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“Benattia”
Significato della vita,
senso della malattia e processo di autoguarigione
(E/Book)
un libro di
Francesco Oliviero
25
Tutti i diritti riservati
© 2003-2012, Nuova Ipsa Editore srl
Via Giuseppe Crispi, 50 - 90145 Palermo
www.nuovaipsa.it • e-mail: info@nuovaipsa.it
ISBN 978-88-7676-214-7
ISBN EBOOK 978-88-7676-523-0
PRESENTAZIONE
“Mala tempora currunt” dicevano i Latini e l’editore e scrittore Donato Accodo subito aggiunge:
“et peiora premunt”. Espressioni attualissime, specie se riferite all’uomo che si dà in modo sfrenato e
irragionevole ai beni di consumo, che, invece di agevolargli la vita, lo rendono succube e schiavo,
condizionandolo non solo nella pratica del quotidiano, ma anche nel comportamento e nella
personalità.
L’uomo non è più se stesso, ha perso quello slancio interiore che lo rendeva unico e, rapportandolo
agli altri, lo faceva crescere e migliorare nel corpo e nello spirito. Una volta, nonostante disagio e
miseria erano ovunque diffusi, egli viveva in armonia con sé e con gli altri. Non così è oggi, vista la
gran confusione materiale e, soprattutto, spirituale che sta attraversando il singolo e tutta la società.
Ed ora chissà quanto ci vorrà, prima che l’essere umano si riprenda ciò che gli appartiene e lo
distingue!
Un rimedio valido e abbastanza indicato viene dalla filosofia, dalla riflessione che è stata fatta
dall’antichità ai nostri giorni e che tende a recuperare, per quanto possibile, l’essere razionale che è
in ciascuno di noi, perché la vita venga vissuta con consapevolezza, nel rispetto di sé e degli altri. E
alla filosofia dell’uomo non poteva non rivolgersi Francesco Oliviero con il suo libro Benattia.
L’opera si compone di 5 parti: La vita, la malattia, la salute; Le leggi del principio Lola (ARALA);
La fisica quantistica, l’energia e l’anima; Vivere il presente; La benattia. Strutturata com’è, essa
vuole iniziare l’uomo ad una pratica di vita più sana e confacente alla propria dignità e si rivolge a
chi voglia conoscere cosa fare per essere nella “benattia” e, quindi, nella felicità che, diversamente,
è irraggiungibile. L’impostazione viene incontro a quanti s’accostano per la prima volta ad una
siffatta disciplina di vita, ma, in ogni caso, torna a chiunque utile, perché apre a più ampi orizzonti. A
proposito, ecco cosa leggiamo nella Prefazione:
“Uno scopo di questo libro è quello di gettare un seme per informare le persone sulla possibilità di
altre forme terapeutiche, che facciano prendere loro coscienza del significato della malattia, e
permettere alla classe medica di arrivare ad una diagnostica olistica (dal greco “olos”, che significa
“tutto”) e ad una terapia integrata, che tengano conto dell’unità dell’essere (in termini spirituali,
mentali, emotivi e somatici) ed integrino tutti i contributi delle medicine tradizionali (quella cinese,
indiana, egiziana, ecc.) con la strategia operativa dell’omeopatia, dell’omotossicologia e della
medicina omeosinergetica, e anche con quella della medicina convenzionale, nei casi in cui le
procedure terapeutiche adottate da quest’ultima non siano antibiologiche, cioè rivolte contro la vita”.
La “benattia” (ben-attia, il contrario di mal-attia) è la condizione di benessere, fisico e spirituale,
degli esseri viventi e, in particolare, degli uomini che avvertono la malattia, ma non apprezzano, di
solito, la “benattia”, proprio perché si ha difficoltà a riconoscersi e a riconoscere le positività che
sono in ciascuno di noi. Il libro, e perciò il suo autore, si prefigge di avvicinare a questo senso di
benessere, che è la condizione prima dello star bene, quanti hanno bisogno o coloro che, delusi dalla
medicina ufficiale, credono impossibile ridare equilibrio alla propria persona. Per questo, a pag. 21,
leggiamo:
“Altro scopo di questo libro, oltre quello informativo, è di dare un significato al dolore, alla
sofferenza, e di fornire un senso alla malattia, per riattivare il nostro potere di autoguarigione. Se
vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo cambiare prima noi stessi e la nostra visione della realtà
(…). Le malattie si verificano quando non vengono accettate le leggi naturali ed universali della vita,
che stabiliscono come vivere in armonia con noi stessi e con l’ambiente che ci circonda”.
A primo acchito sembra che Oliviero voglia ‘convertire” all’impossibile, non ci si rende subito
conto che in lui c’è l’esigenza di spingere chiunque a credere che noi siamo la chiave di tutto: nel
bene o nel male, siamo artefici di noi stessi; dipende da noi il vivere bene, nel senso di essere in
ottima salute; da noi dipende la resa, il cadere vittima del male o il cedere alle malattie.
L’Autore, che fa di questo pensiero lo scopo stesso della sua vita, lui che vuole “convertire” è il
primo a dirsi convertito, allorché, da medico specialista qual è, amareggiato dal modo di gestire
malattie e malati da parte della medicina tradizionale, piuttosto che continuare a somministrare
antibiotici o sedativi, che, non rimuovendo la causa, si rivelano palliativi ed, inoltre, interagiscono
negativamente sul nostro organismo, ha preferito darsi alla medicina omeosinergetica, perché questa
mette medico e paziente l’uno di fronte all’altro in un rapporto di fiducia e di stima reciproco.
In tutto questo discorso, se il punto focale del libro è l’uomo-persona, non possono non esserci i
riferimenti ai filosofi antichi e moderni che della filosofia facevano e fanno un esercizio di vita teso a
dare sollievo ai malanni fisici, ristoro alla mente e pace allo spirito. Epicuro, Agostino, e poi Kant,
Schopenhauer, Nietzsche, Bergson e, ancora, gli esistenzialisti e Heidegger, sono più o meno
manifestamente presenti e tenuti nella considerazione più adeguata nel corso di tutta la trattazione, di
cui Benattia si compone, che risulta abbastanza ben sostenuta da così valide pezze d’appoggio.
L’Autore necessariamente dà ampio spazio al rapporto tra l’uomo e il tempo, tema caro ad Agostino
come ad ogni filosofo che si rispetti. Il Nostro, riprendendo Bergson e, quindi, Schopenhauer,
Nietzsche e tutto il pensiero orientale, a cui questi filosofi si rifanno, è portato a considerare
importante il presente, il solo a dare senso alla vita, perché coglie l’esistenza. In sostanza, l’essere-
nel-tempo, per l’uomo, significa vivere l’”adesso” senza indugi, perché in esso è la piena
consapevolezza. Solo nel presente l’uomo ha facoltà di decidere, nel bene o nel male, di essere.
Per Francesco Oliviero è nel presente che costruiamo il nostro benessere; il passato e il futuro
vivono rispettivamente nel ricordo e nell’aspettazione, e perciò niente possono dare. Di qui tutta una
serie di suggerimenti, come l’accettazione di sé, il riproporsi, cioè, l’autostima, necessari ad
avvicinare il microcosmo che siamo al macrocosmo, che è l’universo, al quale apparteniamo: il
finito si concreta nell’infinito e realizza un’osmosi, che nelle diverse chiavi di lettura (laiche e
cristiane coincidono) ci restituisce all’eternità.
Questo discorrere ben costruito, e in un linguaggio accessibile e molto convincente, troviamo nel
libro. Ed è un piacere leggerlo, perché, quasi senza rendersene conto, il lettore è preso da
argomentazioni che lo toccano da vicino e lo coinvolgono, essendosele prima poste, anche
inconsciamente, e avendole poi lasciate in sospeso per paura di cadere, magari, in altre crisi ancor
più profonde.
Ma l’uomo non deve cedere alla paura, che è causa di tanti mali. Accettare la realtà, viverla con
consapevolezza, vuol dire stare bene in salute e non inciampare negli ostacoli, perché trovarsi nella
negatività significa attirarne altra.
Le malattie (tumori, AIDS, SARS e tante altre, poco conosciute o ancora a noi ignote), di cui si
parla ai nostri giorni in modo più frequente, che sono la peste mietitrice di tantissime vite umane, non
costituiscono forse ostacolo, perché motivo di paura nascosta per tutti? Ebbene, il medico
omeosinergetico riesce ad allontanarci da queste paure, consigliando di non pensare alle malattie,
come se non ci riguardassero e non ci appartenessero, perché non le vogliamo e non dobbiamo
volerle. Disconoscerle significa pensare al presente, alla vita che è in noi e che dobbiamo far pulsare
con intensità, senza cedere allo sconforto, che è allontanamento dalla vita, rinuncia e, perciò, morte;
quando, invece, questa altro non deve essere che spogliamento del corpo per darci totalmente alla
”Entità superiore” che tutto accoglie e fa rivivere.
Allontanare le paure, vivere! Sembra una rivisitazione del pensiero epicureo, anzi un ritorno ad
Epicuro. E ben venga, se questo comporta la tranquillità del corpo e dell’anima; ben venga, se questo
significa recuperare il meglio che è in noi per essere in sintonia con il creato, che vive per dare vita
e per essere vita della vita.
Francesco Oliviero, con questo suo lavoro, tratta diffusamente questi ed altri temi per ridare fiducia
e volontà di vivere a quanti navigano nel buio della notte, oggi più che mai denso e ricco di facili
vane chimère.
Il nostro auspicio è che Benattia venga letto e diffuso per la consolazione di tutti e giusto premio a
chi, ad onta dei tanti falsi profeti, in essa crede e per essa opera e spende le sue energie migliori.
Salvatore Vecchio
FONTI E RINGRAZIAMENTI
Da circa 20 anni mi è stata data la possibilità di esercitare la professione di medico, e questo libro,
dopo un lavoro durato quattro anni e iniziato nella città di Sarajevo, alla fine della guerra civile nella
ex-Yugoslavia, è nato per i miei pazienti, alcuni dei quali mi hanno motivato a scriverlo durante i
seminari che organizzo periodicamente con loro. Senza i miei pazienti, che sono i primi maestri di me
stesso, la mia vita non avrebbe alcun senso e questo libro non sarebbe mai venuto alla luce, ma
sarebbe rimasto soltanto un’idea.
Lo scopo del libro è integrare in una visione sintetica le esperienze personali vissute
quotidianamente come medico a contatto con le persone, con gli appunti tratti dall’ascolto delle
lezioni del dott. Marcello Monsellato, mio maestro e amico fraterno, che ha creato un nuovo tipo di
medicina (la medicina omeosinergetica), e con i brani tratti da tre libri che ritengo fondamentali per
l’evoluzione di ogni essere umano: Il Principio Lola di Renè Egli, La Fisica dell’Anima di Fabio
Marchesi, Il Potere di Adesso di Eckart Tolle.
Questi tre testi nei capitoli seguenti verranno sintetizzati, perché rappresentano il filo centrale del
mio lavoro, volto al riconoscimento del significato della vita, del senso della malattia e della
riattivazione del processo di autoguarigione. I lettori potranno, se lo desiderano, leggerli
separatamente, magari nell’ordine in cui sono stati elencati, per ritrovarvi gli elementi in comune che
facciano comprendere loro il significato della malattia, intesa nel nuovo significato di “benattia”.
Il lettore troverà le case editrici di questi tre libri nei percorsi di lettura in ultima pagina, in
aggiunta agli altri testi che mi hanno ispirato nella stesura di questi appunti di viaggio.
