio 429: momento critico superato, ma
peste lo uccide (estate), assieme ai figli Santippo e Paralo.
La peste dissuade i Peloponnesiaci dal tornare a invadere l'Attica: si
concentrano su Platea, con un assedio che vedrà la resa della città nel 427.
Nel 429 gli ateniesi bloccano l'entrata del golfo corinzio, con l'invio di una
squadra a Naupatto (Etolia); i Peloponnesiaci tentano di staccare l'Acarnania da
Atene con un attacco per terra da Ambracia, ma sono costretti alla ritirata, e
per mare sono battuti due volte dallo stratego ateniese Formione.

Nel 427 ad Atene, sul versante radicale, emerge come leader Cleone,
commerciante di cuoi, che
propone una durissima punizione alla ribelle Mitilene (capitale di Lesbo); sul
fronte dei conservatori viene alla ribalta il ricchissimo Nicia, figlio di Nicerato.

6. Crisi e ripresa ateniese dopo la morte di Pericle (428-25)


I Peloponnesiaci ripetono spedizione in Attica nella primavera 428, e dopo il
loro rientro, si ribellano ad Atene le città della ricca isola di Lesbo (tranne
Metimna), capeggiate da Mitilene, accolta nella Lega peloponnesiaca. Atene
reagisce inviando una flotta guidata da Cleippide, e poi un'altra più efficace,

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trasportante 1.000 opliti, al comando dello stratego Pachete: nell'estate 428


inizia l’assedio di Mitilene, per terra e mare. La lega Peloponnesiaca invia, solo
nella primavera 427, una flotta, che è in Ionia quando Mitilene si è arresa.
Cleone proprio adesso propone la punizione per Mitilene che prevede
l’esecuzione degli adulti, la vendita in schiavitù di donne e bambini e la
distribuzione del territorio cittadino fra cleruchi ateniesi: la proposta viene
approvata, ma il giorno dopo un ripensamento induce a più miti consigli;
Tucidide rappresenta in un celebre agòn il conflitto di opinione tra Cleone, che
insiste sui compiti ineluttabili di chi detiene l'impero, e Diodoto, figlio di
Eucrate, che dissuade dall’adottare misure
eccessive che avrebbero incoraggiato gli irriducibili. Le mura di Mitilene furono
comunque abbattute, la sua flotta sequestrata, e 2.700 cleruchi ateniesi
ottennero la proprietà di altrettanti lotti di terreno mitilenese.
Nell'estate del 427 i Peloponnesiaci ricevono la resa di Platea.

Il 427 è anno di risveglio dell'attivismo ateniese:


a Corcira scoppia un violento conflitto tra democratici e oligarchici: l’intervento
ateniese è decisivo per la vittoria dei democratici, e ancor più l'ulteriore invio di
60 navi, in risposta all'arrivo di 55 triremi peloponnesiache, che si ritirano
all'altezza di Leucade; a Corcira segue un bagno di sangue per gli oligarchici, di
cui 500 fuggono per poi tornare ed essere massacrati nel 425.
Per Tucidide le lotte civili a Corcira (427-425) sono un salto di qualità nel
processo di radicalizzazione e ideologizzazione del conflitto politico.
È Atene ad impostare piani ispirati a grandiosità d'iniziative e progetti, alla
capacità di muoversi su ampio spazio, di condurre guerre a distanza (tra 427-
425 la guerra ha ottenuto in Atene una nuova popolarità): in un primo
momento la nuova strategia sembra rendere bene, e i Peloponnesiaci stentano
a perseguire tale strada. Non vi sono grandi mutamenti fino al 424, quando,
con Brasida, gli Spartani si mettono su una strada simile, ma più fruttuosa.

7. Sintomi di nuove strategie


Nel 426 l’annuale spedizione dei Peloponnesiaci contro l'Attica si arresta
all'istmo di Corinto, a causa di terremoti; Sparta è intenzionata a condurre una
guerra terrestre più sistematica, e ciò risulta dalla fondazione di Eraclea
Trachinia presso le Termopile (Enania/Focide), nell'estate del 426.
Sparta, nel 426-425, rivela segni di stanchezza e disorientamento; Atene
sposta il suo interesse attivo in zone occidentali, ed è segno del dinamismo
collegato con l'affermarsi politico di Cleone.
Rovesci e successi si alternano in questa iniziativa:
 nell'estate del 426 lo stratego Demostene di Afidna subisce una grave
sconfitta tentando di prendere l'Etolia, ma salva l'Acarnania dall’analogo
tentativo peloponnesiaco;
 nella primavera del 425 gli ateniesi rafforzano il contingente in Sicilia,
inviando una flotta di navi al comando di Sofocle ed Eurimedonte, e poi
un'altra a capo di Demostene, con una vasto incarico militare:
raggiungere la Sicilia costeggiando il Peloponneso, pronti ad operare
eventuali colpi di mano dove vi fosse l'occasione.
Demostene si attesta a Pilo, in Messenia (sud-ovest Peloponneso), all'entrata
della baia che la lunga isola di Sfacteria chiude verso il mare Ionio, lasciando
due piccolissimi varchi. Pilo doveva diventare una spina nel fianco nel territorio
peloponnesiaco: la gravità del pericolo spiega la rapidità del rientro delle

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truppe peloponnesiache, che nel frattempo anche nel 425 avevano invaso
l’Attica. Gli spartani bloccano la testa di ponte ateniese dall'interno della
Messenia e occupano la strategica isola di Sfacteria. Ma interviene una nuova
flotta ateniese che mette in difficoltà gli assedianti: gli Spartani aprono le
trattative per un armistizio, che consegnava la flotta peloponnesiaca agli
ateniesi, ma consentiva agli Spartani di rifornire il presidio di Sfacteria.
L’armistizio non approdò a una pace perché, su suggerimento di Cleone,
l'assemblea ateniese bloccò le trattative, e l'avvicinarsi dell’inverno, che
avrebbe vanificato il blocco ateniese a Sfacteria, rendeva necessaria una
decisione: o si catturava il presidio spartano o si rinunciava ad esso.
È un altro grande scontro politico e oratorio in cui è coinvolto Cleone, che
chiede un’azione rapida e risolutiva e che ha come avversario Nicia, stratego
anno 425/424, rappresentante dell'ala moderata; Nicia – incauto, considerati i
risultati – offre allora il comando dell’operazione a Cleone, il quale, politico
senza esperienza militare, accetta.
Cleone guida dunque i soccorsi richiesti da Demostene, e ottiene la resa degli
spartani; riceverà onori altissimi: pasti a vita nel pritaneo e un posto d'onore al
teatro.
Almeno agli inizi, ad Atene, è un succedersi di comportamenti più o meno
bellicisti, più o meno pacifisti, che non di partiti della pace o della guerra.

Nella primavera del 424 Nicia toglie agli Spartani l'isola di Citera, a sud-est
della Laconia: la nuova strategia post-periclea, di attacco diretto alle basi
nemiche, si è ormai imposta.
Cleone, eletto stratego nel 424/423 insieme a Demostene e Ippocrate di
Colargo, fu tra i fautori dell'attacco ad una città alleata di Sparta. Nella
primavera del 424 Demostene e Ipprocrate attaccano Megara, chiamati dalla
sua parte democratica: la guarnigione peloponnesiaca è costretta alla resa, e
quindi gli ateniesi si insediano nel porto di Nisea, che si affaccia sul golfo
Saronico.
Nel 424 non avrà luogo la quasi annuale invasione spartana dell'Attica.

8. Sparta e la nuova strategia


Sotto l'effetto della nuova strategia di movimento impostata dagli Ateniesi, gli
Spartani attaccano Atene in una zona lontana, ma raggiungibile con l'esercito
di terra: ideatore di tale nuova strategia è Brasida. Pochi uomini formano il
primo nucleo dell'esercito, presto rafforzatosi da soccorsi peloponnesiaci (da
Corinto, Sicione e Fliunte) e beotici: fermano la pressione ateniese su Megara.

Brasida, nel 424, raggiunge la Tracia, passando per la Tessaglia (tiepida nei suoi
confronti, meglio disposta verso Atene) e per la Macedonia di Perdicca II, che si
schiera al suo fianco; nell'inverno 424/423 attaccano Anfipoli, presso la foce
dello Strimone, sorvegliata dallo stratego Eucle, ma anche dallo storico
Tucidide, stratego del settore tracico (stante a Taso). Tucidide punta su Anfipoli,
ma riesce a salvare solo la fortezza di Eione, alla foce del fiume: ciò gli costò
l'esilio ventennale.
Brasida è capace anche di adottare una politica della 'mano tesa': offre agli
Anfipoliti, per favorirne la resa, di restare in città con pieni diritti, o di
andarsene entro 5 giorni, includendo fra loro i pochi Ateniesi presenti e i coloni
di diversa origine: a tali condizioni la città si arrende.

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Nel 424/423 gli Ateniesi subiscono un durissimo rovescio presso il Delio, cioè il
santuario di Apollo delio sorgente nel territorio della beotica Tanagra.
Gli Ateniesi, dopo l'attacco riuscito solo a metà contro Megara, rivolgono le loro
mire alla Beozia: qui un'azione di esuli beoti filoateniesi e gli ateniesi di
Demostene (a capo di truppe acarnane) e di Ippocrate (a capo di un poderoso
esercito ateniese) avrebbe dovuto portare all'occupazione di Cheronea da parte
dei Beoti fuorusciti, di Sife (presso Tespie) da parte di Demostene, e a un
confronto dell'esercito ateniese con le forze federali beotiche: i primi due piani
furono prevenuti dalle forze federali beotiche, e Ippocrate, limitatosi a lasciare
un campo fortificato e un presidio a Delio, nella marcia di rientro intrapresa per
evitare di dover affrontare da solo lo scontro con il grosso dei Beoti, fu
attaccato e sconfitto: eliminati, oltre a lui, 1.000 opliti.
Nel 424 vi è anche il rientro dall'impresa siciliana: richiamato (426/425)
Lachete, processato ma assolto, il nuovo stratego Pitodoro, nel 425, dovette
registrare la perdita di Messina. L’arrivo della flotta ateniese al comando di
Sofocle e di Eurimedonte preoccupò i Sicelioti, che lasciarono le discordie
interne e decisero che le questioni di Sicilia fossero cosa dei Sicelioti, sec. la
formulazione del siracusano Ermocrate nel congresso di Gela (424), che
raccomanda pace con Atene nel senso della conservazione dello status quo
ante. Per Atene, a parte il rafforzamento di legami affettivi e politici con le città
d'origine calcidese (ionica), la prima spedizione siciliana vide un nulla di fatto.

9. Verso la pace 'di Nicia'


Nel 423 si ha il primo cambiamento di rotta, emerge un vero 'partito della
pace': Lachete, autore e fautore della spedizione in Sicilia, riuscì a far stipulare
un armistizio di un anno; il bellicista è diventato ora fautore della pace.
In Tracia e Calcidica si espande intanto la ribellione contro Atene: defezione di
Scione, nella Pallene, a sud di Potidea; gli ateniesi vogliono punirla in maniera
esemplare, e inviano al comando di Nicia una flotta, con opliti e truppe leggere:
Scione è assediata.
La tregue di Lachete dura un anno, e al suo spirare (422), dato che gli spiriti
non sono disposti alla pace, non è prorogata.

Nel 422/421 Cleone è rieletto stratego e assume l'attacco diretto alle posizioni
di Brasida: riprende Torone (in Sitacia, la lingua centrale della penisola
calcidica) e Galepso, e si attesta ad Eione, e di qui fa una ricognizione sotto
Anfipoli, durante la quale è attaccato da Brasida e in cui trova la morte (fra i
pochi caduti peloponnesiaci c'è Brasida).

Vi sono problemi interni al Peloponneso:


 agitarsi di Mantinea, che estende il proprio dominio fino ai confini con la
Laconia;
 agitarsi dell'Elide, in conflitto con Lepreo, protetta dagli Spartani.
Le discordie interne favoriscono la disposizione spartana alle trattative, così
come sugli Ateniesi influiscono le varie sconfitte subite. Lo spirito delle
trattative è quello del ripristino dello status quo ante bellum, operate le debite
restituzioni.
L’ occasione immediata è la scadenza della pace trentennale tra Argo e Sparta,
e il timore di questa che si formi un’alleanza tra Atene e la tradizionale rivale di
Sparta nel Peloponneso (cosa che puntualmente accadrà appena un anno dopo
con Alcibiade).

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10. I trattati del 421


Pace 'di Nicia':
 Accordo di tregua di 50 anni, stipulato tra Ateniesi e Spartani, e i
rispettivi alleati; rifiutata, per parte peloponnesiaca, da Corinzi, Elei,
Megaresi, Beoti (parte cospicua antiateniese);
 Clausole giurate da 17 personalità per parte; l'intesa trae origine anche
dalla volontà di singoli individui (a Sparta, fra i pacifisti, il re Plistoanatte;
ad Atene, fra i pacifisti, Nicia e Lachete);
 La pace si ispira al principio delle restituzioni, o delle compensazioni
obbligate ove le restituzioni non siano possibili (fra le premesse, ad es., vi
è la rinuncia ateniese a Platea, contro la conservazione di Nisea):
- Pilo e Citera agli Spartani;
- Anfipoli agli Ateniesi (impegno che gli Spartani non potranno
mantenere, né Atene la occuperà mai più);
- le città ribelli della Calcidica (Argilo, Stagiro, Acanto, Scolo, Olinto,
Spartolo, a cui nel trattato si aggiungono Meciberna, Sane e Singo)
devono essere autonome, pur pagando agli Ateniesi il tributo 'del
tempo di Aristide', e alla Lega ateniese esse aderiranno solo se lo
vorranno;
- gli Ateniesi avranno, al confine attico-beotico, Panatto;
- gli Spartani avranno, dal Peloponneso alla Locride, Pilo, Citera,
Metana, Pteleo e Atalanta, e riavranno i prigionieri di Sfacteria;
- gli Ateniesi potranno fare quel che vorranno di Scione, Torone e
Sermilia, a patto di rilasciare Spartani e alleati che siano il loro mano
(e viceversa per i prigionieri ateniesi).
 Dopo aver garantito le libertà di tutte le espressioni cultuali tradizionali e
aver riconosciuto l’autonomia del santuario delfico e di Delfi stessa, il
trattato prevede che tra i due schieramenti non vi debbano essere atti di
ostilità, e che le controversie vengano risolte in base ai principi del diritto
e ai giuramenti;
 Il trattato è da riconfermare con giuramento ogni anno, e sarà pubblicato
nei grandi santuari panellenici (Olimpia, Delfi e all’Istmo) e in santuari di
Atene e Sparta
 Il trattato di symmachía (alleanza militare) tra Sparta e Atene è
cinquantennale;
 L’alleanza è concepita in termini di mutua difesa contro aggressioni
rivolte all'una o all'altra città, e gli Ateniesi aiuteranno gli Spartani in caso
di rivolta della servitù ilotica.

Con tale guerra (guerra decennale, sec. Tucidide) Atene non aveva fatto passi
avanti a livello territoriale, ma otteneva che fosse riconosciuta, almeno da
Sparta, la consistenza e la struttura del
suo impero: le gravi perdite umane e economiche sono controbilanciate da una
maggiore autorità storica. Tuttavia, il mondo greco – e Atene e il nuovo mondo
democratico da essa suscitato – era ancora in fermento.

11. La quadruplice alleanza antispartana (420-418)


Appena stipulata la pace di Nicia, vi fu difficoltà nel realizzarne i complicati
meccanismi, gli equilibristici scambi.

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Il nuovo generale spartano del settore tracico, Clearida, non riuscì ad


assicurare la restituzione di
Anfipoli, non voluta dai Calcidici, perciò Atene non restituì Pilo e Citera, e un in
primo tempo nemmeno i prigionieri di Sfacteria.
Corinzi e Beoti si sentivano frustrati dato che non fu prevista la liberazione di
Potidea o Corcira, o di altre città. Così Elide, Mantinea, Corinto (stati del
Peloponneso in tradizionale antagonismo con Sparta) e i Calcidici si alleano con
Argo, libera da obblighi con Sparta.
Sparta, con i suoi alleati, cerca di riannodare i rapporti, sollecitando anche
l'attuazione del trattato di pace, ma per il 420 sono eletti, fra gli efori spartani,
alcuni ostili alla pace; da parte ateniese si aggiunge l’elezione di Alcibiade alla
strategia (420/419), a cui subito segue la stipula di un’alleanza
difensiva di Atene con Argo, Mantinea e l'Elide, e nel 419/418 la denuncia
ateniese della violazione
della pace da parte spartana.
Nel 418 la rielezione di Nicia non comporta cambiamenti della politica di Atene
come ormai impostata da Alcibiade.
Nel 418 il re spartano Agide II penetra in Arcadia e poi, con gli alleati beoti e
con altri, blocca il passo di Nemea, mentre con l'esercito lacedemonio si spinge
da Fliunte fin sotto Argo; trovatosi in posizione pericolosa, tra la città e
l’esercito argivi, chiede e ottiene dalla stratego argivo Trasillo una tregua di
quattro mesi.
A soffiare sul fuoco è Atene che, poco dopo, invia opliti e cavalieri al comando
di Lachete e Nicostrato, con il supporto di Alcibiade: avanzano in Arcadia,
prendendo Orcomeno, ma quando gli Elei vogliono sia soddisfatta la loro
aspirazione alla conquista di Lepreo, nascono contrasti: gli Elei si ritirano; gli
Spartani, con i Tegeati e gli altri alleati, attaccano sotto le mura di Mantinea
(418), dove vi è la battaglia con eserciti più numerosi greci (8-10.000 per
parte): durissime perdite per Ateniesi e Argivi, contro pochi caduti avversari.
=> Sparta riprende le redini del Peloponneso:
o Argo torna al regime oligarchico (per poco, fino al 416);
o Mantinea e l'Elide firmano con Sparta una pace equivalente alla rinuncia
alle rispettive pretese d'egemonia (in Arcadia) e di conquista (di Lepreo).
Ad Atene vi è forte inquietudine nella massa cittadina, sfogantesi in forme
impreviste, non contro i responsabili (Alcibiade, Nicia), ma contro Iperbolo,
demagogo fabbricante di lampade che è ostracizzato e si ritira a Samo. Nicia e
Alcibiade sono invece rieletti strateghi per 417/416-416/415.

12. Nicia e la spedizione di Melo (416)


Nicia guida una flotta in Tracia, per riconquistare Anfipoli, con l'aiuto di Perdicca
II di Macedonia (che però non mantenne la promessa d'intervenire a fianco
degli Ateniesi).
Ad Argo viene restituita la democrazia, in chiave antispartana, e si progetta
persino la costruzione di
lunghe mura tra la città e il mare (sul modello della sistemazione territoriale
realizzata dalla democrazia nautica in Attica; ciò fu bloccato dell'intervento
spartano 417/416).
Nel 416 Nicia riprende il progetto aggressivo contro una delle isole delle Cicladi,
Melo, che egli aveva inutilmente tentato di assoggettare nel 426, quando
almeno gli riuscì di rendere tributaria l’altra isola di tradizioni spartane, cioè
Tera.

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Dall'estate 416 all'inverno 415 vi è il lungo assedio di Melo, che termina con
una durissima capitolazione degli assediati: sterminata la popolazione maschile
adulta, gli altri abitanti vengono venduti in schiavitù e viene insediata una
cleruchia ateniese di 500 unità.
Nicia, secondo Tucidide, pensa che bisogna assoggettare i ribelli e quelli che
obbediscono in modo dubbio, senza andarsi a cercare altrove nuove guerre:
dice ciò per contrastare la proposta di Alcibiade di un intervento in Sicilia.
Tucidide definisce la politica di Nicia non “pacifista”, ma “ostile all'allargamento
del conflitto a macchia d'olio, e tuttavia, all'interno dei confini di volta in volta
posti, capace di estrema durezza.

13. La spedizione ateniese in Sicilia degli anni 415-413


La richiesta d'aiuto di Segesta, città elima, e degli esuli di Leontini, città
d'origine calcidese, contro Selinunte (fondazione di Megara Iblea, in contrasto
con Segesta per questioni di territorio e di matrimoni) e contro Siracusa
(potente colonia corinzia) è l’inizio della spedizione ateniese in Sicilia.

Ad Atene si fa balenare l’idea dell'esistenza di grandi ricchezze da mettere a


disposizione per la guerra, e si fa leva sul timore che i Dori di Sicilia possano
intervenire a fianco di quelli del Peloponneso. Nicia ricorda il numero e la
potenza delle città da combattere, ma il senso di sicurezza, la mania di
grandezza (Alcibiade parla di conquista della Sicilia e di Cartagine) e la voglia
di nuovo, vivissima fra i giovani, hanno la meglio.

Fra la fase dei dibattiti e quella dell'avvio della spedizione vi è l’episodio del
danneggiamento delle erme, statue-pilastrini di Ermes, che adornavano slarghi
e strade di Atene, e i cui elementi più compiutamente rappresentati sono testa
e sesso.
Appaiono comprensibili sia i destinatari del gesto vandalico sia l’effetto che se
ne volevano ottenere; restano non identificati gli autori (anche se più tardi, per
le mezze ammissioni di Andocide, ne sarà incolpata l’eteria di Eufileto). Il
destinatario è di certo Alcibiade, quindi gli autori sono suoi nemici, ed è
possibile che vi sia una collusione di nemici di vario tipo: cospiratori d'idee
antidemocratiche, che in egli vedevano capo democratico; democratici di
stampo conservatore, come Nicia, che si sentivano indotti a una guerra d'un
tipo che non gradivano; forse democratici radicali, che magari non volevano
perdonare ad Alcibiade la strumentale alleanza stretta con Nicia al momento
della 'verifica' dell'ostracismo del 417, quando individuarono in Iperbolo una
comoda vittima politica (lo stesso Nicia poteva avere interessi a vedere
indebolita la posizione di Alcibiade).
La mutilazione porta turbamento pubblico e presagi negativi per la spedizione
che sta per partire: la coscienza civica e religiosa è turbata: si cercano gli autori
del crimine.
Alcibiade, vittima prima del gesto degli ermocopidi (tagliatori di erme), viene
coinvolto direttamente nell'accusa di sacrilegio: accusato di aver parodiato, in
casa sua, i misteri di Eleusi, di aver celebrato una sorta di nefanda messa nera;
egli chiede allora, avendo fretta, di essere giudicato subito, ma lo si spedisce in
Sicilia con l'accusa pendente.

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La flotta della Lega conterà 134 triremi, di cui 100 ateniesi (60 da battaglia, 40
per trasporto di truppe), e trasporterà 5100 opliti (1500 Ateniesi di rango
oplitico, 700 di rango tetico, e 500 Argivi).
Nell'estate 415 la spedizione raggiunge l'Italia, a capo vi sono Nicia, Lamaco e
Alcibiade, il quale
aveva apparentemente la linea strategica più prudente, ma di fatto più ispirata
a idee di grandezza: costruire in Sicilia una vasta alleanza e poi attaccare
Siracusa; Lamaco era favorevole ad un attacco immediato; Nicia voleva
sostenere Segesta, attaccare o intimidire Selinunte, inducendola a riconciliarsi
con la città elima, ed eventualmente fare qualcosa in favore degli esuli di
Leontini.

La flotta costeggia l'Italia senza riscuotere simpatia fra le città greche della
regione: Taranto e Locri rifiutano persino l'ormeggio e l'acqua, Reggio e
Messina vietano l'ingresso in città, le città calcidesi di Sicilia, tranne Nasso,
mostrano notevole freddezza, a Catania gli Ateniesi, veduta cadere una
speranza dopo l'altra, forzano la situazione e irrompono in città, e ivi si
trasferisce l'esercito, rimasto a Reggio.
A questo punto vi è il richiamo in patria di Alcibiade, la cui posizione era
peggiorata con denunce e inchieste: la nave di stato Salaminia giunge a
Catania per riportarlo ad Atene, egli l'accompagnò con la propria nave fino a
Turii, ma qui fece perdere le tracce, riapparendo nel Peloponneso, primo in
territorio argivo, poi a Sparta, dove consigliò l'intervento, e l'invio di Gilippo a
Siracusa (415/414).

Nel 415, a Siracusa, gli Ateniesi affrontano l'esercito cittadino, che uscì battuto;
ne segue il trasferimento dell'esercito ateniese nei quartieri d'inverno di Nasso
e Catania. Furono fatti tentativi di guadagnare alleati in Sicilia (adottato lo
schema Alcibiade), con risultati magri:
o Messina rimase neutrale;
o più favorevoli i Siculi, nell'area gravitante intorno a Siracusa;
o meno deludente la neutralità iniziale di Camarina, sottocolonia di
Siracusa, con forte vocazione autonomistica, e di Agrigento.

Larga parte della buona stagione del 414 registra vittorie ateniesi: ricevuti
rinforzi di cavalleria da Atene e dagli alleati siculi, l'esercito approfitta di alcune
incertezze siracusane (cingevano la città di fortificazioni) e s'impadronisce delle
alture delle Epipole, che dominano la città da ovest e nord-ovest: da queste
vogliono fare il perno di un sistematico blocco, di cui le parti artificiali sono
costituite da un muro di 5 Km tutt'intorno la città: gli scontri con cui i Siracusani
tentarono di fermare l'opera furono insuccessi, anche se morì Lamaco.
Sparta e Corinto, sollecitate da Alcibiade e dagli ambasciatori siracusani,
inviano aiuti: lo spartano Gilippo raggiunge la Sicilia, attraversa lo stretto di
Messina e sbarca ad Imera, da dove, con aiuti imeresi, di Selinunte, di Gela e
dei Siculi dell'interno, raggiunge via terra Siracusa, prendendo con un attacco a
sorpresa l'altura delle Epipole e avvia la costruzione di mura della città a
quell'altura, incrociando la costruzione ateniese, compromettendone il
compimento e impedendo l'accerchiamento totale della città.

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Più a sud, nella zona del Porto Grande, Nicia, dopo l'arrivo di Gilippo, aveva
fortificato il capo Plemmirio, che chiude il porto a sud-est: tra il 414 e il 413
arrivarono aiuti ai Siracusani, da Corinto, Siculi, Spartani, Beoti e altri.
Ne seguirono due scontri navali: il primo sfavorevole per Siracusa, mentre
Gilippo da terra si impadroniva delle fortificazioni del capo Plemmirio; il
secondo sfavorevole agli Ateniesi.
Da qui in poi tutto peggiora per Atene: a muovere le acque furono ambasciatori
siracusani inviati a Corinto e a Sparta nell'inverno 415/414, e Alcibiade, che
aveva enfatizzato i piani ateniesi di conquista, attribuendovi quella dimensione
grandiosa che un giorni aveva egli stesso sognato: assoggettare Sicelioti e
Italioti, Cartagine, e poi, con i barbari dell'Iberia e con altri particolarmente
bellicosi, assalire il Peloponneso e quindi dominare su tutta la Grecia.

Già al momento dell'invio di Gilippo (414), gli Spartani avevano progettato di


occupare e fortificare Decelea, in territorio attico, a 20 Km da Atene; nel corso
dell'anno vi furono scontri tra Spartani e Argivi, seguiti da un intervento
ateniese e da una serie di sbarchi sulle coste orientali della Laconia. La pace di
Nicia era palesemente violata, perciò nel 413 il re Agide II invade l'Attica e
occupa stabilmente Decelea.

Atene non poteva scordare la Sicilia: nell’inverno 413 invia navi a Siracusa e a
Naupatto, per una missione di disturbo, mal riuscita; nell’estate 413 invia
nuova flotta e nuova armata (73 navi, con 5'000 opliti e molti armati alla
leggera), al comando di Demostene: nel viaggio raccolgono adesioni di
Metaponto e di Turii, che, dopo rivolgimenti interni, presero il coraggio di
contrastare Taranto. Demostene, giunto nel porto Grande di Siracusa, riprende
il progetto del blocco: la premessa è la riconquista dell'Epipole.
In uno scontro notturno, dopo un primo successo, gli Ateniesi subiscono una
durissima sconfitta (413): Demostene sapeva che senza l'Epipole era inutile
proseguire la guerra: si torna in patria, anche perché lì vi è la guerra.
Il 27 agosto 413 la flotta è pronta a partire, ma un'eclisse di luna consiglia al
superstizioso Nicia il rinvio della partenza. Decisione fatale: i Siracusani
cercano di bloccare l'uscita del porto, in 2 scontri navali vi riescono; nel 1°
muore lo stratega Eurimedonte, e nel 2° gli ateniesi, che perdono in tutto 68
navi, sono ricacciati nelle basi di terra. Essi possono adesso cercare fuga solo
per via di terra, lungo la costa, per Eloro, verso Camarina. I Siracusani li
inseguono; nella marcia, l'avanguardia guidata da Nicia è troppo veloce per
poter essere seguita da Demostene, che conduce più della metà dell'esercito:
perduto il contatto Demostene diventa il primo bersaglio e presto si arrende.
Nicia, proseguendo verso sud e giungendo al fiume Assinaro, subisce l'attacco
nemico: cade con l'esercito in mano Siracusana. Contro la volontà di Gilippo,
Nicia e Demostene sono giustiziati, gli altri sono tenuti nelle Latomie, le cave di
Siracusa per un paio di mesi, e poi, quanti non fossero di Atene o di città
alleate di Sicilia o d'Italia – i Siculi, di fatto – furono venduti schiavi; Plutarco
racconta che ottennero la libertà o soccorsi vari quelli che sapevano recitare
versi delle “Troiane”, la tragedia europea maledicente alla guerra e carica di
moniti di pace.
La libertà della Sicilia era salva, come promise Gilippo prima della battaglia del
porto Grande, e
Sparta ne aveva il merito di fronte all'opinione pubblica greca.

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14. La guerra di Decelea e la guerra ionica (413-411)


Nel secondo spezzone della guerra del Peloponneso (413-404), che inizia con
l’occupazione spartana di Decelea, si segnalano almeno quattro aspetti
fondamentali, in parte nuovi rispetto alle caratteristiche della guerra
archidamica:
1. Spicca il ruolo di Alcibiade, che tra 415-411 determina negativamente le
vicende di Atene:
- in Sicilia, con i consigli d'intervento rivolti agli Spartani;
- in Egeo, con l'intesa promossa tra Sparta e Persia;
- in patria, con l'ideazione del cambio di regime da democratico ad
oligarchico (411).
Segno di contraddizione in Atene e in Grecia, al centro di amori e odi
violenti, uomo di formazione democratica, ma assai meno capace,
rispetto a Pericle, di tenere una linea divisoria tra pubblico e privato, tra
la realtà politica e la sua persona: rappresenta l'esplodere della
personalità in un contesto ove i valori comunitari erano stati finora
decisivi.

2. Ad Alcibiade si deve l'avvio dei contatti con i governanti persiani


dell'Asia Minore, che dovevano procurare il loro intervento nella guerra
greca e l'appoggio del re a Sparta: i trattati spartano-persiani del 412/411
sono premessa dell'intesa tra il viceré persiano di Sardi, Ciro (il giovane),
e il generale spartano Lisandro (408 in poi).
3. Ad Alcibiade si devono altre iniziative, presto rinnegate, per modifiche
nella costituzione ateniese:
- istituzione di una commissione di 10 próbouloi, consiglieri che
'istruivano' le varie questioni, presto portata a 30 membri (413);
- colpo di stato oligarchico (411).
Alcibiade avvia il progetto oligarchico, sostenendo – nel momento in
cui decide di trasferire a beneficio d'Atene le sue aderenze persiane –
che esso sarebbe gradito dalla Persia, ma poi rientra nel campo
democratico.

4. Il problema degli alleati di Atene: in questa seconda fase, le fonti


distinguono, in riferimento all'area dove la guerra si svolge, una 'guerra
ionica'. L’episodio isolato di ribellione ad Atene (rivolta di Mitilene), che
aveva affiancato la guerra archidamica nell'Egeo orientale, ora si
moltiplica e diventa sistematico, e vi si intrecciano rivolta spontanea
degli alleati ionici di Atene. La guerra si deciderà proprio nell'Egeo
settentrionale-orientale, fra le isole prospicenti le coste e presso le coste
dell'Asia Minore occidentale.

Tutta la politica praticata dagli Ateniesi, fino alla seconda spedizione in Sicilia
inclusa, comincia a produrre contraccolpi dal 413 in poi: la rivolta degli alleati
di Atene scoppia in Eubea, a Lesbo, a Chio, che mandano ambasciatori a
Sparta, per sollecitarne l'intervento.
Il convoglio peloponnesiaco è bloccato al capo Spireo, tra Corinzia ed Epidauro,
ma forza il blocco, e una piccola squadra spartana, al comando di Astioco,
raggiunge Chio (412). La rivolta si allarga a macchia d'olio: Eritre, Clazomene,
Teo, Mileto, Lebedo, in Asia Minore, e Metimma e Mitilene, nell’isola di Lesbo,
defezionano da Atene.

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È anche opera di Alcibiade il coinvolgimento della Persia; del resto gli Ateniesi
fecero tutto ciò che era in loro potere per favorire la combinazione Sparta-Ioni-
Persia, prodottasi con il patrocinio di Alcibiade, a cui si sommavano le
ambiguità del comportamento degli Ioni, a metà strada tra il desiderio di
liberarsi da Atene e quello di non cadere del tutto nelle mani dei Persiani, i
quali nel 430 presero Colofone, ma Atene rinnovò nel 424, con Dario II, il
trattato 'di Callia' con quello 'di Epilico', dal nome dell’ambasciatore ateniese.
La rivolta di Pissutne, satrapo di Sardi, fu domata da Tissaferne, che inviò
Pissutne al re perché fosse giustiziato e lo sostituì personalmente nel governo
della satrapia di Lidia: Atene commise il torto di sostenere, contro il re, il figlio
di Pissutne, Amorge, anche per vendicarsi dell'occupazione di Efeso effettuata
da Tissaferne.
Dopo la presa di Mileto da parte peloponnesiaca, comincia la serie di trattati tra
Sparta e la Persia: sono 3, procurati rispettivamente da Calcideo, Terimene e
Tissaferne; sono soltanto uno più preciso dell’altro, e in tal senso il terzo, sintesi
e formalizzazione dei precedenti, è definitivo e prevede:
 rinuncia, da parte spartana, alla difesa dell'autonomia dei Greci d'Asia dal
re di Persia;
 concessione di aiuti finanziari per la guerra, da parte persiana.
Nel 412 il contrattacco ateniese riconquista Lesbo e Clazomene, e blocca
Mileto, dove gli Ateniesi sbarcheranno, ma in modo vano pel sopraggiungere
d'una flotta peloponnesiaca. In Asia s'illustra lo spartano Astioco, navarco che
nel 412 raggiunge Mileto, base della flotta peloponnesiaca.
La base della flotta ateniese è invece la fedele Samo. Una dopo l'altra le città
della Lega sono perdute da Atene: Cnido, Cauno; nel 411, nel settore ionico e
cario, gli Ateniesi hanno Samo, Notion, Lesbo, Cos, Alicarnasso e Clazomene; i
punti chiave quali Chio, Efeso, Mileto sono perduti.

15. Il colpo di stato del 411 ad Atene


Vi sono le condizioni per una svolta politica in senso oligarchico:
1) come reazione agli insuccessi della politica estera democratica;
2) come logico sviluppo di precedenti avvisaglie;
3) come maturazione delle trame occulte tessute da Alcibiade con gli
ufficiali ateniesi della flotta di Samo: se un fattore del deterioramento
delle posizioni ateniesi nell'Egeo orientale era l'alleanza spartano-
persiana, la situazione si poteva ribaltare, sec. Alcibiade, mutando il
regime da democratico in oligarchico: Pisandro, trierarco a Samo,
raggiunge Atene, latore di tali proposte; in realtà Alcibiade, per gradi,
tenta di rientrare nel gioco politico di Atene.

Ostacoli al nascente regime vennero dalla flotta di Samo, da cui erano partiti gli
ufficiali istigatori del complotto (Pisandro e altri): numerosi i cittadini impiegati
negli equipaggi, ed essi vennero presto a trovarsi nelle condizioni di
contrastare gli sviluppi politici ateniesi.
Vanno distinte le vicende della città di Samo e quelle della flotta e degli
equipaggi della flotta ateniese a Samo. Nel 412 c'era stato a Samo una
rivoluzione democratica, che aveva fatto strage di capi oligarchici e privato gli
altri di diritti politici e di proprietà. Nel 411 gli oligarchi tentano di rovesciare la
situazione, contando sugli ufficiali cospiratori, e uccidendo Iperbolo.
L’intervento degli equipaggi ateniesi democratici e dei nuovi strateghi da essi
eletti (tra cui Trasibulo di Stiria e Trasilo) soffoca cospirazione. Preoccupati per

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fatti di Samo, gli oligarchi di Atene (Antifonte, Frinico, Teramene) cercano


d'ammansire gli uomini della flotta, spiegando che, una volta effettivamente
passato il potere ai Cinquemila, nulla sarebbe cambiato rispetto al passato.

A Samo l'assemblea dei marinai ateniesi assume un particolare ruolo politico: si


assiste ad una scissione nella cittadinanza ateniese: la spaccatura ideologica è
diventata evidente, tangibile.
La parte di cittadinanza ateniese che serve nella flotta di Samo intende
incarnare la legittimità democratica, valere come la vera città di Atene.
Alcibiade, nel frattempo distanziatosi dai putschisti oligarchi, è il lontano
'garante' dell'operazione:
l'assemblea dei marinai lo richiama dall'esilio.
Il tentativo di fortificare Eezonia, striscia di terra delimitante a nord il Pireo, con
l'intento di impedire lo sbarco a quelli di Samo, suscita il sospetto – propalato
ad arte da Teramene, che vuole
prendere le distanze dal gruppo – che si stia costituendo base d'appoggio per
uno sbarco spartano: Frinico fu ucciso in piazza, il potere si disse essere esteso
ai Cinquemila (411).

Intanto riprende l’attività della flotta ateniese di Samo. Della zona


dell'Ellesponto gli Ateniesi conservano ancora il controllo: qui, quindi, si rivolge
lo sforzo peloponnesiaco. -> Azioni di Dercillida contro Abido e Lampsaco nella
Troade, e defezioni di Bisanzio, Calcedone, Selimbria, Perinto, Cizico,
compromettono le posizioni ateniesi nella zona degli Stretti (411).
Nell'Egeo settentrionale seguono l'es. dei ribelli, l'isola di Taso e la città di
Abdera in Tracia; una flotta peloponnesiaca, al comando di Agesandrida, batte
gli Ateniesi ad Eretria, e ciò procura la defezione di tutte le città dell'isola
d'Eubea (tranne Oreo, cleruchia ateniese), vitale per Atene.

16. La continuazione della guerra ionica e il ritorno della democrazia ad Atene


Al promontorio di Cinossema, presso Sesto, poi presso Abido, sull'Ellesponto, si
ebbero 2 scontri navali favorevoli ad Atene (411), e la riconquista di Cizico,
presto riperduta.
Nel 410 la flotta ateniese, comandata da Alcibiade e rafforzata da una squadra
condotta proprio da Teramene, sconfigge davanti a Cizico il navarco Mindaro,
che muore, e tutta la flotta peloponnesiaca è catturata. Anche a terra Atene
riprende l’iniziativa: il re Agide, spintosi da Decelea fin sotto Atene, si trova di
fronte ad un esercito, comandato da Trasillo, ma rifiuta la battaglia.
I tempi son maturi per la restaurazione democratica: e si mette in luce nello
scenario politico del 410 Cleofonte, fabbricanti di lire. È il ritorno del consiglio
dei Cinquecento e della democrazia delle
indennità.
Alcibiade coglie, tra 409 e 408, nuovi successi nell'Ellesponto contro i
Peloponnesiaci e contro
Farnabazo, satrapo persiano della Frigia, e quasi tutte le posizioni nell'area
degli Stretti e nell'Egeo
settentrionale sono recuperate. Alcibiade sarà eletto alla strategia nel 408; ad
egli, esiliato per l'accusa d'aver parodiato i misteri eleusinii, è consentito
guidare via terra ad Eleusi la processione che in quegli anni aveva potuto
svolgersi solo su mare, per timore d'attacchi spartani da Decelea).

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17. L'ultima fase della guerra (407-404)


Nell'Egeo orientale si va preparando la svolta decisiva: l’invio a Sardi del
quindicenne Ciro, figlio di Dario II, nel 408, con poteri di káranos, cioè capo
delle forze persiane in Asia Minore, determina il deciso avvicinamento tra
Persia e Sparta, per l'intesa piena tra Ciro e Lisandro.

Tra Notion ed Efeso è zona di contatto tra flotta ateniese e spartana. Lisandro,
con tempismo, rifiuta una provocazione di Alcibiade alla battaglia (408), e
accetta quella offerta dal luogotenente di questo, Antioco (407), che è sconfitto
e muore.
Gli eventi adesso assumono repentinità: nel 407 Alcibiade, rieletto stratego
(407/406), è deposto e sostituito da Conone, e si ritira nelle sue fortezze
sull'Ellesponto.
Dopo il duro colpo di Cizico, gli Spartani ricostituiscono la flotta, e nel quadro
dell'impegno spartano per la ripresa della guerra navale – da dirigere contro
l'Egeo settentrionale e gli Stretti – va collocato il riavvicinamento tra Sparta e
Persia, avvenuto con l'allontanamento di un Tissaferne già orientato a favore di
Atene, e con l'insediamento di Ciro al posto di comando di Sardi.
A Lisandro, nel 406, succede Callicratida; egli conquista la postazione ateniese
del Delfino a Chio, poi si spinge a Lesbo, dove prende Metimna e sconfigge una
flotta ateniese, comandata da Conone, davanti a Mitilene, bloccandola nel
porto.
Ad Atene si corre ai ripari con misure eccezionali:
 promessa la cittadinanza ai meteci;
 promessa la libertà agli schiavi;
 si fondono, per coniare denaro, oggetti preziosi consacrati nei templi,
riuscendo così a mettere insieme equipaggi e navi.

Nel 406 una flotta di 150 triremi affronta una flotta spartana di 170, guidata da
Callicratida, alle isole Arginuse (tra Lesbo e il continente asiatico); Callicratida
muore e Sparta perde 70 triremi, gli Ateniesi vincono, ma a caro prezzo in
quanto gli strateghi, per le cattive condizioni del mare, non soccorsero i
naufraghi.
Per questo, quanti tornarono furono giudicati dall'assemblea popolare
(processo delle Arginuse): 6 su 8 comandanti furono condannati a morte
(Erasinide, Pericle il giovane, Trasillo (leader rivolta
samia), Diomedonte, Lisia, Aristocrate), gli altri 2, Protomaco e Aristogene,
fuggirono.
Socrate si oppose a tale procedura, che non fece distinzione fra le
responsabilità individuali; la colpa c'era, e grave: omissione di soccorso, ma il
processo fu l'espressione di una esasperata e implacabile coerenza, che non
volle sanare un comportamento colpevole neanche con gli allori di una vittoria.
Alcuni uomini del gruppo politico di Alcibiade ne trassero frutto – Adimanto fu
eletto stratega – ma non si può affermare che il processo fosse guidato dal suo
'partito'. Nel processo delle Arginuse vi è forse anche la volontà di farla finita
con una guerra disperata.

Alla navarchia spartana torna Lisandro, di fatto, ma non di diritto, perché la


carica non poteva rivestirsi due volte: come epistoleús (comandante in
seconda), agli ordini di Araco, riprende le operazioni nell'area degli Stretti e
nell'Egeo settentrionale (405/404):

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 Lampsaco, nella Troade, è ripresa: 3000 Ateniesi giustiziati, Atene perde


160 su 180 navi;
 crollo di tutte le posizioni ateniesi da Sesto a Bisanzio a Mitilene;
 presto Lisandro compare con 150 navi di fronte al Pireo, e da terra il re
Pausania II congiunge le forze con quelle di Agide II, attestate a Decelea
e, avendo marciato su Atene, si apposta presso l'Accademia, poco fuori il
Dipylon; dopo un po' gli eserciti spartani rinunciano all'assedio, resta la
flotta a bloccare i rifornimenti;
Le proposte di pace di Sparta sono respinte da Cleofonte, campione di una
resistenza ad oltranza priva di senso senza l'impero, senza l'Eubea, senza la
flotta e col nemico al Pireo.
Teramene si offre allora di andare come ambasciatore presso Lisandro, e vi
resta 3 mesi, durante i quali la penuria di rifornimenti raccomanda agli Ateniesi
il cedimento, e si condanna a morte Cleofonte, accusato di non aver compiuto il
suo dovere d'ufficiale. Teramene rientra poi quando clima era adatto, e ottiene
pieni poteri come ambasciatore (un caso eccezionale, nella democrazia
ateniese, un presbeutès autokrátor).

Alla fine della guerra riappaiono i due fili distinti inizialmente: Corinzi e Tebani
volevano la distruzione di Atene e, con la vendita in schiavitù, la dispersione
dei suoi cittadini. Il governo spartano si oppose, nonostante l'orientamento
estremista di Lisandro e Agide II.

Le condizioni furono:
 rinuncia di Atene a tutti i possedimenti esterni, anche le cleruchie di
Sciro, Lemno e Imbro (vitale corridoio verso l'Ellesponto);
 abbattimento delle fortificazioni del Pireo e delle Lunghe Mura;
 consegna della flotta da guerra, tranne 12 triremi;
 richiamo degli esuli;
 revisione della costituzione, che tornava ad essere quella 'patria' (pátrios
politeía).
Il 16 Munichione del 404 Lisandro entra con la flotta nel Pireo, l'abbattimento
delle Lunghe Mura era avviato col suono dei flauti: quel giorno sembrava l’alba
della libertà, degli ateniesi all’interno di Atene e di tutti i Greci da quella città
che li aveva dominati.
Qualche mese ancora resisterà Samo, che dovrà arrendersi e vedere un cambio
di regime in senso
oligarchico. Anche ad Atene vi saranno sviluppi politici in senso oligarchico: la
democrazia era abolita per la seconda volta, dopo aver dimostrato grande
stabilità dal 508 al 411.
Lo svolgimento degli eventi tra la capitolazione e l'instaurazione della
commissione di trenta «costituenti» (syngrapheîs), incaricati di redigere le
«leggi patrie», la «costituzione patria» (pátrios
politeía), non è del tutto chiaro; si parla di una congiura democratica
(Strombichide, Eucrate) mirante a una strage dei capi oligarchici; si ha notizia
(fonte Lisia) di un collegio di 5 efori, tra cui Crizia ed Eratostene, a capo di un
gruppo di oligarchi, ancora al tempo della democrazia.

