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Alexandre Kojève

L'IMPERATORE
GIULIANO
e l'arte della scrittura

Introduzione di M�rio Vc getti

Sagginc
llt)l\/liiii!IIIOill
Htl\1\
«Associando curiosamente allo starnuto e
alla tosse l'invenzione umana dei miti, Giulia­
no ci lascia intendere che ci sbno sempre stati
e sempre ci saranno dei miti sulla terra. Ma
perché gli uomini sempre e ovunque inventa­
no delle storie false, prendendole talvolta per
storie vere?».

Il filosofo (particolare), da Boscoreale, Napoli (Museo Nazionale).

ISBN 88-7989-375-0

L. 15.000 9
l l l l
788879 893756
Prendendo spunto da una serie di os­
servazioni di Leo Strauss sulla retorica
classica, Kojève si concentra in questo bre­
ve ma folgorante saggio sulle implicazioni
etiche della cosiddetta «arte di scrivere>> .
La dissimulazione letteraria, la capacità di
mascherare i pensieri dietro un discorso
che sia in grado di celarne- !asciandolo
però intendere- il vero messaggio, è un ar­
tifizio retorico che trova le sue radici nel­
l' età classica.
Attraverso una parafrasi serrata e pun­
tuale degli scritti filosofici dell'imperatore
Giuliano l'Apostata (vissuto nel IV secolo
dopo Cristo), Kojève giunge a delineare le
principali componenti etiche e dialogiche
del parlare «mascherato>>.
L'analisi degli insegnamenti di Giuliano
(il primo dei quali è che «non si deve dire
tutto, ed anche di quel che si può dire si de­
vono nascondere alcune cose alla grande
massa>>) mostra la polemica che l'imperatore
intrattenne nel corso dei suoi scritti con il
mito (il mito teologico in particolare), da lui
giudicato come parte del discorso inevitabil­
mente autocontraddittoria perché <<racconto
di storie false sotto una forma credibile>>.
Ma Kojève mostra come questa avver­
sione alla forma mitica del discorso non
impedì tuttavia che lo stesso Giuliano, per
convincere sotterraneamente il popolo del­
l'assurdità del cristianesimo, facesse uso
dei miti teologici pagani, dando altresì a
questo genere di dissimulazione un sot­
tointeso valore pedagogico ed etico. Da
qui si evince la controversa natura del mi­
to, e in genere la complessità e plurivocità
del parlare indiretto e cifrato.
Modello esemplare di limpidezza teori­
ca e stilistica, questo saggio del grande stu­
dioso di Hegel si inscrive nella riflessione
sull'etica della retorica e sul mito, metten­
do in luce una parte importante e poco co­
nosciuta del suo pensiero.

Alexandre Kojève (Mosca 1900-Parigi 1968)


esercitò il suo insegnamento filosofico a Parigi.
Dal 1933 al 1939 tenne presso I'École cles Hau­
tes Études una serie di seminari sulla Fenomeno­
logia dello spirito di Hegel che segnarono una
svolta nell'analisi dell'idealismo tedesco, letto in
una chiave umanistica e <<irrazionalistica>>, e non
più solamente sistematica. Tra le sue opere tra­
dotte in italiano segnaliamo Linee di una feno­
menologia del diritto, Milano 1989 e La dialetti­
ca e l'idea della morte in Hegel, Torino 1991.
Saggine l 31
Alexandre Kojève

L'IMPERATORE GIULIANO

e l'arte della scrittura

Introduzione di Mario Vegetti

Traduzione di Lisa Ginzburg

DONZELL I EDITORE
© 1998 Donzelli editore, Roma
Via Mentana, 2b

INTERNET www.donzelli.it
E-MAIL editore@donzelli.it

ISBN 88-7989-375-0
_____ L'IMPE RATORE GIUL IANO _____

Indice

p. 7 Introduzione
di Mario Vegctti

25 L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura

5
_____ L'IMPERATORE GIUL IANO _____

Introduzione
di Mario Vegetti

La lunga lettera di Alexandre Kojève a Leo


Strauss dell'l l aprile 1 957 continuava il colloquio
sull'antico che si era aperto fra i due con la discus­
sione sul rapporto fra filosofo e tiranno a proposi­
to dello Ierone di Senofonte1• Scriveva Kojève tra le
molte altre cose: «I discovered ... three authentic
and entirely unknown philosophers» : l'imperatore
Giuliano, Salustio e Damascio. Sconosciuti nel sen­
so che, anziché essere quei «mystical enthousiasts»
che ci si poteva attendere, essi «have revealed them­
selves as firstclass Voltaires» . Una rivelazione dav­
vero sbalorditiva: secondo Kojève, questi Voltaire
della tarda antichità avrebbero disprezzato tutto il
«neo-Platonic nonsense» tanto quanto la teologia

' La postfazione di Kojève, insieme con la risposta di Strauss, era


stata pubblicata in L. Strauss, De la tyrannie, Gallimard, Paris 1954.
L'epistolario successivo è incluso in L. Strauss, On Tyranny, a cura di
V. Gourevitch e M. S. Roth, The Free Press, New York 1991. Devo
molte utili indicazioni alla tesi (inedita) su Kojève di Matteo Vegetti.

7
______ Mario Vege tti ________

cristiana, preservando così la purezza della tradi­


zione filosofica attraverso una consapevole imita­
zione dell'ironia «socratica» di Platone. Kojève è
pronto a segnalare al suo interlocutore che si tratta
dunque di un bell'esempio di quella «art of wri­
ting», appunto ironica e dissimulatoria, che costi­
tuiva come è noto il punto di forza dell'ermeneuti­
ca straussiana. N ella sua risposta del 22 aprile,
Strauss dunque non poteva che prender atto, a dire
il vero un po' sbrigativamente, di questo omaggio
kojèviano, dichiarandosi «estremamente interessa­
to e gratificato, ma non del tutto sorpreso», per la
«scoperta» del suo corrispondente da Parigi.
A circa un mese di distanzà (11 maggio), Kojève
comunicava a Strauss la sua intenzione di scrivere
un saggio su Giuliano, da dedicare alla Festschrift
straussiana, durante il suo prossimo soggiorno gi­
nevrino (che l'avrebbe visto impegnato nei grandi
negoziati internazionali per il riordinamento post­
bellico dei commerci mondiali). Il senso complessi­
vo del progetto è brevemente delineato in una nuo­
va lettera del1 5 maggio 1 958, in cui Kojève ringra­
ziava il professore di Chicago per l'invio di una co­
pia del suo libro su Farabi.
Kojève partiva da una critica alla lettura «utopi­
stica» del Platone della Repubblica, simile benché

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------ Introduzione ------

non identica a quella formulata da Strauss in The


City and the Man2• Se letta come progetto destina­
to alla polis, come faceva inevitabilmente il «lettore
comune�� del tutto ignaro dell'Accademia, allora la
Repubblica è «deliberatamente assurda», come
prova tra l'altro la sua «ridicola comunità delle
donne». In realtà, ciò che interessa a Platone è l'Ac­
cademia, da costruire come un «monastero» di filo­
sofi separato dal mondo e destinato alla ricerca fi­
losofica. Sono stati secondo Kojève proprio i mo­
naci, sia cristiani sia musulmani, a tentare di realiz­
zare la «genuina» concezione platonica (viene qui
dimenticato il progetto analogo della «Platonopo­
li» plotiniana); al contrario, Platone è sempre stato
frainteso dagli uomini di Stato, fra i quali Giuliano
in quanto imperatore, che l'hanno pensato in diret­
ta proiezione politica, anche se a loro volta impe­
gnati nell'arte della dissimulazione (Giuliano appa­
re qui definito come epicureo o democriteo, co­
stretto però a professare idee religiose dalla sua
condizione di «civil servant�� ).
Le cose sono andate così, secondo Kojève, fino
a Hegel e Marx: i quali pensavano che i monasteri
dovessero e potessero trasformarsi in una polis, che

2 L. Strauss, The City and the Man, U niversity of Chicago, Chi­


cago 1964.

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______ Mario Vege tti ------

i filosofi dovessero e potessero (al contrario delle


«genuine» intenzioni platoniche) diventare re: è qui
d'obbligo, per Kojève, il riferimento a Napoleone.
Che cosa significa questo snodo improvviso del
discorso kojèviano ? Fin qui, nella sua «scoperta» di
un Giuliano voltairiano e di un Platone monastico,
egli si era mosso secondo due linee in parte conver­
genti e ben radicate nel suo orizzonte teorico. Da
un lato, la strenua rivendicazione della necessità fi­
losofica dell'ateismo come rifiuto di qualsiasi oriz­
zonte trascendente, metastorico, escatologico; dal­
l'altro il rifiuto, di schietta matrice hegeliana, della
plausibilità di ogni forma di pensiero utopistico.
Nel mondo pre-moderno, la filosofia « genuina» (e
in quanto tale atea ed estranea alla dimensione pra­
tico-politica), poteva e doveva ricorrere, nel suo ri­
fiuto delle concezioni correnti, a quella dissimula­
zione che le ricerche di Strauss avevano messo in
luce nella tradizione araba e giudaica3 e parzial­
mente esteso a Platone (la cui ironia consisteva nel
proporre, secondo Strauss, un'utopia autoconfuta­
toria, e quindi capace di smascherare i pericoli im­
pliciti in un coinvolgimento immediato del filosofo
nella politica). La dissimulazione consentiva dun-
' Si veda in proposito l'introduzione di A. M omigliano a L.
Strauss, Che cos'è la filosofia politica, trad. it. Argalia, Urbino 1977.

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------ Introduzione ________

que al filosofo di esistere nel mondo e insieme di


resistergli praticando la propria separazione all'in­
ternò di un «monastero» laico qual era la comunità
filosofica (o almeno, nel caso di un re-filosofo co­
me Giuliano, di governare gli uomini non rinun­
ciando alla propria libertà di pensiero). Che cosa
cambia, allora, nella modernità di Hegel e Marx?
Probabilmente la storia, cioè il mondo stesso: una
nuova condizione epocale nella quale il ritorno del
filosofo nel regno, dal monastero alla polis, è diven­
tato non solo doveroso ma anche possibile. La
compiuta immanentizzazione di ogni livello tra­
scendente o escatologico (dalla religione all'utopia)
nella realtà, il compimento della storia non nel do­
ver essere ma nella fattualità del corso del mondo,
consentono ormai di chiudere la separazione di
sempre, senza correre i rischi dell' «assurdità�� e del
«ridicolo».
È difficile dire quanto questo straussismo in sal­
sa hegelo-kojèviana- a partire dall'ateismo radicale
fino all'idea del compimento epocale della storia­
potesse riuscire gradito al palato dello stesso Leo
Strauss. Sta di fatto che ancora il 1 7 febbratb 1 95 9
Kojève tornava a chiedere il parere di Strauss sul
suo Giuliano (inviato nel frattempo come contri­
buto alla Festschrift), in cui, dichiarava forse senza

11
______ Mario Vege tti ------

ironia, «l publicly appear as a faithful Strauss disci­


ple». Ma non avrebbe ricevuto risposta se non pa­
recchio tempo dopo la pubblicazione del volume
( 1 964)4: in una lettera del 3 giugno 1 965 indirizzata
a «Mr Kojèvnikoff», Strauss si diceva di nuovo
molto gratificato dal saggio, adducendo però solo
la ragione che esso mostrava come la persecuzione
(dei filosofi) e «l'arte di scrivere» (dissimulatoria)
non fossero soltanto fantasie.
Se poi davvero lo fossero o meno, e soprattutto
se l'estensione di queste categorie ermeneutiche al
di fuori di aree fortemente teologiche e/o teocrati­
che come quelle giudaica e musulmana risulti sen­
sata, sino a farne una cifra globale del rapporto fra
filosofia e società anche nel mondo greco-romano,
è quanto il saggio su Giuliano dovrebbe provare.
Ad esso sarà il caso di tornare, dopo aver visto la
storia della sua incubazione kojèviana.

