Introduzione
- Proporre un panorama generale della storia greca significa presentare
una nuova sintesi e dunque una nuova scelta di temi;
- Musti è convinto che, entro certi limiti, non sia possibile veramente
distinguere una storia politica da una storia culturale nel senso più
ampio: i fatti che si succedono al livello del registro politico sono al fondo
storia della cultura, delle idee e delle forme mentali;
- Bisogna compiere il massimo sforzo di applicare le categorie
interpretative e le forme mentali dei greci: tentare di vedere i Greci con
gli occhi dei Greci;
- Una coppia di categorie che ricorre quasi ossessivamente nei testi di
storici, oratori, teorici greci è la coppia pubblico e privato: è il binario
lungo il quale procede tutta l’esperienza politica e culturale greca;
- La storia greca come una ‘grande parabola’: un processo che muove
dagli inizi della storia arcaica, trova il suo culmine nel V secolo avanzato
e imbocca quindi una curva che “si stenta a chiamare di declino” ma che
certo è di grande trasformazione;
- Questa parabola, che tocca l’apice nel V secolo avanzato, è definita sulla
base della storia della città, e significa una storia della grecità come
storia della pólis [percorso diacronico della parabola];
- In ciascun punto di questa parabola è verificabile l’intreccio tra il politico,
il sociale, l’economico, la cultura, il mondo del mentale e
dell’immaginario in genere [intreccio sincronico dei punti della parabola];
- La parabola greca rivela in ogni suo momento il nesso stretto che
sussiste tra politica e cultura, un rapporto d’interazione dove è difficile
distinguere tra la causa e l’effetto, il prima e il dopo;
- Nel popolo greco si manifesta il processo per cui la natura si fa cultura,
senza mai smettere di essere natura, in una straordinaria congiunzione di
realismo e idealismo: la capacità di trasferire tutto sul piano dell’idealità,
dell’astrazione, dell’éthos, ribaltando però una base di partenza che è
realistica, naturalistica, utilitaristica, passionale, sensuale;
- La cultura greca è delle più realistiche della storia, ma è altrettanto
capace di creare un mondo di valori ideali in piena e lucida coscienza
degli impulsi e dei bisogni naturali e materiali dell’uomo;
- Non c’è nessuna massima o posizione ideale espressa nella grecità che
non sia stata sofferta, e filtrata, attraverso l’esperienza dell’esistenza
reale, di tutte le sue passioni, di tutti i suoi mali, o perfino dei suoi orrori.
L’armonia della pólis classica del V secolo è una pura invenzione di alcuni
moderni – l’esperienza greca della realtà è totale: il bene e il male, il
senso dell’amicizia e gli odi profondi, la capacità della dedizione generosa
e quella di tradire, vi si mescolano insieme;
- Una cultura dunque in cui l’armonia appare strettamente intrecciata alla
tensione;
- Quando i greci parlano di unità politica non intendevano unità territoriale
(come noi moderni), bensì un’unità nella diversità, un rapporto
Neolitico, “età recente della pietra” (VI – IV millennio a.C.): prima dei greci, c’è
una Grecia; popoli non ancora indoeuropei (quindi non ancora greci) che
cominciano a darsi forme organizzate della vita sociale archeologicamente
documentabili.
L’età del bronzo si estende in Grecia dal 2800 al 1100 a.C.; la consueta
tripartizione (Antico – Medio – Recente) vale nel continente (Elladico), nelle
isole (Cicladico) e a Creta (Minoico).
Data importante è il passaggio dall'Antico al Medio Elladico, intorno al 2000-
1800 a.C., a cui corrisponde la diffusione della ceramica Gray Minyan Ware, con
la cui espansione
dalla Tessaglia alla Focide alla Beozia all'Argolide potrebbe coincidere
l'avanzata di genti
indoeuropei (indicati come Achei) che costituiscono il nucleo della popolazione
ellenica in età pienamente storica.
2. La civiltà minoica
Il Minoico Antico, a Creta, è fase prepalaziale: l’uso del metallo influisce
sull’organizzazione sociale, si complicano/arricchiscono le forme ceramiche, la
gioielleria è raffinatissima, sintomo di sviluppo economico.
Medio Minoico I: nasce la civiltà palaziale (mégaron, palazzo semplice), nel
1900 a.C. ca sorgono i palazzi di Cnosso e Festo; in seguito vi è un
ampliamento e un’articolazione diversa delle funzioni dei diversi ambienti. ->
raffinamento del gusto e delle potenzialità artistiche, in ordine a uno sviluppo
delle forme del potere e dei correlati dati economico-sociali.
Importante è l’uso politico ed economico del mare, chiamato “talassocrazia di
Minosse” (controllo, dominio quasi militare sul mare).
7. Le regalità omeriche
I poemi omerici non possono non proiettare sull’epoca della guerra
Nell’Iliade il re figura come detentore del comando
troiana gran parte dell’esperienza storica dell’alto arcaismo greco, ma
in guerra, presiede le assemblee in cui vigetale proiezione si ricongiunge in parte idealmente con le condizioni reali
un’apparente libertà di parola, ma in cui ladellamigliore
monarchia di età micenea: nei poemi vi è influenza poetica.
virtù è obbedire; nell’Odissea si va definendo In generale per “alto arcaismo” si intende il periodo corrispondente,
l’esistenza di una vera e propria aristocrazia:nella non si ceramica, all’orientalizzante (antico 730-630, recente
storia della
tratta più di una coalizione di capi sotto il capo
630-580); “tardo arcaismo” va dal 580 alle guerre persiane. D. Musti
supremo, ma di un gruppo sociale omogeneo. propone una definizione di ”alto arcaismo” per il periodo che va dalla
fine dell’XI secolo al 730, di “medio arcaismo” per il 730-580 e di “tardo
arcaismo” nell’accezione corrente (VI e inizio V sec.)
8. Regalità di città greche arcaiche
La natura della comunità politica greca, come emersa nell'alto arcaismo, è
fondamentalmente aristocratica. La pólis nasce già aristocratica, benché
all'origine si tratti di un'aristocrazia organizzata intorno a una leadership, che si
fa valere per origini divine, e che ottiene prerogative (ghéra) riconosciute, in
fatto di proprietà terriera, dell'esercizio di funzioni sacrali/militari, di
rappresentatività della comunità politica, in un quadro sociale di forte
omogeneità. Progressivamente l’aristocrazia si libera da tale bisogno di
leadership, e ciò avviene quando la
società è più stratificata e l'intero strato aristocratico vuole esercitare il potere
politico.
V'è persistenza coerente di regalità, fino al VII, in tutto il Peloponneso dorico, e
fino al V nella parte ad esso indipendente: come i Dori hanno contribuito alla
nascita della nuova forma istituzionale greca (pólis), essi hanno anche a lungo
conservato le forme politiche che all'origine erano un apporto nuovo, ma che
col tempo diventano conservazione.
2. La costituzione di Sparta
L’ordinamento politico di Sparta, per staticità e compattezza, ebbe sui Greci
conservatori effetto di
miraggio, e non nacque con Sparta. Stando a Tucidide, la città fu turbata da
conflitti civili (stáseis) molto più che negli altri stati greci, ma non imboccò la
strada della tirannide: ne uscì con una costituzione severa e stabile, modello di
«buon governo» (eunomía): un equilibrio che riflette in parte le premesse del
mondo dorico (importanza dell'apélla, o assemblea dei cittadini soldati, si
ricollega al ruolo dell'esercito come provato nella conquista; nel numero 30
degli anziani (ghérontes) si riflette l'esistenza delle 3 tribù; lo spirito
d'uguaglianza circolante all'interno di tale oligarchia è riflesso di condizioni
originarie).
E plausibile che l’ordinamento vigente nel VI sec. a Sparta non sia quello dorico
originario, perché altrimenti dovremmo poterlo ritrovare nelle altre città
doriche. La diversità di Sparta sarà da concepire come acquisita storicamente,
come risposta a conflitti che però non hanno snaturato condizioni originarie
(solo più peculiari e rigide). È possibile che la diarchia (potere dei due re, delle
famiglie degli Agiadi, dettisi discendenti dell'eraclide Euristene, e degli
Euripontidi, dettisi discendenti del fratello Procle) sia espediente per garantire,
nel corpo civico, condizioni di stabilità e equilibrio. L'ordine spartano (il kósmos)
trova la miglior formulazione nella Grande Rhétra, il responso delfico che
Licurgo avrebbe ricevuto e messo in atto forse agli inizi del VIII sec.; è una
legge detta, non scritta, che sancisce:
o la costruzione di un santuario di Zeus Syllanios e di Atena Syllania;
o la struttura tribale di Sparta, cioè l'organizzazione in phylaí (le 3 tribù
genetiche doriche) e in obaí, cioè tribù territoriali o villaggi (5, e altri);
o l’esistenza di una gherousía di 30 membri compresi gli archaghétai
(«capi», «capostipiti», i re dei due rami della famiglia eraclide);
o il funzionamento politico, basato su riunione stagionale dell'apèlla, in cui
il dâmos non
Una tale articolata struttura può forse non essere maturata entro il VIII sec, ma
già nel VIII e VII,
nei conflitti con Messenii e Arcadi, si mette a frutto tale struttura,
organizzazione e singolare
disciplina; nel VIII e VII tale rigida organizzazione militare, date l'espansione e
la conquista, è nella
fase più attiva e vitale. Sparta, dove i ruoli cittadini tendono già a fissità, non
partecipa a imprese
coloniali che costituiscono prova di mobilità sociale/mentale degli altri Greci:
unica colonia
spartana d'Occidente nota alla tradizione è Taranto; con la conquista si cerca di
risolvere problemi di ordine demografico ed economico che altre città risolvono
con la migrazione.
Già nel VI secolo la capacità espansionistica si esaurendosi, e la città diventa
essenza di una statica conservazione, diventando la gendarme della propria
costituzione e delle aristocrazie in genere (Sparta è la loro tutrice/garante,
anche con lo strumento della Lega peloponnesiaca, e diventa sempre più il loro
modello ideologico), e si sente chiamata a responsabilità di difesa contro il
nuovo che turba gli ordinamenti politici e sociali greci (tirannidi e poi
democrazia ateniese). Il ruolo ideologico si riflette anche all'interno con la
xenofobia e la profonda chiusura, in cui s'ibernano i valori del kósmos. D'altra
parte, dato che Sparta è compatta e chiusa, ha bisogno di stranieri che
assolvano alle funzioni indispensabili (es. musica) per completezza delle
espressioni culturali di una città di struttura e base militare.
vita: segno che tali basileîs sono a tal punto integrati nell'aristocrazia da poter
essere ricordati come arconti.
Al periodo degli arconti a vita (1049?-753) sarebbe seguito quello dei 7 arconti
decennali (753-683) e poi quello degli arconti annuali, rappresentanti del
cardine del sistema magistratuale dell'Atene classica.
Si conosce poco della storia dell'Attica nell'alto e medio arcaismo, e tuttavia
Teseo permette di
Avvertire una caratteristica costante della sua storia politica: egli è oggetto di
forte ideologizzazione, investito di particolari valori simbolici: talvolta
rappresenta l’inizio della democrazia ateniese, sorte di monarchia illuminata, in
cui prevale l’elemento del consenso e quindi del potere popolare; appare come
antagonista dei dynatoí, i potenti delle aristocrazie locali; in tal veste a volte è
tiranno, contro gli oppositori aristocratici che difendono le proprie libertà contro
un potere accentratore; talvolta rappresenta un governo moderato, cui
s'oppone la demagogia di Menesteo -> Non c'è contraddizione tra questi, che
appaiono varianti sul cliché del re liberale, democratico e moderato, mentre i
dynatoí difendono autonomie locali: in parte è retroiezione dello sviluppo del
centro cittadino, con libertà e forte autonomia per campagna (caratteristica
fondam. della democrazia ateniese), in parte gestazione reale di un assetto
politico caratteristico dell'Attica.
Una terra quindi che si segnala per i conflitti politici che sembrano vitalmente
contrastare l’accentramento del potere: il risultato è un equilibrio politico tra il
centro e le diverse periferie, tra spinte livellatrici e forti poteri aristocratici di
base locale e vocazione autonomistica; l’Attica è quindi un territorio in cui
l’avvento della tirannide non era facile: infatti Atene non ebbe tirannide (ma
solo un complotto) nel VII secolo, e l’ascesa di Pisistrato alla tirannide fu
laboriosissima e vide diversi fallimenti =>Ad Atene si determina una temperie
politica particolare: se è prematuro parlare di avvento dello Stato all'epoca di
Solone, è certo che il ruolo del valore pubblico si va preparando attraverso
lunga una gestazione, con processi e atteggiamenti anche negativi, come la
ricerca costante di bilanciamento dei poteri.
Atene – con Sparta - è l'esempio di come l'opera dei legislatori e le tirannidi
siano espressioni del
travaglio politico delle aristocrazie greche arcaiche e, essendo l'una e l'altra
risposta alle esigenze
emergenti, tra esse v'è rapporto alternativo. A Sparta già nell’VIII secolo il
processo sembra compiuto, ad Atene emerge dopo:
o 636 o632 a.C.: tentativo di Cilone (genero di Teagene, tiranno di Megara)
d'impadronirsi dell'acropoli e d'instaurare una tirannide, ma fallisce per
l'intervento violento della famiglia aristocratica degli Alcmeonidi e della
gente del contado al suo servizio;
o 624: opera del legislatore Draconte, con pene particolarmente dure e
severe: legislazione sui delitti di sangue; norme sull'omicidio involontario;
sottrazione alla sfera privata della punizione di delitti appartenenti in
gran parte all'iniziativa dei famigliari della vittima -> spazio al potere
giudiziario del basileús e dei 51 ephétai
All'interno dell'aristocrazia ateniese si determinano le premesse dello sviluppo
politico avanzato che farà di Atene città-guida della Grecia dal punto di vista
delle strutture e dei diritti politici:
a) Eponimo, l’arconte per eccellenza (con il suo nome si indica l’anno, che ad
Atene va dal primo giorno del mese Ecatombeone all’ultimo giorno del mese
Sciroforione, all’incirca da luglio a luglio);
b) Basileús, che eredita nome e funzioni sacrali dello stadio monarchico
dell'aristocrazia attica;
c) Polemarco, che andrà perdendo funzioni militari, ma continuerà ad esercitare
la gestione
dell'”esterno” sul piano giudiziario;
d) 6 tesmoteti, forse all'origine legislatori e custodi di leggi.
Aristotele nella Costituzione degli ateniesi concepisce la storia del collegio dei
nove arconti come quella di una progressiva erosione del potere del basileus, a
cui si affianca il polemarco, e poi l’arconte e da ultimo i tesmoteti: egli ha colto
il carattere fondamentale del collegio, ispirato al principio dell’equilibrio dei
poteri.
Scaduto l’anno di carica gli arconti entrano nell'Areopago, consiglio di Atene
aristocratica che si riuniva sulla collina di Ares, sita a poca distanza
dall’Acropoli. In età classica gli arconti sono definitivamente coinvolti nel
processo di democratizzazione che s'espresse nella massima diffusione dei
tribunali popolari, presieduti da questi; secondo Aristotele l'eponimo in
particolare ha giurisdizione sulle cause di diritto privato fra i cittadini, il
polemarco sugli stranieri e il basileús sulle funzioni sacre, sulla direzione dei
misteri, delle Dionisie Lenee, dei sacrifici patrii, e presiede tribunali giudicanti
casi d'empietà e i tribunali particolari giudicanti casi d'omicidio.
Lo «Stato» aristocratico ateniese del medio arcaismo (VIII-VII) pare privo di
struttura consiliare
proveniente immediatamente dal basso: unica sembra quella degli ex-arconti,
dei notabili, che si
riuniscono sull'Areopago.
5. Le anfizionie
Si tratta di leghi di popoli o di città costituite intorno ad un santuario: lega
sacrale fra popoli
abitanti in uno spazio geografico coerente, che non abbiano già altri motivi per
avere un centro
sacrale unico. Intorno ai santuari di Poseidone sono centrate la lega di Calauria
e quella di
Onchesto; intorno a santuari di Apollo si raccolgono la lega di Delfi e quella di
Delo. Se già a Delo
sappiamo che annualmente si svolgeva la panégyris (grande raduno, descritto
nell’omerico Inno ad Apollo) degli Ioni delle isole intorno e di Atenestessa, con
l'anfizionia delfica, la più famosa, c'è maggiore sicurezza: nel VII secolo
(momento di particolare prestigio dei Tessali in Grecia centrale e momento di
notevole allargamento della precedente lega tessalica e peritessalica), o forse
già nell’VIII, la lega, etnicamente composita (Tessali e perieci dei Tessali), ma
ancora non troppo eterogenea, che si raccoglieva intorno al santuario di
Demetra ad Antela, ingloba il santuari di Apollo a Delfi.
Gli anfizioni sono in primi istanza i popoli membri della lega, poi, di
conseguenza, i rappresentanti nel sinedrio, il cui titolo è propriamente quello di
ieromnemoni, coadiuvati dai pilagori. Nel sinedrio ogni popolo dispone di 2
delegati, cioè di due voti. I popoli anfizionici sono 12 (gusto greco di
un'aritmetica politica), di cui 7 sono i Tessali (se presi con i loro 6 popoli
perieci), quindi con maggioranza assoluta (14 su 24 voti). Due volte l'anno vi
sono riunioni ordinarie (a primavera ad Antela, presso le Termopile; in autunno
a Delfi), dette pylaîai. Accanto ai 7 popoli vi sono ancora i Beoti, Locresi, Focesi,
Ioni (un voto spetta agli Euboici, l'altro agli ateniesi: significativo del grado di
sviluppo cittadino), Dori (un voto ai Dori della Metropoli, l'altro ai Dori del
Peloponneso: significativo del grado di sviluppo cittadino; Sparta userebbe
l'etichetta di entrambi).
mediante l’ampliamento del numero delle tribù, come nel caso di Sicione con
Clistene, che alle 3 vecchie dell'aristocrazia dorica aggiunge quella degli
Archélaoi).
– A Corinto la tirannide che priva del potere l'aristocrazia assai esclusiva dei
Bacchiadi è instaurata da Cipselo (figlio di Labda, dello stesso clan dei
Bacchiadi e di Eezione, del dêmos di Petra):
A) gli oracoli riportati da Erodoto riflettono una valutazione complessivamente
positiva di Cipselo (pur se Erodoto evidenzia anche aspetti negativi), e ivi i
Bacchiadi sono qualificati quali 'tiranni'. Cipselo, al confronto con il figlio
Periandro, nella letteratura del IV (Nicolao di Damasco), diventa un personaggio
nettamente positivo: idea di un peggioramento progressivo del regime quanto
a rapporti con l'aristocrazia, verso una forma più chiaramente tirannica, è
comune a tutta la tradizione;
B) l'asprezza del conflitto della tirannide con i Bacchiadi ha giustificazione nel
carattere
esclusivo/statico della dinastia bacchiade, oligarchia con abitudini
endogamiche, di re
discendenti da un ramo eraclide cadetto, che regnarono a Corinto dal 1074 al
891, per poi
prendere con Bacchide la basileía fino al 747; dopo clan diede vita a forma
'repubblicana', al
cui vertice non più basileús, ma prytanis («principe»), magistrato annuale,
scelto all'interno
della stretta oligarchia (747-657): conflitto con tale aristocrazia non fa di
Cipselo nemico
dell'aristocrazia in generale e neanche della 'classe oplitica'. In virtù della sua
funzione di
polemarco (capo militare, di opliti) si mette in luce;
C) peggioramento con Periandro: si circonda di 300 guardie del corpo,
impedisce ai cittadini di acquistare schiavi (attacco a libertà economica),
spoglia le donne dei gioielli, nefandezze di ogni genere, anche verso famigliari:
realizza solitudine totale, tópoi del destino del tiranno;
D) Socle, alla fine del VI, è portavoce della forma politica risultante dalla
tirannide e dal suo abbattimento: una democrazia, più moderata di quella dei
Bacchiadi, per cui Erodoto suggerisce termine isocrazia, che sembra unificare
la forma democratica e quella non democratica.
o Controllo politico del territorio. In tal senso i Sicani sono stati più
ellenizzati rispetto ai Siculi: a) tra il 488 e il 472 il tiranno di Agrigento
Terone costituisce un dominio continuo, trasversale, che attraversa il
territorio sicano tra la sua città ed Imera (costa settentrionale);
b) il territorio selinuntino confina con quello segestano, e ciò ha
comportato una qualche capacità di tenere sotto controllo la popolazione
sicana dell'area o delle sue vicinanze. In tale direzione avanzò Falaride
nel IV: gli scontri che affrontò mostrano che i Sicani erano capaci di una
resistenza spentasi nel secolo successivo.
Dalle città eoliche e ioniche d'Asia muovono molte delle colonie greche delle
coste dell'Asia Minore:
Forse arricchì il vecchio quadro istituzionale con nuovo consiglio, quello dei
400, cento per
tribù (divise in tre 'terzi' trittyes, e in 12 naucrarie, cioè distretti con funzioni
finanziarie).
Si tratta di articolazioni ulteriori dell'assetto tradizionale, che nella coscienza
generale sono
rafforzamento, non cesura: rifiutò le sollecitazioni a farsi tiranno, rifiuta la
redistribuzione della terra, che avrebbe significato rovesciamento dei diritti
formali di proprietà, quelli dei grandi proprietari, unici a possedere tali titoli che
fossero formalmente definiti.
Favorì l'artigianato, la produzione ceramica, con un certo sviluppo commerciale
(favorì
esportazione olio, pur vietando altre forme di esportazione).
Solone si presenta come valorizzatore del politico, come creatore di valori
comunitari, la sua debolezza sul terreno dei fatti fu di operare solo mediazioni:
è il dialektés, pacificatore, il grande mediatore, non vuole essere tiranno.
Quando si trasferisce per commercio e turismo in Egitto, ad Atene riprendono le
stáseis (conflitti politici) dopo 5 anni una nuova anarchia (= assenza di
arconte), e poi un arcontato di durata eccezionale di Damasia, seguito un
arcontato decimvirale, a cui succede un'articolazione in 3 gruppi politici,
composto da 5 eupatrìdai (gente id nobile lignaggio), 3 àgroikoi (contadini), 2
demiourgoì (artigiani); poco dopo troveremo una diversa articolazione sempre
in 3 gruppi politici, questa volta
su base territoriale: i pedieis (i proprietari terrieri del pedìon), i paràlioi
(proprietari di regioni costiere) e i diàkrioi (quelli della zona montuosa). Non
veri partiti, con ideologie, ma uno strumento di soluzione dei conflitti.
