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VOLONTÀ DI POTENZA, SUPERUOMO, DISPREZZO PER LA MORALE COMUNE: PERCHÉ IL FILOSOFO TEDESCO È EVOCATO E CONTESO DA DESTRA E SINISTRA

Nietzsche, un mito per tutte le stagioni


La vita 1844 Friedrich Nietzsche nasce a Röcken, in Sassonia 1869 Comincia il periodo d' insegnamento all' università di
Basilea 1872 Esce La nascita della tragedia. L' opera è dedicata a Richard Wagner 1881 Esce Aurora cui segue (1882) La
gaia scienza 1883-1885 Esce Così parlò Zarathustra 1900 Muore a Weimar Ma fu un vero antisemita? Un Nietzsche reso
innocente, edulcorato e purificato ad arte. Camuffato volutamente per togliergli di dosso l' etichetta di antisemita. Questa è
l' accusa che Domenico Losurdo rivolge all' edizione critica del filosofo tedesco intrapresa da Giorgio Colli e Mazzino
Montinari e pubblicata in Italia dal 1964 (da Adelphi) e attualmente disponibile anche in tedesco, francese, giapponese e
inglese, caposaldo della cosiddetta Nietzsche-Renaissance, la rinascita del pensatore. Losurdo, ordinario di Storia della
filosofia a Urbino, muove le sue critiche nel capitolo finale del suo recente Nietzsche, il ribelle aristocratico (Bollati
Boringhieri, pagine 1.168, euro 68). Un capitolo intitolato, appunto, Come si costruisce l' innocenza di Nietzsche. Editori,
traduttori e interpreti, che non ha mancato di suscitare polemiche. Secondo Losurdo, l' opera di Colli e Montinari, pur
rimanendo imprescindibile, avrebbe «costruito l' innocenza di Nietzsche», negandone certi caratteri di antisemitismo, in
gioventù e non solo, eludendo «sistematicamente il contesto storico e politico» del filosofo. D. Fed. «Si può disquisire a
lungo sugli autentici contorni del superuomo, sta di fatto che sono avvertiti come negativi tutti quei valori che hanno
origine da un' idea di uguaglianza: morale del dovere, democrazia, socialismo. Sarà la sindrome del ribelle aristocratico...»
«Un filosofo che era piuttosto un poeta». Così Croce definiva Nietzsche nell' ultimo capitolo della Storia d' Europa (1932).
Non era certo spregiativo, dalla penna di Croce, il termine «poeta». Ma la definizione restava riduttiva. Croce seguitava
dicendo: «E portava nel cuore l' anelito alla purezza e alla grandezza». Ma subito additava il fenomeno che più ha contato,
nel caso di Nietzsche: l' uso che altri hanno fatto del suo pensiero. «Fu anch' esso materialmente interpretato - così scrive -,
e di lui si fece il profeta dell' attivismo». Questi brevi e meditati cenni ponevano dunque già settant' anni or sono la
questione che poi è divenuta determinante nell' interpretazione di questo filosofo: il cui libro forse più famoso, e
tristemente famoso, La volontà di potenza, non è che un postumo «pastiche» fatto peraltro con pezzi tutti autentici, come
ha ricordato qualche anno fa Maurizio Ferraris nell' eccellente sua Storia della volontà di potenza (1995). Il tema dell'
«uso», e della «vera natura» di un determinato pensatore, è tema scivoloso quanto storicamente delicato. È troppo facile
dire: quello che nel XX secolo è stato fatto nel nome di Marx non ha a che fare col «vero» Marx; quello che è stato fatto in
nome del Vangelo non ha nulla a che fare col concreto condursi della Chiesa per un paio di millenni, e così via. Invece ha a
che fare, per quanto preziose siano tutte le filologie. Diceva Droysen che, di un fatto storico, fanno parte integrante le sue
conseguenze, i suoi effetti. E lo stesso vale per il pensiero, nel caso di uomini che hanno influenzato l' agire di altri uomini
in modo prolungato ed efficace. Nei Quaderni, Gramsci scrive ad un certo punto che ogni volta che ci si imbatte in qualche
«ammiratore di Nietzsche», è bene domandarsi se «le sue concezioni superumane, contro la morale convenzionale,
eccetera, eccetera» derivino da una elaborazione di pensiero e siano perciò da porsi nella sfera dell' «alta cultura», o invece
abbiano «origini più modeste, siano per esempio connesse con la letteratura d' appendice». E però subito si domanda: «E
lo stesso Nietzsche non sarà stato per nulla influenzato dai romanzi francesi d' appendice? Occorre ricordare che tale
letteratura, oggi degradata alle portinerie e ai sottoscala, è stata molto diffusa tra gli intellettuali, almeno fino al 1870». E
passa poi ad un sardonico, insistente raffronto tra il superuomo di Nietzsche (il cui motto è quello di Zarathustra: se
esistessero degli dei, come sopporterei io di non essere dio?) ed il conte di Montecristo. Si può a lungo disquisire sugli
autentici contorni del superuomo, e tentare di esorcizzare ogni ipotesi di filiazione pratica del superuomo: dall' eccitazione
guglielmina all' assalto hitleriano al potere mondiale. Sta di fatto che, dal superuomo, sono avvertiti come valori negativi
tutti quei valori che hanno origine da idee di uguaglianza (morale del dovere, democrazia, socialismo in primis). Sarà la
sindrome del «ribelle aristocratico», per adottare la formula che fa da sottotitolo al recentissimo Nietzsche di Domenico
Losurdo (Bollati Boringhieri, pp. 1.168), ma forse il mélange di ribellismo e aristocratismo può produrre effetti davvero
indesiderabili quando fuoriesce dal campo della poesia o dell' arte ed irrompe nella vita pratica. Naturalmente in Nietzsche
c' è tutto e il suo contrario, com' è di taluni artisti. «Chi non lo può rivendicare? - si chiedeva Kurt Tucholsky - Dimmi ciò
di cui hai bisogno e ti troverò una citazione di Nietzsche. Per la Germania, e contro la Germania; per la pace e contro la
pace; per la letteratura e contro la letteratura». È proprio con queste parole che si apre l' imponente saggio di Losurdo, che
non senza ragione prende le mosse dall' attacco nietzscheano alla figura e al mito e al significato di Socrate, nonché dalla
nietzscheana rivalutazione, in termini di modello «greco», dell' istituto della schiavitù. Opportuno porre in rilievo questi