Dedico un ringraziamento sincero a mia moglie Daniela e alle mie figlie Paola e Simona, e chiedo
scusa per il tempo che ho sottratto loro e per averle trascurate in tutti questi anni, specialmente nei
fine settimana dedicati all’aggiornamento professionale, ai seminari con i pazienti o ai corsi come
docente.
Grazie alla medicina omeosinergetica e al suo creatore, il dott. Marcello Monsellato, ho potuto
compiere come medico quel salto quantico che aspettavo da molti anni e che non riuscivo a
concretizzare, dopo le frustrazioni e le delusioni vissute nello studio e nell’applicazione della
medicina convenzionale studiata all’Università.
All’età di 3 anni, dal momento in cui ho memoria dei primi ricordi della mia vita, ho preso la
decisione di svolgere la professione di medico; oggi, dopo poco più di 40 anni, la mia vita
professionale è ricca di soddisfazioni e di gratificazioni, perché ogni giorno attraverso i miei pazienti
tento di riscoprire il significato della vita e il miracolo dell’amore. Tutto questo lo devo a Dio, che
mi permette di esistere perché io stesso possa manifestare il Suo amore per gli esseri umani, la
Natura e l’Universo, e a tutti coloro che ho incontrato e continuo a trovare in questo percorso
all’interno di me stesso, alla ricerca della luce.
Un ringraziamento particolare al nonno paterno Mario, che per primo mi ha trasmesso l’amore per
la cultura e la scienza (“Nonno, perché esistono le stelle?; perché siamo sulla Terra?”), ai miei
genitori Maddalena e Raffaele, che ho scelto, non per caso, all’inizio del mio percorso terreno, a
Melina Cantilena, che mi ha avviato, attraverso lo studio dei classici della letteratura,
all’introspezione e alla consapevolezza, e a Clementina Cantilena, che per prima mi ha fatto
intravedere le potenzialità insite nella medicina non convenzionale, in un’epoca in cui accostarsi alla
medicina antroposofica era considerato soltanto un esercizio filosofico non attinente alla realtà. La
sua Anima, molto evoluta, è scesa tra noi per mostrarci la strada, e, alla fine del suo percorso
terreno, ha deciso di ritornare alla Fonte della vita.
Grazie anche al prof. Salvatore Vecchio, che ha corretto con un lavoro certosino la prima bozza del
libro, suggerendomi preziosi consigli.
Ed ora, un invito ai lettori: volete percorrere con me questa strada? Se la risposta è sì, iniziate la
lettura senza pregiudizi né preconcetti, non preoccupatevi se all’inizio non comprenderete
completamente il senso delle frasi o dei concetti espressi, ma aprite il vostro cuore e la vostra
Anima. Non intendo rivoluzionare il vostro modo di valutare la vita, la salute e la malattia, vorrei
solo permettervi di vedere alcune sfumature della realtà quotidiana da un altro punto di vista, da una
diversa prospettiva, dando un senso a tutti gli eventi passati della nostra vita, anche a quelli che la
mente ha giudicato spiacevoli e inaccettabili.
Pensate a ciò che si vede dal primo piano di un palazzo di venti piani, e il panorama che si ammira
dall’ultimo piano; l’edificio è lo stesso, chi guarda è lo stesso, il mondo è lo stesso, è cambiata solo
la prospettiva, e con essa le emozioni e la visione della realtà.
Salire ai piani superiori costa fatica, si fanno tanti sacrifici, si compromettono amicizie, si perdono
affetti, ci si sente criticati dalla maggioranza che rimane sotto, dalla massa che inizia a giudicarti,
spesso a offenderti, a calunniarti. Ma nulla può sostituire l’emozione che si prova al ventesimo piano,
e lo sguardo che spazia all’infinito verso nuovi orizzonti.
Grazie a tutti di esistere!
Francesco Oliviero
Palermo, maggio 2003
PREFAZIONE
All’inizio del terzo millennio si avverte la necessità di un cambiamento storico, che restituisca
all’essere umano-paziente la dignità della propria malattia, e all’essere umano-medico il ruolo che
gli compete secondo il paradigma della biologia e del rispetto della vita, nell’ottica di una visione
globale e integrata della realtà. È già in corso una mutazione epocale, che parte dalla consapevolezza
che il medico non debba essere solo uno scienziato, che opera analiticamente secondo “scienza e
coscienza”, ma anche “un operatore dell’arte medica”, in pratica un artista, disposto a comprendere,
grazie alla propria “arte” (derivante da un paradigma non analitico, ma sintetico e globale), il punto
di partenza della malattia e la sua dinamica psico-somatica, cioè mente-corpo.
Ciò è possibile soltanto nel caso in cui il terapeuta riesca a stabilire un contatto empatico con il
paziente, azione quasi impossibile se si adotta la strategia operativa di tipo analitico che viene
insegnata all’Università. Infatti, l’analisi particolareggiata dei singoli organi, tessuti, cellule che
compongono il corpo umano non fa che disperdere e frammentare il contatto tra il terapeuta e la
persona che chiede aiuto perché si ritiene malata.
Uno scopo di questo libro è quello di gettare un seme per informare le persone sulla possibilità di
altre forme terapeutiche, che facciano prendere loro coscienza del significato della malattia, e
permettere alla classe medica di arrivare a una diagnostica olistica (dal greco “olos”, che significa
“tutto”) e a una terapia integrata, che tengano conto dell’unità dell’essere umano (in termini spirituali,
mentali, emotivi e somatici) e integrino tutti i contributi delle medicine tradizionali (quella cinese,
indiana, egizia, ecc.) con la strategia operativa dell’omeopatia, dell’omotossicologia e della
medicina omeosinergetica, e anche con quella della medicina convenzionale, nei casi in cui le
procedure terapeutiche adottate da quest’ultima non siano antibiologiche, cioè rivolte contro la vita.
Soprattutto è necessario che termini la diatriba tra la medicina convenzionale e le altre, perché
anche la “legge dei contrari”, cioè la necessità di dover antagonizzare un sintomo, può e deve essere
applicata dal medico in casi particolari, per esempio, quando al Pronto Soccorso di un ospedale è
giusto per salvare una vita umana durante un’emergenza, o quando si è costretti a eseguire un
intervento chirurgico per asportare un organo o un tessuto danneggiati in modo irreversibile dal
processo patologico.
Un farmaco molto potente, ma anche con tanti effetti collaterali, come il cortisone, ha salvato e
continua a salvare vite umane in caso di shock allergico di tipo anafilattico con edema della glottide,
che provoca impossibilità a respirare e conseguente soffocamento. Ma non è vero che il cortisone e
gli antibiotici abbiano potuto allungare la vita media dell’uomo, come sostenuto dalla maggior parte
dei medici, mentre ciò è sicuramente avvenuto in concomitanza con le migliori condizioni di vita e di
igiene ambientale raggiunte negli ultimi cento anni.
Ciò, inoltre, non significa che il medico debba utilizzare un farmaco salvavita come il cortisone per
prevenire le crisi asmatiche, o un antibiotico (sempre più potente, altrimenti non agirebbe in seguito
alle resistenze batteriche) per prevenire la bronchite in un bambino che lamenta soltanto tosse! Molti
pazienti riferiscono che spesso l’antibiotico in un caso come questo viene prescritto dal medico al
telefono, e ciò avviene in molti casi solo per placare l’ansia della mamma, preoccupata che la tosse
del bambino sia l’inizio di una patologia grave dei bronchi e dei polmoni!
Occorre cercare invece di comprendere perché il bambino asmatico sia diventato tale, senza
fermarsi al ragionamento analitico e superficiale che “tanto anche la madre è allergica, e da piccola
soffriva di crisi asmatiche, poi scomparse”! Non si può focalizzare l’attenzione solo sul discorso
costituzionale ed ereditario, ma si deve andare alla radice del problema, anche perché occorre
evitare che nel bambino avvenga quello che è successo alla madre, che da piccola era asmatica, e
dopo la scomparsa delle crisi respiratorie durante l’adolescenza (in seguito all’effettuazione per anni
di tutte le terapie soppressive del caso), era diventata obesa in età adulta! Per quale motivo si è
verificata l’obesità? Perché è presente una tossicosi metabolica, cioè un tessuto connettivale (posto
tra le cellule sia per un’azione di sostegno, sia per le funzioni, molto più importanti, di scambi
metabolici e di attivazione delle difese immunitarie) impregnato di tossine, cioè di sostanze nocive
che non riescono a essere espulse dall’organismo. Come si è instaurata la tossicosi metabolica? Per
una scarsa capacità di drenare, cioè eliminare tossine attraverso gli organi emuntoriali (apparato
urinario, intestino, cute, polmoni).
Che cosa ha determinato quest’impossibilità di espellere tossine dall’organismo? Numerose cause,
tra le quali sicuramente vi sono le terapie soppressive somministrate durante l’infanzia per l’asma e
successivamente per i ripetuti processi infiammatori dell’apparato respiratorio da cui spesso è stata
affetta. In che rapporto questa patologia “iatrogena” (dal greco iatros: medico) si pone con l’obesità?
Se si conoscesse l’agopuntura cinese, si saprebbe che il processo asmatico, che si sta svolgendo sul
meridiano del polmone, era iniziato in tenera età dal meridiano del grosso intestino (il colon),
probabilmente per un malassorbimento della mucosa nei primi anni di vita, con intolleranza ad alcuni
alimenti (ad esempio, il latte) e per un successivo processo di disbiosi (alterazione e distruzione
della flora batterica intestinale a opera degli antibiotici).
Se si chiede alla paziente come si svolge il proprio alvo, o meglio le si fa una domanda diretta:
“Ma lei è stitica?”, spesso ci si sente rispondere: “Certo, dottore, da sempre! Pensi che ero la
disperazione di mia madre! Purtroppo anche mio figlio ha preso da me, ha ereditato la mia
costituzione!”.
Ecco un semplice esempio di come, per curare un asma bronchiale in un bambino, occorre trovare
l’organo di partenza (l’intestino) della catena causale che porta alla malattia che si localizza come
organo effettore sul polmone, interrogare la madre o il padre sulle loro patologie, e, se necessario,
curare in alcuni casi anche l’assetto psicologico di coppia dei genitori, che fanno assorbire le loro
preoccupazioni vitali al bambino (che si comporta come tutti i suoi simili come una “spugna” delle
emozioni negative e dei conflitti ansiogeni delle figure di riferimento).
Trattare l’intestino colon per curare l’asma, risolvendo una disbiosi o un malassorbimento della
mucosa intestinale, può sembrare assurdo alla medicina convenzionale, ma questo concetto si ritrova
in tutte le medicine tradizionali, che hanno più di 4000 anni, e proprio per questo sono molto più
profonde e globali della nostra, che ha instaurato l’era farmacologica vera e propria poco più di 70
anni fa, con la scoperta della penicillina da parte di Fleming, nel 1928.
La cosa meravigliosa per alcuni, e al tempo stesso sconcertante per la maggior parte dei medici, è
che l’esempio prima riportato è solo un caso clinico, che non sarà mai uguale a un altro, perché in
natura non esistono due uomini uguali, così come non esistono due foglie uguali o due stelle uguali,
ma solo simili.
Pertanto per ogni paziente dovremo adottare una strategia diversa, che, partendo dalla sua
individualità, ci conduca, attraverso un ragionamento analogico e sintetico, alla causa o agli eventi
plurifattoriali che hanno determinato il fenomeno sintomatologico che stiamo osservando, che non è
altro che la punta di un iceberg.
I veri operatori dell’ars medica dovrebbero immergersi sotto la superficie dell’oceano nel quale
galleggia l’iceberg-uomo, per scoprire le sue dimensioni e le sue caratteristiche, capire perché si è
formato e in quale direzione di deriva sta andando. In tal modo, usando una strategia operativa
diversa da caso a caso, che tenga conto possibilmente di tutte o della maggior parte delle medicine
tradizionali, si potrebbe realmente guarire il paziente e restituirlo a uno stato di salute.
