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L'IMPERATORE
GIULIANO
e l'arte della scrittura
Sagginc
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«Associando curiosamente allo starnuto e
alla tosse l'invenzione umana dei miti, Giulia
no ci lascia intendere che ci sbno sempre stati
e sempre ci saranno dei miti sulla terra. Ma
perché gli uomini sempre e ovunque inventa
no delle storie false, prendendole talvolta per
storie vere?».
ISBN 88-7989-375-0
L. 15.000 9
l l l l
788879 893756
Prendendo spunto da una serie di os
servazioni di Leo Strauss sulla retorica
classica, Kojève si concentra in questo bre
ve ma folgorante saggio sulle implicazioni
etiche della cosiddetta «arte di scrivere>> .
La dissimulazione letteraria, la capacità di
mascherare i pensieri dietro un discorso
che sia in grado di celarne- !asciandolo
però intendere- il vero messaggio, è un ar
tifizio retorico che trova le sue radici nel
l' età classica.
Attraverso una parafrasi serrata e pun
tuale degli scritti filosofici dell'imperatore
Giuliano l'Apostata (vissuto nel IV secolo
dopo Cristo), Kojève giunge a delineare le
principali componenti etiche e dialogiche
del parlare «mascherato>>.
L'analisi degli insegnamenti di Giuliano
(il primo dei quali è che «non si deve dire
tutto, ed anche di quel che si può dire si de
vono nascondere alcune cose alla grande
massa>>) mostra la polemica che l'imperatore
intrattenne nel corso dei suoi scritti con il
mito (il mito teologico in particolare), da lui
giudicato come parte del discorso inevitabil
mente autocontraddittoria perché <<racconto
di storie false sotto una forma credibile>>.
Ma Kojève mostra come questa avver
sione alla forma mitica del discorso non
impedì tuttavia che lo stesso Giuliano, per
convincere sotterraneamente il popolo del
l'assurdità del cristianesimo, facesse uso
dei miti teologici pagani, dando altresì a
questo genere di dissimulazione un sot
tointeso valore pedagogico ed etico. Da
qui si evince la controversa natura del mi
to, e in genere la complessità e plurivocità
del parlare indiretto e cifrato.
Modello esemplare di limpidezza teori
ca e stilistica, questo saggio del grande stu
dioso di Hegel si inscrive nella riflessione
sull'etica della retorica e sul mito, metten
do in luce una parte importante e poco co
nosciuta del suo pensiero.
L'IMPERATORE GIULIANO
DONZELL I EDITORE
© 1998 Donzelli editore, Roma
Via Mentana, 2b
INTERNET www.donzelli.it
E-MAIL editore@donzelli.it
ISBN 88-7989-375-0
_____ L'IMPE RATORE GIUL IANO _____
Indice
p. 7 Introduzione
di Mario Vegctti
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_____ L'IMPERATORE GIUL IANO _____
Introduzione
di Mario Vegetti
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L'imperatore Giuliano
I.
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_______ Alexandre Kojève -------
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_______ L'imperatore Giuliano -------
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_____ L'IMPERATORE GIULIANO _____
II.
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_______ Alexandre Koj ève _______
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_______ Alexandre Kojève _______
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III.
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' Dopo aver analizzato così l'atteggiamento religioso che egli at
tribuisce (del resto solo per difendere la causa) ad Alessandro, Giu
liano gli oppone il proprio atteggiamento filosofico (ateo), dicendo
quanto segue: <<Quanto a noi [cioè quanto all'imperatore Giuliano,
ma anche: quanto a noialtri filosof i], che sempre ci accontentiamo di
quanto abbiamo effettivamente, e non ambiamo assolutamente a
quel che è lontano [cioè <<trascendente»], di sicuro ci rallegriamo
quando il nostro messaggero [umano] ci loda» (251, c). In questo te
sto, il filosofo sembra parlare in qualità di fedele discepolo di Epicu
ro. Ma in altri passi di argomento analogo, l'imperatore parla piut
tosto da <<stoico». È ciò che fa, ad esempio, nel suo Discorso a Helios
Re, al termine di una <<preghiera personale>> che egli rivolge a «He
lios» (preghiera peraltro <<ironica» a doppio senso), dove dice: <<Pos
sa ancora concedermi ["H elios", che rappresenta qui la divinità pa
gana che l'imperatore raccomanda senza crederci] tutto ciò di cui
l'ho appena [156, c-157, a] pregato [" ironicamente", facendo di fat
to la parodia degli inni neoplatonici], e concedere e proteggere ama
bilmente [il che ora l'imperatore domanda in modo " serio", rivol
gendosi questa volta a "Helios" inteso come Nous o Ragione umana
filosofica, che Giuliano venera in quanto filosofo, se pure parlando
ne nei suoi scritti solo in maniera allusiva] , allo Stato [romano] tutto
intero un'esistenza eterna, per quanto ciò è possibile; quanto a noi [e
questo noi ancora una volta significa sia " noi, l'imperatore Giulia
no", sia " noialtri filosof i "] che "Helios" [cioè il Nous] ci accordi suc
cesso nelle cose divine e in quelle umane [cioè anche, secondo la d e
finizione stoica ben nota alla Filosofia: nelle nostre ricerche filosof i
che] per tutto il tempo che ci permette di vivere [sulla terra]; ma che
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volta mortale (cfr. per esempio 207, a), sia per ti
more «morale», cioè per quella sorta di pudore in
tellettuale che impedisce di parlare a chicchessia di
date cose alle quali si tiene in modo particolare, so
prattutto quando si tratta di cose capaci di turbare
inutilmente la coscienza di anime innocenti (cfr. per
esempio 239, a-b). D'altro canto i miti erano spes
so raccontati dai filosofi per motivi di pedagogia fi
losofica, allo scopo di esercitare la sagacia degli udi
tori o lettori particolarmente versati nella filosofia,
senza per questo scandalizzare gli altri (cfr. per
esempio 170, a-c).
Per contro, i filosofi talvolta riproponevano dei
miti teologici per riderne di nascosto, e per mo
strarne in modo discreto l'inutilità a tutti coloro
(ma a quelli soltanto) che sono capaci di cogliere le
allusioni e di leggere tra le righe.
Ma a prescindere da quale sia la causa dei miti fi
losofici, un filosofo davvero degno di questo nome,
almeno secondo Giuliano, racconta un mito quale
che sia al solo scopo che non vi si creda o, almeno,
che non lo si prenda alla lettera, e comunque non
troppo sul serio. Ed è in verità unicamente in que
sto spirito che il filosofo Giuliano raccontava dei
miti nei suoi scritti filosofici, per definizione desti
nati ai soli «iniziati» .
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IV.
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Finito di stampare il 5 gennaio 1 998
per conto di Donzelli editore s.r.l.
presso la StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale
Via di Vigna jacobini, 67/c - 00 1 49 Roma