Solone aveva interpretato il ruolo dell'uomo di potere come una funzione di
mediazione degli interessi in conflitto, che operasse con la forza della legge ed
entro i limiti delle competenze magistratuali: era l'antitiranno.
2. La tirannide di Pisistrato
Nella carriera di Pisistrato si scorge lo stretto rapporto tra oplitismo e tirannide;
egli crebbe in prestigio e potere dopo esser stato polemarco, carica con la
quale conseguì importanti successi contro Megara, a cui furono sottratti l'isola
di Salamina e il porto di Nisea. I successi militari aprono la strada politica di
Pisistrato, che diventa capo dei diacrii (a capo dei pediaci Licurgo, a capo dei
paralii Megacle). Ha un programma politico e sociale molto più marcato di
quello soloniano, volto a dare una soluzione ai problemi che l'opera soloniana
aveva lasciato senza risposta: uno sviluppo della piccola proprietà e una
politica estera di espansione, di ricerca di reali punti d'appoggio per le attività
commerciali, a cui Solone aveva fornito più stimoli che non occasioni
d'esplicarsi in concreto.
Non era facile instaurare una tirannide, col grado di coscienza politica e
comunitaria maturata ad Atene: resistenze molteplici provenivano da radicate
tradizioni di bilanciata gestione del potere, dal
vigoroso rafforzamento di tali principi nell'opera soloniana, dall'esistenza di più
'partiti' in città.
Non a caso, ad Atene, la tirannide è anticamera, premessa storica – non
pacifica – di democrazia. Ad Atene il treno dei rapporti politici è più avanzato
che in altre città (a Solone seguono decenni di dialettica politica, che
confermano scontro sociale e significano anche riluttanza a tirannide):
Pisistrato tenta 3 volte l'ascesa al potere (561/560; 549; 534/533) e 2 volte
viene indotto all'esilio.
Nell'ambito dei 3 tentativi emerge solo progressivamente la figura del tiranno,
e, per Aristotele, almeno nel primo periodo di potere governò più da 'politico' e
da 'cittadino' che da 'tiranno' (nella concez. politica greca tirannide è forma di
anticittà).
Il secondo (549-543/542):
il rientro, quindi l'inizio del 2° periodo di tirannide, è dovuto ad un’alleanza fra i
diákrioi di Pisistrato e i parálioi di Megacle (staccatisi dall'alleanza con la
grande proprietà del pedíon), e secondo un modulo spesso ricorrente, l’alleanza
politica è suggellata da un'alleanza matrimoniale (figlia di Megacle).
Stratagemma: una donna di altissima statura del demo di Peania, abbigliata
come la dea Atena, è fatta montare sul carro, in città preceduto da araldi,
annuncianti che la dea in persona riconduce Pisistrato al potere: ancora un
rientro in legittimità e tradizione. L’alleanza politica non regge, pare per
inadempienze matrimoniali di Pisistrato, che secondo Erodoto non volle figli
dalla stirpe sacrilega e maledetta degli Alcmeonidi; già sposato e ragionante in
termini di continuità dinastica, pensa agli interessi dei figli già avuti, non
propende per continuare la dinastia di Megacle, che sembra anch'egli entrato
nella logica della tirannide. La crisi dei rapporti fra suocero e genero, secondo
la Costituzione degli Ateniesi, scoppia nel 7° anno: Pisistrato lascia il potere
sotto la pressione dei due gruppi opposti, di nuovo collegati fra loro.
Il terzo (533/532-528/527):
Nel 506, ad Ippia, deluso dalla mancata restaurazione della tirannide da parte
degli Spartani che lui dava per scontata, i Tessali, provarono ad offrire, come
dominio sostitutivo, Iolco, e i Macedoni Antemunte. La linea pro-tessalica dei
Pisistradi era maturata in un atteggiamento antibeotico, e specificatamente
antitebano: infatti da tempo i Beoti avveano contrastato vittoriosamente
l’egemonia tessalica nella Grecia centrale; si apre così un capitolo di rapporti
strettissimi fra Atene e Platea, che durerà a lungo nella storia greca.
La sua tirannide:
ambizioni talassocratiche, esplicantisi in una temibile attività piratesca;
esistenza di una corte e di poeti di corte;
sviluppo industria della lana;
grandi opere portuali, costruzione di gallerie e acquedotti.
Nuove istituzioni:
consiglio dei Cinquecento (boulé), sorteggiando 50 membri per ogni
tribù, e avrà così larga applicazione il titolo, altrimenti grandemente
selettivo, di prytanis («primo, principe»);
la prytaneía è di 1/10 della boulé, quindi 50 membri (buleuti appartenenti
alla stessa tribù), e per 1/10 dell'anno (35/36 giorni) questa prepara
l'ordine del giorno (prógramma) e talora si occupa anche delle funzioni
consiliari (probuleutiche): la tribù per un tempo determinato può
rappresentare città;
al calendario naturale, astronomico, si affianca quello politico scandito
secondo il numero 10: in ogni pritania ci sono un’assemblea ordinaria e
tre straordinarie.
Clistene doveva aver già elaborato gran parte della sua riforma costituzionale
quando gli si oppose Isagora, spalleggiato da Cleomene I, re di Sparta: primo
scontro vinto da Isagora, che ottenne l'arcontato pel 508/507, e 700 case di
partigiani della democrazia (fra cui gli Alcmeonidi) furono bandite. Venne allora
la risposta popolare: Isagora e Cleomene, assediati sull’Acropoli s'arrendono,
e Clistene rientra, e si ritiene abbia qui completato la sua opera.
Dal 506 le minacce si addensano, vecchi rivali si coalizzano contro Atene:
- I Beoti e i Calcidesi invadono l'Attica, ma respinti subiscono il
contrattacco, con una clamorosa sconfitta di Beoti ed Euboici;
- gli Spartani premono sulla Lega peloponnesiaca per un intervento contro
Atene e per la restaurazione della tirannide di Ippia, ma i Corinzi
s'oppongono e, con successo, fanno riflettere gli Spartani sui mali della
tirannide: la democrazia adesso respira.
Nel giugno del 493 Istieo tenta di trasferire la guerra sul continente, e nel
territorio di Atarneo si scontra con l’esercito persiano, comandato da Arpago: fu
battuto e tradotto a Sardi e giustiziato.
La flotta fenicia torna in possesso di Chio, di Lesbo, dell'Ellesponto; Milziade II,
tiranno del Chersoneso tracico, trova scampo ad Atene
Nel 492 il re Dario invia suo genero Mardonio con esercito e flotta in Tracia ->
assoggettamento di
7. Dopo Platea
Sul campo di battaglia fu eretto un altare a Zeus Eleutherios (“della
libertà”), presso il quale ogni anno si celebrava un sacrificio, e ogni
quattro anni avevano luogo giochi panellenici che continuarono fino ad
epoca romana;
Parte del bottino fu dedicata a Delfi, ad Olimpia e al santuario di
Poseidone sull’Istmo;
Tebe venne punita, costretta alla resa dopo un assedio di 20 giorni:
Attagino, capo dei filopersiano, fuggì, altri giustiziati, e la lega beotica fu
sciolta.
Nel 479 la flotta greca, al comando del re spartano Leotichida, raggiunse Chio e
Samo per sollecitazione degli stessi Ioni; i resti della flotta persiana, in sosta
presso Samo, abbandonarono l'isola per raggiungere il continente. Le navi
vennero tratte in secco, non lungi dal promontorio di Micale: distruzione delle
fortificazioni persiane e le loro navi in fiamme.
Seguono:
ribellione di tutti gli Ioni;
abbattimento delle tirannidi filopersiane;
inserimento delle isole di Samo, Lesbo e Chio nella Lega greca.
Sull'Ellesponto, Abido e Sesto erano ancora nelle mani persiane: la flotta greca
si dirige verso la zona degli stretti, ottenendo la defezione di Abido; ma con
l'autunno i Peloponnesiaci tornano a casa, lasciando il campo agli Ateniesi, che
assediano e prendono per fame Sesto (primavera 478), con la cooperazione
degli Ioni, che già qui resuscitano quel rapporto privilegiato con Atene avuto
agli inizi della rivolta del 499.
Nella primavera del 478 una forza navale peloponnesiaca comandata da
Pausania torna ad operare, con Ateniesi e Ioni, sulla costa caria, a Cipro, di cui
una parte è sottratta ai persiani, e nell'area degli Stretti, dove finalmente è
conquistata anche Bisanzio.
Il rapporto degli Ioni con gli Spartani si deteriora per il comportamento duro,
quasi tirannico, tenuto da Pausania, che, sospetto anche di filomedismo, è
8. Le città di Magna Grecia e Sicilia fino alla tirannide dei Dinomenidi a Siracusa
Il VI secolo è il periodo di massima fioritura della Magna Grecia, a cui
corrispondono spinte espansionistiche, volte a modificare delimitazioni areali
originarie. Il periodo in cui la denominazione di Megále Hellás è stata più
calzante è quello in cui le città achee si impegnarono a costituire un’area
unitaria e a cancellare ogni traccia d'intrusione. Magna Grecia può significare il
dilatarsi verso occidente della grecità in quanto tale, e solo secondariamente
un'area coloniale specifica. Quando comparirà nei testi (Polibio, II-I secolo a.C.)
sarà solo un’espressione di nostalgia di perduta grandezza culturale e politica,
che evoca e appartiene al passato.
La guerra vinta dagli Achei contro i Siri (575), e quella perduta dai Crotoniati
contro i Locresi (battaglia della Sagra, 550), hanno ancora l’aspetto di comuni
conflitti arcaici territoriali; mentre lo scontro tra Crotone e Sibari, culminante
nella distruzione di questa, si arricchisce di un motivo ideologico: a Sibari
l'aristocrazia è oppressa dalla tirannide di Telys – le tirannidi erano rare nella
Magna Grecia arcaica –, 500 rappresentanti ottengono asilo a Crotone, ma Telys
ne chiede l’estradizione, ma da parte di Crotone concederla significa
acquiescenza, negarla significa la guerra. Pitagora, da anni gran consigliere
dell'aristocrazia crotoniate, è il promotore del riarmo morale e materiale della
città, spinge e convince alla guerra.
Sibari viene distrutta dopo un assedio di 70 giorni, e ciò si ripercuote
negativamente su Pitagora e i suoi: alla tesi degli estremisti (tendenza
oligarchica o popolare) della necessità di distribuire le terre strappate ai
Sibariti, si contrappone la tesi pitagorica di gestione comunitaria della terra
(teoria della 'terra indivisa'): apparentemente Pitagora ha dalla sua la città, ma
la sua sede (synhédrion) viene incendiata e lui costretto a peregrinazioni, fino
alla fuga a Metaponto, dove morirà.
Formalmente il motivo dei disordini antipitagorici sta nel sospetto che Pitagora
e i suoi 300 mirassero a instaurare una tirannide (che in tale periodo in Grecia
equivale a un aspro conflitto con l’aristocrazia).
La tirannide sembra una formula politica (o antipolitica) particolarmente adatta
a determinati sviluppi territoriali, e il principio opposto è quello dell'autonomia
della pólis, che equivale ad accettare il frazionamento territoriale, quel
policentrismo tipico della mentalità cittadina dei Greci.
Il momento decisivo della presa di coscienza di Atene del suo ruolo nel mondo
greco è nell'assunzione dell'egemonia della Lega ellenica. Vi contribuiscono
fondamentalmente gli Ioni, ma non tutti a condizioni identiche: i più
pagheranno un tributo in denaro (phóros), che in totale ammonta a 460 talenti
annui; con navi contribuiscono le città insulari (Samo, Chio, Lesbo), che hanno
la funzione di sentinelle sul fianco orientale dell'impero egeo che sta nascendo.
Sede del tesoro e delle riunioni del sinedrio federale sarà Delo, isola
tradizionalmente teatro delle grandi panegyreis (“assemblee”) ioniche, e
località abbastanza distinta da Atene perché la scelta non sia sentita come una
mortificazione della dignità degli altri Ioni, ma abbastanza vicina e in stretto
rapporto perché resti soddisfatta l’esigenza di Atene di esplicare il suo ruolo di
città-guida.
La finalità dichiarata è la continuazione della difesa dai Persiani, e di un
regolamento dei rapporti
nell'Egeo soddisfacente per i Greci, cioè per la loro sicurezza e i loro interessi.
La cerimonia solenne del giuramento sancisce l’impegno ad avere sempre «gli
stessi amici e gli stessi nemici». Su tale programma ad Atene le voci discordi
sembrano poche e isolate, tra cui quella di Temistocle, assai meno interessato
ad un conflitto con la Persia e più sensibile al maturare di un conflitto con
Sparta, ma fu ostracizzato nel 471.
3 doriche tradizionali (Illei, Dimani, Pànfili), che pare segnare tale sviluppo.
Nasce così la simpatia di Atene, che sboccherà nel trattato di alleanza del 462,
e la letteratura ateniese lo attesta (Supplici, Eschilo).
In Elide gli sviluppi verso la forma democratica, compiutisi nel V secolo, sono il
risultato storico, favorito dall'affermazione della democrazia ad Atene, della
condizione e organizzazione del territorio: una campagna libera, popolata da
centri dotati di forte autonomia, che assieme promuovono un centro urbano,
sede delle decisioni politiche (forma moderata di democrazia).
5. Cimone o il lealismo dei conservatori
Ad Atene è il momento dell’ascesa di Cimone, figlio di Milziade e generale delle
prime operazioni della Lega navale: le azioni militari della Lega cominciano in
quell'area egea settentrionale che, per essere meno direttamente a tiro della
potenza persiana e del governatore persiano di Sardi, è quella in cui si
concentrano gli ultimi tentativi di resistenza alla Persia.
Cimone libera dalla residua presenza persiana Eione, alla foce dello Strimone
(476), poi assoggetta Sciro (475); non è certo se gli vada attribuita la guerra
contro Caristo in Eubea, che si conclude con un accordo; ancor meno certo che
sia il generale che asservì l'alleata Nasso contro tutte le regole vigenti (471):
questa è una delle poche cesure marcate da Tucidide, quale salto di qualità
deteriore nei rapporti tra Ateniesi ed alleati, sempre più in balìa degli umori
della città egemone, che è
sempre più potente militarmente.
L'acme della carriera di Cimone è nella battaglia dell'Eurimedonte, duplice
battaglia, navale e terrestre (470/469 secondo Diodoro): a secondo dei casi le
fonti la collocano alla foce del fiume della Panfilia per entrambi i momenti, o
distinguono uno scontro navale tenutosi a largo di Cipro, ed uno terrestre
svoltosi presso la foce dell'Eurimedonte.
L'acclamazione di Cimone a giudice del concorso tragico delle Dionisie del 468,
quello che diede la vittoria a Sofocle contro Eschilo) ne attesta l’alto prestigio,
ma dato che non è di carattere pacifico (alla designazione degli strateghi come
giudici s'arriva solo a seguito di una non prevista rissa fra spettatori), non è da
concepire necessariamente come la prima celebrazione del reduce o di un
trionfatore di recentissima data.
Ben noto è il ruolo di Cimone nella spedizione – a seguito di una rivolta – contro
Taso (ancora Egeo
settentrionale), isola prospiciente le coste della Tracia e l'area mineraria del
Pangeo, dove Taso sfruttava miniere d'oro, non meno redditizie di quelle
possedute dall'isola stessa: nel 465 defeziona, e da qui al 463 si svolge un
lungo assedio. La miniera di Skaptè Hyle e i possessi del continente passano
agli Ateniesi. La guerra di Taso è un salto di qualità nella politica ateniese verso
gli alleati: è in campo l’interferenza nell'assetto economico.
Nel 465 gli ateniesi tentano anche di colonizzare Ennéa Hodoí, sul corso dello
Strimone, ma sono sconfitti a Drabesco dai Traci Edoni.
Cimone commette il suo maggiore errore politico nel 462, quando impegna
Atene in misura eccessiva al fianco degli Spartani, che avevano richiesto aiuto
(anche ad altre città) nella guerra contro i Messenii e gli Iloti ribelli: 3° guerra
messenica (464-455), «del terremoto». Il terremoto che distrusse Sparta, e
produsse vittime tra gli Spartiati, giunse durante la guerra di Taso: ne
approfittarono per ribellarsi gli iloti della Laconia e soprattutto della Messenia (i
Messenii asserviti) e un paio di comunità perieciche dell'area del Taigeto (Turia,
Aithaia). Ne nacque una guerra di rivolta e resistenza 'nazionale' dei Messenii,
arroccati sull'Itome (parte orientale della Messenia).
L’intervento ateniese, voluto da Cimone, non risulta efficace, e alimentò negli
Spartani il timore di collusioni con gli insorti derivanti da una qualche
solidarietà ideologica antiaristocratica.
Di qui segue la decisione di rinviare a casa gli ateniesi.
L’insuccesso umiliante segna la svolta apertamente antispartana della politica
estera ateniese (alleanze con Argo, con i Tessali, con Megara in funzione
anticorinzia e quindi in generale antipeloponnesiaca) e il crollo della credibilità
politica di Cimone, il quale nel 461 viene ostracizzato con l’accusa di far
prevalere la convinzione personale sull'interesse dello Stato. Ormai l’ostracismo
era uno strumento per regolare i conti con il partito avverso, in un clima di
frontale contrapposizione politica che si va sempre più determinando all’interno
della democrazia ateniese.
Alla fine della ribellione messenica (464 al 455 ca), buona parte dei Messenii
lasciò il Peloponneso, a patto di non tornarvi più, e fu aiutata dagli Ateniese a
colonizzare Naupatto, sul golfo di Corinto.
Politica estera:
il suo periodo di governo ingloba il momento di maggiore espansione
della Lega delio-attica ma anche momenti di grave crisi interna, connessi
con le ribellioni (451-440) di Mileto, dell'Eubea (Calcide ed Eretria), di
Samo, e con l'avvio della guerra del Peloponneso, che produsse la
scomparsa dell'impero;
la sua strategia di contenimento e logoramento dell’avversario ebbe poco
tempo per esplicarsi, data la sua morte (429) nel corso della peste
scoppiata ad Atene nel 430.
Politica interna:
la sua grandezza è nella politica interna e nell'ideologia che la sorregge:
è il campione della democrazia, e Tucidide lo definisce (II libro) 'primo
cittadino'.
L a rigorosa distinzione e decantazione tra pubblico e privato è il segno più
caratteristico e l’aspetto
storicamente più produttivo delle qualità di statista di Pericle.
ambito e in diversa misura e con diversa qualità) del vecchio valore ugualitario
dell'isótes, e di valori omogenei,
prodotti da precedenti comunità aristocratiche.
Il privato, invece, se da un lato è in gran parte quello tradizionale, quello della
proprietà e del privilegio, che Pericle lascia in vita, dall'altro è anche – segno
dei tempi nuovi, del clima culturale – un privato di tipo molto individuale, quello
dei nuovi bisogni, di un'educazione più ricca e di un uso libero della mente e
del corpo (che Pericle rivendica in antitesi all'educazione militaristica spartana:
saperne godere liberamente, senza inutili costrizioni, ma sapere anche che al
momento opportuno si dovrà combattere e morire per la propria città).
Pericle, in termini di eloquenza pubblica e di psicologia, rispetto al dêmos si
colloca in un atteggiamento antagonistico: piega il popolo al timore, quando si
esalta inopportunamente, e lo rincuora quando è impaurito irrazionalmente.
Pericle agisce nella sfera razionale, il suo rapporto con il dêmos è mediato da
un filtro intellettuale, e qui il sentimento non è assente, ma distinto, perché è
sulla sfera dei sentimenti e dello stato d'animo che agisce.
profilo sociale della democrazia, in cui v'è la sua vera cifra. Le iniziative di
politica estera, coincidenti con gli esordi di Pericle, sono da riconoscere nelle
alleanze strette con Argo, i Tessali, Megara, dopo lo smacco inferto agli Ateniesi
dagli Spartani (III guerra messenica).
L'alleanza con Argo ha anche un profilo ideologico, poiché questa aveva
trasformato in democratico il suo regime (contro l'oligarchica Sparta).
L’alleanza con le aristocrazie tessaliche e con la dorica Megara è in tal senso
meno coerente (i cavalieri tessali tradiranno, e Megara si ribellerà).
Un intervento spartano in favore dei Dori della Metropoli contro i Focesi, nel
458/457, blocca i tentativi d'espansione di Atene – che tradizionalmente
sostiene i Focesi – nella Grecia centrale.
Intanto gli Spartani rischiano di restare bloccati nella Grecia centrale, per
effetto della nuova situazione strategica determinata dalla politica ateniese di
alleanze e di espansione, in particolare dal controllo della Megaride. Tuttavia, in
uno scontro avvenuto in una località tra Tebe e Tanagra (457), gli Spartani si
mettono in condizione di forzare il blocco ateniese e rientrare nel Peloponneso
passando per i monti della Gerania.
Dopo 61 giorni gli Ateniesi, al comando di Mironide, battono ad Enofita i Beoti,
alleati tendenziali degli Spartani. Viene sciolta la Lega beotica, e si correggono i
confini tra Beozia ed Attica (incerto se anche Tebe cade sotto il predominio
politico ateniese): questa situazione dura fino al rovescio degli Ateniesi nel 447
a Coronea (Beozia occidentale).
2. Aspetti territoriali
Questione corcirese:
nel 435 i democratici prendono il potere ad Epidammo: i possidenti, scacciati,
chiamano gli Illirii
contro la città, che si rivolge a Corcira, madrepatria diretta (comune capostipite
è Corinto), la quale respinge le richieste; Epidamno si rivolge quindi a Corinto,
che interviene ma è battuta dai Corciresi, con il risultato della resa di Epidamno
a Corcira che la assediava.
Nel 433 Corinto cerca la rivincita, e Corcira chiede aiuto ad Atene, che cerca di
aggirare le clausole limitative della pace dei trent'anni, stipulando non
un'alleanza tout court (symmachía), ma una sui generis (epimachía), confinata
a una funzione difensiva: i Corinzi si ritirano meditando vendetta.
