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All’ombra di Nietzsche: Max Weber

tra Kultur e Zivilisation
In the shadow of Nietzsche: Max Weber between Kultur and Zivilisation
Enzo Rutigliano
p. 3-17
https://doi.org/10.4000/qds.1735
Abstract | Testo | Note | Citazione | Autore

Abstract

This paper analyzes the influence of Nietzsche on Weber, like on sociological formal German
thought and, more generally, on the German sociology as result of a synthesis between literature
and science (kulturwissenschaften). To show this hegemony of Nietzsche on the German thought of
the first two decades of the XXI century, we will try to show the convergences that appear in Weber
and in the whole German culture after the death of Nietzsche.
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Luciano Gallino
In memoriam

Die Welt von Dämonen regiert sei


Max Weber

Nessuno può costruirti il ponte


Su cui proprio tu devi attraversare
il fiume della vita, nessuno al di fuori di te.
Friedrich Nietzsche

Wo kein Weg mehr ist, ist des Wegs Beginn


Manfred Hausmann

1 Stuart Hughes S., Coscienza e società, Torino, Einaudi, 1967.

1Il compito che ci siamo proposti con questo lavoro – servendoci della tecnica della levatrice,
usando cioè l’arma della maieutica – è cercare di far emergere l’influenza di Nietzsche sul pensiero
di Weber, oltre, naturalmente, che sul pensiero sociologico formale tedesco e, più in generale, sulla
sociologia tedesca così come intesa non solo da Weber, ma anche da Tönnies e Simmel e cioè come
risultato di una sintesi tra letteratura e scienza, le Kulturwissenschaften. Questa visione della
sociologia tedesca è condivisa da Stuart Hughes 1 il quale sottolinea la formazione filosofica e
scientifica dei sociologi tedeschi e, in generale, la loro grande cultura.

2È questo clima che genera una visione tragica della storia, anche se non nel senso di Spengler,
che vede dissolversi i valori della Kultur a fronte della società capitalistica borghese con il suo
sempre crescente obbligo delle società moderne, così come con la sempre crescente
specializzazione professionale e con il conseguente arretramento dell’ideale del perfezionamento
della persona rispetto al perfezionamento delle cose e al loro gonfiarsi di cultura a scapito della
cultura nell’uomo e, in ultimo, con il risultato che i rapporti personali venivano mediati
dall’impersonale: il diritto, il denaro, la politica, la burocrazia.

2 Simmel G., Filosofia del denaro, Torino, Utet, 2003.

3Tutto questo venne indicato dalla sociologia tedesca come consustanziale a una tendenza della
società capitalistica. Questa consapevolezza è il debito della cultura tedesca verso Nietzsche ma,
anche, verso Marx con la sua analisi del lavoro estraniato. È Nietzsche però che sviluppa una critica
culturale complessiva e radicale alla società borghese nella forma di denuncia dello spirito oggettivo
incombente sullo spirito soggettivo che si stava affermando in tutte le sfere della vita come dominio
dei mezzi rispetto al fine, al loro autonomizzarsi e diventare essi stessi fine. Esempio, il denaro. Si
veda a questo proposito l’ambivalenza di questo mezzo nella Filosofia del denaro di Simmel2.

3 Bianco F., Le basi teoriche dell’opera di Max Weber, Bari, Laterza, 1997, p. X.

4Per la sociologia tedesca a cavallo del secolo Nietzsche agì da modello pessimistico e aristocratico
allo stesso tempo e anche ascetico che consentiva di vivere e operare asceticamente in un mondo
che non offriva alcuna certezza ma che obbligava a crearne per potere agire in esso, appunto, in
una sorta di “ascesi intramondana” laica. È vero che Weber reinterpreta la lezione di Kant nel senso
del neokantismo ma alla luce “di un influsso segreto esercitato dall’altro grande maestro, cioè da
Nietzsche, e al conseguente tentativo di fare i conti con il pensiero nichilistico, senza restarne
prigioniero”3.

4 Lenk K., Das tragische Bewusstsein in der deutschen Soziologie, «Kölner Zeitschrift für Soziologie (...)

5D’altro canto questo sentimento aristocratico era ben presente a un personaggio rappresentativo
di questo clima come Ernst Troelsch il quale riassume in questo modo la posizione di tutti loro: “io
temo che noi ci protenderemo come residuo di una cultura aristocratica in un tempo ad essa
estraneo”4.

5 Mann T., Considerazioni di un impolitico, Bari, De Donato, 1967.

6 Mann T., Kultur und Sozialismus, in Gesammelte Werke, Berlin, Fischer Verlag, 1960, vol. XII, pp. 6 (...)

6Per dimostrare quanto tutto questo provenga dall’egemonia di Nietzsche sul pensiero tedesco dei
primi venti anni del Novecento, al di là delle pochissime citazioni che di Nietzsche ha fatto Weber,
dovremo, per forza, tentare di mostrare le convergenze, direi le assonanze, che compaiono non
solo in Weber ma diremmo in tutta la cultura tedesca dopo la morte di Nietzsche. Insomma, una
sorta di investigazione alla ricerca di indizi. Indizi che potremmo trovare sparsi, per esempio, nella
lettura del Doctor Faustus di Thomas Mann ma, anche, e soprattutto nel suo Considerazioni di un
impolitico5, ancor più immerso nel periodo che va dalla morte di Nietzsche alla Prima Guerra
Mondiale, e ancora più esplicitamente riferendosi a se stesso in quel clima egli dice, consapevole
del ruolo che Nietzsche ha giocato per tutti loro: “si volgeva indietro, difendeva un grande passato
spirituale. Voleva essere un monumento e lo è diventato […] uno spirito borghese tedesco e
romantico, compiuto nella piena coscienza della sua vanità e quindi non privo di nobiltà” 6.