1 di 2 09/10/2008 19.34
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capisaldi, perché è difficile mettere tra parentesi questi macigni in omaggio ad una visione, un tempo in voga, di un
Nietzsche né «di destra» né «di sinistra» ma semplicemente «ribelle». Ribelle forse, quantunque essenzialmente letterario;
ma aristocratico, nel senso storico e classista del termine. La discussione infinita sulla collocazione, a destra e a sinistra, di
Friedrich Nietzsche non porta che su un binario morto. Mazzino Montinari, il filologo che più ha contribuito al restauro
testuale del corpus nietzscheano, notò compiaciuto, nel febbraio 1977, che il movimento che in quei mesi investì l' Italia si
richiamava a Nietzsche. Sulle mura dell' Università di Roma, da cui veniva scacciato Luciano Lama, campeggiava il detto
dello Zarathustra: «Il deserto cresce, guai a chi nasconde deserti dentro di sé». Luciano Lama di destra e Zarathustra di
sinistra? Ammesso che di sinistra fosse il «movimento» del ' 77. Quando, pochi mesi dopo, le Brigate Rosse rapirono
Moro, la Pravda definì i brigatisti «lupi mannari», epiteto che il giornale destinava spesso ai «nemici del popolo». Con un
salto all' indietro di circa settant' anni, sfogliamo la Critica sociale di Turati, e vi troviamo (1909) un bel saggio di Arturo
Salucci, tutto contro Sorel, da lui definito «il Zarathustra del proletariato». «Ammirare oggi Sorel - scriveva - è di moda,
come cinque o sei anni fa era di moda ammirare e citare l' inevitabile Nietzsche (...). Nietzsche e Sorel vanno d' accordo nel
predicare la virtù redentrice della violenza e la bellezza della crudeltà (il filosofo si compiaceva di veder affiorare la ferina
crudeltà della "bestia bionda" persino nelle parole dell' epitafio di Pericle). E vi sono parecchi discepoli di notre maître
Sorel che adottano addirittura il linguaggio nietzscheano: esaltano la guerra come fenomeno "soprannaturale" e vedono
nello sciopero generale lo stato "dionisiaco" del proletariato!». (Non molti ricordano l' infelice uscita di Bertinotti quando
proclamò la sua contentezza nell' approdare in aeroporto e trovarlo paralizzato dallo sciopero...). Su Panorama del 22
febbraio 1987 Adriano Sofri affermò (vivente ancora il Pci) che «c' è perfino un Nietzsche cossuttiano». Misteri di una
filologia troppo corriva. Ma proprio sul terreno filologico, è accaduto da ultimo qualcosa. Losurdo mette in luce, in
appendice al suo libro, qualche indebito «addolcimento» delle uscite antisemite di Nietzsche dovuto proprio ai suoi
filologissimi editori. Ne è nata una difesa che sapeva alquanto della «difesa d' ufficio». Difesa inutile, visto che la tabe dell'
antisemitismo covava dovunque, come caso particolarmente febbrile di un più generale e devastante razzismo, forse in
Germania più che altrove, ma forse lì, solo in forme più scoperte ma non meno allarmanti che nelle «civilizzate
democrazie» coeve francese e britannica, per non parlare degli Usa. Del resto non era il grande fustigatore delle fumisterie
di Nietzsche sulla tragedia, il grande ellenista Wilamowitz, anche lui intento a denunciare, in una brutta pagina delle sue
Memorie, la «stampa ebraica, che ha avvelenato le nostre fonti»? Ancora una volta la «stampa ebraica»: la quale - come ha
osservato Losurdo - troppo sommariamente diviene «odierna stampa» nell' edizione di Nietzsche che, ben sappiamo, per
mille buone ragioni fa testo, continua a far testo.

Canfora Luciano,Fedeli Damiano

Pagina 33
(11 gennaio 2003) - Corriere della Sera

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