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della Massoneria
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Giorgio Amico
La bibliografia sulla storia della Massoneria italiana è vastissima, ma, a parte una molteplicità di
libelli antimassonici di valore scarso o nullo apparsi a partire dallo scandalo P2, non esiste a
tutt'oggi un'opera sulla Massoneria negli anni della Repubblica che ne ricostruisca con rigore storico
percorsi e personaggi inseriti nei concreti snodi storici di questi ottant'anni. Esistono certo contributi
di valore, non molti in verità, ma come parte, spesso molto limitata, di opere di portata più
complessiva. Il resto è o un tentativo di riciclare in salsa “democratico-antifascista” il tema sempre
efficace del complotto pluto-giudaico-massonico, depurato almeno formalmente dai toni antisemiti,
oppure si riduce sull'altro versante ad operazioni agiografiche se non apertamente nostalgiche dei
bei tempi in cui c'era “Lui” (Gelli, non Mussolini. Sia chiaro!) e la Massoneria contava ancora
qualcosa. Quello, di cui presentiamo di seguito un paragrafo, fa parte del tentativo di scrivere questa
storia che manca, partendo dai primi fermenti di ricostituzione del 1943 per arrivare all'oggi,
utilizzando criteri rigorosamente storici nell'analisi della documentazione esistente, a partire proprio
dai centoventidue volumi degli Atti della Commissione P2. Il centro della nostra ricerca verterà,
come è naturale, sulla autentica Massoneria, quella definita “regolare” e cioè internazionalmente
riconosciuta, e dunque in larga parte sul Grande Oriente d'Italia. Tratteremo comunque, quando
necessario, anche della fungaia di Gran Logge e Supremi Consigli farlocche o “spurie”, per usare il
termine massonico, prive di ogni legittimità e talvolta finalizzate alla gestione di operazioni
politico-economiche disinvolte se non addirittura espressione del rapporto con ambienti e
personaggi del crimine organizzato. Un fenomeno non piccolo che ha riguardato, e riguarda anche
oggi, centinaia di gruppi spesso di fatto inesistenti ma dai nomi altisonanti e che per un “profano”,
quando ne legge sui giornali, rappresentano comunque la Massoneria. In questa confusione risiede
il dramma della Massoneria italiana che non è esente comunque da responsabilità. Insomma, anche
in Massoneria, maledire il destino cinico e baro porta poco lontano. Meglio fare i conti senza timori
con la propria storia. E in questa prospettiva che abbiamo scelto fra il materiale in bozza un
paragrafo che tratta della scelta, sciagurata, di tacere sulle deviazioni della Loggia P2, quando più
necessario e urgente, oltre che massonicamente corretto, sarebbe stato fare pulizia al proprio
interno. Buona lettura.
Alla metà degli anni Settanta il Grande Oriente è sulla difensiva. Sui principali organi di stampa
nazionali si intensificano gli articoli che chiedono chiarezza sulla Loggia P2, associata a eventi
torbidi che vanno dal fiancheggiamento del terrorismo stragista neofascista ai rapporti con
l'anonima sequestri messa in piedi a Roma dal malavitoso italo-francese Albert Bergamelli che,
arrestato il 29 marzo 1976, aveva dichiarato agli inquirenti di godere della protezione di una
“grande famiglia”. Le accuse sono pesanti, gli articoli si moltiplicano, soprattutto su organi non
privi di autorevolezza come i settimanali “L'espresso” e “Panorama”, punti di riferimento di un
segmento importante dell'opinione pubblica, laico e riformista, difficilmente rappresentabili come
espressione del tradizionale antimassonismo clericale né di quello più recente di matrice comunista
o fascista.