Il saggio si apre con il richiamo esplicito all'er­


meneutica straussiana, i cui criteri di fondo vengo­
no ravvisati nella necessità di non prendere alla let­
tera ciò che gli autori antichi hanno scritto, di non
pensare che essi abbiano reso esplicito tutto ciò che
' Ancient and Moderns. Essays on the Tradition of Politica/ Phi­
losophy in Honour of Leo Strauss, a cura di J . Cropsey, Basic Books,
New York 1964 (il saggio di A. Kojève è alle pp. 95-113 ) .

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------ I ntroduzione------

volevano dire, e anzi praticamente di ritenere che


l'arte antica della scrittura «consistait à écrire à peu
près le contraire de ce qu'on pense» . Questa «arte
della scrittura» richiederebbe da parte del lettore la
simmetrica «arte di leggere tra le righe» (p. 26). Per­
ché mai si dovrebbe adottare un simile criterio ?
Non è davvero un metodo troppo semplice per sal­
vare la tradizione, facendole dire il contrario di ciò
che essa asserisce quando questo suoni sgradito al­
l'interprete ?
Le ragioni a favore dell'ipotesi esoterica sono
così riassunte da Kojève (pp. 59-60): c'è in primo
luogo nei filosofi un timore «fisico» del pericolo
anche mortale che deriva dallo sfidare apertamente
i pregiudizi delle masse, oppure un timore «mora­
le», un pudore intellettuale, di fronte al turbamen­
to che si può indurre nelle «anime candide»; c'è, in
secondo luogo, il desiderio di far leva sulle opinio­
ni diffuse per un intento pedagogico, o meglio «de­
magogico», nei confronti di folle ignoranti; e infine
il disegno, propriamente esoterico, attuato con l'e­
sercizio dell'ironia e della dissimulazione, di sele­
zionare attraverso il lavoro interpretativo una élite
di lettori capaci di comprendere la genuina filoso­
fia, per costruire la cerchia segreta dei veri interlo­
cutori del discorso.

13
______ Mario Vege tti _ _ _ _ _ _ __

Che questa sia l'intenzione di Giuliano, Kojève


crede di poterlo dimostrare a partire da un passo
delle Consolazioni (248, d sgg.), in cui l'imperatore
afferma che dopo la partenza dell'amico Salustio
non ha altro interlocutore con cui intrattenersi li­
beramente se non se stesso: il che viene interpreta­
to nel senso che d'ora in poi non scriverà più ciò
che pensa né penserà tutto ciò che scrive. Di qui
Kojève inizia a sviluppare la sua teoria dell'ateismo
radicale di Giuliano, velatamente espresso nel di­
scorso sul «Sole-re», che investirebbe non solo la
criticata mitologia cristiana, ma anche quella paga­
na, pubblicamente professata, e la stessa teologia
neoplatonica (p. 30). Va subito detto che Kojève
non indica mai una ragione per cui quest'ultima -
con tutto il suo «nonsense»- debba venire identi­
ficata con la mitologia e quindi coinvolta nel rifiu­
to di Giuliano. Sono interessanti, comunque, le ra­
gioni per le quali, secondo il suo interprete, Giulia­
no avrebbe fatto ricorso ai miti e al tempo stesso ne
avrebbe preso occultamente le distanze. Una cre­
denza religiosa è necessaria per la ragion di Stato,
cioè per indurre le masse ignoranti al rispetto delle
norme sociali di comportamento (qualcosa del ge­
nere aveva del resto già scritto esplicitamente Ari­
stotele in Metafisica XII 8 1 074bl sgg., e di una for-

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------ Introduzione ------

ma politica di religione aveva parlato altrettanto


esplicitamente Cicerone). Ma c'è di più: in quanto
filosofo oltre che imperatore, Giuliano ricorre all'e­
soterismo facendosi gioco, di fronte alla «élite adul­
ta», delle favole che racconta al popolo (p. 36). In
questo senso, l'imperatore segue la più genuina tra­
dizione di Platone, che avrebbe evitato di «choquer
les prophanes» stimolando tuttavia, ironicamente,
«gli eletti» a perseguire l'autentica filosofia. Va os­
servato, a questo proposito, che da un lato Kojève,
sviluppando Strauss, precorre le moderne letture
esoteriche di Platone, proposte dagli studiosi di
Ti.ibingen (Kramer, Gaiser) e dell'Università Cat­
tolica (Reale)5, ma al tempo stesso è vittima di un
effetto di chiasma prodotto da queste stesse letture.
Vi si sostiene in effetti che Platone non avrebbe
scritto tutto quello che pensava per riservare il nu­
cleo delle sue idee ad una ristretta cerchia di «elet­
ti» cui era destinato il suo insegnamento orale; ma
questo insegnamento sarebbe poi consistito in una
metafisica derivazionistica dell'Uno non poi tanto
lontana dalla teologia neoplatonica con i suoi
«nonsense)) .
' Basterà qui citare in proposito G. Reale, Per una nuova inter­
pretazione di Platone, 1997 (xx ediz.). Per qualche considerazione
critica, mi sia consentito rinviare alle mie Cronache platoniche, in
«Rivista di filosofia», 85, 1994, l, pp. 109-29 .

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------ Mario Vegetti ------

Del resto, a Kojève si può anche riferire una cri­


tica spesso rivolta ai recenti interpreti esoterici: per
quale «timore» Platone si sarebbe astenuto dall'e­
sprimere pubblicamente il suo pensiero, se ad
esempio Socrate dichiara, nel libro v della Repub­
blica, di attendersi la derisione e addirittura le per­
cosse della folla in seguito alle sue proposte del «ri­
dicolo» comunismo di donne e di beni, e dello
scandaloso governo dei filosofi ?
Interessante, e tipicamente kojèviana, risulta co­
munque la spiegazione della necessità diffusa di
«credere» nei miti teologici. Si tratta di un bisogno
di eternità, cioè di una sopravvivenza ottenuta gra­
zie all'estremo «riconoscimento» di sé da parte di
esseri immortali e divini (pp. 56-7). L'imperatore
Giuliano conosce questa necessità e la accetta, ma il
filosofo Giuliano non può che prenderne scettica­
mente le distanze, pur giustificando l'imperatore
perché questi può salvare l'impero solo convincen­
do le masse a credere nei miti pagani in luogo di
quelli cristiani (pp. 60, 65). In effetti, il re-pedago­
go ha lo scopo «di educare gli individui in maniera
tale che la loro vita collettiva possa assumere la for­
ma di uno Stato vivibile e davvero degno di questo
nome, quale fu ad esempio lo Stato romano prima
della sua decadenza» (p. 63 ).

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------ Introduzione ------

In quest'ultimo passo c'è forse una possibile


chiave per comprendere l'ironico accenno autoeso­
terico con il quale Kojève conclude il suo saggio.
Queste pagine, egli scrive, non diranno nulla a quel
tipo di persone che Giuliano voleva escludere dalla
comprensione del suo pensiero; esse sono solo un
saluto rivolto ai «bons entendeurs de la Philo­
sophie», al di sopra degli oceani e attraverso i seco­
li. Un omaggio finale a Strauss, certo, e anche un
bisogno filosofico di «riconoscimento» perenne.
Ma non è da escludere che il crittogramma kojè­
viano alludesse anche al suo disegno, tutto politico,
di costruire un blocco mediterraneo, opposto agli
imperi sovietico e americano, che fosse governato
da un'élite naturalmente atea e tuttavia cementato
dalla fede di massa nella religione cattolica6: una ri­
petizione, dunque, proiettata nel futuro, dell'eccel­
lente Stato imperiale romano (e dei suoi imperato­
ri «voltairiani» ).
Non sarà a questo punto inutile riportare la bre­
ve sintesi della sua interpretazione di Giuliano che
Kojève formulò nella storia «ragionata» della filo­
sofia pagana.
Per quanto concerne l'imperatore Giuliano, una lettu­
ra anche sommaria dei suoi discorsi mostra chiaramente
' Cfr. in proposito D. Auffret, Alexandre Kojève, Grasset, Paris
1990, pp. 285 sgg.

17
_______ Mario Vegetti -------

che egli si è fatto gioco di Giamblico, precisamente a cau­


sa del suo «misticismo», e che ha beffeggiato (nello stile
dell'ironia «socratica» e addirittura da buon «voltairia­
no>> ) non solo i «misteri>> della madre degli dèi, ma anche
il culto di Apollo (che lui stesso ha propagato per ragioni
politiche e «ideologiche>> , cercando di sostituire ai <<miste­
ri» cristiani di moda, ritenuti pericolosi, un Paganesimo
«misterioso>> [...] ma presentato da Giuliano stesso come
una «mistificazione» ai suoi fedeli amici più o meno filo­
sofi [...]. Quanto alle opinioni «filosofiche» di Giuliano,
non ne sappiamo gran che. Ma [...] qualche sua osserva­
zione (volontariamente sibillina) fa credere che egli era in­
cline a una sorta di «materialismo» ateo di tipo epicureo­
democriteo[...] che andava di pari passo con una dichiara­
ta simpatia per il Cinismo anticd.

Qualche osservazione, per concludere, su questa


immagine kojèviana di Giuliano. È fuori di dubbio
che l'imperatore abbia pensato ad un uso politico
della religione pagana, tanto nel versante olimpico
quanto in quello misterico, fino al punto di proget­
tare di dotarla di un'organizzazione in qualche mo­
do ecclesiastica in grado di competere con la chiesa
cnstlana.
Tuttavia, non ne viene che la polarità crede­
re/non credere, e la conseguente ermeneutica della
dissimulazione, possano venir impiegate così cru-
' Essai d'une histoire raisonnée de la philosophie pai"enne, Galli­
mard, Paris 1973, t. III, p. 236 (il testo fu composto fra il 1953 e il '55:
la <<scoperta» di Giuliano da parte di Kojève sarà dunque accaduta
nel corso delle letture preparatorie a quest'opera di sintesi).

18
------ Introduzione ________

damente come fa Kojève, senza cautele sia storiche


sia epistemologiche. «Non credere» ai miti non si­
gnifica la stessa cosa nel IV secolo di Aristotele o
nel I secolo di Cicerone, e nel IV secolo d.C. di
Giuliano: un' «epoca di angoscia»8 fortemente per­
meata di credenze religiose, di culture salvifiche, di
culti di matrice orientale dalle fortissime valenze
simboliche. E, quanto al «credere», ci sono, come
ha mostrato Veyne\ diversi livelli di credenza: non
solo quelli della fede popolare, ma quelli attenti ap­
punto alle valenze simboliche dei miti, al loro alo­
ne morale, comunicativo, anche estetico. Grandi fi­
gure dell'immaginario collettivo, dunque, sulle
quali un semplice giudizio di esistenza è improprio
e semplicistico, nel secolo di Giuliano ma forse an­
che in quello di Voltaire.
Diverso il discorso sul rapporto fra Giuliano e la
teologia filosofica del neoplatonismo. La storiogra­
fia contemporanea non ha dubbi sul fatto che, co­
me ha scritto Mario Mazza, «bisogna prendere sul
serio, decisamente sul serio, Giuliano filosofo e l'u­
nione di religione e filosofia da lui scientemente
perseguita, sulle orme di Giamblico neoplatonico e

' La fortunata espressione è di E. R. Dodds, Pagani e cristiani in


un'epoca di angoscia, trad. it. La Nuova Italia, F irenze 1970.
• P. Veyne, I greci hanno creduto ai loro miti?, trad. it. Il Mulino,
Bologna 1984 .