Guarigione è soltanto un concetto soggettivo, relativo al paziente e non al terapeuta; i medici non
possono affermare: “Il soggetto è guarito!”. È la persona che alla visita successiva dovrebbe far
capire al terapeuta che si sta avviando verso la guarigione, dicendogli: “Mi sento meglio, più attivo,
meno stanco!” E quando sarà guarito, la sua affermazione di conferma dovrebbe essere: “Sono grato
alla malattia da cui ero affetto, perché ha cambiato la mia vita!” .
Gli operatori della salute non dovrebbero avere la presunzione di dichiarare in modo soggettivo la
guarigione del malato, così come non dovrebbero sostenere che la salute equivalga ad assenza di
malattia. I modi di curare possono essere tanti, ma l’ars medica è una soltanto, e a essa occorre
riferirsi se i medici intendono continuare la strada dei numerosi terapeuti che nel corso della storia
hanno dedicato le loro vite a lenire sofferenze e dolori dei propri simili.
Non basta un’intera vita di studio a ripagare il sorriso di un bambino, restituito alla salute, o
l’affermazione di una paziente, che alla visita successiva dice al proprio medico: “Dottore, mi
accorgo che la mia vita sta cambiando e che sto meglio con me stessa e gli altri”. Ed è bellissimo
quando il paziente arriva per la prima volta allo studio perché consigliato dall’amico o dal parente,
perché questa è la dimostrazione diretta della qualità del lavoro svolto, e della sua profondità, come
conferma che la professione medica dovrebbe nascere dal “prendersi cura della gente”.
Ecco cosa afferma Harrison in Principi di Medicina Interna, un trattato di medicina convenzionale:
“La pratica medica combina scienza e arte. II ruolo svolto dalla scienza è evidente: la tecnologia
che da essa deriva è il fondamento per la soluzione di molti problemi clinici; le stupefacenti
conquiste delle metodiche biochimiche e delle tecniche biofisiche che permettono l’accesso alle più
remote parti dell’organismo sono, infatti, il prodotto di questa scienza, come lo sono molte delle
manovre terapeutiche che sempre più divengono parte della pratica medica.
Ma la sola abilità nell’applicazione delle tecniche di laboratorio più sofisticate o l’uso delle più
moderne terapie non sono le sole caratteristiche del buon medico. La capacità di estrarre da una
massa di reperti obiettivi contraddittori, o da una pagina stampata da un computer fitta di risultati
strumentali, quegli elementi che assumono importanza cruciale, la capacità di decidere in un caso
difficile se “trattare” od “osservare”, la capacità di determinare quando un dato elemento clinico è
meritevole o meno di approfondimento, e la capacità di stimare in ogni paziente se un particolare
trattamento crea un rischio maggiore che non la stessa malattia, sono tutti aspetti che ogni medico, in
quanto esperto della clinica, deve analizzare molte volte al giorno.
Questa combinazione di conoscenza medica, intuizione e giudizio è nota come Arte della Medicina:
nella pratica medica questa è altrettanto importante di una profonda conoscenza scientifica. Anche se
molte delle conoscenze scientifiche di base si sono espanse e continueranno a farlo, il compito
fondamentale del medico, cioè quello di avere cura del paziente, rimane invariato.
Dal medico ci si aspetta tatto, comprensione e attenzione in quanto il paziente non è una semplice
collezione di sintomi, segni, funzioni alterate, organi lesi o sensazioni disturbate. Egli è invece un
essere umano con paure e speranze, che cerca sollievo, aiuto e assicurazione.
Per il medico, come per l’antropologo, nulla dell’uomo è strano o ripugnante. Il misantropo può
divenire un abile diagnosta delle malattie organiche, ma ha pochissime possibilità di riuscire come
medico. Il vero medico ha un interesse profondo per il saggio e per il pazzo, per l’orgoglioso e per
l’umile, per l’eroe stoico e per il vagabondo lamentoso: egli si prende cura della gente”.
Un’ultima raccomandazione per i lettori. Alcune parti del libro sono specificamente più tecniche, e
contengono alcuni termini e concetti medici o scientifici che possono risultare un po’ difficili da
comprendere; se ne capite solo in parte il significato, non preoccupatevi, e andate avanti nella lettura,
perché è importante intuire ciò che è presente dietro le parole e le nozioni concettuali, per acquisire
una nuova visione dei dati di realtà, una consapevolezza non più parcellata e frammentata, ma
globale e sintetica.
Per alcuni lettori, si spera per la maggior parte, potrebbe essere importante rileggere le pagine
inizialmente non comprese completamente, per constatare l’acquisizione dei nuovi concetti, e intuire
che probabilmente gli stessi erano già presenti all’interno della coscienza individuale di ognuno, e
solo dimenticati. Infatti, ciò che scopriamo come nuovo fa già parte della nostra realtà interiore e
profonda; lo avevamo solo smarrito.
Buon lavoro ai medici-artisti e buona lettura a tutti!
PRIMA PARTE
LA VITA, LA MALATTIA E LA SALUTE
LA MEDICINA OMEOSINERGETICA:
NUOVA FORMA DELL’ARS MEDICA
La medicina omeosinergetica parte dal presupposto, come la maggior parte delle medicine non
convenzionali, che non è più possibile considerare l’uomo alla stregua di una macchina divisa in vari
settori, ma occorre valutarlo come un essere vivente unico, animato da uno spirito che lo permea e lo
anima, e che può essere riequilibrato energeticamente adottando le forme terapeutiche più antiche,
che sono bagaglio ancestrale dell’umanità nel corso della storia.
Solo in tal modo l’essere umano può arrivare all’accettazione di comportamenti armonici alla
consapevolezza e al ritrovamento di se stesso, attraverso il riconoscimento dello spirito che dimora
in ognuno come energia di vita. Su questi concetti si articola tutto il libro, e il lettore non deve
preoccuparsi se all’inizio alcuni di essi gli sembreranno incomprensibili o assurdi; l’obiettivo è
proprio quello di “tentare di conoscere l’ignoto, senza avere la pretesa di intuire l’inconoscibile”,
come afferma il filosofo Osho, il “Maestro di Realtà” morto nel 1990, che con la sua vita riuscì a
spiegarci come giungere all’illuminazione.
La nuova definizione della salute e della malattia non è ancorata a una base materiale e
unidimensionale, ma si muove su un livello spirituale e multidimensionale, sostituendo l’approccio
analitico convenzionale con una visione sintetica e olistica. L’obiettivo di questa nuova medicina
psicospirituale, creata dal dott. Marcello Monsellato e definita omeosinergetica, è la trasformazione
del malato da passivo ad attivo, da vittima a creatore responsabile del suo stato di salute e della sua
guarigione, da soggetto che “si lascia vivere” ad arbitro e padrone del suo destino.
Fino a oggi abbiamo sviluppato e accettato una visione dualistica della salute e della malattia,
considerando quest’ultima come cattiva e indesiderabile. L’evoluzione della nostra coscienza
dovrebbe invece portarci ad accettare e vivere la malattia come amica, come un invito alla vita che
comporta sia dei rischi sia delle opportunità, e che porta sempre con sé un messaggio importante: lo
stimolo fondamentale della sofferenza a farci cambiare, a trasformare qualcosa nella nostra vita, nel
nostro modo di pensare, di sentire, di volere, di parlare e di agire. In altre parole, ci avverte che non
possiamo continuare a vivere come facciamo in questo momento, e ci fornisce la possibilità di salire
a livelli di coscienza superiori.
Se una persona non sa perché è venuta in questo mondo e qual è il suo compito, se reprime la voce
della sua Anima, della scintilla divina che è in lui, allora perderà la sua armonia interiore e
svilupperà la malattia, che rappresenta un segnale d’allarme che ha come scopo quello di darle
l’opportunità di cambiare le sue attitudini, il suo comportamento e la direzione della sua vita,
rivalutando così lo scopo essenziale della sua esistenza. Purtroppo, la maggior parte dei medici,
grazie a una farmacopea sempre più complessa e sofisticata, cerca di far tacere la voce della
coscienza del nostro corpo, e interpreta il suo linguaggio come sintomi da eliminare al più presto,
quasi mai come messaggi che inducono al cambiamento. Ogni volta che somministriamo un farmaco
chimico, determiniamo nell’individuo che lo assume, e quindi nel suo sistema biologico, tre tipi di
risposte, che vanno da un livello più fisico a uno più profondo.
In primo luogo, lo intossichiamo, cioè aumentiamo il suo stato di tossicosi metabolica, grazie agli
effetti collaterali. In secondo luogo, facciamo in modo che il problema si sposti in un punto
dell’organismo più profondo, secondo le vie dell’energia (i meridiani di agopuntura), cioè inibiamo
la risposta di quell’organismo che stava tentando la via di escrezione delle tossine all’esterno, e
determiniamo una vicariazione, cioè uno spostamento di esse, in modo progressivo verso la
profondità del corpo, verso le sue parti più nobili, gli organi più importanti e la mente (vicariazione
progressiva). In ultimo, diamo al paziente l’illusione che possa essere guarito, senza rimuovere la
causa del problema, che quindi si manifesterà di nuovo per dar segno di sé con nuovi fenomeni, che
chiameremo per l’ennesima volta sintomi ( e magari andremo da uno specialista diverso dal primo,
che terrà conto solo degli organi che sono di sua competenza, senza discernere la causa, per cui il
ciclo si amplificherà ancora, all’infinito, o almeno fino a quando questa via crucis terminerà in una
malattia cronico-degenerativa o tumorale). I dolori, le infiammazioni, la febbre ci dicono che
qualcosa va cambiato nel nostro modo di essere e nella nostra vita, e noi non facciamo altro che
sopprimerli, ignorando il linguaggio dell’Anima, la coscienza intuitiva che cerca disperatamente di
richiamare l’individuo alla vera salute, e lo induce a usare il proprio potenziale e a realizzare il
proprio destino.
La cosa più importante è di poter capire e decifrare il linguaggio delle diverse voci della nostra
coscienza. In questa prospettiva le malattie non sono dei mali assoluti, ma delle reazioni necessarie
per ristabilire l’equilibrio del corpo e l’armonia della psiche. Nelle profondità del nostro essere e
della nostra coscienza esiste la scintilla divina, una sorgente di vita e di amore che silenziosamente
ci guida e aspetta il grande giorno del suo risveglio cosciente. Questo è il vero “natale” personale, e
il cuore della medicina dell’avvenire, che sarà sempre più spirituale, e che dovrebbe diventare una
filosofia di vita, un modello esistenziale antropologico e universale.
Quale dovrebbe essere una forma ideale di medicina? Una vera medicina umanizzata non dovrebbe
basarsi sulla paura dei medici, come si verifica nella medicina convenzionale, né dovrebbe
svilupparsi sul rifiuto della malattia da parte dei pazienti (perché la maggior parte delle persone non
accetta di essere malata). Inoltre dovrebbe facilitare la presa di coscienza dell’energia vitale
presente in ogni essere umano, e prendere in considerazione la sua Anima, che attraverso la terapia
deve riconoscersi ed evolvere, dopo aver definito e accettato le cause dei problemi, permettendo
così di risolverli.
Tale medicina, definita “omeosinergia” (da hómoios, simile, syn-ergìa, cooperazione energetica) è
un paradigma di vita, una educazione alla vita, un metodo olistico che considera non solo il fisico,
l’emozionale, il mentale, ma anche lo spirituale, nel senso di armonia micro-macrocosmo, “l’altro da
sé”, inteso come specchio delle nostre istanze interiori consce e inconsce.