7 Schluchter W., Introduzione, in La scienza come professione, Torino, Edizioni di Comunità, 2001.

7Per far emergere quanto questo clima ha influito sulla sociologia tedesca dell’epoca inizieremo
dall’analisi di alcuni concetti contenuti ne La scienza come professione di Weber, ultima opera, direi
conclusiva, di tutta la sua vita, dove si evidenzia un aspetto esistenzialistico. Aspetto non spesso
messo in luce dagli interpreti di Weber e che però esiste, implicitamente o no, ed è cosa che si
ricava dall’ultimo suo lavoro di cui dicevamo – quasi un testamento spirituale e “una risposta agli
interrogativi centrali della civiltà moderna […] e alle questioni di senso che essa poneva” 7.

8Inoltre, se si pensa alle ultime righe di quella conferenza – la solitudine dello scienziato sociale e
la sua consapevolezza della impossibilità di conoscere il mondo se non per una porzione minima di
esso, e in virtù di un interesse conoscitivo arbitrariamente scelto dal ricercatore –, tutto ciò fa
emergere una atmosfera di mancanza e di tensione dolorosa verso ciò che non si conosce e che
chiameremo Sehnsucht.

8 Novalis, Enrico di Ofterdingen, Milano, Adelphi, 1997.

9Parola quante altre mai adatta a questo clima che ci accingiamo a fare intravvedere; di origine
dell’evo medio tedesco e sfociata nel romanticismo e, alla fine, rappresentativa di questo ambiente
e di questa epoca. Del resto in Novalis, il primo a utilizzarla in senso romantico e molto vicino alla
condizione in cui si trova Weber, essa significa proprio la nostalgia della capacità di comprendere la
realtà, il suo senso e lo scopo della sua vita, come è detto nell’ Enrico di Ofterdingen8.

10Infatti la parola potrebbe definirsi come l’inconsolabile desiderio nel cuore dell’uomo per
qualcosa che non si sa e posta non nel passato ma nel futuro. Insomma, desiderio del
desiderio: das Sehnen, desiderio ardente e die Sucht, la dipendenza. Nel nostro caso, nel caso di
Weber, una nostalgia per una conoscenza irraggiungibile del senso del mondo e della storia.

9 Treves R., Introduzione, in Tönnies F., Comunità e società, Milano, Edizioni di Comunità, 1963, p. (...)

11Come si vede niente di più profondamente tedesco che questo clima riscopre e utilizza. E non
bisogna dimenticare che questa atmosfera “è intimamente legata all’ambiente culturale tedesco
della fine del secolo scorso e dell’inizio di questo, cioè ad un ambiente dominato da problemi e da
correnti di pensiero assai diverse e lontane da quelle che sono oggi più familiari ai nostri studiosi di
sociologia”9.

10 Weber M., La scienza come professione, in Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi (...)

12Tornando a Weber, partiremo, come dicevamo, dalla conferenza tenuta presso l’Università di
Monaco nell’autunno del 1918 e intitolata Wissenschaft als Beruf 10. In questa giustamente celebre
conferenza la solitudine dello scienziato sociale e questa sua insoddisfazione perenne che lo porta a
morire non sazio della vita, può estendersi all’uomo del suo tempo, all’uomo in generale che perciò,
in mancanza di fondamenti oggettivi alla sua esistenza, si aggrappa ai valori che trova, e crea, allo
stesso tempo, nel mondo in cui vive; nella credenza che essi siano veri e nella lotta con altri valori
anch’essi visti e creduti veri ed eterni. E, tutto questo, nella tragica consapevolezza della
impossibilità di risolvere il carattere conflittuale della vita per quanto si tenti una conciliazione
attraverso la ricerca con strumenti quali i tipi ideali che, invece, irrigidiscono astrattamente i confini
e la separatezza, ne ossificano le forme.

13Insomma, in un modo che ricorda molto da vicino le forme di Simmel che comprimono la vita e
si oppongono al suo fluire oltre a permettere il suo auto evidenziarsi, al suo emergere. E, d’altro
canto, i tipi ideali di Weber, così come le forme di Simmel o le categorie di comunità e società di
Tönnies che cosa sono se non la proiezione metodologica della volontà di potenza di Nietzsche
declinata in volontà di dare forma a una realtà informe (Wille zur Gestaltung), come la volontà di
rendere le cose simili (Wille zur Anähnlichung) cioè di ordinarle in modelli ideali, in tipi che a Weber
servono per “riuscire a cogliere un frammento di mondo”?

14Il paradosso è che lo strumento scelto da Weber per indagare la vita si oppone esso stesso alla
possibilità di risolvere il carattere conflittuale della vita.

11 Schlechta K., Nietzsche e il Grande Meriggio, Napoli, Guida, 1981, p. 64.

15È il tragico della vita dalla cui consapevolezza Weber prende le mosse e a cui giunge alla fine dei
suoi giorni. Ma è anche l’uomo di Zarathustra, che nell’epoca della morte di Dio è tutto, padrone
assoluto di se stesso privo di una qualunque certezza che nel corso dei millenni si è costruito: dove
però “ognuno deve garantire per sé, costantemente e senza limiti” 11. Con la morte di Dio, però, il
mondo non diventa di per sé manifesto, non si svela nella sua essenza e dunque è l’uomo
abbandonato a se stesso che conosce il mondo e lo ordina in base ai suoi valori; egli deve affidarsi
a se stesso, non è sostenuto da nulla, nella consapevolezza che tutti gli dei sono morti. E dunque la
sua indagine per capire il mondo, la sua volontà di sapere deve affidarsi solo all’analisi dei
contenuti di senso nelle azioni e scrutarli attraverso una indagine causale che però,
arbitrariamente, ha escluso molto delle altre concause che avrebbero potuto essere e che sono
state scartate in base a una decisione.