7. Crisi e ricomposizione della «pólis» dopo la guerra del


Peloponneso

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1. L'idea di crisi. Pubblico e privato tra V e IV secolo


Il crollo di Atene rappresenta la crisi della città greca. Parlare di crisi significa
constatare e analizzare una «trasformazione»: ma la storia è sempre
trasformazione, la crisi è forma stessa della storia, ma rappresenta un
cambiamento in accelerazione rispetto al normale corso storico. È la rottura di
un equilibrio esistente, sostituito da un altro.
Nel V secolo Atene e Sparta rappresentano non solo città diverse e nemiche,
ma modelli di società, di economia, di culture diverse; la guerra del
Peloponneso è il momento del più consapevole divario nel mondo greco. Atene,
dopo la sconfitta, produce un’oligarchia dai tratti tirannici, e dopo una
democrazia, identica sul piano formale con la precedente, ma più moderata
nella sostanza, e diventerà la forma politica più diffusa, che investirà anche le
città coalizzate con Sparta.
Dopo lo scontro e attraverso esso, le due società diventano ciascuna un po' più
simile all'altra, anche nell’ambito economico: se Atene rappresenta la forma più
avanzata dell'economia, in cui accanto all'attività primaria (agraria) ha largo
sviluppo l'attività secondaria (artigianale, mercantile, monetaria e, nel IV,
bancaria), i germi di questa trasformazione economica finiscono per investire
persino Sparta, roccaforte dell’economia agraria e antimonetaria.
La crisi riguarda anche le póleis in generale, cioè il sistema di rapporti che
sussiste fra le città greche: vi è una trasformazione del ruolo che compete a
ciascuna all’interno di questo complesso sistema. Il disegno egemonico nel
mondo greco, espresso da Atene nel V secolo con la Lega navale delio-attica
(477-404), è ripreso da Sparta. Questa aveva fatto la guerra in nome
dell'autonomía delle città greche: adesso tocca ad Atene, dopo l’oligarchia dei
Trenta, raccogliere il programma dell’autonomia.
Atene conseguì una superiorità di cultura e civiltà: di fatto sarà il centro
culturale più grande.

Sulla scena politica stanno emergendo altri fattori: si sviluppano i centri di


minor urbanizzazione, come l’egemonia tebana, culminante nel 371-362 ->
novità, sul piano dei rapporti interstatali, che preparano l'assetto della Grecia
d'età ellenistica e romana. Al tempo stesso si verifica una depressione della
Grecia, in termini di rapporti interstatali, sul piano internazionale, rispetto a
fattori interferenti, o perfino dominanti, come in una prima fase la Persia, e poi
la Macedonia e i regni ellenistici.

La storiografia e la letteratura, sul piano politico, colgono il significato della


perdita dell'impero da parte di Atene, la responsabilità della democrazia
radicale nello scoppio ed esito della guerra, le trasformazioni sociali/politiche
che la democrazia e l’ impero hanno prodotto; persino chi dell’impero ateniese
dà una rappresentazione sostanzialmente positiva, come Isocrate nel
“Panegirico” (380 a.C.), si vede poi costretto a dare un’immagine in qualche
modo edulcorata dei rapporti all’interno dell’impero, per adeguare l’immagine
di Atene a quel che avrebbe dovuto essere e non fu. La coscienza dello stacco
tra il passato e il presente si esprime nella tendenza verso una considerazione
in blocco delle esperienze passate: gli anni 477-404 sono un capitolo chiuso, si
considerano le responsabilità di Atene e il passato diventa galleria di
paradigmi, arricchita dalla nuova sensibilità psicologica e dal forte accento
moralistico.

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Dal punto di vista della storia economica e sociale, il IV secolo vede fenomeni
nuovi per intensità e
qualità, ma che nella sostanza continuano fatti e fenomeni del V secolo.
La comunità civica, già del V, presenta categorie economiche diverse
(contadini, artigiani, mercanti, schiavi, oziosi, ecc.), conseguenza, se non altro,
della creazione dell'impero navale: la comunità oplitico-contadina è già in crisi
nel V; tali categorie accentuano nel IV le distanze e le ragioni di conflitto, nuovo
è il tipo di aggregazioni che si creano tra i vari gruppi. C'è tensione, se non
conflitto, già nel V secolo, per es. nel rapporto dei gheorgoí (contadini,
proprietari terrieri) con il resto della popolazione. Rilevante, nel IV secolo, il
ruolo dello straniero nel commercio, mentre i cittadini partecipano solo come
finanziatori: convergenza d'interessi.
Cresce il fenomeno del mercenariato, a seguito della crescita demografica e di
un impoverimento, che sviluppo il mercato del 'lavoro della guerra' (p. es. verso
Persia o Egitto): dissanguamento
della Grecia, come risposta al pauperismo diffuso; significa anche denaro
circolante. Il mercenario darà argomento alla commedia nuova, come
personaggio sociale significativo.
Nell'economia del IV secolo vi è lo sviluppo delle banche private: prima erano
soprattutto templari; ma il tempio, il sacro, è l'altra faccia del 'pubblico', visto
in rapporto con la divinità: solo in età ellenistica vi è lo sviluppo di banche
private, anche se ad Atene vi sono banche private dalla fine del V secolo.
Il vero problema, chiarissimo alle coscienze degli antichi, è quello di
un'accurata analisi del rapporto tra privato e pubblico; il privato non manifesta
la sua forza solo nel IV secolo, ha una larghissima possibilità d'espressione già
nel V.
Molte volte si legge che il IV secolo rappresenta l’esplodere del conflitto tra la
città e l’individuo, il momento in cui fiorisce l’individualismo. Va distinto,
tuttavia, fra privato e individuale, poiché i due termini non coincidono
completamente: privato è un’individualità strutturata, è un rapporto fra
individui e fra gruppi d'individui. Un singolo animale ha una vita individuale, ma
non si può parlare di vita privata di un animale senza suscitare il riso; il privato
è l'individuale come si esplica all'interno di una società e delle sue strutture.
Nella produzione letteraria l'omogeneità si nota di meno: mai come ora la
storiografia ha prospettato un ideale di concordia sociale, è forte l'ideologia
della pólis, in reazione alla disgregazione ma anche capacità di manipolazione
e omologazione a livello ideologico. L'assetto
sociale resta quello del V, ma si accentua la divisione ricchi-poveri; la società
continua però a rappresentarsi come unità.

Attraverso e al di là dell'oligarchia dei Trenta, si passa a una democrazia di


stampo più moderato (trasformazione avviatasi intorno al 404).
Trasibulo è il restauratore della democrazia dopo aver abbattuto i Trenta
costituenti, che abbozzavano l'idea di limitare a 3.000 i cittadini (i maschi adulti
liberi erano 30.000); egli, esule dall'Attica, dapprima con altri 70 a File, fortezza
alle falde del Parnete, si trasferisce al Pireo e si batte a Munichia (403), in un
scontro in cui muore Crizia. Nell'anno di Euclide (settembre 403) gli oligarchi si
ritirano ad Eleusi, creandovi uno Stato altamente improbabile che infatti si
spegne già nel 401/400. Nel marzo 399 Socrate è condannato.

2. Cultura e politica: portata e limiti della 'separatezza' dell'intellettuale

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Socrate esercitò l'insegnamento nell'epoca post-periclea, nella democrazia


degli artigiani, dei
Bottegai, ma per formazione appartiene all'epoca periclea, e fu visto dai
contemporanei come uno dei Sofisti. Tuttavia si differenzia da questi perché
puro 'animale di città' – “Critone” di Platone, che Socrate incontra nel 408/407
–, tipico rappresentante dell'inurbamento alimentato ad Atene nel V secolo.
Socrate rivolge l'attenzione all'uomo (come fece già Protagora prima di lui), di
contro alle filosofie naturalistiche, il problema educativo dei Sofisti con egli
diventa più profondo: l’'insegnamento è etico-politico, ma egli stesso si tiene
fuori dalla politica quotidiana.
Stato dell'istruzione elementare e media nel V secolo: la città ne sancisce i
principi, ne definisce in parte i contenuti, e, forse, riserva spazi comuni per un
insegnamento che non è più soltanto quello del pedagogo (pur permanente in
classi aristocratiche).
Sembra però non ci fossero scuole pubbliche nell’età classica (IV secolo): vi è
un regime misto, che investe soprattutto l’educazione elementare e media (fino
ai 18/20 anni). Vi è l'offerta di una nuova educazione, la filosofia e la retorica:
sofisti, oratori, maestri di vita si presentano alla ribalta offrendo la loro
saggezza, la loro capacità d'offrire l'arte del dire, di rendere forte un debole con
l'arte della parola: è una merce nuova, e c’è domanda di istruzione superiore
-> prima, a 20 anni, ci si dedicava all'arte militare, o si rientrava nell'attività
famigliare, o ci si divertiva, ma ora la funzione intellettuale, resa autonoma,
comincia a rappresentare un momento distinto nella vita dell'individuo, e qui
prevale il privato. Qui entra un campo Isocrate, che è un sofista ma antagonista
all’Accademia socratica: egli infatti tramite l’insegnamento vuole condizionare
la politica. Isocrate, nell’orazione “Sullo scambio”, dice l’importanza
dell'educazione dei giovani, e la evoca a sé e a quelli come lui, come spazio di
mediazione tra l'individuo, il privato e la pólis; egli non si dedica alla politica,
ma non è estraneo alla città: è l'intellettuale in un rapporto privato con la città.

3. Crizia, Teramene e il regime dei Trenta Tiranni


Crizia, procugino di Platone, è capo dei Trenta Tiranni ed è una figura di politico
intellettuale, autore di poesie e tragedie e personaggio in diversi dialoghi
platonici. Sulla ricostruzione del personaggio vi è un enigma di fondo, l'accusa
di aver tentato di instaurare la democrazia in Tessaglia, armando i
Penesti (classe di braccianti in Tessaglia): è l'unico tratto che configuri una sua
posizione democratica estrema. I suoi inizi lo avvicinano ad Alcibiade, a cui
sarà dedicata un'elegia, ma nell'ultima fase, nel periodo dei Trenta, matura una
posizione filolaconica, fino ad ipotizzare una riduzione di Atene nei termini
politici di Sparta.
Crizia elogia molti aspetti della realtà spartana, dal modo severo con cui si
trattano gli iloti alla costituzione (attacca Teramene, che viola la collegialità, un
dato importante a Sparta). Sulla condanna di Socrate pesa il fatto che dalla sua
scuola fossero usciti allievi quali Crizia e Alcibiade.
Nel discorso che tiene alla boulé contro Teramene, Crizia definisce la
costituzione degli Spartani kallìste politeìa, la più bella delle costituzioni.

Teramene contribuisce all'instaurazione del nuovo regime prima e dopo la


sconfitta, ma ne diviene presto vittima, non volendo avallarne tutti gli eccessi;
presto viene spogliato dei diritti politici e sottoposto a processo di fronte alla
boulé. Nella sua apologia, rispetto agli estremismi, dice di trovarvisi al centro.

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La rappresentazione che Aristotele dà della situazione politica ateniese al cap.


34 della Costituzione, quando parla di tre partiti, se pur non rende completa
giustizia alle posizioni particolari, è però grande intuizione storia: non c'è più la
rigidità dei fronti, il bipartitismo di pieno V secolo, non c’è più l’opposizione
frontale – come era invece ai tempi di Pericle –, il che cambia qualitativamente
tutte le posizioni politiche. Ad Atene viene meno il valore delle ideologie.
Teramene aveva certo promosso la costituzione dei Quattrocento, ma fu il
popolo a volerla, per accattivarsi gli Spartani, meglio disposti a far pace con un
governo oligarchico; e per questo Teramene non se ne fa carico.
Nel 404 fu protagonista delle trattative di pace fra Atene e Sparta, e ancora con
comportamenti ambigui: restò a Sparta 3 mesi, pur non essendo ambasciatore
plenipotenziario, e riuscì ad esserlo quando trattò la pace. Poco dopo è con i
Trenta, e impressionante è il suo dibattito con Crizia, e il tentativo di rifugiarsi
presso l'altare centrale della sede del consiglio, per sottrarsi alla condanna:
nonostante il suo discorso faccia una buona impressione su i buleuti, nessuno
muove un dito per lui, e Crizia conta sull’effetto intimidatorio dei giovani che
assistono con i pugnali sotto le ascelle.
Diodoro fa intervenire in suo aiuto Socrate, di cui – egli dice – Teramene era
discepolo.
La sua carriera presenta mutamenti e ambiguità, ma sul piano teorico vi è una
fondamentale coerenza, ed è nel senso della pátrios politeía, ma questa non
riuscirà a diventare il nuovo modello politico: formalmente sarà la democrazia a
vincere, ma essa si adatterà ad assorbire tante istanze della pátrios politeía
(essa non sarà contestata, in quanto si sarà trasformata). Sul piano lessicale, la
parola demokratía, nel IV secolo, si avvia a significare di nuovo «forma libera,
repubblicana», a
recuperare un significato generico d'opposizione alla tirannide o alla
monarchia, che non oblitera in assoluto la possibilità di un significato più
specifico.

Trasibulo nel 411 fu protagonista della scisma democratico a Samo, nel 404 è
esule fra i “grandi esuli”, che Teramene ricorda nel suo discorso replica a Crizia,
quando dice ai Trenta: «I veri traditori sono coloro che hanno fatto in modo che
lasciassero la città personaggi come Trasibulo, Anito e Alcibiade» (Teramene
viene accusato di essere un traditore, un “coturno”, per i suoi cambiamenti di
rotta in ambito politico). Nel 403 Trasibulo restaura la democrazia ad Atene.

All’epoca corrono diversi progetti di riforma del corpo civico:


 Teramene nel 411 accetta il numero orientativo di 5.000 cittadini, ma in
realtà inclina verso
una costituzione 'oplitica', in cui cioè i pieni diritti siano nelle mani degli
opliti (e cavalieri): esclusi i teti, quelli della democrazia marinara (teti
nella funzione sociale, marinai in quella militare)-> forte limitazione,
anche se non persegue il numerus clausus;
 la posizione di Crizia è oplitica in senso strettissimo: neanche comprende
tutti gli opliti, un grosso ruolo sembrano averlo i cavalieri, che si aggirano
attorno ai 1000;
 Formisio, uno degli esuli rientrati dal Pireo, postula la cittadinanza
spettante a coloro che posseggono terra in Attica: neanche tale progetto
passerà.

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La democrazia restaurata da Trasibulo, Archino, Anito si presenta formalmente


come ritorno alla
vecchia costituzione, ma in realtà molte cose cambiano: modifiche nei
meccanismi legislativi di controllo, cambiamenti nella distribuzione della
ricchezza, che finiscono per assorbire le istanze di cui si erano fatti portatori
altri gruppi politici.
Ma i progetti pullulano, è un brulichio di posizioni (Formisio, Anito, Clitofonte,
Teramene), all'interno di un raggruppamento politico (il campo dei fautori della
pátrios politeía, sec. Aristotele) con sfumature interne.

Clitofonte, nel 411, è autore di un emendamento al decreto di Potidoro – che


nel 411 istituiva una
commissione di 30 probuli (completando la vecchia commissione di 10), sopra i
40 anni, che dovevano redigere la costituzione, e prevedeva che chiunque lo
volesse, potesse proporre integrazioni –, con il quale opera l'idea di una cernita
all'interno dei nómoi: bisognava scegliere quelli che, fra i più recenti,
somigliassero maggiormente alla legislazione di Solone.
La ricerca delle tradizioni ha dunque questo senso: ricercare e valorizzare le
norme tradizionali conservatesi fino a un certo periodo (tranne la democrazia
radicale di Efialte e di Pericle): non si esclude tutta la vicenda della democrazia,
ma solo una parte -> si opera un cernita, in quanto le leggi sono concepite
come un fascio troppo ingrossatosi, di cui solo il filo delle fasi più lontane viene
conservato. Si pensa di garantirsi nei confronti degli affezionati alla
democrazia: si tutelano quelle
leggi di origine lontana, che sono state accolte, fra altre, nel fascio delle leggi
della democrazia.
Nel 411, quasi ad eliminare delle degenerazioni, sono abrogati due istituti:
- la graphè paranóm, la denuncia scritta di proposte che vanno contro le
leggi;
- i misthoí, le indennità, rappresentanti l'apporto della democrazia periclea,
tranne poche eccezioni.
Se pensiamo che la linea divisoria della storia della democrazia è il 461, nel
411, o nel 404/403, si poteva realmente usare l'espressione 'costituzione
patria', per risalire al di là del periodo efialteo-pericleo, e pur tuttavia riferirsi ai
propri genitori (frammento di Trasimaco, in cui si riferisce alla pátrios politeía).
Nel 404 l'idea di pátrios politeía aveva la funzione di mettere un freno al
popolo.
Il quadro aristotelico distingue:
o l’oligarchia estrema, rappresentata dalle eterìe;
o la democrazia tradizionale, quella di Trasibulo, che poi si affermerà;
o la posizione mediana di coloro che ricercano la pátrios politeía.
Le posizioni contrapposte si scioglieranno nella democrazia del IV secolo, e la
democrazia greca, secondo Polibio, deve passare da questa fase per diventare
la forma positiva del regime popolare, a cui contrappone, come forma negativa,
l'ochlokratía (dominio della massa).

4. Il rientro dei democratici con Trasibulo


Le fonti sono Aristotele, Diodoro e Senofonte, ma i racconti dei primi due, nelle
parti finali, sono molto contratti, Senofonte invece si concentra sugli eventi
dopo lo scontro del Pireo.

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Dopo lo scontro del Pireo (novembre-dicembre 404), si raccolgono i morti, e un


lungo discorso
dell'araldo dei mystai di Eleusi, Cleocrito, fa presente agli uomini dell'altra
parte quanto sia folle il combattersi, quanto male abbiano fatto i Trenta che,
per i loro vantaggi, in otto mesi (dalla
capitolazione di Atene – creante le premesse per il regime dei Trenta Tiranni -
allo scontro del Pireo) hanno ucciso più ateniesi di quanto i Peloponnesiaci
abbiano fatto in dieci anni.
Vi è una svolta, perché i Trenta sono indotti a rimettere il potere a un nuovo
collegio di magistrati, i Dieci, che devono esperire le vie della pace: segue un
collegio di Dieci, che saranno fra i veri fautori della riconciliazione (ciò non
viene fatto, sec. Diodoro).
Nel racconto senofonteo c’è un dato importante per la collocazione dell’autore.
Senofonte afferma che, il giorno dopo lo scontro del Pireo, i Trenta residui, privi
di Crizia e Carmide, le loro guide, erano riuniti in sinedrio, abbandonati, perché
i Tremila, che avrebbero dovuto essere loro naturale supporto, si riunivano in
luoghi diversi, per discutere la situazione: «Quanti avevano commesso qualche
violenza, e per questo avevano ragione di temere, dicevano con forza che non
bisognava cedere a quelli del Pireo; ma quanti erano convinti di non aver
commesso alcun torto, consideravano che non c’era nessun bisogno di tutti
questi mali, e dicevano ancora che non bisognava obbedire ai Trenta, né
permettere che la città andasse in rovina. Da ultimo, decisero di metter fine al
governo, e di eleggerne altri; ne elessero 10, uno per tribù». Se Senofonte
avesse avuto qualcosa di grave sulla coscienza, non avrebbe mai parlato in
questi termini.

I Trenta, dopo la sconfitta del Pireo, si ritirano ad Eleusi; i Dieci sono molto
preoccupati, e Senofonte descrive la guardia diuturna dei cavalieri per il timore
di attacchi da parte di quelli del Pireo. Nel frattempo quelli del Pireo si
organizzano, e promettono l'isotelia agli stranieri che continuino a combattere
dalla parte dei democratici. L’isotelia è la condizione di colui che partecipa dei
téle – obblighi fiscali in primo luogo – dei cittadini: una categoria privilegiata dei
meteci; esiste il problema se l’isotelia equivalga semplicemente a immunità dal
pagamento della tassa di 12 dracme, versata dai meteci, o se invece significhi
un più sostanziale adeguamento, senza identificazione totale, alla condizione
dei cittadini.
Segue l’intervento spartano, condotto da Lisandro, che protegge gli oligarchici,
e dal re Pausania
che, per ragioni personali e per convinzione, contrasta i disegni di Lisandro.
Pausania, in un primo momento, attacca e sconfigge quelli del Pireo, insieme
agli alleati peloponnesiaci (esclusi Beoti e Corinzi); invita poi segretamente i
democratici del Pireo a mandargli ambascerie di pace, e fa opera di
convincimento anche con 'quelli della città': ambascerie delle diverse parti
ateniesi giungono a Sparta.
La pace è fatta con un'amnistia, esclude solo i Trenta, gli Undici (di giustizia) e i
Dieci del Pireo; gli oligarchi che lo vogliano possono ritirarsi ad Eleusi.
Archino riduce il numero di giorni della decisione per trattenere in città gli
incerti: ha l'effetto di trattenere nelle cittadinanza gli oligarchi. Il risultato si
addice a un rappresentante del filone moderato della rinata democrazia: non a
caso Aristotele lo colloca fra i rappresentanti della pátrios politeía e gli
attribuisce tre misure, dello stesso tenore:

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1) opposizione al decreto di Trasibulo che premiava, fra i combattenti per la


restaurazione democratica, anche degli schiavi con la concessione della
cittadinanza;
2) fermezza nel volere la condanna a morte di un cittadino che aveva osato
«recriminare», cioè contravvenire al principio della amnestía, nei riguardi
di coloro che non appartenessero ai collegi governanti nel periodo dei
Trenta;
3) abile riduzione del tempo concesso per l'opzione della residenza ad
Eleusi.
Per Aristotele Archino è campione della homónoia, l'ideale moderato della
concordia, che s’afferma ad Atene. Per Senofonte, nel 401, gli Ateniesi, con
Trasibulo, insospettiti per notizie d'intenzioni aggressive, attaccano Eleusi, e in
un colloquio vengono uccisi i generali oligarchici: solo adesso, per
Senofonte, c'è pace e amnistia.
5. La condanna di Socrate
Nel 309 Socrate è condannato; tra le colpe, quella di essere maestro di Crizia e
di Alcibiade.
Taylor sostiene che non venne condannato già nel 403, alla restaurazione della
democrazia, perché gli ateniesi non ebbero proprio il tempo di occuparsi della
faccenda -> spiegazione di carattere formalistico.
Per De Sanctis l'integrale unità della pólis, che si voleva ricostruire al prezzo
della rinuncia delle vendette, sarebbe stata frantumata dal lógos di Socrate e
dal suo daímon: insomma la riconquistata unità esigeva l'eliminazione di autori
di azioni dissolvitrici come Socrate.
Secondo Finley invece, Platone e Senofonte lasciano intendere che la risposta
nella scelta del momento per il processo a Socrate sarebbe di carattere
individuale: Anito, Meleto e Licone si sarebbero coalizzati contro il filosofo per
ragioni personali, su si possono fare solo congetture.

Socrate è sociologicamente legato all'esperienza della cultura democratica e


urbana, ma non
rappresenta l'ala democratica. Era convinto si dovesse riformare il sistema
elettorale, eliminando il sorteggio, a vantaggio di un voto di designazione che
premiasse le competenze reali in politica: voleva trasformare la politica in una
téchne, in un'attività di 'competenti', e proprio in questo è la genesi del suo
tendenziale distacco dalla democrazia. -> la politica non è per tutti.

Platone si colloca invece sul terreno degli oligarchici; la sua posizione di


partenza è vicina a quella di Crizia, anche se il rifiuto assoluto della violenza e il
diverso livello morale fanno la differenza. Il modello spartano in Platone è
richiamato continuamente, anche se attorno ad esso il pensatore costruisce
qualcosa di più; ma la città della “Repubblica” per la sua struttura e la città
delle “Leggi” per le sue dimensioni sono molto vicine al modello spartano.
Platone opererà indisturbato ad Atene perché di fatto qui vi è ormai una
democrazia moderata.

Le accuse a Socrate sono due, nella formulazione definitiva di Diogene Laerzio:


 il «non onorare gli dèi» (ς , che Socrate estremizza nel «non
credere negli dèi», perché più facilmente smentibile, visto che lo si
accusava di onorare nuovi daimónia;
 l'aver «guastato» i giovani (ς ς).

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Appare comunque evidente il peso del richiamo alla responsabilità di Socrate


come maestro di Clizia e Alcibiade.
Nel 309 s'è a poca distanza di tempo dalla seconda e definitiva conciliazione
tra democratici e non democratici, essendo stata cancellata l'autonomia di
Eleusi. Se Aristotele esaltò il 403 quale momento della homónoia, della
concordia, la frattura, in realtà, si salda quando rientrano gli oligarchi da Eleusi
(e dopo ancora la strage degli strateghi di Eleusi, nel 401/400), e comincia la
vera ricomposizione; emergono era Anito e Meleto, Platone ha distribuito i
personaggi nei vari dialoghi:
o l’Apologia di Socrate vede il dialogo tra Socrate e Meleto;
o il Menone tra Anito e Socrate.

Il ruolo di Anito fu notevole: è un tradizionalista, ma come tale è democratico, e


rappresenta la democrazia del V secolo; è un esule democratico, e del resto è
un uomo della pátrios politeía; è figlio di un artigiano, a cui viene riconosciuto
che 'si è fatto da sé' -> Socrate mette sotto accusa il concetto di «tradizione»,
sul terreno della insegnabilità della virtù politica: «chi è virtuoso lo è perché il
dio gli ha dato in sorte la virtù»; e, d'altra parte, quando dice ch'il padre di
Anito 'si è fatto con le sue mani'– sulla scorta di un cammino ideologico iniziale
su base democratica (ideologia periclea dell'uomo che con il proprio lavoro
decide il destino sociale) –, valuta positivamente la ricchezza che il padre di
Anito ha costruito con le sue mani. La tradizione aristocratica della ricchezza,
vista come dono divino, e della posizione sociale è un valore in crisi, e al suo
posto emerge la tradizione dei grandi personaggi politici della democrazia.
Nel Menone ammette che ciascuno dei grandi del passato siano degli agathoí,
ma nega che i figli ne abbiano ereditato la virtù politica; Anito replica
difendendo il ruolo della gente comune e delle leggi nell'educazione politica, e
reagisce con durezza e minacce all'ironia di Socrate sulla galleria di personaggi
eminenti della storia democratica.

Meleto rappresenta un gruppo che con i Trenta ha cooperato in certa misura


(può essere il Meleto
che arresta Andocide e ch'è andato ad arrestare Leone di Salamina); egli
rappresenta la parte oligarchica, su posizioni moderate. Nel collegio d'accusa
Anito e Meleto rappresentano due linee politiche convergenti contro Socrate: i
due gruppi mediani della cittadinanza si sono accordati, e l'unità richiedeva
una vittima (De Sanctis) -> Socrate è stato maestro di Crizia (avversato dalla
parte oligarchica) e Alcibiade (avversato dalla parte democratica): bisogna
evitare che si producano ancora tali personaggi, Socrate è stato maestro degli
opposti estremisti.
Anito e Meleto rappresentano la gente «di mezzo», che rigetta le forti
alterazioni.

Socrate svolge l'attività, di fatto educativa, nella forma dell'interrogazione,


dell'esame (exétasis), ma
ciò è solo il varco attraverso cui passa la comunicazione con l'altro, il quale si
trova in posizione di
svantaggio, come catturato dalla logica di chi domanda; pone a base del
ragionare il dubbio e contesta qualunque forma di autorità di principio. Accetta
l'ingiunzione, che gli viene dalle leggi, di morire perché la città lo ha
condannato. Socrate ha percorso l'intero cammino che la democrazia attica

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aveva reso possibile, con la creazione di una realtà politica e urbana che fa
posto alle libertà dell'individuo: si colloca nella città democratica, è frutto di
essa, e non vuole uscirne.
Sono state proprio le Leggi, quelle leggi di quella città, a trattenere il filosofo ad
Atene e a fargli accettare la condanna: Socrate, come Platone, è attratto dal
sistema partano, ma decide di scegliere Atene e di morire lì dove è nato.

6. Tensioni a Sparta
Come in tutti gli scontri ideologici, alla fine della guerra i due antagonisti si
somigliano di più:
 a Sparta, al di sotto degli Spartiati, c'era anche uno strato di
hypomeíones (inferiori), e nel 399 la congiura di Cinadone cerca
l'estensione dei diritti di cittadinanza: questa fallisce ma è sintomo di
fermento in città;
 si introduce, con la legge di Epitadeo, se non la libertà di compravendita,
almeno quella di donare e di lasciare, quindi una forma di alienabilità
della proprietà;
 si introducono i primi elementi di economia monetaria.
Sparta reagisce in maniera speculare rispetto ad Atene. Quest’ultima conserva
formalmente la vecchia democrazia periclea ma ne avvia l’interna
trasformazione; Aparta reagisce conservando la diarchia e i limiti della
cittadinanza; ma anch’essa registra un fermento sul piano socio-economico.

Lisandro diventa personaggio-chiave per l'interpretazione della storia di Sparta:


è l'uomo politico più spartano e antispartano che si possa immaginare. Plutarco
lo definisce «corruttore incorrotto».
Come padrone della Grecia, aveva ricevuto molti doni, era venuto in possesso
di bottini, offerte; trasferì tutto ciò a Sparta, ove vince un compromesso: sarà
possibile fare oggetto di tesoro pubblico la moneta (prima non si conosceva la
tesaurizzazione pubblica), con severissimo divieto di possesso privato. Intorno
al 400 entra dunque la moneta d'oro e d'argento, che è straniera, in gran parte
ateniese e degli alleati di Atene.
Con Lisandro, molto cambia. Plutarco esprime moralistiche considerazioni sul
fatto che, una volta introdotto nella città l’amore per il denaro, si doveva
prevedere che i privati seguissero l’esempio.
Gilippo è il primo a cadere nella rete dell’avidità: egli è incaricato da Lisandro di
portare a Sparta i sacchi col denaro, ma scuce questi dal basso e da ciascuno
toglie un certo numero di monete, trascurando però il fatto che all’interno di
ciascun sacco vi fosse una tavoletta a indicare l’esatta quantità del denaro
contenuto. Gilippo, scoperto, venne mandato in esilio, ma il risultato storico è
un’attenzione diversa alla moneta.
Sparta solo intorno al 300 conierà sue monete in metallo prezioso (prima
c'erano prevalentemente le ingombranti monete di ferro). L’assenza di moneta
condizionava la politica estera.
Il tema delle risorse finanziarie spicca di più quando Sparta vuole veramente
esercitare egemonia su tutta la Grecia e attribuirsene il patronato rispetto alla
Persia.
Tra i tre aspetti della libertà che noi cogliamo nella triade
è l’quello di cui Sparta prova a farsi
campione durante e dopo la guerra del Peloponneso; l’è la libertà

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come principio, l’indipendenza in assoluto. In realtà sarà Atene a riprendere


presto tale tema, più idoneo a una politica democratica.
Nel corso della guerra del Peloponneso Sparta sembra portatrice di libertà, ma
il comportamento di Lisandro smentisce tale prospettiva: la sua politica estera
consiste nel seminare dovunque decarchie (governi di dieci) o regimi di Trenta
(ad Atene ci furono entrambe): quindi presenza politica e militare. Tuttavia, per
quanto riguarda l'indipendenza dei Greci nei confronti della Persia, con le
campagne di Tibrone, Dercillida e Agesilao in Asia Minore (400-394), Sparta
tenta di assolvere il ruolo di patrona della grecità in generale: il risultato di
questa politica sarà la pace di Antalcida (386), che non sancirà la libertà per le
città greche d’Asia, anzi sarà una rinuncia da parta spartana alla funzione di
patronato nei confronti dei Greci d'Asia.
La politica estera di Lisandro era un controllo politico che non poteva durare
molto.
Sparta riuscirà tuttavia a soddisfare una peculiare esigenza greca, l'autonomía,
cioè la libertà particolaristica delle città: con la sua lega aveva sempre difeso
tale principio e, per quanto riguarda i Greci d'Europa, ne affidava la garanzia al
re di Persia; in questo è stata coerente, anche se il principio dell’autonomia ha
danneggiato la stessa Sparta: questa perde infatti il controllo della Messenia
(370/369).
Cerca anche di far valere questo principio contro i nemici: verso Atene, che
tuttavia nel 377 ricostruisce la propria lega, fondata proprio sul principio
dell’autonomia, e verso Tebe (371), che vuole il controllo della Beozia, ma ne
seguirà la sconfitta spartana a Leuttra.

Lisandro è creatore del culto della personalità, e ciò è non poco sorprendente
nel cittadino di una città fondata sul principio della parità dei membri del
ristretto corpo civico: erige una sua statua di bronzo a Delfi; sec. Duride di
Samo fu il primo dei Greci a cui da vivo furono dedicati altari e sacrifici; la festa
più importante di Samo, in onore di Era, sarebbe stata ribattezzata Lysándreia.
-> tendenze individualistiche e personalistiche che, per la sicurezza con cui si
affermano e per l'assenza di condanne, attestano tempi nuovi.
Il culto della personalità, in Lisandro, nella politica istituzionale, ha corrispettivo
in tentativi di abolire la basileía: vorrebbe rendere elettiva la regalità. Fino ad
allora la diarchia era stata ereditata da Agiadi e Euripontidi (eraclidi), per
Lisandro le famiglie regali non sono le uniche rappresentanti degli Eraclidi a
Sparta, anche perché si sono moltiplicati i rami collaterali: egli era un eraclide,
ma non apparteneva alla discendenza diretta, quindi proponeva d'estendere la
scelta dei re agli Eraclidi o addirittura a tutti gli Spartiati.
Lisandro partecipò alla guerra beotica, morendo sotto le mura di Aliarto nel
395.

7. Gli Spartani a difesa dei Greci d'Asia


Finché Ciro è káranos a Sardi, tiene comportamenti leali verso il potere centrale
persiano e le relazioni spartano-persiane sono buone; ma sono proprio gli
Spartani a dar man forte a Ciro quando
decide di procurarsi un esercito di mercenari (greci, in cui Spartani, in
particolare Cheirísophos, hanno ruolo preminente), per marciare contro il
fratello Artaserse II, succeduto sul trono achemenide, a cui egli aspirava: si
tratta della spedizione dei Diecimila (401-400), che Senofonte ha raccontato
nell’Anabasi. Ciro chiese agli Spartani, come compenso per l'aiuto durante la

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guerra del Peloponneso, il sostegno nell'invio di truppe e nel reclutamento di


truppe mercenarie.
La spedizione culminò nella battaglia di Cunassa, a nord di Babilonia (non
lontano dall’odierna Baghdad). A Cunassa (401), Ciro combatte valorosamente,
ma muore: ciò trasforma il tutto in una tragica ritirata, lungo il Tigri, per
l'Armenia, fino alle coste del Mar Nero, a cui segue un rientro, almeno parziale,
attraverso la Tracia, e di nuovo per l'Asia minore, fino a Pergamo.
Una parte dei Diecimila continuerà a combattere al fianco degli Spartani; morto
Ciro, naturalmente viene presentato il conto a Sparta dal governo legittimo di
Susa: Sparta si è lasciata attirare nella trappola asiatica. I vincitori reclamano,
dell'Asia minore occidentale, tutte le posizioni che avevano prima del
governatorato di Ciro e della sua ribellione (Senofonte, Elleniche).

Tissaferne viene inviato come satrapo in quelle regioni su cui prima governava
Ciro, e chiede che tutte le città ioniche siano a lui soggette: queste, volendo
essere libere e temendo Tissaferne, non volevano accoglierlo e inviavano
ambasciatori agli Spartani chiedendo loro che, come prostátai (campioni) di
tutta la Grecia, si curassero di loro.
Gli Spartani, ormai sospinti dal ruolo di prostátai generali della Grecia,
prendono a cuore tale compito, e ne pagano le conseguenze: nel 400 un
esercito al comando di Tibrone sbarca in Asia.
Con le scarse risorse finanziarie a disposizione vi è difficoltà a muoversi da
parte spartana: Tibrone viene messo sotto accusa a Sparta perché permette
all'esercito di depredare gli 'amici' (lasciava saccheggiare anche le città alleate
per nutrire l'esercito); l’esercito spartano suscita l'irritazione proprio degli amici
greci che era venuto a difendere.
Tibrone mostra l’intenzione di voler affrontare direttamente Tissaferne:
all’inizio, comincia a operare nell'area 'pergamena', nelle regioni della Troade e
della Frigia ellespontica, dove viene in possesso di alcune località (Pergamo,
Teutrania, Alisarna); poi si impadronisce di Mirina e Grineo (zona pergameno-
eolica), tenta di occupare Larissa, ma fallisce. Si ritira infine ad Efeso, base di
tutte le operazioni. Da qui progetta di marciare in Caria, non molto distante dai
domini di Tissaferne, ma Tibrone viene sostituito da Dercillida (dal 399 fino al
397 circa), che adotta una strategia diversa.
Questi, prende le cose alla larga, dirigendo i suoi sforzi verso le regioni
dominate da Farnabazo (area più settentrionale), ove consegue un certo
numero di successi: egli applica diversivi e tattiche dilatorie, Tibrone prendeva
il nemico di petto.
Dercillida stipula un armistizio con Tissaferne, e poi si rivolge contro Farnabazo,
che è meno forte; in 8 giorni occupa 9 città della Troade (presenza scarsa di
persiani). Ma non era questo l’aiuto che le città ioniche chiedevano. Segue
dunque un armistizio con Farnabazo, esteso poi a Tissaferne, mentre
un'ambasceria spartana è inviata al gran re per chiedergli l'autonomia delle
città greche.
Dercillida continua a spingersi verso nord: raggiunge il Chersoneso tracico
(penisola di Gallipoli), ove provvede a creare una linea di fortificazione contro i
Traci.
Partito contro i Persiani e Tissaferne, finì con liberare la Troade e col recarsi, per
arginare le irruzioni dei Traci, in Bitinia e poi nel Chersoneso tracico; più tardi
torna in Troade e, dopo 8 mesi d'assedio, spegne la ribellione di Atarneo, ove si
erano annidati esuli di Chio.

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A questo punto le città ioniche inviano un’ambasceria a Sparta per spiegare


come la strategia di Dercillida aveva aggirato il loro problema. Si tratta di una
guerra di cui non si può venire a capo senza soluzioni drastiche: da un lato v'è
l'esigenza d'autonomia dei Greci, dall'altro il re non rinuncia all'affermazione
della sua sovranità fino alla linea di costa.
L’unica cosa che gli Spartani avrebbero dovuto fare era distruggere l’impero
persiano, cosa che farà solo Alessandro Magno, ma ciò richiede grande forza
militare e finanziaria.
Sparta, avendo abbattuto l’impero ateniese, dovrebbe assicurare almeno la
copertura politico-militare della Lega delio-attica.
L'arrivo di Agesilao in Asia nel 396 sembra cambiare la strategia: nel 396
sconfigge l'esercito di Tissaferne sotto Sardi. Il gran visir persiano, Titrauste, è
inviato in Asia minore per punire Tissaferne, che è decapitato; Titrauste
intavola poi trattative con Agesilao, proponendo invano che i Greci d'Asia
conservino l'autonomia, ma paghino i tributi alla Persia, e solo ottenendo (a
pagamento) che
Agesilao si rechi a fare una spedizione nei possedimenti del satrapo persiano di
Frigia, Farnabazo.
Così fa Agesilao, che nel 395 ritorna alla piana di Tebe alle pendici meridionali
del monte Ida (Troade), e qui si prepara per una spedizione nell'Asia minore
interna, con bersaglio la Cappadocia, in modo da tagliare le linee di
collegamento tra i satrapi dell'Asia minore e il gran re.
Ma era ormai tardi per questa strategia, che viene spenta sul nascere quando
Sparta è costretta ad impegnare tutte le sue forze nella madrepatria.
Vi sono due versioni:
o a mettere in moto nel 395 la ribellione della Grecia a Sparta fu Titrauste,
sec. le Elleniche di Senofonte: Titrauste, ritenendo di capire che Agesilao
disprezzava il re, e non pensava più
di andarsene dell'Asia ma aveva speranze di distruggere il re, invia
Timocrate di Rodi (un greco agente persiano) in Grecia, che aveva
ricevuto del denaro da distribuire ai personaggi più importanti delle città
greche (ai tebani Androclide, Ismenia, Galoxidoro – capi del partito
democratico -, ai corinzi Timolao e Poliante, all'argivo Cilone) ottenendo
in cambio forti garanzie nella prospettiva della guerra a Sparta;
o le Elleniche di Ossirinco assegnano un ruolo eminente a Farnabazo.

8. Le «Elleniche di Ossirinco» e la guerra corinzia


Riguardo le Elleniche di Ossirinco si pone anzitutto il problema della paternità; i
possibili autori sono Teopompo e Cratippo: il primo ha uno stile diverso rispetto
a questo testo, il secondo è un nome che si fa più volentieri, ma d lui ne
sappiamo ben poco.
Si indica con P l’autore delle Elleniche, conservate su papiro; interessante il
rapporto che Diodoro ha con P; sono state evidenziate le differenze tra la
tradizione senofontea, quella diodorea e di P, segue questo stemma: in
principio c’è P, segue Eforo che da P dipende, senza però riprodurlo in tutti i
particolari: Diodoro (da Eforo) è infatti in parte diverso da P.
Sulla guerra di Corinto abbiamo quindi versione senofontea e un linea P – Eforo
– Diodoro, segmentata e diversificata al suo interno. Le differenze sono nel
ruolo di Farnabazo: nella tradizione P – Diodoro è molto attivo nei confronti
della Grecia, nell'ostilità a Sparta e nelle sforzo di creare le condizioni perché
una rivolta greca contro Sparta alleggerisca il re dalla pressione spartana; in

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Senofonte egli è quasi falso bersaglio degli attacchi spartani, neanche del tutto
convinto della giustezza della sua resistenza ad Agesilao. => Senofonte
considera Timocrate di Rodi inviato di Titrauste, mente le Elleniche di Ossirinco
sembrano attribuire a Farnabazo l'iniziativa dell'invio di Timocrate in Grecia .

Il conflitto si apre con scaramucce tra Focesi e Locresi orientali (per Senofonte)
o occidentali (per le Elleniche di Ossirinco) per questioni di confini e di
elementari razzie. I Beoti intervengono in favore degli amici locresi, Sparta in
favore dei focesi.

Nel 395 Lisandro e Pausania II attaccano la Beozia: il sincronismo nei


movimenti dei due eserciti spartani non riesce; Lisandro, spintosi sotto le mura
della beotica Aliarto, muore;
Pausania II, sospettato di tradimento, è condannato a morte, e si sottrae ad
essa con l’esilio in Arcadia, dove redige un opuscolo in cui contesta la
legittimità del potere degli efori.
La guerra, pur conservando il fronte beotico, sposta ora il suo centro di gravità
nel Peloponneso, nell'area dell'Istmo: gli Spartani vincono i collegati nello
scontro di Nemea, segue poi la vittoria navale di Cnido sulla flotta
peloponnesiaca ad opera di quella persiana, comandata da Conone. Agesilao,
rientrato in fretta nell'Asia minore, raggiunge, un mese dopo circa la battaglia
di Nemea, la Beozia, dove vince i collegati a Coronea nel 394, per poi sostare a
Delfi a causa di una ferita.
La linea politica di Conone, dopo la vittoria del 394, è coerente con il principio
dell'autonomia dei Greci d'Asia (in suo onore furono erette statue, es. a Samo).
Nell'inverno 394/393 c’è un’azione comune di Farnabazo e Conone nell'area
dell’Ellesponto; nell’area della Troade i due non riescono a far breccia.
Nel 393 compiono con successo operazioni contro Melo, nelle Cicladi, sulla
costa laconica, a Fare, a sud-ovest di Sparta, nell'isola di Citera prospiciente la
Laconia. A Corinto portano la loro solidarietà politica e finanziaria al sinedrio
della lega antispartana.
Conone nello stesso anno rientra ad Atene, e su suo impulso si ha la
ricostruzione delle Lunghe Mura e del Pireo, con l'ausilio di sussidi persiani,
destinati anche ai Corinzi, che allestiscono una flotta. Pare che Conone riesca
poi a recuperare le vecchie cleruchie ateniesi (Imbro, Lemno, Sciro).

Nuovo ribaltamento della politica spartana nei confronti della Persia:


protagonista è Antalcida, e da parte persiana Tiribazo, di orientamento
filospartano.
Quando, nel 367 circa, Antalcida conoscerà un fallimento su questa strada, si
suiciderà. È proprio lui a denunciare nel 393 al governatore di Sardi Tiribazo il
fatto che Atene, con i soldi ricevuti da Farnabazo, ricostruisce le Lunghe Mura e
si dota di una flotta (fonte Senofonte, filospartano).
Seguono le trattative di pace di Sardi, secondo cui Antalcida offre al
governatore persiano la rinuncia alla tutela dell'autonomia delle città greche
d'Asia, e s'assicura l'autonomia delle città greche non d'Asia. -> Sparta è
interessata ad un regime di autonomia interna al mondo greco che possa
frenare le pretese egemoniche di Atene, o di Argo (espletatesi con l'annessione
di Corinto) o dei Tebani sulla Beozia.
Di fronte al rischio di vedere frustrate le proprie aspirazioni egemoniche,
Ateniesi, Argivi e

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Tebani rifiutano la proposta di Tiribazo di una pace fondata sulla rinuncia alla
difesa dell'autonomia dei Greci d'Asia e sull'estensione generalizzata del
principio d'autonomia ai rapporti intragreci.
Secondo Senofonte, gli Ateniesi non la volevano perché temevano d'essere
privati di Lemno, Imbro, Sciro, gli Argivi non la volevano perché si vedevano
privati di Corinto, che avevano assorbito
nella nuova Argo e i Tebani non la volevano perché intendevano conservare la
loro egemonia in Beozia.

Si pone il problema del rapporto cronologico tra i tentativi della pace di Sardi e
le trattative svoltesi a Sparta tra i Greci riguardo agli stessi temi della pace e
dell’autonomia propria e dei Greci d’Asia: è precedente la riunione di Sardi o di
Sparta?
Senofonte parla delle trattative di Sardi, ma non di quelle di Sparta; Andocide,
nell’orazione Sulla pace, parla solo di quelle di Sparta. In un passo del
Menesseno attribuito a Platone, viene fatta valere l’idea che, mentre tutti erano
disposti a cedere al re persiano sul tema dell’autonomia dei Greci d’Asia,
soltanto gli Ateniesi si opposero (gli ambasciatori che avevano sostenuto
l'accettazione della pace ideata a Sardi furono poi processati e condannati).
L’orazione di Andocide è un discorso che egli stesso, come membro
dell'ambasceria inviata a Sparta per il vertice tra Greci (392/391), rivolge agli
Ateniesi perché l'assemblea ateniese accetti i termini della pace intragreca;
egli non parla delle trattative di Sardi, per questo si è potuto sostenere che la
riunione di Sparta preceda quella di Sardi, inoltre la sua orazione è la prima
testimonianza del concetto di koinè eiréne («pace generale» tra i Greci): è
fondamentale capire se l’idea di “pace generale”, di fatto posta sotto il
patronato del re di Persia, sia nata autonomamente in ambito greco oppure sia
stata prodotta precedentemente a Sardi.
Tuttavia, un autore filolaconico come Senofonte avrebbe sottolineato se Sparta,
prima di accedere all’idea di ricorrere ai Persiani, avesse fatto un tentativo di
risolvere il conflitto all’interno del mondo greco: e di ciò non c’è traccia nella
sua opera.
Dunque viene prima la pace di Sardi, poi le trattative a Sparta.

Ma nel 392 la guerra riprende, seguono colpi e contraccolpi da una parte e


dall’altra: Argo annette Corinto; Sparta conquista il Lecheo, porto corinzio sul
golfo di Corinto; nell'inverno 392/391 vi sono verosimilmente le trattative
intragreche a Sparta.
In Asia Tiribazo è richiamato alla corte del re, e viene sostituito, ma solo per il
controllo della Ionia, dal satrapo Struta, filoateniese, contro il quale Sparta
ricomincia la guerra.
Dercillida riprende il controllo della zona dell'Ellesponto; Tibrone riprende
l'attacco diretto contro il
cuore del dominio persiano, come a suo tempo: libera Efeso, Priene, Magnesia;
muore, e gli succede Difrida. Sparta continua a combattere non tanto contro la
Persia, ma contro Struta.