19
------- Mario V egetti -------

dei suoi discepoli»10• E qui non c'è davvero nulla di


strano. L'idea di una regalità teocratica, che Giulia­
no non era certo il solo a coltivare nella sua epoca,
è perfettamente coerente con una metafisica deriva­
tiva degli stadi di realtà a partire dall'V no, e con la
sua proiezione in termini cosmo-teologici. Tutto
questo può certamente apparire «nonsense», e io
stesso ho parlato, a proposito di Plotino, del rischio
di «allucinazioni del delirio metafisico»11• Ciò non
toglie che questo «nonsense» e questo eventuale
delirio rappresentino la più potente costruzione del
pensiero filosofico e della forma di razionalità che
gli fu propria fra III e V secolo d.C. E non destina­
ta ad esaurirsi in questo ambito cronologico, se ha
ragione Beierwaltes12 nel vedere un importante

'0 M. Mazza, Filosofia religiosa ed «imperium» in Giuliano, in


Giuliano imperatore, a cura di B. Gentili, Quattroventi, Urbino
1986, pp . 39- 1 08; la citazione è a p. 75 ( questo saggio reca un'ampia
discussiO ne sulla storiografia giulianea) . Cfr. anche P. Athanassiadi­
Fowden, L'imperatore Giuliano, trad. it. Rizzoli, Milano 1984 .
" Nell'introduzione a Platino. L'eternità e il tempo (Enneade III
7), a cura di F. F errari, Egea, Milano 199 1 , p. 15.
"L'opera classica in questo senso è W. Beierw altes, Platonismo e
idealismo ( 1972), trad. it. Il Mulino, Bologna 1987; cfr. anche, dello
stesso autore, Pensare l'Uno ( 1985), trad. it. V ita e Pensiero, Milano
199 1 . A dire il v ero, Kojèv e aveva già visto Proclo come un Hegel
contraddittorio e incompiuto, per l'insufficienza dei tempi: <<Proclus
n'a pas pu faire ce qu'il aurait v oulu, à savoir ce que fera HegeJ, (Es­
sai d'une histoire raisonnée de la philosophie pai'enne cit., p. 474, ma
cfr. pp. 470 sgg.). Il fallimento di Proclo consisterebbe, in breve, nel
suo atteggiamento «conservatore», riv olto al passato, nel tentativo

20
------ Introduzione ------

benché segreto influsso di Proclo sulla formazione


dello stesso pensiero hegeliano. Curiosamente, tut­
to il «nonsense» neoplatonico giungerebbe così
molto vicino allo stesso orizzonte intellettuale di
Kojève; curiosamente ma non sorprendentemente,
perché è difficile che il neoplatonismo non ricom­
paia in qualche forma nei territori di pensiero in cui
si mira alla chiusura e al compimento del «sistema»
filosofico.
Per tornare comunque a Giuliano, va detto che
la provocazione kojèviana appare tutt'altro che
inutile alla comprensione della complessità, anche
tormentosa, del suo pensiero e della sua opera.
Quasi certamente, Giuliano era «sul serio» un neo­
platonico, e non un materialista epicureo o un ci­
nico camuffato. Tuttavia, era segnato dalla profon­
da inquietudine intellettuale ed esistenziale pro­
pria della sua epoca- lacerata tra i luminosi fanta­
smi del passato, la violenza dell'immaginazione
salvifica, il terrore della fine imminente di un ordi­
ne antico delle cose umane e del mondo. In questo
quadro, Voltaire sembra davvero fuori posto. Ma è
utile, invece, il suggerimento di una lettura obli-

impossibile di conciliare Parmenide ed E raclito, Platone ed Aristo­


tele; av rebbe dovuto invece essere rivoluzionario, convertirsi al cri­
stianesimo, anticipare la critica kantiana e pervenire finalmente alla
«Synthèse hegelienne» .

21
------ Mario Vegetti ________

qua, controluce, anche sospettosa dei testi, purché


non necessariamente condizionata dall'ossessione
straussiana per la dissimulazione e l'esoterismo fi­
losofico.

22
L'imperatore Giuliano

...perché non si deve parlare di ciò che è ineffabile.


Giuliano (218, a)

Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.


Wittgenstein (Tractatus, 7)

Quando sulla gabbia di un elefante


vedi scritto Bufalo, non credere ai tuoi occhi.
Kougma Prouthov
Per la traduzione dei passi tratti dal Discorso a Helios Re e dal
Discorso alla Madre degli dèi si è fatto riferimento - alcune volte
però discostandosene - alla versione italiana contenuta nel volume:
Giuliano Imperatore, Alla Madre degli dèi e altri discorsi, a cura di
J. Fontaine, C. Prato e A. Marcone, Fondazione Lorenzo Valla-Ar­
noldo M ondadori, M ilano 1987 [n.d.t] .
_____ L'IMPERATORE GIULIANO -----

I.

In un libro sull'Arte di scrivere, giustamente lo­


dato perché davvero rimarchevole, Leo Strauss ci
ha rammentato ciò che dal XIX secolo avevamo
un'eccessiva tendenza a dimenticare. Cioè che non
si doveva né prendere alla lettera tutto quel che
avevano scritto i grandi autori di una volta, né cre­
dere che essi avessero sempre esplicitato nei loro
scritti tutto ciò che vi intendevano dire.
In pratica, l'arte antica riscoperta da Leo Strauss
consisteva nello scrivere all'incirca il contrario di
quel che si pensa, così da camuffare ciò che si dice.
Questo camuffamento letterario aveva due scopi
nettamente distinti, ma in grado di combinarsi. Da
un lato, si poteva camuffare il proprio pensiero per
sfuggire a una persecuzione dovuta all'intolleranza,
che sorge necessariamente sia dal sapere uscito a ra­
gione dal dubbio, sia da ogni opinione sottratta al
dubbio a torto. Dall'altro, il camuffamento lettera-

25
_______ Alexandre Kojève -------

rio poteva servire a formare una élite: lo scritto era


allora ritenuto capace di indottrinare i pochi eletti
capaci di comprendere la dottrina camuffata che va
contro i pregiudizi, al tempo stesso confermando
gli eventuali lettori medi nella loro ignoranza «tra­
dizionale>>, talvolta ritenuta «dotta» e sempre sup­
posta come «salutare» . In questo caso, il camuffa­
mento perseguiva sussidiariamente uno scopo pe­
dagogico, mettendo alla prova la sagacia del lettore
di qualità. Ma, last not least, questa arte di scrivere
era anche un'arte di giocare, non foss'altro che con
se stessa; poiché l'autore vi si pone nel ben noto at­
teggiamento «ironico» che è espresso con il detto:
A buon intenditor, poche parole!
L'arte di scrivere in questione esige ad ogni mo­
do, come complemento necessario, un'arte di leg­
gere tra le righe assai trascurata a partire da un cer­
to momento, ma cui Leo Strauss ha restituito di­
gnità nei suoi scritti e per mezzo loro, con benefi­
cio di tutti noi. Ed è per questo che io ho creduto
di potergli rendere omaggio tentando a mia volta di
leggere tra le righe degli scritti di un autore degno
di lui, visto che si tratta non solo di un filosofo an­
tico, ma anche di un autentico imperatore, se pure
inefficace perché in ritardo (o in anticipo ?) su quel­
lo che fu il suo tempo.

26
_______ L'imperatore Giuliano -------

Gli scritti filosofici dell'imperatore Giuliano so­


no del resto particolarmente interessanti da un du­
plice punto di vista. Da una parte, perché l'autore
vi fa esplicita menzione di questa «arte di scrivere))
di cui Leo Strauss ha di recente riparlato in termini
quasi identici, senza essere a conoscenza, parrebbe,
di quel che ne aveva detto il suo augusto predeces­
sore. Dall'altra, perché la sorte di questi scritti mo­
stra che un autore può parlare apertamente di tale
arte senza tuttavia essere impedito ad esercitarla lui
stesso con p1eno successo.

27
_____ L'IMPERATORE GIULIANO _____

II.

La Consolazione che Giuliano indirizza a se


stesso in occasione della partenza del suo amico Sa­
lustio (primavera 358) è anteriore ai suoi scritti co­
siddetti filosofici. Tra le altre cose vi si legge questo:
«lo debbo ora restare solo e rinunciare alla nostra
conversazione sincera e alla nostra libera espressio­
ne. Perché allo stato attuale non conosco nessuno
con cui avrei potuto intrattenermi in maniera a tal
punto priva di timore. E d'altra parte, anche intrat­
tenermi con me stesso mi è divenuto più difficile [a
causa della tua partenza] ? Potrebbero prendermi
anche i miei pensieri e costringermi inoltre a pensa­
re e ammirare altro da ciò che io voglio ? [ ...] Poi­
ché nessuno può toglierei questa possibilità [di
pensare, se non di dire tutto quel che vogliamo],
noi [cioè Giuliano] dovremo allora tenere in un
qualche modo compagnia a noi stessi» (248, d-249,
a). È per avvertirci del fatto che, senza per questo

29
_______ Alexandre Koj ève _______

cambiare opinione, anche Giuliano coltiverà d'ora


in avanti questa antica arte della scrittura che ha per
fine di camuffare i pensieri. Giuliano avverte Salu­
stio, così come i suoi altri lettori capaci di com­
prendere il suo linguaggio allusivo, che da quel mo­
mento non scriverà più tutto ciò che pensa e non
penserà più tutto ciò che avrà scritto. E lo ricorda,
poco dopo la sua morte, dedicando a Salustio il suo
ironico Discorso a Helios Re (dicembre 362), dove
si prende apertamente gioco della teologia in gene­
re (sia pagana che cristiana) e della «mistica» cosid­
detta neoplatonica in particolar modo.
Nel Discorso contro i Cani ignoranti (in cui Giu­
liano, fingendo di criticare i soli neo-cinici del suo
tempo e contrapponendoli peraltro ad Antistene e
a Diogene da lui ammirati, attacca in realtà anche i
monaci) è detto di sfuggita: «Quanto a me, per
quanto riguarda gli dèi [ ... ], preferisco trincerarmi
in un pietoso silenzio» ( 1 87, c). Alcuni mesi prima,
l'imperatore aveva descritto molto dettagliatamen­
te alcuni particolari di numerose divinità pagane
nel suo Discorso alla Madre degli dèi (dove egli si
ispira a tratti alla Dea siriaca di Luciano ! ) e non ne
aveva fatto a meno neppure alcuni mesi più tardi
nel Discorso a Helios Re (che è volutamente una pa­
rodia degli scritti di Giamblico ! ) . Che dire, se non

30
_______ L'imperatore Giuliano ______

che Giuliano non pensava davvero quel che scrive­


va sugli dèi in questi due Discorsi e che in essi ave­
va mantenuto il silenzio su quel che davvero pen­
sava ? Tuttavia nulla gli impediva, sembra, di svi­
lupparvi apertamente le proprie concezioni teolo­
giche quali che esse fossero, supposto che egli ne
abbia avute in materia di teologia pagana. Nulla au­
torizza peraltro a supporre che egli non dicesse
apertamente quanto pensava degli dèi pagani per­
ché, anche dopo l'apostasia ufficiale, era rimasto
nel fondo del suo cuore cristiano. Siamo dunque
costretti ad ammettere che nel segnalare il fatto che
egli taceva i suoi veri pensieri relativi alle divinità,
quali che esse fossero, Giuliano voleva indicare che
a suo avviso non ve ne era in realtà nessuna. Que­
sto ateismo radicale, ma «silenzioso�� o camuffato,
è del resto dimostrato anche dal fatto che nei suoi
Discorsi falsamente religiosi e «mistici», l'imperato­
re non ripropone i temi della teologia pagana del
suo tempo (peraltro trasponibili in quelli della teo­
logia cristiana, almeno secondo Giuliano) se non
nella misura in cui questi si distinguono (agli occhi
dello stesso Giuliano) per un carattere particolar­
mente sciocco e ridicolo, che l'autore si impegna
nondimeno a evidenziare con discrezione, accen­
tuandolo.