12 Weber M., La scienza come professione, Milano, Oscar Mondadori, 2006, p. 48.

13 Id., Economia e società, Milano, Edizioni di Comunità, 1961, vol. I, p. 17.

14 Ivi, p. 9.
16Weber è immerso in questo clima e lo condivide, anzi, ne è un protagonista, anche senza
abbandonarsi né alla scienza, rifiutando il pregiudizio razionalistico e della calcolabilità, né
abbandonandosi ad una impressionistica filosofia della vita. Tutto invece viene da Weber
condensato nel fare; fare senza presupposti e di se stesso pago: “ci metteremo al nostro lavoro e
adempiremo alla ‘richiesta di ogni giorno’, come uomini e nella nostra attività professionale” 12 e
tutto questo senza, tuttavia, l’ombra di una Schwärmerei (esaltazione) poiché Weber sa che il suo
fare ha solo tratto “una sezione finita” dalla “zona oscura” 13 solo attraverso una supposta evidenza
delle connessioni tra modi di agire e che comunque è sempre e solo una ipotesi causale anche se
agli occhi dello scienziato sociale, “particolarmente evidente” 14.

17E quindi nella consapevolezza che il tutto è compreso in limiti definiti dalla stessa ipotesi causale.

18Da quanto detto fin ora potremmo ricavare la visione dell’uomo che si affaccia, anche se non in
modo esplicito, negli scritti di Weber come conseguenza di questo clima che permea di sé la
Germania dove Nietzsche è ormai guida, e alla cui guida Weber si affida ma al tempo stesso tenta
di sottrarsi proprio ancorando il suo operare al fare come l’altra sua guida?

19Il fatto è che in questo clima emerge in tutta la sua tragicità l’insicurezza del sé che ha bisogno
di una giustificazione per il fare e cioè del doversi assicurare della propria “chiamata”, Berufung.

20È quello che vedremo tentando di ricavarla da ciò che Weber ha implicitamente (e quasi mai
esplicitamente) fatto emergere dai suoi scritti.

15 Si veda il nostro Teorie sociologiche classiche, Torino, Bollati Boringhieri, 2015-2016.

21Tuttavia, prima di tutto bisogna, per inquadrare il problema, stabilire e meglio approfondire
quanto abbiamo più su accennato 15 e cioè l’influenza che Nietzsche ha avuto sull’opera di Weber.

16 E. Baumgarten, Max Weber, Werk und Person, Tübingen, Mohr, 1964.

22Partiamo dalla nota sentenza weberiana circa il fatto che nessuno può dirsi intellettuale
dell’epoca se non ha fatto i conti con Marx e con Nietzsche. Questa viene riportata da E.
Baumgarten (Werk und Person) che fa riferimento al fatto che Weber, qualche settimana prima di
morire, prendendo parte a un dibattito con Oswald Spengler e tornando poi a casa lungo la
Ludwigstrasse, chiacchierando con uno studente che lo accompagnava disse che “l’onestà di un
intellettuale, e specialmente di un filosofo del nostro tempo, può essere misurata dalla sua
posizione nei riguardi di Nietzsche e di Marx. Chi non ammette che senza l’opera di questi due
pensatori non sarebbero stati possibili neanche parti essenziali della propria opera, inganna se
stesso e gli altri. Lo stesso mondo spirituale nel quale noi viviamo è in larga misura un mondo
segnato da Marx e da Nietzsche”16.

23Naturalmente qui Weber sta parlando di sé e lo sta facendo alla fine della sua vita, dunque
l’affermazione va presa verosimilmente quale bilancio finale e giudizio sul secolo.

24A questo punto si potrebbe anche dire che questa affermazione di Weber può essere usata come
chiave di lettura dell’intera sua opera sottraendola alla vulgata in ambiente anglosassone che vuole
Weber campione di una avalutatività pragmatico utilitaristica e obnubilata dal quantitativo e la sua
problematica drammaticità ridotta a una inoffensiva costellazione di concetti, appunto, avalutativi.
Insomma, Weber come padre nobile fondatore di una sociologia empirico avalutativa
universalmente utilizzabile e applicabile a qualunque ricostruzione. Questa interpretazione di Weber
fa il paio con quella che Weber sarebbe il Marx della borghesia.

25Pure, nella biografia di Marianne Weber, Marx e Nietzsche sono citati pochissime volte.

26Nietzsche addirittura solo quattro volte. E, tutte, per registrare la distanza politica che separa
Weber dal filosofo di Naumburg.

17 Si veda la nota n. 15; ivi, pp. 167-213.

18 Nietzsche F., Werke, X, pp. 401-402: Sull’utilità e il danno della storia per la vita.


19 Weber M., Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Einaudi, 1958, p. 96.

27Tuttavia, nel nostro lavoro più su citato 17 abbiamo messo a confronto due sentenze, una di
Nietzsche e una di Weber sul non senso della storia e sulla necessità di darle un senso, che
potrebbero essere scambiate fra di loro. La citazione da Nietzsche è questa: “chi non capisce
quanto la storia sia brutale e senza senso, neanche potrà capire l’impulso a dare senso alla
storia”18. Mentre la citazione da Weber suona: “Noi siamo esseri culturali dotati della capacità e
volontà di assumere consapevolmente posizione nei confronti del mondo e di dargli un senso” 19 dal
momento che egli crede il mondo una “infinità priva di senso”.

28Non solo, così come Nietzsche, Weber si rifiuta di dare alla storia un ordine provvidenziale anche
perché, prima o poi, si scoprirà che questo ordine provvidenziale, teleologico, non c’è e dunque il
divenire a questo punto perde il senso che le avevamo attribuito e con il rischio concreto di
scivolare così verso il nichilismo.

20 Weber M(arianne), Max Weber, Ein Lebensbild, Tübingen, Mohr, 1926, p. 643.

29Se è vero che per Nietzsche l’uomo è una corda tesa tra la scimmia e l’ideale dell’oltreuomo, per
Weber, lo scienziato sociale, nella sua solitudine eroica di fronte alla inconoscibilità del mondo, è
anch’esso l’ideale da raggiungere. Dirà, lo riferisce la stessa Marianne Weber: “sono capace di
vivere senza fede”20.