Gli ateniesi continuano la loro politica antipersiana (e quindi di difesa del


mondo greco), anche se
Struta è succeduto al filopersiano Tiribazo: comportamento politicamente più
coerente.

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Nel 390 gli Ateniesi inviano aiuti ad Evagora di Cipro, ribelle alla Persia, ma le
navi sono catturate dal nuovo navarco spartano, Teleutía (fratello di Agesilao),
che adesso opera in Asia: di fatto, dal 392, gli Spartani agiscono, nonostante
episodiche smentite, come alleati e gli Ateniesi come nemici della Persia;
Senofonte, nonostante sia filospartano, riconosce il paradosso della situazione:
gli Ateniesi sono contro il satrapo persiano che adesso è loro amico, gli Spartani
combattono contro gli Ateniesi proprio adesso che i Persiani solo loro nemici e
amici degli Ateniesi.
Struta resta in carica solo 3 anni, e quindi ciò che resta fondamentalmente è
l’intesa spartano-persiana; viene sostituito da Tiribazo nel 388. Nel 386
Spartani e Persiani giungeranno alla pace.

Intanto Conone è stato arrestato da Tiribazo, dopo la denuncia spartana: fugge


a Cipro e qui muore. Ad Atene è risorta la stella di Trasibulo, che in politica
estera non ha una linea radicalmente diversa
da quella di Conone (interna moderata ed estera prudente): se nel 396
sconfessa la missione di Demeneto a Conone, di chiaro segno antispartano, nel
395, tuttavia, è il massimo promotore dell'alleanza beotico-ateniese.

Guerra Corinzia (passo indietro cronologico), relativamente alla penisola greca:


nel 390, dal Peloponneso, vi è una campagna di Agesilao contro Argo e Corinto,
e una marcia in
profondità attraverso l'Istmo, fino ai monti della Gerania, a ridosso di Megara;
gli Spartani occupano, sul golfo saronico, Sidus e Crommyon.
Ificrate, generale ateniese (creatore, o perlomeno valorizzatore, del corpo di
fanteria leggera dei peltasti, e valorizzatore di una tattica più mobile rispetto a
quella della fanteria oplitica), riporta una gloriosa vittoria, presso Corinto, sulla
mora spartana: è uno dei grandi traumi della storia militare spartana; si arriva
all’occupazione ateniese di Sidus e Crommyon.
Nel 389/388 Agesilao attacca gli Acarnani; la guerra si trascina stancamente.
Atene subisce attacchi da parte di forze regolari e pirati, che muovono dall'isola
di Egina, controllata dagli spartani.
Gli Ateniesi vincono nel golfo Saronico con il generale Cabria. Nel 387 Tiribazo e
Antalcida, navarco spartano, raggiungono rispettivamente Sardi e l'area
dell'Ellesponto, ove gli Spartani, ad Abido, erano riusciti a creare un'importante
base, da dove s'attendono rinforzi: in attesa dei soccorsi Antalcida guida uno
scontro vittorioso contro una squadra ateniese, guidata da Trasibulo di Collito.
Arrivati i rinforzi persiani, Antalcida è nelle condizioni di bloccare (inverno
387/386) il passaggio delle navi ateniesi attraverso l'Ellesponto, cioè le
comunicazioni tra il Ponto Eussino e Atene, essenziali anche per i rifornimenti
alimentari di questa.

È l'immediata premessa per la pace di Antalcida (primavera 386), che Atene


valuta poiché:
o teme di essere sconfitta a seguito dell'efficacia del blocco degli Stretti;
o è preoccupata per l'alleanza con il re, manifestatasi con l'invio di una
cospicua flotta;
o Atene, e il Pireo in particolare, sono esposti ad eventuali attacchi da
parte di Egina.;
ma della pace sentono il bisogno anche gli Spartani, poiché:

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o sono costretti dalla continuazione della guerra a tenere in piedi una


guarnigione di un reggimento (mora) a Lacheo, porto corinzio, e un'altra
a Orcomeno, in Beozia;
o temono danni alle città alleate e che alcune di queste possano
defezionare.
Intorno a Corinto vi è un andirivieni di azioni militari, che si susseguono senza
efficacia: sotto la
minaccia di un intervento armato spartano sono disposti ad accettare la pace
anche gli Argivi.

Delegazioni di tutti gli stati greci confluiscono a Sardi, e il satrapo Tiribazo


legge il testo della
pace come inviata del re:
 il re Artaserse ritiene giusto che sue siano le città d'Asia, assieme a Cipro
e Clazomene (queste due isole appartengono all'Asia e quindi spettano
alla sovranità del re: rigore dei confini geopolitici);
 le città greche d'Europa devono essere autonome, tranne Lemno, Imbro e
Sciro che restano cleruchie ateniesi;
 se qualcuno si opporrà alla pace, il re gli muoverà guerra su tutti i fronti e
con tutti i mezzi.
Diodoro dice che la pace lascia malumore tra Ateniesi, Tebani e altri Greci, per il
fatto che le città greche d'Asia non furono cedute; ad esserne lieti furono solo
gli Spartani.

Senofonte ricorda che tutti i greci accettarono e giurarono, tranne i Tebani che
vorrebbero giurare per i Beoti, mettendosi di fatto in conflitto con la pace
perché non vogliono riconoscere l'autonomia alle città beotiche; a ciò s'oppone
Agesilao (in passato egli era antipersiano): gli ambasciatori tebani tornano per
consultazioni a Tebe, ma Agesilao nel congedarli annuncia loro un intervento
militare, se non accetteranno la pace soltanto a nome di Tebe. Agesilao, che di
fatto è il braccio armato della politica di Antalcida, non si limita a minacciare la
spedizione, ma già la organizza, e stabilisce il quartier generale a Tegea, in
Arcadia. Quando a Tebe si sa dell'imminenza dell'attacco spartano, si accettano
le condizioni della pace.

A Corinto vi è un certo ritardo nella esecuzione degli impegni: la parte


democratica al potere teme che, una volta rimossa la tutela argiva, gli oligarchi
rientrati possano farle pagare le stragi che nel 392 compì: trattiene quindi la
guarnigione di Argo, ma a una nuova minaccia spartana segue l'attuazione
degli impegni.

Sparta ha ottenuto quello che voleva:


 ha abolito l'egemonia tebana in Beozia;
 ha reso autonoma Corinto;
 ha ottenuto da Atene il riconoscimento che i rapporti interstatali nel
mondo greco si debbano regolare sul principio dell'autonomia (il che
comporta almeno una certa remora alla ricostruzione di un suo impero
navale).
Il commento di Senofonte è quasi esultante, anche se bisogna ammettere che
vi è un occhio di riguardo per Atene: questa infatti, nella rappresentazione

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senofontea, non esce umiliata dalla pace, come invece lo sono gli Argivi, i
Corinzi e i Tebani.

L'esito ultimo è la magna charta, la «carta di fondazione» della Lega navale


attica, iscritta nella stele 'di Nausinico' (nome dell'arconte del 378/377), sotto
cui si data la rifondazione della Lega e la redazione dei principi su cui essa si
rifonda.
Questo decreto è proposto dall'ateniese Aristotele di Maratona ed è datato al
febbraio-marzo 377. Esso serve a registrare i nomi di coloro che aderirono al
patto federale in diversi periodi; il testo si articola in due parti:
1. indica le finalità della symmachía (alleanza):
- che gli Spartani lascino vivere in pace i Greci «liberi e autonomi»;
- che venga fatta salva la «pace generale», che i Greci e il re avevano
giurato.
2. il principio dell'autonomía, sancito dalla pace di Antalcida, è richiamato
come fondamento.
La pace di Antalcida è abilmente messa a frutto dagli Ateniesi, che si ritagliano,
all'interno del nuovo assetto territoriale garantito dal re, tutti gli spazi possibili
e usano il principio di libertà e autonomia
proprio contro Sparta -> Il decreto di Aristotele prevede che alla Lega possano
aderire città che non siano nella terra del re: Atene prende le sue cautele, non
vuole essere formalmente contro la pace del re, anche se nell'opinione pubblica
resta il sentimento antipersiano.
Il Panegirico di Isocrate (380) è tutto una messa sotto accusa degli spartani,
per aver avallato una pace che era un’imposizione da parte del barbaro, più
che un patto.
Alla Lega adesso gli alleati devono aderire rimanendo liberi e autonomi,
conservando il regime politico che vogliono: salvaguardia nei confronti di
Sparta, che aveva fatto un cattivo uso del principio dell’eleuthería e
dell'autonomía, con l'imposizione di guarnigioni ed altro; ma anche critica verso
il comportamento ateniese, quando c'erano state forti interferenze nei regimi
politici, abusi nell'occupazione di terre degli alleati e altre forme di limitazioni
della sovranità.
All'oppressivo tributo annuale (phóros) vengono sostituite contribuzioni
occasionali (syntáxeis); le decisioni saranno prese dall'assemblea di Atene e dal
consiglio degli alleati, a cui è riconosciuto un qualche diritto di veto.

8. Dall'egemonia spartana al nuovo policentrismo greco


1. Errori politici di Sparta
La pace di Antalcida non risolve tutti i problemi e i conflitti, e ciò vale anche per
l'impero persiano, provato da ribellioni e spinte centrifughe nelle sue regioni di
frontiera: resistenza del re egiziano Akoris agli attacchi del gran re (385-383);
resistenza di Evagora di Cipro, che si giova anche del sostegno egiziano, ma
cedette a Tiribazo (380), come un re, e non come servo, di fronte al gran re.
Dalla pace era avvantaggiata Sparta, e Atene si rimise presto all’opera per
riguadagnare spazio politico.

Nel Peloponneso, il primo conflitto in cui Sparta è coinvolta, è quello con la città
arcadica di Mantinea, ancora roccaforte democratica nel Peloponneso che
procede d'intesa con Atene e altri avversari di Sparta. Il re spartano Agesipoli

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prende la città dopo averla allagata con il disarginamento del fiume Ophis: la
città subì un frazionamento.
Nessuno degli alleati si era mosso in soccorso della città d'Arcadia.

Gravido di più pesanti conseguenze è l’intervento contro la Lega calcidica, ai


confini con la Macedonia: gli Olintii (o Calcidici) erano in effetti intervenuti a
sostegno di Argeo, pretendente nelle
lotte dinastiche seguite all'assassinio del re macedone Archelao (dal 399), e
avevano sconfinato in
territorio macedone fino ad occupare Pella, la capitale; inglobarono Potidea e
fecero pressioni su altre città loro confinanti, Acanto e Apollonia, le quali,
d'intesa col re macedone Aminta III, chiesero l'intervento spartano. Sparta inviò
2.000 uomini al comando di Eudamida, che ottenne la defezione di Potidea.
Risolutivo sarebbe stato l’arrivo di un secondo contingente, guidato dal fratello
di Eudamida, Febida, il quale però, durante la marcia, sostò a Tebe e,
approfittando del conflitto tra partito filospartano e antispartano, nonché del
tradimento perpetrato dal capo del primo, Leontiada, che gli aprì una porta
della rocca Cadmea, si impadronì di questa e vi insediò una guarnigione (382).
Il governo spartano condannò Febida, sotto pressione della protesta greca
suscitata dall'asservimento di una delle più importanti città greche, ma la pena
si limitò a una multa di 10.000 dracme, e la guarnigione spartana non fu
ritirata. I compiti di Febida nella guerra contro Olinto furono assolti dal fratello
di Agesilao, Teleutía, che dopo una serie di successi e insuccessi, morì nel 381;
in seguito fu il re Agesipoli ad assumere il comando della guerra, la quale si
concluse, dopo la morte dello stesso sovrano, con la resa di Olinto, assediata e
ridotta alla fame nel 379.
La Lega viene sciolta, e gli antichi confini di Macedonia ripristinati.
Un altro assedio condotto da Agesilao consegna a Sparta la città di Fliunte, nel
Peloponneso
settentrionale (381- inizio 379), che accoglie una guarnigione e muta in
oligarchica la forma politica.
Ad Atene la situazione politica presenta nuove articolazioni:
o gli oltranzisti della guerra su due fronti, contro Sparta e Persia, sono
condannati a morte;
o fra gli altri politici, duttili e realisti anche se non rinunciatari, emergono
Callistrato di Afidna, nipote di Agirrio, e, come generali, Cabria e Ificrate,
e il figlio di Conone, Timoteo, in vivo contatto con la classe colta, amico e
allievo di Isocrate e in rapporto con Platone;
o la linea politica dominante è di contenimento di iniziative di guerra, e
invece, di una preparazione di alleanze per tornare a tessere la tela di
una posizione di prestigio per Atene.
Per la ripresa di una politica attiva, era essenziale una rapida normalizzazione
della situazione a Tebe, rivitalizzando qui il partito antispartano, cioè la
democrazia tebana: agli esuli tebani fu dato asilo già dopo la presa della
Cadmea da parte di Febida, nell'inverno 379/378 truppe ateniesi sostengono il
tentativo di rientro di Melone, Pelopida, Carone e altri esuli tebani.
Leontiada fu ucciso e il presidio della Cadmea abbattuto; Sparta inviò un
esercito al comando del re Cleombroto, il quale, giunto alla periferia della città,
si ritirò.
Il malumore spartano non resta senza effetto: ad Atene si giustizia uno
stratego, un altro è esiliato, compromessi nell'impresa di Tebe. Ma quella

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parvenza di “parte lesa” che Sparta poteva accampare per l’episodio di Tebe
andò dissipata quando Sfodria, spartano con il comando a Tespie, tentò di
occupare il Pireo, marciando una notte: ma al mattino egli si trovava ancora
presso Eleusi, il colpo fu scoperto e sventato. Contro ogni aspettativa, il re
Cleombroto e il figlio di Agesilao, Archidamo, lo mandarono assolto, ma questo
fu un segnale per Atene della necessità di una nuova politica.

2. L'ascesa di Tebe e la crisi delle egemonie tradizionali


Fino alla battaglia di Leuttra (371) vi è un periodo di mutamento complessivo di
posizioni, dal punto di vista politico e militare.
Sparta cerca di contrastare i fatti nuovi emersi dopo la pace di Antalcida: la
ribellione e ascesa di Tebe da un lato, la ricostituzione dell'impero navale
ateniese e la sua rapida espansione in acque di recente venute sotto controllo
spartano dall’altro; tuttavia alla fine del periodo Sparta perde la posizione di
forza che aveva all’inizio.
Per Tebe si tratta degli anni della resistenza a Sparta, fino alla vittoria epocale
di Leuttra e alla fondazione di una sia pur effimera egemonia.
La potenza di Atene si rafforza col consolidamento della Lega navale; vi è un
cambiamento radicale della politica estera ateniese nel corso degli anni
Settanta: se all'inizio era decisamente protebana e antispartana (la Lega
navale del IV si presenta nel 377 con una diffida nei confronti del predominio di
Sparta, che minaccia eleuthería e autonomía dei Greci), dal 375 e soprattutto
dal 372 vi è una serie di aggiustamenti che la ricompatteranno con Sparta, fino
al pieno accordo del 369.
Vi è una spinta alla diffusione di forme politiche nuove, cioè forme
democratiche, anche in tradizionali roccaforti dei regimi oligarchici , soprattutto
nel Peloponneso.
Il fatto più rilevante è la crisi d'egemonia spartana, a cui non corrisponde
semplicemente una rinascita dell'egemonia ateniese: Atene ricostituisce un suo
notevole ruolo politico nel mondo greco, ma non è comparabile con quello del V
secolo, ed è sempre di più un ruolo culturale.
Si tratta di una crisi delle egemonie, in generale, nel mondo greco, e in
particolare delle egemonie
esercitate dalla póleis, che esauriscono la capacità (e in parte la volontà) di
potenza e di dominio, a cui si accompagnano fermenti di panellenismo, cioè
spinte non all'unificazione politica, ma a un'unità nazionale generalizzata, del
consenso e della cultura, di cui però è difficile trovare un garante: candidati per
questo ruolo sono Dionisio in Occidente e Giasone di Fere nella Grecia propria,
con esperimenti di egemonie in cui però si esprime solo volontà e ambizione
personale.
Toccherà ai re di Macedonia dare una risposta, solo in parte conforme alle
attese greche, all’esigenza della creazione di un nuovo centro di gravità.
Sparta non accettò lo stato di cose maturato in Beozia dopo la liberazione della
Cadmea: nel 378 Agesilao invade la regione e giunge sotto Tebe, dove lo
attendono i Tebani e un corpo ateniese al comando di Cabria. Altrettanto
penetrante nel territorio tebano e altrettanto infruttuosa la spedizione del 377,
nel cui ritorno Agesilao si ammala, e quindi è sostituito dall'altro re spartano,
Cleombroto, che nel 376 non riesce nemmeno a forzare i passi del Citerone tra
Megaride e Beozia.
Nel 376 la flotta peloponnesiaca – in risposta alla fondazione della lega navale
attica (377) – fa rotta sulle Cicladi, ottiene la defezione di gran parte delle isole

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da Atene, scaccia a Delo gli Anfizioni ateniesi, ma nel canale tra le isole di
Nasso e di Paro più della metà della flotta è affondata da quella ateniese, con il
centrale ruolo delle grandi qualità strategiche di Cabria.

3. La seconda Lega navale attica dal 377 al 375


La fondazione della Lega navale attica è l'esito di un lungo processo e l'inizio di
una nuova fase di
sviluppo marinaro di Atene. Le premesse della nuova alleanza, che doveva
procurare ad Atene 70/75 alleati – nel V secolo circa 400 erano gli alleati – sono
nei trattati bilaterali che la città aveva stipulato con Chio (384/383) e,
successivamente, in un periodo che si estende fino alla primavera del 378, con
città dell'isola di Lesbo, come Mitilene e Metimna, con Bisanzio, con Rodi e con
la stessa Tebe.
Tale politica di alleanze bilaterali stipulate alla spicciolata era l'unica consentita
ad Atene, sotto il vincolo della pace di Antalcida e del principio di autonomia da
essa fondato.
Nella primavera del 377 Atene, insieme con i sopracitati alleati (e forse con
l'isola di Tenedo), lancia il 'manifesto' della costituzione di una vasta alleanza
che fa propri i principi della pace del re, e non è intesa a contrastare la Persia,
ma impone a se stessa forti limitazioni, al fine di rispettare il principio
dell'autonomia, e si dichiara diretta verso Sparta: l'inasprirsi delle forme
dell'intervento spartano e la forte spinta della riscossa tebana inducono Atene
a rompere le catene, dirigendo verso un unico nemico il potenziale della Lega,
tenendosi buona la Persia.

L'appello fu accolto: dalle città libere dell'Eubea, dalle Sporadi settentrionali


(Pepareto, Sciato, Ico), da Perinto e Maronea in Tracia. Subito Atene intende
conferire alla Lega termini geografici molto ampi: all'Egeo settentrionale dedica
particolare attenzione, che presto si dirige anche verso il mar Ionio. Atene,
intanto, ricostituisce la flotta (da 100 triremi a 383).
Dopo la battaglia navale di Nasso (376), aderiscono alla Lega: le Cicladi, Cabria
ottiene nuove adesioni nell'area della Calcidica, della Tracia e delle isole
dell'Egeo settentrionale.
Timoteo, nel 375, guadagna l'adesione di: Corcira, del re Alceta d'Epiro, degli
Acarnani, di Pronni di Cefallenia, nell'area del mar Ionio, divenuta punto
interessante per Atene, ma era anche vitale per i Peloponnesiaci, che due volte
tentarono invano di contrastare Timoteo presso Alizia (Acarnania).

Intanto in Beozia si rafforza la posizione di Tebe, che tuttavia non riesce a


venire a capo dell'eterna rivale, Orcomeno, che, con Tespie, è presidiata dagli
Spartani.
Nel 375 gli Spartani, alle corde su diversi fronti, devono accettare la pace con
Atene, ma rimarrà un documento di scarsa efficacia.

Il mar Ionio diventa uno dei punti caldi del confronto tra Sparta e Atene:
Timoteo, nel ritirarsi dal mar Ionio, consegna Zacinto alla parte democratica, e
vane sono le proteste spartane. Presto cominciano i tentativi di Sparta contro
Corcira: uno, nel 374, fallito, un altro, nel 373, sventato solo per l'intervento
ateniese.
La conduzione della guerra navale da parte di Timoteo negli ultimi due anni
pareva agli Ateniesi tanto arrischiata nei suoi inizi, quanto oziosa negli

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svolgimenti successivi: questi viene privato della carica e sottoposto a processo


per le accuse di due personaggi emergenti: lo stratego Ificrate e
l'oratore Callistrato di Afidna. Timoteo è assolto, ma rimane privo del comando
e si trasferisce al servizio del re di Persia, una scelta non particolarmente
grave, dati i rapporti dell'epoca; negli anni Sessanta tornerà attivo nella politica
e nelle guerre di Atene.

Una spedizione di Ificrate (372) nel mar Ionio libera Corcira dall'assedio
spartano, e acquisisce le città dell'isola di Cefallenia ancora legate a Sparta.
Intanto Tebe consolida le sue posizioni in Beozia: assoggetta Tanagra e Tespie,
e distrugge con un attacco improvviso Platea (374/373), i cui abitanti furono
accolti ad Atene.

4. Tebe verso l'egemonia; la battaglia di Leuttra (luglio 371)


L'affollarsi degli eventi obliterò la pace del 375/374, a tal punto che qualcuno la
considera un doppione storiografico di quella nata dal congresso di pace a
Sparta nel 371, con presenti:
- Principali Stati greci;
- Rappresentanti di Dionisio I di Siracusa;
- Rappresentanti di Aminta III di Macedonia;
- Rappresentanti del re di Persia.
Si riconobbe:
 l'esistenza di fatto della Lega navale attica;
 i diritti ateniesi sull'area tracica ed egeo-settentrionale (Anfipoli,
Chersoneso tracico).
I Tebani contestarono lo schema politico su cui la pace era fondata: come nel
386, volevano giurare non come Tebani, ma come (e per i) Beoti: la richiesta,
presentata da Epaminonda, fu respinta, e ciò comportò l'espulsione di Tebe
dalla pace.
Ciò sancisce la nuova intesa fra Atene e Sparta, allontana Tebe da Atene ed è il
preludio alla sfida che Tebe lancia a Sparta, sentendosi forte anche di un certo
supporto del nuovo tago (= capo militare) di Tessaglia, Giasone di Fere.
Il re spartano Cleombrato, già attestato in Focide con un esercito
peloponnesiaca di 10.000
uomini, nel tentativo d'imporre la rinuncia di Tebe alla rappresentanza dei Beoti
(equivalente alla
sopravvivenza della Lega Beotica), operò un attacco alla Boezia: superò il
monte Elicona (non seguì la via diretta dalla Focide in Beozia) e occupò Creusi
(porto di Tespie), sul golfo Corinzio, deciso a non farsi imbottigliare in Beozia.
Con le spalle sicure per un'eventuale ritirata verso il Peloponneso, punta da
Creusi su Tebe.
A Leuttra, in una piana fra le colline, a 11 Km da Tebe, vi è il contatto con il
nemico (7.000 uomini): nella fase dello scontro fra fanterie, Epaminonda mette
per la prima volta in atto la 'tattica obliqua', organizzando la loxè phálanx
(falange obliqua): al vecchio schema tattico dell'attacco della destra sulla
sinistra del nemico, con effetto d'aggiramento (con movimento rotatorio della
battaglia nel suo insieme), si sostituisce l'attacco da sinistra (un precedente
c’era stato a Delio nel 424).
La novità è ben più forte del semplice spostamento da destra a sinistra dell’ala
d’attacco: dando all'ala sinistra tebana particolare profondità, e destinandola
all'assalto dell'ala destra nemica (quella più forte), si intende dare a tale

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attacco la funzione di una preliminare e immediata operazione di sfondamento


della posizione forte, riservando a una seconda fase la liquidazione delle parti
residue e più deboli; il fatto che fosse una scelta imprevista ne aumentò
l'efficacia.
Per Sparta fu colpo durissimo, che segnò l'inizio di un pur lento declino storico:
sul campo restano Sfodria, il re Cleombroto e 400 (su 700) Spartiati. Un
tentativo di risposta da parte di Archidamo III, figlio di Agesilao, consisté nel
condurre l'esercito fino a Egostena (Porto Germeno, alle pendici meridionali del
Citerone), ma per l'intervento di Giasone di Tessaglia, che operò più da
mediatore che da alleato di Tebe qual era, non si venne a una nuova guerra.
È il momento di massimo prestigio del tiranno, tago di Tessaglia, che però poco
dopo (370) veniva ucciso da un gruppo di giovani cavalieri congiurati.
La sua morte apre un periodo nuovo della Tessaglia, che riesce, appoggiandosi
ad altri (Macedonia, Tebe), a sottrarsi al predominio di Fere e dei suoi tiranni,
mostrando di voler recuperare una propria funzione autonoma, nello spirito dei
sussulti regionalistici dell'epoca. Essa non riesce tuttavia a garantirsi una sua
piena autonomia da stati confinanti e invadenti, e si avvia verso quella stretta
associazione con la Macedonia che si realizza sotto il segno di Filippo II.
A Giasone succede il fratello Polidoro, poi Polifrone, che è assassinato dal figlio
di Polidoro, Alessandro. Contro il tiranno di Fere (369) i Larissei invocano l'aiuto
di Alessandro II di Macedonia, che lo concede installando però guarnigioni a
Larissa e a Crannone.

5. L'egemonia tebana e la spinta autonomistica in Grecia


Nell'area a sud della Tessaglia si rafforza Tebe, che costringe Orcomeno ad
aderire alla Lega beotica e piazza guarnigioni a Nicea, presso le Termopile.
Dopo Leuttra, la Tessaglia entra nell'interesse attivo di Tebe, con un
ribaltamento di ruoli tra le due regioni, conseguenza della morte di Giasone.
Alla minaccia di un intervento tebano nel Peloponneso dopo la vittoria di
Leuttra si rispose con la convocazione di una conferenza di Stati peloponnesiaci
ad Atene (371), a cui Sparta potrebbe non aver partecipato. Questa
rappresenta un'effimera impennata d'egemonismo da parte di Atene, alla quale
possono essere legati alcuni moti politici: nel Peloponneso nord-orientale
(Corinto, Fliunte, Sicione e soprattutto Argo, dove si ebbero stragi di proprietari
- «scitalismo» - nel 370/369); in Arcadia (Mantinea e Figalia). Tuttavia non
bisogna esagerare l’interferenza e l’impegno ateniese in queste vicende
interne al Peloponneso.
In Arcadia si costituisce ora una confederazione, con un'assemblea generale di
10.000, un collegio di strateghi e uno di magistrati federali, una milizia stabile.
Un intervento di Agesilao per l'autonomia di Tegea, ove il partito democratico
era stato portato al successo dai Mantinesi, si risolse in una ritirata. Tebe portò
aiuto alla neonata Lega arcadica.

Comincia così la serie (4) di spedizioni tebane nel Peloponneso, guidate da


Epaminonda:
1. Nel 370 i Beoti intervengono per replicare al vano attacco di Agesilao contro
Mantinea risorta, e
avanzano fino in vista di Sparta, ma per difficoltà di attraversamento
dell'Eurota e per il sopraggiungere di soccorsi alleati, proseguono oltre Sparta,
per la Messenia, dove la defezione tocca la maggior parte delle località, e si
avvia la costruzione della città di Messene al monto Itome.

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Atene e Sparta stipulano ora un trattato di mutua difesa, che segna una svolta
decisiva nei rapporti.
2. Epaminonda nel 369 cala in Peloponneso, e Dionisio I, con l'invio di navi e
mercenari, interviene in aiuto di Sparta. I Tebani limitano l'azione al nord della
penisola e a Sicione e a Pellene, dopo essersi congiunti con gli alleati argivi,
elei ed arcadi.
Intanto Pelopida, altro protagonista dell'egemonismo tebano, cerca di rafforzare
la presenza e l’influenza beotica nel nord greco (Tessaglia e Macedonia): in
Tessaglia, nel 369, libera Larissa, e poi interviene da paciere nelle contese
dinastiche macedoni, tra il re Alessandro II e il cognato (e amante della madre
Euridice) di questo, Tolemeo, nativo di Aloro.
I due Tebani non erano però al riparo dall'opposizione politica, guidata dal
democratico radicale
Meneclida: furono infatti sottoposti a processo, forse dopo la seconda
spedizione, e per il 368 non
paiono essere stati rieletti beotarchi (= magistrato appartenente alla lega
beotica confunzioni esecutive, militari e diplomatiche, con durata annuale).
Ariobarzane, satrapo persiano di Frigia, convoca un congresso a Delfi (368), ma
non riuscì a mettere d'accordo Spartani e Tebani.
Nel 368 Pelopida, forse come ambasciatore, non come beotarca, interviene in
Macedonia, dove il
momentaneo accordo tra Tolemeo di Aloro e re Alessandro II si era già rotto:
Alessandro II è assassinato, Tolemeo assume la reggenza per il fratello di
Alessandro II, Perdicca III; e contro il pretendente Pausania, insediatosi a Terme
e Antemunte, Euridice chiese l'aiuto del generale ateniese Ificrate.
L’arrivo di Pelopida ristabilisce l'influenza tebana in Macedonia, mediante un
nuovo accordo con
Tolemeo e la consegna di Filippo (futuro Filippo II), fratello di Perdicca III, e il suo
trasferimento a Tebe come ostaggio.
Meno felice l’esperienza di Pelopida con Alessandro di Fere, che, nel corso di un
colloquio, lo fece arrestare: per la sua liberazione intervenne un esercito
tebano (367), che indusse anche il tiranno di Fere a cedere Farsàlo.
Intanto nel Peloponneso la Lega arcadica si estendeva (in Laconia
settentrionale e Trifilia) e consolidava i rapporti con i nemici di Sparta, dagli
Argivi ai Messenii; la risposta di Sparta fu una spedizione di Archidamo in
Arcadia, che però non raggiunse i suoi scopi. Gli Arcadi tentarono invano di
chiudere la via del rientro all'esercito spartano, che inflisse ai nemici gravi
perdite, senza subirne (367 “battaglia senza lacrime” per gli Spartani).
D’altra parte, la Lega si rafforzava politicamente e si creava una capitale
federale (Megalopoli) nella vallata dell'Alfeo, nell'Arcadia occidentale: impianto
pensato in termini grandiosi, con cinta muraria
assai più vasta dell'area delle abitazioni: Megalopoli aveva la funzione di città-
rifugio.

3. Nel 367, una spedizione nel Peloponneso guadagna l'Acaia come alleata a
Tebe, ma Epaminonda dovette accettare la conservazione dei regimi oligarchici:
a Tebe si vollero ovunque imposti regimi democratici, che però furono di
effimera durata, per il rientro, nel 366, degli oligarchi esuli.
Vicende analoghe a Sicione: l'oligarchia è abbattuta da Argivi e Arcadi e si
insedia al potere il democratico Eufrone (368), poi cacciato dagli Arcadi,
indignati per i suoi eccessi; Eufrone rientra con l'aiuto ateniese (366/365), ma

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perde presto il controllo dell'acropoli, passata nelle mani dei Tebani. => Arcadi
e Tebani non sembrano portatori di ideologia democratica radicale.
Il segno delle difficoltà di Sparta è nel ricorso all'intervento del re di Persia
(367); ma la sua ambasceria a Susa, guidata da Euticle, fu presto seguita da
ambasciatori degli altri Stati greci coinvolti nelle contese: Tebe, Argo, Elide,
Arcadia, la stessa Atene.
Pelopida fa accettare tutte le richieste tebane con carattere di principio:
o indipendenza della Messenia;
o concessione della Trifilia (contesa dagli Arcadi) agli Elei;
o ingiunzione ad Atene di disarmare la flotta;
o indipendenza di Anfipoli, di cui Atene pretendeva il controllo.
Ma al congresso di Tebe (366) i Beoti non riuscirono ad ottenere la convalida da
parte greca: sintomo dei limiti della politica egemonica tebana ed esistenza di
una crisi ben più profonda all'interno del mondo greco.
Atene perde Oropo, a favore di Eretria e soprattutto di Tebe, che vi installa una
guarnigione (366): segue il processo a Callistrato di Afidna e a Cabria;
Callistrato, pur assolto dall'accusa di aver ceduto Oropo per corruzione, perde
la propria influenza politica, mentre si rinnova l'affermazione della politica
bellicista e antispartana di Timoteo.

Il rimescolamento di carte nel mondo greco continua vertiginosamente:


o Atene si allea con l'Arcadia, per iniziativa di Licomede;
o Corinto si allea con Tebe;
o Eufrone di Sicione, isolato, cerca il sostegno a Tebe, ma ivi è assassinato,
e al potere gli succede il figlio Adeas;
o Sparta, che ha perduto il sostegno del re Persiano, punta sul satrapo
ribelle della Frigia ellespontica (Anatolia centrale) Ariobarzane, che re
Agesilao, nel 365, aiuta contro gli altri due satrapi, Autofradate di Lidia e
Maussollo di Caria, assumendo il comando dei mercenari di Ariobarzane.

Atene tenta di trarre vantaggi dai conflitti interni all'impero persiano, con l’invio
di Timoteo, che conquista Samo, impiantandovi una cleruchia di 2.000 cittadini
(365), per poi passare sul continente in aiuto di Ariobarzane, che cede agli
Ateniesi, per ricompensa, Sesto e Critore nel Peloponneso tracico. Il re si
riconcilia ora con Atene, riconoscendole i diritti su Anfipoli, e Timoteo, nel 364,
si sposta in area macedone, dove si impadronisce di Pidna e di Metone, di
Torone e Potidea in Calcidica; fallisce invece l'occupazione di Anfipoli (364).

Nel 364 Epaminonda avvia un programma di armamento e di politica navale


(100 triremi) competitiva nei confronti di Atene: con le prime navi raggiunge
Bisanzio, che induce ad uscire dalla Lega navale ateniese, e Chio, Rodi e Cos,
con cui stringe buoni rapporti.
Ma la politica navale si fermò lì a causa di carenze finanziarie e per la
mancanza di una tradizione di pratica marinara e mercantile (Tebe è uno Stato
contadino), ma soprattutto perché Tebe non aveva da proporre altra ideologia
che quella dell'autonomia e del particolarismo (che garantiva il successo delle
spinte particolaristiche, ma non il ruolo-guida della città che lo promuoveva).

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Nel 364 i Tessali chiedono l'intervento tebano contro il tiranno Alessandro di


Fere, ma ricevono un aiuto limitato: a Cinoscefale, Pelopida, che comanda
anche l'esercito tessalo, vince ma perde la vita.
Nel 363 un intervento corposo dei Beoti porta a una più chiara sconfitta di
Alessandro di Fere, di cui si riducevano drasticamente i dominii.
Nello stesso periodo i Tebani regolano i conti storici con Orcomeno: ne
catturano e condannano a morte i cavalieri, accusati di collusione con gli esuli
tebani. Orcomeno è distrutta, la popolazione maschile adulta sterminata, e
donne e bambini venduti in schiavitù.
Lo spirito autonomistico greco suscita conflitti anche nel campo dei nemici di
Sparta: Elei ad Arcadi si contendevano la Trifilia: nel 364 si arriva ad uno
scontro tra Elei e Arcadi nel santuario dell'Altis (Olimpia), poi in Arcadia cambia
la temperie politica e quindi ci fu una composizione con gli Elei, nel senso della
conservazione delle città trifiliche da parte degli Arcadi e del recupero di
Olimpia e della direzione dei giochi da parte degli Elei.
I maggiorenti arcadi si rivolgono a Tebe, nel timore di essere privati del tutto
delle loro posizioni: nel 362 a Tegea si installa una guarnigione tebana e
vengono temporaneamente sequestrati uomini politici, rappresentanti di tutte
le città arcadiche, che si erano riuniti per stipulare una pace con l'Elide. La crisi
interna alla Lega arcadica si aggrava ulteriormente per la netta frattura
creatasi tra Tegea e Megalopoli da un lato, e Mantinea e la maggior parte delle
città arcadiche, e l'Acaia,
Fliunte, Atene e Sparta, dall'altro.

6. Il significato della battaglia di Mantinea del 362


4. Epaminonda, nel 362, scende nuovamente nel Peloponneso, prendendo a
base Tegea per un'azione contro Sparta, subito interrotta per il contrattacco di
Agesilao: da Tegea Epaminonda invia contro Mantinea la cavalleria beotica e
tessalica, che però si trova di fronte la cavalleria ateniese, poi gli opliti ateniesi
e gli Spartani assieme ai loro alleati: i Beoti, forti del sostegno di sicionii, argivi,
arcadi e messenii, accettano la battaglia campale sull'altopiano di Mantinea.
La battaglia segue lo schema tattico di Leuttra.
Gli Spartani cedono, ma nello scontro Epaminonda è ferito a morte; l’esito
militare e politico fu quello della più grande incertezza, che investì il sistema
dei rapporti all'interno del mondo greco.
La conclusione delle Storie di Senofonte contiene un giudizio sulla durata
dell’egemonia tebana: dopo la battaglia di Mantinea, in Grecia vi fu più
confusione e disordine di prima. Senofonte trasmette un’intuizione storica di
primaria importanza: in Grecia non v'era più spazio per l'egemonia di una
pólis, e l'egemonia tebana aveva prodotto quel che poteva produrre l'ultimo
tentativo di tal genere,
cioè lo smantellamento dell'idea stessa di egemonia.

Una pace generale, da cui però si tenne fuori Sparta, sanciva lo status quo:
 l'indipendenza della Messenia;
 l'esistenza di due leghe arcadiche, una intorno a Tegea e Megalopoli,
l'altra intorno a Mantinea (l'Arcadia confinante con la Laconia era anche
quella antispartana: ciò fu fondamentale).

Secondo Senofonte le prospettive egemoniche fra le póleis non cessano di


colpo: a suo modo, ciascuna delle tre maggiori città continua a perseguirle, ma

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con più incertezza, minore slancio e minore coesione interna, quindi con
un'efficacia storicamente sempre più limitata.
Sparta non intende rinunciare alla Messenia e al suo ruolo nel Peloponneso;
Atene manteneva, forse momentaneamente accentuava, la posizione egemone
all'interno della Lega navale; Tebe continuava a vivificare l'ostilità verso Sparta
e, in minor misura, verso Atene, ma soprattutto cercava di conservare un ruolo
fondamentale nella Grecia centrale e in Tessaglia.
Lo scontro tra tali sempre più inefficaci ambizioni creò le condizioni per il
confitto accesosi intorno
al santuario di Delfi, non a caso nelle vicinanze e per iniziativa di Tebe. Una
nuova guerra sacra, che si apriva come conflitto regionale, contenuto nel
mondo delle póleis, ma che si svilupperà e si chiuderà – segno d'epoca nuova –
quale conflitto coinvolgente anche i Macedoni.

7. L'intervento cartaginese in Sicilia (409-405) e l'ascesa di Dionisio I di


Siracusa
Durante la spedizione ateniese in Sicilia (415-413), Cartagine stava a guardare,
certamente decisa a impedire i sogni di conquista attribuiti ad Alcibiade, ma
d’altronde gli ateniesi colpivano Siracusa, sua nemica, e sostenevano gli Elimi
di Segesta, suoi tradizionali alleati. Tuttavia, fu uno strascico di tale spedizione,
cioè il riaccendersi di controversie tra Selinunte e Segesta (causa occasionale),
a provocare l'intervento cartaginese del 409, cui seguì la distruzione di
Selinunte e di Imera, e il conseguente massacro delle popolazioni; poi toccò ad
Agrigento, Gela e Camarina (406-405).
L’intervento punico vedeva in campo cittadini, sudditi libici, mercenari (che si
distribuirono fra le parti in conflitto), comandato da Annibale, nipote di Amilcare
(scomparso e forse massacrato a
Imera nel 480) e figlio di Gescone, che fu esule a Selinunte.
Nonostante Selinunte avesse frequenti rapporti con Cartagine, essa vide
distrutte le mura, i templi, le case, e una strage di 16.000 persone. L'intervento
di un contingente siracusano comandato da Diocle fu vanificato dalla rapidità
con cui la città cadde (9 giorni).
Imera ebbe sorte analoga, ma si provvide a mettere in salvo una parte della
popolazione, rifugiatasi a Messina e in altri centri della Sicilia orientale.

A Siracusa si ebbero ripercussioni politiche: la messa sotto accusa di Diocle e il


tentativo di rientro di Ermocrate, che dal persiano Farnabazo (allora alleato
degli Spartani, di cui il siracusano era sempre stato amico) ebbe finanziamenti
per allestire un corpo di spedizione, con cui, sbarcato a Messina, compì una
serie d'imprese di grande valore propagandistico, ma di scarsa efficacia e rese
possibile anche dal ritorno in patria di Annibale e della sua armata.
Con gli esuli imeresi, Ermocrate attacca Siracusa, poi si volge ad ovest, inizia la
ricostruzione di Selinunte, compie incursioni nei territori delle puniche Mozia e
Panormo, poi tenta il rientro a Siracusa, vi riesce in parte, ma muore in uno
scontro interno alla città (408).

Nel 406 i Cartaginesi riprendono l’offensiva, con l'intento di allargare l'area di


dominio.
Il primo attacco è volto ad Agrigento: nonostante la grande disponibilità di
riserve da parte agrigentina, la ribellione di mercenari di parte punica, le

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difficoltà di rifornimento di questa a causa di uno scoppio di un'epidemia, in cui


muore Annibale – il comando passa ora ad Imilcone – Agrigento fu conquistata.
I Siracusani, comandati dallo stratego Dafneo, e rafforzati da un gran numero di
Greci di Sicilia e d'Italia, riescono ad entrare in città, ma non a liberarla per
intero.
Alla popolazione furono risparmiati i massacri, ma si dovette sgomberarla a
Gela.

A Siracusa si parlò di tradimento: Dionisio, valoroso ufficiale del partito di


Ermocrate, spalleggiato dagli aristocratici Ipparino e Filisto, mise sotto accusa
la conduzione della guerra, ottenne la destituzione dei precedenti strateghi e la
nomina di un nuovo collegio, in cui fu eletto egli stesso; ottenne poi il rientro
degli esuli, appoggiandosi alla parte popolare.
Dionisio si recò poi a Gela, esposta alla minaccia cartaginese, e intervenne in
favore del dêmos contro i proprietari; a Siracusa accusò i colleghi di intelligenza
col nemico, e questi furono deposti: egli divenne così stratego con pieni poteri
(strategós autokrátor).
Inoltre, aiutato da mercenari assoldati a suo tempo dagli Agrigentini, occupò
l'arsenale e ottenne la condanna a morte di Dafneo e Demarco, suoi avversari,
e sposò la figlia di Ermocrate.

Nel 405 i Cartaginesi attaccarono Gela; Dionisio non riuscì ad espugnare


l'accampamento nemico, che assediava la città. Gela e Camarina furono perciò
evacuate.
L'esito deludente diede spazio a un tentativo dei cavalieri di Siracusa, l'élite
aristocratica cittadina, di abbattere la nuova tirannide: la casa di Dionisio fu
devastata, e la moglie percossa a morte.
Dionisio sopravvenne da Camarina con i soldati, uccise alcuni cavalieri e altri li
espulse dalla città.
Da parte cartaginese il pericolo veniva meno, non da ultimo per l'effetto
deterrente dell'epidemia che ne aveva decimato le truppe.

Alla fine del 405 si stipula la prima pace tra Dionisio e i Cartaginesi:
 Selinunte, Imera, Agrigento appartenevano a Cartagine;
 i cittadini di Gela e Camarina diventavano tributari di Cartagine;
 Cartagine esercitava autorità su Elimi e Sicani;
 Cartagine assume di fatto la tutela dell'autonomia dei Siculi, di Messina e
Leontini;
 a Dionisio viene riconosciuto il dominio su Siracusa.
Camarina, Gela e Agrigento furono parzialmente ricostruite, ma le prime due
dovevano restare prive di fortificazioni. Le città greche più vicine al territorio
punico di Sicilia ebbero un diverso destino: Selinunte non risorse più; nei
pressi di Imera già nel 407 i Cartaginesi avevano Terme, in cui si accolsero
gli Imeresi superstiti.

8. Lo Stato territoriale di Dionisio I


Dionisio rafforza strategicamente e politicamente la tirannide (Diodoro):
- fortifica l’isola di Ortigia, separandola del resto della città con un muro e
alte e solide torri;
- collega l’isola con mura al porto minore (Laccio);

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- attua demagogiche concessioni di terra e cittadinanza, anche a schiavi


liberati;
- riserva ad amici e mercenari le abitazioni dell’isola.
Lavora a questo punto per correggere gli effetti del primo trattato: l’obiettivo è
ricostruire l'area tradizionale d'influenza siracusana, includente i Siculi e le città
della regione etnea, aggiungendovi però un tratto di più marcato dominio.

Cominciò nel 404 assediando la sicula Erbesso, non lungi da Leontini, ma un


ammutinamento di mercenari, spalleggiati da cavalieri siracusani esuli, mise in
gravissima difficoltà la tirannide.
Dionisio riprese il controllo della situazione solo con l'aiuto di 1.200 cavalieri
campani, che erano stati al servizio dei Cartaginesi.
Reggio e Messina, ostili al tiranno, inviarono la flotta a sostegno degli insorti.
Dionisio vince i nemici e rafforzò la sua posizione militare e politica a Siracusa:
distrugge Nasso e la cede ai Siculi, conquista Catania e la cede ai mercenari
campani, e conquista Leontini, la cui popolazione si trasferisce a Siracusa, e
quella delle città consorelle è venduta schiava.
I Campani, in tal periodo, diventano un dato stabile del popolamento della
Sicilia, in corrispondenza con l’espansione demografica e territoriale delle genti
osche (Sanniti e Lucani), dalla Campania alle regioni più a Sud.

Dionisio, il creatore del “più grande dominio d’Europa” prima di quello


macedone, adotta verso i Greci una politica diversa a seconda delle aree: lo
scopo e il risultato è creazione di un dominio continuo, ma non omogeneo al
suo interno, che, nel 386, dopo la vittoria dell'Elleporo e la presa di Reggio, si
estenderà sino all'istmo scilletico-ipponiate e includerà:
1. aree annesse a Siracusa (area etnea) -> vige politica di
depoliticizzazione/disurbanizzazione;
2. Messina, che resta città per opportunità geografica, ma in stretta
dipendenza politica;
3. Reggio, che sarà distrutta, come le consorelle calcidesi perietnee;
4. Locri, fida alleata, che si estende di qua e di là dallo Stretto: rapporto
consolidato da relazioni famigliari e patrimoniali.

Oltre la linea dell'istmo Dionisio cerca solo una posizione d'egemonia, prestigio,
controllo: ma il dominio 'continuo' non risulta essersi esteso oltre quell'istmo. Si
dà vita ad una realtà composita ed eterogenea, che costituisce un complesso
sistema di rapporti. Questo impero fonda il tipo di complessa continuità
territoriale, che è l'unica forma di dominio territoriale che una pólis del mondo
classico può costituire. Affidato al limitato respiro d'un uomo e della sua
discendenza l'impero si sgretola già sotto Dionisio II, costituendo in ogni caso
un antecedente degli stati territoriali creati da una città nel mondo
mediterraneo.