Questa medicina deve rappresentare l’inizio di un viaggio che alla fine porterà a ricercare se stessi
e a dare un senso e una risposta ai vari “perché” legati alla vita. Essa non può preoccuparsi solo di
curare la malattia, ma deve guarire le modalità psicodinamiche che portano alla malattia stessa,
occupandosi delle paure e dei sensi di colpa che spesso limitano la libertà di esprimerci e di essere,
e portando l’individuo alla felicità. Approfittando del sintomo, tale medicina deve mettere in luce
quei comportamenti antibiologici (cioè contro la vita) che, solo se cambiati, possono portare alla
scomparsa assoluta del sintomo e alla vera, unica, profonda guarigione dell’individuo.
Oggi manca la progettualità, siamo come barche alla deriva, senza alcuna responsabilità della
nostra vita. L’errore più grande nelle relazioni umane è preoccuparsi di ciò che fanno gli altri; in tal
modo nasce il conflitto, e si crea una relazione perversa tra vittima e persecutore. La realtà è invece
che ognuno di noi è artefice del proprio destino, per questo gli altri non c’entrano nulla.
Il terapeuta deve risvegliare nel paziente la sua capacità di autoguarigione, il medico interiore che
è in lui, valorizzando i propri difetti, non i propri pregi. L’unica maniera che abbiamo per poter
amare gli altri è amare noi stessi, riconoscendo in primo luogo i nostri difetti, poi accettandoli con lo
scopo di evolvere e cambiare la nostra vita; se non abbiamo stima di noi stessi, se non ci accettiamo,
non potremo mai avere stima degli altri e accettarli, non potremo mai guarire.
Come vedremo in seguito, la guarigione si può raggiungere solo attraverso l’accettazione dei
comportamenti degli altri, che anche se superficialmente appaiono diversi o addirittura opposti ai
nostri, sono simili in profondità. Solo tale accettazione può essere finalizzata all’armonia, alla
consapevolezza e al riconoscimento di se stessi.
L’accettazione dei comportamenti altrui, simili ai nostri, nasce dalla constatazione della “legge
dello specchio”, che afferma che quello che vediamo negli altri che ci circondano è sempre la
proiezione di ciò che è dentro di noi. Quindi, entriamo in relazione con gli altri in conformità a
quello che viviamo di noi stessi. Infatti, la qualità della vita che ogni singolo individuo sperimenta
nel corso della sua esistenza è il prodotto di tre componenti: la relazione con la propria immagine, la
relazione con gli altri e gli effetti di tali relazioni sul quotidiano, cioè la relazione con la vita stessa.
La relazione con gli altri dipende dall’immagine di sé; gli altri non fanno che rispondere, in un
costante ciclo di feedback, cioè di retroazioni, rimandandoci come uno specchio quelle reazioni
suscitate dal nostro agire. In quest’ottica, tutte le malattie nascono da pensieri ed emozioni negative
che, alterando il fisiologico funzionamento delle ghiandole endocrine, portano a una disregolazione
del sistema immunitario, del metabolismo, del sistema neurovegetativo.
Ogni volta che si fa un confronto, che si emette un giudizio o si fa una critica, oppure si prova ira,
odio, gelosia, avidità, orgoglio, paura, ogni volta che si vuole possedere, ogni volta che ci si attacca
troppo alle proprie opinioni, ogni volta che si vive nel passato o nel futuro anziché nell’unico tempo
esistente, che è il presente, ci si stressa e ci s’intossica.
Ogni volta che giudichiamo, non facciamo altro che dividere il bene dal male, e lo stesso fanno i
medici, quando usano il concetto di salute e malattia per frammentare le coscienze, compiendo
inconsapevolmente un abuso di potere.
Quando giudichiamo, condanniamo solo gli aspetti di noi stessi che vediamo negli altri. Quindi
condanniamo negli altri ciò che non sappiamo ancora accettare in noi stessi. Proseguendo nella
lettura di questo libro, vedrete come sia possibile che “il male sia quel bene che non sappiamo
ancora accettare”, e come “il negativo sia quel positivo che non sappiamo ancora riconoscere”.
Queste affermazioni sembrano in apparenza molto difficili da comprendere, ma lo scopo del libro è
quello di dimostrare che solo mettendo da parte il ragionamento analitico e logico della mente
possiamo tentare di raggiungere la dimensione più profonda della nostra Anima, che rappresenta ciò
che di spirituale ed eterno è in noi, e ci collega con tutto l’Universo.
Questo è il motivo per cui occorre attuare una medicina che aumenti il livello di salute attraverso la
legge dello specchio. Quando il medico accetta il paziente, riconosce se stesso e diventa il miglior
farmaco per lui. Entrare in risonanza con il paziente significa far aumentare i suoi meccanismi di
difesa. Solo se di fronte al paziente il medico vede se stesso, può curarlo. Quindi, se si riconosce
nell’altro, entra in risonanza, se non si riconosce, entra in dissonanza; in quest’ultimo caso,
constatando la diversità del paziente, lo indebolisce.
Ciò con cui interagiamo è già parte di noi. I medici o i terapeuti dovrebbero riconoscersi nella
persona che chiede loro aiuto, facendole capire che è lì per arricchire proprio loro. Se non esiste un
canale aperto, non ci può essere intuizione; se il terapeuta riesce a capire perché la persona è davanti
a lui, cosa gli vuol dare, allora subentra la vera ars medica.
Una medicina spirituale dovrebbe tendere proprio a risvegliare l’uomo. Infatti, la maggior parte
delle persone nascono dormendo, vivono dormendo, si sposano dormendo, sono immerse nel sonno.
È importante risvegliarsi, però può essere spiacevole. Molti formulano inconsciamente la richiesta
che il terapeuta permetta loro di aggiustare i propri giocattoli rotti (“ridatemi la moglie, i soldi, il
successo, il lavoro, la salute”), avere nuovi giocattoli. Queste persone cercano il sollievo dai propri
sintomi, una cura sarebbe troppo dolorosa, la guarigione attiverebbe un cambiamento che per paura
non sono pronte a iniziare né vogliono attuare.
È vero, infatti, che il processo di guarigione, che essenzialmente ha il significato di raggiungere un
cambiamento, è un affare rischioso; se si lascia accadere in tutto e per tutto, ciò che si è adesso
cesserà di esistere. Il problema è che abbiamo identificato la stasi con la sicurezza e il cambiamento
con i guai; così perdiamo delle occasioni per ricordarci cosa siamo veramente, e come eravamo.
Inoltre una medicina spirituale dovrebbe tenere in alta considerazione la relazione medico-
paziente, terapeuta-persona, individuo-ambiente, in un contesto dove tutto è energia. È tale relazione
che, associata alla terapia, può portare alla guarigione. Quest’ultima è per il 90% animica-
emozionale (cioè riguarda l’anima e il rinnovamento delle emozioni), e per il 10% dipende dalla
terapia. La cura è a opera del medico, la guarigione è solo del paziente.
Il problema non è mai il paziente, o il medico, ma l’interazione tra i due, di cui spesso si ha paura.
Inoltre occorre tener presente che il primo passo per ogni guarigione è la responsabilizzazione del
paziente, che deve prendere coscienza di quello che succede, del significato della sua malattia,
acquisendo la cognizione che la crescita della consapevolezza è sempre un processo graduale, legato
ai suoi tempi e ritmi.
È proprio nelle relazioni interpersonali e nelle conseguenti modalità reattivo-comportamentali che
nasce la patologia. La patologia è figlia della società, della cultura, del modo di vivere. La malattia è
l’espressione di un rifiuto della vita, per come si sta manifestando, rifiuto di ciò che si sta vivendo,
rifiuto dell’esperienza. È la traduzione della nostra realtà inconscia che stiamo rifiutando. Porta alla
luce il rifiuto, trasformandolo in un riflesso alchemico. Infatti, occorre operare l’alchimia della
trasformazione, attraverso la presa di coscienza: non c’è bisogno di fare, ma di essere.
La malattia è quindi un’opportunità della natura e della vita per mettere ordine nel nostro disordine
interiore, per compensare i nostri squilibri profondi, un meccanismo di compensazione di una
disarmonia animica, uno sgravio verso l’esterno per far sì che l’anima respiri, un tentativo di
compenso di un’incapacità di vivere la vita.
La sofferenza è un linguaggio che l’essere umano utilizza, nella sua complessità, per esprimere il
proprio disagio, è un mezzo che la vita ci offre per essere consapevoli di qualcosa che non
conosciamo ancora. In genere non si muore mai di una malattia, ma del modo in cui la viviamo e la
pensiamo, perché pensare vuol dire creare. Quest’ultima affermazione sarà ampiamente spiegata in
seguito, per cui non abbiate paura di non comprendere ancora questo concetto; quando arriverete ad
avere una maggiore consapevolezza, tutto vi sembrerà più chiaro, e ritornando a rileggere questi
paragrafi, comprenderete ciò che prima vi sembrava impossibile. Quindi non preoccupatevi, perché
il libro è stato scritto proprio per aumentare il vostro livello di conoscenza, e andando avanti nella
lettura verrà spiegato sempre più in profondità il senso di affermazioni che inizialmente possono
anche sembrare sconcertanti.
LE LEGGI DELLA VITA
Altro scopo di questo libro, oltre quello informativo, è di dare un significato al dolore, alla
sofferenza, e di fornire un senso alla malattia, per riattivare il nostro potere di autoguarigione. Se
vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo cambiare prima noi stessi e la nostra visione della realtà,
della vita e della morte, della salute e della malattia. Tutto ciò che esiste nell’universo è dotato di
vita, di coscienza e quindi di uno scopo finale. Tutto ciò che vive è dinamico, in evoluzione, quindi
deve cambiare. La grande legge della vita è la legge del cambiamento.
Perché esistono le malattie? E cosa sono? Le malattie si verificano quando non vengono accettate le
leggi naturali e universali della vita, che stabiliscono come vivere in armonia con noi stessi e con
l’ambiente che ci circonda.
Per essere in buona salute bisogna non soltanto sapere chi siamo e cosa siamo venuti a fare su
questa terra, ma anche rispettare le leggi di Dio, della natura, del nostro essere e della vita. La
malattia è una disarmonia che segue la violazione cosciente o incosciente di queste leggi, che
esistono dalla notte dei tempi. Queste leggi, che dovrebbero essere attivate e rispettate da una
medicina spirituale e a misura d’uomo, sono le seguenti:
1) Legge del significato universale della vita: “Nella vita tutto ha un senso”
“Tutto ciò che è” esiste per un motivo, tutto è perfetto, quindi anche gli eventuali errori che
commettiamo sono una delle possibili soluzioni dei problemi, e rappresentano in ogni caso
un’esperienza. Il “tuo senso” è come sei fatto, non come vorresti essere. Anche la malattia ha un
senso. Quindi tutto ciò che ci succede, che viviamo nel mondo, anche la sofferenza e la malattia, ha
un significato e un valore per la nostra crescita, evoluzione e realizzazione, ed è proprio questo che
dobbiamo scoprire, attraverso l’espansione, approfondimento ed elevazione della nostra coscienza.
Ad ogni esperienza vissuta nel passato occorre dare un significato, anche a quelle spiacevoli e
inaccettabili, altrimenti è impossibile vivere il presente, l’attimo fuggente, e ci lasciamo
condizionare e influenzare dall’ansia anticipatoria del futuro, pregna delle nostre paure e angosce che
non riusciamo a controllare.
2) Legge dello specchio: “Ciò che vediamo negli altri è una nostra proiezione”
Ogni persona con cui ci confrontiamo è un nostro specchio, che ci aiuta a capire come siamo. La
guarigione si può raggiungere attraverso l’accettazione degli atteggiamenti o comportamenti altrui,
che solo superficialmente sono diversi dai nostri, mentre in profondità sono simili, e che per tale
motivo devono essere armonici alla consapevolezza, al riconoscimento e al ritrovamento di se stessi.