Simile è il caso di Potidea, colonia corinzia entrata nella Lega navale ateniese
con una funzione anti-persiana e in generale di controllo dell'area
settentrionale dell'Egeo e di contenimento di Traci e Macedoni.
Atene ordina di recidere il cordone ombelicale costituito dall’epidamiurgo (un
supermagistrato), inviato annualmente da Corinto alla sua colonia (che verso la
madrepatria assolveva da oriente quel ruolo di testa di ponte verso l’interno
balcanico, che ad occidente assolvevano Apollonia, Corcira, Ambracia,
Anattorio, Leucade).
Potidea doveva anche abbattere le mura verso la Pallene (la penisola più
occidentale fra le tre della Penisola Calcidica che si protendono nell’Egeo nord-
occidentale): una specie di resa incondizionata, che Atene propone quando il
confronto con Corinto per Corcira le ha ormai mostrato quanto forte sia la sua
potenza.
Nel 432 Potidea rifiuta, e disdice gli obblighi quale città alleata di Atene; è
sostenuta da Perdicca II re di Macedonia, che induce Bottiei e Calcidici a
rafforzare Olinto e a inglobare il corridoio che si apre fra le alture del grosso
'interno' della Calcidica, da Olinto (che è a nord di Potidea) in direzione del lago
Bolbe (ca 60km a nord-est da Olinto).
Gli interventi ateniesi furono numerosi, dati dalla necessità di fronteggiare
Perdicca II, a cui fu tolta Terme e minacciata Pidna, e poi, nel 431, restituita la
vitale posizione di Terme.
Di fronte alla Lega peloponnesiaca sempre più pronta a controazioni, Pericle
prende una decisione ostile, che colpisce nei fatti una delle città della Lega
Peloponnesiaca, presentandola come deliberazione interna alla Lega navale
attica: proibisce ai Megaresi di frequentare l'agorá attica e i porti dell'impero
(“decreto megarese” 432/431); significava strangolarla, poiché Megara viveva
d'esportazione di tessuti e vesti di lana, non potendo contare sulla terra da
coltivare.
[Pallene -> penisola calcidica; Pellene -> città dell’Acaia, sul golfo di Corinto].
La guerra
Scoppia all'inizio della primavera del 431; nasce con un incidente a Platea, in
Beozia meridionale, stretta alleata di Atene: con la complicità di oligarchi
plateesi, una notte irrompono 300 Tebani, che tuttavia sono sconfitti (180
giustiziati): la pace è violata, e le ultime ricerche d'alleanza definiscono gli
schieramenti:
Sparta: Atene:
tutti i Peloponnesiaci, tranne gli Chii, Lesbii, Platesi; nella Grecia
Argivi e quasi tutti gli Achei, che nord-occ. i Messenii stanziati a
restano neutrali (i secondi Naupatto, la maggior parte degli
sceglieranno poi Sparta); anche i Acarnani, e Corcira e Zacinto; le
Megaresi, i Beoti, i Locresi, i città dell'impero sparse dalla Caria
Focesi, e le colonie corinzie di alla Doride d’Asia, alla Ionia,
Ambracia, Leucade, Anattorio all’Ellesponto, alla Tracia, alle isole
(potenze navali sono Corinto, ad oriente di Creta e del
Ambracia, Leucade, Megara, Peloponneso, alle Cicladi, tranne,
Sicione, Pellene, Elide; forniscono per ora, Melo e Tera (potenze navali
cavalieri Beoti, Focesi, Locresi e sono Chio, Lesbo, Corcira, con fanti
fanti gli altri). e denaro gli altri).
4. Aspetti cronologici
La periodizzazione della guerra in due fasi (431-421 e 413-404) è determinata
dalla pace 'di Nicia', del 421. Tucidide raggruppa la narrazione degli eventi in
gruppi di tre anni.
Due mesi dopo l'attacco fallito a Platea (maggio-giugno 431), 20.000 opliti
peloponnesiaci, al comando del re spartano Archidamo II, rafforzati da 5.000
Beoti, invadono l'Attica settentrionale per circa un mese: devastazione dei
campi, nel territorio di Acarne e dintorni, mentre gli Ateniesi,
seguendo la strategia periclea, si chiudono in città e tra la città e il Pireo
(Lunghe Mura).
Archidamo si ritira in Beozia oltre il Parnete e Oropo, e poi all'istmo di Corinto,
vi sono controazioni ateniesi sulle coste del Peloponneso, dove Atene guadagna
Cefalenia e la colonia corinzia Sollio (in Acarnania).
Gli abitanti di Egina, accusati di tramare con gli Spartani, vengono sloggiati in
favore di cleruchi ateniesi: i profughi vengono accolti dagli Spartani a Tirea, al
confine con l’Argolide (431).
Pericle è rieletto alla strategia nel febbraio 429: momento critico superato, ma
peste lo uccide (estate), assieme ai figli Santippo e Paralo.
La peste dissuade i Peloponnesiaci dal tornare a invadere l'Attica: si
concentrano su Platea, con un assedio che vedrà la resa della città nel 427.
Nel 429 gli ateniesi bloccano l'entrata del golfo corinzio, con l'invio di una
squadra a Naupatto (Etolia); i Peloponnesiaci tentano di staccare l'Acarnania da
Atene con un attacco per terra da Ambracia, ma sono costretti alla ritirata, e
per mare sono battuti due volte dallo stratego ateniese Formione.
Nel 427 ad Atene, sul versante radicale, emerge come leader Cleone,
commerciante di cuoi, che
propone una durissima punizione alla ribelle Mitilene (capitale di Lesbo); sul
fronte dei conservatori viene alla ribalta il ricchissimo Nicia, figlio di Nicerato.
truppe peloponnesiache, che nel frattempo anche nel 425 avevano invaso
l’Attica. Gli spartani bloccano la testa di ponte ateniese dall'interno della
Messenia e occupano la strategica isola di Sfacteria. Ma interviene una nuova
flotta ateniese che mette in difficoltà gli assedianti: gli Spartani aprono le
trattative per un armistizio, che consegnava la flotta peloponnesiaca agli
ateniesi, ma consentiva agli Spartani di rifornire il presidio di Sfacteria.
L’armistizio non approdò a una pace perché, su suggerimento di Cleone,
l'assemblea ateniese bloccò le trattative, e l'avvicinarsi dell’inverno, che
avrebbe vanificato il blocco ateniese a Sfacteria, rendeva necessaria una
decisione: o si catturava il presidio spartano o si rinunciava ad esso.
È un altro grande scontro politico e oratorio in cui è coinvolto Cleone, che
chiede un’azione rapida e risolutiva e che ha come avversario Nicia, stratego
anno 425/424, rappresentante dell'ala moderata; Nicia – incauto, considerati i
risultati – offre allora il comando dell’operazione a Cleone, il quale, politico
senza esperienza militare, accetta.
Cleone guida dunque i soccorsi richiesti da Demostene, e ottiene la resa degli
spartani; riceverà onori altissimi: pasti a vita nel pritaneo e un posto d'onore al
teatro.
Almeno agli inizi, ad Atene, è un succedersi di comportamenti più o meno
bellicisti, più o meno pacifisti, che non di partiti della pace o della guerra.
Nella primavera del 424 Nicia toglie agli Spartani l'isola di Citera, a sud-est
della Laconia: la nuova strategia post-periclea, di attacco diretto alle basi
nemiche, si è ormai imposta.
Cleone, eletto stratego nel 424/423 insieme a Demostene e Ippocrate di
Colargo, fu tra i fautori dell'attacco ad una città alleata di Sparta. Nella
primavera del 424 Demostene e Ipprocrate attaccano Megara, chiamati dalla
sua parte democratica: la guarnigione peloponnesiaca è costretta alla resa, e
quindi gli ateniesi si insediano nel porto di Nisea, che si affaccia sul golfo
Saronico.
Nel 424 non avrà luogo la quasi annuale invasione spartana dell'Attica.
Brasida, nel 424, raggiunge la Tracia, passando per la Tessaglia (tiepida nei suoi
confronti, meglio disposta verso Atene) e per la Macedonia di Perdicca II, che si
schiera al suo fianco; nell'inverno 424/423 attaccano Anfipoli, presso la foce
dello Strimone, sorvegliata dallo stratego Eucle, ma anche dallo storico
Tucidide, stratego del settore tracico (stante a Taso). Tucidide punta su Anfipoli,
ma riesce a salvare solo la fortezza di Eione, alla foce del fiume: ciò gli costò
l'esilio ventennale.
Brasida è capace anche di adottare una politica della 'mano tesa': offre agli
Anfipoliti, per favorirne la resa, di restare in città con pieni diritti, o di
andarsene entro 5 giorni, includendo fra loro i pochi Ateniesi presenti e i coloni
di diversa origine: a tali condizioni la città si arrende.
Nel 424/423 gli Ateniesi subiscono un durissimo rovescio presso il Delio, cioè il
santuario di Apollo delio sorgente nel territorio della beotica Tanagra.
Gli Ateniesi, dopo l'attacco riuscito solo a metà contro Megara, rivolgono le loro
mire alla Beozia: qui un'azione di esuli beoti filoateniesi e gli ateniesi di
Demostene (a capo di truppe acarnane) e di Ippocrate (a capo di un poderoso
esercito ateniese) avrebbe dovuto portare all'occupazione di Cheronea da parte
dei Beoti fuorusciti, di Sife (presso Tespie) da parte di Demostene, e a un
confronto dell'esercito ateniese con le forze federali beotiche: i primi due piani
furono prevenuti dalle forze federali beotiche, e Ippocrate, limitatosi a lasciare
un campo fortificato e un presidio a Delio, nella marcia di rientro intrapresa per
evitare di dover affrontare da solo lo scontro con il grosso dei Beoti, fu
attaccato e sconfitto: eliminati, oltre a lui, 1.000 opliti.
Nel 424 vi è anche il rientro dall'impresa siciliana: richiamato (426/425)
Lachete, processato ma assolto, il nuovo stratego Pitodoro, nel 425, dovette
registrare la perdita di Messina. L’arrivo della flotta ateniese al comando di
Sofocle e di Eurimedonte preoccupò i Sicelioti, che lasciarono le discordie
interne e decisero che le questioni di Sicilia fossero cosa dei Sicelioti, sec. la
formulazione del siracusano Ermocrate nel congresso di Gela (424), che
raccomanda pace con Atene nel senso della conservazione dello status quo
ante. Per Atene, a parte il rafforzamento di legami affettivi e politici con le città
d'origine calcidese (ionica), la prima spedizione siciliana vide un nulla di fatto.
Nel 422/421 Cleone è rieletto stratego e assume l'attacco diretto alle posizioni
di Brasida: riprende Torone (in Sitacia, la lingua centrale della penisola
calcidica) e Galepso, e si attesta ad Eione, e di qui fa una ricognizione sotto
Anfipoli, durante la quale è attaccato da Brasida e in cui trova la morte (fra i
pochi caduti peloponnesiaci c'è Brasida).
Con tale guerra (guerra decennale, sec. Tucidide) Atene non aveva fatto passi
avanti a livello territoriale, ma otteneva che fosse riconosciuta, almeno da
Sparta, la consistenza e la struttura del
suo impero: le gravi perdite umane e economiche sono controbilanciate da una
maggiore autorità storica. Tuttavia, il mondo greco – e Atene e il nuovo mondo
democratico da essa suscitato – era ancora in fermento.
Dall'estate 416 all'inverno 415 vi è il lungo assedio di Melo, che termina con
una durissima capitolazione degli assediati: sterminata la popolazione maschile
adulta, gli altri abitanti vengono venduti in schiavitù e viene insediata una
cleruchia ateniese di 500 unità.
Nicia, secondo Tucidide, pensa che bisogna assoggettare i ribelli e quelli che
obbediscono in modo dubbio, senza andarsi a cercare altrove nuove guerre:
dice ciò per contrastare la proposta di Alcibiade di un intervento in Sicilia.
Tucidide definisce la politica di Nicia non “pacifista”, ma “ostile all'allargamento
del conflitto a macchia d'olio, e tuttavia, all'interno dei confini di volta in volta
posti, capace di estrema durezza.
Fra la fase dei dibattiti e quella dell'avvio della spedizione vi è l’episodio del
danneggiamento delle erme, statue-pilastrini di Ermes, che adornavano slarghi
e strade di Atene, e i cui elementi più compiutamente rappresentati sono testa
e sesso.
Appaiono comprensibili sia i destinatari del gesto vandalico sia l’effetto che se
ne volevano ottenere; restano non identificati gli autori (anche se più tardi, per
le mezze ammissioni di Andocide, ne sarà incolpata l’eteria di Eufileto). Il
destinatario è di certo Alcibiade, quindi gli autori sono suoi nemici, ed è
possibile che vi sia una collusione di nemici di vario tipo: cospiratori d'idee
antidemocratiche, che in egli vedevano capo democratico; democratici di
stampo conservatore, come Nicia, che si sentivano indotti a una guerra d'un
tipo che non gradivano; forse democratici radicali, che magari non volevano
perdonare ad Alcibiade la strumentale alleanza stretta con Nicia al momento
della 'verifica' dell'ostracismo del 417, quando individuarono in Iperbolo una
comoda vittima politica (lo stesso Nicia poteva avere interessi a vedere
indebolita la posizione di Alcibiade).
La mutilazione porta turbamento pubblico e presagi negativi per la spedizione
che sta per partire: la coscienza civica e religiosa è turbata: si cercano gli autori
del crimine.
Alcibiade, vittima prima del gesto degli ermocopidi (tagliatori di erme), viene
coinvolto direttamente nell'accusa di sacrilegio: accusato di aver parodiato, in
casa sua, i misteri di Eleusi, di aver celebrato una sorta di nefanda messa nera;
egli chiede allora, avendo fretta, di essere giudicato subito, ma lo si spedisce in
Sicilia con l'accusa pendente.
La flotta della Lega conterà 134 triremi, di cui 100 ateniesi (60 da battaglia, 40
per trasporto di truppe), e trasporterà 5100 opliti (1500 Ateniesi di rango
oplitico, 700 di rango tetico, e 500 Argivi).
Nell'estate 415 la spedizione raggiunge l'Italia, a capo vi sono Nicia, Lamaco e
Alcibiade, il quale
aveva apparentemente la linea strategica più prudente, ma di fatto più ispirata
a idee di grandezza: costruire in Sicilia una vasta alleanza e poi attaccare
Siracusa; Lamaco era favorevole ad un attacco immediato; Nicia voleva
sostenere Segesta, attaccare o intimidire Selinunte, inducendola a riconciliarsi
con la città elima, ed eventualmente fare qualcosa in favore degli esuli di
Leontini.
La flotta costeggia l'Italia senza riscuotere simpatia fra le città greche della
regione: Taranto e Locri rifiutano persino l'ormeggio e l'acqua, Reggio e
Messina vietano l'ingresso in città, le città calcidesi di Sicilia, tranne Nasso,
mostrano notevole freddezza, a Catania gli Ateniesi, veduta cadere una
speranza dopo l'altra, forzano la situazione e irrompono in città, e ivi si
trasferisce l'esercito, rimasto a Reggio.
A questo punto vi è il richiamo in patria di Alcibiade, la cui posizione era
peggiorata con denunce e inchieste: la nave di stato Salaminia giunge a
Catania per riportarlo ad Atene, egli l'accompagnò con la propria nave fino a
Turii, ma qui fece perdere le tracce, riapparendo nel Peloponneso, primo in
territorio argivo, poi a Sparta, dove consigliò l'intervento, e l'invio di Gilippo a
Siracusa (415/414).
Nel 415, a Siracusa, gli Ateniesi affrontano l'esercito cittadino, che uscì battuto;
ne segue il trasferimento dell'esercito ateniese nei quartieri d'inverno di Nasso
e Catania. Furono fatti tentativi di guadagnare alleati in Sicilia (adottato lo
schema Alcibiade), con risultati magri:
o Messina rimase neutrale;
o più favorevoli i Siculi, nell'area gravitante intorno a Siracusa;
o meno deludente la neutralità iniziale di Camarina, sottocolonia di
Siracusa, con forte vocazione autonomistica, e di Agrigento.
Larga parte della buona stagione del 414 registra vittorie ateniesi: ricevuti
rinforzi di cavalleria da Atene e dagli alleati siculi, l'esercito approfitta di alcune
incertezze siracusane (cingevano la città di fortificazioni) e s'impadronisce delle
alture delle Epipole, che dominano la città da ovest e nord-ovest: da queste
vogliono fare il perno di un sistematico blocco, di cui le parti artificiali sono
costituite da un muro di 5 Km tutt'intorno la città: gli scontri con cui i Siracusani
tentarono di fermare l'opera furono insuccessi, anche se morì Lamaco.
Sparta e Corinto, sollecitate da Alcibiade e dagli ambasciatori siracusani,
inviano aiuti: lo spartano Gilippo raggiunge la Sicilia, attraversa lo stretto di
Messina e sbarca ad Imera, da dove, con aiuti imeresi, di Selinunte, di Gela e
dei Siculi dell'interno, raggiunge via terra Siracusa, prendendo con un attacco a
sorpresa l'altura delle Epipole e avvia la costruzione di mura della città a
quell'altura, incrociando la costruzione ateniese, compromettendone il
compimento e impedendo l'accerchiamento totale della città.
Più a sud, nella zona del Porto Grande, Nicia, dopo l'arrivo di Gilippo, aveva
fortificato il capo Plemmirio, che chiude il porto a sud-est: tra il 414 e il 413
arrivarono aiuti ai Siracusani, da Corinto, Siculi, Spartani, Beoti e altri.
Ne seguirono due scontri navali: il primo sfavorevole per Siracusa, mentre
Gilippo da terra si impadroniva delle fortificazioni del capo Plemmirio; il
secondo sfavorevole agli Ateniesi.
Da qui in poi tutto peggiora per Atene: a muovere le acque furono ambasciatori
siracusani inviati a Corinto e a Sparta nell'inverno 415/414, e Alcibiade, che
aveva enfatizzato i piani ateniesi di conquista, attribuendovi quella dimensione
grandiosa che un giorni aveva egli stesso sognato: assoggettare Sicelioti e
Italioti, Cartagine, e poi, con i barbari dell'Iberia e con altri particolarmente
bellicosi, assalire il Peloponneso e quindi dominare su tutta la Grecia.
Atene non poteva scordare la Sicilia: nell’inverno 413 invia navi a Siracusa e a
Naupatto, per una missione di disturbo, mal riuscita; nell’estate 413 invia
nuova flotta e nuova armata (73 navi, con 5'000 opliti e molti armati alla
leggera), al comando di Demostene: nel viaggio raccolgono adesioni di
Metaponto e di Turii, che, dopo rivolgimenti interni, presero il coraggio di
contrastare Taranto. Demostene, giunto nel porto Grande di Siracusa, riprende
il progetto del blocco: la premessa è la riconquista dell'Epipole.
In uno scontro notturno, dopo un primo successo, gli Ateniesi subiscono una
durissima sconfitta (413): Demostene sapeva che senza l'Epipole era inutile
proseguire la guerra: si torna in patria, anche perché lì vi è la guerra.
Il 27 agosto 413 la flotta è pronta a partire, ma un'eclisse di luna consiglia al
superstizioso Nicia il rinvio della partenza. Decisione fatale: i Siracusani
cercano di bloccare l'uscita del porto, in 2 scontri navali vi riescono; nel 1°
muore lo stratega Eurimedonte, e nel 2° gli ateniesi, che perdono in tutto 68
navi, sono ricacciati nelle basi di terra. Essi possono adesso cercare fuga solo
per via di terra, lungo la costa, per Eloro, verso Camarina. I Siracusani li
inseguono; nella marcia, l'avanguardia guidata da Nicia è troppo veloce per
poter essere seguita da Demostene, che conduce più della metà dell'esercito:
perduto il contatto Demostene diventa il primo bersaglio e presto si arrende.
Nicia, proseguendo verso sud e giungendo al fiume Assinaro, subisce l'attacco
nemico: cade con l'esercito in mano Siracusana. Contro la volontà di Gilippo,
Nicia e Demostene sono giustiziati, gli altri sono tenuti nelle Latomie, le cave di
Siracusa per un paio di mesi, e poi, quanti non fossero di Atene o di città
alleate di Sicilia o d'Italia – i Siculi, di fatto – furono venduti schiavi; Plutarco
racconta che ottennero la libertà o soccorsi vari quelli che sapevano recitare
versi delle “Troiane”, la tragedia europea maledicente alla guerra e carica di
moniti di pace.
La libertà della Sicilia era salva, come promise Gilippo prima della battaglia del
porto Grande, e
Sparta ne aveva il merito di fronte all'opinione pubblica greca.
Tutta la politica praticata dagli Ateniesi, fino alla seconda spedizione in Sicilia
inclusa, comincia a produrre contraccolpi dal 413 in poi: la rivolta degli alleati
di Atene scoppia in Eubea, a Lesbo, a Chio, che mandano ambasciatori a
Sparta, per sollecitarne l'intervento.
Il convoglio peloponnesiaco è bloccato al capo Spireo, tra Corinzia ed Epidauro,
ma forza il blocco, e una piccola squadra spartana, al comando di Astioco,
raggiunge Chio (412). La rivolta si allarga a macchia d'olio: Eritre, Clazomene,
Teo, Mileto, Lebedo, in Asia Minore, e Metimma e Mitilene, nell’isola di Lesbo,
defezionano da Atene.
È anche opera di Alcibiade il coinvolgimento della Persia; del resto gli Ateniesi
fecero tutto ciò che era in loro potere per favorire la combinazione Sparta-Ioni-
Persia, prodottasi con il patrocinio di Alcibiade, a cui si sommavano le
ambiguità del comportamento degli Ioni, a metà strada tra il desiderio di
liberarsi da Atene e quello di non cadere del tutto nelle mani dei Persiani, i
quali nel 430 presero Colofone, ma Atene rinnovò nel 424, con Dario II, il
trattato 'di Callia' con quello 'di Epilico', dal nome dell’ambasciatore ateniese.
La rivolta di Pissutne, satrapo di Sardi, fu domata da Tissaferne, che inviò
Pissutne al re perché fosse giustiziato e lo sostituì personalmente nel governo
della satrapia di Lidia: Atene commise il torto di sostenere, contro il re, il figlio
di Pissutne, Amorge, anche per vendicarsi dell'occupazione di Efeso effettuata
da Tissaferne.