Il manifesto del Grande Oriente in occasione della ricorrenza del XX Settembre, testimonia nel
1976 dell'imbarazzo del Gran Maestro, Lino Salvini, firmatario di un proclama interamente teso alla
difesa dell'Ordine:
«Italiani! L'anniversario dell'unità d'Italia trova, quest'anno, il nostro paese travagliato da incertezze
sociali, politiche ed economiche. I Liberi Muratori partecipano, in silenzio, alla soluzione di queste
incertezze sempre riaffermando i supremi principi di libertà e di difesa della personalità umana. Una
velenosa campagna giornalistica ha tentato di ritardare quest'opera con assurde calunnie e monotone
argomentazioni attribuendo all'Istituzione, per fini più o meno manifesti, fatti che le sono estranei.
La Massoneria accoglie nelle sue fila uomini di tutte le razze, di tutte le religioni, di tutte le
tendenze politiche e ne compie il magico affratellamento. Essa non risponde degli eventuali errori
che, separatamente, qualcuno può commettere, come, direttamente, non partecipa alle azioni di quei
fratelli che, uscendo allo scoperto, a costo di personali sacrifici, danno corpo ai suoi insegnamenti e
sanno costruire la storia. Il 20 settembre resta patrimonio di questa realtà e di tali sacrifici».
Una difesa debole, destinata più a ricompattare una base, non poco scossa da ciò che sta accadendo,
che non agli “Italiani”. Un manifesto dai toni retorici che evita accuratamente di confrontarsi con gli
interrogativi che tanti iniziano a porsi, compresi alcuni autorevoli esponenti del GOI
immediatamente definiti dalla stampa “massoni democratici”. Un tirarsi fuori, accennando ad
“eventuali errori” da parte di non meglio precisate entità, che non solo non serve a far chiarezza, ma
crea nuove domande. In particolare quell'avverbio “separatamente” fa pensare a realtà fuori
controllo, a intrighi di persone o gruppi che di fatto agiscono in totale autonomia rispetto
all'Istituzione. Ma se è davvero così, cosa si aspetta allora, questa è la domanda sottintesa a molti
degli articoli apparsi in quel periodo sulla stampa, a fare pulizia, citando nomi e fatti e facendo
finalmente chiarezza? Proprio quello che Salvini, prigioniero, come si è visto di una rete di ricatti e
minacce, non può fare.
Negli stessi giorni il numero di settembre della “Rivista Massonica” pubblica un lungo editoriale
del direttore Giordano Gamberini, dal significativo titolo “La scomunica del XX secolo”, nel quale
l'ex Gran Maestro nonché principale mentore di Licio Gelli, sottolinea il livore antimassonico di un
filone di pensiero che va da Trotsky all'Enciclopedia Sovietica, alla Terza Internazionale per
soffermarsi poi a lungo sul comunismo francese. Nel modo di esprimersi allusivo e ambiguo che lo
contraddistingue, lo “spiritualista” Gamberini lascia in questo modo intendere che la campagna
giornalistica riguardante la Massoneria sia frutto di ambienti legati a un settore preciso del mondo
politico italiano, quel Partito comunista, mai esplicitamente nominato, che vedrebbe nella
Massoneria il principale ostacolo alla sua ascesa al potere. Da qui il tentativo di delegittimazione in
atto.
"L'avversario - scrive Gamberini - ha abbandonato i riguardi per i suoi ingenui fiancheggiatori dalla
firma facile e ci aggredisce quasi più senza infingimenti. Meglio così. L'attacco che ci viene
sferrato libererà le nostre colonne dai falsi fratelli e libererà i fratelli veri dalla illusione di una
possibile neutralità, di una «terza via»",
Un linguaggio violento, da guerra fredda, non a caso Gamberini fa un esplicito riferimento, quasi a
suggerire un parallelo, con il momento cruciale delle elezioni politiche del 1948, volta a rassicurare
i Fratelli americani su ciò che sta accadendo nella Massoneria italiana e a richiedere il loro sostegno
in nome dell'anticomunismo. Ricordiamo sempre che siamo negli anni del compromesso storico,
della possibile apertura ai comunisti da parte della DC di Aldo Moro. Una ipotesi che terrorizza non
solo la parte più conservatrice della borghesia italiana, ma ben più potenti e sotterranei ambienti
politico-militari atlantici e non solo. Una fase destinata a chiudersi con il rapimento e l'assassinio
dell'esponente politico democristiano. Un esito reso possibile o almeno facilitato dalla fallimentare
azione investigativa degli organi di sicurezza, civili e militari, i cui capi risulteranno poi pressoché
senza eccezione presenti nella lista dei membri della P2 sequestrata nel 1982 a Castiglion Fibocchi.