30Tornando all’esistenzialismo dell’ultimo Weber, chiedersi qual è la sua concezione dell’uomo non
ha molto senso perché ciò che lo interessa – relativamente all’uomo – sono i suoi valori, le sue
credenze religiose, politiche, in quanto generano comportamenti, non la sua essenza per così dire.
E generano comportamenti perché confliggono senza giungere a una conciliazione, impossibile da
raggiungere. Insomma senza un Aufhebung.

31Dunque, implicitamente una risposta possibile potrebbe suonare così: l’uomo è i suoi valori.
L’assonanza con la concezione dell’individuo che ha Simmel – l’uomo è le sue appartenenze alla
pluralità delle cerchie sociali – è quanto meno suggestiva.

32Ma cosa sono i valori, di cosa sono fatti? E qui bisogna far riferimento a un concetto assai diffuso
nella Germania di questo periodo, concetto che circola ampiamente in ambiente non lontano da
Weber: il concetto di Kultur. Concetto che gode in Germania “socialmente di un’enfasi di adesione
da parte della popolazione colta tedesca […]. Il nazionalismo tedesco […] è caratterizzato
specificatamente dalla accentuazione della “cultura tedesca” di contro alle così dette civilizzazioni
tecnico-atomistico-razionaliste delle altre nazioni europee. Basti pensare alle impressionanti
espressioni di Weber stesso sul legame necessario tra la potenza imperialistica della Germania e la
sua Kultur”.

21 Rusconi G.E., Distanza da Weber, in Max Weber e la sociologia oggi, Milano, Jaca Book, 1967.

33E ancora più chiaramente almeno per il nostro scopo: “Il peso sociale, la risonanza emotiva
sociologicamente significativa del termine Kultur non va sottovalutata nello studio della sua
accezione nel contesto schiettamente scientifico – in quello weberiano segnatamente. Solo così è
possibile valutare il suo progresso verso la Wissenschaft, la scienza della cultura, che diventa
scienza della società portatrice dei valori culturali”21.

34Prima di tutto della Kultur ne parla Simmel con cui Weber è in contatto diretto: si scambiano i
libri di Nietzsche.

35Cosa dice Simmel a proposito di questo concetto? Prima di tutto constata una degradazione
della Kultur e una sua deviazione (un suo allontanamento) della Kultur dagli individui per
depositarsi negli oggetti. È la famosa tragedia della cultura in base alla quale gli uomini sono
sempre più poveri di cultura mentre questa emigra negli oggetti. Inoltre, sempre in nome
delle Kultur, Simmel giustifica la guerra della Germania contro la Francia e fa di questo concetto un
momento della lotta della Germania per affermare se stessa nel mondo, per imporre i suoi valori
reputati superiori a quelli espressi dalle nazioni latine.
22 Ivi, p. 19.

36Questa tragedia della cultura come condizione del moderno è ripresa da Weber nel suo  La
scienza come professione: “Chiunque di noi viaggi in tram non ha la minima idea, a meno che non
sia un fisico specializzato, di come la vettura riesca a mettersi in moto. Né d’altronde ha bisogno di
saperlo. Gli basta di poter fare assegnamento sul modo di comportarsi di una vettura tranviaria, ed
egli orienta in conformità la propria condotta; ma nulla sa di come si faccia per costruire un tram
capace di mettersi in moto”22.

37Insomma, progresso materiale, regresso spirituale.

23 Burckhardt J., Weltgeschichtliche Betrachtungen, Berlin und Stuttgart, W. Spemann, 1905.

38Dunque, se l’uomo è i suoi valori, e se di valori è costituita la Kultur, e se la Kultur è “l’intera


somma di quegli sviluppi dello spirito che accadono spontaneamente e non hanno alcuna pretesa di
universalità o di valore coercitivo” 23, insomma, il politeismo dei valori, ci troviamo di fronte a una
situazione che vede i presupposti di Weber, il suo insistere sul politeismo dei valori come un voler
fermare qualcosa che sta per dissolversi, cioè la Kultur come dominio e conoscenza di sé che cede
alla Zivilisation come dominio sulle cose, sul mondo fuori dell’uomo. In questo modo
la Kultur assolve il compito di disciplinare la costruzione della personalità contro un sé fatto di
natura e desideri, si struttura attorno a un compito impersonale e serve un potere impersonale,
superiore, configurandosi come una forma di ascesi e di rinuncia a se stessi, un disciplinamento di
sé attraverso la professione che permette di costruire il sé oltre e contro la natura: professione
come disciplina spirituale che permette di raggiungere una condotta di vita metodica, presupposto
indispensabile alla razionalizzazione di tutte le sfere della vita. Il risultato più importante di questa
disciplina sul piano individuale e sociale è la costruzione della personalità e, precisamente, di quella
che Weber chiama la “personalità occidentale”. Insomma una sorta di ascesi che implica una
rinuncia e un disciplinamento di sé all’interno di una professione, Beruf, che permette di vincere il
sé di desideri, l’uomo naturale. L’altra faccia della medaglia è che se la Kultur è fatta di valori
autentici, la sua decadenza, insieme a quella dei valori, cede ai valori di scambio.

39Insomma, la Kultur tende a essere sussunta sotto le leggi di mercato. Così Weber si trova a
difendere e a porre a fondamento della sua concezione dell’uomo e della sua metodologia un
concetto non più in sé ma solo per sé.

40Non sappiamo quanto Weber stesso sia consapevole di operare con concetti retorico-umanistici,
quanto il suo insistere sui valori significa insistere sulla Kulturware, sulla merce culturale.

41Sappiamo solo che in Weber questa constatazione e proprio la personalità costruita contro il sé
naturale, cioè la “personalità occidentale”, impone una torsione verso la Zivilisation intesa come
volontà di razionalizzare, dominio sul mondo, volontà di potenza declinata in volontà di
razionalizzare. È quella che Nietzsche chiama “passione della conoscenza” (Aurora) e poi volontà di
potenza, in quanto “volontà di rendere pensabile tutto l’essere”, che deve essere forgiato dallo
Spirito, piegandosi all’uomo della conoscenza e al suo bisogno di ordinare il mondo che diventa così
la sua immagine riflessa. La Wille zur Rationalisierung.