L’accettazione dei comportamenti degli esseri umani che ci circondano deve tener conto proprio
della “legge dello specchio”, che afferma che quello che vediamo negli altri è la proiezione di ciò
che è dentro di noi. La consapevolezza deve essere un processo non di volontà, ma di sensazione, di
scoperta, di “mettersi allo specchio”. Guardiamoci allo specchio, e pensiamo di avere tanti specchi
(il partner o la partner, i figli, ecc.) attraverso i quali esprimiamo noi stessi.
4) Legge del simile: “Il simile attira il simile; il simile cura il simile”
La legge del simile o della risonanza afferma che energie simili attraggono particelle simili a causa
dei loro campi elettromagnetici. È solo in superficie che gli opposti si attraggono, in profondità è il
simile che attira il simile. Noi attiriamo ciò che risuona in noi. Se diciamo bugie attiriamo persone
che dicono bugie, perché attiriamo ciò che abbiamo dentro. Noi attiriamo ciò che non abbiamo
ancora superato, ciò di cui abbiamo paura, ciò di cui abbiamo bisogno. Da tale legge si può ricavare
che “il simile cura il simile”; questa è il paradigma chiave della medicina omeopatica.
5) Legge di azione-reazione: “Ogni pensiero torna a chi l’ha trasmesso. Così come semini,
raccoglierai; così come giudichi, verrai giudicato”
Noi trasmettiamo pensieri; questa è l’azione. Ciò che torna a noi, prima o dopo, è la reazione. Se
critichiamo una persona, il pensiero ci tornerà indietro dopo un certo periodo di tempo come
problema di salute, o come evento vitale negativo. Anche dire bugie a se stesso e agli altri
indebolisce l’organismo, e ci fa ammalare. Dire bugie è anche dare la responsabilità agli altri dei
nostri problemi, colpevolizzandoli. Colui che pensa egoisticamente solo a se stesso, e non all’altro,
che giudica continuamente sul bene e sul male, che scarica sugli altri le proprie responsabilità, prima
o poi si ammala. La legge di azione-reazione è il segreto della vita, che abbiamo dimenticato, e vale
non solo per i pensieri, ma anche per le azioni, ecco perché è importante “non fare agli altri quello
che non vuoi che gli altri facciano a te”. Ciò che facciamo agli altri ci ritorna indietro con gli
interessi. La legge di azione-reazione, o di causa-effetto (o legge del Karma) assicura il
ribilanciamento dell’energia nel campo energetico cosmico, nella Matrice Energetica, nella quale per
ogni azione ci deve essere una reazione equa e opposta. Qualsiasi energia venga sprigionata, da parte
di un essere, attirerà delle particelle simili per poi ritornare. L’energia si contrae e si espande; quindi
se viene emessa energia di natura negativa, essa si contrarrà per ritornare alla propria sorgente di
emissione dopo l’espansione iniziale, e porterà con sé altra negatività. La stessa cosa è vera rispetto
all’energia positiva.
7) Legge dell’immanenza divina: “Dio, la sorgente ed essenza della vita e dell’amore si trova
nelle profondità della nostra coscienza”
In questo mondo fisico non esiste separazione tra noi e Dio. Questo mondo è Dio, Dio è questo
mondo. Stiamo vivendo dentro il nostro Dio e ne siamo parte integrante, così come un aspetto del
nostro Dio è parte integrante di noi e vive dentro di noi. La realtà ultima da cercare si trova proprio
in noi, nelle parti più profonde del nostro essere, quindi per entrare in contatto con qualche parte
dell’Universo bisogna prima “risvegliarla e attivarla” vibratoriamente in se stessi. Il cosmo esterno,
con tutte le sue dimensioni, i suoi esseri e i vari eventi (il piano fisico, emotivo, mentale e spirituale,
gli esseri umani e gli animali, così come tutte le esperienze umane), è un enorme specchio magico
della nostra stessa natura e un enorme laboratorio per l’evoluzione delle nostre potenzialità. Il mondo
esterno con le varie situazioni che offre è quindi il vero “labirinto” per arrivare al centro del nostro
essere, ove risiede il Sé con tutti i suoi tesori. Quando una persona ha capito ciò e fa sua questa
prospettiva, tutte le esperienze umane rivelano un significato e un valore come catalizzatori e
stimolatori per la scoperta di se stessi e l’unione cosciente con la scintilla divina in noi. L’uomo è
veramente un grande Universo, per la maggior parte ancora sconosciuto, fatto “ad immagine di Dio”,
cioè della Realtà, quindi una sintesi di tutto ciò che esiste, microcosmo nel macrocosmo. In natura
ogni struttura (dall’atomo alle galassie di stelle) ha un centro con una periferia a esso collegata,
quindi c’è sempre una costruzione analogica intimamente collegata tra ciò che è piccolo e ciò che è
grande, tra ciò che è in basso e ciò che è in alto.
8) Legge dell’eternità della vita: “La morte non esiste, esiste solo la vita”
La morte del corpo fisico è solo un passaggio dell’Anima a un’altra dimensione o frequenza
vibratoria, a un altro livello di coscienza. L’Anima, la parte spirituale ed essenziale dell’essere
umano, esiste sia prima che dopo la morte del corpo fisico e si congiunge a esso nel mondo fisico per
realizzare tutte le sue facoltà e potenzialità, e per compiere il destino che le è stato dato da Dio.
9) Legge dell’evoluzione: “Lo scopo della vita sulla Terra è quello di evolvere, di realizzare la
scintilla divina che dimora nel profondo del nostro essere”
Questa è l’unica prospettiva che può veramente portare alla pace profonda, alla riconciliazione
degli opposti e della dualità e alla vera accettazione di tutti gli aspetti della propria natura e del
mondo. Dopo aver scoperto e vissuto il senso globale della vita nel mondo fisico (che è quello di
evolvere, anche a prezzo di correre rischi e di dover soffrire), allora arriviamo a comprendere che
siamo venuti in questo mondo per “svolgere un certo compito”, e solo la sua realizzazione può darci
la vera felicità. Questo compito può realizzarsi attraverso la legge dell’evoluzione, o della
trasmutazione alchemica: tutto cambia continuamente, perché l’unica realtà consistente nell’Universo
è l’indistruttibilità dell’energia e il suo cambiare di forma. Ogni condizione della vita può essere
trasformata in gioia e bellezza; accettando qualsiasi cosa, possiamo trasmutare esperienze e
condizioni di vita negative in positive, possiamo anche ricevere il potere di trasformare i nostri
desideri spirituali e i nostri sogni per farli diventare manifestazioni tangibili e materiali. Questa
alchimia è il potere di Dio in azione, è eterna e immutabile.
10) Legge del cambiamento: “Cambiando noi stessi, possiamo cambiare il mondo”
Cambiando il nostro stato di coscienza, il nostro modo di pensare, di sentire e di volere possiamo
cambiare la nostra vita e il nostro modo di essere, siamo cioè in grado di cambiare il mondo.
Questa è la via per diventare creatore e creatura, artista e opera d’arte del nostro essere, padrone
della nostra vita e arbitro del nostro destino.
Se rispettassimo queste leggi, potremmo restituire alla vita la sua dignità energetica, la sua
luminosità, risalire dalla umida terra agli spazi del cielo dove un giorno di 4700 milioni di anni fa
scoccò sulla Terra la prima scintilla che diede luce alla vita, e che da allora continua, con la luce del
sole, a ricreare.
La legge fondamentale dell’essere umano, la vera chiave della sua integrità e della sua grandezza è
la sua autonomia, dal greco autonomos (seguire la propria legge interiore, essere fedeli a se stessi).
La malattia essenziale, la patologia più profonda e la vera disarmonia consistono nel non riconoscere
più se stessi, Dio e la Natura, e quindi non potersi esprimere veramente e compiere ciò che si è
venuti a realizzare in questo mondo; si diventa stranieri a se stessi, all’Universo, alla vita, e non si
riesce a capire cosa fare e cosa non fare, come adoperare le proprie energie in modo armonico e
creativo.
Il male fondamentale consiste nel disconoscere Dio (quindi se stessi), nell’essere separati da Dio
(quindi dal sé interiore) e nel non conoscere e fare la sua volontà (quindi il proprio dovere). Se
questi presupposti continuano a esistere, allora tutti i rimedi terapeutici servono a ben poco.
Tutti gli stressors richiedono all’individuo un adattamento in funzione del carattere acquisito nel
corso del tempo, del patrimonio genetico e dell’equilibrio ormonale. Il mancato adattamento in
rapporto alla realtà può verificarsi anche gradualmente nel corso della vita, dando un effetto di
sommazione.
Al cuore di tutte le malattie troviamo esattamente ciò che l’etimologia di questa parola ci indica in
inglese: dis-ease, cioè mancanza di armonia, un corto circuito nell’allineamento del corpo fisico con
la mente e l’Anima.
Ritornando alle finalità che ogni medico dovrebbe proporsi, è dunque essenziale per il terapeuta
comprendere il livello perturbato da cui sono partiti gli elementi emozionali conflittuali che,
attraverso una catena evolutiva, hanno innescato la patologia, e che verosimilmente hanno influenzato
di sé anche gli altri livelli.
Il terapeuta deve far prendere coscienza all’individuo delle energie che animano la materia, il cui
squilibrio determina i sintomi, permettendogli così di innalzare il suo livello di coscienza, al fine di
deprogrammare le cause di tale interazione energetica patologica, e di diventare padrone del suo
destino.
Egli deve allargare il proprio campo d’osservazione, utilizzando tutte le tecniche e le medicine che
possano integrarsi in un’ars medica unitaria; solo attraverso quest’approccio alle leggi universali si
può accedere alla “medicina universale”.
È chiaramente molto importante lavorare prima su se stessi in modo da imparare a conoscersi e a
collegarsi con le leggi universali, allo scopo di esistere per se stessi e per gli altri. Quando
cominciamo a prendere in considerazione il rapporto che abbiamo con noi stessi, possiamo arrivare
a scoprire cose di cui eravamo inconsapevoli, o cose che non accettiamo e che non ci piacciono.
Possiamo renderci conto che la parte di noi che abitualmente mostriamo al mondo è eccessivamente
ipertrofica rispetto a quell’altra parte che neghiamo a noi stessi, o che abbiamo paura di mostrare (la
nostra “parte in ombra”).
I cinesi affermano che l’uomo è come una collina illuminata dal sole, piena di verde, di alberi, di
fiori; ma se ci rechiamo dietro la collina, entriamo nella parte in ombra, che non è sicuramente bella
come la prima, può farci paura, per cui preferiamo ignorarla o far finta che non ci sia. La verità e
l’equilibrio, invece, si raggiungono proprio quando siamo in grado di interagire con la nostra parte in
ombra, e quando ciò avviene si può scoprire un grave conflitto, conseguenza del fatto che chi
pensiamo di essere, chi siamo diventati e la vita che ci siamo creati seguendo certe convinzioni, in
realtà non sono altro che tutto ciò che gli altri si aspettano da noi.
Quindi la maggior parte di ciò che facciamo nella vita cerca di essere fedele a tale aspettativa,
mentre una grossa parte di ciò che vorremmo essere viene sepolta dentro di noi, si sforza di venire
fuori, ma ne è impedita da tutte le aspettative messe in piedi da genitori, fratelli, insegnanti,
sacerdoti, mezzi di comunicazione.
Dobbiamo smettere di vivere per quello che fanno gli altri, e vivere per quello che facciamo noi.