Una ambiguità, quella dei principali esponenti massonici, destinata a continuare per culminare
infine in un trafiletto della “Rivista Massonica”, non firmato e dunque attribuibile a Gamberini, in
cui si afferma:
«Di fronte alla sempre più evidente organizzata e sistematica persecuzione di cui siamo fatti
bersaglio da alcuni anni, ammaestrati dall'esperienza antica e recente sull'impossibilità di ottenere
un'adeguata protezione contro la calunnia e la diffamazione, affermiamo che d'ora innanzi
rinunceremo a censire le menzogne quasi giornaliere escogitate dai nostri nemici, a smentirle o a
contraddirle, così come d'ora innanzi prevediamo che ci asterremo da ogni ulteriore tentativo di
avvalerci di quelle guarentige che i fondatori della Patria intesero assicurare a tutti, in virtù di una
legge uguale per tutti». (Rivista Massonica, n. 10, dicembre 1977, pag. 578.)
Ed in effetti, visto l'atteggiamento impacciato, esitante, reticente e goffo degli ex Gran Maestri
Salvini, Gamberini e Battelli durante le audizioni della Commissione P2, si capisce come fosse ben
chiaro a chi aveva a lungo tollerato se non addirittura coperto l'opera disgregatrice di Gelli, che ogni
tentativo di querela nei confronti della stampa si sarebbe inevitabilmente trasformato in un
immediato autogol, facendo diventare materiale giudiziario quel fiume inarrestabile di documenti e
testimonianze che continuava ad apparire a cadenza settimanale. Cosa che poi comunque accadrà
durante i lavori della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla P2, producendo gli effetti che
tutti conosciamo. Da qui la scelta di rinchiudersi in un silenzio vittimistico, ammantato di sdegno.
Alla faccia, verrebbe da dire, di quella “Luce” ricercata dai nuovi Fratelli quando bussano alla porta
del Tempio per essere accolti fra le colonne della Bellezza (la Verità) e della Forza (la Giustizia).
Quello in cui la Massoneria rinasce a quasi vent'anni dalla messa fuori legge è un momento
estremamente complesso: il regime fascista è caduto, ma la guerra continua con la lenta avanzata
delle truppe alleate a cui si contrappone una accanita resistenza tedesca. Il paese è diviso in due, da
una parte la monarchia detentrice di un potere poco più che nominale, dall'altra la neocostituita
Repubblica Sociale Italiana dalle caratteristiche ancora più effimere. Nei territori occupati opera un
forte movimento di resistenza che combatte una guerra nella guerra dalle caratteristiche complesse,
al contempo guerra di liberazione nazionale, guerra civile e guerra di classe.
Allo stato di estrema precarietà della situazione politica e sociale del paese si accompagnano a
complicare ulteriormente le cose per i "Fratelli" i frutti avvelenati dello scisma del 1908. Quando
già alla fine del 1942, alla luce della avvertibile crisi del regime, i superstiti quadri dirigenti della
Massoneria prefascista cominciarono a intensificare i loro sforzi per ricostruire legami stabili che
andassero al di là dei rapporti, più o meno forti, mantenuti a livello personale per tutta la durata
degli anni della clandestinità, il problema che si pose fu immediatamente se ricostituire le due
vecchie Obbedienze di Palazzo Giustiniani e di Piazza del Gesù o, considerato il cambiamento
epocale avvenuto nel frattempo, una Massoneria completamente diversa, rinnovata e riunificata.
Il risultato fu una notevole confusione di sigle e di personaggi. Una situazione caotica non priva di
ambiguità, anche per il pullulare di avventurieri pronti ad ogni tipo di operazioni e di elementi già
pesantemente compromessi con il regime fascista e ora all'affannosa ricerca di una riabilitazione
democratica.