24 Nietzsche F., Aus dem Nachlass der Achzigerjahre, in Werke, a cura di Schlechta K., München, 1956, (...)

42Del resto aveva detto Nietzsche: “Kultur contro Zivilisation: i punti culminanti della Kultur e


della Zivilisation sono distanti tra loro; non bisogna lasciarsi indurre in errore sull’antagonismo
abissale che separa la Kultur dalla Zivilisation. I grandi momenti della Kultur sono stati sempre,
moralmente parlando, tempi di corruzione; a loro volta le epoche del voluto e coercitivo
addomesticamento degli uomini (Zivilisation) furono epoche di impazienza per le nature più
spirituali e audaci”24.

43Naturalmente sulla pericolosità del concetto di Kultur così come interpretato da Thomas Mann
nei suoi “Pensieri di guerra” aveva subito drizzato le orecchie Romain Rolland il quale aveva scorto
nella Kultur “il nuovo idolo teutonico che seguiva a quello della razza e si univa fraternamente alla
scienza, all’industria e alla ditta Krupp”.

 
44E, tuttavia, il problema che ci eravamo posti nel più generale contesto dell’esistenzialismo
weberiano non è così risolto perché in ogni caso, espresso direttamente o no, in Weber, nella sua
opera vi è presente, la si può ricavare, una concezione dell’uomo. Per esempio, una concezione che
faccia riferimento, in qualche modo, alla razionalità, è plausibile?

45Pensiamo di sì e soprattutto se teniamo presente La scienza come professione.

46Non è forse vero che vi si delinea una visione dell’uomo cosciente dei suoi limiti, un uomo
consapevole che sa poco più di nulla, privo di ogni certezza e certo che tutto ciò che potrà sapere
della realtà è una piccola parte di una “infinità priva di senso” e che per di più questo piccolo
frammento di conoscenza è percorso da un senso che egli stesso gli ha conferito? Dunque un uomo
il cui carattere distintivo nella vita e nell’opera è l’inquietudine, l’insoddisfazione, il distacco. Viene
qui in mente la figura dello straniero di Simmel – Weber è però convinto che la scienza può
sciogliere l’incanto, risolvere ogni enigma che dunque, in potenza, non è più tale.

25 Cfr. le prime pagine del saggio Le sette protestanti e lo spirito del capitalismo (1906), Milano, R (...)

47Pure, in altri scritti è possibile scorgere una predilezione di Weber per una concezione dell’uomo
che si esprime compiutamente nei comportamenti razionali dell’“uomo delle sette”, meglio, negli
effetti di razionalità dei suoi comportamenti. L’uomo chiamato ad una professione che si sforza di
farla bene amandola, che fuori dal lavoro tiene un comportamento probo e disciplinato, che ha
fede, che pratica una moralità intransigente e un’ascesi intramondana e per questo il suo
comportamento è prevedibile e affidabile 25. E la prevedibilità è una delle caratteristiche del
moderno come sappiamo. In una parola disciplinando se stesso (Kultur) e gli altri (Zivilisation) egli
produce razionalità, civilizzazione, ordine: in una parola, socialità.

48Ma è anche vero che Weber, dentro la dimensione esistenzialistica, è consapevole della relatività
di tutti i valori (oltre che della loro utilità sociale), del politeismo degli stessi, del disincanto che
deriva da questa consapevolezza, e del relativo dolore che deriva dalla “solitudine delle altezze”,
oltre che dal sentimento prometeico auto appagantesi.

49Ecco, questa esistenza genera non socialità ma solitudine, la solitudine dello scienziato sociale
che studia gli effetti dei valori nei comportamenti degli uomini da una posizione distaccata e
disincantata. A questo proposito la conferenza sulla scienza come professione è esemplare.

50Comincia così a delinearsi, forse, l’idea che in Weber ci sia, sotterranea e inespressa, una doppia
visione dell’uomo. Una sorta di teoria della doppia verità. La verità degli uomini comuni che
agiscono e non sanno, e non “sanno” perché “credono” e credono e perciò agiscono civilmente e
razionalmente.

51E la verità dello scienziato sociale che sa perché scruta e può scrutare perché non ha la fede e
non può averla se non nella forma della fede nella propria vocazione alla solitudine della propria
conoscenza. “Sono capace di vivere senza fede”, abbiamo detto.

26 Per l’accostamento di Nietzsche a Weber, ormai gli studi sull’influenza del filosofo sul sociologo (...)

52Questa concezione dello scienziato sociale è molto simile a quella che Nietzsche ha di ciò che
chiama “psicologo” e cioè lo scienziato dei sentimenti, colui che ne svela l’origine, spesso poco
nobile, strappando la maschera alle più nobili credenze e comportamenti 26. Non dimentichiamo che
il risentimento nietzschiano è posto a spiegazione in Weber della nascita delle religioni di
salvazione. Stiamo qui parlando di quello scritto essenziale per capire Weber: le Considerazioni
intermedie, contenute nella Sociologia delle religioni.

53Anche lo scienziato sociale di Weber ha come obiettivo una descrizione empirica dei sentimenti e
delle credenze dell’uomo, la descrizione della forma specifica del modo di essere della persona
umana nelle epoche storiche, il suo modificarsi, la sua relatività etc. Questa conoscenza è
conoscenza del modo in cui questi sentimenti, queste credenze, si trasformano in comportamenti
sociali.

54Ma se per Nietzsche è importante l’opera dello smascheramento, della demistificazione per
svelare ciò che appare velato, se cioè gli interessa giungere alla verità che non c’è verità e il suo
“oltreuomo” è colui che questa consapevolezza ha raggiunto e si comporta di conseguenza, per
Weber questa verità è il presupposto di un agire non disvelatore e critico ma operativo nella
consapevolezza che non la verità delle non verità opera – ma la fede di verità non dimostrate.