Se, per esempio, vogliamo risolvere una dipendenza (da sostanze, come il cibo o le droghe, o da
persone) occorre sciogliere il legame, perché l’infelicità nasce proprio dall’attaccamento alle cose o
alle persone. Si creano legami, perché è la mente che li forma, e ciò è dovuto alla paura, collegata
alla necessità di dover sempre controllare tutto.
Ad esempio, la ragazza bulimica che ingrassa ha un controllo esasperato sulla vita, mangia tutto
quello che gli arriva, per riempire un vuoto interiore; se non si accetta, non può dimagrire, deve
lasciarsi andare, giocare con la vita. È fondamentale, per la risoluzione di tutti i problemi, star bene
prima con noi stessi, e non delegarli agli altri. Viviamo una cultura fondata sulla
deresponsabilizzazione, dove si dà la colpa agli altri dei propri problemi; è invece importante
responsabilizzarsi rispetto alla propria vita.
Per ottenere tale responsabilizzazione della persona, la medicina omeosinergetica dispone di una
visione tridimensionale olistica, che permette di osservare il paziente da tre prospettive e secondo
tre piani diversi d’esame:
piano causale
piano sistemico
piano sintomatico.
Piano causale: la causa della malattia è spesso un conflitto emotivo (ad es., la non accettazione di
un’esperienza vissuta, o il rifiuto di se stesso, o il rifiuto degli altri). Tale conflitto instaura nel
paziente uno squilibrio energetico o un blocco del fluire dell’energia lungo i meridiani d’agopuntura,
attraverso l’intermediazione dell’asse ormonale ipofisi-epifisi-ipotalamo, che a sua volta determina
l’insorgenza di malattie psicosomatiche (che partendo dalla psiche si trasferiscono nel corpo) o
somatopsichiche (che iniziando dal corpo influenzano la psiche).
Piano sistemico: attraverso il sistema nervoso autonomo (neurovegetativo simpatico e
parasimpatico) si crea uno squilibrio a livello del sistema mesenchimale o di regolazione degli
organi. Il tessuto mesenchimale si trova tra le cellule, e si è scoperto che non solo ha una funzione di
sostegno (come un’impalcatura) e di nutrizione, attraverso i vasi sanguigni, ma che regola anche le
risposte immunitarie dell’intero organismo, e dispone addirittura di una “memoria”, cioè
immagazzina miliardi di informazioni per le cellule nel corso della vita, permettendo loro di svolgere
le proprie funzioni vitali.
Piano sintomatico: il tessuto mesenchimale ubiquitario sviluppa nell’organo più debole (locus
minoris resistentiae) una risposta specifica dello stesso, detta “sintomo”, che appare funzionale alla
comprensione della malattia.
Così il medico cosciente può avere accesso alle leggi universali che gli permettono di curare, senza
interferire sull’identità propria del malato, e può praticare la sua arte in conformità al giuramento di
Ippocrate ma anche al giuramento di Sibelius, che esiste dalla notte dei tempi, e che viene qui
riportato.
GIURAMENTO DI SIBELIUS
1) Prendi coscienza che ciascun malato è una “unità esistenziale” che si esprime attraverso il suo
corpo. Egli ha in sé questa scintilla del Divino che non chiede che di manifestarsi.
2) Allontanati dal tuo ego personale per dare al malato tutta la tua conoscenza e per curarlo
rispettando la sua identità e la sua appartenenza.
3) Sposta la tua coscienza, mettendoti al più alto livello del tuo essere. Accedi così alla
conoscenza e sii medico-strumento in relazione con il tutto.
4) Percepisci le leggi universali nelle loro realtà operative e oggettive che si esprimono attraverso
la patologia.
5) Percepisci l’uomo, la cui missione è prendere coscienza della manifestazione della dualità, nella
sua espressione spirito-materia, che si esprime attraverso il suo corpo, in funzione della sua identità
e della sua relazione con il tutto.
6) Interroga, esamina, palpa, ausculta, procedi alle investigazioni necessarie con l’occhio del
saggio che sa guardare, che sa ascoltare, che sa percepire nel rispetto dell’identità dell’altro.
7) Cura i tuoi malati con il sapere e le conoscenze che ti sono state insegnate dai tuoi padri
collegandoti alle leggi universali.
8) Rispetta i tuoi malati e conducili alla guarigione attraverso la via della coscienza che permetterà
loro di ritrovare la libertà della propria espressione.
1) La prima è il nostro continuo giudizio sul bene e sul male; pronunciamo continuamente giudizi su
noi stessi, sugli altri, sulle situazioni. Il problema è che ciò che è bene per me può essere male per
un’altra persona, e in tal modo si instaura un conflitto, all’interno di ogni uomo e tra esseri umani.
La distinzione tra bene e male non ha nulla a che fare con le leggi naturali della vita. Infatti, bene e
male sono concetti morali dell’uomo che cambiano nel corso del tempo e che variano da regione a
regione. Probabilmente il paradiso di Adamo ed Eva, prima che mangiassero la mela dell’albero
della “conoscenza del bene e del male”, non era un luogo fisico, ma una condizione in cui non
esisteva distinzione tra il bene e il male, dove non esisteva la necessità di giudicare.
Quindi ogni uomo potrebbe trovarsi subito in paradiso, se smettesse di giudicare e di dividere il
mondo in bene e male. L’inferno non è un luogo, ma l’insieme dei modi di pensare della mente umana,
che sono manifestazioni differenti del dualismo. Per uscire dall’inferno, l’individuo ha bisogno di
un’energia speciale: la sua volontà di osservare se stesso.
Ricordo il caso clinico di un uomo che stava vivendo un grave periodo di depressione in seguito ai
contrasti quasi quotidiani con la moglie; tra di loro non era possibile ormai dopo molti anni alcun
tipo di rapporto, e comunicavano solo indirettamente attraverso i figli, vittime sacrificali dei loro
disaccordi. Eppure, di fronte alla più ovvia constatazione, cioè di lasciare la propria moglie e rifarsi
una vita, egli ribadiva che, essendo un fervente cattolico, era contrario ideologicamente al divorzio, e
che se questo fosse avvenuto, la sua Anima avrebbe meritato l’inferno. Quest’uomo stava vivendo
l’inferno già sulla Terra, senza rendersene conto, subendolo quasi come una sorta di espiazione dei
propri peccati, e avviandosi sempre di più verso la malattia.
Il paradiso, come l’inferno, è uno stato interiore, ed è possibile passare dai bassi livelli energetici
dell’inferno ai livelli infiniti del paradiso, se cambiamo il nostro modo di pensare, il nostro
comportamento e la nostra interpretazione della realtà. La realtà dipende da come l’uomo concepisce
se stesso, la vita e la morte; per conquistare il paradiso dobbiamo solo comprendere e accettare tutte
le nostre esperienze e perdonare noi stessi e gli altri.
La distinzione tra bene e male è una caratteristica solo umana; infatti, la Terra non giudica, il Sole
illumina sia i buoni che i cattivi, e la pioggia scarica la sua acqua sui malvagi e sui giusti, come
descritto nel Vangelo di Matteo.
Eppure è comodo condannare gli altri, giudicandoli peggiori di noi; così il sentirmi migliore
rispetto all’altro che ho appena giudicato mi può dare una piacevole sensazione di superiorità, ma è
proprio questo che può farmi ammalare, perché toglie l’armonia dalla mia vita, creando
continuamente conflitti interpersonali. e un’altra cosa molto interessante è che spesso quello che
condanniamo come male in un certo momento assume un aspetto positivo, o almeno un significato
molto meno negativo, in un tempo successivo.
Per questo motivo, il paradiso è qui, è già tra noi, distante da noi un solo pensiero; ma questo non è
un pensiero di altri, ma il nostro pensiero, perché non possiamo aspettarci che qualcuno trovi il
paradiso al posto nostro. Ogni giorno che giudichiamo, ci allontaniamo dal paradiso. Gesù diceva:
“Non giudicate, se non volete essere giudicati”.
Ecco perché il male è quel bene che non sappiamo ancora accettare, e il negativo è quel positivo
che non sappiamo ancora comprendere.
2) La seconda cosa grave che compiamo, avvicinandoci alla malattia, è quella di non sfruttare tutte
le nostre potenzialità, anzi siamo bravissimi a privarci dei nostri poteri e a renderci completamente
impotenti. Infatti, un essere potente è colui che è pienamente responsabile della propria vita, mentre
la maggior parte delle persone amano fare la vittima, così si ha la possibilità di lamentarsi e di
attribuire ad altri la responsabilità dei propri fallimenti. Una persona che ragiona in questo modo si
fa condizionare dalle proprie paure, che derivano dal fatto che siamo insicuri interiormente; chi si
sente insicuro è naturalmente un essere impotente ed ha paura di tutto o quasi, ha scarsa fiducia in se
stesso e nel mondo.
La paura ci induce ad aggrapparci ai giudizi, ai sistemi di credenze, alle persone, sperando in tal
modo di trovare sicurezza, identità, orientamento. Ma in tal modo, le conseguenze diventano pesanti;
infatti, tenendoci aggrappati a qualcosa o a qualcuno, blocchiamo la vita e la nostra evoluzione. È la
stessa cosa che si verifica quando cediamo il nostro potere ad altri, che si prendono il diritto di
decidere su ciò che è peccato e su ciò che non lo è, e in tal modo prendono il potere sugli uomini
“peccatori”. Infatti, indurci a sentire noi stessi come peccatori significa farci venire i sensi di colpa,
a causa della coscienza sporca. E la coscienza sporca ci rende manipolabili, legati. Ciò che è legato
non si muove, e ciò che è immobile muore.
La paura è il contrario dell’amore, ed essa ci fa morire, perché blocca la nostra evoluzione e rende
sterile la capacità di pensare. Inoltre se io ho paura attiro ciò che temo, perché “il simile attira il
simile”, e ciò disturba l’armonioso flusso della vita, la nostra energia e la capacità di pensare, la
fiducia in noi stessi e la risoluzione dei nostri problemi quotidiani.
3) La terza cosa grave è scaricare sugli altri le nostre responsabilità; infatti, spesso diciamo: “è
colpa di ….”, ritenendo un’altra persona colpevole, quindi peccatore, e condannandolo.
Il termine “colpa” contiene in ogni caso l’idea del peccato, che è profondamente radicata nella
nostra coscienza. Infatti, quando qualcuno ha colpa, significa che è colpevole e peccatore. Ma se io
non posso fare nulla, allora non ho potere, quindi dipendo dall’altro (es. dal governo, dal mio vicino,
dalla malattia) e questo significa che anche io sono la vittima, mentre l’altro è il potente colpevole.
Così amiamo fare la vittima, perché ciò è comodo, avendo dalla nostra parte la maggioranza degli
uomini, che diventano così vittime di altre persone, vittime della malattie, vittime degli incidenti.
Il normale meccanismo del nostro modo di pensare è che finché le cose vanno bene, ci sentiamo
responsabili; appena succede qualcosa che non ci piace, cerchiamo altrove i colpevoli, scaricando le
nostre responsabilità sugli altri. In questo modo siamo sempre e solo vittime del nostro pensiero.
4) L’altra cosa grave che compiamo è intrometterci negli affari degli altri, dicendo cosa hanno
sbagliato e che cosa dovrebbero fare diversamente. In questo modo giudichiamo gli altri, e i giudizi
creano sempre conflitti. Anzi, sono proprio le persone che hanno conflitti interiori che cercano di
risolvere i conflitti degli altri, affermando che solo loro sanno cosa si deve fare, cosa è giusto per gli
altri. Il problema è che anche gli altri la pensano così di noi, determinando quell’ingerenza reciproca
che è la principale responsabile del fatto che i conflitti non sono destinati a diminuire, come
c’insegna la storia dell’umanità, anche perché ci saranno sempre persone che traggono profitto dai
conflitti.