Dopo la presa di Mileto da parte peloponnesiaca, comincia la serie di trattati tra
Sparta e la Persia: sono 3, procurati rispettivamente da Calcideo, Terimene e
Tissaferne; sono soltanto uno più preciso dell’altro, e in tal senso il terzo, sintesi
e formalizzazione dei precedenti, è definitivo e prevede:
rinuncia, da parte spartana, alla difesa dell'autonomia dei Greci d'Asia dal
re di Persia;
concessione di aiuti finanziari per la guerra, da parte persiana.
Nel 412 il contrattacco ateniese riconquista Lesbo e Clazomene, e blocca
Mileto, dove gli Ateniesi sbarcheranno, ma in modo vano pel sopraggiungere
d'una flotta peloponnesiaca. In Asia s'illustra lo spartano Astioco, navarco che
nel 412 raggiunge Mileto, base della flotta peloponnesiaca.
La base della flotta ateniese è invece la fedele Samo. Una dopo l'altra le città
della Lega sono perdute da Atene: Cnido, Cauno; nel 411, nel settore ionico e
cario, gli Ateniesi hanno Samo, Notion, Lesbo, Cos, Alicarnasso e Clazomene; i
punti chiave quali Chio, Efeso, Mileto sono perduti.
Ostacoli al nascente regime vennero dalla flotta di Samo, da cui erano partiti gli
ufficiali istigatori del complotto (Pisandro e altri): numerosi i cittadini impiegati
negli equipaggi, ed essi vennero presto a trovarsi nelle condizioni di
contrastare gli sviluppi politici ateniesi.
Vanno distinte le vicende della città di Samo e quelle della flotta e degli
equipaggi della flotta ateniese a Samo. Nel 412 c'era stato a Samo una
rivoluzione democratica, che aveva fatto strage di capi oligarchici e privato gli
altri di diritti politici e di proprietà. Nel 411 gli oligarchi tentano di rovesciare la
situazione, contando sugli ufficiali cospiratori, e uccidendo Iperbolo.
L’intervento degli equipaggi ateniesi democratici e dei nuovi strateghi da essi
eletti (tra cui Trasibulo di Stiria e Trasilo) soffoca cospirazione. Preoccupati per
Tra Notion ed Efeso è zona di contatto tra flotta ateniese e spartana. Lisandro,
con tempismo, rifiuta una provocazione di Alcibiade alla battaglia (408), e
accetta quella offerta dal luogotenente di questo, Antioco (407), che è sconfitto
e muore.
Gli eventi adesso assumono repentinità: nel 407 Alcibiade, rieletto stratego
(407/406), è deposto e sostituito da Conone, e si ritira nelle sue fortezze
sull'Ellesponto.
Dopo il duro colpo di Cizico, gli Spartani ricostituiscono la flotta, e nel quadro
dell'impegno spartano per la ripresa della guerra navale – da dirigere contro
l'Egeo settentrionale e gli Stretti – va collocato il riavvicinamento tra Sparta e
Persia, avvenuto con l'allontanamento di un Tissaferne già orientato a favore di
Atene, e con l'insediamento di Ciro al posto di comando di Sardi.
A Lisandro, nel 406, succede Callicratida; egli conquista la postazione ateniese
del Delfino a Chio, poi si spinge a Lesbo, dove prende Metimna e sconfigge una
flotta ateniese, comandata da Conone, davanti a Mitilene, bloccandola nel
porto.
Ad Atene si corre ai ripari con misure eccezionali:
promessa la cittadinanza ai meteci;
promessa la libertà agli schiavi;
si fondono, per coniare denaro, oggetti preziosi consacrati nei templi,
riuscendo così a mettere insieme equipaggi e navi.
Nel 406 una flotta di 150 triremi affronta una flotta spartana di 170, guidata da
Callicratida, alle isole Arginuse (tra Lesbo e il continente asiatico); Callicratida
muore e Sparta perde 70 triremi, gli Ateniesi vincono, ma a caro prezzo in
quanto gli strateghi, per le cattive condizioni del mare, non soccorsero i
naufraghi.
Per questo, quanti tornarono furono giudicati dall'assemblea popolare
(processo delle Arginuse): 6 su 8 comandanti furono condannati a morte
(Erasinide, Pericle il giovane, Trasillo (leader rivolta
samia), Diomedonte, Lisia, Aristocrate), gli altri 2, Protomaco e Aristogene,
fuggirono.
Socrate si oppose a tale procedura, che non fece distinzione fra le
responsabilità individuali; la colpa c'era, e grave: omissione di soccorso, ma il
processo fu l'espressione di una esasperata e implacabile coerenza, che non
volle sanare un comportamento colpevole neanche con gli allori di una vittoria.
Alcuni uomini del gruppo politico di Alcibiade ne trassero frutto – Adimanto fu
eletto stratega – ma non si può affermare che il processo fosse guidato dal suo
'partito'. Nel processo delle Arginuse vi è forse anche la volontà di farla finita
con una guerra disperata.
Alla fine della guerra riappaiono i due fili distinti inizialmente: Corinzi e Tebani
volevano la distruzione di Atene e, con la vendita in schiavitù, la dispersione
dei suoi cittadini. Il governo spartano si oppose, nonostante l'orientamento
estremista di Lisandro e Agide II.
Le condizioni furono:
rinuncia di Atene a tutti i possedimenti esterni, anche le cleruchie di
Sciro, Lemno e Imbro (vitale corridoio verso l'Ellesponto);
abbattimento delle fortificazioni del Pireo e delle Lunghe Mura;
consegna della flotta da guerra, tranne 12 triremi;
richiamo degli esuli;
revisione della costituzione, che tornava ad essere quella 'patria' (pátrios
politeía).
Il 16 Munichione del 404 Lisandro entra con la flotta nel Pireo, l'abbattimento
delle Lunghe Mura era avviato col suono dei flauti: quel giorno sembrava l’alba
della libertà, degli ateniesi all’interno di Atene e di tutti i Greci da quella città
che li aveva dominati.
Qualche mese ancora resisterà Samo, che dovrà arrendersi e vedere un cambio
di regime in senso
oligarchico. Anche ad Atene vi saranno sviluppi politici in senso oligarchico: la
democrazia era abolita per la seconda volta, dopo aver dimostrato grande
stabilità dal 508 al 411.
Lo svolgimento degli eventi tra la capitolazione e l'instaurazione della
commissione di trenta «costituenti» (syngrapheîs), incaricati di redigere le
«leggi patrie», la «costituzione patria» (pátrios
politeía), non è del tutto chiaro; si parla di una congiura democratica
(Strombichide, Eucrate) mirante a una strage dei capi oligarchici; si ha notizia
(fonte Lisia) di un collegio di 5 efori, tra cui Crizia ed Eratostene, a capo di un
gruppo di oligarchi, ancora al tempo della democrazia.
Dal punto di vista della storia economica e sociale, il IV secolo vede fenomeni
nuovi per intensità e
qualità, ma che nella sostanza continuano fatti e fenomeni del V secolo.
La comunità civica, già del V, presenta categorie economiche diverse
(contadini, artigiani, mercanti, schiavi, oziosi, ecc.), conseguenza, se non altro,
della creazione dell'impero navale: la comunità oplitico-contadina è già in crisi
nel V; tali categorie accentuano nel IV le distanze e le ragioni di conflitto, nuovo
è il tipo di aggregazioni che si creano tra i vari gruppi. C'è tensione, se non
conflitto, già nel V secolo, per es. nel rapporto dei gheorgoí (contadini,
proprietari terrieri) con il resto della popolazione. Rilevante, nel IV secolo, il
ruolo dello straniero nel commercio, mentre i cittadini partecipano solo come
finanziatori: convergenza d'interessi.
Cresce il fenomeno del mercenariato, a seguito della crescita demografica e di
un impoverimento, che sviluppo il mercato del 'lavoro della guerra' (p. es. verso
Persia o Egitto): dissanguamento
della Grecia, come risposta al pauperismo diffuso; significa anche denaro
circolante. Il mercenario darà argomento alla commedia nuova, come
personaggio sociale significativo.
Nell'economia del IV secolo vi è lo sviluppo delle banche private: prima erano
soprattutto templari; ma il tempio, il sacro, è l'altra faccia del 'pubblico', visto
in rapporto con la divinità: solo in età ellenistica vi è lo sviluppo di banche
private, anche se ad Atene vi sono banche private dalla fine del V secolo.
Il vero problema, chiarissimo alle coscienze degli antichi, è quello di
un'accurata analisi del rapporto tra privato e pubblico; il privato non manifesta
la sua forza solo nel IV secolo, ha una larghissima possibilità d'espressione già
nel V.
Molte volte si legge che il IV secolo rappresenta l’esplodere del conflitto tra la
città e l’individuo, il momento in cui fiorisce l’individualismo. Va distinto,
tuttavia, fra privato e individuale, poiché i due termini non coincidono
completamente: privato è un’individualità strutturata, è un rapporto fra
individui e fra gruppi d'individui. Un singolo animale ha una vita individuale, ma
non si può parlare di vita privata di un animale senza suscitare il riso; il privato
è l'individuale come si esplica all'interno di una società e delle sue strutture.
Nella produzione letteraria l'omogeneità si nota di meno: mai come ora la
storiografia ha prospettato un ideale di concordia sociale, è forte l'ideologia
della pólis, in reazione alla disgregazione ma anche capacità di manipolazione
e omologazione a livello ideologico. L'assetto
sociale resta quello del V, ma si accentua la divisione ricchi-poveri; la società
continua però a rappresentarsi come unità.
Trasibulo nel 411 fu protagonista della scisma democratico a Samo, nel 404 è
esule fra i “grandi esuli”, che Teramene ricorda nel suo discorso replica a Crizia,
quando dice ai Trenta: «I veri traditori sono coloro che hanno fatto in modo che
lasciassero la città personaggi come Trasibulo, Anito e Alcibiade» (Teramene
viene accusato di essere un traditore, un “coturno”, per i suoi cambiamenti di
rotta in ambito politico). Nel 403 Trasibulo restaura la democrazia ad Atene.
I Trenta, dopo la sconfitta del Pireo, si ritirano ad Eleusi; i Dieci sono molto
preoccupati, e Senofonte descrive la guardia diuturna dei cavalieri per il timore
di attacchi da parte di quelli del Pireo. Nel frattempo quelli del Pireo si
organizzano, e promettono l'isotelia agli stranieri che continuino a combattere
dalla parte dei democratici. L’isotelia è la condizione di colui che partecipa dei
téle – obblighi fiscali in primo luogo – dei cittadini: una categoria privilegiata dei
meteci; esiste il problema se l’isotelia equivalga semplicemente a immunità dal
pagamento della tassa di 12 dracme, versata dai meteci, o se invece significhi
un più sostanziale adeguamento, senza identificazione totale, alla condizione
dei cittadini.
Segue l’intervento spartano, condotto da Lisandro, che protegge gli oligarchici,
e dal re Pausania
che, per ragioni personali e per convinzione, contrasta i disegni di Lisandro.
Pausania, in un primo momento, attacca e sconfigge quelli del Pireo, insieme
agli alleati peloponnesiaci (esclusi Beoti e Corinzi); invita poi segretamente i
democratici del Pireo a mandargli ambascerie di pace, e fa opera di
convincimento anche con 'quelli della città': ambascerie delle diverse parti
ateniesi giungono a Sparta.
La pace è fatta con un'amnistia, esclude solo i Trenta, gli Undici (di giustizia) e i
Dieci del Pireo; gli oligarchi che lo vogliano possono ritirarsi ad Eleusi.
Archino riduce il numero di giorni della decisione per trattenere in città gli
incerti: ha l'effetto di trattenere nelle cittadinanza gli oligarchi. Il risultato si
addice a un rappresentante del filone moderato della rinata democrazia: non a
caso Aristotele lo colloca fra i rappresentanti della pátrios politeía e gli
attribuisce tre misure, dello stesso tenore:
aveva reso possibile, con la creazione di una realtà politica e urbana che fa
posto alle libertà dell'individuo: si colloca nella città democratica, è frutto di
essa, e non vuole uscirne.
Sono state proprio le Leggi, quelle leggi di quella città, a trattenere il filosofo ad
Atene e a fargli accettare la condanna: Socrate, come Platone, è attratto dal
sistema partano, ma decide di scegliere Atene e di morire lì dove è nato.
6. Tensioni a Sparta
Come in tutti gli scontri ideologici, alla fine della guerra i due antagonisti si
somigliano di più:
a Sparta, al di sotto degli Spartiati, c'era anche uno strato di
hypomeíones (inferiori), e nel 399 la congiura di Cinadone cerca
l'estensione dei diritti di cittadinanza: questa fallisce ma è sintomo di
fermento in città;
si introduce, con la legge di Epitadeo, se non la libertà di compravendita,
almeno quella di donare e di lasciare, quindi una forma di alienabilità
della proprietà;
si introducono i primi elementi di economia monetaria.
Sparta reagisce in maniera speculare rispetto ad Atene. Quest’ultima conserva
formalmente la vecchia democrazia periclea ma ne avvia l’interna
trasformazione; Aparta reagisce conservando la diarchia e i limiti della
cittadinanza; ma anch’essa registra un fermento sul piano socio-economico.
Lisandro è creatore del culto della personalità, e ciò è non poco sorprendente
nel cittadino di una città fondata sul principio della parità dei membri del
ristretto corpo civico: erige una sua statua di bronzo a Delfi; sec. Duride di
Samo fu il primo dei Greci a cui da vivo furono dedicati altari e sacrifici; la festa
più importante di Samo, in onore di Era, sarebbe stata ribattezzata Lysándreia.
-> tendenze individualistiche e personalistiche che, per la sicurezza con cui si
affermano e per l'assenza di condanne, attestano tempi nuovi.
Il culto della personalità, in Lisandro, nella politica istituzionale, ha corrispettivo
in tentativi di abolire la basileía: vorrebbe rendere elettiva la regalità. Fino ad
allora la diarchia era stata ereditata da Agiadi e Euripontidi (eraclidi), per
Lisandro le famiglie regali non sono le uniche rappresentanti degli Eraclidi a
Sparta, anche perché si sono moltiplicati i rami collaterali: egli era un eraclide,
ma non apparteneva alla discendenza diretta, quindi proponeva d'estendere la
scelta dei re agli Eraclidi o addirittura a tutti gli Spartiati.
Lisandro partecipò alla guerra beotica, morendo sotto le mura di Aliarto nel
395.
Tissaferne viene inviato come satrapo in quelle regioni su cui prima governava
Ciro, e chiede che tutte le città ioniche siano a lui soggette: queste, volendo
essere libere e temendo Tissaferne, non volevano accoglierlo e inviavano
ambasciatori agli Spartani chiedendo loro che, come prostátai (campioni) di
tutta la Grecia, si curassero di loro.
Gli Spartani, ormai sospinti dal ruolo di prostátai generali della Grecia,
prendono a cuore tale compito, e ne pagano le conseguenze: nel 400 un
esercito al comando di Tibrone sbarca in Asia.
Con le scarse risorse finanziarie a disposizione vi è difficoltà a muoversi da
parte spartana: Tibrone viene messo sotto accusa a Sparta perché permette
all'esercito di depredare gli 'amici' (lasciava saccheggiare anche le città alleate
per nutrire l'esercito); l’esercito spartano suscita l'irritazione proprio degli amici
greci che era venuto a difendere.
Tibrone mostra l’intenzione di voler affrontare direttamente Tissaferne:
all’inizio, comincia a operare nell'area 'pergamena', nelle regioni della Troade e
della Frigia ellespontica, dove viene in possesso di alcune località (Pergamo,
Teutrania, Alisarna); poi si impadronisce di Mirina e Grineo (zona pergameno-
eolica), tenta di occupare Larissa, ma fallisce. Si ritira infine ad Efeso, base di
tutte le operazioni. Da qui progetta di marciare in Caria, non molto distante dai
domini di Tissaferne, ma Tibrone viene sostituito da Dercillida (dal 399 fino al
397 circa), che adotta una strategia diversa.
Questi, prende le cose alla larga, dirigendo i suoi sforzi verso le regioni
dominate da Farnabazo (area più settentrionale), ove consegue un certo
numero di successi: egli applica diversivi e tattiche dilatorie, Tibrone prendeva
il nemico di petto.
Dercillida stipula un armistizio con Tissaferne, e poi si rivolge contro Farnabazo,
che è meno forte; in 8 giorni occupa 9 città della Troade (presenza scarsa di
persiani). Ma non era questo l’aiuto che le città ioniche chiedevano. Segue
dunque un armistizio con Farnabazo, esteso poi a Tissaferne, mentre
un'ambasceria spartana è inviata al gran re per chiedergli l'autonomia delle
città greche.
Dercillida continua a spingersi verso nord: raggiunge il Chersoneso tracico
(penisola di Gallipoli), ove provvede a creare una linea di fortificazione contro i
Traci.
Partito contro i Persiani e Tissaferne, finì con liberare la Troade e col recarsi, per
arginare le irruzioni dei Traci, in Bitinia e poi nel Chersoneso tracico; più tardi
torna in Troade e, dopo 8 mesi d'assedio, spegne la ribellione di Atarneo, ove si
erano annidati esuli di Chio.
Senofonte egli è quasi falso bersaglio degli attacchi spartani, neanche del tutto
convinto della giustezza della sua resistenza ad Agesilao. => Senofonte
considera Timocrate di Rodi inviato di Titrauste, mente le Elleniche di Ossirinco
sembrano attribuire a Farnabazo l'iniziativa dell'invio di Timocrate in Grecia .
Il conflitto si apre con scaramucce tra Focesi e Locresi orientali (per Senofonte)
o occidentali (per le Elleniche di Ossirinco) per questioni di confini e di
elementari razzie. I Beoti intervengono in favore degli amici locresi, Sparta in
favore dei focesi.
Tebani rifiutano la proposta di Tiribazo di una pace fondata sulla rinuncia alla
difesa dell'autonomia dei Greci d'Asia e sull'estensione generalizzata del
principio d'autonomia ai rapporti intragreci.
Secondo Senofonte, gli Ateniesi non la volevano perché temevano d'essere
privati di Lemno, Imbro, Sciro, gli Argivi non la volevano perché si vedevano
privati di Corinto, che avevano assorbito
nella nuova Argo e i Tebani non la volevano perché intendevano conservare la
loro egemonia in Beozia.
Si pone il problema del rapporto cronologico tra i tentativi della pace di Sardi e
le trattative svoltesi a Sparta tra i Greci riguardo agli stessi temi della pace e
dell’autonomia propria e dei Greci d’Asia: è precedente la riunione di Sardi o di
Sparta?
Senofonte parla delle trattative di Sardi, ma non di quelle di Sparta; Andocide,
nell’orazione Sulla pace, parla solo di quelle di Sparta. In un passo del
Menesseno attribuito a Platone, viene fatta valere l’idea che, mentre tutti erano
disposti a cedere al re persiano sul tema dell’autonomia dei Greci d’Asia,
soltanto gli Ateniesi si opposero (gli ambasciatori che avevano sostenuto
l'accettazione della pace ideata a Sardi furono poi processati e condannati).
L’orazione di Andocide è un discorso che egli stesso, come membro
dell'ambasceria inviata a Sparta per il vertice tra Greci (392/391), rivolge agli
Ateniesi perché l'assemblea ateniese accetti i termini della pace intragreca;
egli non parla delle trattative di Sardi, per questo si è potuto sostenere che la
riunione di Sparta preceda quella di Sardi, inoltre la sua orazione è la prima
testimonianza del concetto di koinè eiréne («pace generale» tra i Greci): è
fondamentale capire se l’idea di “pace generale”, di fatto posta sotto il
patronato del re di Persia, sia nata autonomamente in ambito greco oppure sia
stata prodotta precedentemente a Sardi.
Tuttavia, un autore filolaconico come Senofonte avrebbe sottolineato se Sparta,
prima di accedere all’idea di ricorrere ai Persiani, avesse fatto un tentativo di
risolvere il conflitto all’interno del mondo greco: e di ciò non c’è traccia nella
sua opera.
Dunque viene prima la pace di Sardi, poi le trattative a Sparta.
Nel 390 gli Ateniesi inviano aiuti ad Evagora di Cipro, ribelle alla Persia, ma le
navi sono catturate dal nuovo navarco spartano, Teleutía (fratello di Agesilao),
che adesso opera in Asia: di fatto, dal 392, gli Spartani agiscono, nonostante
episodiche smentite, come alleati e gli Ateniesi come nemici della Persia;
Senofonte, nonostante sia filospartano, riconosce il paradosso della situazione:
gli Ateniesi sono contro il satrapo persiano che adesso è loro amico, gli Spartani
combattono contro gli Ateniesi proprio adesso che i Persiani solo loro nemici e
amici degli Ateniesi.
Struta resta in carica solo 3 anni, e quindi ciò che resta fondamentalmente è
l’intesa spartano-persiana; viene sostituito da Tiribazo nel 388. Nel 386
Spartani e Persiani giungeranno alla pace.
Senofonte ricorda che tutti i greci accettarono e giurarono, tranne i Tebani che
vorrebbero giurare per i Beoti, mettendosi di fatto in conflitto con la pace
perché non vogliono riconoscere l'autonomia alle città beotiche; a ciò s'oppone
Agesilao (in passato egli era antipersiano): gli ambasciatori tebani tornano per
consultazioni a Tebe, ma Agesilao nel congedarli annuncia loro un intervento
militare, se non accetteranno la pace soltanto a nome di Tebe. Agesilao, che di
fatto è il braccio armato della politica di Antalcida, non si limita a minacciare la
spedizione, ma già la organizza, e stabilisce il quartier generale a Tegea, in
Arcadia. Quando a Tebe si sa dell'imminenza dell'attacco spartano, si accettano
le condizioni della pace.
senofontea, non esce umiliata dalla pace, come invece lo sono gli Argivi, i
Corinzi e i Tebani.
Nel Peloponneso, il primo conflitto in cui Sparta è coinvolta, è quello con la città
arcadica di Mantinea, ancora roccaforte democratica nel Peloponneso che
procede d'intesa con Atene e altri avversari di Sparta. Il re spartano Agesipoli
prende la città dopo averla allagata con il disarginamento del fiume Ophis: la
città subì un frazionamento.