31
_______ Alexandre Kojève _______

Dopo aver constatato che divenuto imperatore


il filosofo Giuliano cessa di dire tutto ciò che pen­
sa e anche di pensare tutto ciò che dice, occorre
porsi la domanda del perché di questo camuffa­
mento. Ora, nel suo Discorso contro il Cinico He­
raclios (dove peraltro «Heraclios» indica di fatto
non soltanto un «filosofo» neo-cinico, ma anche
un vescovo o un teologo cristiano), l'imperatore
rammenta che in tutti i tempi gli oratori e scrittori
di tendenza filosofica camuffavano i loro pensieri
per timore di rappresaglie: «Perché quando un ora­
tore, per timore dell'odio dei suoi ascoltatori, ha
paura di esprimere apertamente il suo oggetto, egli
cerca di dissimulare sotto un velo qualsiasi i propri
insegnamenti e le proprie esortazioni. È quanto fa­
ceva in modo assolutamente palese anche Esiodo»
(207, a-b). Forse. Ma di chi e di che cosa poteva
avere paura un imperatore romano ? Con ogni evi­
denza, Giuliano non poteva temere una persecu­
zione da parte del paganesimo del tempo, ormai
moribondo. Per contro, aveva potuto rendersi
conto che era impossibile, in quell'epoca, detroniz­
zare gli dèi pagani senza mettere sul trono in loro
vece la divinità cristiana, i cui fedeli avrebbero per­
seguitato l'imperatore ateo in maniera più insidio­
sa di quanto avrebbero potuto farlo i difensori del

32
_______ L'imperatore Giuliano -------

paganesimo1• Sarebbe dunque in ultima analisi per


timore dell'odio dei suoi uditori cristiani che l'im­
peratore avversava il cristianesimo e il filosofo ca­
muffava i suoi attacchi atei contro la teologia paga­
na, maneggiando con arte l'ironia platonica in
scritti che potevano perciò essere compresi solo
dalla élite filosofica, per definizione complice o
inoffensiva.
Si può ad ogni modo supporre che non fosse
unicamente per timore dell'intolleranza cristiana
che Giuliano si sforzava di restaurare il paganesimo
nell'Impero romano. Egli aveva, per farlo, anche
molte altre ragioni, delle quali la principale era sen­
za alcun dubbio una ragione di Stato. Ed è princi­
palmente per questa ragione di Stato che l'impera­
tore camuffa l'ateismo del filosofo. Giuliano ce lo
lascia capire lui stesso del resto a diverse riprese,
come per esempio quando dice: «Quando noi ren-
' Sono chiaramente le pastorali dei vescovi e non i bastoni dei «fi­
losofi» che in realtà Giuliano ha in mente, nella seguente invettiva
che egli intende rivolgere al «cinico Heraclios>> : «Inoltre, che valore
ha il fatto che voi [i "Cinici"] circolate dappertutto e importunate
non solo le mule, ma anche, come ho sentito dire, gli uomini che era­
no alla loro guida, i quali provano al vostro cospetto un terrore più
spaventoso che davanti ai soldati ? Infatti, come ho sentito dire, voi
fate dei vostri bastoni un uso ancor più crudele di quello che i sol­
dati fanno delle loro spade. Non vi è dunque miracolo alcuno se voi
ispirate loro persino più paura» (224, a). Si può notare al riguardo
che un decreto di Giuliano vieta il trasporto gratuito degli ecclesia­
stici con i servizi della posta imperiale.

33
_______ Alexandre Kojève _______

diamo le cose divine argomento di un'opera lette­


raria, dobbiamo fare attenzione che le parole non
manchino della dignità necessaria e che l' espressio­
ne sia quanto più possibile moderata, corretta e ap­
propriata agli dèi; e non deve esservi introdotto
nulla di ingiurioso, di blasfemo o di eretico, così da
non incitare la grande massa a una simile imperti­
nenza» (218, c-d).
Senza dubbio nello stesso senso va interpretato
il fatto che dopo aver riferito dettagliatamente in
tono burlesco il ridicolo «miracolo» che si sarebbe
verificato a Roma al momento dell'arrivo dell'ido­
lo della Dea Madre, Giuliano aggiunge quanto se­
gue: «Anche se questa storia sembrerà ad alcuni in­
credibile e apparirà del tutto fuori luogo a un filo­
sofo o a un teologo, ho ugualmente voluto raccon­
tarla qui, perché essa è stata riportata in modo con­
corde da molti storici e perché fu inoltre resa im­
mortale con delle statue di bronzo nella onnipo­
tente e pia città di Roma. Non mi sfugge d'altra
parte che alcuni degli uomini più saggi [cioè intel­
lettuali senza responsabilità amministrative o poli­
tiche] dichiareranno che questa storia è un intolle­
rabile farneticare di vecchiette. Ciononostante, io
sono dell'avviso che quando si tratta di storie di
questo genere, ci si deve fidare della testimonianza

34
------- L'imperatore Giuliano _______

delle Città più che della critica di questi spiriti raf­


finati, la cui piccola anima possiede è vero una vista
acuta, ma non vede in nessun luogo qualche cosa
che possa essere sano [cioè a dire adatto a vivere]»
(161, a-h)2•
In quanto intellettuale, Giuliano non aveva al­
cun bisogno della «testimonianza delle Città» in
materia di religione, né della «voce concorde di
molti storici» per quel che riguarda i supposti mi­
racoli, e non chiedeva di meglio che di prendersene
gioco. Ma in quanto filosofo, egli non ha ritenuto
di dover rifiutare l'Impero che gli veniva offerto; e
in quanto imperatore, si impegnava a ristabilire il
paganesimo per una ragione di Stato. Questa stessa
ragione di Stato, e non il timore di fastidi persona­
li, spinse Giuliano a camuffare nei suoi scritti il
proprio ateismo filosofico, così come i suoi sarca-

2 A diverse riprese Giuliano, in quanto imperatore romano, si


oppone agli intellettuali <<puri>> che si sottraggono all'azione politica,
permettendosi di dare consigli agli uomini di Stato. Egli lo fa so­
prattutto ne lla sua assai ironica Lettera al filosofo Temistio, dove
prende in giro lo stile dei <<sofisti» conte mporanei e si prende gioco
con crudele sarcasmo, se pure di nuovo sotto una forma camuffata,
dei consigli prodigati al nuovo imperatore dal suo vecchio maestro
di filosofia (di cui Eunap io evita di parlare nella sua Vita dei sofisti,
dove ricopre Giuliano di lodi). Si vedano più in particolare 263, b-
267, b . Si potrebbe citare in proposito il Frammento III, in cui Giu­
liano dice: <<Ma abb racciare con calore gli interessi della città [ ... ], è il
segno di un'anima filosofica».

35
------ Alexandre Kojève ------

smi di intellettuale incredulo o «scettico»3• Senza


dubbio se Giuliano avesse voluto essere solamente
imperatore, avrebbe dovuto e potuto rinunciare
completamente a questi sarcasmi, invece di ridere
tra sé e sé. Ma essendo rimasto filosofo, egli non
poteva abbandonare la pedagogia filosofica: rivol­
gendo i propri scritti ai soli adulti di una élite, si
preoccupava quindi che non venisse interrotta la
tradizione di quella che era per lui la verità (discor­
siva). L'ironia camuffata, che sfugge al volgo, per­
mette appunto di saggiare gli spiriti forti che sono
in grado di comprenderla senza esserne scandaliz­
zati, e dimostrano per questa stessa ragione di non
essere prigionieri dei pregiudizi al punto di non es­
ser più capaci di ricevere, forse utilmente, un inse­
gnamento filosofico che gli verrà peraltro imparti­
to anch'esso solo tra le righe, per lo stesso motivo
duplice- di messa alla prova e di segreto.
È precisamente questo ciò che Giuliano ci dice a
chiare lettere in qualche caso. Così, nel Discorso a
Helios Re (dove «Helios» è al tempo stesso la divi­
nità pagana esaltata dall'autore in qualità di impe-

' Cfr. la pagina della Lettera a un vicino: «Perché queste statue,


questi utensili, [...] i nostri padri ce li hanno dati [ ...] . Non convi ene
tuttavia di astenersi da un culto in atto, stabilito dalle leggi, non da
tre anni, né da tremi la, ma che data da sempre i n tutte le nazioni del­
la terra».

36
______ L'imperatore Giu liano ________

ratore, ma di cui egli si prende gioco come intellet­


tuale, e il simbolo di Nous cui fa appello in quanto
filosofo) Giuliano parla esplicitamente della pro­
pria vocazione pedagogica: «Quanto a me, possa
ugualmente4 concedermi il potente5 Helios [qui: la
Ragione] di giungere a una conoscenza della sua
natura e di rendeme edotti tutti gli uomini in gene­
rale, ma soprattutto quelli degni di riceveme l'i­
struzione» (157, d). Qui l'appello alla élite filosofi­
ca e l'esclusione della massa dei «profani» sono so­
lo accennati; ma altrove l'autore si esprime in ma­
niera più esplicita, come ad esempio nel Discorso
• Ugualmente, cioè, in questo contesto, al pari che a Giamblico.
Nel passo citato (come del resto ovunque nei suoi scritti), Giuliano
prende in giro il Neoplatonismo e Giamblico i n particolare. Ma i l
carattere ironico d e l contesto non impedisce di considerare seria­
mente l'istanza pedagogica dell'autore che vi è espressa. Del resto,
poco prima Giuliano mostra chiaramente il carattere ironico del suo
Discorso (peraltro mai pronunciato e solo inviato a Salustio e forse
ad alcuni altri amici fi losofi): «H o osato, mio caro Salustio, mettere
per iscritto e dedicarti le presenti considerazioni poiché tu hai giudi­
cato non del tutto indegno il mio precedente lavoro su La Festa di
Kronos (Cronia)» ( 157, c). Ora noi sappiamo che lo scritto in que­
stione (del resto andato quasi completamente perduto) era aperta­
mente satirico! In esso tuttavia Giuliano diceva: «Abbiamo seguito i
precetti dell'i llustre ierofante Giamblico ...>> .
' Di norma, il tradi zionale epiteto potente ha, in Giuliano, un va­
lore ironico (cfr. ad esempio l'uso reiterato del termine nel Discorso
alla Madre degli dèi, in particolare 166, a). Nel passo citato, il signi­
ficato è però duplice: ironico, se si tratta del dio Helios, serio se «He­
lios>> significa la Ragione (Nous). I passi a doppio se non triplice sen­
so non sono infrequenti in Giuliano: cfr. per esempio: 130, c; 159, c;
169, d; 172, d; 174, c-d; 222, b-e; 239, b-e .

37
------- Alexandre Kojève _______

contro Heraclios, dove dice: «Infatti non si deve


precisamente dire tutto; e anche di quel che si può
dire [a una élite] si deve, a mio avviso, nascondere
alcune cose alla grande massa» (239, a-b). Occorre
tuttavia farlo con arte: lo stesso camuffamento, che
serve a nascondere al volgo il vero significato di
quel che si dice, deve attirare l'attenzione degli elet­
ti e incitarli alla riflessione filosofica. Ed è precisa­
mente ciò che lo stesso Giuliano ci dice nel suo Di­
scorso alla Madre degli dèi: « Gli antichi hanno
sempre ricercato le cause delle cose [ ... ] e quando le
avevano trovate, dissimulavano il risultato, proteg­
gendo/o con miti paradossali, affinché attraverso il
paradosso e l'assurdo [di quanto ci viene detto] noi
scoprissimo [da soli] la finzione e fossimo così in­
dotti alla ricerca della verità [che ci viene nascosta
o mostrata solo a metà] . Perché gli Antichi dovet­
tero credere che i profani si accontentassero di una
sollecitazione [religiosa] irrazionale e espressa dai
soli simboli [generalmente paradossali e contrad­
dittori]; mentre a quanti sono dotati di una intelli­
genza superiore, la verità sugli dèi [che secondo
Giuliano sta nell'affermazione della loro inesisten­
za, a meno che il " divino" non sia inteso che come
puro simbolo del Nous o della Ragione umana] ri­
sulterà stimolante solo a condizione che: [da una