Le due direttrici dell'espansionismo dionisiano si intrecciano condizionano a


vicenda:
 in Sicilia lo sbocco sarà un nuovo conflitto con i Cartaginesi, in vista del
quale Dionisio costruisce sulle Epipole il castello Eurialo (architettura
militare); fonda una colonia militare (Adrano) alle pendici occidentali
dell'Etna, ma consente ai Siculi di insediarsi sul Tauro, sovrastante il sito
della scomparsa Nasso;

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 verso gli Italioti tenta l'intesa:


- nel 399 vi fu un nuovo intervento di Reggio e Messina in favore dei
senza patria di Nasso e Catania, ma Messina esce dall'alleanza e,
accordatasi con Dionisio, comincia a entrare nel ruolo di sentinella
sullo Stretto, per bloccare eventuali aggiramenti della flotta
cartaginese;
- con Reggio Dionisio tenta l’alleanza matrimoniale, chiedendo in
moglie una fanciulla di nobili natali: gli venne offerta la figlia del
boia, uno schiavo pubblico; Reggio rappresentava, nel conflitto con
Dionisio, il principio cittadino e autonomistico contro il principio
dello Stato territoriale costituito intorno a Siracusa;
- i Locresi concessero a Dionisio la figlia di Xen(en)eto, il più insigne
cittadino: il tiranno la sposò lo stesso giorno in cui contrasse le
nozze con Aristomache, nobile siracusana figlia di Ipparino:
condizione che corrispondeva al duplice campo d'interesse di
Dionisio, mirante a costruire un dominio con centro politico in
Siracusa e geografico nello Stretto, un dominio che faceva appello
alla totalità dei Greci d'Occidente e si giustificava strategicamente
con la guerra anticartaginese.

9. Dionisio I tra l'epicrazia cartaginese e l'autonomia delle città italiote


Il confronto con Reggio, avviato da Dionisio nel 399, poi nel 393, 390, e 388,
era accantonato, dato che l'alleanza con Locri assicurava una solida posizione
sul continente, rispetto a cui Reggio si riduceva a fastidiosa ma fragile enclave.

Era più urgente il consolidamento delle posizioni in Sicilia e quindi la guerra


contro Cartagine.
Dominio cartaginese: Mozia, Panormo, Solunto, sostenute dai centri elimi di
Erice, Segesta, Alicie e dalla oscizzata Entella.
Dionisio nel 397 distrugge Mozia.
Nel 396 Imilcone sbarca a Panormo con un grande esercito, e recupera, lungo il
perimetro della Sicilia in senso orario, le zone elima e punica, compresa Mozia,
le cui fortificazioni non furono ricostruite (i Cartaginesi usavano ora come base
strategica Lilibeo, l’odierna Marsala): cadono Terme, l'isola di Lipari, e Messina,
completamente distrutta. I Siculi defezionano da Siracusa.
Imilcone punta ora su Catania, dove la flotta di Dionisio, comandata dal fratello
Leptine, subisce una durissima sconfitta dall'ammiraglio punico Magone.
Imilcone assedia Siracusa.
Una squadra peloponnesiaca, al comando dello spartano Farace, interviene in
favore di Dionisio.
Nel frattempo una potente peste decimò nel i cartaginesi, bloccando le azioni
su terra: i Siracusani riuscirono ad abbattere i fortilizi che i Cartaginesi avevano
costruito sul porto, come appoggi per le
navi. Imilcone cercò di salvare il salvabile utilizzando le residue possibilità di
fuga per via di mare, ma Libii, Iberi e Celti dovettero arrendersi ai Siracusani.

Dionisio recuperò Catania, Lipari e, temporaneamente, Terme, e ricostruisce


Messina, al cui popolamento provvidero Locri e la colonia locrese di Medma;
Dionisio voleva trapiantarvi anche 600 Messenii di Naupatto e Zacinto, residui o
discendenti dei profughi della guerra del terremoto, per pietà nei confronti di

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una popolazione tormentata, ma gli Spartani (nemici dei Messenii) misero il


veto: perciò Dionisio creò per essi Tindari.
Il mondo italiota esprimeva una forma di organizzazione federale anche nel
periodo di declino: dopo la 2° rivolta antipitagorica a Crotone e in altre città
magnogreche (poco prima del 453 o dopo il 448), nelle città italiote più
lacerate dai conflitti civili intervenivano come mediatori gli Achei di Grecia,
organizzati in una lega raccolta intorno al santuario di Zeus Homarios, che
comprendeva le città dell'area achea meridionale. Dionisio e i barbari (Lucani)
renderanno difficile la vita a tale sforzo unitario, ma intorno a tale nucleo acheo
si coagula un’alleanza più vasta: Turii, Elea, Reggio si aggiungono dall'esterno.
La fondazione della Lega italiota, con obiettivo di resistere ai Lucani e di
opporsi a Dionisio, è ricordata da Diodoro nel 393, ma non v'è sicurezza.

Evoluzione con Cartagine: un'armata cartaginese guidata da Magone è


sconfitta ad Abaceno, e punta poi su Siracusa, senza giungere allo scontro.
Nel 392 vi è la pace fra Cartaginesi e Dionisio:
 Cartagine rinuncia ad esercitare protettorato sui Siculi e riconosce,
almeno di fatto, il dominio sulla Sicilia a Dionisio, tranne che per i territori
punici ed elimi e per qualche altro centro Sicano; in ogni caso Agrigento e
Tauromenio tornano sotto il suo controllo.

Dionisio è ora l'árcheon Sikelías che dicono documenti attici; questi può adesso
puntare a perfezionare il suo dominio sull'estremo lembo dell'Italia: in quanto
strategicamente più economico attacca dapprima Reggio, ma una tempesta
risolve in un disastro la spedizione navale.
Dionisio opera una tacita intesa con i Lucani, che hanno già occupato Lao,
sottocolonia di Sibari sul Tirreno, e che compiono incursioni periodiche nel
territorio di Turii; ad una di queste i Turinii replicano con una controffensiva che
li porta fin sotto Lao, dove cadono in un agguato, a cui segue una strage, e i
superstiti furono risparmiato per l'intervento del fratello di Dionisio, Leptine, il
quale a seguito di tale scelta – controproducente per la complicità con le
bellicose genti italiche - fu sostituito dall’altro fratello, Tearida.

Nel 388 Dionisio passa all'azione contro la Lega italiota: comincia con l’assedio
di Caulonia, più vicina all’alleata Locri; nel frattempo da Crotone muoveva un
esercito federale italiota: Dionisio sospende l'assedio e marcia verso nord per
intercettarlo.
Presso il fiume Elleporo ebbe luogo la battaglia, vinta da Dionisio, che rimandò
gli italioti nelle rispettive patrie senza riscatti: era l’atto più generoso compiuto
dal tiranno, un atto che doveva solo lasciargli le mani più libere per l'azione
decisiva contro Reggio.
Caulonia è adesso conquistata, e il suo territorio, come quello di Scillezio e
Ipponio, è annesso a Locri, e le popolazioni trasferite in Sicilia.

Reggio, isolata, dapprima trattò con il tiranno, versandogli 300 talenti e


consegnando gli ostaggi.
Dionisio chiese poi 'mercato' ai Reggini, con l'intento di fare incetta di viveri e
ridurli senza riserve: come i Reggini si rifiutano di rifornirlo ulteriormente, egli
pose un assedio di 11 mesi, riducendo la città all'isolamento e alla fame. Nel
386 vi è la resa: ai superstiti viene permesso di riscattare la vita con il
pagamento di una mina, chi non poteva fu venduto schiavo a Siracusa. Sulle

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rovine della città Dionisio eresse un palazzo; solo Dionisio II ricostruirà il nucleo
di una nuova Reggio.

10. La politica imperiale di Dionisio I


Al di là dei confini segnati con l'avvio della costruzione (non completata) del
muro dell'istmo, è più
difficile definire precisi piani di conquista e annessione.
In Adriatico Dionisio fonda la colonia di Lisso sulla costa illirica, favorisce la
colonizzazione di Paro a Pharos e di Cnido e Corcira Nera, e inscrive tali
iniziative in un disegno organico di buoni rapporti con gli Illiri, con il cui aiuto
interferisce nelle questioni epirotiche in favore dell'esule re Alceta.
Nel Tirreno Dionisio si attiva contro gli Etruschi, tradizionalmente più collegati
ad Atene: nel 384 ha luogo il saccheggio del santuario di Leucotea a Pyrgi, il
porto di Caere; il tiranno impianta poi una base in Corsica e strinse intese con i
Celti che premevano gli Etruschi dal nord, impegnando anche mercenari di
quella stirpe fra le sue truppe.

La “guerra generale” con i Greci d’Italia, che Dionisio avrebbe proclamato e


condotto, è un’espressione retorica di Diodoro, che possibilmente egli riporta
dalle sue fonti (forse Timeo).

La sortita dal 'confine dell'istmo' che si produce con l'offensiva verso Crotone
(379) si collega alla terza guerra cartaginese (379-374), in cui Dionisio
conseguì successi in Sicilia occidentale (vittoria
di Kabala, 375), ma poi subì una grave sconfitta a Kronion, ove morì Leptine.
Seguì la pace del 374:
 appartenenza a Cartagine dei territori a ovest del fiume Halykos (Platani),
perciò di Selinunte, forse Eraclea e Terme;
 Dionisio deve pagare un risarcimento di 1.000 talenti;
 si assicurano a Dionisio e alla grecità di Sicilia condizioni più favorevoli di
quelle risultanti dalle spedizioni puniche del 409 e del 406/05, e della
pace del 405.
Pare che Dionisio abbia condotto una quarta guerra contro Cartagine nel 367,
allo scopo di migliorare le posizioni greche e scacciare i Cartaginesi dai territori
occidentali: Selinunte, Entella, Erice sarebbero cadute sotto il suo controllo, ma
nell'inverno 367/366 Dionisio morirà.

Dionisio in Grecia:
Aveva più volte interferito militarmente, sempre in favore degli Spartani, già
durante la guerra corinzia, e nel 372 partecipò all'assedio di Corcira, contro gli
Ateniesi, e inoltre intervenne per contrastare Epaminonda e gli Arcadi ostili a
Sparta. Dopo Leuttra, con il riavvicinamento tra Atene e Sparta, si erano create
le condizioni per ricostruire buoni rapporti con Atene.
La vicinanza ideale a Sparta e la notorietà del personaggio ad Atene, spiegano i
primi due dei tre viaggi di Platone in Sicilia (388, 367/66); il terzo si lega al
fascino che l'ingegneria politica siciliana, per cui si possono disfare vecchie
città e costruirne di nuove, gioca su Platone, riformatore e sognatore di un
nuovo Stato.

11. Dionisio II, e gli intellettuali nella politica

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Dionisio II (figlio della moglie locrese) successe al padre, a dispetto dei tentativi
contrari della discendenza di Aristomache (Ipparino, Niseo, Sofrosine, Arete) e
del fratello di questa, Dione.
Rispetto al padre, attuò una politica di contenimento:
 accordo con Cartagine;
 intervento in favore degli Italioti contro i Lucani;
 fondazione di due colonie contro i pirati in Apulia.
 in politica interna, il suo governo fu caratterizzato da qualche misura
sociale e politica (riduzione tasse, richiamo esuli).

Il secondo viaggio di Platone in Sicilia (367/366) sembra il nodo storico in cui


s'annodano diverse premesse:
- la disponibilità intellettuale di Dionisio II;
- il complesso gioco politico di Dione che, benché imparentatosi ancor più
strettamente con Dionisio I (sposa la vedova di Tearida, Arete), mirava a
crearsi posizioni di potere a Siracusa, estromettendo, o almeno
condizionando fortemente, Dionisio II;
- il ruolo politico di Archita di Taranto (aderente alla Lega italiota), amico di
Siracusa, ma
anche dei Dionisii, almeno da quando, passato l'emozione della
distruzione di Reggio, la tirannide siceliota era per i Greci diventata più
presentabile.

La figura di Archita segna un momento significativo nella storia dell'Italia greca


e della grecità
d'Occidente: probabilmente proprio nel suo periodo, all'interno della Lega
italiota, si assiste allo spostamento del peso strategico/politico da Crotone a
Turii e ad Eraclea, sede ideale per una lega a
partecipazione tarentina, in quanto abbastanza tarentina da rassicurare la
nuova egemonia, ma
abbastanza distinta/distante da Taranto per soddisfare esigenze di rispetto per
la dignità degli
altri membri della Lega.
Nel rapporto sempre più stretto tra l'ultimo Dionisio I, e Dionisio II con Archita,
vi è la condizione
primaria per l'avvento di una lata unità politico-culturale, alla cui luce è più
comprensibile l'attenzione di Platone alla grecità occidentale (e in particolare ai
3 centri fin da epoca arcaica in
rapporto: Taranto, Locri, Siracusa). Nel periodo di Archita a Taranto vi è una
costituzione di tipo democratico-moderato, ed egli – pitagorico d'ultima
generazione – detiene il potere di stratego.
I motivi ideologici del pitagorismo, senza essere rinnegati del tutto, subiscono
un adattamento al contesto politico: rende comune, cioè mette a disposizione
dei più poveri, l'uso delle proprietà (non le proprietà medesime), con una
pratica di fitti agevolati, in connessione con l'estendersi del regime delle
misthóseis (e quindi dell'accentramento proprietario), in termini di terra da
coltivare e di case da abitare.

La rottura tra Platone e Dionisio è da inscriversi nel conflitto tra quest'ultimo e


Dione, che più si era adoperato, anche con i buoni uffici di Archita, per far
tornare Platone in Sicilia, e che invece venne esiliato poiché sentito come

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minaccia. Dione si insedia ad Atene, in attesa dell'occasione migliore per


spodestare Dionisio, il quale, sospettoso dello zio, gli sequestra le rendite delle
proprietà.
Il terzo viaggio di Platone (361) cercò inutilmente di metter pace fra i due.

Con il sostegno degli allievi di Platone (Callippo di Atene, Eudemo di Cipro,


Timonide di Leucade) e la connivenza di Atene e Corinto, Dione organizza una
spedizione contro Dionisio nella città dell’Istmo: attraversa il mar Ionio,
mancando capo Pachino in Sicilia per le condizioni atmosferiche, ma dopo varie
peripezie sbarcando ad Eraclea Minoa, fortezza sotto controllo cartaginese,
favorevoli ad un'impresa che indebolisca Siracusa.
Dopo una marcia attraverso Agrigento, Gela, Camarina, Dione entra
trionfalmente a Siracusa, dove Dionisio II si chiude entro le fortificazioni
dell'isola Ortigia; questi, dopo una serie di insuccessi in città, fugge a Locri,
lasciando Ortigia al figlio Apollocrate.
Nel campo degli avversari scoppiava intanto la discordia, e la parte popolare,
guidata da Eraclide, caccia Dione, che si rifugia a Leontini. Seguono nuovi
successi delle truppe di Dionisio, ma poi il richiamo a Siracusa di Dione, che
diventava strategòs autokrátor.
È l’inizio di una nuova tirannide, connotata da comportamenti autoritari o
violenti: Eraclide è assassinato, vengono confiscati i beni degli avversari politici
per pagare i mercenari, vero pilastro del nuovo potere politico.

In tal clima nasce la ribellione dell'accademico Callippo, che fece assassinare


Dione dai suoi mercenari nel 354, e assunse il potere, ma nel 353 fu spodestato
da Ipparino, figlio di Aristomache, e assassinato (351/350) da suoi ufficiali a
Reggio, che aveva nel frattempo strappato a Siracusa.
Nel 347/346 Dionisio ritorna a Siracusa, scacciando Ipparino e il fratellastro
Niseo, ma l'opposizione
trova sostegno nel siracusano Iceta, tiranno di Leontini. Dionisio, lasciando
Locri, dove aveva commesso abusi d'ogni sorta, espose alla vendetta i suoi
famigliari, in particolare le donne, violentate e massacrate.

9. La Macedonia dalle origini al regno di Filippo II


1. Le origini dei Macedoni e il loro rapporto con la grecità
Nel corso dei secoli il territorio macedone è stato sottoposto al flusso di svariati
popoli dalle regioni illiriche, epirotiche, dalla Tracia e dalla Frigia, e ciò ha
provocato una mistione etnica e culturale.
Si può dire che un fondo cospicuo di grecità è da riconoscere, e la tradizione lo
attesta con il modulo secondo cui la dinastia degli Argeadi è greca,
specificatamente argolica (quindi dorica), in
quanto il primo re dei macedoni (Perdicca, secondo la tradizione più antica,
Carano per quella successiva) discenderebbe da un ramo degli Eraclidi, quello
dei Temenidi (Temeno è il mitico bisnipote di Eracle, e fondatore dell'Argo
dorica).
Macedoni sono gli abitanti 'dei luoghi alti', quindi i montanari (nel nome vi è
riferimento all’altezza dei luoghi che abitavano): identificavano un popolo
dell'interno tenuto distinto dai Dori della Grecia centrale, ma anche sentito in
suggestivo contiguità con essi.

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2. I re di Macedonia fino ad Alessandro I


La dinastia macedone comincia ad assumere contorni storici solo a cominciareErodoto ci
da fornisce la lista
dei re all’incirca
Aminta I e da Alessandro I, detto il Filelleno: ciò corrisponde ai tempi della
storiografia dall’inizio del VII
greca, che nasce alla fine del VI secolo, ma raggiunge una forma compiuta secolo fino alla
solo
con prima metà del
Erodoto, a metà del V. V; questa è poi
Sono le spedizioni persiane, quella scitica di Dario I (513), e poi quella confermata
di Serse e
contro i continuata da
Greci (480), a interessare, anche solo marginalmente, la Macedonia e perciò Tucidide.
l’attenzione di Erodoto. Nel corso della spedizione Dario invia suoi uomini 1) Perdicca I
al re
di 2) Argeo
Macedonia, Aminta I, per ottenere il riconoscimento della sua sovranità 3) Filippo I
formale sulla 4) Aeropo
5) Alceta
Regione confinante con la Tracia; il figlio del re, Alessandro I, architetta una
strage 6) Aminta I
contro i nobili persiani presenti alla corte, ma il tutto viene sanato con un 7) Alessandr
matrimonio o I, il
'politico' di Gigea, sorella di Alessandro I, con Burare, nobile persiano. Il Filelleno
lunghissimo 8) Perdicca II
regno di Alessandro I (498-454) si segnala sotto l'aspetto culturale, politico,9) Archelao
militare, 10) Ores
economico: in termini culturali significa il riconoscimento definitivo, da partete
greca, 11) Aero
della grecità della dinastia regnante. L’occasione immediata del riconoscimento po II
dell’origine greca di Alessandro fu, secondo Erodoto, la sua partecipazione, 12) Paus
dapprima ania
contrastata dai concorrenti, alle gare di Olimpia. 13) Amin
ta II
14)
Sul piano politico, a parte le incertezze nei confronti della Persia e della causa Amin
nazionale greca – che fecero correre ad Alessandro I nel 480 il rischio d'essere ta III
tacciato di tradimento – il comportamento dopo Platea, e la ricusazione di15) fatto Arge
del o
rapporto di vassallaggio verso la Persia, segnarono l'inizio dell'ascesa della 16) Ales
Macedonia.
Questa si concretizzò in una spinta espansionistica, che si fece parzialmente
sentire
nella zona tra l'Axios e lo Strimone; lo sfruttamento delle miniere d'argento del
Dysoron comportò l'introito di un talento al giorno alla Macedonia, che iniziò
allora la
coniazione di una propria moneta.
Guardando all'area dello Strimone e del Pangeo, Alessandro interferiva negli
interessi
di Taso e di Atene: se con Taso poteva assolvere la funzione di protettore degli
interessi greci contro i Traci, con Atene rischiava lo scontro diretto, per cui la
Macedonia non era ancora matura. Forse Alessandro I riorganizzò l'esercito, con
la
creazione di un'armata di pezeteri, una fanteria che si affiancava alla cavalleria
degli

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eteri, probabilmente preesistente.


Liberazione progressiva dal vassallaggio verso la Persia e prima collocazione
culturale
e politica nel mondo greco possono considerarsi gli apporti principali del regno
di
Alessandro I.
3. Perdicca II tra Atene e Sparta
Perdicca II, figlio di Alessandro I, dovette dividere per alcuni anni il potere con il
fratello Filippo, e regnò da solo dal 437 al 414/413. Egli si segnala per un più
attivo inserimento della Macedonia nello scontro di potere interno al mondo
greco, che ha i suoi poli in Atene e Sparta.
In tale clima il sovrano si comporta con un'abile altalena e un furbesco
barcamenarsi tra i duellanti. Si capisce tuttavia che il vero problema macedone
è Atene; l’altalena di Perdicca II è tra l'accettazione dell'egemonia di una città,
il cui ruolo culturale è vitale per la Macedonia, e il rifiuto di forme di dominio
che contrastino troppo direttamente con gli interessi di questa e dei suoi vicini.

Tra golfo Termaico e Calcidica si gioca tale difficile partita. Mentre la fondazione
di Anfipoli alla foce dello Strimone da parte ateniese nel 437/436 avviene senza
ostilità (e forse con il favore) della Macedonia, quest’ultima sostiene a
ripetizione la ribellione della Calcidica alle pretese egemoniche di Atene, che
incluse nella Lega navale e nel suo sistema tributario vari centri della regione:
dietro la ribellione di Potidea e dietro la costituzione del nuovo stato dei
Chalkideîs, centrato su Olinto, nel 432, c'è la mano di Perdicca II. È
comprensibile che Atene scateni contro la Macedonia un'invasione di Traci
Odrisi sotto Sitalce, nel 429, che tuttavia si concluderà con un matrimonio tra
Stratonice, sorella di Perdicca II, e Seute, nipote di Sitalce.
Verso le città della Calcidica Perdicca pratica una politica di 'buon vicinato':
Olinto viene potenziata con il sinecismo nel 432 [sinecismo: concentramento in
un’unica città della popolazione prima sparsa in borgate e campagne], e la
Calcidica in generale svolge il ruolo di intermediaria del commercio delle
materie prime macedoni (legname, pece) verso il mondo greco.

Perdicca II beneficia dell'aiuto spartano al momento della spedizione tracia di


Brasida (424-422), sia nei suoi tentativi di assoggettare la Macedonia intera, sia
per contrastare la presenza di Atene nell'Egeo settentrionale, e in particolare
ad Anfipoli, che dopo il 424 non tornò più ad Atene, nonostante gli impegni
presi dagli spartani nella pace di Nicia (421).

4. La politica macedone da Archelao a Perdicca III (413-360/359)


Archelao è figlio di Perdicca II, il suo regno durò solo 14 anni (414/413-399): fu
ucciso da Krateuas, un suo favorito. Segue un periodo di convulse lotte
dinastiche, che vedono passare il potere da un ramo ad un altro della dinastia
degli Argeadi (Aminta III non è figlio di Archelao, ma di Arrideo, un discendente
di Alessandro I).
Il regno di Archelao è fondamentale per la crescita culturale della Macedonia, il
che significa una crescente ellenizzazione: alla sua corte giungono poeti
ateniesi (Agatone, Cherilo ed Euripide, che ivi compose le Baccanti, l'Archelao e
i Temenidi), qui Euripide, secondo la tradizione, avrebbe trovato la morte
perché sbranato dai cani molossi di Archelao.

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Secondo Tucidide, Archelao dotò di strade diritte e di fortini il regno, e


organizzò meglio il territorio, così come la fanteria e la cavalleria.
In politica estera, Archelao interferì nelle cose di Tessaglia, verso cui la
Macedonia assume sempre più un ruolo protettivo, in favore dell'aristocrazia
degli Alevadi di Larissa, mentre tende a trasformare gli interventi protettivi in
forme di più stabile presenza.

Aminta III dové affrontare seri problemi. La Macedonia conobbe una vera
grande crisi, risultante dall'assassinio di Archelao e dalle convulse lotte
dinastiche seguenti: salì al potere dopo un
decennio di caos seguito alla morte di Archelao.
Egli dovette fronteggiare una Lega calcidica diventata ostile e intraprendente
verso la Macedonia, al punto di occupare, seppur temporaneamente, Pella.
Aminta III chiese aiuto a Sparta, che debellò e sciolse la Lega calcidica dopo
una guerra di tre anni. La Lega calcidica presto si ricostituì e riprese i buoni
rapporti con la Macedonia; d’altra parte, Aminta III aderì, circa il 375, alla Lega
navale ateniese, come fece anche Giasone di Tessaglia: a una rinnovata
egemonia ateniese si accompagna un'egemonia tessalica nella Grecia centrale
e un sostanziale accordarsi della Macedonia.
Nel suo regno si coglie l'intera parabola della crisi, fino al suo superamento.
Alla morte di Aminta III si hanno nuove lotte dinastiche (370-365), che vedono
al loro inizio e alla loro fine la presenza sul trono dei suoi figli.

Nell'anno 370/369 regna Alessandro II, che interviene negli affari di Tessaglia,
ma è assassinato dal cognato Tolemeo nativo di Aloro e amante di Euridice,
madre di Alessandro II.

Tolemeo assume la reggenza per Perdicca III, fratello di Alessandro II: periodo in
cui l'egemonia tebana si sente anche in Macedonia. Interviene a sostegno di
Alessandro II il tebano Pelopida, che aiutò poi Tolemeo. Gli Ateniesi, che non
potevano stare a guardare, agiscono con le campagne di Timoteo nella
Calcidica e sulla costa macedone. Dal 364 Metone è di Atene, la quale sostiene,
nelle lotte dinastiche, Perdicca III, figlio di Aminta III: egli, dopo essere stato
aiutato, contesta i diritti ateniesi su Anfipoli, installandovi una guarnigione nel
360, ma nel 359 muore in una spedizione.

5. Stato territoriale e «póleis» nell'età di Filippo II


A Perdicca III succede, dapprima come reggente per il nipote minorenne
(Aminta IV), Filippo II, con cui la Macedonia comincia una grande ascesa
storica, che farà del paese uno degli imperi universali
succedutisi nella storia delle regioni mediterranee.

La storia dei i rapporti fra Filippo II, la Macedonia e la Grecia ha subìto negli
ultimi decenni una radicale revisione rispetto alle impostazioni ottocentesche
del problema.
La cultura tedesca dell’ ‘800 proponeva un’interpretazione nazionalistica dello
scontro tra Macedonia e Grecia al tempo di Filippo II e Demostene: la questione
è stata interpretata alla luce delle vicende della Germania del XIX secolo,
quando la Prussia, con la quale Beloch paragonava la Macedonia, svolse
davvero la funzione di stato promotore dell’unità tedesca.

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La Macedonia non si pose il problema di un'unificazione politica, indifferenziata


e centralizzata, del restante mondo greco intorno ad essa; così come neanche il
mondo delle città greche riuscì realmente a produrre un’idea di unità nazionale,
ma al massimo un programma panellenico, che di fatto non andava oltre uno
scema politico associativo e confederativo di stati autonomi, stretti intorno
all’egemonia di uno di essi. Infatti, seppur le ricerche linguistiche attestano il
forte fondo greco della lingua e della cultura macedone, difficilmente essa può
rappresentarsi nei termini di una compattezza etnica, che non lasci spazio
all'eterogeneità e alla fusione culturale.

Occorrerà tenere presente che la politica egemonica di Filippo II presenta


moduli diversi di politica estera e di forme di predominio, in base alle diverse
aree e delle diverse regioni a cui è destinata:
o nell'area macedone e trace, e in generale nell'Egeo settentrionale, si
perseguì un politica di espansione e annessione territoriale, di
unificazione territoriale secondo principi di continuità e compattezza di
dominio;
o nelle restanti regioni si perseguirono moduli che ricalcano le tradizioni
delle diverse regioni.
In Tessaglia Filippo assunse la carica di tago, cioè il ruolo di 'generalissimo',
investito di ampi poteri non solo militari ma finanziari nelle varie città
tessaliche: non si tratta di “unione personale” tra Macedonia e Tessaglia,
perché una tale formula si riserva alla situazione in cui sulla stessa testa si
concentrano due corone, tuttavia in Tessaglia Filippo ereditava per sé
possibilità egemoniche.
A sud delle Termopile, dove incomincia il vero vivaio delle città greche, la
politica di Filippo non poteva che essere di egemonia, cioè di controllo
dall'esterno, dapprima con l'utilizzazione di organismi panellenici preesistenti
(come l'Anfizionia delfica) e poi - quando questi non bastavano più, perché ad
essi non si lasciava raccordare la politica di Atene o di altre città – con la
creazione di nuove forme associative e federative, improntate al principio
dell'autonomia.
Quel che risultò dalla battaglia di Cheronea (338) non fu la morte della
democrazia greca in assoluto – anzi questa, in forme attenuate, conobbe la
maggiore diffusione nel mondo greco proprio dal IV secolo – e neanche della
libertà greca, ma fu la premessa a una situazione nuova, nella quale il mondo
delle città greche si confrontò con una nuova realtà, quella degli stati territoriali
ellenistici a vertice monarchico. Naturalmente l'accentramento dei fattori di
potenza di tipo militare, economico, demografico nei regni territoriali ellenistici
fu un formidabile strumento di condizionamento per le 'libere' città greche.
È giusto considerare due aspetti della questione:
1) l'impero sulle regioni asiatiche fu quel che la propaganda panellenica
greca, di impronta antipersiana, vagheggiava da mezzo secolo: il sogno
greco di fatto fu realizzato da Alessandro, che diede vita a stati a
dirigenza greco-macedone e a popolazione mista, in parte greco-
macedone, in larga parte indigene;
2) ciò in qualche modo si ritorceva contro i greci stessi: anche a non tener
conto delle azioni ostili dirette da singoli sovrani ellenistici contro città
greche, il solo fatto che nel mondo greco, esistessero realtà territoriali,
militari, economiche, politiche di tanto più forti e imponenti delle stesse

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città greche, era di per sé un fattore di condizionamento e di sgomento


per i Greci.
È innegabile che sul piano formale il rapporto fu di autonomia, ma sul piano
sostanziale, esso cambiò a seconda degli uomini, dei tempi, delle condizioni.

I primi anni del regno di Filippo II sono contrassegnati da azioni dapprima


diplomatiche, poi sempre più militari, rivolte a contenere e successivamente a
respingere la pressione degli Illirii, dei Peoni, dei Traci sui confini. Nella fase
successiva (dal 357) si pongono le premesse dello scontro con Atene: in un
trattato stipulato segretamente con Atene, Filippo II si era dimostrato
disponibile a conquistare, per Atene, Anfipoli e a consegnargliela in cambio di
Pidna, ma nel 357 Filippo II procede all’annessione di Anfipoli: inizia così una
serie di conquiste nell'ambito dei possedimenti o delle località d'influenza
ateniese nell'area traco-macedone (Pidna e Potidea nel 356; Metone nel 354) e
viene di fatto inaugurata la politica dell'unificazione territoriale della Macedonia
e delle contigue aree, in un momento di grave crisi per Atene.

6. La guerra sociale della nuova Lega navale attica (357-355)


La presa di Anfipoli, con cui si indica l'inizio della politica di provocazione di
Filippo II, si colloca nel periodo in cui la Lega navale ateniese subisce una prima
grave crisi, a seguito della ribellione delle città alleate di Chio, Rodi, Cos, cui
presto si aggiunge Bisanzio, per sollecitazione del satrapo di Caria Maussollo
(guerra sociale); Atene reagisce inviando una flotta al comando di Carete e
un'altra al comando di Cabria, ma nell'attacco contro il porto dell'isola ribelle di
Chio (357), quest'ultimo muore. Gli alleati ribelli mettono sotto pressione Samo.
Nel 356 vi è un nuovo tentativo ateniese nei confronti di Chio (356): in un
giorno di pioggia i generali ateniesi Ificrate e Timoteo non volevano attaccare,
ma Carete prese da solo l'iniziativa, subendo gravi perdite presso Embata.
Carete accusò i suoi due colleghi di non aver collaborato, e si rinnovò lo spirito
delle Arginuse: Timoteo fu condannato al pagamento di cento talenti e perciò si
recò esule a Calcide, Ificrate, benché assolto, non riottenne la carica.
Carete ebbe così il comando generale della flotta, e la sua azione più clamorosa
fu l’intervento nella rivolta guidata dal satrapo della Frigia ellespontica,
Artabazo, contro il re persiano: vi è un primo intervento in Asia minore, ma, in
seguito alla reazione decisa del re di Persia, si verifica un
cambiamento di fronte e di politica di Atene, che per il momento conclude
l'avventura persiana.
Carete, per i buoni uffici nella stipula della pace con il re, ottenne un dominio al
Sigeo (355).
Atene, anche a causa del ripiegamento in Asia, non poteva più contare su un
recupero degli alleati: la Lega era privata di Chio, Cos, Rodi, di città dell'isola di
Lesbo, nel mar Ionio, e di Corcira; la confederazione si limitava alle Cicladi,
all'Eubea e al settore dell'Egeo settentrionale, ma si trattava pur sempre di un
organismo che ancora sussisteva.

7. La terza guerra sacra (356-346) e la guerra di Olinto (349/348)


Un po' dopo la guerra sociale, si era aperta la III guerra sacra, che si svolge
intorno al santuario di Delfi e alle sue ricchezze; in termini politici, essa nasce
come tentativo di Tebe di assicurare la continuità della sua egemonia, di fatto
compromessa dalla battaglia di Mantinea del 362. I prodromi della guerra sacra
risultano dal desiderio di rivalsa dei Beoti nei confronti dei Focesi e degli

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Spartani, a cui vengono inflitte multe altissime, da versare al santuario delfico,


per responsabilità d'ordine diverso: agli Spartani viene imputato di aver
occupato la Cadmea nel 382, ai Focesi di aver coltivato la terra sacra di Cirra.
La multa troppo alta, tra l’altro per un territorio che i Focesi affermavano essere
di assai ridotte dimensioni, suscita la ribellione di questi: Filomelo occupa il
santuario, sostenendone l'originaria appartenenza ai focesi e in un primo
momento limitandosi a riscuotere contributi dai cittadini della città di Delfi,
astenendosi dalle ricchezze del santuario.
I Locresi reagiscono immediatamente, con una battaglia presso Delfi, a cui
risponde un’irruzione dei Focesi in territorio locrese. Tebe in un primo momento
sembra limitarsi ad una protesta formale.
Filomelo si attiene a una posizione di legittimità, inviando ambasciatori ad
Atene, Sparta, Tebe, e da un lato vantando i diritti dei Focesi, dall'altro
ostentando correttezza di comportamento verso il santuario e i Greci che su di
esso esercitavano la loro tutela.
Ma i Beoti non si lasciano sottrarre la funzione di tutori del santuario, che
apparteneva loro come autorevoli membri dell'Anfizionia: inviarono
ambasciatori ai Tessali e agli altri Anfizioni, invitandoli a prendere le armi contro
i Focesi.

La guerra è sacra poiché proclamata dagli Anfizioni contro i Focesi.


Segue una spaccatura nel mondo greco:
 per il santuario, e contro i Focesi, si schierano Beoti, Locresi, Tessali con i
loro perieci;
 con i Focesi vanno Ateniesi, Spartani e alcuni altri peloponnesiaci.

Nel 354 i Tessali irrompono nella Locride e combattono contro i Focesi presso il
colle Argola, ma sono sconfitti. L'intervento dei Beoti raddrizza
progressivamente la situazione, fino alla sconfitta di Filomelo nella battaglia di
Neon (354), dove egli si toglie la vita.
Filomelo è sostituito da Onomarco, al quale si collegano il maggiore
sfruttamento delle ricchezze del santuario da parte dei Focesi e un impegno
militare, e persino diplomatico, più deciso, reso possibile dall'uso di denari
provenienti dalle ricchezze sacre. Egli corrompe i Tessali, che sono esclusi dalla
guerra anfizionica; conquista posizioni in Locride (Tronio) e in Beozia
(Orcomeno).
Successivamente i Tessali chiedono a Filippo II di sostenerli contro il tiranno
Licofronte di Fere: nel 354 Filippo II interviene una prima volta. Con il tiranno di
Fere si schierano i Focesi.
In due scontri Filippo II, seguito dai Tessali, che forse già lo riconoscono tago, è
sconfitto da Onomarco. Il 353 è l'anno più critico dell'ascesa politica di Filippo II
e della sua espansione.
Nel 352 Filippo II rientra per attaccare Licofrone di Fere, il quale, con l'aiuto dei
Focesi, forma un
esercito considerevole. Filippo II induce i Tessali ad associarsi a lui.
Nello scontro ai campi di Croco, sul golfo di Volo, Filippo II consegue una
straordinaria vittoria, che
riduce di molto l'esercito nemico e vede la morte di Licofrone, cui segue
l'impiccagione di Onomarco già morto e l’annegamento degli altri come
profanatori del tempio delfico.

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Nel 352 Filippo ha ormai una posizione preminente, e di tutta legittimità, nel
conflitto greco.

Filippo cerca ora di forzare il passaggio delle Termopile, ma qui lo bloccano gli
ateniesi, insieme con Spartani e Achei, venuti in soccorso dei Focesi. Filippo
rinuncia all'attraversamento del passo, oltre il quale gli si sarebbe aperto il
campo vasto e complesso dei rapporti diretti con il mondo delle póleis).

Nel 351 guarda verso l'Egeo settentrionale, precisamente verso la regione


tracica, ancora controllata nei suoi lembi estremi da Atene.
Tra il 349 e 348 vi è la guerra tra Filippo II e Olinto, cioè con la Lega calcidica,
alla quale, ancora nel 356, Filippo aveva attribuito il territorio di Potidea: una
provocazione dall'ambiente calcidico (sostegno di un pretendente al trono
rivale a Filippo) fu l'occasione per lo scontro, nonché per la precisazione del
ruolo politico di Demostene quale antagonista di Filippo II.
Vi furono tre interventi ateniesi a sostegno di Olinto, guidati da Carete,
Caridemo e di nuovo Carete, e con un sempre maggiore impegno di Atene sul
terreno dell'utilizzazione di forze oplitiche cittadine, da schierare accanto ai
mercenari: i primi due furono inefficaci, il terzo tardivo, poiché quando la
spedizione giunse la città era già caduta, e Filippo ne volle la distruzione.

Nel 347, logorati dal confronto con i Focesi, i Beoti chiedono l'aiuto di Filippo II:
egli invia pochi soldati, per non favorire troppo i Beoti (forse egli non voleva
ancora un coinvolgimento diretto nelle questioni del mondo greco a sud del
passo). Nel 346 i Focesi accusano notevole stanchezza e Filippo riesce a
domarli, smilitarizzando poi le città e consentendo la partenza delle forze
mercenarie, comandate dall'ultimo capo focese, Faleco.
Ma la resa focese si ebbe solo dopo che si raggiunse un accordo tra Macedoni,
Ateniesi e gli altri Greci, con la pace di Filocrate: gli Ateniesi inviarono due
ambascerie, una a trattare, l'altra a scambiare giuramenti con Filippo II, e
ricevettero, nell'intervallo fra queste, la controambasceria macedone,
incaricata di ottenere il giuramento degli Ateniesi, a convalida di un testo di
pace che escludeva i Focesi e la ftiotica Alo. Dalla seconda ambasceria ateniese
fu fatta valere l'esigenza di rinunciare almeno alla formale esclusione dei
Focesi, il che fu accettato da Filippo II, il quale però non si impegnò a rinunciare
all'intervento in Focide, che avvenne presto; la conseguenza fu la piena
legittimazione del re nel quadro dello strumento panellenico per eccellenza,
cioè il sinedrio anfizionico, nel quale i due voti dei Focesi passavano ormai a
Filippo II.

Filippo II interviene nel mondo delle città greche nella posizione e forma più
legittima possibile, e addirittura prefigurava, rispetto all'Anfizionia delfica, la
posizione di capo militare (heghemón) che
perfezionerà dopo la battaglia di Cheronea, con la creazione della Lega di
Corinto; a Filippo II fu anche attribuita la molto onorifica presidenza dei giochi
pitici.
Il rapporto tra Filippo II e Atene è di notevole complessità:
Vocazione reciproca all'intesa tra Filippo II e alcuni circoli ateniesi: p. es. tra la
pace di Filocrate e la
resa dei Focesi si colloca (346) il Filippo, importante pamphlet di Isocrate, che
per Filippo vagheggia

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il triplice ruolo di benefattore dei Greci, re dei Macedoni e signore dei barbari.

8. La strategia politica di Filippo II verso Atene e Tebe (346-336)


Dal 346 Filippo II entra nella politica dei territori oltre il passo delle Termopili;
sono le regioni più settentrionali a venire in questione:
 nel 344 Filippo II riorganizza la Tessaglia in quattro tetrarchie, e potrebbe
aver posto a capo di esse un gruppo di dieci uomini;
 nel 343 stipula un patto d'accordo con l'impero persiano;
 rivolge attenzione alla Tracia orientale (sottoposta al re Cersoblepte) e
all'area degli Stretti;
Tramite Ermia signore di Atarneo, padre adottivo della moglie del filosofo
Aristotele, Filippo II lavora per crearsi punto d'appoggio in Anatolia, per una
campagna contro la Persia.

Nell'area delle póleis, in Eubea e nel Peloponneso, Filippo II dispiega un'attività


di tipo politico:
o in Eubea favorisce le tirannidi;
o nel Peloponneso ricalca la vecchia politica tebana d'intesa con gli stati
avversi a Sparta.
L’atteggiamento panellenico di Filippo II trova, nel Peloponneso, storici ostacoli:
ivi non può non scegliere fra le diverse città e i diversi éthne, e la scelta è nello
scontro con Sparta.
Verso Atene Filippo sembra aver adottato una politica di 'guerra limitata',
limitata alle aree di diretta frizione tra Macedonia e Atene, lontane dall'Attica,
che il re sentiva come appartenenti alla
sfera d'interesse macedone:
o tentativo di espugnare Perinto, che oppone resistenza, forte del sostegno
di Bisanzio e del satrapo persiano dell'Ellesponto, Arsite;
o tentativo d'espugnare Bisanzio: tutto si svolge nella zona del Mar di
Marmara e del Bosforo;
Filippo giunse addirittura a catturare nel Bosforo una flotta ateniese per il
trasporto del grano. Demostene considerò (340) rotto il trattato della pace di
Filocrate, ma Filippo non riconosce la condizione di guerra, continuando a
sentirsi in tale stato soltanto in regioni molto lontane dalla Grecia centrale e da
Atene.
A sud delle Termopile il problema, per un Filippo II che voleva tutta la Grecia
dietro sé (a parte Sparta, caso d'ostilità insanabile), era quello di una scelta tra
Tebe e Atene, in considerazione dei
conflitti che da sempre le dividevano: Filippo perseguiva di preferenza un
disegno panellenico, volto a non scegliere tra gli interessi opposti di tali città (e
quindi a vederle allineate al suo fianco); ma, in quanto realista, conosceva
l'ostilità ateniese verso Tebe, e quando avesse dovuto fare una scelta,
l'avrebbe fatta in favore di Atene.
Per Demostene contrastare Filippo II significava da un lato operare in modo che
Filippo non scegliesse in favore di Tebe, dall'altro avere Tebe al fianco di Atene
nell'opposizione comune ad egli.
Vi erano politici, come Eschilo, favorevoli alla causa macedone, che
perseguivano una politica di più
stretta intesa tra Atene e Filippo II, e di scontro con Tebe.

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La quarta guerra sacra (339-338), che condusse alla battaglia di Cheronea tra
Macedoni e la Lega costituita da Demostene, mostra come Filippo, fino
all'ultimo, perseguisse il fine d'avere Atene legata alla sua posizione
egemonica, già garantita dal suo ingresso nell'Anfizionia delfica, senza
arrivare a uno scontro cruento. La politica di Filippo non aveva bisogna della
battaglia di Cheronea.
I Locresi di Anfissa – che nel gioco diplomatico tra Filippo II e Atene sono le
vittime designate - muovono ad Atene l'accusa di aver offerto scudi votivi nel
santuario delfico, non ancora riconsacrato, dopo le violazioni focesi della terza
guerra sacra. Atene, per bocca di Eschine, accusa i Locresi di Anfissa d'aver
coltivato terra sacra: di qui la necessità della guerra anfizionica (i Focesi sono
fuori gioco).

L'accusa di Eschine doveva servire al disegno di Filippo, che mirava ad avere


dalla sua Atene in una guerra sacra contro i Locresi di Anfissa. I rapporti tra
Beoti e Locresi erano molto stretti, e quindi l'azione anfizionica contro i Locresi
non doveva trovare il consenso di Tebe: ma era ciò che Filippo sperava, e che
avrebbe delineato la costellazione politica in cui Atene è l'alleata di un Filippo II
riconosciuto egemone, che si trascinava nella guerra sacra, obtorto collo, pure
la riluttante Tebe.
Il piano era stare in guerra con Atene contro Tebe e, una volta sconfitta
quest’ultima, costringerla ad un’alleanza politica che vedeva la Macedonia,
egemone, Atene, in posizione dominante, e Tebe.
Il capolavoro politico di Demostene fu quello di rovesciare le aspettative di
Filippo, allineando su
un’ identica posizione ostile Tebe e Atene: il suo compito non era facile, poiché
la cittadinanza di Atene aveva forti risentimenti verso i Beoti, ma dato che la
propaganda filomacedone di tipo eschineo enfatizzava l'ostilità di Filippo per
Tebe, Demostene – che in futuro aveva pur bisogno dell'aiuto beotico - doveva
da un lato premere sul pedale dell'ostilità popolare contro Tebe, mettendo sotto
accusa Filippo II per non essere tanto antitebano quanto dichiarava, dall'altro
fare in modo che Filippo II non desse mai seguito ai conclamati propositi
antitebani.
L’alleanza con Tebe contro la Macedonia nel 339 fu solo il coronamento del
lungo sforzo di Demostene nell'organizzare un coerente campo di resistenza
greca all'azione di Filippo II.

Nel 343 la politica di Filippo II e quella di Demostene si fronteggiano nel


Peloponneso.
Filippo II sfrutta le ambiguità della politica ateniese tra Sparta, da un lato, e la
Messenia e Megalopoli, dall'altro, per guadagnarsi la simpatia di città
minacciate da un ritorno di ambizioni egemoniche di Sparta. Sempre sul
terreno politico-diplomatico si collocano, da un lato, i duri interventi di
Demostene contro l'offerta d'una revisione della pace del 346, portata da
Pitone di Bisanzio, rappresentante di Filippo (344-343), dall'altro il sostegno di
Filippo all'oligarchia di Elide.

In Eubea vi è un conflitto militare: ad Eretria truppe macedoni rovesciano il


governo democratico, sostituendolo con un regime oligarchico sotto la guida di
Clitarco; analogamente si installa ad Oreo, con l'aiuto macedone, la tirannide di
Filistide.

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Nel 349 Atene non era riuscita a venire a capo della rivolta: solo Caristo, nel
sud dell’isola le era rimasta fedele. Nel 343, in Eubea, la politica di Filippo II
relativa alla prassi di non fare avventato ricorso all'uso della forza e ad azioni
militari nella Grecia a sud delle Termopile, cambia: in Eubea, da molto tempo,
la crisi dei regimi democratici e la propensione al ricorso a regimi tirannici
avevano costituito un campo di richiamo per interventi di forza dall'esterno.
Filippo voleva servirsi dell'Eubea come base di pressione politica sull'Attica, e
potrebbe anche aver considerato l'eventualità – a lui sgradita – di svolgere da lì
un'azione militare diretta contro Atene.
A Megara poi un tentativo d'intervento di Filippo II è bloccato dall'ateniese
Focione.