Nessuno degli alleati si era mosso in soccorso della città d'Arcadia.
parvenza di “parte lesa” che Sparta poteva accampare per l’episodio di Tebe
andò dissipata quando Sfodria, spartano con il comando a Tespie, tentò di
occupare il Pireo, marciando una notte: ma al mattino egli si trovava ancora
presso Eleusi, il colpo fu scoperto e sventato. Contro ogni aspettativa, il re
Cleombroto e il figlio di Agesilao, Archidamo, lo mandarono assolto, ma questo
fu un segnale per Atene della necessità di una nuova politica.
da Atene, scaccia a Delo gli Anfizioni ateniesi, ma nel canale tra le isole di
Nasso e di Paro più della metà della flotta è affondata da quella ateniese, con il
centrale ruolo delle grandi qualità strategiche di Cabria.
Il mar Ionio diventa uno dei punti caldi del confronto tra Sparta e Atene:
Timoteo, nel ritirarsi dal mar Ionio, consegna Zacinto alla parte democratica, e
vane sono le proteste spartane. Presto cominciano i tentativi di Sparta contro
Corcira: uno, nel 374, fallito, un altro, nel 373, sventato solo per l'intervento
ateniese.
La conduzione della guerra navale da parte di Timoteo negli ultimi due anni
pareva agli Ateniesi tanto arrischiata nei suoi inizi, quanto oziosa negli
Una spedizione di Ificrate (372) nel mar Ionio libera Corcira dall'assedio
spartano, e acquisisce le città dell'isola di Cefallenia ancora legate a Sparta.
Intanto Tebe consolida le sue posizioni in Beozia: assoggetta Tanagra e Tespie,
e distrugge con un attacco improvviso Platea (374/373), i cui abitanti furono
accolti ad Atene.
Atene e Sparta stipulano ora un trattato di mutua difesa, che segna una svolta
decisiva nei rapporti.
2. Epaminonda nel 369 cala in Peloponneso, e Dionisio I, con l'invio di navi e
mercenari, interviene in aiuto di Sparta. I Tebani limitano l'azione al nord della
penisola e a Sicione e a Pellene, dopo essersi congiunti con gli alleati argivi,
elei ed arcadi.
Intanto Pelopida, altro protagonista dell'egemonismo tebano, cerca di rafforzare
la presenza e l’influenza beotica nel nord greco (Tessaglia e Macedonia): in
Tessaglia, nel 369, libera Larissa, e poi interviene da paciere nelle contese
dinastiche macedoni, tra il re Alessandro II e il cognato (e amante della madre
Euridice) di questo, Tolemeo, nativo di Aloro.
I due Tebani non erano però al riparo dall'opposizione politica, guidata dal
democratico radicale
Meneclida: furono infatti sottoposti a processo, forse dopo la seconda
spedizione, e per il 368 non
paiono essere stati rieletti beotarchi (= magistrato appartenente alla lega
beotica confunzioni esecutive, militari e diplomatiche, con durata annuale).
Ariobarzane, satrapo persiano di Frigia, convoca un congresso a Delfi (368), ma
non riuscì a mettere d'accordo Spartani e Tebani.
Nel 368 Pelopida, forse come ambasciatore, non come beotarca, interviene in
Macedonia, dove il
momentaneo accordo tra Tolemeo di Aloro e re Alessandro II si era già rotto:
Alessandro II è assassinato, Tolemeo assume la reggenza per il fratello di
Alessandro II, Perdicca III; e contro il pretendente Pausania, insediatosi a Terme
e Antemunte, Euridice chiese l'aiuto del generale ateniese Ificrate.
L’arrivo di Pelopida ristabilisce l'influenza tebana in Macedonia, mediante un
nuovo accordo con
Tolemeo e la consegna di Filippo (futuro Filippo II), fratello di Perdicca III, e il suo
trasferimento a Tebe come ostaggio.
Meno felice l’esperienza di Pelopida con Alessandro di Fere, che, nel corso di un
colloquio, lo fece arrestare: per la sua liberazione intervenne un esercito
tebano (367), che indusse anche il tiranno di Fere a cedere Farsàlo.
Intanto nel Peloponneso la Lega arcadica si estendeva (in Laconia
settentrionale e Trifilia) e consolidava i rapporti con i nemici di Sparta, dagli
Argivi ai Messenii; la risposta di Sparta fu una spedizione di Archidamo in
Arcadia, che però non raggiunse i suoi scopi. Gli Arcadi tentarono invano di
chiudere la via del rientro all'esercito spartano, che inflisse ai nemici gravi
perdite, senza subirne (367 “battaglia senza lacrime” per gli Spartani).
D’altra parte, la Lega si rafforzava politicamente e si creava una capitale
federale (Megalopoli) nella vallata dell'Alfeo, nell'Arcadia occidentale: impianto
pensato in termini grandiosi, con cinta muraria
assai più vasta dell'area delle abitazioni: Megalopoli aveva la funzione di città-
rifugio.
3. Nel 367, una spedizione nel Peloponneso guadagna l'Acaia come alleata a
Tebe, ma Epaminonda dovette accettare la conservazione dei regimi oligarchici:
a Tebe si vollero ovunque imposti regimi democratici, che però furono di
effimera durata, per il rientro, nel 366, degli oligarchi esuli.
Vicende analoghe a Sicione: l'oligarchia è abbattuta da Argivi e Arcadi e si
insedia al potere il democratico Eufrone (368), poi cacciato dagli Arcadi,
indignati per i suoi eccessi; Eufrone rientra con l'aiuto ateniese (366/365), ma
perde presto il controllo dell'acropoli, passata nelle mani dei Tebani. => Arcadi
e Tebani non sembrano portatori di ideologia democratica radicale.
Il segno delle difficoltà di Sparta è nel ricorso all'intervento del re di Persia
(367); ma la sua ambasceria a Susa, guidata da Euticle, fu presto seguita da
ambasciatori degli altri Stati greci coinvolti nelle contese: Tebe, Argo, Elide,
Arcadia, la stessa Atene.
Pelopida fa accettare tutte le richieste tebane con carattere di principio:
o indipendenza della Messenia;
o concessione della Trifilia (contesa dagli Arcadi) agli Elei;
o ingiunzione ad Atene di disarmare la flotta;
o indipendenza di Anfipoli, di cui Atene pretendeva il controllo.
Ma al congresso di Tebe (366) i Beoti non riuscirono ad ottenere la convalida da
parte greca: sintomo dei limiti della politica egemonica tebana ed esistenza di
una crisi ben più profonda all'interno del mondo greco.
Atene perde Oropo, a favore di Eretria e soprattutto di Tebe, che vi installa una
guarnigione (366): segue il processo a Callistrato di Afidna e a Cabria;
Callistrato, pur assolto dall'accusa di aver ceduto Oropo per corruzione, perde
la propria influenza politica, mentre si rinnova l'affermazione della politica
bellicista e antispartana di Timoteo.
Atene tenta di trarre vantaggi dai conflitti interni all'impero persiano, con l’invio
di Timoteo, che conquista Samo, impiantandovi una cleruchia di 2.000 cittadini
(365), per poi passare sul continente in aiuto di Ariobarzane, che cede agli
Ateniesi, per ricompensa, Sesto e Critore nel Peloponneso tracico. Il re si
riconcilia ora con Atene, riconoscendole i diritti su Anfipoli, e Timoteo, nel 364,
si sposta in area macedone, dove si impadronisce di Pidna e di Metone, di
Torone e Potidea in Calcidica; fallisce invece l'occupazione di Anfipoli (364).
Una pace generale, da cui però si tenne fuori Sparta, sanciva lo status quo:
l'indipendenza della Messenia;
l'esistenza di due leghe arcadiche, una intorno a Tegea e Megalopoli,
l'altra intorno a Mantinea (l'Arcadia confinante con la Laconia era anche
quella antispartana: ciò fu fondamentale).
con più incertezza, minore slancio e minore coesione interna, quindi con
un'efficacia storicamente sempre più limitata.
Sparta non intende rinunciare alla Messenia e al suo ruolo nel Peloponneso;
Atene manteneva, forse momentaneamente accentuava, la posizione egemone
all'interno della Lega navale; Tebe continuava a vivificare l'ostilità verso Sparta
e, in minor misura, verso Atene, ma soprattutto cercava di conservare un ruolo
fondamentale nella Grecia centrale e in Tessaglia.
Lo scontro tra tali sempre più inefficaci ambizioni creò le condizioni per il
confitto accesosi intorno
al santuario di Delfi, non a caso nelle vicinanze e per iniziativa di Tebe. Una
nuova guerra sacra, che si apriva come conflitto regionale, contenuto nel
mondo delle póleis, ma che si svilupperà e si chiuderà – segno d'epoca nuova –
quale conflitto coinvolgente anche i Macedoni.
Alla fine del 405 si stipula la prima pace tra Dionisio e i Cartaginesi:
Selinunte, Imera, Agrigento appartenevano a Cartagine;
i cittadini di Gela e Camarina diventavano tributari di Cartagine;
Cartagine esercitava autorità su Elimi e Sicani;
Cartagine assume di fatto la tutela dell'autonomia dei Siculi, di Messina e
Leontini;
a Dionisio viene riconosciuto il dominio su Siracusa.
Camarina, Gela e Agrigento furono parzialmente ricostruite, ma le prime due
dovevano restare prive di fortificazioni. Le città greche più vicine al territorio
punico di Sicilia ebbero un diverso destino: Selinunte non risorse più; nei
pressi di Imera già nel 407 i Cartaginesi avevano Terme, in cui si accolsero
gli Imeresi superstiti.
Oltre la linea dell'istmo Dionisio cerca solo una posizione d'egemonia, prestigio,
controllo: ma il dominio 'continuo' non risulta essersi esteso oltre quell'istmo. Si
dà vita ad una realtà composita ed eterogenea, che costituisce un complesso
sistema di rapporti. Questo impero fonda il tipo di complessa continuità
territoriale, che è l'unica forma di dominio territoriale che una pólis del mondo
classico può costituire. Affidato al limitato respiro d'un uomo e della sua
discendenza l'impero si sgretola già sotto Dionisio II, costituendo in ogni caso
un antecedente degli stati territoriali creati da una città nel mondo
mediterraneo.
Dionisio è ora l'árcheon Sikelías che dicono documenti attici; questi può adesso
puntare a perfezionare il suo dominio sull'estremo lembo dell'Italia: in quanto
strategicamente più economico attacca dapprima Reggio, ma una tempesta
risolve in un disastro la spedizione navale.
Dionisio opera una tacita intesa con i Lucani, che hanno già occupato Lao,
sottocolonia di Sibari sul Tirreno, e che compiono incursioni periodiche nel
territorio di Turii; ad una di queste i Turinii replicano con una controffensiva che
li porta fin sotto Lao, dove cadono in un agguato, a cui segue una strage, e i
superstiti furono risparmiato per l'intervento del fratello di Dionisio, Leptine, il
quale a seguito di tale scelta – controproducente per la complicità con le
bellicose genti italiche - fu sostituito dall’altro fratello, Tearida.
Nel 388 Dionisio passa all'azione contro la Lega italiota: comincia con l’assedio
di Caulonia, più vicina all’alleata Locri; nel frattempo da Crotone muoveva un
esercito federale italiota: Dionisio sospende l'assedio e marcia verso nord per
intercettarlo.
Presso il fiume Elleporo ebbe luogo la battaglia, vinta da Dionisio, che rimandò
gli italioti nelle rispettive patrie senza riscatti: era l’atto più generoso compiuto
dal tiranno, un atto che doveva solo lasciargli le mani più libere per l'azione
decisiva contro Reggio.
Caulonia è adesso conquistata, e il suo territorio, come quello di Scillezio e
Ipponio, è annesso a Locri, e le popolazioni trasferite in Sicilia.
rovine della città Dionisio eresse un palazzo; solo Dionisio II ricostruirà il nucleo
di una nuova Reggio.
La sortita dal 'confine dell'istmo' che si produce con l'offensiva verso Crotone
(379) si collega alla terza guerra cartaginese (379-374), in cui Dionisio
conseguì successi in Sicilia occidentale (vittoria
di Kabala, 375), ma poi subì una grave sconfitta a Kronion, ove morì Leptine.
Seguì la pace del 374:
appartenenza a Cartagine dei territori a ovest del fiume Halykos (Platani),
perciò di Selinunte, forse Eraclea e Terme;
Dionisio deve pagare un risarcimento di 1.000 talenti;
si assicurano a Dionisio e alla grecità di Sicilia condizioni più favorevoli di
quelle risultanti dalle spedizioni puniche del 409 e del 406/05, e della
pace del 405.
Pare che Dionisio abbia condotto una quarta guerra contro Cartagine nel 367,
allo scopo di migliorare le posizioni greche e scacciare i Cartaginesi dai territori
occidentali: Selinunte, Entella, Erice sarebbero cadute sotto il suo controllo, ma
nell'inverno 367/366 Dionisio morirà.
Dionisio in Grecia:
Aveva più volte interferito militarmente, sempre in favore degli Spartani, già
durante la guerra corinzia, e nel 372 partecipò all'assedio di Corcira, contro gli
Ateniesi, e inoltre intervenne per contrastare Epaminonda e gli Arcadi ostili a
Sparta. Dopo Leuttra, con il riavvicinamento tra Atene e Sparta, si erano create
le condizioni per ricostruire buoni rapporti con Atene.
La vicinanza ideale a Sparta e la notorietà del personaggio ad Atene, spiegano i
primi due dei tre viaggi di Platone in Sicilia (388, 367/66); il terzo si lega al
fascino che l'ingegneria politica siciliana, per cui si possono disfare vecchie
città e costruirne di nuove, gioca su Platone, riformatore e sognatore di un
nuovo Stato.
Dionisio II (figlio della moglie locrese) successe al padre, a dispetto dei tentativi
contrari della discendenza di Aristomache (Ipparino, Niseo, Sofrosine, Arete) e
del fratello di questa, Dione.
Rispetto al padre, attuò una politica di contenimento:
accordo con Cartagine;
intervento in favore degli Italioti contro i Lucani;
fondazione di due colonie contro i pirati in Apulia.
in politica interna, il suo governo fu caratterizzato da qualche misura
sociale e politica (riduzione tasse, richiamo esuli).
Tra golfo Termaico e Calcidica si gioca tale difficile partita. Mentre la fondazione
di Anfipoli alla foce dello Strimone da parte ateniese nel 437/436 avviene senza
ostilità (e forse con il favore) della Macedonia, quest’ultima sostiene a
ripetizione la ribellione della Calcidica alle pretese egemoniche di Atene, che
incluse nella Lega navale e nel suo sistema tributario vari centri della regione:
dietro la ribellione di Potidea e dietro la costituzione del nuovo stato dei
Chalkideîs, centrato su Olinto, nel 432, c'è la mano di Perdicca II. È
comprensibile che Atene scateni contro la Macedonia un'invasione di Traci
Odrisi sotto Sitalce, nel 429, che tuttavia si concluderà con un matrimonio tra
Stratonice, sorella di Perdicca II, e Seute, nipote di Sitalce.
Verso le città della Calcidica Perdicca pratica una politica di 'buon vicinato':
Olinto viene potenziata con il sinecismo nel 432 [sinecismo: concentramento in
un’unica città della popolazione prima sparsa in borgate e campagne], e la
Calcidica in generale svolge il ruolo di intermediaria del commercio delle
materie prime macedoni (legname, pece) verso il mondo greco.
Aminta III dové affrontare seri problemi. La Macedonia conobbe una vera
grande crisi, risultante dall'assassinio di Archelao e dalle convulse lotte
dinastiche seguenti: salì al potere dopo un
decennio di caos seguito alla morte di Archelao.
Egli dovette fronteggiare una Lega calcidica diventata ostile e intraprendente
verso la Macedonia, al punto di occupare, seppur temporaneamente, Pella.
Aminta III chiese aiuto a Sparta, che debellò e sciolse la Lega calcidica dopo
una guerra di tre anni. La Lega calcidica presto si ricostituì e riprese i buoni
rapporti con la Macedonia; d’altra parte, Aminta III aderì, circa il 375, alla Lega
navale ateniese, come fece anche Giasone di Tessaglia: a una rinnovata
egemonia ateniese si accompagna un'egemonia tessalica nella Grecia centrale
e un sostanziale accordarsi della Macedonia.
Nel suo regno si coglie l'intera parabola della crisi, fino al suo superamento.
Alla morte di Aminta III si hanno nuove lotte dinastiche (370-365), che vedono
al loro inizio e alla loro fine la presenza sul trono dei suoi figli.
Nell'anno 370/369 regna Alessandro II, che interviene negli affari di Tessaglia,
ma è assassinato dal cognato Tolemeo nativo di Aloro e amante di Euridice,
madre di Alessandro II.
Tolemeo assume la reggenza per Perdicca III, fratello di Alessandro II: periodo in
cui l'egemonia tebana si sente anche in Macedonia. Interviene a sostegno di
Alessandro II il tebano Pelopida, che aiutò poi Tolemeo. Gli Ateniesi, che non
potevano stare a guardare, agiscono con le campagne di Timoteo nella
Calcidica e sulla costa macedone. Dal 364 Metone è di Atene, la quale sostiene,
nelle lotte dinastiche, Perdicca III, figlio di Aminta III: egli, dopo essere stato
aiutato, contesta i diritti ateniesi su Anfipoli, installandovi una guarnigione nel
360, ma nel 359 muore in una spedizione.
La storia dei i rapporti fra Filippo II, la Macedonia e la Grecia ha subìto negli
ultimi decenni una radicale revisione rispetto alle impostazioni ottocentesche
del problema.
La cultura tedesca dell’ ‘800 proponeva un’interpretazione nazionalistica dello
scontro tra Macedonia e Grecia al tempo di Filippo II e Demostene: la questione
è stata interpretata alla luce delle vicende della Germania del XIX secolo,
quando la Prussia, con la quale Beloch paragonava la Macedonia, svolse
davvero la funzione di stato promotore dell’unità tedesca.
Nel 354 i Tessali irrompono nella Locride e combattono contro i Focesi presso il
colle Argola, ma sono sconfitti. L'intervento dei Beoti raddrizza
progressivamente la situazione, fino alla sconfitta di Filomelo nella battaglia di
Neon (354), dove egli si toglie la vita.
Filomelo è sostituito da Onomarco, al quale si collegano il maggiore
sfruttamento delle ricchezze del santuario da parte dei Focesi e un impegno
militare, e persino diplomatico, più deciso, reso possibile dall'uso di denari
provenienti dalle ricchezze sacre. Egli corrompe i Tessali, che sono esclusi dalla
guerra anfizionica; conquista posizioni in Locride (Tronio) e in Beozia
(Orcomeno).
Successivamente i Tessali chiedono a Filippo II di sostenerli contro il tiranno
Licofronte di Fere: nel 354 Filippo II interviene una prima volta. Con il tiranno di
Fere si schierano i Focesi.
In due scontri Filippo II, seguito dai Tessali, che forse già lo riconoscono tago, è
sconfitto da Onomarco. Il 353 è l'anno più critico dell'ascesa politica di Filippo II
e della sua espansione.
Nel 352 Filippo II rientra per attaccare Licofrone di Fere, il quale, con l'aiuto dei
Focesi, forma un
esercito considerevole. Filippo II induce i Tessali ad associarsi a lui.
Nello scontro ai campi di Croco, sul golfo di Volo, Filippo II consegue una
straordinaria vittoria, che
riduce di molto l'esercito nemico e vede la morte di Licofrone, cui segue
l'impiccagione di Onomarco già morto e l’annegamento degli altri come
profanatori del tempio delfico.
Nel 352 Filippo ha ormai una posizione preminente, e di tutta legittimità, nel
conflitto greco.
Filippo cerca ora di forzare il passaggio delle Termopile, ma qui lo bloccano gli
ateniesi, insieme con Spartani e Achei, venuti in soccorso dei Focesi. Filippo
rinuncia all'attraversamento del passo, oltre il quale gli si sarebbe aperto il
campo vasto e complesso dei rapporti diretti con il mondo delle póleis).
Nel 347, logorati dal confronto con i Focesi, i Beoti chiedono l'aiuto di Filippo II:
egli invia pochi soldati, per non favorire troppo i Beoti (forse egli non voleva
ancora un coinvolgimento diretto nelle questioni del mondo greco a sud del
passo). Nel 346 i Focesi accusano notevole stanchezza e Filippo riesce a
domarli, smilitarizzando poi le città e consentendo la partenza delle forze
mercenarie, comandate dall'ultimo capo focese, Faleco.
Ma la resa focese si ebbe solo dopo che si raggiunse un accordo tra Macedoni,
Ateniesi e gli altri Greci, con la pace di Filocrate: gli Ateniesi inviarono due
ambascerie, una a trattare, l'altra a scambiare giuramenti con Filippo II, e
ricevettero, nell'intervallo fra queste, la controambasceria macedone,
incaricata di ottenere il giuramento degli Ateniesi, a convalida di un testo di
pace che escludeva i Focesi e la ftiotica Alo. Dalla seconda ambasceria ateniese
fu fatta valere l'esigenza di rinunciare almeno alla formale esclusione dei
Focesi, il che fu accettato da Filippo II, il quale però non si impegnò a rinunciare
all'intervento in Focide, che avvenne presto; la conseguenza fu la piena
legittimazione del re nel quadro dello strumento panellenico per eccellenza,
cioè il sinedrio anfizionico, nel quale i due voti dei Focesi passavano ormai a
Filippo II.
Filippo II interviene nel mondo delle città greche nella posizione e forma più
legittima possibile, e addirittura prefigurava, rispetto all'Anfizionia delfica, la
posizione di capo militare (heghemón) che
perfezionerà dopo la battaglia di Cheronea, con la creazione della Lega di
Corinto; a Filippo II fu anche attribuita la molto onorifica presidenza dei giochi
pitici.
Il rapporto tra Filippo II e Atene è di notevole complessità:
Vocazione reciproca all'intesa tra Filippo II e alcuni circoli ateniesi: p. es. tra la
pace di Filocrate e la
resa dei Focesi si colloca (346) il Filippo, importante pamphlet di Isocrate, che
per Filippo vagheggia
il triplice ruolo di benefattore dei Greci, re dei Macedoni e signore dei barbari.