38
_______ L'imperatore Giuliano _______

parte] costoro la ricerchino, la scoprano e la com­


prendano [essi stessi] sotto la guida degli dèi [cioè
della Ragione, ovvero della Filosofia], dato che gli
è stato rammentato con allusioni enigmatiche che si
deve in questi casi cercare qualcosa; e [d'altra parte]
che essi progrediscano, sul cammino della riflessio­
ne, [passando] da una scoperta all'altra, sino alla fi­
ne e per così dire al culmine dell'intera dottrina,
senza fidarsi nel farlo, animati come sono di una fe­
de ardente [nella Ragione o nella Filosofia], dell' al­
trui opinione più che dell'attività della loro propria
ragione» (170, a-c).
Da buon «socratico», il pedagogo Giuliano non
intendeva impartire dei dogmi già prestabiliti, ma
invitare alla ricerca filosofica della verità tutti quel­
li, ma anche solamente quelli che se ne fossero rive­
lati capaci. Ed è questo il motivo per cui il filosofo
Giuliano ha voluto comunicare la propria dottrina
personale solo sotto forma di una critica delle idee
correnti (tra le altre quelle neoplatoniche), trattan­
dosi del resto di una critica «ironica» e dunque in­
tenzionalmente preclusa alla comprensione di tutti
quelli che non fossero ritenuti all'altezza di capirla6•
• Se è relativamente facile cogliere l'ironia critica di Giuliano, ci è
quasi impossibile, allo stato attuale delle nostre conoscenze, dedur­
re la sua dottrina filosofica <<positiva». È certo che Giuliano rigetta­
va tutto il contenuto cosiddetto <<mistico>> del Neoplatonismo inau-

39
------- Alexandre Kojève _________

Se tuttavia l'imperatore-filosofo camuffava i propri


pensieri non solo per timore o per ragioni di Stato,
ma anche avendo in mente una pedagogia filosofi­
ca, egli sembra averlo fatto ugualmente in funzione
di questa sorta di «pudore» (del resto notevolmen­
te vanesio) che spesso impedisce agli «iniziati» di
divulgare i loro «misteri» ai «profani» : forse perché
non ne sono loro stessi sicuri e certi al punto di spe­
rare di poterli dimostrare a tutti in modo probante.
In ogni caso, ecco cosa leggiamo nel Discorso con­
tro Heraclios: «Tuttavia, coloro che intendevano
gurato da Plotino e Porfirio (cfr. per esem io la parodia che trovia­
l
mo in 143, c-144, c), essendo l'oggetto de suo scherno il «divino»
Giamblico (cfr. in particolare: 146, a-b e 157, c-d; l'i ntero Discorso a
Helios Re non è altro, del resto, che una parodia di Giamblico). Egli
se mbra allo stesso modo ave r rifiutato la teoria platonica delle idee,
da lui giudicata eccessivamente «metafisica», ed essersi preso gioco
delle critiche espresse da Aristotele (cfr. ad esempio: 146 a-b, dove
l'epiteto ironico «potente» è associato al nome di Platone; 152, b-d,
dove l'ironia è particolarmente evidente; 162, d-165, b, dove si trova
una critica, peraltro «ironica», de lla teoria delle idee). Infi ne, è pro­
babile che Giuliano seguisse Ienarco nella critica che costui muove­
va alla nozione aristotelica di Etere, che lo stesso Giuliano presenta
(sempre «ironicamente») come un residuo di « metafisica teologica>>
(cfr. 162, a-d). Egli si è del resto in più occasioni preso gioco delle
tendenze «eclettiche» della filosofia del suo tempo e in particolar
modo del Neoplatonismo (cfr. per esempio 188, c e 162, c, in fine).
Ma è solo p oggiando su vaghe e rare allusioni che potremmo arriva­
re a stabilire l'adesione di Giuliano a un «positivismo», cioè a un
«materialismo ateo» che si ispirerebbe a Democrito via Epicuro (cfr.
per esempio 162, a: «Noi ammettiamo [con Aristotele] una Materia,
ma anche una Forma materiale [sic]; se tuttavia non presupponessi­
mo [seguendo Platone, Aristotele e i neoplatonici] una causa che sia

40
------ L'imperatore Giuliano ________

svelare il carattere divino di Dioniso [che è qui al


tempo stesso il dio pagano e Gesù Cristo], nascon­
dono il vero stato delle cose dietro l'abito di un mi­
to parlando con espressioni enigmatiche della "so­
stanza" del dio [cioè del Cristo-Logos], della sua
coesistenza con il padre, che era " incinta" di lui, nel
"mondo intellegibile", e della sua "generazione"
nel mondo [sensibile] che non era una generazione,
[ ...] e di tutto il resto che era degno di ricerca. Sol­
tanto, io provo a dire il vero un disagio a esprimer­
mi su tutto questo: in verità forse perché non mi

a loro anteriore, riprodurremmo, senza rendercene conto, l'opinione


di Epicuro»). Questa interpretazione ipotetica diverrebbe del resto
assolutamente certa se l'autore del breve trattato Degli dèi e del
mondo fosse il Salustio che fu amico di Giuliano. Infatti il credo di
questo autore (che troviamo espresso a chiare lettere nel capitolo
XVII, mentre negli altri car, itoli <<ironici•• è nettamente <<democriteo»
e ateo. Ma può darsi che 1! «Salustio» in questione non sia altro che
uno degli pseudonimi di Damascio (alias «Marinus» in qualità di
supposto autore della cosiddetta <<biografia» di Proclo, che è in realtà
un pamphlet sia <<ironico» che feroce). Sembra del resto che Dama­
scio, anch'egli « materialista» e notoriamente ateo, conoscesse bene
gli scritti di Giuliano e lo abbia imitato nella sua Vita Isidori, che non
è altro che una parodia del Neoplatonismo ( e della quale il cosiddet­
to «diadoco Isidoro» non è del resto mai esistito realmente!). Quan­
to all'ami-cristianesimo di Giuliano, esso è universalmente cono­
sciuto perché confessato pubblicamente. Ma non si è forse sottoli­
neato a sufficienza il fatto che l'imperatore-filosofo fu un «nietz­
schiano» o <<hegeliano» ante litteram, nella misura in cui rimprove­
rava in primo luogo al giudeo-cristianesimo di essere una <<religione
di schiavi» (cfr. 185, c-196, c; 199, d; 207, d-208, a; 213, b; 238 c-d; si
veda anche il Frammento VII: <<Essi [soldati cristiani che erano dei
pusillanimi e] sapevano soltanto pregare»).

41
_______ Alexandre Kojève _______

sono ancora io stesso del tutto chiarito al riguardo;


ma forse anche perché non ho voglia di esibire que­
sto dio al tempo stesso nascosto e rivelato [rivelan­
do che semplicemente non esiste], come a teatro, di
fronte a orecchie e anime inesperte, che si dedicano
a tutto tranne che alla filosofia» (22 1 , c-d). Lo stes­
so atteggiamento «pudico» appare anche all'inizio
del Discorso alla Madre degli dèi, dove Giuliano di­
chiara: «Davvero abbiamo il diritto di esprimerci
anche su queste cose; e scriveremo anche su ciò che
è ineffabile; e porteremo all'esterno cose che non
dovrebbero esserlo; e divulgheremo, attraverso le
chiacchiere, segreti che non dovrebbero essere di­
vulgati ?» ( 1 58, c; si veda anche il passo doppiamen­
te ironico che si trova in 1 72, d, dove Giuliano di
nuovo prende in giro il N eoplatonismo, così come
lo stesso Platone).
Certo. Ma non dobbiamo neanche dimenticare
che c'è molto gioco intellettuale e divertimento fi­
losofico nell'ironica arte della scrittura dell'impera­
tore Giuliano, che seguiva puntigliosamente - così
divertendosi - una tradizione autenticamente pla­
tonica. Al pari del grande Platone, Giuliano il Filo­
sofo ha molto scherzato, e lo ha fatto soprattutto
con cose che la maggior parte dei lettori considera
in alcuni casi tragiche e alle quali egli attribuisce co-

42
_______ L'imperatore Giu liano -------

munque sempre una profonda serietà. Ma proprio


come lo stesso Platone, Giuliano si prendeva gio-
' Per quel che riguarda l'origine platonica dell' <<ironia» di Giu­
liano, è particolarmente eloquente il seguente passo ( <<ironico») del
Discorso contro Heraclios: <<Egli [Platone nel Timeo] esige che si cre­
da semplicemente a tutto ciò che i poeti dicono degli dèi e che non
si domandi alcuna prova di quel che ne dicono. Ma io ho citato qui
questo passo [del Timeo {49, d), da Giuliano considerato evidente­
mente «i ronico», nonostante egli non abbia potuto ignorare che lo
stesso passo è stato preso alla lettera e considerato seriamente dal­
l'autore deii'Epinomis] col solo scopo che tu [cioè "Heraclios", che
si mboleggia qui il teologo cristiano] non ti approfitti, come fanno
molti Platonici, della ironia di Socrate per i ndebolire l'opinione di
Platone. Infatti queste parole vi sono pronunciate non da Socrate,
ma da Timeo, il quale non è minimamente ironico. [Ciò dimostra, lo
accenniamo solamente, che Giuliano non prendeva affatto sul seri o
i miti di tenore pseudo- scientifico che Platone metteva ridicolmente
in bocca a "Timeo" per prenderlo in giro (avendo in mente Eudos­
so, o il giovane Aristotele, il quale fu impressionato e influenzato da
quest'ultimo al punto di rompere con la filosofia che insegnava nel­
l' Accademia)]. Allo stesso modo non è affatto sensato, i nvece di ana­
li zzare ciò che è detto, domandarsi chi lo dice e a chi le parole sono
rivolte. [Passo "ironico", che mostra come Giuliano sapesse benissi­
mo che al contrario solo ponendo queste due ultime domande era
possibile interpretare in maniera corretta i dialoghi di Platone]. Deb­
bo ora citarti anche la Sirena onnisciente, immagine di Hermes dio
dell'eloquenza e amico di Apollo e delle Muse [cioè Aristotele] ? Co­
stui ritiene che a coloro che domandano se esistono gli dèi o a colo­
ro che, in senso generale, intraprendono uno studio [critico] sulla
questione, non si deve dare una risposta come a degli esseri umani,
ma inf liggere una puni zione come a delle bestie» {237, c). È palese
che Giuliano non apprezzava granché le persone che prendono le
cose troppo sul serio, in particolar modo i n materia di religione o di
scienza, o di politica e di ragi on di Stato. Ed egli ha a più riprese re­
so omaggio ai filosofi del passato i quali erano capaci di scherzare,
ponendo a loro guida Democrito ( !) accanto a Platone. Del resto, lui
stesso dice nel suo Discorso contro i Cani ignoranti (che sono peral­
tro non i neo-cinici, ma i monaci cristiani): << Le Tragedie spesso evo-

43
------- Alexandre Kojève -------

co di queste cose facendo attenzione a non scanda­


lizzare i «profani» e anche lui lo faceva in maniera
tale da incitare quelli da lui scelti allo sforzo intel­
lettuale, che è filosofico esattamente nella misura in
cui è ritenuto in grado di liberare coloro che ne so­
no capaci dai pregiudizi «del teatro» e «del foro)),
guidandoli così alla Saggezza (discorsiva), cioè a
una piena soddisfazione di sé, perfettamente consa­
pevole di se stessa.

cate da Diogene sarebbero opera di un certo Filisco di Egina; ma an­


che se esse dovessero essere scritte da Diogene, non sarebbe poi co­
sì sorprendente che il Saggio vi scherza [sic]; infatti sappiamo che
molti f ilosofi [tra i quali certamente Platone] vi si sono anch'essi de­
dicati. Si racconta effettivamente che Democrito ( !) aveva anch'egli
l'abitudine di n'dere osservando il comportamento serio dei suoi si­
mili [non filosofi]» (186, c). Lo stesso atteggiamento nei conf ronti
della canzonatura f ilosofica si ritrova anche in: 201, a-c; 222 , b-e
[passo «ironico» a doppio senso]; 148, b; così pure all'inizio dello
scritto satirico I Cesari, in cui Giuliano si richiama esplicitamente a
Platone parlando di «scherzi seri» e di se stesso dice (ironicamente):
<<La natura non mi ha f atto né beffardo, né parodista, né ironico>>.

44
_____ L'IMPERATORE GIULIANO _____

III.