A ciò si univano sia i contrasti fra le potenze alleate che avrebbero presto portato alla fine dell'unità
antifascista e allo scoppio della guerra fredda, sia le diverse valutazioni e prospettive con cui
Americani e Inglesi guardavano all'Italia del dopoguerra. La ricostituzione della Massoneria fu fin
dagli inizi uno dei campi di intervento negli affari interni italiani dei Servizi di intelligence
occidentali e in particolare di quelli americani. Prima l'OSS e poi la CIA si mossero attivamente e
con spregiudicatezza nell'ambito del confuso processo di decantazione che vide coinvolti decine di
gruppi massonici o paramassonici, ciascuno rivendicante l'eredità della massoneria prefascista. Lo
scopo era erigere una solida barriera che proteggesse la neonata e fragilissima democrazia
repubblicana dal pericolo del comunismo o comunque di un'avanzata significativa delle sinistre. Un
sorta di "grande gioco" cui partecipò una pluralità di attori, non ultimi il Vaticano e nello specifico
siciliano la mafia e il movimento separatista.
Ci vollero anni perché tutti questi nodi venissero sciolti. Le elezioni politiche del 1948 e la netta
scelta di campo atlantica e filoamericana segnarono un punto fermo non solo per la rinascita del
Paese dopo il periodo travagliato della ricostruzione, ma anche per gli assetti definitivi della
Massoneria del dopoguerra.
Nel 1912 si era aperta nel Partito socialista italiano una accesa discussione sulla compatibilità fra
appartenenza al partito e alla Massoneria. La questione fu definitivamente risolta nel corso dei
lavori del congresso di Ancona che su proposta del direttore dell' "Avanti!" Benito Mussolini proibì
la doppia appartenenza ed espulse i massoni dal partito. Da notare come Amadeo Bordiga, futuro
fondatore del Partito comunista e allora esponente di primo piano della Federazione giovanile
socialista, fosse stato il principale sostenitore di Mussolini in questa battaglia. Cosa che non mancò
di ripetutamente ricordare alle autorità di polizia negli anni Trenta per allontanare da sé il sospetto
di svolgere attività antiregime (cfr. Il nostro Bordiga, il fascismo e la guerra (1926-1944), Massari
Editore 2021).
Nel vivo di questa battaglia, che vide non pochi esponenti illustri del socialismo italiano
abbandonare il partito, si colloca una lettera di Enrico Bignami, uno dei padri del movimento
operaio e socialista italiano, fondatore della rivsta "La Plebe" e poi della sezione italiana
dell'Internazionale socialista.
"Io non metterò più piede in una loggia italiana, se non sarà fatto sicuro di trovarsi in una accolta di
fratelli che, almeno nella loro maggioranza, non abbiano aderito alla nefasta impresa di rapina e di
sterminio che disonora e dissangua la patria".
La lettera è occasione anche di pronunciarsi sul dibattito in corso nel Psi. In una breve annotazione
in appendice alla lettera, indirizzata al Maestro Venerabile della Loggia "Carlo Cattaneo" di Milano,
Bignami interviene infatti sul tema della incompatibilità fra iscrizione al Partito socialista e
appartenenza alla Massoneria, ricordando come proprio grazie al sostegno delle logge il movimento
operaio si fosse potuto organizzare politicamente e difendere dalla repressione governativa:
1. Reprint della rivista “Garibaldi” edita dalla Massoneria savonese nel 1907
2. Arturo Reghini, La Tragedia del Tempio (1914)
3. Il Programma del Grande Oriente d'Italia (1861)
4. La Massoneria di colore negli Stati Uniti
5. Il Manoscritto Regius (1390)
6. La ripresa del Grande Oriente d'Italia nel dopoguerra (1946-1947)
7. Nascita delle Costituzioni di Anderson
8. Benoît Malon, socialista utopista, umanista e massone
9. La Massoneria in Russia dalle origini al 1826
10. Appunti sulla storia della Massoneria in Italia
Cedoc – Savona
Novembre 2023