55Paradossalmente proprio la consapevolezza del politeismo delle verità fa scorgere quanto


costruttive sono le fedi, le verità non dimostrate. Così, se l’“oltreuomo” di Nietzsche è parente dello
scienziato sociale di Max Weber, il suo “scienziato sociale”, al di sopra delle fedi e delle credenze,
che sa l’origine storica di ogni norma di comportamento, non danza nella gioia della liberazione
dalle “verità” come Zarathustra, ma si mette al lavoro lasciando ad altri – “A chi non sia in grado di
affrontare virilmente questo destino della nostra epoca” a costoro “bisogna consigliare di tornare in
silenzio, senza la consueta conversione pubblicitaria, bensì schiettamente e semplicemente nelle
braccia delle antiche chiese” – il “sacrificio dell’intelletto”.

56E, tuttavia, Weber sa anche che vi è un altro pericolo per chi non accetta “la semplice probità
intellettuale” e cioè il pericolo di scivolare in un relativismo superficiale e irresponsabile. E perciò
pericolosamente vicino al nichilismo. Almeno alla versione che di questa malattia della cultura
europea darà Nietzsche: “Manca lo scopo, manca la risposta al perché. Tutti i valori si svalutano”.

57Ora, se manca lo scopo vuol dire che manca l’idea di futuro migliore del presente che, anzi, è
divenuto una minaccia, un tempo da cui è fuggita la speranza.

58In questa consapevolezza allo scienziato sociale non rimane – a Weber e a noi – che un’unica
via, quella di mettersi al lavoro per adempiere al “compito quotidiano – nella nostra qualità di
uomini e nella nostra attività professionale”. E qui, per attività professionale si deve intendere
l’ambito in cui e attraverso cui l’uomo serve la causa a cui è chiamato e servendo la quale rassicura
se stesso nell’essere una personalità etica. In questo senso professione e vocazione fanno tutt’uno
(in tedesco, come sappiamo, sono uniti – non a caso – in un unico termine,  Beruf  ), poiché la
professione non è per Weber “eticamente indifferente”. Al contrario, essa rinvia ad un orizzonte di
redenzione.

59In questo modo Weber salva – a fronte di una crisi sociale e di senso che investe la cultura
europea nei primi anni del XX secolo – l’identità del sé – e così rivela un concetto di uomo del tutto
inedito – attraverso il “dominio di sé” e la mobilitazione nel “servizio” che così diventano una via di
accesso ad un nuovo ideale di umanità che trae senso dalla propria vocazione e professione.
Naturalmente qui torna la domanda che ci siamo posti più su, e cioè se Weber crede davvero che i
valori che costituiscono la Kultur siano ancora saldi e condivisi e non in via di trasformazione nella
direzione di una Kulturware.

27 Weber M., Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1948, 1971, pp. 42-43.

60E questo perché la situazione – ai tempi di Weber e ai nostri – “ci impone di mettere in chiaro
che oggi, tutti coloro i quali vivono nell’attesa di nuovi profeti e nuovi redentori si trovano nella
stessa situazione descritta nel bellissimo canto della scolta idumea durante il periodo dell’esilio, che
si legge nell’oracolo di Isaia: ‘Una voce da Seir chiama in Edon: – Sentinella! A che punto è la
notte? – E la sentinella risponde: – Verrà il mattino, ma è ancora notte…’ ”27.

61Weber però è convinto anche che nell’“uomo delle sette” e nello “scienziato sociale disincantato”
è in agguato un pericolo, il pericolo della eccessiva razionalizzazione al punto che egli lo intravede
come reale nel destino dell’Occidente: la razionalità, la prevedibilità dei comportamenti, il loro
realizzarsi eccessivo nei rapporti, la pianificazione nell’economia, il prevalere della Scienza nella
spiegazione del mondo, possono e metteranno in pericolo proprio quella socialità che pur avevano
reso possibile, creando attorno agli uomini una “gabbia d’acciaio” e delineando un nuovo uomo,
l’uomo aberrante, l’uomo professionale senza spirito.

62Il quale ha come pendant “l’uomo del puro godimento senza cuore”, la cui Kultur si è


completamente dissolta nei mille rivoli delle opinioni, l’uomo che ha perduto ogni illusione sul
mondo, ogni fede nel miglioramento della realtà e della società.

63Pare a noi che questa sia oggi la situazione odierna a novanta anni di distanza dalla profezia di
Weber, denunciata dalla chiesa e successiva alla morte delle ideologie che, come tutte le fedi,
recavano con sé, oltre che il lato utopico e falso, anche una tensione ideale verso il superamento
del presente e anelante a un futuro migliore.
64A quest’uomo non resta se non il puro edonismo per realizzarsi con la ricerca sempre
insoddisfatta di emozioni, con la conseguente perdita di solidarietà sociale con tutto quello che
durkheimianamente ne consegue.

65Questa pure è l’origine del delinearsi in Weber di una speranza per il destino dell’Occidente ma,
direi, qui, dell’uomo, se egli cioè auspica il periodico seppure straordinario affacciarsi nella storia
del momento principe per la produzione di solidarietà e di nuovi valori, cioè il prodursi nella prima
fase dei movimenti collettivi di quella comunità emozionale di totale fiducia ed entusiasmo tra i
partecipanti che genera legami profondi e mai poi dimenticati nella vita degli uomini; fonte di ogni
morale solidale e di interiorizzazione di valori che soli costituiscono un contraltare all’“uomo del
puro godimento senza cuore”.

66Pure, Weber vive in un periodo notoriamente fertile per quelle discipline e ricerche che intendono
dire dell’uomo e della sua essenza (non delle relazioni tra gli uomini, terreno della sociologia ieri
come oggi) e questo sia da un punto di vista biologico, razziale, esistenziale, caratterologico.