La quarta guerra sacra (339-338), che condusse alla battaglia di Cheronea tra
Macedoni e la Lega costituita da Demostene, mostra come Filippo, fino
all'ultimo, perseguisse il fine d'avere Atene legata alla sua posizione
egemonica, già garantita dal suo ingresso nell'Anfizionia delfica, senza
arrivare a uno scontro cruento. La politica di Filippo non aveva bisogna della
battaglia di Cheronea.
I Locresi di Anfissa – che nel gioco diplomatico tra Filippo II e Atene sono le
vittime designate - muovono ad Atene l'accusa di aver offerto scudi votivi nel
santuario delfico, non ancora riconsacrato, dopo le violazioni focesi della terza
guerra sacra. Atene, per bocca di Eschine, accusa i Locresi di Anfissa d'aver
coltivato terra sacra: di qui la necessità della guerra anfizionica (i Focesi sono
fuori gioco).
Nel 349 Atene non era riuscita a venire a capo della rivolta: solo Caristo, nel
sud dell’isola le era rimasta fedele. Nel 343, in Eubea, la politica di Filippo II
relativa alla prassi di non fare avventato ricorso all'uso della forza e ad azioni
militari nella Grecia a sud delle Termopile, cambia: in Eubea, da molto tempo,
la crisi dei regimi democratici e la propensione al ricorso a regimi tirannici
avevano costituito un campo di richiamo per interventi di forza dall'esterno.
Filippo voleva servirsi dell'Eubea come base di pressione politica sull'Attica, e
potrebbe anche aver considerato l'eventualità – a lui sgradita – di svolgere da lì
un'azione militare diretta contro Atene.
A Megara poi un tentativo d'intervento di Filippo II è bloccato dall'ateniese
Focione.
Negli ultimi anni prima di Cheronea lo scontro fra Atene e la Macedonia assume
sempre più i contorni di un conflitto personale di dimensioni titaniche: sono
all'opera due intelligenze politiche di
prima grandezza, che raccolgono e interpretano eredità storiche, condizioni,
istanze che vanno oltre le passioni personali, e che appaiono soprattutto
impegnate nella costruzione di sistemi di alleanze contrapposte, intese a
raccogliere il massimo di 'grecità' possibile, con il massimo di coerenza
territoriale.
Nel 340 Demostene riesce a stringere intorno ad Atene l'Eubea, assieme a
Megara, Corinto con le colonie di Leucade e di Ambracia sul mar Ionio, Corcira
e, fra le regioni che si affacciavano sul golfo di Patre e Corinto, l'Acaia e
l'Acarnania.
Filippo II sostituisce, nel 342, sul trono dell'Epiro, Aribba col cognato Alessandro
il Molosso, suo
fedelissimo; riesce a fronteggiare le crociate diplomatiche di Demostene nel
Peloponneso, del 342 e
del 341, che avevano fruttato ad Atene alleanze con Argo, Megalopoli e
Messene, ma destinate a
rimanere ininfluenti nel conflitto, in virtù di precedenti legami con il re
macedone da parte di esse.
Filippo II poteva giocare la carta della sua stabile e autorevole presenza
nell'Anfizionia, a cui si accompagna il controllo di fatto della Tessaglia e
dintorni, e una vasta possibilità d'azione politica verso le regioni della Grecia
centrale: la debellata Focide, le due Locridi, e soprattutto la Beozia,
violentemente contesa fra i due rivali.
A nord dell'Egeo la capacità d'avanzata di Filippo, provata fino all'Ebro,
stentava a confermarsi per la regione a est del fiume e per il Chersoneso
tracico, dalla cui basi l'ateniese Diopite del Sunio si poteva persino permettere
di attaccare Cardia, città alleata di Filippo II, sull'istmo del Chersoneso, e contro
2. Atene dovette:
- cedere alla Macedonia il Chersoneso tracico, ma otteneva la Oropo (a
nord di Atene), sempre contesa ai Tebani;
- sciogliere la Lega navale e aderiva alla Lega panellenica, che Filippo II
si accingeva a fondare;
- Atene riotteneva i prigionieri di Cheronea senza pagare un riscatto;
- Filippo II si impegnava a non varcare con l'esercito i confini dell'Attica;
- a Filippo II fu eretta una statua nell'agorà di Atene, ad Alessandro, che
riportava in città i resti dei caduti ateniesi, fu concessa la cittadinanza.
Nel 338 Filippo II entra con un esercito nel Peloponneso, invade e devasta la
Laconia lungo il corso dell'Eurota e fino a Gizio, pur senza entrare in Sparta.
Argivi, Arcadi, Messenii si schierano dalla parte macedone ( e in Arcadia
Mantinea si riuniva alla lega con capitale Megalopoli); i confini della Laconia
vengono ritoccati a favore di Argo (per la Cinuria e la costa fino a Zarax), della
Messenia (per la Denteliatide), dell'Arcadia (per la Sciritide).
Seguì il congresso di tutti 'i Greci a sud delle Termopile' (338/337), cui rimase
estranea Sparta:
proclamata la pace generale (koiné eiréne) e l’autonomia di tutti gli stati
greci: non vi dovevano essere mutamenti violenti né nei regimi né nei
rapporti di proprietà;
viene creato un consiglio comune di tutti i Greci (koinòn synhédrion) con
sede a Corinto;
in caso di guerra il comando generale per terra e mare sarebbe spettato
a Filippo;
il greco che prestasse servizio presso potenza straniera (Persia) era
traditore
Poco dopo Filippo II sposa Cleopatra (Euridice), giovane della più alta nobiltà
macedone, che gli darà un figlio: fu la grande passione della sua vita.
Olimpiade si sentì ripudiata e andò in Epiro, Alessandro si chiuse nel rancore.
Alessandro, dopo la morte del padre, eliminò il cugino Aminta IV, figlio di
Perdicca II, a suo tempo spodestato da Filippo II ma da questo umanamente
conservato in vita e sposato alla figlia Cinna; la stessa sorte tocca ai
personaggi della casa reale di Lincestide, che dopo la morte di Filippo II
avevano sostenuto i diritti di Aminta IV.
Il modo drammatico del trapasso dei poteri suscitò nel mondo greco reazioni
che sembravano mettere in forse i risultati di Cheronea:
– da Ambracia, in Epiro, fu cacciata la guarnigione macedone;
– a Tebe, e soprattutto ad Atene, vi era un vivo fermento nazionalistico e
antimacedone.
Vi erano inoltre, nel mondo greco, le condizioni per cercare capri espiatori per
la sconfitta: l'oratore Licurgo accusò lo stratego Lisicle, che fu condannato a
morte.
Licurgo fu ministro delle finanze di Atene dal 338 al 326 circa, periodo in cui
non mancarono aspetti culturali: organizzazione dell'efebia (periodo di servizio
militare tra 18 e 20 anni); completamento del teatro di Dionisio (sede delle
assemblee cittadine; rafforzamento e ricostruzione delle mura. L'opera di
Licurgo valse da schermo protettivo ai fermenti indipendentistici e
antimacedoni (alla notizia della morte di Filippo II, Demostene diede pubbliche
manifestazioni di gioia).
Alessandro aveva ben chiaro il significato delle tappe politiche del padre verso
l'egemonia in Grecia, e intendeva ribadirne la definitiva acquisizione, quale
pieno erede:
o in Tessaglia gli è confermata, quasi come posizione ereditaria, la tagía;
o alle Termopile ottiene il rinnovato riconoscimento di protettore del
santuario delfico;
o Tebe e Atene sono indotte a formali tributi d'ossequio;
Alessandro, in terra asiatica, visita Troia, rendendo gli onori alla tomba di
Achille.
Si stava realizzando il sogno di Isocrate di un'impresa che unificasse il mondo
greco in una spedizione contro l'Asia: per Alessandro ciò equivaleva a conferire
un tratto personale in più al riaffiorare di livelli culturali 'omerici' nella storia del
mondo greco, che aveva connotato l'ascesa di uno stato come la Macedonia.
Nel 334 Alessandro rinvia a casa la più parte della flotta: il senso della
spedizione in Asia era affermare la supremazia di uno stato continentale su uno
stato continentale.
Nell'avanzata verso sud il macedone deve affrontare un punto di resistenza ad
Alicarnasso, che è
cinta d'assedio e di cui si conquista la città bassa: Memnone si ritira e porta le
sue forze
nell'antistante isola di Cos. La satrapia di Caria, dove continuava la resistenza
di Mindo e Cauno, oltre che di Alicarnasso, fu affidata ad Ada, sorella di
Maussollo e di Pixodaro, in sostituzione di Orontobate, persiano che praticava
politica filopersiana.
Alessandro avanza in Licia e Panfilia e poi nel cuore della Frigia fino a Gordio,
dove con la spada taglia il nodo che lega un giogo a un carro, e il cui
scioglimento, in virtù di un'antica profezia, doveva assicurargli il dominio
dell'Asia.
Memnone, dopo lo scacco di Alicarnasso, dispiega una proficua attività
nell’Egeo, guadagnando Chio e le città di Lesbo (esclusa Mitilene), e suscitando
simpatia e adesioni fra le città delle Cicladi, e da parte di Atene; ma una
malattia lo uccide durante l'assedio di Mitilene.
I persiani Farnabazo (suo nipote) e Autofradate cercano di continuare:
ottennero la resa di Mitilene, riconquistarono al sud Mileto e la città bassa di
Alicarnasso; più modesti i successi al nord: presa di Tenedo, dislocazione di una
piccola flotta presso gli Stretti.
5. Il grande inseguimento
Nell'inverno 331/330 Alessandro sosta in Perside, dove brucia il palazzo di
Persepoli, e in primavera mosse verso l'interno: dopo Gaugamela l'avanzata è
un lungo inseguimento, in cui il fuggiasco sembra segnare e aprire la strada
all'inseguitore.
Dario fugge in Media e poi nelle estreme regioni orientali, in Battriana;
Alessandro lo incalza in Media, raggiungendo Ecbatana, dove lascia
Parmenione con metà dell'esercito, per poi continuare.
finisca vivo nelle mani di Alessandro, poi si rifugia nella sua satrapia, dove si
proclama re col nome di Artaserse. Alessandro si impadronisce della salma di
Dario e la trasferisce in Perside, per una solenne
sepoltura nella necropoli regale. Tutto, negli atti di Alessandro, è inteso per
presentarsi come
legittimo successore di Dario III, e questo ha una serie di conseguenze:
1) l’obbligo morale di continuare nell'inseguimento di Besso, scaduto al
ruolo di usurpatore;
2) la spinta a completare la conquista delle regioni orientali dell'impero
persiano, fino ai suoi confini storici e naturali;
3) la forte ideologizzazione dell'ulteriore conquista di Alessandro, le cui
iniziative e i cui gesti si caricano di densi valori simbolici;
4) il progressivo entrare di Alessandro nel ruolo del re persiano;
5) il formarsi di un'opposizione macedone (poi greco-macedone) ad
Alessandro, nel suo stesso entourage, il prodursi di congiure e quindi di
un clima di sospetto, a cui risponde la vendicativa ira del re.
6. Congiure e repressione
Nel 330 uno dei figli di Parmenione, Filota, comandante della cavalleria pesante
macedone, avendo
omesso di denunciare al re una congiura organizzata in Drangiana dagli ufficiali
di Alessandro, irritati per l'introduzione del cerimoniale di corte persiano, è
accusato d'alto tradimento, condannato a morte e giustiziato, mentre il fratello,
Nicanore, capo degli ipaspisti (scudieri, una guardia speciale), moriva per gli
strapazzi affrontati nell'inseguimento di Dario.
La posizione di Parmenione, che deteneva il comando della metà dell'esercito
in sosta ad Ecbatana, risulta parecchio indebolita, e Alessandro, per prevenirne
qualunque reazione, diede ordine ad alcuni ufficiali di eliminare il fedele e
valorosissimo generale.
Tra il 328 e il 327 Alessandro fronteggia la rivolta di Spitamene e degli abitanti
della valle dell'Oxos: i Macedoni subirono scacchi a Maracanda e nella Battra,
ma Spitamene fu vinto e ucciso.
=> Il confine del regno di Alessandro coincideva così con quello persiano, cioè
col fiume Iaxartes.
Ma nello stesso periodo altri due drammi si erano svolti nella cerchia di
Alessandro: a Maracanda, nel 328/327, durante una lite (attorno all'esaltazione
incauta fatta da Clito di Filippo II, come di un modello di comportamento
Superato il Paropamiso nel 327, e assoggettati gli abitanti della valle del fiume
Kabul, Alessandro attraversa l'Indo nel 326. Che la sua politica fosse volta a
consolidare il confine fluviale, risulta chiaro dagli eventi successivi.
Tra l'Indo e l'Idaspe conta sull'alleanza del re Taxila, che egli aiuta contro il
vicino re Poro, il quale regna tra l'Idaspe e l'Acesine e che viene sconfitto e
fatto prigioniero, pur restano principe vassallo nel proprio dominio.
Con i regni a est dell'Indo si procede nella politica di creazione di una barriera
di stati vassalli: Alessandro considera razionalmente l’Indo come un confine
estremo, da non valicare per nuove avventure; le colonie militari di Nicea e
Bucefala servono allo stesso scopo.
Altri popoli e altre città venivano assoggettati, ma si tratta di elementi tra
l'Idaspe e l'Ifasi, e questo
rappresenta il corso fluviale più esterno dell'area del Punjab (la regione dei
“cinque fiumi”).
Superare l'Ifasi in direzione del Gange sarebbe stato atto che avrebbe rotto con
lo schema della 'politica dell'Indo', e avrebbe significato apertura a spinta
indifferenziata da protrarre fin dove possibile; ma il malumore dell'esercito e
l'esito dei diabetéria (sacrifici per la traversata), naturalmente negativo,
determinano l’inversione di rotta, non senza che sulla riva dell'Ifasi fossero
eretti dodici altari, simbolo di un confine fluviale consolidato.
A Opi, sul Tigri, il re affrontò, assai male, il problema dei veterani desiderosi,
dopo 10 anni di ininterrotte campagne, di tornare in patria: propose di
dimettere gli invalidi, un congedo umiliante per chi veniva rimandato in patria e
non soddisfacente per chi era trattenuto. L’esercito si ammutinò, invitando
Alessandro a ricorrere ai sui «cari Persiani». Alessandro venne a capo della
rivolta facendo valere di fronte ai soldati i meriti storici della dinastia nello
sviluppo del Paese e congedando tutti i veterani; fece giustiziare i capi della
rivolta e costituì una serie di corpi persiani 'paralleli' in cui non si verificavano
commistioni iranico-macedoni.
I veterani si misero in viaggio per la Macedonia al comando di Cratero: saranno
in gran parte usati per reprimere la 'guerra di Làmia'. Cratero sarà poi
designato 'stratego d'Europa', al posto di Antipatro, divenuto agli occhi del re
troppo potente, e soprattutto giunto a conflitto con la madre di Alessandro,
Olimpiade (ella, dopo la morte la morte del fratello Alessandro il Molosso, si era
ritirata in Epiro, mentre in Macedonia rientrava la vedova di Alessandro il
Molosso, Cleopatra, figlia di
Olimpiade e sorella di Alessandro il Grande). Antipatro, secondo le disposizioni
di Alessandro, doveva portare nuovi soldati in Asia al posto di quelli rientrati.
Alessandro – in rapporto alla figura di 're universale' a cui volle dar corpo –
richiese gli onori divini ai Greci, o almeno segnalò la sua aspirazione a
riceverne da parte loro, certo più in linea con le tradizioni di monarchie come
quella egiziana che non con gli eccezionali onori divini tributati in Grecia a
viventi.
Ad Eritre (Ionia), Megalopoli (Arcadia) e ad Atene (nonostante l’opposizione
vivace, domata da Demade e da Demostene) gli vengono attribuiti onori divini;
altrove fu la consacrazione di un sacro bosco o di un tempio.
Anche far rientrare nelle città di appartenenza tutti gli esuli politici greci
(Decreto di Nicanore, 324) risponde a una scelta di pacificazione del mondo
greco (dalla misura esclusa Tebe e altre città irriducibilmente ribelli) e alla
concezione di una monarchia universale che irradia i suoi benefici sull'umanità
intera: non vi furono resistenze, tranne che presso popoli o città che
dall'azzeramento dei conflitti politici registravano la perdita di nuovi dominii,
realizzati proprio con l'espulsione della popolazione preesitente (Etoli per
Eniade; Atene per Samo).
Ancora nello spirito degli atti simbolici, di cui è sempre più uso Alessandro, v'è
la decisione
di passare la stagione calda del 324 nella capitale d'estate degli Achemenedi,
la meda
Ecbatana, dove muore Efestione => sempre più verso una monarchia di tipo
orientale e universale.
9. L'impero « universale »
Da Ecbatana, dopo aver domato i barbari Cossei, il re si trasferì a Babilionia
(inverno 324/323), dove lo attendevano ambascerie provenienti da stati greci e
dalla stessa Italia. Alessandro, secondo una discussa tradizione, si accingeva
alla conquista dell’Occidente (Musti sostiene che non sia vero).
Gli atti del 323, relativi all'allestimento d'una spedizione terrestre e navale di
conquista dell'Arabia, tra Indo e golfo Persico, da un lato, ed Egitto, dall'altro,
non vanno al di là del razionale progetto di consolidamento del confine (in
questo caso interno) già all'opera nella campagna dell'Indo.
Da buon greco, Alessandro non rinunciò mai a tenere ben fermi i piedi sul
terreno della realtà. Quando tutto era pronto per la spedizione, il re si ammalò,
e dopo 12 giorni morì, il 13 giugno 323.
10. La successione
Il problema di successione è grave per vari motivi: l’età ancora giovane del re;
la vastità e complessità dell'impero conquistato; la confusa situazione familiare
ed ereditaria.
Alessandro non aveva figli legittimi (Eracle, figlio di Barsine figlia del persiano
Artabazo, era illegittimo, in quanto nato da una concubina), se non dopo
qualche mese dalla sua morte, con il parto di Rossane (barbara). Ciò crea
tensione e confusione – già per l'incertezza circa il sesso -, rafforza l'avversione
dei soldati della fanteria macedone nei confronti del nascituro e la scelta
legittimista in favore di Filippo Arideo (figlio mentalmente minorato di Filippo II)
e di sua moglie Euridice (figlia di Aminta IV).
I generali macedoni erano invece più favorevoli ad attendere il parto di
Rossane, anche perché l'attesa, e la necessità di mettere il neonato sotto
tutela, apriva la strada a una situazione nuova che poteva evolvere a loro
vantaggio; così pensavano Perdicca, Tolomeo a altri.
L’anello dato da Alessandro in punto di morte a Perdicca era più una soluzione
contingente che non la ratifica di una posizione di primato assoluto; ma
Perdicca riesumò per sé il titolo di chilíarchos, una sorta di “primo ministro”.
Riguardo alla gestione dei territori dell’impero, si apriva anche il conflitto tra il
principio unitario e quello particolaristico, destinato a prevalere in meno di
vent’anni.
Archidamo III intervenne in aiuto di Taranto, che aveva richiesto l’aiuto della
madrepatria contro Iapigi e Lucani, e portò con sé anche mercenari focesi; ma
sotto le mura della messapica Manduria egli fu sconfitto e ucciso (338).
Taranto, già dal secondo quarto del IV secolo, è città egemone della Lega
italiota, dell'Italia greca, ma si trattava di un’egemonia entrata in crisi. Dopo
Archidamo, il condottiero da cui Taranto e la grecità d'Italia otterranno aiuto
contro gli attivissimi Lucani, è Alessandro il Molosso (334/331-330): Sparta,
impegnata contro la Macedonia, non aveva infatti le forze da dirottare verso
Taranto.
Alessandro affronta uno dopo l'altro i popoli barbari dell'Italia meridionale
(Messapii, Peucezi, Lucani). Egli libera Siponto ed Eraclea, e da Paestum farà
una sortita per sconfiggere in battaglia
Sanniti e Lucani; stringe anche un patto con i Romani.
Taranto sempre più interpreta il ruolo di città egemone dell'intera Italia, greca e
indigena, decisa a contrastare, semmai, l'avanzata dei romani, popolo 'barbaro'
più distante e più temibile.
Il Molosso, e con lui le città greche che gli sono restate devote (Turii,
Metaponto, in tradizionale posizione di antagonismo verso Taranto), sono più
legati alla tradizionale politica d'opposizione all'elemento barbarico lucano-
brettio, al momento più attivo e geograficamente più vicino. Alessandro verrà
però ucciso a tradimento a Pandosia da un esule lucano.
Nel 330, poco dopo la morte del Molosso, vi è la presa di Posidonia (poi
Paestum) da parte lucana.
La condizione dei Greci d'Italia tra il 400 e il 330 è 'stato di sofferenza':
opulenza e benessere economico, ma anche crisi morale.
Negli anni 323-321 le personalità dominanti nei due tronconi dell'impero sono
Antipatro in Europa e Perdicca in Asia: Perdicca aveva un nemico in Antigono
(che fuggì in Europa) e uno in Egitto, verso il quale rivolse sforzo di conquista,
tanto più che in Asia minore continuava a sostenerlo Eumene,
anche se gran parte della dirigenza macedone non accettava che fosse
intenzionato a sposare
Cleopatra, sorella di Alessandro Magno e di porsi quindi come erede legittimo
della dinastia degli Argeadi. Perdicca è vittima di un attentato nel 321 a
Pelusio, alle porte dell'Egitto.
3. Antigono protagonista
La scomparsa di Cratero e Perdicca, i grandi rappresentanti del potere regale,
impone il riassetto
dell'impero, attuato nel convegno di Triparadiso, in Siria (321):
epimeletés 'dei re' (non 'del regno' di Arideo) è nominato Antipatro, che si
ritira in Europa con Filippo Arideo, Euridice e Alessandro IV (figlio di
Rossane);
contro Eumene, vecchio fautore di Perdicca e dell'idea d'un impero
unitario centrato sui dominii dell'Asia, viene emessa la sentenza di morte,
di cui doveva essere esecutore Antigono, che si poneva come erede del
progetto di impero asiatico di Perdicca (senza però rinunciare
formalmente ad un ambizioso disegno unitario);
nuova ripartizione delle satrapie, con cui si minò ulteriormente l'unità
dell'impero
Tali accordi mettono in gioco personalità destinate a un grande futuro, come
Seleuco, che ottenne la satrapia di Babilionia; altri, come Arideo, satrapo della
Frigia ellespontica, hanno rilievo solo per qualche anno.