1) Trattenere lo stato di “ciò che è” significa bloccarlo; accettare questo stato significa lasciarlo
andare, e allora succede che in modo straordinario lo stato di “ciò che è” cambia in “ciò che
dovrebbe essere”.
Si deve sempre accettare “ciò che è”, perché è ora, e nessuno può cambiarlo. Possiamo influenzare
il futuro, ma non il “qui e ora”. Se non accettiamo questo “hic et nunc” creiamo un conflitto tra noi e
“ciò che è”, che costa energia e denaro, e blocca l’intelligenza.
I problemi non si risolvono lottando contro lo stato di “ciò che è” (persone e situazioni), perché
questo non fa che creare opposizione. Bisogna sempre accettare lo stato di “ciò che è”, per quanto
spiacevole e negativo possa essere.
2) Non accettare qualcosa significa condannarla. Se giudichiamo, condanniamo continuamente
persone o situazioni, blocchiamo la vita; blocco significa conflitto, e conflitto significa opposizione.
Giudicare significa dividere qualcosa che è intero, e due parti divise creano conflitto.
3) Se si vuole raggiungere un determinato obiettivo, “ciò che dovrebbe essere”, non bisogna
concentrarsi su un unico percorso, per evitare di bloccare l’intelligenza universale. Se siamo
ammalati, e ci fissiamo su una determinata terapia per raggiungere l’obiettivo di ritornare sani,
limitiamo la nostra intelligenza universale. Il nostro intuito sa molto meglio del nostro limitato
pensiero razionale come poter guarire il più presto possibile. Se il pensiero razionale di un medico
non vede nessuna possibilità di guarigione per un paziente affetto da una grave malattia, non significa
che la persona non possa essere curata con altre vie di guarigione. Pensiamo solo a ciò che 100 anni
fa era considerato incurabile e oggi non lo è più. Succederà la stessa cosa tra 50 o 100 anni. La
medicina è l’esempio più eclatante di un modo di pensare limitato.
4 e 5) Lottare significa trattenere, e lotta significa conflitto. Trattenere limita la nostra intelligenza
universale, e fa disperdere inutilmente energia. Quando siamo di fronte a una malattia, occorre
lasciar andare, non opporsi, senza affrontare l’illogica strategia della lotta che ci suggerirebbe il
nostro ottuso modo di pensare lineare, che vuole applicare la “legge dei contrari”. La strategia del
lasciar andare è sempre vincente.
6) Concentrarsi in modo ostinato su un obiettivo significa trattenerlo, significa escludere, non
percepire completamente il presente e limitare il nostro potenziale.
7) Il dubbio nasce dal pensiero razionale e limita totalmente la nostra intelligenza universale.
Lasciar andare significa non avere dubbi, avere fiducia nella vita e nell’infinita saggezza presente in
ogni essere umano. Il dubbio blocca il flusso della vita. Per raggiungere un obiettivo, bisogna
pensarlo e successivamente immaginarsi come saremmo se l’avessimo già raggiunto: questo è il solo
modo per giungere all’obiettivo. Se vogliamo l’amore, non dobbiamo prima averlo, ma dobbiamo già
pensare di essere innamorati. Se vogliamo ciò che desideriamo, non possiamo aspettare gli altri,
dobbiamo già vederci in quella situazione. Già essere in quel tipo di idea ci permette di crearla.
Vogliamo vivere in una bella villa circondata dal verde, allontanandoci dallo smog e dalle liti
condominiali? Allora, cominciamo già a pensare di essere nella villa, e comportiamoci di
conseguenza. In tal modo, il flusso dei nostri pensieri creerà la realtà che desideriamo in breve
tempo! Provare per credere!
Il nostro obiettivo deve essere sempre quello di non perdere o di non bloccare inutilmente
l’energia, al fine di non limitare il potenziale umano. Cosa determina una perdita o un blocco di
energia? Il trattenere, il non lasciar andare, che provengono dal pensiero di testa. E cosa determina il
trattenere? L’incapacità di vivere nel “qui e ora”. Come si estrinseca questa incapacità? Attraverso i
seguenti atteggiamenti:
non accettare lo stato di “ciò che è”;
giudicare;
avere paura dell’insuccesso;
paragonare;
avere sentimenti negativi;
lottare;
avere sensi di colpa;
Se non sappiamo accettare situazioni, persone, i nostri sentimenti o il nostro passato, creiamo i
conflitti, che bloccano l’energia. Dobbiamo sempre accettare lo stato di “ciò che è”, senza lottare per
“ciò che dovrebbe essere”, vivendo nell’ora.
Se separiamo, creiamo un conflitto, e quindi una perdita di energia. Giudicare, e quindi separare,
ha a che fare con la morte; ciò che è separato non è intero. Non giudicare ha a che fare con l’unità,
che a sua volta ha a che fare con la vita.
L’essere umano è in grado di creare la vita (con l’unione tra un uomo e una donna) unendo e non
dividendo! La vita è unità, è energia; il giudizio blocca questa energia e, quindi, la vita. Se non
giudichiamo, non creiamo conflitti tra lo stato di “ciò che è” e lo stato di “ciò che dovrebbe essere”;
questo è il presupposto per far scorrere la vita, per poter cambiare “ciò che è”.
Avere paura significa trattenere; in tal modo la vita non può più scorrere. Quanto più giudichiamo
noi stessi, tanta più paura creiamo; questa è la paura di non corrispondere alle pretese che noi stessi
creiamo. Anche questo è un conflitto tra lo stato di “ciò che è” e di “ciò che dovrebbe essere”. Il
dubbio ha un effetto mortale sul raggiungimento degli obiettivi, perché una persona che dubita perde
energia come un colabrodo. Chi paragona, normalmente anche giudica. Alcuni pazienti con malattie
cronico-degenerative o tumorali sono persone che amano paragonare. Si paragonano costantemente
agli altri che vivono nel loro ambiente, e in tal modo la loro energia viene completamente bloccata.
Non ci si deve mai paragonare ad altre persone, né paragonare qualcosa che è ora con qualcosa che è
stato in precedenza o che dovrà essere in futuro.
Quando ci arrabbiamo con un’altra persona (poiché non sappiamo accettarla così com’è), diamo a
questa persona il potere su di noi, e perdiamo anche energia. Ciò infrange le leggi fondamentali della
vita. Sia che lottiamo per un obiettivo, sia che lottiamo contro lo stato di “ciò che è”, la lotta
significa sempre irrigidimento, e costa inutilmente energia. È vero che anche sotto pressione si
possono raggiungere risultati positivi, ma con un grave dispendio energetico che prima o poi
determinerà una malattia. Se ci sforziamo per cercare il modo migliore per raggiungere un obiettivo,
concentrandosi su esso, limitiamo totalmente il nostro potenziale.
Chiaramente, lasciar andare l’obiettivo non significa rinunciarvi; l’obiettivo resta naturalmente
sempre dentro di noi, ma non siamo più concentrati su di esso, perché concentrarsi significa
escludere. Si può arrivare al paradosso che “chi cerca, non trova”, perché la ricerca è sempre piena
di lotte, di dubbi, di rabbia, che sono tutte caratteristiche del trattenere, e perciò non portano a nulla.
Quando pensiamo di aver sbagliato questo o quello nel passato, abbiamo dei sensi di colpa, che
possono determinare enormi blocchi energetici, che ci paralizzano interiormente in modo totale. I
sensi di colpa causano in molte persone dolori vertebrali, perché queste persone portano sulla
schiena un peso di tonnellate, e lo trascinano faticosamente nella vita.
È incredibile che cosa possa fare l’uomo a se stesso solo per non sentirsi bene, per non spiccare il
volo verso i suoi più alti obiettivi. Si hanno sensi di colpa solo se si giudica il proprio passato; ma
sappiamo che giudicare ci fa solo ammalare. Non dobbiamo giudicarci: non abbiamo mai commesso
nessun errore! Abbiamo sempre solo imparato, e gli errori sono solo una delle possibili soluzioni dei
problemi.
Lasciar andare, allora, significa capacità di vivere nel “qui e ora”, perché la vita non si svolge nel
passato, né nel futuro, si svolge ora, e non esiste nulla al di fuori dell’ora. In tal modo ci allineiamo
con la vita, ossia non abbiamo conflitti con essa, disponendo del massimo di intelligenza e di
energia.
Se abbandoniamo il “qui e ora”, creiamo resistenza e conflitto, e questo frena la corrente della vita,
il raggiungimento dei nostri obiettivi e la soluzione dei nostri problemi. La vita al di fuori del “qui e
ora” è del tutto insicura, perché in ogni momento può succedere una catastrofe naturale, una malattia
grave.
Lasciar andare significa abbandonare il proprio piccolo ego (il pensiero razionale) perché possa
agire la consapevolezza dell’”essere”, che è la nostra parte divina.
Nel buddhismo-zen esiste il termine “assenza di intenzione”, perché gli esercizi hanno come
obiettivo il non lasciar emergere nemmeno l’ombra della consapevolezza dell’ego, che è il pensiero
razionale che disturba e blocca il comportamento ottimale. Questo è il “non pensiero” del
buddhismo-zen, volto al dispiegamento dell’intelligenza universale presente in ogni essere umano.
LA LEGGE DELL’AMORE
La Terra è il pianeta dell’amore, e tutta la nostra vita, che è un processo d’apprendimento, ha
l’unico scopo di farci procedere verso un maggiore amore. L’amore è la legge fondamentale della
vita. È il rispetto dell’altro, così come è. Qualunque cosa ci succeda, serve sempre a farci imparare
ad amare di più.
Poiché tutto è uno, quest’unità ha a che fare con l’amore, perché l’amore è il sentimento dell’unità,
a differenza del sentimento della separazione, dal quale nasce la paura. L’unità è più forte della
separazione, e ciò significa che l’amore è più forte della paura. L’amore porta al massimo di energia
e di intelligenza; è quell’energia dell’Universo che può autoriprodursi, e che quindi è illimitata.
L’amore ci aiuta a massimizzare la nostra energia, e a raggiungere il massimo del potenziale umano.
Poiché amore significa unità, significa anche assenza di conflitto; l’amore non crea opposizione e
porta pertanto più velocemente al conseguimento dell’obiettivo.
Quello di cui parliamo è l’amore incondizionato, che non giudica, non separa, che considera che
tutto è uno, è Dio, è la vita. Chi ama è nella luce, e non può succedergli nulla di male, perché è
diventato consapevole che non c’è nulla al di fuori di Dio, che è amore, è assenza di paura. L’amore
è energia illimitata, è unità, è la risposta a tutte le domande, è la soluzione a tutti i problemi.
Se non abbiamo ancora capito questi concetti, è colpa della nostra consapevolezza, cioè di tutto ciò
di cui siamo consapevoli: della vecchiaia, della paura, dei pensieri sulle malattie, degli incidenti,
della morte, delle guerre. Eppure il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di ampliare il più
possibile la nostra consapevolezza, fino ad arrivare alla consapevolezza cosmica, cioè quella
dell’unità di tutta la vita. Se vogliamo volare, sollevarci al di sopra dei nostri problemi e delle
nostre preoccupazioni, non c’è che un modo: amare di più.
Secondo il fisico e filosofo Teilhard de Chardin tutto si sviluppa e tende verso un punto Omega, che
corrisponde alla consapevolezza cosmica, e quindi all’amore incondizionato. L’amore è la via che
riporta alla luce tutte le possibilità presenti in ogni essere umano, dalla consapevolezza più ristretta
alla consapevolezza cosmica. Ogni volta che non sappiamo accettare persone o situazioni,
blocchiamo noi stessi sulla nostra via verso una consapevolezza più elevata.