Nel 343/342 Demostene cerca di regolare alcuni conti politici:


o Filocrate, accusato di alto tradimento, va in esilio ed è condannato a
morte in contumacia;
o Eschine, un osso più duro, fu attaccato, con insuccesso, da Demostene,
che compose l'orazione Sulla falsa ambasceria (in opposizione ad
un'orazione di Eschine sullo stesso tema), per dimostrare la corruzione di
Eschine ad opera di Filippo II: nelle orazioni demosteniche sempre più si
accende quella passione che traduce la questione politica in questione
morale, e trasforma gli avversari politici in squallidi e corrotti traditori.

Negli ultimi anni prima di Cheronea lo scontro fra Atene e la Macedonia assume
sempre più i contorni di un conflitto personale di dimensioni titaniche: sono
all'opera due intelligenze politiche di
prima grandezza, che raccolgono e interpretano eredità storiche, condizioni,
istanze che vanno oltre le passioni personali, e che appaiono soprattutto
impegnate nella costruzione di sistemi di alleanze contrapposte, intese a
raccogliere il massimo di 'grecità' possibile, con il massimo di coerenza
territoriale.
Nel 340 Demostene riesce a stringere intorno ad Atene l'Eubea, assieme a
Megara, Corinto con le colonie di Leucade e di Ambracia sul mar Ionio, Corcira
e, fra le regioni che si affacciavano sul golfo di Patre e Corinto, l'Acaia e
l'Acarnania.
Filippo II sostituisce, nel 342, sul trono dell'Epiro, Aribba col cognato Alessandro
il Molosso, suo
fedelissimo; riesce a fronteggiare le crociate diplomatiche di Demostene nel
Peloponneso, del 342 e
del 341, che avevano fruttato ad Atene alleanze con Argo, Megalopoli e
Messene, ma destinate a
rimanere ininfluenti nel conflitto, in virtù di precedenti legami con il re
macedone da parte di esse.
Filippo II poteva giocare la carta della sua stabile e autorevole presenza
nell'Anfizionia, a cui si accompagna il controllo di fatto della Tessaglia e
dintorni, e una vasta possibilità d'azione politica verso le regioni della Grecia
centrale: la debellata Focide, le due Locridi, e soprattutto la Beozia,
violentemente contesa fra i due rivali.
A nord dell'Egeo la capacità d'avanzata di Filippo, provata fino all'Ebro,
stentava a confermarsi per la regione a est del fiume e per il Chersoneso
tracico, dalla cui basi l'ateniese Diopite del Sunio si poteva persino permettere
di attaccare Cardia, città alleata di Filippo II, sull'istmo del Chersoneso, e contro

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i possedimenti macedoni in Tracia (341), suscitando inutili proteste da parte


macedone.
Per Filippo II, nel 340, dopo i fallimenti delle campagne di Perinto e Bisanzio, si
era creata una sorta di stallo: difficile avanzare nella zona degli Stretti, difficile
consolidare alleanze e possedimenti nel Peloponneso, nell'area del golfo
Corinzio, in Eubea; l’unico strumento che poteva attivare era l'Anfizionia e il
suo ruolo in tal sede, e così fece, con un gioco politico sottile e penetrante che
spinse fino alla dichiarazione della guerra sacra contro i Locresi di Anfissa
(339/338).

Una prima spedizione, condotta da un esercito anfizionico, non ottenne il


pagamento della multa da parte degli Anfissei (339). Filippo, appena tornato
dalla campagna contro gli sciti (durante la quale aveva sposato Meda, figlia del
re dei Geti, Cotela -> Geti è una popolazione della Dacia), intervenne con
rapidità: da Eraclea Trachinia raggiunse la Doride e quindi Elatea nella Focide.
La notizia porta sgomento ad Atene, che si riteneva in stato di guerra con
Filippo II.
Correre ai ripari significava per gli ateniesi anteporre tra sé e Filippo la
resistenza di una Beozia alleata, ma Filippo cercava un’intesa politica con Tebe,
facendo balenare concessioni, in cambio dell'alleanza militare contro Atene o
del permesso d'attraversare il territorio.
Tuttavia le pressioni delle ambascerie ateniesi ebbero la meglio, grazie ad
eccezionali concessioni: Atene dovette cedere a Tebe il comando delle
operazioni di terra e metà di quelle di mare e questa avrebbe provveduto solo
per un terzo alle spese di guerra.

Mentre l'esercito ateniese si sposta in Beozia, e poi con i Tebani in Focide, un


esercito mercenario al comando di Carete infligge due sconfitte ai macedoni
presso il Cefiso, non lontano da Anfissa.
Nel 338 Filippo sconfigge duramente Carete (e il tebano Prosseno), e attacca
Anfissa, che si arrende, abbatte le mura e manda in esilio i responsabili. Filippo
occupa Delfi, e poi Naupatto, quindi ritorna in Focide, costringendo i nemici a
ritirarsi in Beozia, a Cheronea.

Il 7 Metagheitnione (2 agosto? 1 settembre?) del 338 vi è l'epocale battaglia di


Cheronea; tra le alture di Cheronea e il Cefiso si disponevano gli alleati: a
destra Beoti, al centro Corinzi, Achei, a sinistra Ateniesi. I Macedoni attaccano
da sinistra la destra nemica: si riprende la 'tattica obliqua' di Leuttra, forse per
il fine di togliere alla battaglia il significato di uno scontro frontale con Atene.
Sulla sinistra il figlio di Filippo II, Alessandro, travolge il “battaglione sacro”
tebano; sulla destra Filippo II fronteggia gli Ateniesi, poi si ritira su terreni più
alti presso il Cefiso, fino al momento che il centro dei nemici confederati si
allarga e scompone, e così il contrattacco macedone accerchia gli Ateniesi.
Filippo II fece un accortissimo uso politico della vittoria: la guerra era per lui
'politica continuata con altri mezzi'):
1. Tebe dovette:
- accogliere una guarnigione macedone sulla Cadmea;
- consentire la rinascita di Platea e Orcomeno;
- richiamare gli esuli e condannare gli avversare di Filippo II.
Ad Atene ci si dispone a un’ultima difesa, anche se Filippo mostrò di non aver
mai progettato un attacco militare verso di essa: chiamarono alle armi i

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cittadini d'età fino ai 60 anni, veniva promessa la libertà agli schiavi e la


cittadinanza agli stranieri che combattessero per Atene, era previsto il ritorno
degli esuli. Ma rapidamente il partito pacifista, con a testa Focione ed Eschine,
riprese in mano la situazione, e a ciò si aggiunsero i buoni uffici dell'oratore
Demade, uno dei 2.000 Ateniesi
prigionieri dei Macedoni. Si arrivò all'accordo:

2. Atene dovette:
- cedere alla Macedonia il Chersoneso tracico, ma otteneva la Oropo (a
nord di Atene), sempre contesa ai Tebani;
- sciogliere la Lega navale e aderiva alla Lega panellenica, che Filippo II
si accingeva a fondare;
- Atene riotteneva i prigionieri di Cheronea senza pagare un riscatto;
- Filippo II si impegnava a non varcare con l'esercito i confini dell'Attica;
- a Filippo II fu eretta una statua nell'agorà di Atene, ad Alessandro, che
riportava in città i resti dei caduti ateniesi, fu concessa la cittadinanza.

Alla vittoria si confermano tutti i caratteri fondamentali della politica estera di


Filippo II, in particolare quella verso Atene: intransigente costruzione di un
coerente dominio territoriale nel nord (in Macedonia e Tracia); buona
disposizione verso Atene – che equivale a riconoscerle l'insostituibile ruolo
politico e culturale -, in particolare nei confronto con Tebe; tenace volontà di
non distruggere Atene, ma di aggregarla al proprio disegno panellenico.
Espressione dell’egemonia macedone erano le guarnigioni installate subito nei
punti-chiave per il controllo della Grecia (Calcide, Acrocorinto, Ambracia).

Nel 338 Filippo II entra con un esercito nel Peloponneso, invade e devasta la
Laconia lungo il corso dell'Eurota e fino a Gizio, pur senza entrare in Sparta.
Argivi, Arcadi, Messenii si schierano dalla parte macedone ( e in Arcadia
Mantinea si riuniva alla lega con capitale Megalopoli); i confini della Laconia
vengono ritoccati a favore di Argo (per la Cinuria e la costa fino a Zarax), della
Messenia (per la Denteliatide), dell'Arcadia (per la Sciritide).

Seguì il congresso di tutti 'i Greci a sud delle Termopile' (338/337), cui rimase
estranea Sparta:
 proclamata la pace generale (koiné eiréne) e l’autonomia di tutti gli stati
greci: non vi dovevano essere mutamenti violenti né nei regimi né nei
rapporti di proprietà;
 viene creato un consiglio comune di tutti i Greci (koinòn synhédrion) con
sede a Corinto;
 in caso di guerra il comando generale per terra e mare sarebbe spettato
a Filippo;
 il greco che prestasse servizio presso potenza straniera (Persia) era
traditore

Poco dopo Filippo II sposa Cleopatra (Euridice), giovane della più alta nobiltà
macedone, che gli darà un figlio: fu la grande passione della sua vita.
Olimpiade si sentì ripudiata e andò in Epiro, Alessandro si chiuse nel rancore.

Tutto adesso era pronto – politicamente, socialmente, militarmente- per lo


scontro con la Persia:

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Filippo II inviò un'avanguardia sul territorio asiatico, ma nel 336 venne


assassinato da Pausania, suo ex-favorito, nel teatro di Ege durante le nozze di
sua figlia Cleopatra con Alessandro il Molosso.
È la cesura netta tra l'opera del padre, il politico, che fondeva l'iniziativa
militare con l'abile tessitura politica, e che alla fine riuscì a legare la Grecia al
suo carro, lasciando in vita tanta parte delle condizioni preesistenti, e quella del
figlio, il conquistatore fulmineo di spazi immensi.
10. Alessandro il Grande e le origini dell'Ellenismo
1. L'eredità di Filippo II
Nel 337 la symmachía greca, riunita a Corinto, aveva eletto Filippo II generale
con pieni poteri per la guerra contro i Persiani: la richiesta era che i Persiani
lasciassero libere le città greche d'Asia. A richiesta respinta, un'avanguardia di
10.000 uomini, comandata da Parmenione e dal genero Attalo (zio di
Cleopatra), varcò l'Ellesponto nel 336, costituendo una testa di ponte in
territorio asiatico.
In Persia Dario III di fronte all'iniziativa macedone, ebbe una reazione pressoché
nulla; gli stessi satrapi delle regioni occidentali dell'Asia minore erano in
rassegnata attesa.

Alessandro, dopo la morte del padre, eliminò il cugino Aminta IV, figlio di
Perdicca II, a suo tempo spodestato da Filippo II ma da questo umanamente
conservato in vita e sposato alla figlia Cinna; la stessa sorte tocca ai
personaggi della casa reale di Lincestide, che dopo la morte di Filippo II
avevano sostenuto i diritti di Aminta IV.

Il modo drammatico del trapasso dei poteri suscitò nel mondo greco reazioni
che sembravano mettere in forse i risultati di Cheronea:
– da Ambracia, in Epiro, fu cacciata la guarnigione macedone;
– a Tebe, e soprattutto ad Atene, vi era un vivo fermento nazionalistico e
antimacedone.
Vi erano inoltre, nel mondo greco, le condizioni per cercare capri espiatori per
la sconfitta: l'oratore Licurgo accusò lo stratego Lisicle, che fu condannato a
morte.
Licurgo fu ministro delle finanze di Atene dal 338 al 326 circa, periodo in cui
non mancarono aspetti culturali: organizzazione dell'efebia (periodo di servizio
militare tra 18 e 20 anni); completamento del teatro di Dionisio (sede delle
assemblee cittadine; rafforzamento e ricostruzione delle mura. L'opera di
Licurgo valse da schermo protettivo ai fermenti indipendentistici e
antimacedoni (alla notizia della morte di Filippo II, Demostene diede pubbliche
manifestazioni di gioia).

Alessandro aveva ben chiaro il significato delle tappe politiche del padre verso
l'egemonia in Grecia, e intendeva ribadirne la definitiva acquisizione, quale
pieno erede:
o in Tessaglia gli è confermata, quasi come posizione ereditaria, la tagía;
o alle Termopile ottiene il rinnovato riconoscimento di protettore del
santuario delfico;
o Tebe e Atene sono indotte a formali tributi d'ossequio;

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o a Corinto si rinnova il trattato stipulato fra Greci e Filippo II, di cui


Alessandro eredita posizione di strategós autokrátor (generale con pieni
poteri).

Alessandro si difese, all'interno del contesto familiare e dinastico, con durezza


sanguinaria – in ciò si distinse dal padre, più incline a soluzioni di compromesso
– : Attalo, che era nemico di Alessandro dai tempi del matrimonio di Filippo II
con la nipote Cleopatra, e che aveva trescato con il partito antimacedone
ateniese, fu fatto uccidere, con la complicità del suocero Parmenione.
Cleopatra fu indotta al suicidio da Olimpiade, e la sua prole assassinata.

Gli inizi di un regno macedone si caratterizzano per una campagna al nord


contro popoli minacciosi:
Alessandro, partito da Anfipoli nel 335, affronta i popoli dell'area tracica,
danubiana, peonica e illirica: Triballi, Geti, Peoni e soprattutto Illiri, al comando
di Clito, già vinto dal padre nel 358 a.C. Era in gioco l'arco dei confini
settentrionali, dall'Egeo all'Adriatico.
La lontananza del sovrano, il diffondersi della notizia della sua morte e della
distruzione del suo esercito, unitamente alla sobillazione antimacedone svolta
in Grecia dagli agenti del re persiano, divenuto finalmente più attento alla
minaccia incombente, determinano moto di rivolta in Grecia:
ad Atene furono assassinati i capi del partito filomacedone, Timolao e Anemeta;
a Tebe assediata
nella rocca Cadmea la guarnigione macedone.
Si ricostituiva l'alleanza di Cheronea, e la reazione di Alessandro fu
politicamente simile, anche se più dura, a quella di Filippo II: bisognava
concentrare la reazione su Tebe, e dare ad Atene una risposta ferma, ma
differente.
In 14 giorni, informato della rivolta tebana, Alessandro giunse sul posto, e a
nulla valsero le linee di fortificazione costruite dai Tebani, che volevano
trasformare la Cadmea in una trappola per il presidio macedone e che
respinsero ogni invito alla resa da parte di Alessandro: Cadmea e la città furono
prese (335). Vi furono 6.000 morti, la popolazione fu deportata in Macedonia o
venduta in schiavitù.
Ad Atene si organizzarono preparativi di difese e allo stesso tempo si inviò ad
Alessandro un'ambasceria guidata dal filomacedone Demade: Alessandro pose
condizioni dure, quale l'estradizione dei numerosi rifugiati Tebani e dei politici
antimacedoni, fra cui Demostene, Iperide, Licurgo; contro tali richieste si
schierò quasi tutta la città, ma uomini irriducibili, come Caridemo e
Carete, andarono in esilio, l'uno al servizio del re di Persia e l'altro nel suo
possedimento del Sigeo.

2. Il confronto con la Persia fino alla battaglia del Granico (334)


La resistenza persiana veniva intanto organizzata dal greco Memnone di Rodi,
succeduto al fratello
Mentore nel comando delle truppe della fascia costiera; gli sforzi riuscirono
meglio nell'area meridionale (Caria) e fino ad Efeso, le regioni settentrionali
dell'Anatolia apparvero più permeabili all’azione dei Macedoni.
Nel 334 Alessandro lascia il governo ad Antipatro, e varca l'Ellesponto con
40.000 uomini, di cui 32.000 fanti macedoni, alleati, mercenari greci, Traci e
altri; 3000 cavalieri macedoni, tessali e altri posti al comando di Parmenione.

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La flotta era di 160 navi (soprattutto greche), al comando di Nicanore, e


inferiore a quella persiana.

Alessandro, in terra asiatica, visita Troia, rendendo gli onori alla tomba di
Achille.
Si stava realizzando il sogno di Isocrate di un'impresa che unificasse il mondo
greco in una spedizione contro l'Asia: per Alessandro ciò equivaleva a conferire
un tratto personale in più al riaffiorare di livelli culturali 'omerici' nella storia del
mondo greco, che aveva connotato l'ascesa di uno stato come la Macedonia.

I satrapi di Lidia (Spitridate), Frigia maggiore ed ellespontica (Atizie, Arsite) e


Cappadocia (Mitrobuzane), raccolte le truppe disponibili, nel 334 affrontarono
Alessandro presso il fiume Granico: molti i morti persiani, fra cui Spitridate e
Mitrobuzane, poche le perdite macedoni.
Facile avanzata di Alessandro da Dascileo a Sardi ad Efeso, ad altre città della
Ionia e dell'Eolide: solo Mileto oppose qualche resistenza. Alessandro si
spingeva ora più a sud.

3. Alessandro, i Greci, l'Asia fino alla battaglia di Isso (333)


Una scelta politica obbligata, per quanto riguarda i regimi interni, fu quella di
restaurare la democrazia ad Efeso e altrove: le oligarchie erano infatti quelle
più legate al Persiano.
Probabilmente la presenza di numerosi mercenari greci nelle file persiane, e la
freddezza di alcuni alleati greci (a cominciare da Atene) nella partecipazione
all'impresa comune, determinò un mutamento di prospettiva poco dopo la
vittoria di Granico.

Nel 334 Alessandro rinvia a casa la più parte della flotta: il senso della
spedizione in Asia era affermare la supremazia di uno stato continentale su uno
stato continentale.
Nell'avanzata verso sud il macedone deve affrontare un punto di resistenza ad
Alicarnasso, che è
cinta d'assedio e di cui si conquista la città bassa: Memnone si ritira e porta le
sue forze
nell'antistante isola di Cos. La satrapia di Caria, dove continuava la resistenza
di Mindo e Cauno, oltre che di Alicarnasso, fu affidata ad Ada, sorella di
Maussollo e di Pixodaro, in sostituzione di Orontobate, persiano che praticava
politica filopersiana.
Alessandro avanza in Licia e Panfilia e poi nel cuore della Frigia fino a Gordio,
dove con la spada taglia il nodo che lega un giogo a un carro, e il cui
scioglimento, in virtù di un'antica profezia, doveva assicurargli il dominio
dell'Asia.
Memnone, dopo lo scacco di Alicarnasso, dispiega una proficua attività
nell’Egeo, guadagnando Chio e le città di Lesbo (esclusa Mitilene), e suscitando
simpatia e adesioni fra le città delle Cicladi, e da parte di Atene; ma una
malattia lo uccide durante l'assedio di Mitilene.
I persiani Farnabazo (suo nipote) e Autofradate cercano di continuare:
ottennero la resa di Mitilene, riconquistarono al sud Mileto e la città bassa di
Alicarnasso; più modesti i successi al nord: presa di Tenedo, dislocazione di una
piccola flotta presso gli Stretti.

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Ma la ricostituzione e attivazione di una flotta greca portò a un paio di sconfitte


per i persiani a Sifno (Cicladi) e nell'Ellesponto, a un rapido riallineamento di
gran parte del mondo greco su posizioni di lealtà verso il macedone, ad
eccezione di Sparta, sotto la guida del re Agide III.
Al consolidamento del recupero dei Greci da parte di Alessandro contribuì la
vittoria di questo ad Isso, nella Siria settentrionale (333): dall’Anatolia centrale
Alessandro aveva raggiunto la Cilicia, aveva poi sottomesso Soli e Mallo e si
posizionò presso Mirian(r)o, in faccia al re Dario, che nel frattempo era giunto
dalla Babilonia alla piana di Sochoi, proprio per fronteggiare il nemico.
All'irresoluto fronteggiamento segue il tentativo d'aggiramento di Dario, che
punta a chiudere alle spalle il nemico, attestandosi a nord di esso, nella piana
di Isso, e restando difeso dall'interposta vallata del fiume Pinaro. Ad Alessandro
non restava che l'attacco: l'ala destra (cavalleria e fanteria, guidata dal re in
persona) travolse quella sinistra e il centro persiano, risolvendo anche la
situazione di difficoltà in cui si trovava la cavalleria tessalica e peloponnesiaca
a comando di Parmenione.
Lo schieramento avversario crollò.
Dario fugge con parte degli uomini oltre l'Eufrate; una parte si salvò in Fenicia e
quindi a Cipro; nelle mani di Alessandro resta l’accampamento del re, con la
madre Sisigambi, la moglie Statira, e i figli.

La notizia dell'inattesa vittoria di Alessandro placò momentaneamente i


fermenti ostili dell'opinione pubblica greca: alle feste Istmie del 332 i
rappresentanti della Lega di Corinto decretarono per il re una corona d'oro.
Nell'Egeo intanto, nel 332, i Persiani perdevano una posizione dopo l'altra: le
navi macedoni, al comando di Egeloco e di Anfotere, liberavano, cominciando
dal nord, Tenedo, Chio, Lesbo, la Caria, mentre Rodi passa spontaneamente. Gli
oligarchi di Chio verranno deportati ad Elefantina, in Egitto, e i tiranni di Lesbo
verranno puniti con esecuzioni capitali.

4. Alessandro in Fenicia e in Egitto; la battaglia di Gaugamela (332/331)


Alessandro procede dalla Siria in Fenicia, dove conquista le principali città, da
Arado a Sidone.
Quando era ancora a Marato, tra Arado e Biblo, riceve richieste di pace da
Dario, con l'offerta:
- dell'Asia 'di qua dall'Eufrate';
- di un risarcimento di 10'000 talenti;
- della mano di una delle sue figlie.
Probabile che Alessandro abbia sin dall'inizio respinto un compromesso.
Alessandro porta avanti la strategia di conquista preliminare delle regioni
costiere per tagliare la Persia fuori dal Mediterraneo, per trasformare
definitivamente il conflitto in una guerra continentale: rinuncia ad inseguire
Dario e si impegna nella conquista della Fenicia e dell'Egitto.
In Fenicia incontra una fortissima resistenza di Tiro, protetta dalla posizione
insulare: Alessandro si servì dei contingenti fenici e soprattutto ciprioti della
flotta persiana per aprire dal mare una breccia nelle fortificazioni della città.
Segue una strage di 8.000 persone, mentre 30.000 sono vendute.

In Egitto non si ebbero ostacoli a parte la Gaza, che, occupata da una


guarnigione persiana, resisté per due mesi. La campagna di Alessandro in
Egitto era favorita dal fatto che l'elemento indigeno aveva fresco il ricordo del

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periodo dell'indipendenza dai Persiani (404-343): Alessandro viene infatti


accolto come liberatore, e i sacerdoti del santuario oracolare di Zeus Ammone
lo proclamano figlio di Ammone, in quanto signore dell'Egitto. Qui il macedone
fonda una cittadina, Alessandria, presso il ramo Canopico del delta del Nilo, sul
sito del villaggio indigeno Rhakotis.
Intanto manovre di disturbo dei Persiani nelle retrovie anatoliche (in Frigia)
fallivano per il valore di Antigono (il futuro diadoco).

Dopo la fondazione di Alessandria, il re macedone raggiunge la Fenicia, poi la


Mesopotamia, attraversando l'Eufrate e poi il Tigri: addentrandosi per qualche
giorno in territorio nemico si scontrò con l'esercito di Dario nella battaglia di
Gaugamela, nella regione di Arbela nel 331.
La battaglia di Gaugamela presenta alcune peculiarità tattiche, come la
creazione di una seconda linea per un intervento d'emergenza, che gli occorse
di fare; per altri aspetti essa replica però il solito cliché della tattica obliqua
(l'ala sinistra di Parmenione fu di nuovo aiutata da quella del re).
Lo scontro si chiude con la fuga di Dario, inseguito invano da Alessandro, che si
impossessa comunque dei magazzini e del tesoro ad Arbela, e di decine di
migliaia di prigionieri.
Alessandro conquista poi Babilonia, Susa e Persepoli.

Intanto Sparta turba le acque stagnanti della rassegnazione alla nuova


potenza: intavolava trattative con la Persia; conquistava la maggior parte di
Creta, presto liberata (331) dalla flotta macedone; fomentava la parte del
Peloponneso tendenzialmente filospartana e antimacedone (Elide, e buona
parte di Arcadia e Acaia), anche se Argo, Messene, Megalopoli e Corinto si
tenevano dalla parte di Alessandro, e in altre regioni la defezione rimase
embrionale.
Antipatro, reggente della Macedonia, scese quindi in Tessaglia e poi nel
Peloponneso, ove soccorse Megalopoli, assediata da Agide III, il quale, ritiratosi
sulle alture a sud della città, fu qui raggiunto dal macedone, e morì nello
scontro da eroe (autunno 331).
Antipatro chiese solo un modesto numero di ostaggi (50, che però per Sparta
non erano pochi), e Alessandro, investito dalla Lega ellenica del compito di
giudicare, si limitò a fissare un risarcimento da parte di Elei ed Achei a
Megalopoli.

5. Il grande inseguimento
Nell'inverno 331/330 Alessandro sosta in Perside, dove brucia il palazzo di
Persepoli, e in primavera mosse verso l'interno: dopo Gaugamela l'avanzata è
un lungo inseguimento, in cui il fuggiasco sembra segnare e aprire la strada
all'inseguitore.
Dario fugge in Media e poi nelle estreme regioni orientali, in Battriana;
Alessandro lo incalza in Media, raggiungendo Ecbatana, dove lascia
Parmenione con metà dell'esercito, per poi continuare.

Dario è deposto dai suoi generali, e il comando è assunto da Besso, satrapo di


Battriana, della casa degli Achemenidi: l'inseguimento di Alessandro, che è
informato degli sviluppi, non ha più come scopo la cattura di un rivale, ma di
una persona la cui sopravvivenza sta a cuore all'inseguitore. Il più spietato
nemico di Dario è adesso Besso, il quale uccide Dario (330), per evitare che

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finisca vivo nelle mani di Alessandro, poi si rifugia nella sua satrapia, dove si
proclama re col nome di Artaserse. Alessandro si impadronisce della salma di
Dario e la trasferisce in Perside, per una solenne
sepoltura nella necropoli regale. Tutto, negli atti di Alessandro, è inteso per
presentarsi come
legittimo successore di Dario III, e questo ha una serie di conseguenze:
1) l’obbligo morale di continuare nell'inseguimento di Besso, scaduto al
ruolo di usurpatore;
2) la spinta a completare la conquista delle regioni orientali dell'impero
persiano, fino ai suoi confini storici e naturali;
3) la forte ideologizzazione dell'ulteriore conquista di Alessandro, le cui
iniziative e i cui gesti si caricano di densi valori simbolici;
4) il progressivo entrare di Alessandro nel ruolo del re persiano;
5) il formarsi di un'opposizione macedone (poi greco-macedone) ad
Alessandro, nel suo stesso entourage, il prodursi di congiure e quindi di
un clima di sospetto, a cui risponde la vendicativa ira del re.

In una velocissima avanzata vengono a tiro le regioni a sud del Caspio e


nell'area centro- e sud-orientale dell'Iran: i territori dei Tapiri, dei Mardi, dei
Parti e degli Ircani, e anche l'Areia, la Drangiana, l'Aracosia.
Spesso i satrapi facevano atto di sottomissione; quelli che si rifiutavano,
cercavano scampo e sostegno nella Battriana di Besso, vero fulcro della
resistenza, o nell'India al di là della catena del Paropamiso e del fiume Indo.
Alessandro passa l’inverno ai piedi del Paropamiso (330/329), poi lo supera e
prosegue, occupando
Battra, abbandonata da Besso, che fu inseguito fin oltre il fiume Oxos. Besso fu
consegnato a Tolemeo dai suoi stessi generali, e poi giustiziato. -> Alessandro
aveva agito e vinto anche come tutore dei legittimi diritti della dinastia
achemenide.

6. Congiure e repressione
Nel 330 uno dei figli di Parmenione, Filota, comandante della cavalleria pesante
macedone, avendo
omesso di denunciare al re una congiura organizzata in Drangiana dagli ufficiali
di Alessandro, irritati per l'introduzione del cerimoniale di corte persiano, è
accusato d'alto tradimento, condannato a morte e giustiziato, mentre il fratello,
Nicanore, capo degli ipaspisti (scudieri, una guardia speciale), moriva per gli
strapazzi affrontati nell'inseguimento di Dario.
La posizione di Parmenione, che deteneva il comando della metà dell'esercito
in sosta ad Ecbatana, risulta parecchio indebolita, e Alessandro, per prevenirne
qualunque reazione, diede ordine ad alcuni ufficiali di eliminare il fedele e
valorosissimo generale.
Tra il 328 e il 327 Alessandro fronteggia la rivolta di Spitamene e degli abitanti
della valle dell'Oxos: i Macedoni subirono scacchi a Maracanda e nella Battra,
ma Spitamene fu vinto e ucciso.
=> Il confine del regno di Alessandro coincideva così con quello persiano, cioè
col fiume Iaxartes.
Ma nello stesso periodo altri due drammi si erano svolti nella cerchia di
Alessandro: a Maracanda, nel 328/327, durante una lite (attorno all'esaltazione
incauta fatta da Clito di Filippo II, come di un modello di comportamento

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autenticamente macedone, in confronto ad Alessandro) il re, nei fiumi


dell'alcool, ma anche iroso, trafisse il suo amico Clito.
E quando Alessandro volle imporre a tutti, non solo asiatici, il bacio con la
mano, accompagnato da genuflessione (proskynesis), la risposta fu la congiura
dei 'paggi', giovani nobili macedoni destinati al servizio personale del re, a cui
non fu estranea l'aspra opposizione di principio di Callistene di Olinto, nipote di
Aristotele e storico ufficiale della spedizione. Il capo della congiura era Ermolao,
discepolo e amico di Callistene: la sua responsabilità morale era per Alessandro
inequivocabile, e quindi venne condannato a morte (327).

7. La spedizione del confine: la campagna d'India e la spedizione nel Golfo


Persico (327-325)
Raggiunto una parte del complessivo confine della Persia, Alessandro poteva
pensare alla conquista
dell'India: si apre un problema riguardo alle autentiche finalità e intenzioni di
Alessandro al
momento della campagna indiana (estate 327- estate 325).
Egli sembra aver mirato – in termini di comportamenti reali - a ricostituire
l'intera struttura del confine naturale e storico dell'impero persiano, cioè del
fiume Indo (compresi tutti gli immissari, il cui completo controllo era
precondizione per il controllo del fiume). Altro è il terreno delle aspirazioni,
delle intenzioni, dei sogni: essi appartengono ad una sfera individuale e
psicologia, certo esistente ma per noi del tutto irrecuperabile, o che comunque
non incise profondamente nelle azioni concrete di Alessandro.

Superato il Paropamiso nel 327, e assoggettati gli abitanti della valle del fiume
Kabul, Alessandro attraversa l'Indo nel 326. Che la sua politica fosse volta a
consolidare il confine fluviale, risulta chiaro dagli eventi successivi.
Tra l'Indo e l'Idaspe conta sull'alleanza del re Taxila, che egli aiuta contro il
vicino re Poro, il quale regna tra l'Idaspe e l'Acesine e che viene sconfitto e
fatto prigioniero, pur restano principe vassallo nel proprio dominio.
Con i regni a est dell'Indo si procede nella politica di creazione di una barriera
di stati vassalli: Alessandro considera razionalmente l’Indo come un confine
estremo, da non valicare per nuove avventure; le colonie militari di Nicea e
Bucefala servono allo stesso scopo.
Altri popoli e altre città venivano assoggettati, ma si tratta di elementi tra
l'Idaspe e l'Ifasi, e questo
rappresenta il corso fluviale più esterno dell'area del Punjab (la regione dei
“cinque fiumi”).
Superare l'Ifasi in direzione del Gange sarebbe stato atto che avrebbe rotto con
lo schema della 'politica dell'Indo', e avrebbe significato apertura a spinta
indifferenziata da protrarre fin dove possibile; ma il malumore dell'esercito e
l'esito dei diabetéria (sacrifici per la traversata), naturalmente negativo,
determinano l’inversione di rotta, non senza che sulla riva dell'Ifasi fossero
eretti dodici altari, simbolo di un confine fluviale consolidato.

L’esercito si ritira dall’Idaspe, dove viene completata la costruzione di una


flotta; due parti dell’esercito marciano sulle rive una parte si imbarca: viene
attuata un’opera di vera perlustrazione, verifica, consolidamento del confine

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medesimo. In generale le popolazioni della regione si assoggettano, ma alla


presenza di un'organizzazione politica di tipo cittadino corrisponde una
maggiore resistenza, o addirittura aggressività: nell'assalto ad una città dei
Malli, Alessandro, spinto troppo avanti, viene ferito gravemente al torace e
subisce lesioni polmonari, che potrebbero essere state una delle cause remote
della sua precoce morte (323).
L'importanza strategica della confluenza Acesine-Indo è sottolineata dalla
fondazione di molte colonie, fra cui un'altra Alessandria, e dalla creazione di un
porto a Pattala.
Anche l’operazione di rientro, terrestre e navale, presenta due piani diversi di
lettura, entrambi esistenti e che non escludono l’altro: vi è da un lato, il
dichiarato intento di verificare la sicurezza dell'Indo dalla parte della foce,
dall’altro, anche il desiderio di conoscere le nuove realtà geografiche o di
definire vecchi problemi (come quello del rapporto tra l'Indo e il Nilo, rivelatosi
insussistente); ciò non esclude la sicurezza militare, quindi politica: al cretese
Nearco viene infatti affidato il comando della flotta che dalla foce dell'Indo deve
prendere il mare, attraverso l'Oceano Indiano, lo stretto di Hormuz e il golfo
Persico, sino alla foce del Tigri; l’esercito viene diviso (325) fra Cratero
(itinerario Aracosia-Carmania) e Alessandro (itinerario Gedrosia-Carmania). Le
fatiche e perdite umane furono notevolissime per le traversate terrestri.
In Carmania ci fu il ricongiungimento delle tre forze, che avevano esplorato e
consolidato le regioni di confine dell'impero.
8.Un anno di grandi scelte (324)
Alessandro attraversa la Perside in direzione di Susa, in cui giunge nel 324,
anno nel quale egli dovette confrontarsi con problemi di carattere organizzativo
del regno, soprattutto in merito al rapporto tra Greco-Macedoni e Persiani:
fusione o assimilazione, o netta separazione.
Per Alessandro il sistema organizzativo delle satrapie persiane era un dato
storico da conservare, adattandolo alla nuova situazione solo sul piano
dell'attribuzione dei posti di comando: egli cerca di attuare una politica idonea
in base al territorio, già da dopo la battaglia di Gaugamela del 331.

Dunque, in Anatolia e Siria, il potere militare e civile fu assegnato a un ufficiale


macedone; solo in Caria l'amministrazione civile fu affidata a una sorella di
Maussollo, Ada, mentre a Tolomeo fu attribuito il potere militare (rispetto per la
posizione politica di alcuni principi di Caria e per le tradizioni culturali della
regione), e una soluzione analoga riguarda l'Egitto.

Diversamente si dispose per l'amministrazione finanziaria, che non fu


organizzata secondo satrapie, ma secondo distretti che ne comprendevano più
di una.
Nelle provincie che erano il nucleo dell'impero persiano fin dai tempi di Ciro il
Grande, cioè in Mesopotamia e in Iran, Alessandro opera come erede legittimo
del trono achemenide, e perciò affida ai satrapi persiani l'amministrazione
civile. Non sempre vi furono gli sperati risultati di 'collaborazione', quindi
Alessandro affidava la difesa di alcuni punti forti a contingenti macedoni o
comunque a comando macedone.
Non tutto il dominio acquisito aveva un'organizzazione di tipo territoriale;
accanto ad essa, e spesso al suo interno, esisteva gran numero di città greche,
dove vigeva un regime democratico; nelle città a governo monarchico d'area

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fenicia e cipriota, o il dominio dei re-sacerdoti a Gerusalemme, Alessandro


preferisce attuare una politica di conservazione e rispetto delle tradizioni locali.

Negli anni del grande inseguimento e della spedizione indiana si accumulano


molti problemi e pericoli per l'unità e la solidità organizzativa dell'impero:
 ribellioni dei Greci in regioni periferiche, che esibiscono cronicamente la
loro nativa vocazione separatista (Battriana);
 ribellioni dei mercenari (come quelli al comando di Filippo, satrapo
d'India);
 rivolte dei satrapi persiani, che Alessandro dovette sostituire con ufficiali
macedoni;
 Greci e Traci, al servizio di Alessandro in Media, puniti per maltrattamenti
alle popolazioni.
Il caso più clamoroso di defezione dal nuovo ordine fu quello del 'tesoriere
generale', l'ateniese Arpalo, il quale già una volta si era reso colpevole di
malversazione, poco prima della battaglia di Isso (333), e aveva cercato rifugio
in Grecia. Poi Arpalo si presenta ad Atene con 5.000 talenti e
6.000 mercenari: alla richiesta di estradizione di Filosseno, Arpalo fu arrestato e
gli vennero sequestrati 700 talenti (dei quali, ad una verifica successiva, ne
risultavano mancanti 350). Tra gli altri, Demostene fu accusato di averne
ricevuti 20, multato, imprigionato poiché insolvente e poi fuggiasco. Anche
Arpalo era fuggito da Atene, e aveva recuperato i mercenari al capo Tenaro, per
poi andare a Creta, in tal momento terra di nessuno: ivi è ucciso da un suo
ufficiale.
Si tratta di una vicenda caratterizzata da corruzione, connivenze, intrighi
politici e altro.
Il 324 segna l'esplosione di vari problemi organizzativi a causa dei rapporti fra
le diverse nazionalità. Risposta programmatica e simbolica furono le nozze di
massa presso Susa, antica capitale degli Achemenidi: Alessandro (già sposato
alla battriana Rossane) si unisce a Statira, figlia di Dario, e con Parisatide, figlia
di Artaserse Oco; Efestione sposa Drypetis, figlia di Dario; 80 ufficiali s'unirono
ad altrettante nobili persiane. Vi fu una premiazione dei numerosi soldati
macedoni che avevano sposato donne iraniche, ma tali celebrazioni non erano
accolte di buon grado dai Macedoni.
Ancora più gravi sono le conseguenze della riforma dell’esercito all'insegna di
una 'politica di fusione', che presto cedette il passo alla creazione di 'strutture
parallele', che nel fondo ribadivano l'apartheid. Alla fine delle conquiste, l’entità
dell’esercito di Alessandro doveva aggirarsi sui 100.000 effettivi: raddoppiati
rispetto alla partenza.
Per le esigenze di rafforzamento del dispositivo militare, si istituì un corpo di
30.000 giovani persiani, educati e addestrati alla macedone, ed elementi iranici
furono inseriti nella falange macedone e nella guardia del corpo (àghema).

A Opi, sul Tigri, il re affrontò, assai male, il problema dei veterani desiderosi,
dopo 10 anni di ininterrotte campagne, di tornare in patria: propose di
dimettere gli invalidi, un congedo umiliante per chi veniva rimandato in patria e
non soddisfacente per chi era trattenuto. L’esercito si ammutinò, invitando
Alessandro a ricorrere ai sui «cari Persiani». Alessandro venne a capo della
rivolta facendo valere di fronte ai soldati i meriti storici della dinastia nello
sviluppo del Paese e congedando tutti i veterani; fece giustiziare i capi della

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rivolta e costituì una serie di corpi persiani 'paralleli' in cui non si verificavano
commistioni iranico-macedoni.
I veterani si misero in viaggio per la Macedonia al comando di Cratero: saranno
in gran parte usati per reprimere la 'guerra di Làmia'. Cratero sarà poi
designato 'stratego d'Europa', al posto di Antipatro, divenuto agli occhi del re
troppo potente, e soprattutto giunto a conflitto con la madre di Alessandro,
Olimpiade (ella, dopo la morte la morte del fratello Alessandro il Molosso, si era
ritirata in Epiro, mentre in Macedonia rientrava la vedova di Alessandro il
Molosso, Cleopatra, figlia di
Olimpiade e sorella di Alessandro il Grande). Antipatro, secondo le disposizioni
di Alessandro, doveva portare nuovi soldati in Asia al posto di quelli rientrati.

Alessandro – in rapporto alla figura di 're universale' a cui volle dar corpo –
richiese gli onori divini ai Greci, o almeno segnalò la sua aspirazione a
riceverne da parte loro, certo più in linea con le tradizioni di monarchie come
quella egiziana che non con gli eccezionali onori divini tributati in Grecia a
viventi.
Ad Eritre (Ionia), Megalopoli (Arcadia) e ad Atene (nonostante l’opposizione
vivace, domata da Demade e da Demostene) gli vengono attribuiti onori divini;
altrove fu la consacrazione di un sacro bosco o di un tempio.

Anche far rientrare nelle città di appartenenza tutti gli esuli politici greci
(Decreto di Nicanore, 324) risponde a una scelta di pacificazione del mondo
greco (dalla misura esclusa Tebe e altre città irriducibilmente ribelli) e alla
concezione di una monarchia universale che irradia i suoi benefici sull'umanità
intera: non vi furono resistenze, tranne che presso popoli o città che
dall'azzeramento dei conflitti politici registravano la perdita di nuovi dominii,
realizzati proprio con l'espulsione della popolazione preesitente (Etoli per
Eniade; Atene per Samo).
Ancora nello spirito degli atti simbolici, di cui è sempre più uso Alessandro, v'è
la decisione
di passare la stagione calda del 324 nella capitale d'estate degli Achemenedi,
la meda
Ecbatana, dove muore Efestione => sempre più verso una monarchia di tipo
orientale e universale.

Gli Ateniesi continuano nella politica temporeggiatrice, tentando di riaprire la


discussione con il re.
Negli anni della spedizione, il governo di Atene era stato nelle mani di
filomacedoni quali Demade o Focione, ma anche di indipendentisti come il
capacissimo amministratore Licurgo, o Demostene, oscillante fra posizioni
ribellistiche e una disponibilità al compromesso, e anche dagli intransigenti
(soprattutto verso i compagni di parte politica, che non trovavano all'altezza
delle loro aspettative: nell'affaire Arpalo assumono proprio loro il ruolo di
pubblica accusa) quali Iperide o Pitea.

9. L'impero « universale »
Da Ecbatana, dopo aver domato i barbari Cossei, il re si trasferì a Babilionia
(inverno 324/323), dove lo attendevano ambascerie provenienti da stati greci e
dalla stessa Italia. Alessandro, secondo una discussa tradizione, si accingeva
alla conquista dell’Occidente (Musti sostiene che non sia vero).

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Gli atti del 323, relativi all'allestimento d'una spedizione terrestre e navale di
conquista dell'Arabia, tra Indo e golfo Persico, da un lato, ed Egitto, dall'altro,
non vanno al di là del razionale progetto di consolidamento del confine (in
questo caso interno) già all'opera nella campagna dell'Indo.
Da buon greco, Alessandro non rinunciò mai a tenere ben fermi i piedi sul
terreno della realtà. Quando tutto era pronto per la spedizione, il re si ammalò,
e dopo 12 giorni morì, il 13 giugno 323.

10. La successione
Il problema di successione è grave per vari motivi: l’età ancora giovane del re;
la vastità e complessità dell'impero conquistato; la confusa situazione familiare
ed ereditaria.
Alessandro non aveva figli legittimi (Eracle, figlio di Barsine figlia del persiano
Artabazo, era illegittimo, in quanto nato da una concubina), se non dopo
qualche mese dalla sua morte, con il parto di Rossane (barbara). Ciò crea
tensione e confusione – già per l'incertezza circa il sesso -, rafforza l'avversione
dei soldati della fanteria macedone nei confronti del nascituro e la scelta
legittimista in favore di Filippo Arideo (figlio mentalmente minorato di Filippo II)
e di sua moglie Euridice (figlia di Aminta IV).
I generali macedoni erano invece più favorevoli ad attendere il parto di
Rossane, anche perché l'attesa, e la necessità di mettere il neonato sotto
tutela, apriva la strada a una situazione nuova che poteva evolvere a loro
vantaggio; così pensavano Perdicca, Tolomeo a altri.
L’anello dato da Alessandro in punto di morte a Perdicca era più una soluzione
contingente che non la ratifica di una posizione di primato assoluto; ma
Perdicca riesumò per sé il titolo di chilíarchos, una sorta di “primo ministro”.
Riguardo alla gestione dei territori dell’impero, si apriva anche il conflitto tra il
principio unitario e quello particolaristico, destinato a prevalere in meno di
vent’anni.

11. In Occidente: l'intervento di Corinto in Sicilia (Timoleonte)


La crisi del regime di Dionisio II, il frantumarsi di un forte potere accentratore in
diversi poteri locali (insediatisi tiranni in diverse città), e il vuoto di potere che
ne deriva suscitano l'interesse di Cartagine a una rinnovata espansione in
Sicilia.
È il perdurante conflitto tra Iceta (esule siracusano insediatosi tiranno a
Leontini) e Dionisio il Giovane, e la minaccia di Cartagine, a provocare l'appello
di Iceta a Corinto, la quale interviene nel 344, inviando un esercito di
mercenari, e milizie cittadine e delle colonie corinzie del mar Ionio (nello spirito
pancorinzio che caratterizzerà tutta l'impresa), al comando di Timoleonte, fin
dalla giovinezza nemico dei tiranni, sì da uccidere il fratello Timofane (per aver
assunto il patronato dei più poveri della città fu accusato di volere la tirannide:
è un democratico moderato).
Corinzi e Sicelioti hanno modo di riprendere in mano la situazione nei confronti
dei Cartaginesi,
prima di tutto a seguito dei tipici tempi d'azione di questi: all'inizio
intraprendono azioni le milizie di stanza in Sicilia, che procedono con lentezza;
poi, di quando in quando, con la tipica macchinosità dell'impresa, eseguono
massicci reclutamenti di milizie mercenarie e tentano colpi decisivi.

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Timoleonte raggiunge la Sicilia, e a Tauromenio lo accoglie Andromaco, padre


dello storico Timeo e unico dei tiranni di Sicilia ad aver la benevolenza di
Timoleonte.
Iceta, che aveva invocato l’intervento corinzio e occupato la terraferma
siracusana, contendendola a Dionisio II (assediato ad Ortigia), passa con i
Cartaginesi, mentre Dionisio II si consegna a Timoleonte, ottenendo di potersi
trasferire a Corinto.
Timoleonte ha sotto controllo Ortigia e poi, tramite Neone, suo ufficiale, anche
Acradina. Con l'aiuto di nuovi rinforzi corinzi, riesce a tenere in scacco i
Cartaginesi, e a riguadagnare l'ubbidienza dei tiranni e di varie città
dell'interno.

Il massiccio reclutamento di forze da parte di Cartagine porta alla battaglia


campale del fiume Crimiso, presso Segesta (341?): i Cartaginesi sono battuti
con gravi perdite, anche di forze cittadine.
Iceta di Leontini e Mamerco di Catania, che avevano di nuovo cambiato fronte a
favore dei Cartaginesi, sono rispettivamente vinti al fiume Damyrias e presso
Catania.
L’alleanza punico-calcidese, più volte presentatasi nella storia siceliota come
possibilità di opposizione a Siracusa, è battuta:
 Alico torna ad essere il confine naturale e storico tra la zona d'influenza
punica e quella di predominio siracusana;
 Iceta è giustiziato dalla sua gente;
 nell'area greco-sicula dell'Etna sono espulsi i tiranni Nicodemo di
Centuripe e Apolloniada di Agirio;
 Catania e Messina vanno sotto il controllo di Timoleonte, che giustizia
Ippone di Messina e Mamerco di Catania.