Si potrebbero fornire molti esempi dell'arte del­


la scrittura praticata da Giuliano. In mancanza di
spazio, mi limiterò a uno solo, che mi sembra del
resto particolarmente pr � bante.
Si tratta di ciò che Giuliano pensa e dice quando
nei suoi scritti filosofici parla dei Miti: in senso ge­
nerale e in particolare.
Giuliano parla di «miti» in tutte le sue digressio­
ni di carattere filosofico. Tuttavia il suo Discorso
contro Heraclios è interamente dedicato al proble­
ma del Mito in generale e dei «miti» teologici in
particolare, sia pagani che cristiani (cfr. 205, b-e).
L'imperatore-filosofo vi formula in modo espli­
cito il proprio punto di vista già all'inizio dell'ana­
lisi, che comincia così: «Trovare il punto da cui è
partita l'invenzione dei miti, così come la persona
di colui che ha tentato per la prima volta di raccon­
tare delle storie false in una forma credibile, per il

45
_______ Alexandre Kojève _______

vantaggio o il divertimento dei suoi ascoltatori, è


probabilmente altrettanto impossibile che se si vo­
lesse ricercare chi per la prima volta ha dovuto star­
nutire o tossire» (205, c).
Con ogni evidenza, nel definire il Mito come
una storia falsa narrata in maniera credibile, Giulia­
no si oppone coscientemente alla definizione tradi­
zionale, implicitamente o esplicitamente ammessa
da tutti i teologi, stoici compresi. Per costoro, i mi­
ti (o quantomeno, alcuni miti) sono storie vere che
si presentano però sotto una forma non credibile,
nel senso di «inverosimile» o, in ogni caso, di «in­
comprensibile». Il compito del teologo (pagano o
cristiano) consiste allora nell' «interpretare» un mi­
to in maniera da ri-dire in un discorso «verosimile��
e «comprensibile» (per non dire «ragionevole» o
«razionale») la verità che quel mito rivela (discor­
sivamente). La verità del mito viene del resto defi­
nita come un «adeguamento» tra ciò che il mito di­
ce e ciò di cui parla. In questo modo, la verità del
mito viene giudicata come la rivelazione (discorsi­
va) di una realtà. Più precisamente, non è il mito
che rivela una «realtà» . È la « realtà��, generalmente
«divina», che si rivela essa stessa nel e attraverso il
mito. Così il mito teologico costituisce la forma di­
scorsiva «incredibile» di una rivelazione divina, la

46
_______ L'imperatore Giu liano _______

quale rivela ciò che è o esiste realmente «al di fuo­


ri)) della sua rivelazione discorsiva e indipendente­
mente dalla forma «mitica))' cioè «incredibile)) di
quest'ultima. Di qui la possibilità di «interpretare))
il mito, «razionalizzando)) la sua forma (discorsi­
va), senza per questo modificare la «verità)) del suo
contenuto (discorsivo anch'esso).
Nulla di simile sarebbe possibile nel caso i miti
fossero quel che ne dice Giuliano: cioè delle storie
false. In effetti, se il mito è una storia falsa, ciò di
cui esso parla non esiste e non può dunque venire
rivelato attraverso il mito. Così come i miti sono
allora non delle rivelazioni divine, ma delle inven­
zioni umane. Ora, è precisamente quello che Giu­
liano ci dice nel passo citato.
Ma come si fa a sapere che una storia narrata è
falsa ? E perché mai siamo in grado di affermare che
tutti i miti sono falsi ?
Sembra che Giuliano s i sia servito del criterio di
verità immanente al discorso stesso, che è il princi­
pio di contraddizione. Ammettendo (a priori) l'o­
pinione diffusa secondo cui un discorso che si au­
tocontraddice non sarebbe in grado di «corrispon­
dere)) a una «realtà)) che fosse a lui «esterna))' egli
definisce il Mito come un racconto contraddittorio
nei suoi termini e ne trae (analiticamente) la con-

47
_______ Alexandre Kojève _______

elusione che tutti i miti sono «falsi», almeno nel


senso che nessuno di essi corrisponde ad alcunché
di reale.
Secondo Giuliano tutti i discorsi teologici sono
necessariamente contraddittori nei loro termini e
perciò «mitici» o «falsi» . Questo è almeno ciò che
sembra volerei dire quando scrive (peraltro in ma­
niera che può essere volontariamente oscura) quel
che segue (dopo averci ricordato che non si do­
vrebbero divulgare i «misteri» [ = verità filosofiche]
ai «profani» [ = non-filosofi] : 217, d- 218, a): «In
ciò che riguarda tuttavia le cose che ciascuno di noi
[altri filosofi] può dire e intendere impunemente,
[si dà il caso che] ogni discorso espresso è costitui­
to da una ESPRESSIONE (verbale] e da un SIGNIFICA­
TO. Poiché il Mito è anch'esso una sorta di discor­
so, sarà probabilmente [!] anch'esso composto di
questi due elementi. Consideriamo separatamente
ciascuno di essi. In ogni discorso è implicato un SI­
GNIFICATO semplice; ma questo significato può an­
che venire presentato in una forma artistica [ .. .] . Il
significato semplice è unico [ .. .] . Ma ciò che è co­
struito artisticamente contiene in se stesso molte
varianti, che non ti saranno del tutto sconosciute se
ti sei applicato alla retorica [ ... ]. Tuttavia, almeno in
questo momento, io non devo parlare né della mag-

48
______ L'imperatore Giuliano ______

gior parte, né della totalità di queste forme [artisti­


che], ma solo di due di esse, cioè di ciò che è digni­
toso quanto al significato, e di ciò il cui significato è
contraddittorio. La stessa cosa vale del resto anche
per l'ESPRESSIONE [verbale, che può anch'essa esse­
re dignitosa o contraddittoria] [ .. .] . Per quel che ri­
guarda questi due elementi [cioè il SIGNIFICATO e
l'ESPRESSIONE], dobbiamo fare attenzione, quando
scegliamo cose divine come soggetto di una poesia,
che le PAROLE [cioè l'ESPRESSIONE] non manchino
della dignità necessaria [ .. .]. Per questo motivo nul­
la di contraddittorio deve trovarsi nelle ESPRESSIONI
di questo genere [cioè a dire quando si parla di co­
se divine] [ ... ]. Tuttavia, dobbiamo ammettere il ca­
rattere contraddittorio del SIGNIFICATO, là dove la
contraddizione persegue uno scopo utile; infatti in
questo caso [cioè quando si tratta di offrire un
buon esempio], le persone [che si intende edificare]
non sono certo rimandate [perché gli si fa un rac­
conto] a un ricordo [che gli provenga] dall'esterno
[e che si riferisce quindi a una "realtà"], ma vengo­
no istruite [o edificate] dal solo contenuto [discorsi­
vo] del Mito [stesso] ... » (2 1 8, a-2 1 9, a).
Soffermiamoci anzitutto su questo passo straor­
dinario, secondo cui i Miti teologici sono caratte­
rizzati dall'aspetto contraddittorio non delle loro

49
_______ Alexandre Kojève -------

espressioni verbali. (che sono giudicate «dignito­


se»), ma del loro significato. È nel suo SIGNIFICATO,
e attraverso di esso, che il Mito teologico si auto­
contraddice. L'ESPRESSIONE « mitica», peraltro arti­
stica, può tutt'al più camuffare questa contraddi­
zione (almeno agli occhi della « grande massa» : cfr.
218, d), dandole una parvenza «dignitosa)) e «coe­
rente))' cioè «credibile)). Più esattamente, tutti i mi­
ti hanno un SIGNIFICATO contraddittorio, perché
essi si contraddicono per definizione: ciò che non è
contraddittorio nei termini non è un mito propria­
mente detto. Ma un unico e medesimo SIGNIFICA­
TO contraddittorio può avere due diverse ESPRES­
SIONI VERBALI: una fa vedere in modo esplicito la
contraddizione, mentre l'altra la dissimula (senza
eliminarla) di modo che essa sia solamente implici­
ta. Dobbiamo perciò distinguere tra i miti che si
presentano apertamente come aventi un significato
«contraddittorio)) e quelli che nascondono la pro­
pria «contraddizione))' esprimendosi attraverso di­
scorsi apparentemente «dignitosi)) e «coerenti))' o
che hanno quantomeno la pretesa di essere tali.
Vedremo tra breve che raccontare delle storie
false senza voler camuffare il loro carattere «con­
traddittorio)) allo scopo di farle passare per vere, è
caratteristica peculiare della Poesia. Ma abbiamo

so
_______ L'imperatore Giuliano _______

appena visto che, secondo Giuliano, è indispensa­


bile (quantomeno se si vuole «edificare») dissimu­
lare attraverso un'espressione verbale (apparente­
mente) coerente la contraddizione implicita nel si­
gnificato delle poesie che hanno per soggetto delle
cose divine. Ora, noi capiamo perfettamente per­
ché è così. Il senso contraddittorio effettivamente
non può, per definizione, corrispondere ad alcuna
«realtà». Mostrare attraverso la stessa espressione
verbale che una storia è «contraddittoria» significa
allora presentarla in modo esplicito come una fin­
zione. Ed è precisamente ciò che fanno i poeti rac­
contando le loro storie. Per contro, i teologi pre­
tendono invece parlare di divinità reali. Essi sono
perciò costretti a camuffare verbalmente le con­
traddizioni inerenti al significato delle storie che
raccontano. Così, sono i teologi che producono i
Miti nel senso proprio del termine, cioè «delle sto­
rie false [perché contraddittorie] in una forma cre­
dibile [perché apparentemente coerente] » (205, c).
L'arte di trovare una forma verbale all'apparenza
coerente per un significato (falso) che non è sempli­
ce o unico (dato che il significato «contraddittorio>>
è appunto duplice) appartiene alla Retorica. Di
conseguenza, la Teologia è una branca della Retori­
ca, che tenta di trovare espressioni verbali (appa-

51
------- Alexandre Kojève -------

rentemente) coerenti per i significati contraddittori


delle poesie che hanno per soggetto cose divine.

Quali che siano i rapporti tra la Teologia, la


Poesia e la Retorica, Giuliano ci ha chiaramente
detto che secondo lui tutti i miti sono delle storie
false. E ora noi s appiamo che queste storie sono
false perché il loro significato è contraddittorio, a
prescindere da quale sia la forma verbale che esse
presentano.
Associando curiosamente allo starnuto e alla
tosse l'invenzione umana dei miti, Giuliano ci la­
scia intendere che ci sono sempre stati e sempre ci
saranno dei miti sulla terra, fintantoché vi abiteran­
no degli esseri umani. Possiamo quindi domandar­
ci perché gli uomini sempre e ovunque inventino
delle storie false, prendendo le talvolta per storie ve­
re. Alla domanda, lo stesso Giuliano risponde di­
cendo che gli uomini inventano i miti sia per essere
utili ai loro uditori, sia per divertirli (cfr. 205, c).
Per quanto riguarda il divertimento, è della Poe­
sia che si tratta. Infatti per un verso non c'è poesia
senza mito; e, per l 'altro, i miti poetici servono solo
a divertire. È ad ogni modo ciò che sembra dal pas­
so che segue: «Archiloco [che si è servito dei miti,
sulla scorta di Esiodo, allo s copo di dissimulare i

52
------- L'imperatore Giu liano _______

suoi pensieri] è stato inoltre perfettamente consa­


pevole del fatto che la poesia diviene un semplice
accostare rime se le si toglie tutto ciò che è mitico;
infatti in questo modo la si priva per così dire del
suo carattere peculiare e in essa non rimane allora
nulla di poetico. È per questo motivo ch'egli colse
nel giardino della Musa poetica queste dolci spezie
e le aggiunse nei suoi scritti, appunto perché lo si
considerasse non come una sorta di silografo, ma
come un vero poeta» (207, b-e).
Gli uomini dunque inventano storie false per un
gioco poetico e lo faranno sempre, perché essi non
vorranno mai privarsi del divertimento. Vi saranno
sempre storie false sulla terra, perché sempre ci sa­
ranno uomini appassionati di poesia.
Ma i poeti si divertono e fanno divertire gli altri
senza ambire alla verità delle storie che raccontano
per gioco. Poco importa a loro che queste storie
siano «strane�� o «contraddittorie», poiché loro
stessi le presentano come delle finzioni, all'unico
scopo di divertire. Per contro, i teologi disprezza­
no i giochi divertenti e hanno la pretesa di essere
utili agli uomini. Ogni volta essi devono presenta­
re come vere le storie che essi stessi raccontano. E
se utilizzano delle «storie false�� inventate dai poe­
ti, sono costretti a dare a quelle storie una forma