Gli accordi evidenziano la notevole chiaroveggenza di Antipatro, che tenta di
scongiurare un conflitto - che poi si rivelerà filo conduttore dei conflitti tra
Diadochi – tra il figlio
Schieramenti:
Con Cassandro le regioni centro-orientali, dalla Tessaglia alla Locride alla
Beozia e all'Eubea;
Con Poliperconte gli Etoli e la maggior parte dei Peloponnesiaci.
Lo scontro:
Mentre Cassandro è impegnato nell'assedio di Tegea in Arcadia, avviene il
rientro di Olimpiade dall'Epiro in Macedonia, dietro sollecitazione di
Poliperconte: Euridice la affronta al confine tra le due regioni, ma le truppe
macedoni la abbandonano per passare con la prestigiosa madre di Alessandro
Magno; Filippo III, Euridice e Nicanore, fratello di Cassandro, sono uccisi (317).
Cassandro nel 316 fonda Cassandrea, sul sito di Potidea (distrutta da Filippo II
nel 356), presso l'antica Terme, fonda Tessalonice e richiama in vita Tebe, tra il
giubilo di tanti Greci. => Politica, verso i Greci, cauta sul piano dei regimi
politici interni, ma aperta e sensibile sul terreno dell'insopprimibile esigenza
greca di tenere in vita o rivitalizzare le póleis e le loro tradizioni.
o Pure agli uomini che non collaborarono con Eumene, toccò una dura
sorte: Antigono represse un tentativo di ribellione di Pitone, giustiziato;
o Depose Peucesta dalla carica di satrapo di Persia;
o Mosse verso Babilonia per chiedere a Seleuco i rendiconti della sua
amministrazione come satrapo della regione: Seleuco fuggì in Egitto da
Tolomeo.
Nel 314, con una flotta composta da navi rodie, cilicie e fenicie, Antigono può
conseguire alcuni grandi risultati:
conclusione dell'assedio di Tiro;
attacchi alle posizioni di Atene (che è sotto Demetrio del Falero)
nell'Egeo, e acquisizione di Lemno e Imbro;
liberazione di Delo;
creazione di un koinón dei Nesioti;
Tra la fine del 314 e la primavera del 313 estende il suo dominio in Asia minore,
nella parte cistaurica: elimina per gradi Asandro, satrapo di Caria, acquisisce
dalla sua parte Mileto, che divenne libera e autonoma e fu restituita alla
democrazia.
Non altrettanto fortunato fu l’intervento in Tracia in sostegno delle póleis,
recalcitranti al dominio di Lisimaco, e alleate anche con gli Sciti e i Traci nello
Poliperconte tentò nel 309 il rientro in Macedonia, facendosi scudo del figlio
illegittimo di Alessandro Magno, Eracle di Barsine: Cassandro para la minaccia
riconoscendogli la strategia del Peloponneso, e in cambio Poliperconte uccise
Eracle.
La vittoria di Salamina cipria dà l'avvio alla nascita formale dei regni ellenistici,
con l'assunzione del titolo di basileús per sé e per il figlio, decisa dal
Monoftalmo: intendeva il regno come unitario, il regno per eccellenza.
Le rinnovate pretese di dominio unitario si manifestarono nell'attacco in forze
contro l'Egitto, ma l'autunno gli impose il rientro in Siria. Tolemeo assunse a
sua volta il titolo di basileús, imitato poco dopo da Cassandro, Lisimaco e
Seleuco (305/304), il quale aveva preso il titolo di 're di Babilonia' dal 309/308,
probabilmente dopo il fallimento delle ultime minacce di Antigono [l’era
seleucidica si fa partire con l’ottobre del 312 a.C.).
Alle feste istmie di Corinto del 302 Demetrio ricostituisce la Lega ellenica: i
Greci (quelli a sud delle Termopile, cioè la parte vivaio delle libere póleis)
giuravano di non farsi la guerra tra di loro e di restar fedeli alla casa di
Antigono; fra i loro rappresentanti sorteggiato annualmente un comitato di
presidenza di 5 membri.
Alla battaglia di Ipso non prese parte, per eccesso di prudenza, Tolemeo.
Tuttavia la sua campagna del 302 non doveva restare senza effetto: non volle
Se la prima parte della sua vita è condizionata dalle lotte dei Diadochi, le
vicende dei successivi venticinque anni sono tanto brillanti quanto
improduttive.
Nel 294 Demetrio controlla quasi l'intera Grecia, ad esclusione di Sparta e della
libera Etolia e dell'Epiro, nel quale si era consolidato il potere di Pirro. Demetrio
fonda una sua capitale, Demetriade, al centro della Grecia.
Per un paio d'anni si susseguono ribellioni a Demetrio in Beozia, ogni volta
domate; a Tebe, conquistata (291) dopo un difficile assedio, si riserva un
trattamento mite.
Tra il 289 e il 288 nuova coalizione tra Lisimaco, Seleuco e Tolemeo, a cui
presto aderisce Pirro.
Demetrio, stretto tra i due fuochi – Lisimaco avanza in Macedonia da est, Pirro
che la invade da ovest -, affronta Pirro, che crede meno potente e popolare:
presso Berea, al momento del contatto, l'esercito di Demetrio defeziona, ed egli
deve fuggire, e alla vergogna non resse la moglie Fila, che si avvelenò.
Fra Pirro e Lisimaco avvenne una spartizione della Macedonia, forse nei termini
della divisione che era stata attuata fra i due figli di Cassandro (288).
Subito passano dalla parte di Seleuco altre città, come Efeso; egli incontra
qualche resistenza fra le città del nord, come Eraclea Pontica, Bisanzio e
Calcedone, decise a difendere la libertà: egli non si curò di regolare i rapporti
con queste. Seleuco non poté imporre il suo dominio sulla Cappadocia di
Mitridate, che sconfisse un suo esercito.
Seleuco mirava a cogliere tutti i frutti della vittoria, ricostituendo a suo
vantaggio, e con dimensioni maggiori, quello stato eurasiatico, di cui aveva da
poco privato Lisimaco, volendo finire i suoi giorni come re di Macedonia; anche
se l'impossibilità d'una struttura 'unitaria' di un impero esteso su due continenti
gli era chiara, dato che progettò una spartizione con il figlio, Antioco I, a cui
sarebbero toccate le province asiatiche.
(attivo nelle satrapie 'superiori' del suo impero), facilitarono il compito del
Cerauno.
L'unico che provò a sbarrargli la strada fu Antigono Gonata, che per terra e per
mare cerca di recuperare i dominii paterni di Macedonia e Tessaglia: ma una
durissima sconfitta navale, nel 280, assicura al Cerauno il dominio in
Macedonia e apre ad una rivolta generalizzata delle parti di Grecia che erano
sotto il controllo di Antigono.
Le tribù galliche dei Trocmi, Tectosagi e Tolistoagii, passate in Asia nel 278 su
sollecitazione di Nicomede di Bitinia e Mitridate del Ponto, sono indotte ad
insediarsi nelle Frigia interna (che prese il nome di Galazia), a seguito della
sconfitta subita contro Antioco I re di Siria nella battaglia «degli elefanti»
(275/274).
Con Pirro lo scontro, soprattutto nel Peloponneso, si protrasse fino al 272, anno
della sua morte. Alla fine degli anni Settanta, Antigono controllava anche la
Tessaglia, e ampie zone della restante Grecia, e aveva uomini di fiducia
(tiranni) nel Peloponneso, e guarnigioni collocate nei 3 punti strategici
dell'Ellade (Demetriade sul golfo di Volo, Calcide euboica sull'Euripo, Corinto
sull'istmo).
13. Il consolidamento e i suoi limiti nei decenni centrali del III secolo a.C.
Un pieno consolidamento del dominio seleucidico in Asia minore (regno di Siria)
fu ostacolato dalle limitazioni della conquista seleucidica dell'Anatolia, ad ovest
del Tauro, e dalla ribellione di regioni un tempo soggette, come Pergamo, che si
rendono autonome; un altro fattore è la vicinanza dell'Egitto, assillante nella
sua pretesa di controllo dell'area siriaca, quantomeno quella meridionale.
Le diverse guerre di Siria con l’Egitto, tra 280 e 168, seguono quasi sempre lo
stesso copione, con risultati quasi mai tali da stravolgere il rapporto e i labili
confini tra i due regni.
Dopo l'assassinio del padre e di fronte all'attivismo egiziano, Antioco I si trova
di fronte a molti problemi, evidenziati dal confronto tra Seleucidi e Tolemei
(280/279), che provoca il formarsi contro Antioco di una vasta coalizione
(popoli d'Asia in vena d'indipendenza, Egitto e Macedonia).
Al tempo della III guerra siriaca (245), alcuni datano una vittoria navale dei
Macedoni sui Tolemei, presso Andro. Il regno di Siria continuerà ad essere
scosso da lotte di successione (negli altri regni si erano imposte successioni
ereditarie regolari): tra 240 e 237 vi fu la 'guerra dei fratelli' tra Seleuco II e
Antioco Ierace (l’”avvoltoio”) che fino al 228 amministrò in maniera
indipendente i possedimenti seleucidici dell'Asia minore occidentale, dalla
Troade alla Ionia e alla Caria.
Intorno al primo decennio della seconda metà del III (anni ’50-’40 del 200 a.C.),
i Seleucidi perdono il controllo della Partia (invasi dagli iranici Parni), dell'Ircania
e della Battriana (si rende autonoma, col satrapo Diodoto), cioè le regioni a
sud-est ed est del Mar Caspio: si colgono gli elementi di debolezza intrinseca
dell'espansione greco-macedone in Asia.
che nel 251 fu liberata da Arato dal regime di cronici tirannelli e che si inserì
nelle manifestazioni di
irrequietezza che turbavano il dominio macedone a Corinto.
A Corinto, nel 253, al Gonata si era ribellato Alessandro, figlio di Cratero, che
governava la Grecia in nome del re, suo zio; nel 243 Arato libera la rocca
dell'Acrocorinto; intanto gli Achei si rivolgono all'Egitto di Tolemeo III, in grado
I decenni centrali del III secolo vedono la massima fioritura politica e culturale
dell'ellenismo ('alto
ellenismo'), che conosce la sua acme tra il 280 e il 220: nonostante l'assenza di
pace, si nota la stabilità interna dell'Egitto e della Macedonia, e la tenuta del
regno seleucidico.
Sono anche gli anni di risveglio politico di Sparta, dove già nel 243-241 il re
Agide IV avvia un processo di riforma, basato sulla restaurazione dei valori
dell'antica agoghé spartana, e mirante all'ampliamento del corpo civico (ridotto
a 700 membri, di cui solo 100 di pieno diritto). Il tentativo si conclude
tragicamente per Agide IV (condannato a morte), a cui successe un periodo di
reazione, guidata dal re Leonida II, rientrato dall'esilio con l'appoggio degli
efori.
Per l’ironia della sorte, fu proprio Cleomene III, figlio di Leonida II, che sposa la
vedova di Agide IV, Agiatide (decisiva nell'influenzare il sovrano), ad operare le
riforme accennate da Agide IV, con metodi violenti, facendo uccidere gli efori
(227), e portando a 4.000 i membri del corpo civico.
Segue il conflitto con la Lega Achea, che si tinge dei colori del conflitto
ideologico: Arato di Sicione chiama nel Peloponneso Antigono Dosone,
offrendogli la restituzione della base di Corinto (224), che vent'anni prima
liberò -> svolta decisiva nella politica achea, che legherà decisamente le
propria politica con quelle della Macedonia per un venticinquennio, attraverso
quattro conflitti:
la guerra con Cleomene, in svolgimento;
la guerra sociale tra le due federazioni, l’achea e l’etolica (220-217);
la prima guerra romano-macedonica (215-205);
i primi due anni della II guerra romano-macedonica (200-198).
La Lega achea si avvicina così verso quella politica collaborazionista che
continuerà per alcuni decenni nei confronti di Roma (di contro alla Lega etolica
capace di viva resistenza nazionale).
Cleomene III viene sconfitto nel 222 a Sellasia; fuggì in Egitto, dove muore ad
Alessandria nel corso di una rivolta (219) contro Tolemeo IV Filopatore, che gli
negava gli aiuti per rientrare nel Peloponneso.
Nel 222/221 il Dosone muore combattendo contro gli Illiri, e gli succede Filippo
V, che continua la politica filoachea (anche se la tradizione gli attribuisce di
aver procurato nel 213 la morte di Arato, avvelenandolo). Tra il 220-217 Filippo
V si impegna in una guerra dura quanto irrisolutiva a fianco degli Achei contro
gli Etoli, i quali estendono i dominii lungo la fascia centrale del territorio greco.
La pace di Naupatto (217) – ultimo accordo stipulato tra soli Greci - chiude un
conflitto su cui già allungavano la loro ombra le nubi che provenivano da
Occidente (sullo scorcio degli anni '20 del III secolo inizia il regno di Antioco III
di Siria che, in un'epoca di ripresa seleucidica e di ricostituzione dell'unità
dell'impero, approda, come in una parabola, al confronto con Roma, nella
guerra conclusa con la pace di Apamea del 188, che è l'avvio del declino del
regno di Siria).
Manca una centro urbano unico, intorno a cui la chóra si disponga, come nel
caso della pólis.
Non v'è pluralità di centri equivalenti in diritto, o politicamente collegati con un
centro egemone, come è in una lega o in uno stato federale: lo stato
monarchico territoriale comporta l'esistenza di una capitale, cui si affianca una
chóra, in cui sorgono altre póleis (questo, tutto ommato, è il caso di Alessandria
nel suo rapporto con l’Egitto) o di una capitale primaria, accanto a cui ne
sussistono di secondarie.
La peculiarità storica dei due più grandi stati ellenistici di nuova creazione
(Egitto e Siria), e di
vari altri stati minori d'Asia minore, è la coesistenza delle strutture di villaggio
con le strutture cittadine, e l'importanza delle prime quali fattori d'ordine
sociale ed economico di grande resistenza: a costituirle sono i laoí.
Definire lo status di quest’ultimi è complesso, ma in generale laoì definiscono
l'elemento indigeno rispetto a quello greco, è la popolazione la cui speciale
connessione con la terra viene definita volta per volta nel contesto, ma non è
contenuta a priori nel termine stesso (il rapporto di dipendenza è più chiaro
quando si parla di laoí basilikoí: non sono schiavi).
Nelle colonie seleucidiche, gli elementi indigeni, che vivono nella campagna e
che conoscono la forma di habitat del villaggio, sono coinvolti nel processo di
urbanizzazione che la colonizzazione comporta -> fusione di elementi etnici
diversi.
L'attività colonizzatrice conduce alla creazione di città greche, fornite di
magistrati, consiglio ed ekklesía, e in cui la popolazione è ripartita in tribù e
demi.
Il regno seleucidico si dovette confrontare, soprattutto nelle regioni occidentali
dell'Asia minore, con le aspirazioni tradizionali delle póleis greche, sul piano
internazionale e interno, e che si riassumono in demokratía, autonomía ed
eleuthería: le istituzioni fondamentali della pólis non vengono alterate dal
potere monarchico, tuttavia vi sono una serie di elementi certo influenti: la
presenza di guarnigioni imposte alle città dai sovrani; l'invio di prostágmata da
parte del monarca; l'esazione di un tributo; l'imposizione di un epistátes.
Se, nel regno seleucidico, eleuthería e demokratía possono di fatto essere
associati, l'uno è un termine proprio dei rapporti interstatali, l'altro è un
concetto che pur essendo anche costituzionale,
3) Gli indigeni;
4) La guardia del re;
5) Le forze di polizia
La grande incidenza di mercenari e indigeni caratterizza etnicamente e
sociologicamente le armate d'età ellenistica. Come ausiliari, già sotto il primo
Tolemeo, compaiono i máchimoi, indigeni che servono in corpi speciali, e
rappresentano un residuo d'epoca faraonica.
Depositario del comando supremo è il re, che però talora delega i poteri ad uno
o più ministri.
Gli strateghi, e le autorità subordinate o sovraordinate (ispostratego,
epistratego), uniscono funzioni militari e cariche amministrative.
Più che gli aspetti organizzativi e tecnici, ci interessano gli aspetti sociali della
storia dell’esercito, come fenomeno di massa: aspetti verificabili per presenza
di documentazione, soprattutto per il
regno tolemaico. Nell'epoca ellenistica, definita «un'epoca militare», l'esercito,
come fenomeno di massa, è un terreno su cui si può valutare il rapporto
dell'elemento militare col potere centrale e la classe dirigente, da un lato, e
l'integrazione tra stranieri e indigeni, dall’altro.
E ciò, in Egitto, molto meglio che in altri regni ellenistici:
esercito come terreno di confronto tra gli stranieri, affluiti da Grecia, Asia
minore, Palestina, gli indigeni e il popolo dominatore;
la convivenza di indigeni e stranieri nelle strutture militari comincia
durante il Nuovo Regno, con Ramses III;
gli stranieri sono dapprima Etiopi e Libii, poi, in epoca saitica, anche
Greci;
in epoca tolemaica la novità è che gli alti gradi siano in mano dei Greco-
Macedoni.
Non si può parlare di vera integrazione: le unità restavano separate, la lingua
differente.
Una certa funzione di livellamento e aggregazione sociale fu esercitata dalla
presenza fisica dei cleruchi nella chóra e dall'attribuzione, dopo Rafia, di klêroi
agli indigeni => con la trasformazione in cleruchi dei máchimoi indigeni, si
verifica, per contrasto, la diffusione del termine kátoikos, con cui il soldato
greco o grecizzato cerca di distinguersi dai nuovi cleruchi.
16. La Sicilia, Cartagine e l'Italia nella politica di Agatocle di Siracusa
L'assetto dato da Timoleonte alla Sicilia greca durò all'incirca un ventennio, ma
furono le caratteristiche del regime da lui instaurato a Siracusa a dare il via a
una crisi dei rapporti politici interni, poi a una ripresa dell'ostilità punica, fino ad
allora tenuta a freno dall'assenza di un forte potere militare nella Sicilia
orientale.
I Tarentini, contro gli Italici, non possono che chiedere aiuto a Siracusa:
Agatocle ebbe alcuni primi successi contro gli Italici, con l'aiuto dei Brettii;
rivolse le sue mire a Corcira (troppo legata alla storia corinzia, perché la
corinzia Siracusa potesse disinteressarsene), su cui voleva mettere le mani il
macedone Cassandro.
Agatocle prende Corcira nel 298, ed essa fu data alla figlia Lanassa, sposa a
Pirro, re d'Epiro (295).
Sulla via del ritorno da Corcira Agatocle deve affrontare la ribellione dei Brettii:
occupa Crotone e, tornato in Sicilia, invade il territorio brettio, occupando
Ipponio (293); ottenne la resa della popolazione, ma appena rientrato in Sicilia,
la ribellione brettia gli scoppiò nuovamente alle spalle.
Agatocle tesse una tela grandiosa, ma destinata a fallire: allestisce una grande
flotta, destinata al sogno della guerra anticartaginese; rompe con Pirro, e fa
divorziare da lui la figlia Lanassa, che resta in possesso di Corcira; stringe
intese con Demetrio Poliorcete, nel frattempo divenuto re di Macedonia. Finché
una grave malattia accelera la sua fine (aveva 72 anni).
Poco prima della morte, non senza colpa di Agatocle, si complica la questione
della successione, cui in primo tempo era stato destinato il nipote Arcagato
(figlio dell'Arcagato morto nella spedizione africana), ma avendo avuto un figlio
dal secondo matrimonio (Agatocle il giovane), all'ultimo momento preferisce
questo: Arcagato lo fece assassinare, e il nonno ne vanificò l'ambizione,
restaurando la repubblica (289).
17. La grecità d'Italia e di Sicilia dalla spedizione di Pirro alle guerre puniche
Nei confronti dei Lucani, Taranto voleva esercitare la funzione di tutrice delle
popolazioni greche.
Quando perciò nel 282 Turii chiese aiuto ai Romani contro i Lucani, e Roma
inviò G. Fabrizio Luscino con un esercito che sgominò gli Italici, Taranto reagì
come di fronte a un'interferenza grave: sequestrò una squadra navale romana,
comparsa nel golfo di Taranto, e impose alla truppe che presidiavano Turii di
lasciare la città.
Pirro, chiamato dai Greci di Sicilia, nel 278, conferma il carattere della sua
missione, che era di liberazione dell'intera grecità occidentale dalle minacce
incombenti, sia quella romana in Italia, sia quella cartaginese in Sicilia: fu eletto
egemone e basileús, resta in Sicilia negli anni 277 e 276, ma nel 275 riparte.
La sua avanzata fu dapprima travolgente – erano cadute Selinunte, Alicie,
Segesta – ma si arrestò alla fortezza punica di Lilibeo. I Cartaginesi a questo
punto offrirono la pace, a patto di conservare Lilibeo; tuttavia Pirro, sollecitato
dai Sicelioti, rifiutò, fece guerra ai Mamertini alleati di Cartagine e tentò di
prendere Lilibeo, ma non vi riuscì.
Intanto i Romani avevano recuperato molte posizioni fra gli Italici e fra i Greci;
la flotta punica cerca di ostacolare il ritorno in Italia di Pirro, che poi sarà
affrontato nel 275 a Benevento dai Romani: la sconfitta dell'epirota era
segnata.
In tutta fretta, nel 275, Pirro abbandona Taranto, lasciandovi un presidio al
comando del figlio Eleno (fino alla resa di Taranto a Roma nel 272); rientra in
Grecia, dove voleva contendere ad Antigono Gonata il regno di Macedonia.
L'irruzione dell’epirota (primavera 274) fu inizialmente un successo, e le
ripetute sconfitte di Antigono incoraggiano la Lega Achea a una ribellione
contro la Macedonia e poi a una politica d'indipendenza e ostilità verso Sparta.
Pirro si trasferì nel Peloponneso, dove da molti fu accolto come liberatore: si
spinse fino a minacciare Sparta, che si rivelò imprendibile. Pirro si limitò allora
a saccheggiare la Laconia, puntando poi su Argo, su cui moveva, dalla
piazzaforte di Corinto, Antigono Gonata.
Pirro, dopo aver invano offerto battaglia campale al Gonata, entrò ad Argo,
dove dei partigiani gli aprirono una porta, ma nel corso di un combattimento
rimase ucciso (272).