In Sicilia inizia il ripopolamento delle città ad opera di Timoleonte, con coloni da


tutto il mondo greco, e anche con l'intento di potenziarle demograficamente,
con facilitazioni nella concessione della cittadinanza agli immigrati,
particolarmente a quelli di Leontini.
Le risorte o rinnovate città devono fondersi in una lega, di cui Siracusa è città
egemone e in cui vige il principio dell'autonomia (tradizionale binomio
egemonia-autonomia).

A Siracusa Timoleonte instaura un regime d'oligarchia moderata, con un


sinedrio di 600 consiglieri, scelti fra benestanti, e con un capo di tipo
sacerdotale, sorteggiato su 3 candidati eletti dal popolo.
Contro i barbari, Siracusa si impegna a chiedere all'occorrenza un capo militare
a Corinto, da affiancare agli strateghi cittadini.
Nel 337 Timoleonte, conclusa la sua opera e divenuto nel frattempo cieco,
depone la carica di strategòs autakrátor, da lui detenuta per quasi otto anni.
Resterà comunque a Siracusa, ove morirà.

12. Il ruolo di Taranto fra mondo greco ed entroterra italico


In parte, sul piano militare, l'intervento corinzio è da considerare come uno
sviluppo della III guerra sacra, perché mercenari focesi, sloggiati da Delfi e
dalla Focide con la pace del 346, furono utilizzati nella spedizione di
Timoleonte, e anche da quella del re spartano Archidamo III, figlio di Agesilao.

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Archidamo III intervenne in aiuto di Taranto, che aveva richiesto l’aiuto della
madrepatria contro Iapigi e Lucani, e portò con sé anche mercenari focesi; ma
sotto le mura della messapica Manduria egli fu sconfitto e ucciso (338).

Taranto, già dal secondo quarto del IV secolo, è città egemone della Lega
italiota, dell'Italia greca, ma si trattava di un’egemonia entrata in crisi. Dopo
Archidamo, il condottiero da cui Taranto e la grecità d'Italia otterranno aiuto
contro gli attivissimi Lucani, è Alessandro il Molosso (334/331-330): Sparta,
impegnata contro la Macedonia, non aveva infatti le forze da dirottare verso
Taranto.
Alessandro affronta uno dopo l'altro i popoli barbari dell'Italia meridionale
(Messapii, Peucezi, Lucani). Egli libera Siponto ed Eraclea, e da Paestum farà
una sortita per sconfiggere in battaglia
Sanniti e Lucani; stringe anche un patto con i Romani.

Tuttavia presto si incrinano i rapporti con Taranto, a causa, da un lato,


dell’istinto d'autodifesa della città dall'autorità del sovrano, dall’altro,
dell’ampliamento troppo rapido delle ambizioni di
Alessandro il Molosso, che investono l'intera Italia meridionale.
A Taranto prende sempre più piede una linea politica di competitività, ma
anche di possibile intesa, sul lungo periodo, con le popolazioni italiche, in virtù
di un riassestamento con i Lucani, dopo la I guerra romano-sannitica.

Taranto sempre più interpreta il ruolo di città egemone dell'intera Italia, greca e
indigena, decisa a contrastare, semmai, l'avanzata dei romani, popolo 'barbaro'
più distante e più temibile.
Il Molosso, e con lui le città greche che gli sono restate devote (Turii,
Metaponto, in tradizionale posizione di antagonismo verso Taranto), sono più
legati alla tradizionale politica d'opposizione all'elemento barbarico lucano-
brettio, al momento più attivo e geograficamente più vicino. Alessandro verrà
però ucciso a tradimento a Pandosia da un esule lucano.

Nel 330, poco dopo la morte del Molosso, vi è la presa di Posidonia (poi
Paestum) da parte lucana.
La condizione dei Greci d'Italia tra il 400 e il 330 è 'stato di sofferenza':
opulenza e benessere economico, ma anche crisi morale.

13. Vicende del regno bosporano (l'ellenizzazione del Mar Nero)


L'ellenizzazione, ovvero l'acquisizione alle forme della cultura greca di regioni
adiacenti alle póleis, è fenomeno che nel IV secolo raggiunge un solido
assestamento in Occidente e anche in Oriente, come, dal 438/437, nel regno
bosporano, nella zona del Bosporo Cimmerio: le città di fondazione milesia,
come Panticapeo e Teodosia, vengono assoggettate agli Spartocidi, dinastia
d'origine tracia, che regnerà fino alla fine del II secolo, quando l'area sarà
assorbita nel regno di Mitridate VI Eupatore del Ponto. Le figure più illustri,
soprattutto per il loro rapporto con il mondo greco-egeo, sono Leucone I (389-
348) e Pairisade I (349-310).
L'ellenizzazione consiste nel fatto che le città greche costituiscono il nucleo del
regno, anche se esso ha una dinastia d'origine tracia, che si sostituisce alla
stirpe milesia degli Archeanattidi, e risulta composito di popolazioni locali, quali
Sciti e Maiti.

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La forma politica del regno rivela un carattere composito, ma appunto anche


una decisa presenza di forme greche. Si tratta di una monarchia militare che
regna su uno stato territoriale, dove esistono tradizioni cittadine, benché la
funzione della pólis sul piano politico sia molto ridotta.
L'ellenizzazione è rilevante, ma resta pur sempre un fenomeno di
acculturazione; scambi commerciali significativi col mondo greco-egeo e
particolarmente con Atene.

11. L'alto ellenismo


1. Concezioni statali a confronto nelle lotte dei Diadochi
Gli eventi successivi alla morte di Alessandro Magno vanno sotto il nome di
“Guerre dei Diadochi (successori) e degli Epigoni (2° generazione di
successori)”, che vanno dal 323 al 281 a.C. (battaglia di Curupedio).

Dal 323 al 301 è il periodo di maggiore tensione, tutto è rimesso in discussione.


Con la battaglia di Ipso (301) l'assetto complessivo, comportante una netta
distinzione fra Egitto, Asia ed Europa macedone, è consolidato. Nel 323 si era
posto il problema della forma del potere centrale:
- a Cratero viene affidato il ruolo di prostátes tês basileías (cioè del regno)
di Arideo: monarchia sottoposta a sorta di procuratela -> il prostátes
incarna la sovranità, «regna»;
- al trono erano destinati Filippo Arideo, fratellastro di Alessandro il Grande,
e il nascituro figlio di Rossane, se di sesso maschile -> il basileús
«governa», detiene il potere operativo, anche di carattere militare;
- a un gradino più basso troviamo il chilíarcos ('gran visir' o 'primo
ministro') – già qui in gioco influenza persiana - Perdicca, che così aveva
sotto di sé i territori asiatici;
- ad Antipatro resta affidata la funzione di stratego d'Europa.

Si profila una dicotomia netta tra la parte originaria (europea) e la parte


acquisita (asiatica e libica) dell'impero. Senza l'esistenza formale ed effettiva
della regalità macedone è poco giustificato l'esercizio di un dominio unitario: il
dramma della successione è tutto qui, e già quando il sovrano era in vita si era
posto il problema di affidare l'amministrazione dei singoli territori a
governatori, e non mancarono casi d'utilizzazione di Persiani collaborazionisti.

Dopo Alessandro, il principio della ripartizione territoriale si estende, ma si


applica anche in maniera complicata, molto al di là delle ripartizioni
tradizionali, plausibili per geografia e storia, salvo per l'Egitto. => Nascita di
una geografia politica bizzarra e velleitaria:
- ad Eumene, greco di Cardia, capo della cancelleria regia, vanno i territori,
da conquistare, di Paflagonia e Cappadocia;
- ad Antigono, Panfilia, Licia e Frigia maggiore;
- a Leonnato la Frigia ellespontica;
- a Lisimaco la Tracia, formalmente sotto l'autorità di Antipatro.

Negli anni 323-321 le personalità dominanti nei due tronconi dell'impero sono
Antipatro in Europa e Perdicca in Asia: Perdicca aveva un nemico in Antigono
(che fuggì in Europa) e uno in Egitto, verso il quale rivolse sforzo di conquista,
tanto più che in Asia minore continuava a sostenerlo Eumene,

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anche se gran parte della dirigenza macedone non accettava che fosse
intenzionato a sposare
Cleopatra, sorella di Alessandro Magno e di porsi quindi come erede legittimo
della dinastia degli Argeadi. Perdicca è vittima di un attentato nel 321 a
Pelusio, alle porte dell'Egitto.

2. I Greci e la morte di Alessandro: la guerra lamiaca


Il nome della guerra deriva da Làmia, la roccaforte tessalica presso il golfo
Maliaco dove Antipatro fu per qualche tempo bloccato dai Greci ribelli. Gli
Ateniesi, in particolare l'oratore Iperide e lo stratego Leostene, furono i
protagonisti della ribellione.
 Leostene arruolò dei mercenari raccolti a Tenaro, promontorio e città
della Laconia;
 la Lega ellenica di Corinto si sciolse;
 alla rivolta prendono parte anche gli Etoli;
 Demostene ritorna dall'esilio.
La battaglia navale di Amorgo (Sporadi) nel 322 segna la vittoria del macedone
Clito sulla flotta ateniese. Antipatro, raggiunto dai soccorsi di Cratero,
sconfigge per terra gli Ateniesi a Crannone (Tessaglia). Gravissime le
conseguenze interne per Atene:
o nel 322 il regime diventa timocratico, cioè basato sul censo (proprietà
minima di 20 mine);
o condanna a morte di Iperide;
o Demostene si toglie la vita, ormai braccato dagli uomini di Antipatro.
Nel 322 Antigono sbarca ad Efeso, recuperando quel suolo asiatico che, per
parte occidentale, era passato piuttosto sotto il controllo di Eumene.
Nel 321 Cratero e Antipatro varcano l'Ellesponto e, mentre Antipatro avanza
verso la Cilicia, Cratero si fa incontro ad Eumene, ma è sconfitto, e trova la
morte sul campo.

3. Antigono protagonista
La scomparsa di Cratero e Perdicca, i grandi rappresentanti del potere regale,
impone il riassetto
dell'impero, attuato nel convegno di Triparadiso, in Siria (321):
 epimeletés 'dei re' (non 'del regno' di Arideo) è nominato Antipatro, che si
ritira in Europa con Filippo Arideo, Euridice e Alessandro IV (figlio di
Rossane);
 contro Eumene, vecchio fautore di Perdicca e dell'idea d'un impero
unitario centrato sui dominii dell'Asia, viene emessa la sentenza di morte,
di cui doveva essere esecutore Antigono, che si poneva come erede del
progetto di impero asiatico di Perdicca (senza però rinunciare
formalmente ad un ambizioso disegno unitario);
 nuova ripartizione delle satrapie, con cui si minò ulteriormente l'unità
dell'impero
Tali accordi mettono in gioco personalità destinate a un grande futuro, come
Seleuco, che ottenne la satrapia di Babilionia; altri, come Arideo, satrapo della
Frigia ellespontica, hanno rilievo solo per qualche anno.
Gli accordi evidenziano la notevole chiaroveggenza di Antipatro, che tenta di
scongiurare un conflitto - che poi si rivelerà filo conduttore dei conflitti tra
Diadochi – tra il figlio

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Cassandro, da un lato, e Antigono e Demetrio dall'altro: a scopo di conciliazione


mette Cassandro, accanto e subordinato, ad Antigono (stratego dell'Asia),
come comandante della cavalleria, ma presto dovrà richiamarlo in Macedonia
per l'impossibilità di accordo fra i due; d’altro canto tenta di rinsaldare i
rapporti con il matrimonio tra la figlia Fila, vedova di Cratero, e Demetrio (figlio
di Antigono). => Se Antipatro non credeva più all'unità dell'impero, almeno
operava, con saggezza, per
conservare almeno l'armonia fra le parti: riconoscimento di fatto della
ricostituita dicotomia tra Europa e Asia.
Antipatro muore, nomina ”reggente del regno” il veterano Poliperconte,
conferendogli anche la carica di “stratego dell'Europa”; Cassandro, il figlio, è
nominato solo chiliarco.

Si crea contro Poliperconte una coalizione tra i 4 personaggi più importanti al


momento: Antigono, stratego dell'Asia dal 321, Tolemeo, rimasto saggiamente
satrapo d'Egitto, rifiutando offerte maggiori, Cassandro e Lisimaco, saldamente
insediatosi in Tracia.
Antigono in Asia è il più attivo: sconfigge in Pisidia il fratello di Perdicca, Alceta,
che viene assassinato dai suoi (319); costringe Eumene a rinchiudersi nella
fortezza di Nora, ai confini tra Cappadocia e Licaonia. Accantonata per il
momento la resa dei conti con Eumene, elimina ostacoli minori e, attaccando la
Frigia ellespontica di Arideo e la Lidia di Clito, si impadronisce di Efeso e di una
cospicua somma di denaro proveniente dalla Cilicia.

In Europa, tenuto a freno Cassandro, è dominante Poliperconte, che aveva


partecipato alle campagne d'Asia di Alessandro, come capo di una parte della
falange. La rottura tra i due principali protagonisti (Poliperconte e Antigono) è
consumata, e Cassandro abbandona la Macedonia per
raggiungere Antigono.

4. La politica dei generali macedoni in Europa


Poliperconte entra sempre più nel ruolo di 'governatore dell'Europa', anche se
per conto della dinastia argeade. Capovolge le linee della politica verso i Greci,
mettendo in luce una delle due anime che caratterizzano l'atteggiamento
macedone verso i regimi politici interni alle città greche, e
nel 318 emette un decreto con cui:
 si restaurano i regimi già vigenti sotto Filippo;
 si richiamano gli esuli;
 si ritirano le guarnigioni macedoni;
 si restituisce Samo ad Atene.
È un programma di libertà e autonomia, che di fatto per Atene significa
democrazia.
Invia in Attica il figlio Alessandro, e nel 318 è rovesciato il governo oligarchico,
e sono giustiziati gli
uomini che lo rappresentano, Focione in testa.

Ma nel 318 iniziano i rovesci per Poliperconte e per la tiepida primavera


democratica:
 Clito, che si appoggia a Poliperconte, è sconfitto da Antigono, in una
battaglia navale sul Bosforo;

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 Ad Atene Cassandro, installatosi al Pireo, impone il governo di Demetrio


del Falero, (peripatetico allievo di Teofrasto e collaboratore di Focione),
che si era rifugiato da Cassandro: viene restaurata la timocrazia, con un
abbassamento del censo minimo a 10 mine; primo stratego fu nominato
Demetrio, che governa come epimeletés tês póleos (curatore della città)
per 10 anni; una guarnigione macedone rimase a Munichia
 Cassandro rientra in forze in Macedonia: Poliperconte abbandona il
campo portandosi dietro Alessandro IV e Rossane, a causa delle
numerose defezione a favore del figlio di Antipatro;
 nasce l’alleanza tra Cassandro ed Euridice, che di fatto sostituisce il
marito, Filippo Arideo, debole di mente, nell'esercizio del potere politico.

Schieramenti:
 Con Cassandro le regioni centro-orientali, dalla Tessaglia alla Locride alla
Beozia e all'Eubea;
 Con Poliperconte gli Etoli e la maggior parte dei Peloponnesiaci.
Lo scontro:
Mentre Cassandro è impegnato nell'assedio di Tegea in Arcadia, avviene il
rientro di Olimpiade dall'Epiro in Macedonia, dietro sollecitazione di
Poliperconte: Euridice la affronta al confine tra le due regioni, ma le truppe
macedoni la abbandonano per passare con la prestigiosa madre di Alessandro
Magno; Filippo III, Euridice e Nicanore, fratello di Cassandro, sono uccisi (317).

Cassandro, informato, lascia l'assedio di Tegea per la Macedonia; Olimpiade si


chiude in Pidna, con Alessandro IV e Rossane: nel 316, anche a seguito delle
numerose defezioni, è costretta a capitolare, e, se le condizioni della resa le
salvavano la vita, l'ira dei parenti delle vittime, la sottopose a un processo di
fronte al tribunale del popolo macedone: fu condannata a morte (non volle
fuggire su una nave che pare Cassandro gli abbia offerto). Alessandro IV fu
trasferito ad Anfipoli sotto la custodia di Cassandro.

Cassandro nel 316 fonda Cassandrea, sul sito di Potidea (distrutta da Filippo II
nel 356), presso l'antica Terme, fonda Tessalonice e richiama in vita Tebe, tra il
giubilo di tanti Greci. => Politica, verso i Greci, cauta sul piano dei regimi
politici interni, ma aperta e sensibile sul terreno dell'insopprimibile esigenza
greca di tenere in vita o rivitalizzare le póleis e le loro tradizioni.

In Asia continua il confronto tra Antigono e i suoi nemici (e concorrenti), vecchi


e nuovi.
Eumene, che Poliperconte nominò 'stratego d'Asia' in opposizione ad Antigono,
rotto il blocco di Nora, raggiunge la Fenicia e poi la Siria. In Mesopotamia si era
formata un'alleanza tra Seleuco, satrapo di Babilonia, e Pitone, già satrapo di
Media, divenuto governatore delle “satrapie superiori”.
Quando Eumene giunge in Mesopotamia chiede invano a Seleuco e a Pitone il
riconoscimento della sua autorità sull'Asia, ma ottiene di poter varcare il Tigri.
Intanto Antigono è già impegnato nel suo inseguimento, che si estende dalla
Mesopotamia alla Susiana alla Paretacene (dove avvengono vari scontri) e fino
alla Gabiene, dove Eumene subisce l'ultima sconfitta, a cui segue:
o La defezione delle truppe, che passano al vincitore;
o La condanna a morte per alto tradimento;
o L’esecuzione dei suoi più stretti collaboratori (316);

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o Pure agli uomini che non collaborarono con Eumene, toccò una dura
sorte: Antigono represse un tentativo di ribellione di Pitone, giustiziato;
o Depose Peucesta dalla carica di satrapo di Persia;
o Mosse verso Babilonia per chiedere a Seleuco i rendiconti della sua
amministrazione come satrapo della regione: Seleuco fuggì in Egitto da
Tolomeo.

Il secondo periodo delle lotte dei Diadochi (321-316) è caratterizzato da una


progressiva assunzione del ruolo di erede di Alessandro in Europa da parte di
Cassandro, e di erede in Asia da parte di Antigono; restano sullo sfondo residui
progetti legittimistici, con Eumene, Poliperconte e Olimpiade.
Il realismo della politica di spartizione è già presenta nell'azione di diversi
personaggi, ma non riesce a conseguire subito tutti i suoi risultati.
Contro le ambizioni imperiali di Antigono, padrone dell'Asia al di là del Tauro, si
determina una coalizione di sostenitori del principio particolaristico: Tolemeo,
Lisimico, Cassandro.
Antigono rivolge i suoi sforzi di conquista, nella stessa esaltata logica di
Perdicca, verso i domini di Tolemeo: invade Siria, Fenicia e Palestina, conquista
Ioppe e Gaza, pone l'assedio a Tiro (315), cerca di sottrarre a Tolemeo il
possesso dell'isola di Cipro, e all'inizio vi riesce, ma poi la perde.

5. La politica greca di Antigono e di Tolemeo (315-313)


Antigono cerca di guadagnare la Grecia: il primo passo è un’alleanza con
Poliperconte, che diventa 'stratego del Peloponneso' in nome del re Alessandro
IV.
A Tiro è convocata un'assemblea dell'esercito macedone (315), che proclama
Antigono reggente del regno e dichiara Cassandro nemico, salvo che non
consegni Alessandro IV e Rossane e lasci i Greci autonomi e liberi da
guarnigioni e tributi. È così ripetuto il proclama di Peliperconte sulla libertà dei
Greci (Tolemeo esegue un controproclama di libertà greca, che rimarrà
puramente verbale).

Antigono, inizialmente, ottiene in Grecia solo il favore degli Etoli, e l'intervento


di Cassandro nel Peloponneso impedisce di registrare particolari successi;
inoltre Alessandro, figlio di Poliperconte, diventa stratego per conto di
Cassandro nella regione, ma fu ucciso dai democratici di Sicione.

Nel 314, con una flotta composta da navi rodie, cilicie e fenicie, Antigono può
conseguire alcuni grandi risultati:
 conclusione dell'assedio di Tiro;
 attacchi alle posizioni di Atene (che è sotto Demetrio del Falero)
nell'Egeo, e acquisizione di Lemno e Imbro;
 liberazione di Delo;
 creazione di un koinón dei Nesioti;

Tra la fine del 314 e la primavera del 313 estende il suo dominio in Asia minore,
nella parte cistaurica: elimina per gradi Asandro, satrapo di Caria, acquisisce
dalla sua parte Mileto, che divenne libera e autonoma e fu restituita alla
democrazia.
Non altrettanto fortunato fu l’intervento in Tracia in sostegno delle póleis,
recalcitranti al dominio di Lisimaco, e alleate anche con gli Sciti e i Traci nello

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sforzo di conservare l'indipendenza: ma Lisimaco batté i barbari e le truppe di


Antigono Monoftalmo.
Nel 313 in Grecia vi sono significativi successi per Antigono, che raccoglie i
frutti della sua politica filoautonomistica e filodemocratica:
 Peloponneso, Beozia, Eubea passano dalla sua parte o resistono agli
attacchi di Cassandro;
 a Cassandro restano il Pireo, Megara, Opunte e alcune città focesi, e il
suo dominio vacilla nelle regioni che si affacciavano sul mar Ionio e
Adriatico, dall'Acarniana all'Illiria.

Tolomeo, nel frattempo, consolidava il dominio nel Mediterraneo orientale, che,


pur avendo come fulcro l'Egitto, aveva come necessarie aree d'appoggio e di
espansione Cipro, Cilicia, e Siria. Egli intervenne a Cipro, per domare una
rivolta dei re delle diverse città: il fedele Nicocreonte di Salamina è fatto
stratego dell'isola; in Cilicia Tolemeo prende temporaneamente Mallo.

6. Verso un assestamento: da Gaza (312) alla pace del 311


Lo scontro principale con la parte antigonide avviene in Celesiria, dove il figlio
del Monoftalmo, Demetrio, subiva, a Gaza, una dura sconfitta nel 312:
Demetrio si ritira fin oltre Sidone, ma la conseguenza più decisiva fu il rientro in
Babilonia dell'ex-satrapo Seleuco, rifugiatosi qualche anno prima presso
Tolemeo. Seleuco è accolto trionfalmente dalla popolazione locale, e mostra
subito intraprendenza nel consolidare ciò che aveva riconquistato: tolse al
satrapo Nicanore la Susiana e la Media, ottenne dagli altri satrapi il
riconoscimento della sua sovranità fino alla Battriana e all'India, tornò in
possesso di Babilonia (riconquistata da Demetrio mentre Seleuco era in Media).
Anche l'offensiva antigonide in Grecia subiva una decisiva battuta d'arresto,
dopo la sconfitta di Gaza, e le posizioni di Cassandro si rafforzavano ovunque
(Atene, Epiro).

Antigono ritiene opportuna la stipula d'un accordo di pace con Cassandro e


Lisimaco, a cui si aggiunse Tolemeo, e a cui sembra non aver preso parte
Seleuco:
o ad Antigono viene riconosciuto il controllo di tutta l'Asia: a ciò era
d'ostacolo la costituzione del vastissimo dominio di Seleuco, che
Antigono non intende riconoscere come definitivo;
o i Greci dovevano essere autonomi, e tale principio Monoftalmo dava
valore, informando delle trattative di pace gli abitanti della città greca di
Scepsi in Troade, con chiara sottolineatura del tema dell'autonomia
ellenica;
o più definite le acquisizioni di Tolemeo in Egitto e nelle regioni confinanti
di Libia e di Arabia, e quelle di Lisimaco in Tracia;
o Cassandro doveva restare 'stratego d'Europa' fino alla matura età di
Alessandro IV: egli tuttavia fu assassinato, assieme alla madre, nel
310/309, da Cassandro
Con tale pace nasceva forse, come spesso si è affermato, il sistema dei 5 stati
ellenistici, ma più come ripartizione di fatto che non come stato di cose
accettato dal maggior protagonista, Antigono, in cui persistono ambizioni e
illusioni.

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7. Tra la pace del 311 e la nascita delle nuove «basileîai»


L'assassinio di Alessandro IV e di Rossane azionò reazioni a catena sul territorio
greco; protagonisti ne furono Poliperconte, Polemeo, nipote di Antigono,
Tolomeo, Antigono e il figlio Demetrio.

Poliperconte tentò nel 309 il rientro in Macedonia, facendosi scudo del figlio
illegittimo di Alessandro Magno, Eracle di Barsine: Cassandro para la minaccia
riconoscendogli la strategia del Peloponneso, e in cambio Poliperconte uccise
Eracle.

Il caso di Polemeo, nipote di Antigono, si fonde con l'esplicarsi delle ambizioni


di Tolemeo verso
l'Asia minore e la Grecia.In Asia minore Polemeo controllava la Frigia
ellespontica, affidatagli dallo zio Antigono; egli comincia a tramare con
Tolemeo, in tal periodo particolarmente attivo, e che nel
309 mette piede in Licia (Faselide, Xanto), in Caria (Cauno) e nell'isola di Cos;
la sua aspirazione a giocare un ruolo maggiore, candidandosi alle nozze con
Cleopatra (superstite figlia di Filippo II, ora a Sardi), fu frustrata dall'uccisione di
questa ad opera di Antigono. D’altra parte, l'indebolimento del prestigio di
Poliperconte, dopo l'uccisione di Eracle, indusse Tolemeo a dirigere i suoi piani
verso la Grecia: un accordo con Antigono, siglato con l'assassinio di Polemeo
per ordine di Tolemeo, gli apriva la strada della Grecia, dove liberava (309)
Andro dalla guarnigione di Polemeo, ma poi si insediava a Corinto e Sicione e
temporaneamente a Megara.
Un tentativo di ricostituire la lega di Corinto fu avviato, ma presto fatto cadere,
da Tolemeo, che preferì accordarsi con Cassandro e ritornare nei binari,
provvisoriamente abbandonati, di una politica realistica, e prudentemente
fondata sull'idea di centralità dell'Egitto.

È di maggior respiro la politica 'greca' anticassandrea praticata da Antigono dal


307 in poi; egli fino al 309/308 tentò invano di contrastare il radicarsi di
Seleuco in Babilonia.
Nel 307 la flotta di Demetrio Antigonide occupava il Pireo, e portava la sua
minaccia su Atene,
governata da 10 anni (economicamente prosperi, ma pagati con l'instaurazione
di un potere personale, con la limitazione dei diritti politici e con la tutela delle
armi della guarnigione macedone) da Demetrio del Falero, in nome di
Cassandro: la parte popolare di Atene si solleva in favore del Poliorcete, il
Falereo lascia subito la città, seguito da una sentenza di morte, ma si rifugia a
Tebe e poi in Macedonia, poi in Egitto.
Il Poliorcete mantiene gli impegni in tema di libertà e autonomia:
o abbattute le fortificazioni di Munichia;
o restaurata la piena democrazia (moderata), con a capo Stratocle di
Diomea, Democare di Leuconoe (nipote di Demostene) e Abrone (figlio di
Licurgo)
Ad Antigono e Demetrio vengono dedicate statue d'oro sull'agorà, e fu loro
tributato, in forma spontanea, il titolo di basileís; due tribù, da loro denominate,
aggiunte alle 10 clisteniche.
Atene recupera Lemno e Imbro.

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A bloccare eventuali tentativi di recupero di Tolemeo in Grecia, nel 306 si


svolge la grande offensiva di Demetrio Poliorcete contro Cipro e la sua
principale base tolemaica, Salamina: in città fu costretto a rinchiudersi lo
stratego dell'isola, Menelao, fratello di Tolemeo. La guerra di terra si completa
con un scontro navale: su 200 navi, Tolemeo ne porta in salvo solo 8 a Cizio.
L’isola cade nelle mani di Demetrio. Tolemeo si rifugia in Egitto, anche per
provvedere alla difesa d'un territorio non più al riparo da gravissimi rischi.

La vittoria di Salamina cipria dà l'avvio alla nascita formale dei regni ellenistici,
con l'assunzione del titolo di basileús per sé e per il figlio, decisa dal
Monoftalmo: intendeva il regno come unitario, il regno per eccellenza.
Le rinnovate pretese di dominio unitario si manifestarono nell'attacco in forze
contro l'Egitto, ma l'autunno gli impose il rientro in Siria. Tolemeo assunse a
sua volta il titolo di basileús, imitato poco dopo da Cassandro, Lisimaco e
Seleuco (305/304), il quale aveva preso il titolo di 're di Babilonia' dal 309/308,
probabilmente dopo il fallimento delle ultime minacce di Antigono [l’era
seleucidica si fa partire con l’ottobre del 312 a.C.).

In Grecia la partita si gioca tra Demetrio e Cassandro, che rappresentano due


scelte politiche di fondo: entrambe filelleniche, ma l'una di stampo
autonomistico-democratico, l'altra di carattere più
conservatore in politica interna e ispirata a un principio di controllo diretto,
anche militare, nel rapporto tra regno di Macedonia e póleis.

8. La Grecia tra Cassandro e Demetrio Poliorcete dopo il 307


Nella guerra dei 'quattro anni' (307-304), Cassandro registra alcuni successi:
nel Peloponneso
(Corinto), in Beozia, in Attica (File, Panatto e l'isola di Salamina), e pose
l'assedio ad Atene; l'avanzata di Cassandro era stata favorita dall'assedio, di un
anno (305/304), posto senza frutto a
Rodi da Demetrio.
Cassandro fu fermato dall'intervento in aiuto di Atene da parte di Demetrio, che
si era liberato da
Rodi con un trattato che riconosceva l'indipendenza dell'isola e che ad esse
concedeva un'alleanza generosa. Nel 305 Demetrio – sempre più interessato
specificatamente alla Grecia e con il fine di aggregare l'Europa alla parte
asiatica del regno paterno – libera da Cassandro l'Eubea, Atene, la Boezia e la
Focide, e ottiene l'alleanza degli Etoli. Nel 303 la maggior parte del
Peloponneso passa sotto il contro di Demetrio, solo la Messenia, Mantinea e
qualche altra località restano nelle mani di Poliperconte (dal 309 nella
condizione di rappresentante di Cassandro).

Alle feste istmie di Corinto del 302 Demetrio ricostituisce la Lega ellenica: i
Greci (quelli a sud delle Termopile, cioè la parte vivaio delle libere póleis)
giuravano di non farsi la guerra tra di loro e di restar fedeli alla casa di
Antigono; fra i loro rappresentanti sorteggiato annualmente un comitato di
presidenza di 5 membri.

9. La grande coalizione contro Antigono, fino alla battaglia di Ipso (301)


Si avvia la reazione della coalizione avversa ad Antigono e Demetrio.

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A muoversi per primo è Lisimaco, che attraversa l'Ellesponto per attaccare


l'impero di Antigono sul fianco occidentale, nell'Asia minore ad ovest del Tauro
(302), sostenuto da truppe di Cassandro guidate da Prepalao. Le defezioni degli
strateghi di Antigono in Frigia (Docimo) e a Sardi (Fenice), in una zona
dell'impero particolarmente vulnerabile per perifericità e per complessa
struttura, e che
includeva anche l'irrequieto mondo delle città greche, favoriscono l'avanzata di
Lisimaco e Prepalao.

Lisimaco, raggiunto da Antigono in Frigia, cerca in un primo momento di


sottrarsi allo scontro frontale, dando l'impressione ai soldati di non saper
affrontare il nemico.
I successi nel frattempo conseguiti da Demetrio anche in Tessaglia si rivelarono
effimeri: dovette persino adattarsi a un accordo con Cassandro, per avere le
mani libere per un intervento in Asia minore in aiuto del padre; Cassandro però
inviava soccorsi a Callimaco, al comando del fratello Plistarco.
La manovra a tenaglia sul regno asiatico di Antigono si compie solo con
l'intervento di
Seleuco e di Tolemeo: Seleuco aveva consumato alcuni anni nella guerra con il
Maurya Chandragupta, conclusasi con un accordo che consegnava a Seleuco
500 elefanti (decisivi nella battaglia campale con Antigono), e che comportava
la rinuncia al confine dell'Indo, in quanto strategicamente poco difendibile.

Nel 301 l'offensiva contro Antigono si scatena su tutti i fronti:


 in Grecia Cassandro avanza fino ad Elatea;
 in Fenicia Tolemeo si porta fino a Sidone, che stringe con un assedio che
si conclude con la falsa notizia della vittoria di Antigono in Anatolia su
Lisimaco e Seleuco.

Ma a Ipso (presso Sinnada, in Frigia) era accaduto il contrario, vinsero i


collegati, soprattutto per l'impatto degli elefanti di Seleuco, ma anche per
l'imprudenza di Demetrio, che inseguiva la
cavalleria avversaria; Antigono muore gloriosamente sul campo (301).
Ne seguì la spartizione dei dominii asiatici di Antigono:
o a Seleuco vanno la Siria e progressivamente i restanti possessi fino al
Tauro;
o l’Asia minore occidentale va a Lisimaco, re di Tracia, che crea uno stato
europeo-asiatico;
o Demetrio Poliorcete controllava le città costiere di Ionia, Caria, Fenicia,
Cipro e, in Grecia, le istmiche Megara e Corinto;
o Cassandro rientra in Asia, con l'affidamento al fratello Plistarco di parte
della costa meridionale dell'Anatolia.
Ipso segna il superamento delle soluzioni agitate per qualche anno dopo la
morte di Alessandro, e che erano soprattutto caratteristiche di Antigono, nella
sua aspirazione all'impero unitario.
La lega del 302 dopo Ipso si sfalda: fallimento del sogno di Antigono e del figlio
Demetrio.

Alla battaglia di Ipso non prese parte, per eccesso di prudenza, Tolemeo.
Tuttavia la sua campagna del 302 non doveva restare senza effetto: non volle

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cedere a Seleuco – che le reclamava - la Siria meridionale e quella interna


(Celesiria). Si apriva così un contenzioso che portò a 6 guerre, dette «di Siria» o
«di Celesiria», per spostare verso nord (a vantaggio dei Tolemei) o verso sud (a
vantaggio dei Seleucidi) il labile confine fra i dominii.

10. Il recupero di Demetrio dopo Ipso (301-291)


Dopo Ipso vi sono anni difficili per Demetrio: ad Atene vi è un graduale distacco
da Demetrio, con cui si lascia cadere l’alleanza a vantaggio dei buoni rapporti
con Lisimaco e con Cassandro.
Anche Beozia, Focide, Argo defezionavano da Demetrio, che ormai controllava
solo Corinto e Megara, e parte dell'Argolide, dell'Acaia e dell'Arcadia.

Negli anni successivi si definiscono nuovi schieramenti, determinati da alleanze


matrimoniali:
 Lisimaco sposa Arsinoe II, figlia di Tolemeo I;
 Arsinoe I, figlia di Lisimaco, sposerà nel 285 Tolemeo II Filadelfo, il quale
nel 278 si unisce con la sorellastra Arsinoe;
 Seleuco celebra a Roso, in Siria, le nozze con la figlia di Demetrio,
Stratonice (che successivamente ripudierà, concedendone la mano al
figlio, Antioco I);
 dopo un'irruzione di Demetrio nei dominii siriaci di Tolemeo, tra i due si
stabilisce un'intesa: Demetrio si fidanza con Tolemaide, figlia di Tolemeo,
e il cognato Pirro è inviato come ostaggio in Egitto.

L'opera e la figura di Pirro, re d'Epiro, è pienamente inscritta nel contrasto tra


Antigono e Demetrio, da una parte, e Cassandro dall'altra. Il rapporto di ostilità
con Cassandro segna i primi venti anni della vita di Pirro, ed è addirittura un
dato ereditario: il padre Eacide, parente di Olimpiade, viene nel 317 eliminato
da Cassandro, che espande la sua autorità sull'Epiro, con uomini di fiducia e
l'imposizione di Alceta. Pirro, in tenera età, è messo in salvo presso il re illirico
Glaucia, da cui resta fino al 306, quando, nel clima di successi di Demetrio e di
forte ripiegamento di Cassandro, in Epiro Alceta è abbattuto, e Pirro messo sul
trono. Nel 302 Pirro viene poi cacciato dal trono.
Ad Ipso combatte a fianco di Demetrio (che nel frattempo ne sposò la sorella
Deidamìa). Nel 298, una tregua fra Demetrio e i nemici, fra cui anche Tolemeo
Sotere, include la condizione che Pirro resti ostaggio presso il Lagide, del quale
sposa la figlia Antigone.
Poco dopo, gli Epiroti, Tolemeo consenziente, richiamano Pirro sul trono, ed egli
per qualche tempo lo divide con Neottolemo, regnante in Epiro dal 302, e poi lo
elimina, assumendo da solo il potere (basileús dei Molossi e heghemón dei
symmachoi tôn Apeirotân: potere regio e forma federativa si affiancano e
fondono).
Nel 297 muore Cassandro, e Pirro fronteggerà gli aspiranti (da Demetrio - da
cui lo allontana anche un matrimonio con Lanassa, figlia di Agatocle – a
Lisimaco) a un dominio sulla Macedonia, ai danni dei figli di Cassandro.
Il personaggio di Pirro è caratterizzato da un attivismo inquieto, dispiegantesi
su tutti i fronti. È fra i diadochi ed epigoni di Alessandro, il più attento alle
possibilità d'intervento in Occidente: ve lo indirizzano la posizione geografica
dell'Epiro e la tradizione dei re di quella regione, in particolare l'esperienza di
Alessandro il Molosso.

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Se la prima parte della sua vita è condizionata dalle lotte dei Diadochi, le
vicende dei successivi venticinque anni sono tanto brillanti quanto
improduttive.

La morte di Cassandro (298/297) aziona un processo vorticoso di scontri, in cui


tutto ancora una volta sembra rimesso in gioco nel Mediterraneo orientale,
anche se l'area dove si verifica maggior
sconvolgimento è quella greco-macedone.
Ad Atene, un democratico radicale, Lacare, che esercita il potere in forma
tirannica, suscita la
reazione di amici di Demetrio, che provocano l'intervento di questo: dopo uno
sfortunato assedio di Messene, Demetrio conquista Salamina, Eleusi e
Ramnunte e assedia Atene, mentre Lacare fugge in Beozia (294), dopo aver
fatto dura resistenza.
Demetrio restaura la democrazia, ma pone guarnigioni sulla collina del Museo
in città e, presso la costa, sulla collina di Munichia; anche altri possessi (Eleusi,
Lemno, Imbro) sono temporaneamente perduti per Atene.
La presenza attiva in Grecia costano a Demetrio perdite nel settore orientale
(Efeso e Mileto, Cilicia, gran parte di Cipro) in favore di Lisimaco, di Seleuco, di
Tolemeo, rispettivamente.

A Cassandro succede, sul trono di Macedonia, il figlio Filippo, ma solo per 4


mesi, data la morte (298/297), e quindi il regno passa ai più giovani fratelli
Antipatro e Alessandro, sotto la tutela della madre Tessolonice: ella favoriva
Alessandro, al quale fu riservato il nucleo della Macedonia (la Macedonia
'storica', ad ovest dell'Axios), comprendente le capitali storiche (Edessa, Ege,
Pella, Berea) e con cui si aveva sotto controllo la Tessaglia. Ad Antipatro viene
riservata la parte orientale.
Antipatro uccide la madre, e attacca il fratello, il quale chiede aiuto a Pirro e
Demetrio (parente dei re di Macedonia tramite la moglie Fila, sorella di
Cassandro).

Ma quando Demetrio fu arrivato fino a Dion di Macedonia, Alessandro lo


licenzia, e lo accompagna, nel ritorno, fino a Larissa, dove è ucciso a
tradimento da Demetrio.
Solo a Lisimaco, suocero del giovane Antipatro, è possibile impedire l'accesso
di Demetrio al trono di Macedonia; ma, preso da una guerra contro il re dei Geti
Dromichaite, egli si presta a un compromesso e a uno scambio:
 a Demetrio vanno Macedonia e Tessaglia;
 a Lisimaco i possedimenti d'Asia di recente acquisizione.
La storia politica delle due regioni tende a scindersi di nuovo, poiché il regno
eurasiatico di Lisimaco rivelerà, in meno di un quindicennio, tutta la sua
instabilità e improbabilità.

Nel 294 Demetrio controlla quasi l'intera Grecia, ad esclusione di Sparta e della
libera Etolia e dell'Epiro, nel quale si era consolidato il potere di Pirro. Demetrio
fonda una sua capitale, Demetriade, al centro della Grecia.
Per un paio d'anni si susseguono ribellioni a Demetrio in Beozia, ogni volta
domate; a Tebe, conquistata (291) dopo un difficile assedio, si riserva un
trattamento mite.

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Ma sul piano politico, fu fortemente limitata l’autonomia della regione, con


l'insediamento di un funzionario (Ieronimo di Cardia) alle dipendenze del re, e
con la nomina di magistrati cittadini e
l'installazione di guarnigioni nelle singole città da parte del sovrano.
Ad Atene, in seguito all'intervento di Demetrio, vi è il richiamo degli esuli
oligarchici e l'esilio di Democare (291).
11. Demetrio contro tutti
Fra il 290 e il 289, Demetrio saggia la nascente personalità di Pirro, quando
tenta invano interventi in Etolia e in Epiro, ma poi riesce a bloccare una
controffensiva di Pirro, giunto fino alle porte di Edessa. -> La pace tra i due del
289 consente a Demetrio di riprendere i suoi piano verso est.

Lisimaco era stato finora inerte di fronte al rafforzamento di Demetrio a causa


delle disavventure nella guerra contro il geta Dromochaite, del quale era stato
fatto prigioniero: ciò aveva richiamato in Macedonia Demetrio, che pensava di
conquistare la Tracia, ma il rilascio di Lisimaco e una nuova rivolta in Beozia ne
vanificano il disegno.

Tra il 289 e il 288 nuova coalizione tra Lisimaco, Seleuco e Tolemeo, a cui
presto aderisce Pirro.
Demetrio, stretto tra i due fuochi – Lisimaco avanza in Macedonia da est, Pirro
che la invade da ovest -, affronta Pirro, che crede meno potente e popolare:
presso Berea, al momento del contatto, l'esercito di Demetrio defeziona, ed egli
deve fuggire, e alla vergogna non resse la moglie Fila, che si avvelenò.
Fra Pirro e Lisimaco avvenne una spartizione della Macedonia, forse nei termini
della divisione che era stata attuata fra i due figli di Cassandro (288).

Atene, intanto, si ribella a Demetrio, sotto la guida di Olimpiodoro, che libera il


Museo dalla guarnigione macedone (287): il tentativo di rientro di Demetrio è
vanificato da Pirro (287).

A Demetrio resta: Eleusi, il Pireo, Panatto e File, Salamina, e le cleruchie di


Sciro, Lemno e Imbro.
Egli tenta l’ultima avventura in Asia, sbarcandovi nel 287: acquisisce Mileto,
Sardi e il sostegno della Cappadocia, in vista dell'invasione dell'Armenia e della
Media e una conquista delle satrapie superiori ai danni di Seleuco.
La difficoltà nell'attraversamento del fiume Lico inducono Demetrio a rinunciare
alla marcia in Armenia e nelle regioni orientali, e a ripiegare su Tarso, in Cilicia.

Ma Seleuco non ne accetta la presenza in Cilicia, offrendogli in cambio la vicina


e più interna Cataonia: Demetrio rifiuta, e segue la guerra:Demetrio occupa i
passi dell'Amano, conducenti in Siria, ma un fallito assalto alle posizioni di
Seleuco induce l'esercito alla defezione, ed egli deve fuggire, tentando di
raggiungere il mare; Seleuco lo impedisce e, nel 286/285, ne ottiene la resa, a
cui segue un’onorata prigionia, in una residenza reale ad Apamea dell'Oronte.

12. Lisimaco, Seleuco, Antigono Gonata


Durante l'assenza di Demetio dal suolo europeo, ne rappresentava gli interessi
il figlio Antigono Gonata: egli riesce a conservare faticosamente il Pireo, ma
non può impedire che Eleusi fosse recuperata dagli Ateniesi, al comando di
Democare.

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Un accordo tra il Gonata e Pirro, in conflitto con Lisimaco, consente all'epirota


di affrontare presso Edessa l’avversario re di Tracia; ma l'ammutinamento dei
Macedoni dall'esercito di Pirro, in favore del vecchio e prestigioso compagno di
Alessandro, induce Pirro a rientrare in Epiro: Lisimaco, nel 284, è così in
possesso dell'intera macedonia.

Le posizioni di Lisimaco in Grecia si rafforzano rapidamente, e rapidamente si


deteriorano quelle del Gonata, a cui rimasero solo alcuni capisaldi (il Pireo e
Megara a sud, la Beozia e Demetriade al centro). Lisimaco si rafforza anche in
Asia minore, col recupero delle città toltegli da Demetrio, e,
sul piano politico col matrimonio della figlia Arsinoe con l'erede di Tolemeo I,
poi divenuto il Filadelfo, succeduto al padre nel 283.

Fu una tragedia familiare e dinastica ad azionare meccanismo che fece


precipitare la posizione di
Lisimaco nel mondo ellenistico: Arsinoe, sua giovane moglie, mise in cattiva
luce il figliastro Agatocle (nato da Nicea, figlia di Antipatro il reggente), che fu
condannato a morte.
La vedova di Agatocle, Lisandra, insieme con i fratelli e un altro figlio di
Lisimaco, cerca scampo presso Seleuco, e alla rivolta si unì Filetero, tesoriere di
Lisimaco, di stanza a Pergamo.

Seleuco supera il monto Tauro e invade la parte dell'Asia minore in possesso di


Lisimaco: ovunque fu accolto trionfalmente, o senza seria resistenza (da Cotieo
in Frigia alla Bitinia e fino a Sardi).
A Curupedio, nel 281, si svolge lo scontro decisivo con Lisimaco, che era
sopravvenuto dall'Europa e trovò la morte sul campo.

Subito passano dalla parte di Seleuco altre città, come Efeso; egli incontra
qualche resistenza fra le città del nord, come Eraclea Pontica, Bisanzio e
Calcedone, decise a difendere la libertà: egli non si curò di regolare i rapporti
con queste. Seleuco non poté imporre il suo dominio sulla Cappadocia di
Mitridate, che sconfisse un suo esercito.
Seleuco mirava a cogliere tutti i frutti della vittoria, ricostituendo a suo
vantaggio, e con dimensioni maggiori, quello stato eurasiatico, di cui aveva da
poco privato Lisimaco, volendo finire i suoi giorni come re di Macedonia; anche
se l'impossibilità d'una struttura 'unitaria' di un impero esteso su due continenti
gli era chiara, dato che progettò una spartizione con il figlio, Antioco I, a cui
sarebbero toccate le province asiatiche.