53
_______ Alexandre Kojève _______

credibile, dissimulando quanto più possibile il ca­


rattere «strano e contraddittorio�� del loro signifi­
cato. È precisamente l'invenzione di «storie false
sotto forma credibile» che Giuliano paragona alla
tosse e allo starnuto. A suo avviso vi saranno quin­
di ovunque e sempre, cioè «necessariamente��, non
solo dei miti poetici, ovverosia delle storie «false»
che si presentano come tali o come delle «finzioni»,
ma anche dei miti nel senso proprio del termine,
cioè delle storie teologiche che, pur essendo di fat­
to «false» anch'esse, hanno tuttavia la pretesa di po­
ter essere utili agli uomini, nella stessa misura in cui
esse sono ritenute dover essere da loro credute.
Anche in questo caso, occorre chiedersi perché
sia così. Come mai avviene che vi sono state e vi sa­
ranno ovunque e sempre, almeno secondo Giulia­
no, delle storie false che hanno una forma credibile ?
Osserviamo anzitutto che Giuliano definisce i
miti teologici credibili per l'unica ragione che egli
constata che la maggior parte delle persone effetti­
vamente ci crede. Infatti abbiamo visto che per lo
stesso Giuliano il significato di tutti i miti è falso (in
quanto contraddittorio), così che l'impressione di
verità che possono talvolta dare le loro forme ver­
bali è necessariamente un errore. Del resto, secon­
do lui, questa stessa apparenza di verità è molto re-

54
_______ L'i mperatore Giuliano _______

lativa in gran parte dei miti teologici, ed egli si


preoccupa di riprodurre nei suoi scritti storie par­
ticolarmente assurde, mettendone volontariamente
in evidenza il carattere grottesco. Ma nel farlo, egli
sa che la fede che la gran parte delle persone riser­
va a questi miti è tale che anche la sua maniera bur­
lesca di raccontarli non impedirà quasi a nessuno di
prenderli sul serio, né di credere che lui stesso li
prende sul serio.
Ora, se Giuliano si era reso conto del fatto che
in materia di teologia gli uomini credevano ferma­
mente a cose assolutamente «incredibili», egli do­
vette chiedersi perché lo facevano.
Di primo acchito, la risposta (indiretta, del re­
sto) che egli offre a questa domanda è poco soddi­
sfacente, anche se tradizionale nella filosofia antica.
Essa consiste nel dire che la gente credeva ai miti
per «ingenuità», ossia per mancanza di intelligenza
o, più esattamente, per non aver notato il carattere
«strano e contraddittorio)) di quel che i miti rac­
contano (si veda ad esempio il passo 170, a-c, già ci­
tato sopra, dove Giuliano oppone ai «profani)) che
credono nei miti teologici prendendoli alla lettera,
le «persone dotate di una intelligenza superiore))
che riconoscono il carattere fittizio di questi miti
constatando «la loro stranezza e il loro carattere

55
_______ Alexandre Kojève _______

contraddittorio»). Ma una risposta più approfondi­


ta ( «hegeliana» ante litteram) si trova forse in un
curioso passo della Consolazione, dove Giuliano
parla di Alessandro dicendo quanto segue: «Si rac­
conta che Alessandro auspicava un Omero. Non
per approfittare della sua compagnia, ma per
diffondere la sua fama [ ... ]. Solo che quest'uomo
[Alessandro] non ha mai avuto occhi per il presen­
te; non era mai soddisfatto di quel che gli veniva ac­
cordato nel suo proprio tempo e non si accontenta­
va dei beni che gli venivano [effettivamente] dati.
Anche se gli si fosse presentato un Omero, egli
avrebbe di certo provato la nostalgia della lira di
Apollo, con la quale quello cantava le nozze di Pe­
leo. Infatti Alessandro considerava queste storie
[relative ad Apollo] non come mere creazioni dello
.
spirito poetico di Omer o, ma come qualcosa di rea­
le, che Omero aveva introdotto nella trama del suo
poema» (250, d-25 1 , a).
In altre parole: un poeta inventa (per divertire)
una storia falsa che egli stesso presenta come una
finzione; ma agli occhi di un altro, la stessa storia
può apparire «credibile», al punto da essere consi­
derata come vera nel senso di conforme alla realtà,
anche qualora essa abbia un carattere «strano e
contraddittorio» . Dato che si tratta in questo caso

56
_______ L'imperatore Giuliano _______

di Alessandro, non può trattarsi di «ingenuità» o di


mancanza di intelligenza. Giuliano indica infatti
tutt'altra ragione. Cioè un desiderio di fama (o di
«riconoscimento», nel senso hegeliano del termine)
non soddisfatto dalla celebrità acquisita quando era
vivo. E poiché Giuliano parla di Alessandro e di
Omero, egli vuole senza dubbio dirci che il deside­
rio di fama o di «riconoscimento» che spinge gli
uomini a trasformare delle finzioni poetiche in mi­
ti teologici che essi accettano come veri è tale che
esso non sarà soddisfatto da alcuna azione svolta
sulla terra, né dalle lodi di qualunque genere che es­
si vi si procureranno. Del resto, Giuliano si preoc­
cupa di sottolineare che nulla di ciò che avviene nel
tempo potrebbe soddisfare Alessandro. E ciò signi­
fica che gli uomini credono alla verità dei miti teo­
logici perché questi permettono loro di contare su
una fama eterna, cioè un'immortalità nella e per il
«riconoscimento» da parte di esseri immortali o di­
vini. In breve, gli uomini credono negli dèi perché
desiderano essi stessi essere immortali.
Giuliano avrebbe potuto fermarsi là, se i miti
fossero raccontati unicamente da poeti (che si dedi­
cano alle finzioni per gioco e per divertire) o da uo­
mini religiosi (che fuggono la realtà perché non li
soddisfa). Ma egli sapeva che dei miti si trovano al-

57
_______ Alexandre Kojève _________

lo stesso modo negli scritti dei filosofi, compresi i


più grandi. Per un verso la Filosofia è per Giuliano
altra cosa ancora che un gioco o un divertimento;
per l'altro, non si addice secondo lui a un filosofo il
temere la morte al punto di scambiare delle storie
false, del resto «strane e contraddittorie», per delle
profonde verità1• Infine, l' «ingenuità», cioè la stu-

' Dopo aver analizzato così l'atteggiamento religioso che egli at­
tribuisce (del resto solo per difendere la causa) ad Alessandro, Giu­
liano gli oppone il proprio atteggiamento filosofico (ateo), dicendo
quanto segue: <<Quanto a noi [cioè quanto all'imperatore Giuliano,
ma anche: quanto a noialtri filosof i], che sempre ci accontentiamo di
quanto abbiamo effettivamente, e non ambiamo assolutamente a
quel che è lontano [cioè <<trascendente»], di sicuro ci rallegriamo
quando il nostro messaggero [umano] ci loda» (251, c). In questo te­
sto, il filosofo sembra parlare in qualità di fedele discepolo di Epicu­
ro. Ma in altri passi di argomento analogo, l'imperatore parla piut­
tosto da <<stoico». È ciò che fa, ad esempio, nel suo Discorso a Helios
Re, al termine di una <<preghiera personale>> che egli rivolge a «He­
lios» (preghiera peraltro <<ironica» a doppio senso), dove dice: <<Pos­
sa ancora concedermi ["H elios", che rappresenta qui la divinità pa­
gana che l'imperatore raccomanda senza crederci] tutto ciò di cui
l'ho appena [156, c-157, a] pregato [" ironicamente", facendo di fat­
to la parodia degli inni neoplatonici], e concedere e proteggere ama­
bilmente [il che ora l'imperatore domanda in modo " serio", rivol­
gendosi questa volta a "Helios" inteso come Nous o Ragione umana
filosofica, che Giuliano venera in quanto filosofo, se pure parlando­
ne nei suoi scritti solo in maniera allusiva] , allo Stato [romano] tutto
intero un'esistenza eterna, per quanto ciò è possibile; quanto a noi [e
questo noi ancora una volta significa sia " noi, l'imperatore Giulia­
no", sia " noialtri filosof i "] che "Helios" [cioè il Nous] ci accordi suc­
cesso nelle cose divine e in quelle umane [cioè anche, secondo la d e­
finizione stoica ben nota alla Filosofia: nelle nostre ricerche filosof i­
che] per tutto il tempo che ci permette di vivere [sulla terra]; ma che

58
______ L'imperatore Giu liano ________

pidità, non è ai suoi occhi tratto distintivo dei se­


guaci della Filosofia. Giuliano doveva quindi tro­
vare un'altra spiegazione dell'esistenza dei miti
teologici in generale e, più in particolare, della pre­
senza di tali miti nei suoi propri scritti (per esem­
pio 227, b-234, c).
Questa spiegazione noi la conosciamo già. Per
un verso, i filosofi hanno dato ad alcune delle loro
dottrine la forma di miti per timore della «grande
massa>> di cui essi offendevano i pregiudizi (specie
teologici): sia per timore fisico di un pericolo tal-

ci conceda di vivere e di dedicarci nella vita ai compiti dello Stato


per tutto il tempo che ciò sia gradito a lui, e buono per noi e vantag­
gioso per tutto l' Impero romano» ( 157, h). E Giuliano riprende lo
stesso argomento una pagina dopo, nel passo (di nuovo a doppio
senso, insi eme <<i ronico>> e <<serio>> ) che conclude tutto i l Discorso e
che può essere tradotto così: <<Per la terza volta, dunque, prego He­
lios, re dell'universo, ["ironicamente" se si fa appello al dio, ma "se­
riamente" se si tratta della Ragione umana], di essermi propizio e di
accordarmi una vita vi rtuosa, dei sensi perfetti e un'intelligenza
(Nous) divina. E, all'ora voluta [necessariamente] dal destino (hei­
marmene), ch'io possa lasciare questa vita in tutta serenità e quindi
ascendere rapidamente a lui, e rimanere presso di lui se possibile i n
eterno [cosa che Giuliano certamente non crede]; s e tuttavia questo
dovesse essere [come pensa lo stesso Giuliano] un desiderio [religio­
so] superiore ai servizi resi nella mia vita, mi sia concesso almeno
[ma beninteso "per assurdo"] per numerosi periodi [di tempo] che
comportano [ciascuno] molti anni>> ( 158, b-e). Si noti infine che que­
st'ultimo passo si ritrova quasi testualmente nell'ultimo capitolo
(anch'esso al tempo stesso <<ironico>> e <<serio>> , anche se per nulla
«tragico>> ) dell'opuscolo già menzionato, tradizi onalmente attribui ­
t o a un certo <<Salustio>> ,

59
_______ Alexandre Kojève _______

volta mortale (cfr. per esempio 207, a), sia per ti­
more «morale», cioè per quella sorta di pudore in­
tellettuale che impedisce di parlare a chicchessia di
date cose alle quali si tiene in modo particolare, so­
prattutto quando si tratta di cose capaci di turbare
inutilmente la coscienza di anime innocenti (cfr. per
esempio 239, a-b). D'altro canto i miti erano spes­
so raccontati dai filosofi per motivi di pedagogia fi­
losofica, allo scopo di esercitare la sagacia degli udi­
tori o lettori particolarmente versati nella filosofia,
senza per questo scandalizzare gli altri (cfr. per
esempio 170, a-c).
Per contro, i filosofi talvolta riproponevano dei
miti teologici per riderne di nascosto, e per mo­
strarne in modo discreto l'inutilità a tutti coloro
(ma a quelli soltanto) che sono capaci di cogliere le
allusioni e di leggere tra le righe.
Ma a prescindere da quale sia la causa dei miti fi­
losofici, un filosofo davvero degno di questo nome,
almeno secondo Giuliano, racconta un mito quale
che sia al solo scopo che non vi si creda o, almeno,
che non lo si prenda alla lettera, e comunque non
troppo sul serio. Ed è in verità unicamente in que­
sto spirito che il filosofo Giuliano raccontava dei
miti nei suoi scritti filosofici, per definizione desti­
nati ai soli «iniziati» .