Taranto si arrese a Roma nel 272, dopo il ritiro della guarnigione epirota, e
dovette accogliere una guarnigione romana, dare ostaggi e assicurare un
contingente navale a Roma.
I Romani prendevano poi Locri e Reggio, dove punirono la fedifraga legio
Campana, che aveva emulato i misfatti dei Mamertini, i mercenari campani di
Agatocle congedati dalla repubblica siracusana dopo la morte del basileus
(289) e impadronitisi di Messina.
In Sicilia si creavano le premesse per l'adattamento dei Greci alla realtà del
dominio romano, che la vittoria su Annibale nella II guerra punica (218-201)
sancì irreversibilmente.
Siracusa fu il teatro dell'avvento del potere personale di Ierone II, che, distintosi
quale ufficiale di Pirro, ottenne la carica di stratego con pieni poteri e si volse
contro i Mamertini, che un po' alla volta furono vinti, e ricacciati a Messina.
Ierone assunse il titolo di basileús (muore nel 215) e il suo regno segnò
profondamente la storia della Sicilia greca nel trapasso al periodo del dominio
di Roma, che prima nel 227 e poi nel 210 ordinerà la Sicilia a provincia.
attaccati dai pirati illirici; probabilmente solo più tardi sono raccolte sotto la
protezione di Roma città greche come Corcira, Apollonia, Epidammo, Issa e
popoli dell'area illirica (fonte Polibio).
Non è un caso se tali città si collocano lungo la rotta, diretta verso le coste
elleniche, battuta dai mercanti italici, perché potesse capitare loro di trovarsi
esposti alle azioni di disturbo degli Illiri; inoltre la sufficiente prontezza con cui
quelle città greche ricorrono alla protezione di Roma ha dunque verosimilmente
la sua premessa nella frequenza e buona qualità dei rapporti commerciali
greco-italici.
Se i Romani, dopo la pace con Teuta, inviano ambasciatori agli Achei e agli
Etoli, ma poi, significativamente, anche a Corinto (madrepatria proprio delle
città ioniche e adriatiche accolte nella fides romana) e ad Atene, queste
ambascerie prefigurano già un disegno panellenico, che acquista consistenza
qualche decennio dopo.
Il processo di patronato panellenico, di cui si può vedere una traccia nella pace
di Fenice (205), è maturato nel 198 a.C., con l'alleanza della Lega achea.
Alle feste Istmie (aprile) del 196, Flaminio proclama l'autonomia dei Greci fino
ad allora soggetti alla Macedonia (Corinzi, Euboici, Focesi, Locresi, Tessali e loro
perieci: membri dell'anfizionia delfica).
I Romani lasciarono davvero libero il territorio greco, ma solo dopo aver
partecipato al nuovo conflitto intragreco tra il tiranno e riformatore sociale
Nabide di Sparta e i Macedoni, i Tessali, gli Achei, il regno di Pergamo e i Rodii:
Nabide, vinto, fu punito con la riduzione dei dominii, ma fu lasciato al potere
dai Romani; nel 192 è ucciso da uno dei suoi amici Etoli. Proscrizioni e uccisioni
di ricchi, liberazione di schiavi e iloti, ridistribuzioni di terre, misure monetarie e
sui debiti caratterizzano un regno che cambiò il volto storico di Sparta.
Già nei preliminari di pace a Sardi, cui seguì la pace di Apamea (188):
Antioco deve:
- rinunciare a tutti i possedimenti di qua dal Tauro;
- pagare 15.000 talenti in conto-riparazioni;
In Grecia gli Etoli continuavano la guerra, ma, dopo alcuni successi contro i
Romani (inizio 189), cedettero all'attacco di M. Fulvio Nobiliore; alla caduta
dell'epirotica Ambracia, roccaforte etolica, segue, nel 188, la pace che impone
agli Etoli l'obbligo di assistere i Romani in caso di guerra. Delfi e altri territori
della Grecia centrale si sottraggono al controllo della Lega etolica, che continua
tuttavia a esercitare il suo dominio su una vasta area.
Perseo mostrò insofferenza verso gli stretti vincoli imposti da Roma alla politica
estera macedone dopo Cinoscefale; era inoltre diventato punto di riferimento
delle aspirazioni delle masse di indebitati e di scontenti. I Romani adottarono
verso Perseo una diplomazia provocatoria, volta a colpevolizzarlo e quindi a
provocare una rottura, che consentisse l'estirpazione del regno macedone. Q.
Marcio Filippo, nel 172, condusse le trattative volte alla rottura, e, scoppiate le
ostilità, guidò nel 169 la campagna che giunse nel cuore della Macedonia,
senza risultati decisivi.
Perseo cerca invano sostegno dai governi greci, e l'alleanza con il re illirico
Genzio non fu di grande utilità. Nel 168 il comando delle operazioni militari
romane passa a L. Emilio Paolo, che batte duramente Perseo a Pidna, dopo un
breve inseguimento; Perseo fugge ancora, si dirige al santuario dei Cabiri di
Samotracia: qui i Romani lo prendono, e lo trasferiscono a Roma, poi ad Alba
Fucens, dove alcuni dopo morì (165 o 162).
La Macedonia fu divisa in 4 repubbliche, con capitali Pella, Pelagonia,
Tessalonica e Anfipoli; esse erano isolate l’una dall’altra per il divieto di
Nel quasi quarantennio tra la battaglia di Pidna (168) e l'annessione del regno
di Pergamo, con la conseguente creazione della provincia d'Asia (129), la
politica estera romana acquista cinismo e durezza. Ne fu testimone Polibio,
tanto ammirato della realizzazione storica del dominio romano su quasi l’intero
mondo abitato, quanto toccato dagli aspetti duri della sua politica; egli stesso
fu lucido osservatore degli avvenimenti: la Lega achea aveva assunto
comportamenti ambigui durante la guerra tra Perseo e Roma, e questa decise
allora di prendere in ostaggio gli uomini politici della Lega, tra cui lo stesso
Polibio.
La politica orientale di Roma seguì due linee, a seconda delle aree in questione:
nella penisola greca, e verso la Macedonia, vi era attenzione vigile,
disposta all'intervento e pronta all'interferenza nelle faccende interne
degli stati -> qui, prima che altrove, si compie il processo d'annessione
diretta, con la creazione di una provincia (Macedonia, nel 147), e
l'espansionismo si mostra nelle sue forme più distruttive (distruzione di
Corinto, 146);
nei regni ellenistici d'Oriente i processi sono più lenti e graduali, e spesso
assecondano le dinamiche disintegrative interne.
Il conflitto tra Roma e la Lega achea è causato da una levata di scudi contro
un'ambasceria romana:
a Corinto vengono insultati ambasciatori, che erano andati per dissuadere
l'assemblea federale dal dar seguito alla politica dei nuovi dirigenti achei, Dieo,
Damocrito e Critolaceo; era una politica
nazionalistica, che prevedeva anche prospettive di miglioramento della
situazione sociale
(abolizione debiti e concessione della libertà agli schiavi), ed era ostile a
Sparta, protetta da Roma.
Gli Achei dichiarano guerra a Sparta nel 146, e Roma interviene, infliggendo
due sconfitte agli Achei, una a Scarfea (Locride orientale) e l'altra sull'Istmo,
forse a Leucopetra. Conseguenze:
Distruzione di Corinto nel 146;
scioglimento Lega achea;
intervento pacificatore di Polibio di Megalopoli sulle controversie, anche
di carattere civile e privato, cui il conflitto aveva dato luogo.
Fermenti di rivolta sociale e politica si manifestarono ancora nel II secolo a.C.
Scoppia una rivolta giudaica, guidata da Giuda Maccabeo, che durò 3 anni, e fu
un movimento nazionale e religioso, e anche di rivolta della popolazione della
campagna contro quella di città, troppo aperta agli influssi ellenici. In vari stadi
(152-142) si costituisce lo stato giudaico (nomina di Gionata Maccabeo a gran
sacerdote, costituzione di una strategia e meridarchia di Giudea, ecc).
Nel 134 Antioco VII Sidete riconquista Gerusalemme, ma la sconfitta subita dai
Parti, impose un ripensamento della questione giudaica, e garantì la
sopravvivenza dello stato giudaico.
A oriente del regno partico si andava intanto affievolendo la vitalità dei regni
greco-indiani: nel 130 il re Eutidemo di Battriana soggiace all'attacco degli
Sciti, premuti dai Mongoli Tocari. Dell'espansione greca in India restano scarse
tracce.
Il II secolo nell'Egitto tolemaico è caratterizzato da un miglioramento della
condizione e del ruolo della popolazione indigena, la cui premessa fu l'utilizzo
di 20.000 soldati indigeni nella battaglia di Rafia (a sud di Gaza) nel 217, in cui
Tolomeo IV batté Antioco III di Siria: rilevante ellenizzazione dell'elemento
indigeno, che investe soprattutto le classi elevate.
Importante è poi la tendenza a una frantumazione del regno in tre nuclei
fondamentali: Alessandria con la «chóra» egiziana, Cipro e la Cirenaica.
La crisi, se c'è, è collegata con i continui conflitti dinastici e con l'opposizione
campagna-città; ribellioni e scioperi appaiono con innegabile evidenza nel
materiale documentario.
Tolemeo VI diede un sussulto di vitalità, così che poté intervenire nelle contese
dinastiche in Siria
(prima a favore di Alessandro Balas, poi a favore di Demetrio Nicatore) in forza
della sua origine semi-seleucedica, rovesciando il rapporto tra Siria ed Egitto:
nel 145 Tolemeo VI fu persino acclamato basileus tes Asìas, ma morì
combattendo contro Alessandro Balas.
Tolemeo VIII, che gli succede, allaccia buoni rapporti con Roma, che approdano
in un testamento a favore di questa, reso pubblico nel 155, a seguito di un
attentato subìto dal re: il documento in favore di un altro popolo diventava una
assicurazione sulla vita del sovrano.
Tolemeo VIII dovette dividere il regno d’Egitto con la sorella Cleopatra II e con la
di lei figlia Cleopatra III. Egli aprì una nuova via di comunicazione e di traffico
tra l’Egitto e l’India.
Sorsero contrasti tra il re e gli intellettuali greci, che vennero espulsi dal regno,
ma dal 131 al 127 il re dovette abbandonare Alessandria.
Il primo governo provinciale oltre l'Egeo fu compiuto da Roma in Asia, dopo che
Attalo III le lasciò in eredità il suo regno. A contrastare loro il passo fu un
pretendente, Aristonico, che cerca di farsi riconoscere erede del trono di
Pergamo, assumendo il nome dinastico di Eumene: egli non riuscì però a
guadagnarsi il sostegno delle élites cittadine, le quali preferivano la protezione
romana e la condizione di autonomia che il testamento di Attalo III garantiva
loro.
Con Perperna e Aquilio la situazione si risolse in favore di Roma, che poté
annettere buona parte del regno, dove presto fecero irruzione gli imprenditori e
appaltatori di imposte romani (publicani).
Con egli si riproduce, nelle città greche, uno schieramento molto simile a quello
determinatosi con Aristonico: città come Magnesia del Sipilo, Stratonicea o Rodi
gli opposero inizialmente resistenza.
Gli aspetti sociali (abolizione debiti, liberazione schiavi) si fondevano ora con i
motivi nazionalistici e gli portarono la simpatia dalla parte popolare, come di
Atenione, che capeggiò la rivolta di Atene contro i Romani. Era una svolta
piuttosto innaturale nella politica di Atene e nella storia dei rapporti tra Roma e
il mondo greco.
A dar corso alla dura reazione romana fu L. Cornelio Silla. Dopo le vittorie
conseguite sul generale di Mitridate, Archelao, all’inizio dell’86, Atene fu
saccheggiata nel marzo dello stesso anno; seguì il saccheggio dei santuari di
Olimpia e di Delfi, a cui si aggiunse quello di Epidauro.
La pace di Dardano (85 a.C.) chiudeva questo primo conflitto fra Roma e il re
del Ponto
Roma continuò nello spremere contributi dalle città greche, e per queste,
qualche vantaggio derivò dalla lotta contro i pirati, che si rifugiavano in
particolare nei porti di Cilicia e di Creta.
Nel 67, dopo le vittorie sui pirati, Pompeo riorganizza la provincia di Cilicia, alla
quale nel 58 è collegata Cipro. In Anatolia vanno ricordati la Cappadocia e la
Commagene, due chiari esempi di ellenizzazione della dinastia e della forma
del potere e dello stato. Nel 63 viene creata la provincia di Siria, ed essa
circondata da stati clienti di Roma; in Siria si poneva subito il problema del
rapporto con lo stato giudaico, che fu affrontato in diversamente da Pompeo,
più inteso a espandere l’area dell’ellenizzazione, e da Cesare, che riconobbe
invece vari privilegi ai Giudei.
Anche l’Egitto si avviava ormai a scomparire, sin dalla morte di Tolemeo IX
Sotere (80), la forte ingerenza romana pareva aver ridotto i sovrani a semplici
marionette.
Silla volle un matrimonio tra i figli dei due fratelli rivali, Berenice, figlia del
Sotere, e Tolemeo XI Alessandro II, figlio di Tolemeo X Alessandro: Berenice fu
uccisa da Tolemeo XI Alessandro II, Tolemeo XI Alessandro II fu ucciso dalla folla
di Alessandria. Sul trono giunse il figlio del Sotere, Tolemeo XII Neodioniso, ma
fu poi scacciato dal popolo di Alessandria.
Nonostante le proposte di annessione, Pompeo fece riportare sul trono nel 55
a.C., dal governatore di Siria A. Gabino, Tolemeo XII, che era in esilio e che
governò sorvegliato da un cavaliere romano.
Scoppia la guerra civile tra Pompeo e Cesare. In Grecia, come in Asia minore e
in tutti i paesi ellenizzati del Mediterraneo orientale, la guerre civili romane
comportarono un grave costo in tributi, sacrifici, disagi e anche vite umane. Tra
Pompeo e Cesare i Greci si barcamenarono; la clemenza di Cesare però valse
nei confronti delle grandi città greche dell’Asia minore, da Pergamo a Cizico a
Mileto. Dopo la battaglia di Farsàlo (48 a.C.) Pompeo si rifugiò in Egitto e fu
fatto uccidere da Tolemeo XIII.
Ancor più gravi le conseguenze della nuova guerra civile, scoppiata tra i
cesaricidi, Bruto e Cassio, e i vendicatori di Cesare, anche perché i primi erano
del tutto a corto di denaro, e dissanguarono le città o punirono per la loro
resistenza Rodi e le città greche d’Asia. L’Oriente greco divenne poi la base di
Antonio, e tale rimase anche nel conflitto con Ottaviano, deciso virtualmente
dalla battaglia di Azio (2 settembre 31 a.C.). In questa Antonio ebbe dalla sua
la flogga della regina egiziana, Cleopatra, che aveva saputo già attirare a sé G.
Giulio Cesare, con la sua intelligenza e una grazia non priva di difetti: Cesare
aveva addirittura combattuto, per conto della regina ed amante, una tipica
guerra tolemaica di vecchio stampo, contro i ribelli di Alessandria (48/7 a.C.);
Cleopatra gli
diede un figlio, Cesarione.
Successivamente Cleopatra sostenne invece Bruto e Cassio; Antonio la convocò
a Tarso, perché si discolpasse: dall’incontro nacque una nuova, fatale passione.
Cleopatra era pienamente compenetrata del suo ruolo di erede dei sovrani del
passato; come suo padre (Tolemeo l’Aulete) si era proclamato Nuovo Dioniso,
essa fu la Nuova Iside. Antonio intanto le andava ingrandendo il regno, con
concessioni di territori, dalla Celesiria a Cipro a parte della Cilicia; e nel 34 a.C.
si arrivò a una solenne proclamazione dei ruoli di una intera ‘famiglia di re’, e
alla relativa spartizione dei territori, fra Cleopatra e Cesarione, che divenivano
‘re dei re’ (ed esercitavano la sovranità sull’Egitto e su Cipro), e i figli di
Cleopatra e Antonio (Alessandro Elio, che riceveva l’Iran; Tolemeo Filadelfo, che
riceveva Siria e Cilicia; Cleopatra Selene, cui toccavano la Cirenaica e la Libia).
La centralità assegnata all’Egitto rappresentava un rovesciamento della politica
pompeiana, che aveva fatto dirigere le vicende del regno del Nilo dal
governatore romano di Siria: la svolta è certo connessa al ruolo e alla
personalità di Cleopatra.
Fu facile ad Ottaviano presentarsi come il difensore della causa dell’Italia e
dell’Occidente contro le pretese egemoniche dell’Egitto tolemaico,
inopportunamente rese nuovamente attuali dalla politica del rivale Antonio. La
riposta di Ottaviano dopo la vittoria di Azio, e dopo la successiva campagna di
Alessandria e i suicidi di Antonio e di Cleopatra, fu misurata, ma risentì di quel
cattivo inizio di rapporti con il mondo ellenistico. Egli tenne distinta
l’amministrazione di Siria e di Egitto: una soluzione diversa sia da quella di
Pompeo, sia ancor più chiaramente da quella di Antonio.
La tradizione greca e romana ha ben delineato gli aspetti psicologici e storico-
politici del conflitto tra la Roma di Ottaviano e l’Egitto tolemaico di Antonio e
Cleopatra, che nonostante effimero fu causa di angoscia per i Romani. Le
vittorie di Azio (navale) e di Alessandria (terrestre e navale) furono sentite
come la liberazione da un incubo, una ‘grande paura’ che percorse il mondo
occidentale, a cui la tradizione associa l’odio verso Cleopatra, i suoi intrighi, le
sue minacce, e però anche, a tratti, una cavalleresca ammirazione per il
coraggio dimostrato dalla regina nel conflitto con Roma e, dopo, nella
orgogliosa e irrevocabile scelta del suicidio, compiuta per sottrarsi all’umiliante
esibizione sul carro trionfale di Ottaviano.
L’avvento della dinasia flavia significò una svolta culturale decisa, nel senso di
un recupero del tradizionalismo e nazionalismo augusteo e persino, ove
possibile, di una sua accentuazione. Le frequenti discordie, e i connessi
disordini scoppiati in àmbito greco, fornivano a Vespasiano il pretesto per
bollare i Greci come incapaci e perciò indegni di libertà; e le condizioni di
libertà e di esenzione dal tributo furono ritolte alla Grecia, alla Licia, a Rodi, a
Samo, a Bisanzio. I filosofi furono espulsi nel 74 d.C. da Roma e dall’Italia,
proprio nello stesso anno in cui l’imperatore concedeva privilegi ad altre
categorie di intellettuali (retori, grammatici, medici), sia quanto ad esenzione
dal pagamento delle imposte sia quanto a concessione del diritto di formare
associazioni professionali.
Nella seconda metà del II secolo d.C. il regno del filelleno Marco Aurelio (161-
180) vede il singolare concorso di due grandi fattori di crisi e di declino: la
grande peste degli anni intorno al 166 e l’invasione della Grecia ad opera dei
barbari Costòboci, che giunsero a dare alle fiamme quel santuario di Eleusi, che
per gli imperatori filelleni, quali Adriano e gli Antonini, rivestiva particolarrisima
importanza (e che ancora nel III secolo d.C. conobbe una nuova rinascita). Con
Commodo (180-192), nonostante il permanere di formali atti di ossequio nei
confronti della tradizione greca e del prestigio di Atene, si registra invece una
svolta nella politica imperiale verso il mondo ellenistico, svolta che si
accentuerà nel periodo dei Severi e di Massimino Trace (tra il 193 e il 238 d.C.).
Ancora una volta, cartina di tornasole è la politica ostile tenuta da Commodo e
in definitiva dallo stesso Settimio Severo nei confronti dell’ellenismo di
Alessandria. Inoltre, è proprio a cominciare da quest’epoca che si diffondono
nella parte occidentale dell’impero culti orientali (come quelli di Mitra e di Ma);
tutto questo, mentre si consolida la diffusione del Cristianesimo, che si accinge
a cogliere, con l’editto di Costantino del 313 (editto di Milano), la sua definitiva
vittoria, nel riconoscimento di religione ufficiale dell’impero. Con ciò, esso si
individua come altro decisivo fattore, non della scomparsa della cultura
ellenica, ma certo della radicale trasformazione della sua funzione storica.
Forme culturali greche però, tipicamente legate alla struttura cittadina, come la
ginnastica e l’efebia, persistono ancora in pieno III secolo. Vero è che subito
dopo la metà del secolo esplode tremendo l’altro fattore di crisi dell’ellenismo
antico, che vale per l’impero romano nel suo insieme e certo in primo luogo per
la parte orientale di esso: nel 253 navi di barbari (Goti, Burgundi e altri ancora)
fanno la loro comparsa nelle acque dell’Asia minore; tra il 256 e il 262 si
susseguono invasioni per via di terra delle stesse regioni anatoliche.
Storicamente ancor più significativa l’invasione della Grecia nel 267 da parte
degli Eruli, i quali espugnano Atene e devastano il Peloponneso, da Corinto e
Argo fino a Sparta. Per l’impatto profondo dell’esperienza dei nuovi barbari,
questo evento si presta bene a segnare, se non il punto finale dell’ellenismo di
epoca romana, almeno una delle tappe più emblematiche (come raccontato dal
comandante della resistenza anti-barbarica e storiografo dell’evento Publio
Erennio Dexippo).
Nel III secolo si va dunque davvero attenuando la vitalità della Grecia propria,
poi ridestata nel IV e ancora evidente in parte del secolo successivo. Certo i
grandi centri dell’area degli Stretti, dell’Asia minore, della Siria, dello stesso
Egitto, continuano a svolgere un ruolo, che l’avvento del Cristianesimo poté
solo esaltare, divenendo quelle città sedi di patriarchi o di grandi concilii, e
comunque restando come grandi centri di cultura. Che fra essi prevalga
Bisanzio, divenuta Costantinopoli, e capitale dell’impero, è del tutto
comprensibile. Ad Alessandria continuano a vivere, pur trovandosi esposte ai
rischi connessi con il loro ruolo di rappresentanti della cultura pagana in un
periodo di piena affermazione del Cristianesimo, le vecchie istituzioni culturali
di età tolemaica: il Serapeo con la sua biblioteca, andati distrutti nel 391 d.C., il
Museo e l’Academia.