28 Hennis W. , Il problema Max Weber, Bari, Laterza, 1991.

29 Michels R., Intorno al problema dell’eugenica, in Problemi di sociologia applicata, Torino, Fratell (...)

67Sappiamo (da Hennis in particolare28) che Weber è contro l’antropologia fisica e la biologia delle
razze – alla Gobineau per intenderci ma, anche, al “positivismo italiano”. Egli ne mette in luce,
primo fra molti altri (per esempio il suo allievo Roberto Michels), il carattere razzista e imperialista.
Michels che ha messo in guardia per tempo dal razzismo implicito nel concetto di eugenetica 29, e
questa tendenza implicita nella nuova disciplina ha denunciato.

68Allo stesso tempo egli respinge le conclusioni cui giungono autori come Max Scheler su altro
versante e che in questa sede non è il caso di richiamare.

69Né Weber sembra prendere in seria considerazione, a questo fine, risultati come quelli conseguiti
dalla psicologia e solo un tiepido interesse mostra per la psicoanalisi, forse mai giunto al livello di
un vero approfondimento.

30 Otto Weininger si suicidò poco più che ventenne per il disprezzo verso di sé e della razza cui appa (...)

70Invece vera sorpresa desta – se si pensa con la mente dell’oggi – l’interesse di Weber per una
disciplina ai suoi tempi, appunto, molto diffusa e in voga e anche motivo di scandalo, che interessò
autori davvero al di sopra di ogni sospetto – per esempio Walter Benjamin. Parliamo della
caratterologia, disciplina ora dimenticata che trova il proprio nucleo in alcuni libri famosissimi:
la Charakterologie di Ludwig Klages, del 1910, il suo Eros cosmogonico, e, infine, Sesso e
Carattere di Otto Weininger del 1903, con il grande fascino che il suo autore seppe conquistare
anche su personaggi come Freud, dovuto, forse, anche alla sua tragica morte e alle motivazioni che
ve lo indussero30.

71E, tuttavia, si ha motivo di pensare che anche questo interesse sia per Weber marginale, legato
alle mode culturali dell’epoca, anche nel senso buono del termine.

72La domanda che Weber si pone – sempre – non è che cosa l’uomo è, bensì: perché quest’uomo
qui e in questo modo. Perché, infine, l’uomo occidentale? A questa domanda Weber risponde
ponendosene altre, che la compongono: che cos’è il capitalismo, che cosa è la scienza, che cosa è
la razionalità. È in queste risposte che è contenuta l’essenza non dell’uomo in generale ma
dell’uomo dell’Occidente.

73In cosa consiste questa essenza occidentale dell’uomo?

74Per questa definizione è essenziale quanto abbiamo detto del dominio di sé attraverso il
disciplinamento della propria vita nel lavoro che crea procedimenti di controllo sul mondo e sulla
propria vita.
75La costellazione lavoro-vocazione-razionalità crea quella che Weber chiamò la “personalità
occidentale” fondata sul modellamento di sé attraverso la disciplina nel lavoro, nel seguire la
propria vocazione. Insomma una Kultur operante nella realtà empirica.

76L’origine di questa concezione, si sa, è nella Riforma protestante da cui ha origine l’idea di
professione come servizio a Dio.

77Questa concezione antica, “scoperta” nei suoi studi delle religioni comparate (e non solo
sull’etica protestante), ma rintracciabile anche nella tradizione culturale della Germania – per
esempio in Kant e Goethe – poteva far fronte efficacemente alla crisi di valori e di fini che era della
sua epoca (e della nostra!) e che la frequentazione di Simmel e, più in là di Nietzsche, gli avevano
rivelato.

78Questo processo – che chiameremo di secolarizzazione – consiste nella trasformazione di antichi


valori religiosi posti al servizio di una salvezza nel mondo di coloro che, consapevoli della infinità
priva di senso del mondo, rifuggono il nichilismo e si volgono all’operare sulla base di una
personale chiamata.

79Le conferenze che abbiamo citato sulla politica e la scienza als Beruf sono in effetti un tentativo
di rivitalizzare questi vecchi atteggiamenti e comportamenti di origine religiosa presentandoli –
avendoli laicizzati – come rimedi alla crisi attuale della Kultur e, in definitiva, della Germania se
riandiamo con la memoria al libro che ha fatto comprendere più d’ogni altro la verità della
sovrapposizione tra la Kultur e la Germania e cioè le Considerazioni di un impolitico di Thomas
Mann.

80Crisi sia politica sia spirituale al cui superamento Weber indicò una via di accesso, come abbiamo
visto, attraverso il “compito quotidiano”.

81In ambito politico questo avrebbe dovuto significare la creazione di una classe politica dedita al
compito pubblico come “vocazione” capace di staccarla dall’ambizione e dal calcolo personale –
anche se Weber ha parole di fuoco per la classe politica e per i partiti del suo tempo che non
avevano certo paura di sfigurare a fronte della nostra classe politica ed ai suoi rapaci
atteggiamenti, pari solo alla loro inconsistenza culturale.

82A questo punto ci pare di poter dire che l’immagine di uomo che Weber ha è quella di un uomo
che costruisce il sé in base a due elementi, la vocazione e il disciplinamento.

83Laddove, qui, il disciplinamento va inteso prima di tutto di se stessi (Kultur), ma anche di


razionalizzazione della realtà sociale (Zivilisation) come conseguenza del disciplinamento e della
repressione dell’uomo dei desideri.

84Ma, certo, dopo che si è liberato, grazie a Nietzsche, della maledizione di due concetti: quello di
verità e quello di oggettività consapevole che anche la ragione ha un carattere umano, finito e
circostanziale.

85Ed è libero da questi due concetti che l’uomo può costruire il proprio Sé ubbidendo a una
chiamata, Berufung, al proprio demone. È chiaro come tutto questo sia radicato in una esperienza
profondamente religiosa che domina in modo sotterraneo il pensiero tedesco da Lutero e Calvino in
poi.