Ai disegni di Seleuco pose fine Tolemeo (detto Cerauno, “fulmine”), fratello


della vedova di Agatocle, rimasto deluso nelle sua attese di restituzione sul
trono d'Egitto (saldamente assicurato al Filadelfo), che a tradimento uccise
Seleuco, che da poco era in suolo europeo, presso Lisimachia, nel Chersone
tracico, e si accingeva a conquistare la Tracia e la Macedonia, che il Cerauno
poté rivendicare e acquisire per sé (280).
Un'alleanza, di prospettiva matrimoniale, con Arsinoe II, la persecutrice di
Agatocle fuggita dinanzi a Seleuco dall'Asia minore e rifugiatasi a Cassandrea,
e gli impegni diversi di Pirro (in procinto di raggiungere Taranto) e di Antioco

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(attivo nelle satrapie 'superiori' del suo impero), facilitarono il compito del
Cerauno.

L'unico che provò a sbarrargli la strada fu Antigono Gonata, che per terra e per
mare cerca di recuperare i dominii paterni di Macedonia e Tessaglia: ma una
durissima sconfitta navale, nel 280, assicura al Cerauno il dominio in
Macedonia e apre ad una rivolta generalizzata delle parti di Grecia che erano
sotto il controllo di Antigono.

La pace tra il Cerauno e Antioco I sembra garantire al primo un lungo regno,


ma un anno dopo egli muore combattendo contro i Celti (Galati) invasori della
Grecia (279).

Un elemento di turbamento e crisi, poco dopo Curupedio, fu rappresentato


dall'invasione dei Celti.
La capacità di reazione degli stati ellenistici fu all'altezza della situazione: con
l'eccezione del regno
di Tylis, sul territorio tracico, i Celti furono allontanati dall'Europa e dalle
regione costiere, più fortemente grecizzate, dell'Asia minore.
Il re di Macedonia, Tolemeo Cerauno, cadde combattendo nel 279 contro i
barbari.

Quando gli invasori, attraverso la Tessaglia, raggiunsero le Termopile, si


trovarono di fronte le popolazioni della Grecia centrale (Beoti, Focesi ed Etoli):
non riuscirono ad impedire lo sfondamento della linea, ma salvarono il
santuario delfico. A onorare il dio Apollo, salvatore del proprio santuario, furono
istituite le feste Soterie (“della salvezza”), nel 278, celebrate ogni 4 anni. Agli
Etoli, protagonisti principali della vicenda, ottennero la supremazia a Delfi, con
un notevole mutamento del tradizionale assetto dell'Anfizionia e del governo
del santuario.

Le tribù galliche dei Trocmi, Tectosagi e Tolistoagii, passate in Asia nel 278 su
sollecitazione di Nicomede di Bitinia e Mitridate del Ponto, sono indotte ad
insediarsi nelle Frigia interna (che prese il nome di Galazia), a seguito della
sconfitta subita contro Antioco I re di Siria nella battaglia «degli elefanti»
(275/274).

Con l'ascesa al trono (277 o 276) di Antigono Gonata vi è l’insediamento di uno


stabile potere monarchico in Macedonia: dalla morte del Cerauno sul trono
macedone si susseguono rapidamente il fratello, Meleagro, e Antipatro detto
Etesia, nipote di Cassandro. Deposto Antipatro, l'assemblea dell'esercito
macedone nomina al suo posto, ma col rango di supremo stratego, Sostene,
morto nel 278 o 277.
Nella battaglia di Lisimachia nel Chersoneso tracico (277), il Gonata sconfigge
le retroguardie dei Celti, e la vittoria sull'Etesia gli consegna il regno di
Macedonia, che conobbe una rinascita e una fioritura: lo sviluppo culturale
assume connotati particolari dall'educazione filosofica del sovrano, seguace del
fondatore della Stoa, Zenone di Cizio, ed è naturale seguito della rilevante
apertura
culturale che caratterizzò la Macedonia del V e IV secolo; ora, tuttavia,
l'interlocutore non è la sola

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Atene, ma tutto il mondo ellenistico.

Con Pirro lo scontro, soprattutto nel Peloponneso, si protrasse fino al 272, anno
della sua morte. Alla fine degli anni Settanta, Antigono controllava anche la
Tessaglia, e ampie zone della restante Grecia, e aveva uomini di fiducia
(tiranni) nel Peloponneso, e guarnigioni collocate nei 3 punti strategici
dell'Ellade (Demetriade sul golfo di Volo, Calcide euboica sull'Euripo, Corinto
sull'istmo).

13. Il consolidamento e i suoi limiti nei decenni centrali del III secolo a.C.
Un pieno consolidamento del dominio seleucidico in Asia minore (regno di Siria)
fu ostacolato dalle limitazioni della conquista seleucidica dell'Anatolia, ad ovest
del Tauro, e dalla ribellione di regioni un tempo soggette, come Pergamo, che si
rendono autonome; un altro fattore è la vicinanza dell'Egitto, assillante nella
sua pretesa di controllo dell'area siriaca, quantomeno quella meridionale.
Le diverse guerre di Siria con l’Egitto, tra 280 e 168, seguono quasi sempre lo
stesso copione, con risultati quasi mai tali da stravolgere il rapporto e i labili
confini tra i due regni.
Dopo l'assassinio del padre e di fronte all'attivismo egiziano, Antioco I si trova
di fronte a molti problemi, evidenziati dal confronto tra Seleucidi e Tolemei
(280/279), che provoca il formarsi contro Antioco di una vasta coalizione
(popoli d'Asia in vena d'indipendenza, Egitto e Macedonia).

La I guerra siriaca avviene nel 274-270:


I seleucidi strappano Marato in Fenicia; Antioco I sobilla il genero Maga,
fratellastro di Tolemeo II, che in nome di questo regge la Cirenaica e che ad
esso si ribella. Nonostante l'esito insoddisfacente,
la fine della guerra fu celebrata ad Alessandria con grande festa.
La politica tolemaica smette di iscriversi in un disegno di coalizione con la
Macedonia: lo scontro con la Siria è diretto, e corrisponde a un tratto
aggressivo, ampiamente dovuto all'influenza esercitata su Tolemeo II da
Arsinoe II, la sorella uterina che egli sposò (278) dopo aver ripudiato Arsinoe I,
figlia di Lisimaco.
Il matrimonio tra fratelli suscita scandalo in Grecia, e il raffreddamento
dell'Egitto con la Macedonia si esaspera nella 'guerra cremonidea': Cremonide,
politico ateniese, propose il decreto di guerra nell'assemblea del 267, che
prevedeva una coalizione tra Areo, re di Sparta, Atene e Tolemeo II contro il
Gonata.
Patroclo, ammiraglio egiziano, opera nelle acque dell'Attica, e Tolemeo fortifica
diversi punti nel territorio; ma Sparta, con la sconfitta e morte di Areo presso
Corinto, e poi Atene, dovettero arrendersi.
Atene subì guarnigioni macedoni al Pireo e sulla collina del Museo, un
governatore macedone nella città (epistátes), e la nomina di alcuni magistrati
cittadini da parte del re macedone.

Lo scontro tra Egitto, da un lato, e Macedonia e Siria, dall'altro, ebbe l'acme


nella II guerra
siriaca (260-253):
La Macedonia sviluppa il suo massimo sforzo per realizzare una politica navale,
volta soprattutto al dominio delle isole dell'Egeo (come necessaria integrazione

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del dominio esercitato sulla Grecia); la Siria di Antioco II si prendeva rivincite


nei settori occidentale e meridionale dell'Asia minore, ove
il contatto con le vecchie città greche orientava sempre più la politica
seleucidica verso la valorizzazione dei regimi di libertà e democrazia.
L'oggetto principale del contendere era la Lega dei Nesioti (isolani), cioè delle
isole Cicladi; un duro colpo alla supremazia tolemaica è dato dalla vittoria di
Cos (225) della flotta macedonica, in Asia Tolemeo II registra notevoli perdite in
Ionia, Panfilia e Cilicia.
Alle due paci separate con la Macedonia e con la Siria (255;253), seguì
un'alleanza tra Siria ed Egitto, suggellata dal matrimonio tra Antioco II e
Berenice, figlia di Tolemeo II, che comportava il ripudio della precedente
consorte di Antioco, Laodice.

Da tal matrimonio nasce la guerra di Laodice (246-241):


Antioco sceglie il compromesso, nominando suo successore il figlio di Laodice,
Seleuco II, mentre intende le nozze con Berenice come intesa con i Tolemei.
Alla morte di Antioco (246), scoppia la guerra tra Tolemeo III, che interveniva
nell'interesse della sorella e del figlioletto, e Seleuco II.
L'avanzata travolgente di Tolemeo III nel cuore del regno nemico non riuscì a
raggiungere gli scopi prefissi, dato che Berenice e il figlio furono trucidati ad
Antiochia, ma il dominio tolemaico in Siria era così avanzato in direzione nord
da includere la Seleucia di Pieria, una delle quattro città fondamentali della
Siria Seleucide (con Antiochia, Apamea e Laodicea).

Al tempo della III guerra siriaca (245), alcuni datano una vittoria navale dei
Macedoni sui Tolemei, presso Andro. Il regno di Siria continuerà ad essere
scosso da lotte di successione (negli altri regni si erano imposte successioni
ereditarie regolari): tra 240 e 237 vi fu la 'guerra dei fratelli' tra Seleuco II e
Antioco Ierace (l’”avvoltoio”) che fino al 228 amministrò in maniera
indipendente i possedimenti seleucidici dell'Asia minore occidentale, dalla
Troade alla Ionia e alla Caria.
Intorno al primo decennio della seconda metà del III (anni ’50-’40 del 200 a.C.),
i Seleucidi perdono il controllo della Partia (invasi dagli iranici Parni), dell'Ircania
e della Battriana (si rende autonoma, col satrapo Diodoto), cioè le regioni a
sud-est ed est del Mar Caspio: si colgono gli elementi di debolezza intrinseca
dell'espansione greco-macedone in Asia.

Il ridimensionamento tocca anche il dominio macedone:


In Grecia si rafforzano le posizioni delle popolazioni delle regioni occidentali,
che finora svolsero un
ruolo minore: gli Etoli e gli Achei, raccolti in due rispettive leghe (koiná). È vero
tuttavia che l'elemento dinamico nella storia della Lega Achea fu rappresentato
da una città non achea, Sicione,

che nel 251 fu liberata da Arato dal regime di cronici tirannelli e che si inserì
nelle manifestazioni di
irrequietezza che turbavano il dominio macedone a Corinto.

A Corinto, nel 253, al Gonata si era ribellato Alessandro, figlio di Cratero, che
governava la Grecia in nome del re, suo zio; nel 243 Arato libera la rocca
dell'Acrocorinto; intanto gli Achei si rivolgono all'Egitto di Tolemeo III, in grado

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di portare il vessillo della libertà e della democrazia, dato che la Macedonia


aveva imboccato la strada del predominio militare, del controllo politico e
dell'insediamento al potere, nelle diverse città, di uomini di fiducia, che la
tradizione greca considera tiranni.

I decenni centrali del III secolo vedono la massima fioritura politica e culturale
dell'ellenismo ('alto
ellenismo'), che conosce la sua acme tra il 280 e il 220: nonostante l'assenza di
pace, si nota la stabilità interna dell'Egitto e della Macedonia, e la tenuta del
regno seleucidico.

Dopo la morte di Antigono Gonata (239), il confronto fra la Macedonia e le


libere città di Grecia
passa attraverso fasi diverse: nella prima (239-229), corrispondente al regno di
Demetrio II (figlio del Gonata), lo scontro della Macedonia con le nuove realtà
federali, che ormai rappresentano la roccaforte dell'autonomia greca, è frontale
e investe entrambe le leghe: quella Etolica, estesa su gran parte della Grecia
centrale di qua e di là dalla Termopile e forte del controllo del santuario delfico,
e quella Achea, che raggruppa gran parte del Peloponneso e affila le armi
contro Sparta.
La guerra demetriaca non è risolutiva per la Macedonia, che dal 229, con
l'avvento di Antigono Dosone, tutore e reggente per il futuro Filippo V (figlio di
Demetrio II), entra in un periodo di raccoglimento (229-224), durante il quale si
verifica un significativo attivismo dei Tolemei in Grecia, e la restituzione, a
pagamento, delle fortezze attiche da parte macedone, che porta alla
restaurazione della democrazia ad Atene.

Sono anche gli anni di risveglio politico di Sparta, dove già nel 243-241 il re
Agide IV avvia un processo di riforma, basato sulla restaurazione dei valori
dell'antica agoghé spartana, e mirante all'ampliamento del corpo civico (ridotto
a 700 membri, di cui solo 100 di pieno diritto). Il tentativo si conclude
tragicamente per Agide IV (condannato a morte), a cui successe un periodo di
reazione, guidata dal re Leonida II, rientrato dall'esilio con l'appoggio degli
efori.
Per l’ironia della sorte, fu proprio Cleomene III, figlio di Leonida II, che sposa la
vedova di Agide IV, Agiatide (decisiva nell'influenzare il sovrano), ad operare le
riforme accennate da Agide IV, con metodi violenti, facendo uccidere gli efori
(227), e portando a 4.000 i membri del corpo civico.
Segue il conflitto con la Lega Achea, che si tinge dei colori del conflitto
ideologico: Arato di Sicione chiama nel Peloponneso Antigono Dosone,
offrendogli la restituzione della base di Corinto (224), che vent'anni prima
liberò -> svolta decisiva nella politica achea, che legherà decisamente le
propria politica con quelle della Macedonia per un venticinquennio, attraverso
quattro conflitti:
 la guerra con Cleomene, in svolgimento;
 la guerra sociale tra le due federazioni, l’achea e l’etolica (220-217);
 la prima guerra romano-macedonica (215-205);
 i primi due anni della II guerra romano-macedonica (200-198).
La Lega achea si avvicina così verso quella politica collaborazionista che
continuerà per alcuni decenni nei confronti di Roma (di contro alla Lega etolica
capace di viva resistenza nazionale).

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Cleomene III viene sconfitto nel 222 a Sellasia; fuggì in Egitto, dove muore ad
Alessandria nel corso di una rivolta (219) contro Tolemeo IV Filopatore, che gli
negava gli aiuti per rientrare nel Peloponneso.
Nel 222/221 il Dosone muore combattendo contro gli Illiri, e gli succede Filippo
V, che continua la politica filoachea (anche se la tradizione gli attribuisce di
aver procurato nel 213 la morte di Arato, avvelenandolo). Tra il 220-217 Filippo
V si impegna in una guerra dura quanto irrisolutiva a fianco degli Achei contro
gli Etoli, i quali estendono i dominii lungo la fascia centrale del territorio greco.
La pace di Naupatto (217) – ultimo accordo stipulato tra soli Greci - chiude un
conflitto su cui già allungavano la loro ombra le nubi che provenivano da
Occidente (sullo scorcio degli anni '20 del III secolo inizia il regno di Antioco III
di Siria che, in un'epoca di ripresa seleucidica e di ricostituzione dell'unità
dell'impero, approda, come in una parabola, al confronto con Roma, nella
guerra conclusa con la pace di Apamea del 188, che è l'avvio del declino del
regno di Siria).

14. I regni ellenistici: il territorio, la popolazione, le città


Dei nuovi stati a dirigenza macedone e greca, sorti in seguito alle conquiste di
Alessandro Magno e allo smembramento del suo impero, l'aspetto più
caratteristico è l'estensione territoriale, a cui conseguono:
 il numero cospicuo di abitanti;
 il carattere composito della popolazione dal punto di vista etnico;
 l’eterogeneità dei caratteri geografici ed economici del territorio;

Manca una centro urbano unico, intorno a cui la chóra si disponga, come nel
caso della pólis.
Non v'è pluralità di centri equivalenti in diritto, o politicamente collegati con un
centro egemone, come è in una lega o in uno stato federale: lo stato
monarchico territoriale comporta l'esistenza di una capitale, cui si affianca una
chóra, in cui sorgono altre póleis (questo, tutto ommato, è il caso di Alessandria
nel suo rapporto con l’Egitto) o di una capitale primaria, accanto a cui ne
sussistono di secondarie.

Il territorio dei regni ellenistici si presta per la sua estensione ad una


suddivisione per esigenze amministrative, fiscali, giudiziarie, mentre la prima
conseguenza sul piano militare è la dislocazione della forze in più punti, e la
creazione di più centri di comando, ovvia occasione di conflitti.

L’impero di Alessandro si estendeva per circa 5 milioni di km2; quello dei


Seleucidi ne raggiunse 3 milioni e mezzo; quello tolemaico 150.000 km2; quello
macedonico non superò i 100.000.
Meno facile appare il calcolo della popolazione.

Le strutture fondamentali dei regni ellenistici non rappresentano una novità


sostanziale nella storia di quegli spazi geografici e politici: il regno seleucidico
eredita la maggior parte dei territori e delle relative strutture dell'impero
persiano; l'Egitto recupera le strutture d'epoca faraonica, al di là dei periodi in
cui costituì una provincia dell'impero achemenide.

La novità consiste nel sopravvenire di un elemento etnico estraneo alla


regione, nettamente minoritario: è la presenza greca, assicurata dalla forte

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immigrazione, che avveniva a livello di soldati, di uomini di cultura o di persone


professionalmente qualificate, e di piccoli e grandi commercianti.
I Greci non arrivarono ad elaborare una teoria politica dello stato ellenistico,
inteso come fusione di elementi etnici diversi e distribuzione di responsabilità
politiche tra questi.
In Egitto i Tolemei consolidano Alessandria, fondata da Alessandro, e lasciano
sopravvivere l’emporio greco di Naucrati. Alessandria si contrappone, in
bipolarità, al resto del paese: tale residua chóra conferisce un carattere unitario
all'assetto economico e organizzativo del paese.
L'elemento più importante ai fini della costituzione di proprietà privata è la
concessione di grandi
tenute en doreâi: lo sviluppo della proprietà privata dovette essere un portato
dell'attivismo economico dei Greci e dell'incremento dell'economia monetaria
connesso al loro arrivo => furono i Tolemei a incoraggiare lo sviluppo della
proprietà privata.

Nel regno seleucidico si produce un’intensa colonizzazione e un forte sviluppo


della forma cittadina: le strutture territoriali sono troppo numerose rispetto
all'insieme del territorio per non costituirvi un fattore di tensione, troppo poco
estese però per identificarsi con la struttura generale del regno. I sovrani hanno
svolto una funzione mediatrice tra città e santuari (come nella contesa tra la
città di Milasa e il sacerdote Korrhis proposto al santuario di Zeus Labraundos).

In Macedonia la struttura politica, territoriale ed etnica non comporta gravi


problemi di fusione di forme di vita politica ed economica, che non siano quelli
dell'armonizzazione fra le più animate forme politiche delle città della costa e
quelle più tradizionali delle regioni dell'interno.
La macedonizzazione è più forte nelle città alla cui fondazione i Macedoni
hanno dato un qualche contributo (Cassandrea). Il territorio è del re e dei
proprietari grandi e piccoli, da cui si recluta l'esercito: è uno stato di natura
agrario-oplitica, in cui v'è posto anche per un'aristocrazia 'di tipo' feudale, in
quanto presta servizio militare.
Gli elementi dinamici sono creati dall'acquisizione di possedimenti esterni, dove
la concessione di cleruchie fa rapidamente spazio alla formazione di proprietà
private, dalla creazione di nuove città e dalla trasformazione degli istituti e
delle forme amministrative delle vecchie città macedoni.
Il territorio, nelle sue estensioni coltivabili, nelle miniere d'oro e d’argento e
nelle foreste, è posseduto dal re; ma c'è posto anche per la formazione di
grandi ricchezze, soprattutto di ufficiali reduci dalla conquiste di Alessandro.

Il caso più riuscito di regno ellenistico, sotto l’aspetto della generalizzazione


delle strutture politiche cittadine, sembra quello di Pergamo.
Il territorio del regno pergameno, nel massimo sviluppo (pace di Apamea del
188), è articolato in: città, colonie militari, proprietà templari, dominii reali e
tribù semi-indipendenti. => situazione tipica di ogni regno ellenistico, con
vicinanza maggiore a regno seleucidico, soprattutto per la presenza di
numerose città, di elementi etnici abbastanza eterogenei, di proprietà templari.
Siccome il principato pergameno emerse dall'ambito del regno seleucidico, e
ad esso furono sottratte le nuove acquisizioni dopo Apamea, si pone in vari casi
il problema dell'origine seleucidica
o comunque pre-attalide delle colonie militari, che sorgono senza fortificazioni.

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Vi sono insediamenti di mercenari greci (Eumenea), ed è attestata la presenza


di Macedoni, che forse si fondono con elementi locali (Misi, Moxeani, ecc.), e
anche immigrati d'epoca e di origine persiana (Ircani).

La peculiarità storica dei due più grandi stati ellenistici di nuova creazione
(Egitto e Siria), e di
vari altri stati minori d'Asia minore, è la coesistenza delle strutture di villaggio
con le strutture cittadine, e l'importanza delle prime quali fattori d'ordine
sociale ed economico di grande resistenza: a costituirle sono i laoí.
Definire lo status di quest’ultimi è complesso, ma in generale laoì definiscono
l'elemento indigeno rispetto a quello greco, è la popolazione la cui speciale
connessione con la terra viene definita volta per volta nel contesto, ma non è
contenuta a priori nel termine stesso (il rapporto di dipendenza è più chiaro
quando si parla di laoí basilikoí: non sono schiavi).

Alessandro Magno ha praticato una politica di fusione tra Macedoni e Orientali,


ad esempio con la politica matrimoniale: unione con Rossane, poi con Statira e
con Parisatide; nozze di massa dei suoi
ufficiali e soldati con donne iraniche.
La vediamo anche negli aspetti dell'organizzazione militare: costituzione di un
corpo di 30.000 epígonoi persiani; l’inserimento di cavalieri battriani, sogdiani,
aracosî, zaranghi, arei, parti, euaci, nella cavalleria eterica; ammissione di
singoli nobili iraniani nel ruolo dell'ághema.
Questa politica è portata avanti anche nel suo comportamento personale e di
governo.

Un completo rovesciamento della situazione sotto i Diadochi è ammesso in


generale dagli studiosi, ma forse con troppa facilità. Un’inversione totale di
tendenza non era neanche possibile pensarla in un regno come quello dei
Seleucidi; altrove, come in Macedonia, il problema non si poneva nemmeno. Fra
i tre regni ellenistici, solo in Egitto poteva verificarsi e si verificò, un mutamento
di rotta nei rapporti fra Greco-Macedoni e indigeni, nella direzione della
separazione.

Nelle colonie seleucidiche, gli elementi indigeni, che vivono nella campagna e
che conoscono la forma di habitat del villaggio, sono coinvolti nel processo di
urbanizzazione che la colonizzazione comporta -> fusione di elementi etnici
diversi.
L'attività colonizzatrice conduce alla creazione di città greche, fornite di
magistrati, consiglio ed ekklesía, e in cui la popolazione è ripartita in tribù e
demi.
Il regno seleucidico si dovette confrontare, soprattutto nelle regioni occidentali
dell'Asia minore, con le aspirazioni tradizionali delle póleis greche, sul piano
internazionale e interno, e che si riassumono in demokratía, autonomía ed
eleuthería: le istituzioni fondamentali della pólis non vengono alterate dal
potere monarchico, tuttavia vi sono una serie di elementi certo influenti: la
presenza di guarnigioni imposte alle città dai sovrani; l'invio di prostágmata da
parte del monarca; l'esazione di un tributo; l'imposizione di un epistátes.
Se, nel regno seleucidico, eleuthería e demokratía possono di fatto essere
associati, l'uno è un termine proprio dei rapporti interstatali, l'altro è un
concetto che pur essendo anche costituzionale,

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verso l'esterno, può assumere il valore di una nozione interstatale: il re tende


ad evitare la parola demokratía, che, per il suo contenuto costituzionale,
equivarrebbe ad un'interferenza negli affari interni delle città, che sul piano
formale preferisce mostrare di non compiere.

15. Le forme della monarchia ellenistica. Le strutture militari


Elias Bikerman ha formulato i fondamenti su cui poggia la monarchia
ellenistica: 1) Il diritto di vittoria; 2) La trasmissione ereditaria del diritto una
volta acquisito. Il locus classicus della
storiografia antica che fonda il principio del diritto di conquista connesso alla
vittoria è Senofonte, e, in particolare, il concetto di chóra doríktetos (terra
acquistata con la lancia) è richiamato più volte in Diodoro. L'importanza
dell'idea è diversa da regno a regno e nelle diverse epoche.

La monarchia si fondava sulla capacità di guidare un esercito e di amministrare


saggiamente la cosa pubblica: concezione che si contrapponeva all'idea che la
posizione monarchica fosse fondata o sulla nascita o su un diritto.
Il sovrano diventa legge animata e vivente, un'idea che risale a Platone e ad
Aristotele. Le definizioni teoriche della figura e delle funzioni del re dell'età
ellenistica indicano 3 funzioni essenziali:
1) Comandante militare; 2) Giudice; 3) Sacerdote.
Tali caratteristiche saranno comuni più o meno a tutte le monarchie
ellenistiche, ma con sfumature e varianti: il re-generale è caratteristico della
Macedonia, ed è anche un portato del predominio
storico della Macedonia, se l'età ellenistica si configura come età militare per
eccellenza, dove il 'militare' predomina sul 'politico' (quanto nella pólis classica,
esso era funzione del 'politico').
I re seleucidi sono combattenti e conquistatori.
L'ideologia del sovrano tolemaico – i cui epiteti si rifanno non all'ideologia della
vittoria, ma a virtù famigliari o politiche - è in qualche misura ancorata a quella
faraonica, dove il re è incarnazione innanzi tutto della giustizia divina.

Lo stato monarchico ha un'estensione coincidente con quella della chóra


doríktetos e della popolazione che vi risiede; ha un vertice coincidente con il re-
generale; ha un supporto di fatto coincidente con le dynámeis, le forze armate.
La sovranità dei re ellenistici trova espressione in insegne, quali: il diadema
(d'origine probabilmente persiana), la veste purpurea, lo scettro, l'anello col
sigillo (un tipico elemento macedone è la kausìa, il berretto a larghe falde).

Un aspetto dell'adattamento alle tradizioni locali è nell'assunzione dell'èra: un


calcolo continuo di
anni a cominciare dal I anno della dinastia, in àmbito seleucidico.

L'ampiezza del territorio comporta la divisione in distretti:


– In Egitto i nomoí, divisi in toparchie, e queste in villaggi;
– Nel regno seleucidico le satrapie (Antioco III pare aver perseguito una
politica accentratrice, anche attraverso la riduzione dell'estensione di
queste).
A capo dei distretti, in entrambi i regni, vi sono gli strateghi, con poteri civili e
militari.

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Secondo Granier l'assemblea dell'esercito ha rafforzato i suoi poteri dopo la


morte di Alessandro
Magno: tuttavia appare una tesi discutibile. Secondo Briant vi è una prevalenza
attiva dell'assemblea dei falangiti, della quale sottolinea la funzione di difesa
del principio dinastico e di opposizione all'aristocrazia dei cavalieri.
Si pone anche il problema, sulla base di un passo di Curzio Rufo, dell'esistenza
di un'assemblea popolare accanto a quella dell'esercito, e quindi del rapporto
fra le due; vi sono due possibilità: l'identificazione dei due tipi d'assemblea, in
considerazione del fatto che ogni cittadino macedone è un soldato, effettivo o
potenziale, o l'assunto che, in frequenti circostanze, l'assemblea dell'esercito
possa rappresentare l'intera assemblea popolare che, però, come tale non
cesserebbe d'esistere.

I poteri dell'assemblea del regno macedone consistono in diritti giurisdizionali


reali e nel diritto di acclamazione del nuovo re. Va evitata la sopravvalutazione
della funzione dell'assemblea
dell'esercito, in àmbito tolemaico e seleucidico: in tempo di guerra consisteva
in un'adunata dei
soldati che seguivano il re in una campagna, in tempo di pace era assolta dalle
truppe di stanza nella capitale, e ad essa poteva associarsi di fatto la folla della
capitale. Nonostante certe affinità con le assemblee democratiche, nonostante,
per loro stessa composizione, si configurassero come elementi in contrasto col
sovrappotere dell'aristocrazia dei cavalieri, vi erano delle differenze rispetto
alle normali ekklesíai. Se in una pólis, l'ekklesía si muove entro precise
strutture, di spazi e di istituti, che sono destinate ad accoglierla, nel mondo
ellenistico non c'è uno spazio organicamente predisposto per la riunione
dell'assemblea dell'esercito, che non sia l'accampamento, e la capitale non
offre spazi, che siano destinati all'esercizio di un potere politico della massa dei
suoi cittadini verso il sovrano.
Le adunate dei soldati e del popolo della capitale hanno un carattere irregolare,
anche se non consuetudinario e anche se sul piano pratico non sono
necessariamente inefficaci.

Le strutture e gli aspetti tecnici fondamentali dell'esercito macedone dell'epoca


di Filippo II e di Alessandro Magno erano rappresentati da:
1) Compresenza di fanteria, cavalleria, peltasti-mercenari;
2) Organizzazione falangitica della fanteria;
3) Presenza di una guardia di opliti e cavalieri (àghema);
4) Carattere territoriale e regionale del reclutamento.
Buona parte di ciò permane negli eserciti dei regni ellenistici, mentre la
possibilità di un collegamento del soldato alla terra, attraverso l'assegnazione
di un klêros individuale, o la fondazione di colonie militari, è nota all'antico
regno macedone, ma diventa una connotazione più caratteristica delle armate
ellenistiche.

Nelle sua struttura composita l'esercito tolemaico riproduce in larga misura il


tipo di organizzazione
militare macedone; concorrono a costituirlo:
1) I Makedónes, come forza regolare: nome che non ha preciso valore etnico
dal III secolo;
2) I mercenari;

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3) Gli indigeni;
4) La guardia del re;
5) Le forze di polizia
La grande incidenza di mercenari e indigeni caratterizza etnicamente e
sociologicamente le armate d'età ellenistica. Come ausiliari, già sotto il primo
Tolemeo, compaiono i máchimoi, indigeni che servono in corpi speciali, e
rappresentano un residuo d'epoca faraonica.
Depositario del comando supremo è il re, che però talora delega i poteri ad uno
o più ministri.
Gli strateghi, e le autorità subordinate o sovraordinate (ispostratego,
epistratego), uniscono funzioni militari e cariche amministrative.

L'esercito seleucidico presenta aspetti e problemi strettamente collegati con la


complessa struttura etnica dell'impero, la presenza di numerose katoikíai
(colonie) militari e con il maggiore impegno militare dell'esercito seleucidico.
Secondo Launey vi fu una notevole penetrazione degli elementi non greco-
macedoni nelle armate ellenistiche, innanzi tutto determinata dall'incapacità
demografica dei Greci e dei Macedoni di far fronte alle esigenze militari dei vari
stati, monarchici e cittadini: a fornire uomini provvedono, nel primo ellenismo,
la penisola balcanica, soprattutto la Tracia, e l'Asia minore, soprattutto Misia,
Caria, Licia, Panfilia e Cilicia; dal II secolo subentrano Iranici, Semiti ed Egiziani.

Più che gli aspetti organizzativi e tecnici, ci interessano gli aspetti sociali della
storia dell’esercito, come fenomeno di massa: aspetti verificabili per presenza
di documentazione, soprattutto per il
regno tolemaico. Nell'epoca ellenistica, definita «un'epoca militare», l'esercito,
come fenomeno di massa, è un terreno su cui si può valutare il rapporto
dell'elemento militare col potere centrale e la classe dirigente, da un lato, e
l'integrazione tra stranieri e indigeni, dall’altro.
E ciò, in Egitto, molto meglio che in altri regni ellenistici:
 esercito come terreno di confronto tra gli stranieri, affluiti da Grecia, Asia
minore, Palestina, gli indigeni e il popolo dominatore;
 la convivenza di indigeni e stranieri nelle strutture militari comincia
durante il Nuovo Regno, con Ramses III;
 gli stranieri sono dapprima Etiopi e Libii, poi, in epoca saitica, anche
Greci;
 in epoca tolemaica la novità è che gli alti gradi siano in mano dei Greco-
Macedoni.
Non si può parlare di vera integrazione: le unità restavano separate, la lingua
differente.
Una certa funzione di livellamento e aggregazione sociale fu esercitata dalla
presenza fisica dei cleruchi nella chóra e dall'attribuzione, dopo Rafia, di klêroi
agli indigeni => con la trasformazione in cleruchi dei máchimoi indigeni, si
verifica, per contrasto, la diffusione del termine kátoikos, con cui il soldato
greco o grecizzato cerca di distinguersi dai nuovi cleruchi.
16. La Sicilia, Cartagine e l'Italia nella politica di Agatocle di Siracusa
L'assetto dato da Timoleonte alla Sicilia greca durò all'incirca un ventennio, ma
furono le caratteristiche del regime da lui instaurato a Siracusa a dare il via a
una crisi dei rapporti politici interni, poi a una ripresa dell'ostilità punica, fino ad
allora tenuta a freno dall'assenza di un forte potere militare nella Sicilia
orientale.

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A Siracusa, il governo oligarchico, capeggiato da Eraclida e Sosistrato, viene


rovesciato dai democratici, e a stento si riafferma per l'intervento di Corinto
(che invia Acestorida) e col sostegno di Cartagine. Fra gli esuli democratici c'è
Agatocle, un ufficiale, già esule a Terme: i suoi primi anni d'attività politica sono
un susseguirsi di esilii, ma anche di acquisizione di posizioni di forza in città
vicine a Siracusa (Morgantina, Leontini).
Ne derivò un compromesso tra Agatocle e Sosistrato, a cui fu lasciato il potere
interno alla città, mentre i presidii extra-siracusani erano affidati ad Agatocle
(319/318).

Presto però Agatocle espelle da Siracusa gli avversari, e ottiene la carica di


stratego unico, rispettando in un primo momento la costituzione timoleontea,
ma adottando misure popolari, quali l’abolizione dei debiti e la redistribuzione
delle terre (316).
Fuori dal dominio di Agatocle restano Agrigento e Gela, sulla costa occidentale,
e Messina a nord.

Con la mediazione di Taranto, interviene contro Agatocle il principe spartano


Acrotato, il quale si reca ad Agrigento, dove s'era rifugiato Sosistrato con altri
esuli: ivi venne presto in conflitto con tale oligarca e lo fece uccidere, perdendo
la fiducia degli altri esuli, dovendo così rientrare a Sparta.

La posizione di Agatocle si rafforza anche nei confronti dei Cartaginesi, che


riconoscevano l'egemonia di Siracusa sulle altre città della Sicilia orientale.
L'egemonia di Agatocle era ben diversa da quella di un governo timoleonteo:
Messina si oppose, ma dovette alla fine bandire gli esuli siracusani e accettare
l'intesa con Agatocle (313).
La politica di Cartagine fino ad allora era stata di tolleranza e talora di
connivenza con Agatocle, e di ciò a Cartagine si dava la responsabilità ad
Amilcare. Dopo la morte di Amilcare soprattutto, era chiaro ad Agatocle che la
situazione era di nuovo in movimento e che conveniva prendere l'iniziativa
antipunica: così nel 311 Agatocle attacca Agrigento.
I Cartaginesi intervengono in difesa della città e si installano al promontorio
Ecnomo, nel territorio
di Gela, dove assestavano un duro colpo ad Agatocle, che li assediava presso
Phalarion, alla foce del fiume Imera (310).
Ne seguì la defezione delle città greche recalcitranti al dominio siracusano, da
quella della costa occidentale (Camarina) ai centri dell'area etnea (Leontini,
Catania, Tauromenio), a Messina.

Agatocle trasferisce la guerra in Africa, sbarcando con 14.000 uomini al Capo


Ermeo: prese Megalepoli e Tunisi, si accampò davanti a Cartagine, dove i punici
accettarono la sfida, ma dovettero ripiegare sotto i colpi di Agatocle, che
controllava il territorio, occupava Neapolis, Adrumento e Tapso. I Cartaginesi
sono sconfitti anche a Tunisi.
Parte delle truppe puniche avevano dovuto nel frattempo lasciare la Sicilia, per
correre in difesa del territorio metropolitano; il resto è di nuovo sconfitto ad
opera dei Siracusani nella valle dell'Anapo.
In Sicilia i Cartaginesi perdono il sostegno degli Agrigentini, che si illusero di
poter conservare una posizione d'indipendenza.

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In Africa, con il signore di Cirene, Ofella, Agatocle stringe un patto di


spartizione dei dominii cartaginesi, attribuiti per la parte siciliana ad Agatocle,
per la parte libica ad Ofella.
Nel 309 Ofella raggiunge Agatocle sotto Cartagine, ma fra i due scoppiano
dissensi che culminano nel conflitto armato, in cui Ofella muore, e il suo
esercito passa sotto Agatocle.
Una dopo l'altra cadevano sotto Agatocle le città suddite di Cartagine, da Utica
a Hippou Akra.
Cartagine resta in piedi, e quindi Agatocle, dopo la costruzione di una nuova
flotta, lascia gran parte dell'esercito in Africa al comando del figlio Arcagato, e
rientra in Sicilia (307).
In Sicilia, Agatocle:
 controlla adesso Eraclea Minoa, Segesta e Terme;
 dovette ripiegare di fronte all'esercito dei suoi oppositori, capeggiato da
Dinocrate.
In Africa i Cartaginesi riescono a riconquistare la maggior parte delle posizioni
perdute e a chiudere Arcagato a Tunisi, senza che Agatocle, con un intervento
in Africa, riuscisse a risolvere la situazione.
Fu la fine dell’audace spedizione: le truppe al servizio dei Siracusani si
ribellarono, trucidando Arcagato e un fratello.

Il fallimento della spedizione africana ridiede respiro al partito degli emigrati,


guidato dall'esule Dinocrate, che a un'offerta di compromesso avanzata da
Agatocle, rispose con la condizione che egli lasciasse la Sicilia, o si tenesse
pure Terme e Cefaledio, consegnando i figli come ostaggi.
Agatocle non accetta, puntando ad un accordo con Cartagine (306):
o in Sicilia vi sono cessioni territoriali a favore di Cartagine;
o forte risarcimento di Cartagine ad Agatocle.
Agatocle, con le mani libere, affrontò l'esercito degli immigrati, a cui diede il
colpo decisivo: Dinocrate accettò di riconoscere l'autorità di Agatocle,
ottenendone in cambio un alto comando militare.
Agatocle era finalmente legittimato all'interno e all'esterno, e poté assumere il
titolo di basileús, nella scia dei Diadochi di Alessandro Magno, e sposare una
figlia di Tolemeo I, Teossena.

Agatocle è capace di concepire piani d'ampio respiro, comportanti la centralità


di Siracusa e l’unificazione tendenziale della Sicilia; un orizzonte strategico così
vasto da includere un attacco diretto ai territori africani di Cartagine.
Riprende i piani di Dionisio I per la costituzione di un dominio in Italia e la
creazione di stabili punti di appoggio siracusani nell'Adriatico.
L'eredità di Dionisio I viene per intero assorbita e trasferita a un livello di
maggiore organicità.
Polibio riconosce sia ad Agatocle sia a Dionisio la capacità di fare carriera
partendo da umili origini – Agatocle avrebbe cominciato lavorando come
ceramista – e di diventare, oltre che tiranni di Siracusa, «basileis di tutta la
Sicilia e signori di alcune parti di Italia».

In Italia, dopo la conclusione della seconda guerra romano-sannita (304),


Taranto vede che il pericolo indigeno giunge da Roma, con cui stipula il trattato
del capo Lacinio (303/302), che cerca di conservare, al mar Ionio esteso a nord

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del promontorio crotoniate, i caratteri di un mare tarentino, vietandone


l'attraversamento a una flotta da guerra romana.
Taranto perciò prevede già lo scontro con Roma, ma combatte ancora gli ultimi
conflitti con i Lucani, che ora si schierano con Roma: Taranto chiede aiuto alla
madrepatria Sparta.
Nel 303 giunge un esercito di mercenari al comando di Cleonimo, che agisce
con modi spregiudicati.
Cleonimo si impadronì di Corcira, e da qui spadroneggiò per qualche tempo in
Adriatico, spingendosi fino alla laguna veneta, dove subì una sconfitta da
Padova.

I Tarentini, contro gli Italici, non possono che chiedere aiuto a Siracusa:
Agatocle ebbe alcuni primi successi contro gli Italici, con l'aiuto dei Brettii;
rivolse le sue mire a Corcira (troppo legata alla storia corinzia, perché la
corinzia Siracusa potesse disinteressarsene), su cui voleva mettere le mani il
macedone Cassandro.
Agatocle prende Corcira nel 298, ed essa fu data alla figlia Lanassa, sposa a
Pirro, re d'Epiro (295).

Sulla via del ritorno da Corcira Agatocle deve affrontare la ribellione dei Brettii:
occupa Crotone e, tornato in Sicilia, invade il territorio brettio, occupando
Ipponio (293); ottenne la resa della popolazione, ma appena rientrato in Sicilia,
la ribellione brettia gli scoppiò nuovamente alle spalle.

Agatocle tesse una tela grandiosa, ma destinata a fallire: allestisce una grande
flotta, destinata al sogno della guerra anticartaginese; rompe con Pirro, e fa
divorziare da lui la figlia Lanassa, che resta in possesso di Corcira; stringe
intese con Demetrio Poliorcete, nel frattempo divenuto re di Macedonia. Finché
una grave malattia accelera la sua fine (aveva 72 anni).

Poco prima della morte, non senza colpa di Agatocle, si complica la questione
della successione, cui in primo tempo era stato destinato il nipote Arcagato
(figlio dell'Arcagato morto nella spedizione africana), ma avendo avuto un figlio
dal secondo matrimonio (Agatocle il giovane), all'ultimo momento preferisce
questo: Arcagato lo fece assassinare, e il nonno ne vanificò l'ambizione,
restaurando la repubblica (289).

Con la fine di Agatocle si ripropongono i problemi tradizionali della storia


politica della Sicilia: i conflitti fra Greci e Cartaginesi, i conflitti all'interno del
mondo greco, il problema dei mercenari d'origine extra-siceliota, ecc.
In assenza di personalità adatte, ad incaricarsi della risoluzione sono forze
estranee all'isola, e si va così costituendo il terreno per la prima guerra tra
Cartagine e Roma, in cui buona parte dei Sicelioti si sentirà meglio
rappresentata dalla prima e, ancora una volta, Siracusa rappresenterà la
parabola dei sentimenti e atteggiamenti dei greci, e farà la scelta militarmente
e storicamente vincente.

17. La grecità d'Italia e di Sicilia dalla spedizione di Pirro alle guerre puniche
Nei confronti dei Lucani, Taranto voleva esercitare la funzione di tutrice delle
popolazioni greche.

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Quando perciò nel 282 Turii chiese aiuto ai Romani contro i Lucani, e Roma
inviò G. Fabrizio Luscino con un esercito che sgominò gli Italici, Taranto reagì
come di fronte a un'interferenza grave: sequestrò una squadra navale romana,
comparsa nel golfo di Taranto, e impose alla truppe che presidiavano Turii di
lasciare la città.

Taranto si rivolge al re epirota, perché eserciti una funzione di tutela della


grecità d'Italia: Pirro aveva le mani libere per un tale impresa, e Tolemeo
Cerauno, salito al trono macedone nel 281, gliene fornì i mezzi, in uomini ed
elefanti (5.000 fanti, 4.000 cavalieri e 50 elefanti).
Pirro considerava l'azione in Italia quale preludio alla conquista della Sicilia, il
cui assoggettamento era stato preparato anche dalle intese con Agatocle, ed
era confortato dall'esistenza di un figlio datogli da Lanassa (Alessandro), al
quale era destinato il regno dell'isola.
L’Oriente ellenistico si immette di forza nella storia dell’Occidente greco, ma
solo per registrare la fine dell’indipendenza di quest’ultimo.
Nel 280 Pirro attraversa l'Adriatico.
P. Valerio Levino cerca di impedire il contatto tra Pirro e gli alleati lucani, e ad
Eraclea ha luogo il primo scontro, in cui si impose l'epirota, che perse molti
uomini.

Nel clima di vittoria si salda un'unione greco-italica: Sanniti, Lucani e Brettii e,


fra i Greci, Crotone e Locri, passano con Pirro; a Reggio la guarnigione campana
installata da Roma brutalizza la
popolazione e ne saccheggia gli averi, conservando però la città all'alleanza
romana.
Pirro, nell'avanzata verso Roma, si spinge fino ad Anagni (Lazio, non lontano da
Roma): la capitale tuttavia è validamente presidiata con truppe rientrate
dall'Etruria e con nuove leve.
Cominciano tra i Romani e Pirro, attraverso l'ambasciatore Cinea, trattative di
pace, che sono infruttuose, anche per l'opposizione di Appio Claudio Cieco.
Nel 279 i Romani sono battuti ad Ascoli Satriano, ma le perdite di Pirro sono
alte.

La ripresa delle trattative (che nell’intenzione di Pirro dovevano produrre la


rinuncia di Roma al dominio sull’Italia meridionale) è resa vana dall'intervento
di Cartagine, che consolidò e ampliò i
vecchi trattati con Roma, e che mirava a bloccare il prevedibile attacco di Pirro
contro i Cartaginesi, che assediavano Siracusa, allora sotto il governo di
Thoinon e in conflitto con Sosistrato di Agrigento.

Pirro, chiamato dai Greci di Sicilia, nel 278, conferma il carattere della sua
missione, che era di liberazione dell'intera grecità occidentale dalle minacce
incombenti, sia quella romana in Italia, sia quella cartaginese in Sicilia: fu eletto
egemone e basileús, resta in Sicilia negli anni 277 e 276, ma nel 275 riparte.
La sua avanzata fu dapprima travolgente – erano cadute Selinunte, Alicie,
Segesta – ma si arrestò alla fortezza punica di Lilibeo. I Cartaginesi a questo
punto offrirono la pace, a patto di conservare Lilibeo; tuttavia Pirro, sollecitato
dai Sicelioti, rifiutò, fece guerra ai Mamertini alleati di Cartagine e tentò di
prendere Lilibeo, ma non vi riuscì.

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Scoppiarono presto dissensi tra Pirro e i Greci di Sicilia, insofferenti della


disciplina e dei tributi imposti dal re: Pirro giustiziò Thoinon.

Intanto i Romani avevano recuperato molte posizioni fra gli Italici e fra i Greci;
la flotta punica cerca di ostacolare il ritorno in Italia di Pirro, che poi sarà
affrontato nel 275 a Benevento dai Romani: la sconfitta dell'epirota era
segnata.
In tutta fretta, nel 275, Pirro abbandona Taranto, lasciandovi un presidio al
comando del figlio Eleno (fino alla resa di Taranto a Roma nel 272); rientra in
Grecia, dove voleva contendere ad Antigono Gonata il regno di Macedonia.
L'irruzione dell’epirota (primavera 274) fu inizialmente un successo, e le
ripetute sconfitte di Antigono incoraggiano la Lega Achea a una ribellione
contro la Macedonia e poi a una politica d'indipendenza e ostilità verso Sparta.
Pirro si trasferì nel Peloponneso, dove da molti fu accolto come liberatore: si
spinse fino a minacciare Sparta, che si rivelò imprendibile. Pirro si limitò allora
a saccheggiare la Laconia, puntando poi su Argo, su cui moveva, dalla
piazzaforte di Corinto, Antigono Gonata.
Pirro, dopo aver invano offerto battaglia campale al Gonata, entrò ad Argo,
dove dei partigiani gli aprirono una porta, ma nel corso di un combattimento
rimase ucciso (272).