60
_______ L'imperatore Giuliano ______

Tuttavia, sappiamo che l'imperatore Giuliano si


comportava rispetto ai miti teologici pagani in
tutt'altro modo. Anche se non li raccontava di per­
sona al volgo, egli incitava gli altri a farlo e faceva
tutto quanto era in suo potere (cioè ben poco, in
realtà) perché questi miti apparissero nuovamente
credibili alla maggior parte degli uomini che erano
sotto il suo governo. In quanto filosofo, Giuliano
doveva quindi render conto del suo comportamen­
to di imperatore o, se si vuole, «giustificare» tale
comportamento. Ed è proprio a una simile «giusti­
ficazione>> dell'imperatore da parte del filosofo che
è dedicato il Discorso contro Heraclios.

In questo Discorso, Giuliano si pone il problema


di sapere: «Come e con che mezzo dobbiamo com­
porre i miti se, in generale, la Filosofia ha anch'es­
sa bisogno in qualche modo dell'invenzione poeti­
ca dei miti ?» (205, h).
Per dare una risposta a questo problema, Giulia­
no comincia col domandarsi quale branca della Fi­
losofia possa aver bisogno dei miti, cioè, ricordia­
molo, «di storie false che hanno una forma credibi­
le» . Ed ecco quel che ci dice al riguardo: «Per quel
che concerne queste diverse branche [della Filoso­
fia, cioè (secondo la tripartizione stoica): la Logica,

61
_______ Alexandre Kojève _______

la Fisica e l'Etica], l'invenzione poetica dei miti non


pertiene né alla Logica, né alle Matematiche che
fanno parte della Fisica; ma se davvero si vuole am­
mettere che questa invenzione è accettata in una
qualsiasi di queste discipline, si tratta della Filosofia
pratica [dell'Etica], ovverosia della parte di essa che
si occupa dell'uomo singolo [cioè del comporta­
mento personale degli individui e non dello Stato in
quanto tale], così come della parte della Teologia
che si occupa delle azioni e della mistica» (217, b-e).
Nella pagina che precede questo passo Giuliano
aveva ripreso secondo il suo punto di vista la divi­
sione stoica della Filosofia in sole tre parti. In altre
parole, seguendo gli stoici, egli ingloba la Teologia
nella Fisica. Solo che per lui (come forse già per
Platone e senza dubbio per Kant, così come proba­
bilmente per alcuni «democritei» se non per lo stes­
so Democrito), la Fisica può essere vera solo nella
misura in cui essa è matematica, mentre tutto il re­
sto della Fisica non è altro per lui (come per Plato­
ne nel Timeo) che un'accozzaglia di «miti», cioè di
storie false presentate sotto una forma più o meno
«credibile»; in particolar modo quando queste sto­
rie hanno la pretesa di riferirsi a un mondo «tra­
scendente» o divino. È proprio perché noi non
possiamo dire nulla di vero su questo mondo, per

62
_______ L'imperatore Giu liano -------

la semplice ragione che esso non esiste affatto, che


siamo costretti a ricorrere ai «miti» dei quali abbia­
mo intenzione di parlare. Giuliano ci lascia capire
nelle pagine che seguono il passo citato che l'utiliz­
zo dei miti da parte di un filosofo non può essere
giustificato se non nell'Etica. Ed egli ha appena
chiarito che non si tratta dell'Etica presa nel suo in­
sieme, ma solo della parte di essa che si rivolge agli
individui. In altre parole, quando un filosofo parla
da teorico dello Stato o della Società, cioè dell'V o­
rno «in generale» o in quanto tale, egli deve parlare
«sul serio» e cercare di dire la verità, evitando per­
ciò ogni sorta di «miti». Un filosofo può racconta­
re lui stesso, o far raccontare da altri delle «storie
false in una forma credibile», allo scopo di farle
sembrare vere, unicamente nel caso in cui egli vo­
glia comportarsi da peda-gogo o da dema-gogo,
cioè quando ha per fine di educare gli individui in
maniera tale che la loro vita collettiva possa assu­
mere la forma di uno Stato vivibile e davvero degno
di questo nome, quale fu ad esempio lo Stato ro­
mano prima della sua decadenza.
Avendolo lasciato intendere, l'imperatore-filo­
sofo ritiene necessario e possibile precisare ancora
il suo pensiero e dire, questa volta a chiare lettere,
che in ogni caso non si debbono raccontare «miti»,

63
_______ Alexandre Kojève _______

anche edificanti, se non a quanti non sono capaci di


comprendere o di accettare la verità. In effetti, Giu­
liano ci dice questo: «Ma colui che inventa le sue
storie poetiche allo scopo di migliorare i costumi e
nel far questo utilizza dei miti [teologici], deve ri­
volgersi non a degli uomini [adulti], ma solo a
quanti sono ancora dei bambini, sia per età, sia per
intelligenza, e che in genere hanno ancora bisogno
di simili storie» (223, a). E poco oltre aggiunge:
«Poiché è stabilito che si debbono raccontare dei
miti solo a dei bambini, che si trovano ancora in
questo stadio per via della loro età o della loro in­
telligenza, dobbiamo stare molto attenti [quando
raccontiamo dei miti teologici perché vengano cre­
duti] di non commettere errori né verso gli dèi, né
verso gli uomini» (226, c-d).
Ma da buon filosofo qual era, Giuliano si consi­
derava lui stesso come perfettamente «adulto>> . E se
ci lascia capire, alla stregua di tutti i suoi predeces­
sori in filosofia, che la maggior parte dei «profani»
sono solo dei «bambini», egli è pronto ad ammet­
tere accanto a sé nel piccolo gruppo degli «adulti»,
nel senso autentico del termine, tutti i veri filosofi,
al pari degli uomini di Stato davvero degni di que­
sto nome. È quanto del resto dice in modo esplici­
to nel passo che segue (che viene dopo il primo dei

64
------- L' imperatore Giuliano _______

due passi citati sopra): «Ora, se tu ["Heraclios ",


cioè il simbolo del vescovo o del teologo cristiano]
ci hai preso per dei bambini: me, o questo Anato­
lios [ministro di corte]; ma puoi aggiungere anche
Memmorius [prefetto di Tarsia] o Salustio [amico
di Giuliano e prefetto dei Galli]; infatti perché uno
di loro dovrebbe sottrarsi ? - allora dovrebbero
prescriverti l' antikyra [un rimedio contro la follia] »
(223, a-b).
Con queste parole, il cerchio è chiuso. In qualità
di filosofo, Giuliano è un «adulto» nel pieno senso
del termine, cioè un uomo intelligente che è abba­
stanza disciplinato e forte per poter sopportare del­
le verità anche «sgradevoli» o «noiose» e che non
ha quindi alcun bisogno che gli si «indori la pillo­
la», che lo si «distragga» raccontandogli invece di
queste verità delle storie «gradevoli» ma false, oltre
che «strane e contraddittorie», che possono risulta­
re «credibili» solo ai bambini. Per questa ragione il
filosofo Giuliano protesta quando si tenta di far
credere anche a lui dei «miti» sia pagani che cristia­
ni; proprio come egli si vieta di raccontarseli da so­
lo per tentare di crederci2• Ma in quanto imperato-

2 Cfr. I Cesari, 18 : «È la sola verità e non certo l'eloquenza, né la


seduzione del linguaggio [comprese le danze sf renate di qualsiasi mi­
to], che deve consolidare il sentimento di fede negli dèi [che i f iloso­
fi imitano; cfr. ibid. , 28. La risposta di Marco Aurelio]>• .

65
------ Alexandre Koj ève ________

re, Giuliano ha soprattutto a che fare con dei bam­


bini in tenera età, fisica o mentale. Ugualmente egli
vorrebbe che si raccontassero loro dei miti edifi­
canti, dando a queste storie false una forma che ri­
sulti loro credibile, allo scopo di migliorarne i co­
stumi3. Per Giuliano, si tratta praticamente di edu­
care i popoli che egli ha acconsentito a governare in
qualità di imperatore romano. E il filosofo sembra
esser stato fermamente convinto che l'imperatore
non poteva salvare il suo Impero se non facendo
raccontare ai suoi sudditi dei miti pagani, in manie­
ra tale che la maggioranza potesse ricominciare a
crederci. Ma quando Giuliano raccontava lui stesso
dei miti nei suoi scritti filosofici destinati ai soli fi­
losofi così come ad alcuni uomini di Stato tra i suoi
amici, egli lo faceva in modo che questi lettori da
lui scelti non vi credessero per nulla, indovinando
le verità che egli intendeva insegnare nel raccontar­
li. Solo che, per riuscire in quanto imperatore, Giu­
liano doveva nascondere alle masse da lui governa-
3 Cfr. l Cesari, 13 : «Tu [l'imperatore Probo] eri molto severo,
sempre duro, mai arrendevole. Hai subito un trattamento ingiusto, e
tuttavia meritato. Non è possibile governare cavalli, buoi, muli e an­
cor meno uomini, senza offrire nulla alla loro inclinazione; allo stes­
so modo i medici offrono talvolta minime concessioni [aggiungendo
miele alle medicine amare] ai malati, per trovarli obbedienti nelle
grandi occasioni. Che c'è, dice Dioniso, paparino [Silio) ? Sei diven­
tato filosofo ? Perché no, figlio mio! ... Lasciateci dunque mescolare ai
nostri felici propositi delle parole serie! » .

66
------- L'imperatore Giu liano _______

te la verità che egli intendeva insegnare in quanto


filosofo a un ristrettissimo numero di eletti. Ed è
essenzialmente mirando a questo camuffamento in
nome di ragioni di Stato che Giuliano si cimentava
in questa arte «ironica» della scrittura insegnatagli
dai filosofi antichi, che essi stessi avevano praticato
soprattutto per difendersi dalle accuse, ma anche
per il gusto del gioco e dello scherzo, e allo scopo
che i filosofi potessero riconoscersi tra di loro in
modo più certo.

67
_____ L'IMPERATORE GIULIANO _____

IV.

Alla luce dell'esperienza storica, l'arte della


scrittura dell'imperatore Giuliano appare davvero
qualcosa di grande. In effetti, nonostante egli si sia
permesso di dirci a chiare lettere che personalmen­
te non credeva a nessuno dei miti teologici che con
più o meno successo venivano raccontati ai suoi
tempi, non è in quanto filosofo ateo ma come un
«pagano devoto��, come egli stesso si definiva, e un
supposto «mistico neoplatonico», che la Storia lo
ha trasmesso fino a noi.
Nel dare credito a questa arte della scrittura di
Giuliano, spero di non aver tradito il suo segreto
scrivendo le pagine che precedono. Né del resto il
segreto di nessuno. Perché queste pagine non di­
ranno nulla di importante a coloro che l'imperato­
re voleva tener fuori dal piccolo gruppo di lettori in
grado di comprendere i suoi scritti filosofici. Non
diranno loro proprio nulla. Perché nell'intenzione

69
------- Alexandre Kojève -------

del loro autore, queste pagine contengono riull'al­


tro e nulla di più di un umile saluto rivolto ai buo­
ni conoscitori della Filosofia: al di sopra degli ocea­
ni e attraverso i secoli.

70
Finito di stampare il 5 gennaio 1 998
per conto di Donzelli editore s.r.l.
presso la StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale
Via di Vigna jacobini, 67/c - 00 1 49 Roma

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