86Naturalmente il dissolversi dei concetti di oggettività e di verità non deve essere inteso come
adesione a un nichilismo irresponsabile, bensì come consapevolezza della convenzionalità di questi
due concetti, premessa indispensabile per fare emergere quella religione del fare necessaria alla
razionalizzazione del mondo, alla trasformazione del caos in cosmo; al quale cosmo, mondo che
abbiamo ordinato per controllarlo in base alla nostra Wille zur Ordnung e nella sua costruzione, noi
abbiamo attribuito, col nostro fare, dandogli “senso e significato”. D’altro canto è nello stesso
politeismo dei valori operante nella sfera pratica che è contenuta l’ammissione che la verità è sullo
stesso piano di qualunque altro valore e dunque un valore tra gli altri. Così nell’attribuire senso e
significato al nostro operare in base a una decisione noi descriviamo, ordiniamo il mondo nella
consapevolezza che non abbiamo mai abitato il mondo ma solo descrizioni di mondi.

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Note

1 Stuart Hughes S., Coscienza e società, Torino, Einaudi, 1967.

2 Simmel G., Filosofia del denaro, Torino, Utet, 2003.

3 Bianco F., Le basi teoriche dell’opera di Max Weber, Bari, Laterza, 1997, p. X.

4 Lenk K., Das tragische Bewusstsein in der deutschen Soziologie, «Kölner Zeitschrift für Soziologie und
Sozialpsychologie», X, 1964, pp. 257-287.

5 Mann T., Considerazioni di un impolitico, Bari, De Donato, 1967.

6 Mann T., Kultur und Sozialismus, in Gesammelte Werke, Berlin, Fischer Verlag, 1960, vol. XII, pp. 640-
641.

7 Schluchter W., Introduzione, in La scienza come professione, Torino, Edizioni di Comunità, 2001.

8 Novalis, Enrico di Ofterdingen, Milano, Adelphi, 1997.

9 Treves R., Introduzione, in Tönnies F., Comunità e società, Milano, Edizioni di Comunità, 1963, p. Xİİİ.

10 Weber M., La scienza come professione, in Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi,
1948.

11 Schlechta K., Nietzsche e il Grande Meriggio, Napoli, Guida, 1981, p. 64.

12 Weber M., La scienza come professione, Milano, Oscar Mondadori, 2006, p. 48.

13 Id., Economia e società, Milano, Edizioni di Comunità, 1961, vol. I, p. 17.

14 Ivi, p. 9.

15 Si veda il nostro Teorie sociologiche classiche, Torino, Bollati Boringhieri, 2015-2016.

16 E. Baumgarten, Max Weber, Werk und Person, Tübingen, Mohr, 1964.

17 Si veda la nota n. 15; ivi, pp. 167-213.

18 Nietzsche F., Werke, X, pp. 401-402: Sull’utilità e il danno della storia per la vita.

19 Weber M., Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Einaudi, 1958, p. 96.

20 Weber M(arianne), Max Weber, Ein Lebensbild, Tübingen, Mohr, 1926, p. 643.

21 Rusconi G.E., Distanza da Weber, in Max Weber e la sociologia oggi, Milano, Jaca Book, 1967.
22 Ivi, p. 19.

23 Burckhardt J., Weltgeschichtliche Betrachtungen, Berlin und Stuttgart, W. Spemann, 1905.

24 Nietzsche F., Aus dem Nachlass der Achzigerjahre, in Werke, a cura di Schlechta K., München, 1956,
vol. III, p. 837.

25 Cfr. le prime pagine del saggio Le sette protestanti e lo spirito del capitalismo (1906), Milano, Rizzoli,
1977, dove Weber racconta episodi della sua esperienza americana notando come appartenenza alle
sette (battiste) e credibilità e affidabilità siano in quel contesto, tutt’uno: “L’appartenenza ad una setta,
quindi, contrariamente all’appartenenza ad una chiesa, nella quale “si nasce” e che diffonde grazia sui
giusti e sugli ingiusti in egual misura, costituiva un attestato di qualificazione etica in particolare etico-
commerciale, della personalità” (p. 64).

26 Per l’accostamento di Nietzsche a Weber, ormai gli studi sull’influenza del filosofo sul sociologo (e su
tutta la sociologia formale tedesca) sono a buon punto. Per la Germania, cfr. gli scritti di Hennis W., in
particolare il cap. IV de Il problema Max Weber, Bari, Laterza, 1991; per l’Italia, oltre ai lavori
pionieristici di Cacciari M., primo fra tutti Krisis, Milano, Feltrinelli, 1976, cfr. anche l’articolo di Ponsetto
A., «Fenomenologia e Società», VI, 22 giugno 1983; e, in ultimo, i nostri due lavori:  Sul concetto di
destino in Max Weber e Simmel tra Nietzsche e Weber, ora in Sociologi. Uomini e problemi, Milano,
FrancoAngeli, 1990.

27 Weber M., Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1948, 1971, pp. 42-43.

28 Hennis W. , Il problema Max Weber, Bari, Laterza, 1991.

29 Michels R., Intorno al problema dell’eugenica, in Problemi di sociologia applicata, Torino, Fratelli


Bocca, 1919.

30 Otto Weininger si suicidò poco più che ventenne per il disprezzo verso di sé e della razza cui
apparteneva, l’ebraismo. Si veda a questo proposito il suo Ebraismo e odio di sé, Pordenone, Studio Tesi,
1994. In realtà si tratta di un capitolo estratto da Sesso e carattere e pubblicato a parte.
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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica
Enzo Rutigliano, «All’ombra di Nietzsche: Max Weber tra Kultur e Zivilisation», Quaderni di Sociologia,
75 | 2017, 3-17.

Notizia bibliografica digitale


Enzo Rutigliano, «All’ombra di Nietzsche: Max Weber tra Kultur e Zivilisation», Quaderni di
Sociologia [Online], 75 | 2017, online dal 01 juin 2018, consultato il 19 août 2023. URL:
http://journals.openedition.org/qds/1735; DOI: https://doi.org/10.4000/qds.1735
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Autore

Enzo Rutigliano
Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale – Università di Trento

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