Taranto si arrese a Roma nel 272, dopo il ritiro della guarnigione epirota, e
dovette accogliere una guarnigione romana, dare ostaggi e assicurare un
contingente navale a Roma.
I Romani prendevano poi Locri e Reggio, dove punirono la fedifraga legio
Campana, che aveva emulato i misfatti dei Mamertini, i mercenari campani di
Agatocle congedati dalla repubblica siracusana dopo la morte del basileus
(289) e impadronitisi di Messina.
In Sicilia si creavano le premesse per l'adattamento dei Greci alla realtà del
dominio romano, che la vittoria su Annibale nella II guerra punica (218-201)
sancì irreversibilmente.
Siracusa fu il teatro dell'avvento del potere personale di Ierone II, che, distintosi
quale ufficiale di Pirro, ottenne la carica di stratego con pieni poteri e si volse
contro i Mamertini, che un po' alla volta furono vinti, e ricacciati a Messina.
Ierone assunse il titolo di basileús (muore nel 215) e il suo regno segnò
profondamente la storia della Sicilia greca nel trapasso al periodo del dominio
di Roma, che prima nel 227 e poi nel 210 ordinerà la Sicilia a provincia.

Ad attirare i Romani in Sicilia furono i Mamertini. Dapprima chiesero, contro la


pressione dei Siracusani, un presidio cartaginese, ma poi prevalse un
orientamento “nazionalistico” e perciò filoromano, che faceva leva sulla
coscienza dell’affinità di stirpe tra Osci e Romani.
Con la tentata attraversata di Appio Claudio nel 264 e la riuscita diàbasis dello
Stretto nel 263, inizia la I guerra punica (264-241), che doveva rendere i
Romani padroni della Sicilia.
Ierone, nella guerra contro i Mamertini, aveva stretto alleanza prima con i
Cartaginesi, ma dopo le prime vittorie di Roma, decise di appoggiarsi a questa,
e di confinare il suo dominio a Siracusa, Leontini, Acre, Noto e Tauromenio,
versò 100 talenti, e si impegnò contro Cartagine.

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12. Il mondo greco e Roma


1. Le guerre illiriche e la I guerra macedonica (229-205)
Il capitolo che precede la “traversata con armi” di Roma a est dell’Adriatico è
quello delle ripetute aggressioni dei pirati illirici verso i commercianti italici, i
quali riescono a far valere le proprie proteste presso il Senato romano, nel 230;
ad essi si uniranno, contro lo stesso nemico, altre città greche, come Corcira,
Apollonia, Epidammo, Issa e popoli dell'area illirica.

Roma manda un'ambasceria presso la regine illirica Teuta, ma oltre a non


ottenere nulla, questa è vittima di un agguato, cui fa seguito l’intervento
militare di Roma.
Nel 228 si instaura quindi il protettorato romano sull'Illiria, ed Etoli e Achei
mostrano gratitudine per l’azione romana.
Nel 229 Roma aveva avuto dalla sua una dinasta di Faro, Demetrio: nel 219,
nuovi danni arrecati alle città illiriche sotto il protettorato romano e a isole
dell'Egeo proprio da parte di Demetrio, provocano un secondo intervento, che
si conclude con l’espulsione del principe illirico.

I Greci avvertivano come un pericolo l'avvicinamento di Roma al cuore della


loro realtà politica.
Filippo V di Macedonia intuisce che, tra Cartaginesi e Romani, il pericolo
maggiore era rappresentato dai secondi: rappresentanti del re macedone
eseguono quindi un giuramento d'intesa con Annibale nel 215 (fonte Polibio).
Roma, in Grecia, stipula un patto con la Lega etolica, per la spartizione della
preda, a cui si aggiungono i nemici della Lega achea nel Peloponneso (Elide,
Messenia, Sparta) e Attalo I di Pergamo.
La partecipazione romana non fu rilevante, Filippo V fu invece all’altezza dei
suoi avversari:
 riuscì a fiaccare gli Etoli, con cui concluse una pace separata (206);
 segue la pace di Fenice (Epiro) nel 205 tra Roma e Filippo V, che
consentiva a questi la conservazione dell'Atintania e gli imponeva la
cessione della Partinia e di alcune località illiriche.
Il tema dell’eleutherìa greca sembra porsi come principio ispiratore dell’azione
romana a oriente dell’Adriatico, propriamente solo a partire dalla seconda
guerra macedonica. C’è molto di vero in una concezione evoluzionistica della
politica romana, perché il tema della libertà dei greci non aveva esercitato un
ruolo dominante né nell’avvio della prima guerra illirica (229-228), che era
stata comunque l’occasione (se non anche la conseguenza) di più stretti
rapporti tra Roma e varie città greche, né durante la prima guerra romana-
macedonica.
Occorre considerare che una motivazione della guerra romana con la
prospettiva dell'eleuthería greca diveniva matura e poteva essere adottata solo
nel momento in cui Roma fosse in grado di presentare il suo intervento come
rivolto alla tutela della Grecia nella sua interezza o quasi: la nozione stessa di
libertà dei Greci si configura infatti come un’unità non frazionabile.
A questa sorta di patronato panellenico, Roma era arrivata per gradi.

All’origine del primo intervento ad est dell'Adriatico vi sono le pressioni dei


mercanti italici,

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attaccati dai pirati illirici; probabilmente solo più tardi sono raccolte sotto la
protezione di Roma città greche come Corcira, Apollonia, Epidammo, Issa e
popoli dell'area illirica (fonte Polibio).
Non è un caso se tali città si collocano lungo la rotta, diretta verso le coste
elleniche, battuta dai mercanti italici, perché potesse capitare loro di trovarsi
esposti alle azioni di disturbo degli Illiri; inoltre la sufficiente prontezza con cui
quelle città greche ricorrono alla protezione di Roma ha dunque verosimilmente
la sua premessa nella frequenza e buona qualità dei rapporti commerciali
greco-italici.

Se i Romani, dopo la pace con Teuta, inviano ambasciatori agli Achei e agli
Etoli, ma poi, significativamente, anche a Corinto (madrepatria proprio delle
città ioniche e adriatiche accolte nella fides romana) e ad Atene, queste
ambascerie prefigurano già un disegno panellenico, che acquista consistenza
qualche decennio dopo.
Il processo di patronato panellenico, di cui si può vedere una traccia nella pace
di Fenice (205), è maturato nel 198 a.C., con l'alleanza della Lega achea.

Non si può stabilire se le guerre romane avevano carattere difensivo o


offensivo: problema che sentivano anche gli antichi, i quali collegavano i due
momenti fra loro. Meglio attenersi a risultati storici della conquista che vedono
Roma estendere in Oriente, nel II secolo a.C., il suo controllo su regioni
appartenenti a popoli non colpevoli di avere per primi invaso il territorio
romano. Si potrebbe certo ammettere che la guerra romana si presenti come
preventiva: ma resterebbe poi da chiedersi se e quando e in quale misura, e
sollecitata da quali interessi di gruppi o di individui o di strati sociali, Roma
desse corpo alle sue paure o perfino le ingigantisse ai proprio occhi.

2. La seconda guerra macedonica


Alla fine del III secolo la Macedonia torna sulla strada dell'espansione nell'Egeo
settentrionale – una delle direttrici tradizionali, fin da Filippo II –, prendendo il
controllo su varie città della zona degli Stretti, fra cui Lisimachia (202).
Attalo I di Pergamo, e le città a lui alleate nell'area (Bisanzio e Cizico) e altrove
(Rodi), infliggono una seria di sconfitte a Filippo V nella battaglia navale di Chio
(201). Filippo si sposta in Caria.
I Romani, pressati dai Rodii e da Attalo I, intervengono contro Filippo V, forse
anche per il fatto che tra Macedonia e Siria poteva profilarsi una collusione
(una tradizione cita un patto per spartirsi l'Egitto: la Siria meridionale ad
Antioco III, i possedimenti tolemaici d'Asia minore a Filippo V), pericolosa per
l'Egitto (con cui Roma ebbe stretti rapporti) e per Pergamo. La tradizione
storiografica riporta anche una richiesta di aiuto da parte di Atene, esposta a
violazioni di inviati di Filippo, ma le motivazioni del rinnovato intervento in
Grecia non vanno cercate in un idealistico filellenismo, quanto in un desiderio
di prevenire il rafforzamento delle due potenze, che avrebbe impedito
un'ulteriore penetrazione romana nel Mediterraneo orientale.

Nel 200 l'ambasciatore Emilio Lepido rivolge a Filippo V richieste esose:


smettere di guerreggiare contro i Greci e ritirarsi dall'Asia. Ciò avrebbe
significato rinunciare alle posizioni acquisite da Filippo
II, all’egemonia in Grecia e alle conquiste di Alessandro in Asia.

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Roma si garantiva in questo conflitto la neutralità di Antioco III.


Dopo due anni di operazioni non risolutive, nel 198 Quinzio Flaminio impresse
una svolta decisiva alla guerra: Filippo V si ritirò fino a Tempe, abbandonando
momentaneamente la Tessaglia.
La Lega achea aderiva allora alla coalizione antimacedone.

Si tentò un'intesa in un incontro svoltosi a Nicea, con presenti Flaminio, Filippo


V e i rappresentanti delle città e dei popoli greci: ma il tutto fallì. Flaminio si
impadronì della Locride e Filippo tornò ad avanzare in Tessaglia, dove nel 197, a
Cinoscefale, è battuto dai Romani.
Nel 196 vi fu la pace, con cui Filippo V perde i possedimenti di Grecia e d'Asia
minore, la flotta da guerra e 1.000 talenti d'argento; è inoltre obbligato a
fornire truppe ausiliarie ai Romani.

Alle feste Istmie (aprile) del 196, Flaminio proclama l'autonomia dei Greci fino
ad allora soggetti alla Macedonia (Corinzi, Euboici, Focesi, Locresi, Tessali e loro
perieci: membri dell'anfizionia delfica).
I Romani lasciarono davvero libero il territorio greco, ma solo dopo aver
partecipato al nuovo conflitto intragreco tra il tiranno e riformatore sociale
Nabide di Sparta e i Macedoni, i Tessali, gli Achei, il regno di Pergamo e i Rodii:
Nabide, vinto, fu punito con la riduzione dei dominii, ma fu lasciato al potere
dai Romani; nel 192 è ucciso da uno dei suoi amici Etoli. Proscrizioni e uccisioni
di ricchi, liberazione di schiavi e iloti, ridistribuzioni di terre, misure monetarie e
sui debiti caratterizzano un regno che cambiò il volto storico di Sparta.

3. La guerra romano-siriaca (192-188)


Intanto si preparavano le premesse per lo scontro tra Roma e Antioco III, il
quale consolidava le posizioni nel Chersoneso tracico (ricostruzione di
Lisimachia nel 196), metteva le mani sui possedimenti tolemaici in Siria, Asia
minore, Tracia e rafforzava i legami con l'Egitto, dando in moglie a Tolemeo V
la figlia Cleopatra (che inaugura la serie di regine tolemaiche di questo nome).
Già nel 196 i Romani ammoniscono Antioco III di astenersi dall'aggredire le città
greche d'Asia minore, poi questi concede asilo ad Annibale, rafforzando i
sospetti romani. Il fattore decisivo fu la creazione della coalizione antiromana
degli Etoli, a capo della quale vollero Antioco III, che fu nominato generalissimo
(strategòs autokrátor) della Lega etolica. Il re seleucide era portabandiera di un
sentimento nazionale e delle confuse, ma pressanti, aspirazioni delle masse
popolari a un riscatto dalla loro opprimente condizione economica.

Antioco III non era all’altezza dello scontro.


Acilio Glabrione si scontra con egli alle Termopile, nel 191: sconfitto, Antioco III
si ritira ad Elatea, e poi a Calcide d'Eubea. Tra 191-190 subisce due sconfitte
navali (Capo Corico, Mionneso). Vi è poi la battaglia campale di Magnesia del
Sipilo (inverno 190/189), dove il Seleucide viene battuto dai Romani – guidati
da Cornelio Scipione e dal fratello Scipione l’Africano – e da Eumene II di
Pergamo.

Già nei preliminari di pace a Sardi, cui seguì la pace di Apamea (188):
 Antioco deve:
- rinunciare a tutti i possedimenti di qua dal Tauro;
- pagare 15.000 talenti in conto-riparazioni;

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- riconsegnare gli schiavi fuggitivi;


- estradare Annibale;
- riaprire i mercati del regno di Siria a Rodii e alleati.
 Eumene, nell'Asia minore di qua dal Tauro, ingloba le città già tributarie di
Attalo e di Antioco, posto che avessero parteggiato durante la guerra per
Antioco;
 Rodi acquisì la Caria a sud del Meandro e la Licia;
 le città greche che non erano state tributarie di Attalo o di Antioco
conservano l’autonomia.

Fu l’epoca di fioritura culturale e cultuale a Pergano.

In Grecia gli Etoli continuavano la guerra, ma, dopo alcuni successi contro i
Romani (inizio 189), cedettero all'attacco di M. Fulvio Nobiliore; alla caduta
dell'epirotica Ambracia, roccaforte etolica, segue, nel 188, la pace che impone
agli Etoli l'obbligo di assistere i Romani in caso di guerra. Delfi e altri territori
della Grecia centrale si sottraggono al controllo della Lega etolica, che continua
tuttavia a esercitare il suo dominio su una vasta area.

4. Roma, la Lega achea, la Macedonia di Perseo


Con il progressivo frantumarsi del mondo ellenistico (188-180), Roma ripensa
alla politica di “relativo disimpegno”, per interferire più direttamente:
 nel Peloponneso vi è l’acuirsi del conflitto tra Lega Achea, da un lato, e
Sparta e Messenia, dall'altro: lo stratego della Lega achea, Filopemene,
nel corso di una spedizione contro la Messenia (in particolare contro il p.
democratico al potere), è fatto prigioniero e avvelenato;
 in Asia minore vi è il conflitto tra Eumene II e gli Stati come la Bitinia (re
Prusia I), il Ponto (Farnace), e la repubblica di Rodi => Eumene II è
sospettato da Roma;
 crisi anche per la Siria seleucidica: per riparare alla crisi finanziaria
Antioco III ricorre ad esazioni forzate da santuari indigeni (come quello di
Bel a Babilonia); sotto Seleuco IV, figlio di Antioco III, vi sarà un
riavvicinamento con la Macedonia, sancito dal matrimonio di Perseo (dal
179 succeduto a Filippo V) con Laodice, figlia di Seleuco IV.

Perseo mostrò insofferenza verso gli stretti vincoli imposti da Roma alla politica
estera macedone dopo Cinoscefale; era inoltre diventato punto di riferimento
delle aspirazioni delle masse di indebitati e di scontenti. I Romani adottarono
verso Perseo una diplomazia provocatoria, volta a colpevolizzarlo e quindi a
provocare una rottura, che consentisse l'estirpazione del regno macedone. Q.
Marcio Filippo, nel 172, condusse le trattative volte alla rottura, e, scoppiate le
ostilità, guidò nel 169 la campagna che giunse nel cuore della Macedonia,
senza risultati decisivi.
Perseo cerca invano sostegno dai governi greci, e l'alleanza con il re illirico
Genzio non fu di grande utilità. Nel 168 il comando delle operazioni militari
romane passa a L. Emilio Paolo, che batte duramente Perseo a Pidna, dopo un
breve inseguimento; Perseo fugge ancora, si dirige al santuario dei Cabiri di
Samotracia: qui i Romani lo prendono, e lo trasferiscono a Roma, poi ad Alba
Fucens, dove alcuni dopo morì (165 o 162).
La Macedonia fu divisa in 4 repubbliche, con capitali Pella, Pelagonia,
Tessalonica e Anfipoli; esse erano isolate l’una dall’altra per il divieto di

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connubio e di commercio, era proibito il tradizionale commercio macedone del


legname per costruzioni navali; furono chiuse miniere d'argento e d'oro.

5. La politica romana nel Mediterraneo orientale dopo Pidna


Fra gli stati greci migliorava nettamente la posizione di Atene, che acquisisce
Delo e Aliarto.
Vengono puniti duramente gli Epiroti (15.000 venduti schiavi) e i Rodii che, con
la creazione di un
Porto franco a Delo (166), vedono mortificate le loro entrate portuali.
I grandi regni ellenistici vedono sempre più decisa l'interferenza romana:
Antioco IV Epifane, nel corso di una spedizione nel cuore dell'Egitto, giunge
sotto le mura di Alessandria, deciso a unire la Siria a quel regno -> il console Q.
Popilio Lenate, poco dopo Pidna, lo raggiunse ad Eleusi, sobborgo di
Alessandria, e gli ingiunse di lasciare il paese, imponendo una decisione
immediata, dopo avergli tracciato intorno un cerchio, entro il quale Antioco
doveva scegliere tra l’obbedienza a Roma o la guerra.

Nel quasi quarantennio tra la battaglia di Pidna (168) e l'annessione del regno
di Pergamo, con la conseguente creazione della provincia d'Asia (129), la
politica estera romana acquista cinismo e durezza. Ne fu testimone Polibio,
tanto ammirato della realizzazione storica del dominio romano su quasi l’intero
mondo abitato, quanto toccato dagli aspetti duri della sua politica; egli stesso
fu lucido osservatore degli avvenimenti: la Lega achea aveva assunto
comportamenti ambigui durante la guerra tra Perseo e Roma, e questa decise
allora di prendere in ostaggio gli uomini politici della Lega, tra cui lo stesso
Polibio.
La politica orientale di Roma seguì due linee, a seconda delle aree in questione:
 nella penisola greca, e verso la Macedonia, vi era attenzione vigile,
disposta all'intervento e pronta all'interferenza nelle faccende interne
degli stati -> qui, prima che altrove, si compie il processo d'annessione
diretta, con la creazione di una provincia (Macedonia, nel 147), e
l'espansionismo si mostra nelle sue forme più distruttive (distruzione di
Corinto, 146);
 nei regni ellenistici d'Oriente i processi sono più lenti e graduali, e spesso
assecondano le dinamiche disintegrative interne.

La III guerra macedonica (171-168) rappresentò una svolta nella politica


romana, non solo per i comportamenti verso i nemici, che divennero assai più
duri, ma anche per il cambiamento della politica romana verso gli alleati di un
tempo: Roma non accetta mezze politiche, compromessi.
 Dopo Pidna, cambia l'atteggiamento verso Eumene II e il regno di
Pergamo: Roma, in Asia, darà piuttosto sostegno a Prusia II di Bitinia,
accanito avversario di Eumene II.
 Rodi paga (v. sopra) le ambiguità nel conflitto con Perseo, e ottiene, dopo
2 anni di richieste, un'alleanza con Roma, pagata a caro prezzo.
 In Grecia la Lega achea per lunghi anni fu oggetto di rappresaglie di
Roma, che fino al 151/150 rifiutò di liberare gli ostaggi.
 Roma preferisce ancorarsi alle città rappresentanti i vecchi valori, Atene
e Sparta.
Gli anni '60 e '50 sono pieni di intensa attività diplomatica in Grecia e negli
stati orientali.

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In Macedonia e in Grecia si accumulavano intanto risentimenti: nel 151, e nel


149, in Macedonia, un certo Andrisco, proveniente da Adramittio, pretendendo
di essere Filippo, il figlio di Perseo, si incorona re a Pella, battendo il pretore
romano P. Iuvenzio. Lo pseudo-Filippo poteva contare sia sul rancore nei
Macedoni contro i Romani per la spartizione del regno, sia su accordi con
Cartagine, in guerra contro i romani dal 149 (III guerra punica 149-146 a.C.).
La campagna guidata da Q. Cecilio Metello pose fine all'avventura di Andrisco,
annientato a Pidna (148). => La Macedonia fu ridotta a provincia (147), e ad
essa in un primo momento furono aggregati l'Illiria e l'Epiro e, dopo la rivolta
acaica (147-146), anche il resto della Grecia, ad eccezione delle città liberae e
immunes, cioè le città più rappresentative della Grecia classica.
La Grecia è ridotta, nell’ottica romana, a una condizione museale, che ne
mortifica la vitalità politica, pur se ne conserva o perfino consolida il ruolo
culturale e l’immagine storica.

Il conflitto tra Roma e la Lega achea è causato da una levata di scudi contro
un'ambasceria romana:
a Corinto vengono insultati ambasciatori, che erano andati per dissuadere
l'assemblea federale dal dar seguito alla politica dei nuovi dirigenti achei, Dieo,
Damocrito e Critolaceo; era una politica
nazionalistica, che prevedeva anche prospettive di miglioramento della
situazione sociale
(abolizione debiti e concessione della libertà agli schiavi), ed era ostile a
Sparta, protetta da Roma.
Gli Achei dichiarano guerra a Sparta nel 146, e Roma interviene, infliggendo
due sconfitte agli Achei, una a Scarfea (Locride orientale) e l'altra sull'Istmo,
forse a Leucopetra. Conseguenze:
 Distruzione di Corinto nel 146;
 scioglimento Lega achea;
 intervento pacificatore di Polibio di Megalopoli sulle controversie, anche
di carattere civile e privato, cui il conflitto aveva dato luogo.
Fermenti di rivolta sociale e politica si manifestarono ancora nel II secolo a.C.

6. La crisi dei regni ellenistici nel II secolo a.C.


Nel regno di Siria, Antioco IV Epifane, stretto dai vincoli imposti da Roma già
con la pace di Apamea (188), fino all'intervento in Egitto (168), interpretò il suo
ruolo storico nel senso di un impulso all'ellenizzazione, quale diffusione della
forma cittadina e fattore d'omogeneità culturale: Babilonia ricevette le
strutture di una pólis ellenistica.

Difficile fu il confronto con i Giudei: un conflitto tra il re e il gran sacerdote


Giasone era scoppiato prima della spedizione egiziana di Antioco, conclusasi
nel 168 con l'intervento romano (Gerusalemme era stata posta sotto il controllo
di una guarnigione, e poi in parte riperduta dal re).
Dopo l'episodio di Eleusi d'Egitto (il 'cerchio' di Lenate), il re si dedica con
rinnovata attenzione all'ellenizzazione della città, assecondato da Giasone:
costruzione di un ginnasio, frequentato da giudei e da greci; ma le riforme
culturali iniziavano ad essere costrittive: viene proibito il culto di Jahvè e
introdotto nel tempio quello di Zeus Olimpio.

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Scoppia una rivolta giudaica, guidata da Giuda Maccabeo, che durò 3 anni, e fu
un movimento nazionale e religioso, e anche di rivolta della popolazione della
campagna contro quella di città, troppo aperta agli influssi ellenici. In vari stadi
(152-142) si costituisce lo stato giudaico (nomina di Gionata Maccabeo a gran
sacerdote, costituzione di una strategia e meridarchia di Giudea, ecc).
Nel 134 Antioco VII Sidete riconquista Gerusalemme, ma la sconfitta subita dai
Parti, impose un ripensamento della questione giudaica, e garantì la
sopravvivenza dello stato giudaico.

Fino al 150 il regno seleucidico comprendeva Siria, Cilicia, Mesopotamia e


Media. Sul versante orientale si sviluppa la pressione del regno partico, che con
Mitridate I, si annette la Media e, nel
141, con la conquista di Seleucia del Tigri e con incursioni in Mesopotamia, è
una minaccia. È dall'interno dell'Asia che il regno siriaco riceverà i colpi
decisivi, prima che giunga Roma a coglierne i frutti. A Gabe (=Isfahan), in
Media (=Iran), Antioco IV muore nel 164/3.
Combattendo contro i Parti, Demetrio II Nicatore cade prigioniero; Antioco VII
Sidete, dopo aver riconquistato Mesopotamia e Media, imponendo condizioni
esose ai Parti, suscita una durissima reazione e viene ucciso in Media nel 129.
Con la sua fine inizia il definitivo declino del regno seleucidico: frequenti
ribellioni di città del regno, che si guadagno posizioni d'autonomia.
Ora il regno dei Parti subentra nel ruolo di tutore dell'ellenismo

A oriente del regno partico si andava intanto affievolendo la vitalità dei regni
greco-indiani: nel 130 il re Eutidemo di Battriana soggiace all'attacco degli
Sciti, premuti dai Mongoli Tocari. Dell'espansione greca in India restano scarse
tracce.
Il II secolo nell'Egitto tolemaico è caratterizzato da un miglioramento della
condizione e del ruolo della popolazione indigena, la cui premessa fu l'utilizzo
di 20.000 soldati indigeni nella battaglia di Rafia (a sud di Gaza) nel 217, in cui
Tolomeo IV batté Antioco III di Siria: rilevante ellenizzazione dell'elemento
indigeno, che investe soprattutto le classi elevate.
Importante è poi la tendenza a una frantumazione del regno in tre nuclei
fondamentali: Alessandria con la «chóra» egiziana, Cipro e la Cirenaica.
La crisi, se c'è, è collegata con i continui conflitti dinastici e con l'opposizione
campagna-città; ribellioni e scioperi appaiono con innegabile evidenza nel
materiale documentario.

Non va sottovalutata la personalità spiccata dei due figli di Tolemeo V e di


Cleopatra I, i cui regni coprono gran parte del II secolo: Tolemeo VI regna dal
180 al 164, e di nuovo dal 163 al 145; sposa nel 175 la sorella Cleopatra II, e
regnò in comune con essa e con il fratello Tolemeo VIII fino al 164. Nel 164
Tolemeo VI fu cacciato, ma nel 163 vi è la spartizione del regno tra Tolemeo VI
e Cleopatra II (governanti su Egitto e Cipro) e Tolemeo VIII (re a Cirene).

Tolemeo VI diede un sussulto di vitalità, così che poté intervenire nelle contese
dinastiche in Siria
(prima a favore di Alessandro Balas, poi a favore di Demetrio Nicatore) in forza
della sua origine semi-seleucedica, rovesciando il rapporto tra Siria ed Egitto:
nel 145 Tolemeo VI fu persino acclamato basileus tes Asìas, ma morì
combattendo contro Alessandro Balas.

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Tolemeo VIII, che gli succede, allaccia buoni rapporti con Roma, che approdano
in un testamento a favore di questa, reso pubblico nel 155, a seguito di un
attentato subìto dal re: il documento in favore di un altro popolo diventava una
assicurazione sulla vita del sovrano.
Tolemeo VIII dovette dividere il regno d’Egitto con la sorella Cleopatra II e con la
di lei figlia Cleopatra III. Egli aprì una nuova via di comunicazione e di traffico
tra l’Egitto e l’India.
Sorsero contrasti tra il re e gli intellettuali greci, che vennero espulsi dal regno,
ma dal 131 al 127 il re dovette abbandonare Alessandria.

Ma il destino dell'Egitto era la frantumazione in tre tronconi.


Dalla morte di Tolemeo VIII, dopo il breve regno di Cleopatra II, emerse
Cleopatra III, il cui figlio favorito, Tolemeo X Alessandro I, ebbe l'Egitto; mentre
l'altro figlio, Tolemeo IX Sotere II, ebbe Cipro; Apione, illegittimo rampollo di
Tolemeo VIII, la Cirenaica.
Morto Apione (96), la Cirenaica passa in eredità ai Romani, in forza di un
testamento che ricalcava quello paterno, ma soltanto nel 74, in un anno di
particolari strette finanziarie, i Romani procedettero all’annessione della
regione.

Il primo governo provinciale oltre l'Egeo fu compiuto da Roma in Asia, dopo che
Attalo III le lasciò in eredità il suo regno. A contrastare loro il passo fu un
pretendente, Aristonico, che cerca di farsi riconoscere erede del trono di
Pergamo, assumendo il nome dinastico di Eumene: egli non riuscì però a
guadagnarsi il sostegno delle élites cittadine, le quali preferivano la protezione
romana e la condizione di autonomia che il testamento di Attalo III garantiva
loro.
Con Perperna e Aquilio la situazione si risolse in favore di Roma, che poté
annettere buona parte del regno, dove presto fecero irruzione gli imprenditori e
appaltatori di imposte romani (publicani).

7. L'annessione dei regni ellenistici all'impero di Roma


Nel I secolo a.C., mentre i regni di matrice ellenistica si avviavano al tramonto –
che giunse per i Seleucidi nel 63 a.C. con la creazione della provincia di Siria ad
opera di Pompeo, e per l’Egitto fu solo ritardato dalla volontà di potenti uomini
politici romani (Pompeo e Gabinio) o dai conflitti scoppiati fra di essi, e poi dai
rapporti affettivi tra Cesare e Cleopatra VII e quelli tra Antonio e la stessa
Cleopatra, e dalla forte personalità di questa – emergono regni, le cui dinastie
non erano di origine greca, ma, sensibilmente ellenizzate, poterono svolgere il
ruolo di tutrici della cultura e persino della forma cittadina greca, nonché di
antagoniste di Roma.
Il personaggio più notevole è Mitridate VI Eupatore, re del Ponto (121-63 a.C.),
che negli anni 89-85, 83-81, 74-67, si scontrò con eserciti romani in Asia minore
e, nel primo conflitto, anche in Grecia. Mitriade dominava il Chersoneso taurico,
cioè la Crimea, oltre a gran parte dell’Asia minore, e pose la capitale del suo
regno a Pergamo, per ereditare la funzione storica del regno degli Attalidi.
Nell'88 il re promosse un eccidio di Italici (80.000 secondo le fonti) ad Efeso e
altrove: sfoga l'ira degli abitanti d'Asia verso le vessazioni dei publicani.

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Con egli si riproduce, nelle città greche, uno schieramento molto simile a quello
determinatosi con Aristonico: città come Magnesia del Sipilo, Stratonicea o Rodi
gli opposero inizialmente resistenza.
Gli aspetti sociali (abolizione debiti, liberazione schiavi) si fondevano ora con i
motivi nazionalistici e gli portarono la simpatia dalla parte popolare, come di
Atenione, che capeggiò la rivolta di Atene contro i Romani. Era una svolta
piuttosto innaturale nella politica di Atene e nella storia dei rapporti tra Roma e
il mondo greco.
A dar corso alla dura reazione romana fu L. Cornelio Silla. Dopo le vittorie
conseguite sul generale di Mitridate, Archelao, all’inizio dell’86, Atene fu
saccheggiata nel marzo dello stesso anno; seguì il saccheggio dei santuari di
Olimpia e di Delfi, a cui si aggiunse quello di Epidauro.
La pace di Dardano (85 a.C.) chiudeva questo primo conflitto fra Roma e il re
del Ponto

Roma continuò nello spremere contributi dalle città greche, e per queste,
qualche vantaggio derivò dalla lotta contro i pirati, che si rifugiavano in
particolare nei porti di Cilicia e di Creta.
Nel 67, dopo le vittorie sui pirati, Pompeo riorganizza la provincia di Cilicia, alla
quale nel 58 è collegata Cipro. In Anatolia vanno ricordati la Cappadocia e la
Commagene, due chiari esempi di ellenizzazione della dinastia e della forma
del potere e dello stato. Nel 63 viene creata la provincia di Siria, ed essa
circondata da stati clienti di Roma; in Siria si poneva subito il problema del
rapporto con lo stato giudaico, che fu affrontato in diversamente da Pompeo,
più inteso a espandere l’area dell’ellenizzazione, e da Cesare, che riconobbe
invece vari privilegi ai Giudei.
Anche l’Egitto si avviava ormai a scomparire, sin dalla morte di Tolemeo IX
Sotere (80), la forte ingerenza romana pareva aver ridotto i sovrani a semplici
marionette.
Silla volle un matrimonio tra i figli dei due fratelli rivali, Berenice, figlia del
Sotere, e Tolemeo XI Alessandro II, figlio di Tolemeo X Alessandro: Berenice fu
uccisa da Tolemeo XI Alessandro II, Tolemeo XI Alessandro II fu ucciso dalla folla
di Alessandria. Sul trono giunse il figlio del Sotere, Tolemeo XII Neodioniso, ma
fu poi scacciato dal popolo di Alessandria.
Nonostante le proposte di annessione, Pompeo fece riportare sul trono nel 55
a.C., dal governatore di Siria A. Gabino, Tolemeo XII, che era in esilio e che
governò sorvegliato da un cavaliere romano.

Scoppia la guerra civile tra Pompeo e Cesare. In Grecia, come in Asia minore e
in tutti i paesi ellenizzati del Mediterraneo orientale, la guerre civili romane
comportarono un grave costo in tributi, sacrifici, disagi e anche vite umane. Tra
Pompeo e Cesare i Greci si barcamenarono; la clemenza di Cesare però valse
nei confronti delle grandi città greche dell’Asia minore, da Pergamo a Cizico a
Mileto. Dopo la battaglia di Farsàlo (48 a.C.) Pompeo si rifugiò in Egitto e fu
fatto uccidere da Tolemeo XIII.
Ancor più gravi le conseguenze della nuova guerra civile, scoppiata tra i
cesaricidi, Bruto e Cassio, e i vendicatori di Cesare, anche perché i primi erano
del tutto a corto di denaro, e dissanguarono le città o punirono per la loro
resistenza Rodi e le città greche d’Asia. L’Oriente greco divenne poi la base di
Antonio, e tale rimase anche nel conflitto con Ottaviano, deciso virtualmente
dalla battaglia di Azio (2 settembre 31 a.C.). In questa Antonio ebbe dalla sua

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la flogga della regina egiziana, Cleopatra, che aveva saputo già attirare a sé G.
Giulio Cesare, con la sua intelligenza e una grazia non priva di difetti: Cesare
aveva addirittura combattuto, per conto della regina ed amante, una tipica
guerra tolemaica di vecchio stampo, contro i ribelli di Alessandria (48/7 a.C.);
Cleopatra gli
diede un figlio, Cesarione.
Successivamente Cleopatra sostenne invece Bruto e Cassio; Antonio la convocò
a Tarso, perché si discolpasse: dall’incontro nacque una nuova, fatale passione.
Cleopatra era pienamente compenetrata del suo ruolo di erede dei sovrani del
passato; come suo padre (Tolemeo l’Aulete) si era proclamato Nuovo Dioniso,
essa fu la Nuova Iside. Antonio intanto le andava ingrandendo il regno, con
concessioni di territori, dalla Celesiria a Cipro a parte della Cilicia; e nel 34 a.C.
si arrivò a una solenne proclamazione dei ruoli di una intera ‘famiglia di re’, e
alla relativa spartizione dei territori, fra Cleopatra e Cesarione, che divenivano
‘re dei re’ (ed esercitavano la sovranità sull’Egitto e su Cipro), e i figli di
Cleopatra e Antonio (Alessandro Elio, che riceveva l’Iran; Tolemeo Filadelfo, che
riceveva Siria e Cilicia; Cleopatra Selene, cui toccavano la Cirenaica e la Libia).
La centralità assegnata all’Egitto rappresentava un rovesciamento della politica
pompeiana, che aveva fatto dirigere le vicende del regno del Nilo dal
governatore romano di Siria: la svolta è certo connessa al ruolo e alla
personalità di Cleopatra.
Fu facile ad Ottaviano presentarsi come il difensore della causa dell’Italia e
dell’Occidente contro le pretese egemoniche dell’Egitto tolemaico,
inopportunamente rese nuovamente attuali dalla politica del rivale Antonio. La
riposta di Ottaviano dopo la vittoria di Azio, e dopo la successiva campagna di
Alessandria e i suicidi di Antonio e di Cleopatra, fu misurata, ma risentì di quel
cattivo inizio di rapporti con il mondo ellenistico. Egli tenne distinta
l’amministrazione di Siria e di Egitto: una soluzione diversa sia da quella di
Pompeo, sia ancor più chiaramente da quella di Antonio.
La tradizione greca e romana ha ben delineato gli aspetti psicologici e storico-
politici del conflitto tra la Roma di Ottaviano e l’Egitto tolemaico di Antonio e
Cleopatra, che nonostante effimero fu causa di angoscia per i Romani. Le
vittorie di Azio (navale) e di Alessandria (terrestre e navale) furono sentite
come la liberazione da un incubo, una ‘grande paura’ che percorse il mondo
occidentale, a cui la tradizione associa l’odio verso Cleopatra, i suoi intrighi, le
sue minacce, e però anche, a tratti, una cavalleresca ammirazione per il
coraggio dimostrato dalla regina nel conflitto con Roma e, dopo, nella
orgogliosa e irrevocabile scelta del suicidio, compiuta per sottrarsi all’umiliante
esibizione sul carro trionfale di Ottaviano.

8. Impero e politica culturale da Augusto a Giustiniano


Difficili i rapporti tra Augusto ed Atene; quanto a Sparta, Augusto ne avvia
decisamente la trasformazione in una città diversa da quella originaria e
classica, riducendone drasticamente il territorio, sottraendo al controllo
spartano la più gran parte della fascia costiera della Laconia. Sparta diventa
allora definitivamente quel che si era avviata a diventare dal 146 in poi: una
città ellenistica come tutte le altre, con uno sviluppo urbano e monumentale
del tipo diffuso, in probabile corrispondenza con mutamenti strutturali, nel
senso di un pieno sviluppo della proprietà privata, della scomparsa dell’antica
servitù rurale ilotica, e del probabile sviluppo della comune forma di schiavitù.
Come altre città greche, anche se in una misura tanto più spiccata quanto più

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peculiari erano le sue istituzioni tradizionali, Sparta diventa in epoca romana


una entità culturale, archeologica, quasi museale.

All’orientamento tradizionalistico e nazionalistico di Augusto e di Tiberio fecero


seguito gli imperi di più chiara impronta ellenistica (di Caligola, in parte di
Claudio, e soprattutto di Nerone). L’ellenismo di Caligola si espresse soprattutto
nella divinizzazione che egli promosse della sua persona o nell’interesse
dimostrato per gli aspetti religiosi o per le tradizioni regali dell’Egitto ellenistico
(in questo, seguace entusiasta di Antonio). Fu soltanto Nerone però a prendere
decisioni di grande rilievo in favore della Grecia: nel 67 d.C. egli rinnovava la
dichiarazione di T. Quinzio Flaminino sulla libertà della Grecia, cioè aboliva la
provincia d’Acaia; provò ad aprire un canale attraverso l’istmo di Corinto,
sfiorando il completo successo; fu salutato dai Greci, colmi di gratitudine, come
Zeus eleuthérios (liberatore).

L’avvento della dinasia flavia significò una svolta culturale decisa, nel senso di
un recupero del tradizionalismo e nazionalismo augusteo e persino, ove
possibile, di una sua accentuazione. Le frequenti discordie, e i connessi
disordini scoppiati in àmbito greco, fornivano a Vespasiano il pretesto per
bollare i Greci come incapaci e perciò indegni di libertà; e le condizioni di
libertà e di esenzione dal tributo furono ritolte alla Grecia, alla Licia, a Rodi, a
Samo, a Bisanzio. I filosofi furono espulsi nel 74 d.C. da Roma e dall’Italia,
proprio nello stesso anno in cui l’imperatore concedeva privilegi ad altre
categorie di intellettuali (retori, grammatici, medici), sia quanto ad esenzione
dal pagamento delle imposte sia quanto a concessione del diritto di formare
associazioni professionali.

La svolta in politica estera rappresentata dalla politica di contenimento


dell’espansione, e di consolidamento della pace, realizzata da Adriano (117-
138), fu la premessa per quella poderosa ripresa dell’ellenismo, che
caratterizza il governo di questo imperatore e degli Antonini suoi successori
(Antonino Pio, 138-161; Marco Aurelio, 161-180). È intanto di grande interesse
il fatto che con Adriano e gli Antonini rinascita dell’ellenismo significhi rinascita
di centri, tradizioni, istituzioni, valori della Grecia propria. Adriano costruisce,
accanto alla vecchia Atene, ma distinta da essa, una seconda Atene: egli vuole
essere il fondatore non di un’altra città, ma di una nuova città. L’imperatore
filelleno porta al massimo livello quell’atteggiamento ‘archeologico’ verso la
Grecia che anche prima era affiorato nella politica romana, ma che ancora
durante il primo impero aveva lasciato spazio a forti interventi nel tessuto
monumentale e urbano dei vecchi centri greci. Nella sua città Adriano
costruisce l’Olympieion, un Pantheon, una stoá con biblioteca, il Panellenio. Tre
volte egli soggiornò ad Atene, facendosi anche iniziare, in uno di questi viaggi,
ai misteri eleusinii. E soprattutto egli fondò una Lega universale dei Greci
(Panellenio), con sede ad Atene, dotata di un consiglio, che si riuniva
annualmente nella città, e promotrice di feste Panelleniche celebrate ogni
quattro anni: un organismo a carattere culturale e cultuale, non politico. Mai
come sotto questo imperatore e sotto il suo successore ebbe senso, nel
rapporto tra Roma e Grecia, la parola evergetismo, quasi un programma
sistematico di governo; a ciò contribuiva del resto la politica di pace perseguita
dai due imperatori, che i Greci, divenuti ormai solo coscienti e dolenti vittime
della storia, sanno apprezzare, quando sottolineano come né l’uno né l’altro si

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fosse impegnato in guerre volontariamente. E quanto a guerre subite,


certamente pesò negativamente su Marco Aurelio, per quanto riguarda la
Grecia, l’invasione della penisola ad opera dei barbari Costòboci (circa il 170
d.C.). L’evergetismo d’altra parte è una pratica che non resta confinata
all’interno della politica e dell’amministrazione imperiale, ma storicamente
connota l’élite greca.

È difficilissimo indicare il momento finale della storia greca antica, per


l’impressionante divario prodotto dalla dominazione romana tra la valenza
politica dei Greci, immediatamente rimossa, e il loro prestigio culturale. Si può
certo ancorare la periodizzazione della storia della grecità al fenomeno
organizzativo più perspicuo, cioè alla storia delle città. Ma per questo aspetto i
rischi dell’indeterminatezza della fase conclusiva della storia greca sono ancora
maggiori: ché la città, come forma di comunità e di amministrazione, appare in
definitiva indistruttibile (finché questa o quella determinata città non sia
programmaticamente distrutta da un potere politico-militare) e perciò si
trasmette da un’epoca all’altra. Tra un limite troppo alto per definire il punto
d’arrivo della storia greca (quale la fine della libertà e della funzione politica dei
Greci) e un limite troppo basso, o addirittura strutturalmente non individuabile
(come quello della fine della città come forma di vita e amministrazione
comunitaria), converrà dunque adottare altri criteri (pur nella consapevolezza
di dover così rinunciare a definizioni cronologiche troppo rigorose), come quello
dell’esaurirsi, o del netto attenuarsi della funzione e dell’irradiazione culturale
della grecità, conseguenze anch’esse, pur se ritardate di secoli,
dell’obliterazione della funzione politica delle città. Ma poiché le città come
entità amministrative sussistono, è proprio in esse che si incentra e trova il suo
principale supporto la cultura greca. Sotto Roma la storia greca continua
dunque essenzialmente come storia della cultura greca, nel senso più lato della
parola.

Nella seconda metà del II secolo d.C. il regno del filelleno Marco Aurelio (161-
180) vede il singolare concorso di due grandi fattori di crisi e di declino: la
grande peste degli anni intorno al 166 e l’invasione della Grecia ad opera dei
barbari Costòboci, che giunsero a dare alle fiamme quel santuario di Eleusi, che
per gli imperatori filelleni, quali Adriano e gli Antonini, rivestiva particolarrisima
importanza (e che ancora nel III secolo d.C. conobbe una nuova rinascita). Con
Commodo (180-192), nonostante il permanere di formali atti di ossequio nei
confronti della tradizione greca e del prestigio di Atene, si registra invece una
svolta nella politica imperiale verso il mondo ellenistico, svolta che si
accentuerà nel periodo dei Severi e di Massimino Trace (tra il 193 e il 238 d.C.).
Ancora una volta, cartina di tornasole è la politica ostile tenuta da Commodo e
in definitiva dallo stesso Settimio Severo nei confronti dell’ellenismo di
Alessandria. Inoltre, è proprio a cominciare da quest’epoca che si diffondono
nella parte occidentale dell’impero culti orientali (come quelli di Mitra e di Ma);
tutto questo, mentre si consolida la diffusione del Cristianesimo, che si accinge
a cogliere, con l’editto di Costantino del 313 (editto di Milano), la sua definitiva
vittoria, nel riconoscimento di religione ufficiale dell’impero. Con ciò, esso si
individua come altro decisivo fattore, non della scomparsa della cultura
ellenica, ma certo della radicale trasformazione della sua funzione storica.

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Forme culturali greche però, tipicamente legate alla struttura cittadina, come la
ginnastica e l’efebia, persistono ancora in pieno III secolo. Vero è che subito
dopo la metà del secolo esplode tremendo l’altro fattore di crisi dell’ellenismo
antico, che vale per l’impero romano nel suo insieme e certo in primo luogo per
la parte orientale di esso: nel 253 navi di barbari (Goti, Burgundi e altri ancora)
fanno la loro comparsa nelle acque dell’Asia minore; tra il 256 e il 262 si
susseguono invasioni per via di terra delle stesse regioni anatoliche.
Storicamente ancor più significativa l’invasione della Grecia nel 267 da parte
degli Eruli, i quali espugnano Atene e devastano il Peloponneso, da Corinto e
Argo fino a Sparta. Per l’impatto profondo dell’esperienza dei nuovi barbari,
questo evento si presta bene a segnare, se non il punto finale dell’ellenismo di
epoca romana, almeno una delle tappe più emblematiche (come raccontato dal
comandante della resistenza anti-barbarica e storiografo dell’evento Publio
Erennio Dexippo).

Nel III secolo si va dunque davvero attenuando la vitalità della Grecia propria,
poi ridestata nel IV e ancora evidente in parte del secolo successivo. Certo i
grandi centri dell’area degli Stretti, dell’Asia minore, della Siria, dello stesso
Egitto, continuano a svolgere un ruolo, che l’avvento del Cristianesimo poté
solo esaltare, divenendo quelle città sedi di patriarchi o di grandi concilii, e
comunque restando come grandi centri di cultura. Che fra essi prevalga
Bisanzio, divenuta Costantinopoli, e capitale dell’impero, è del tutto
comprensibile. Ad Alessandria continuano a vivere, pur trovandosi esposte ai
rischi connessi con il loro ruolo di rappresentanti della cultura pagana in un
periodo di piena affermazione del Cristianesimo, le vecchie istituzioni culturali
di età tolemaica: il Serapeo con la sua biblioteca, andati distrutti nel 391 d.C., il
Museo e l’Academia.

Dunque, neanche l’epoca di Diocleziano o quella dell’imperatore cristiano


Costantino, possono considerarsi come il momento della morte della pólis.
L’estinguersi della cultura ellenica di tradizione pagana è segnata dallo
scomparire, un po’ alla volta, di quelle tradizioni e istituzioni culturali che,
quando accompagnate a un minimo di entità e autonomia amministrativa di
una città, ne facevano, tutto sommato, una pólis viva. Non sbaglia perciò chi
considera come fase conclusiva della storia greca l’epoca di Giustiniano, che
vietò la retribuzione e l’esercizio dell’insegnamento pubblico dei maestri pagani
ad Atene nel 529, quasi all’inizio del suo lungo regno (527-565); così come il
predecessore e zio Giustino I aveva, nel 520, posto fine alle celebrazioni delle
Olimpie di Antiochia, che continuavano probabilmente in qualche modo la
tradizione di quelle feste e gare, che ad Olimpia di Elide si erano celebrate per
l’ultima volta nel 393. Tra queste due date, così significative per la storia della
cultura greca (393 e 529), si colloca dunque l’esito di quei processi, graduali
ma ormai tutti di un solo senso e segno, che si possono ragionevolmente
identificare con la fase conclusiva della storia della grecità antica.

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