Una persona non può fare cosa migliore a se stesso che amare tutto ciò che le accade: questa è la
via più veloce verso il proprio sviluppo. Poiché tutto ciò che esiste come possibilità nella nostra
consapevolezza può succedere, se formuliamo questa frase in senso negativo, ci accorgiamo che ciò
che non esiste come possibilità nella nostra consapevolezza, non può accadere. Quindi se nella nostra
consapevolezza c’è l’idea di malattia, di incidente, di insuccesso, corriamo il pericolo che queste
cose possano succedere. Può, per esempio, essere aggredito solo chi ha l’idea dell’aggressione o di
pericolo nella sua consapevolezza.
Anche Gesù dice: “Vi accada secondo quanto avete creduto”. Sostituiamo il termine credere con la
parola consapevolezza, e avremo: “Vi accada secondo quanto è nella vostra consapevolezza”. Il
mondo è ciò che di esso pensiamo.
Un’altra cosa interessante è che persone che hanno le stesse idee nella loro consapevolezza si
attirano a vicenda, perché un’altra legge fondamentale della vita, come già detto, è che il simile attira
il simile. Non incontriamo per caso certe persone, incontriamo le persone che pensano come noi.
Poiché tutto è una questione di consapevolezza, se ci arrabbiamo con un’altra persona, avendo la
rabbia nella nostra consapevolezza, rimaniamo attaccati a quella persona. Se vogliamo staccarcene,
dobbiamo cambiare la nostra consapevolezza, amandola o accettandola così come è.
Ne deriva che qualunque cosa succeda, dobbiamo amarla, perché l’amore produce un ampliamento
della consapevolezza e dà la capacità di realizzare tutto ciò che si vuole, senza conflitti, facendo
scorrere liberamente la vita. Chi non ama blocca il proprio livello di consapevolezza e con ciò il
proprio sviluppo, blocca la propria intelligenza e la propria energia, il proprio potenziale umano.
Ciò che ci limita è solo la nostra carenza di amore!
Dobbiamo svegliarci dal sogno della consapevolezza sociale, smettere di pensare solo ciò che
pensa la maggioranza delle persone, e cominciare a pensare in modo completamente autonomo,
diventando adulti nel nostro modo di pensare.
Ciò che gli altri pensano di noi non ha importanza, ciò che ognuno di noi pensa degli altri ha molta
importanza, perché tutto è uno e perché il mondo è ciò che di esso pensiamo.
Gesù dice: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Nell’intera storia dell’umanità non è mai stata
pronunciata una frase più potente. Sono 7 parole che possono cambiare la nostra vita. Il “prossimo
tuo” non sono solo le persone, ma anche la natura, gli animali, le piante, le pietre, perché ognuno di
essi ha la propria consapevolezza. “Ama il prossimo tuo, perché è te stesso”, cioè tra te e gli altri
non c’è differenza, tutto è collegato secondo le leggi dell’energia. È però anche vero che chi non ama
se stesso non può amare nemmeno gli altri. Per potere amare tutto ciò che ci accade (persone e
situazioni), dobbiamo prima amare noi stessi. Ciò non ha nulla a che fare con l’egoismo, se teniamo
presente che anche tutti gli altri devono essere amati come noi stessi. Chi ama se stesso è in armonia
col proprio sé, è centrato su se stesso, e quindi non porterà conflitti nell’ambiente esterno. Solo
amando se stessi ci si conosce totalmente, e si arriva a diventare consapevoli del proprio potenziale.
Molte persone per conoscersi meglio si fanno analizzare da uno psicoterapeuta. Chi si ama
veramente non ha bisogno di farsi analizzare, perché l’analisi frammenta tutto in parti distinte, e da
ciò nasce il conflitto, perché ci si concentra ancora di più sulle proprie debolezze e non sui propri
punti di forza. È quindi compito del terapeuta riportare la persona da questa frammentazione analitica
alla sintesi, alla globalità, facendole capire che tutto è uno.
Chi ama se stesso, ama anche attraverso sé tutto il mondo, perché tutto è uno. L’amore per se stessi
e per tutti gli altri ci permette di raggiungere qualsiasi obiettivo con un minimo di tempo e di sforzo.
Per esempio, per dimagrire non esiste modo più semplice, rapido ed economico che l’amore per se
stessi; ciò significa accettarsi così come si è (con tutto il sovrappeso). Anche per un malato, non c’è
modo più semplice, rapido ed economico di guarire che l’amore per se stessi, perché l’amore
favorisce il processo di guarigione in modo inimmaginabile.
Secondo il fisico nucleare Charon, l’amore è il processo più semplice e più efficace per ampliare
la conoscenza dell’Universo. Se mandiamo amore a un’altra persona, lo mandiamo in realtà a noi
stessi e a tutto il mondo, perché tutto è uno. Non ha importanza a chi si manda amore, perché esso va
sempre a vantaggio di tutto l’Universo, e quindi facendo così si favorisce il processo di pace in tutti i
conflitti militari nel mondo. La vera causa di tutti i problemi umani è l’idea della separazione. Tale
idea è un’illusione, perché nel cosmo non esiste separazione. Noi operiamo continuamente nella
nostra realtà questa separazione, per mancanza di amore. Abbiamo creato dentro di noi la
separazione tra testa e cuore, tra ragione e amore. Ci siamo divisi dentro, vedendo anche il mondo
diviso.
Un’espressione dell’amore è la gratitudine. Solo chi dispone di una porzione sufficientemente
grande di amore, sa essere grato. Bisognerebbe sempre provare un sentimento di gratitudine e di
rispetto nei confronti della vita. Chi ama la vita, chi sa essere grato, viene in eguale misura
ricompensato dalla vita, e questa è l’applicazione della legge universale di azione e reazione.
Nell’atteggiamento di gratitudine verso la vita è contenuto l’intero principio ARALA, perché la legge
di azione e reazione fa in modo che anche la gratitudine torni a chi l’ha espressa. La gratitudine
(espressione dell’amore universale) è una forma del lasciar andare, e permette alla vita di scorrere,
di cambiare.
Tutti i mali del mondo, la povertà, la fame, l’AIDS, le droghe, la disoccupazione, le guerre, le
aggressioni, le malattie, sono conseguenza di mancanza di amore e di gratitudine. Se riusciamo da
subito a essere grati per tutto ciò che ci succede, la nostra vita cambierà rapidamente. Come?
Molte religioni affermano: “Un giorno sarete come Dio”; in tal modo si sposta l’entità Dio in un
lontano futuro, dovendo percorrere una lunga via per raggiungere questa meta, attraverso il tempo.
Ma il tempo è un’illusione in cui siamo caduti (se solo pensiamo che l’universo esiste solo da 10¹7
secondi (cioè un numero di secondi costituito da 10 seguito da 17 zeri, perché questo è il tempo
trascorso dal Big Bang), perché tutto è uno, passato, presente e futuro.
Nella vita esiste solo l’ora. O siamo Dio “qui e ora”, o non lo saremo mai. Noi abbiamo
dimenticato di essere Dio, di essere onnipotenti e onniscienti, di essere amore, di non dover imparare
nulla di nuovo, perché sappiamo già tutto, lo abbiamo solo dimenticato.
Dobbiamo liberarci di tutti gli ostacoli che c’impediscono di essere Dio. Se siamo tentati di
pensare di non essere ancora pronti a questo, e di avere ancora molto lavoro da fare su noi stessi, è
giusto così, perché il mondo è ciò che di esso pensiamo, e quindi questa è la nostra verità. Con ciò
otterremo un’unica cosa: non raggiungeremo mai il nostro obiettivo.
Le nostre difficoltà di esseri umani provengono dal fatto che cerchiamo sempre di diventare
qualcosa che già siamo. Cerchiamo Dio al di fuori di noi, benché Dio sia costantemente in noi.
Questa è l’unica consapevolezza della realtà. Solo così “ciò che è” diventa immediatamente “ciò che
dovrebbe essere” e si annulla il tempo tra “ciò che è” e “ciò che dovrebbe essere”.
Non dobbiamo percorrere nessuna via per raggiungere la meta, siamo già alla meta, dobbiamo solo
diventare consapevoli di ciò. L’unica meta è amare “ciò che è”, consapevoli della legge di azione-
reazione, della legge del lasciar andare e della legge dell’amore.
TERZA PARTE
LA FISICA QUANTISTICA,
L’ENERGIA E L’ANIMA
IL CASO E LA SCIENZA
Quasi tutti credono nella sfortuna e nella fortuna, proprio perché queste esperienze appaiono loro
come fenomeni casuali: in effetti, la fortuna e la sfortuna non esistono, ma le esperienze che ogni
essere umano vive non avvengono per caso, ma sono semplicemente lo strumento di cui la sua Anima
si serve per raggiungere i suoi obiettivi.
Qualsiasi esperienza si affronti, non è altro che l’effetto di come ognuno si pone nei confronti della
realtà, e quindi non dipende dal caso, ma da come ogni essere umano riesce a vivere tale esperienza:
quello che pensa, le scelte che fa, le azioni che compie e, soprattutto, il suo atteggiamento mentale.
Poiché nulla accade per caso, tutto ha un senso, una causa, un significato e uno scopo che possiamo e
dobbiamo scoprire per vivere in modo veramente cosciente. Ognuno è il protagonista e il regista del
film della sua vita, per cui tutto quello che uno ha o non ha, che è o non è, è semplicemente l’effetto
di ciò che è riuscito a meritarsi. Il raggiungimento degli obiettivi della sua Anima, attraverso
esperienze di gioia o di sofferenza, dipende essenzialmente solo da lui.
La condizione di normalità della natura essenziale di ogni essere umano è la gioia, mentre la
sofferenza è una situazione anomala che spesso rappresenta un messaggio volto alla salvaguardia del
proprio corpo, ed è il frutto di un’errata interpretazione della realtà dovuta al desiderio di
controllarla. Ma ogni volta che cerchiamo di controllare la realtà, ci accorgiamo che aumenta
l’incapacità di controllo, e spesso quando constatiamo ciò si arriva al panico.
Se si vive la propria esistenza con la convinzione che tutto ciò che accade è causato da qualcosa su
cui non si ha alcun controllo, si disperde tutta l’energia nel cercare continuamente di capire tutto, per
controllare e prevedere ogni cosa, soffrendo ogni volta che non ci si riesce. Quando si riesce ad
acquisire la consapevolezza che qualsiasi cosa accada è comunque l’effetto delle proprie scelte, il
concetto stesso di sofferenza perde il suo normale significato e si è pronti a vivere intervenendo in
modo costruttivo sulla realtà stessa.
La consapevolezza del significato essenziale della vita e degli obiettivi dell’Anima può permetterci
di capire che ogni esperienza che viviamo avviene perché la nostra Anima ha bisogno proprio di
quell’esperienza. Allora dobbiamo espandere la nostra consapevolezza, allargando e
progressivamente demolendo i limiti entro i quali siamo convinti di vivere la nostra vita, e
preparandoci a gestire in modo costruttivo l’immenso potere che la nuova consapevolezza ci darà.
Il lavoro più importante da compiere è quello contro le nostre paure, che sono l’unico vero nemico
che abbiamo, e che impediscono l’evoluzione della nostra Anima. Non c’è nulla di evolutivo nelle
azioni che si compiono per effetto della paura. Sono numerosi gli elementi che contribuiscono ad
accelerare o a rallentare i progressi della conoscenza umana; i veri progressi sono sempre stati
compiuti da esseri evoluti che hanno seguito le proprie intuizioni e che hanno sempre dovuto lottare
contro gli esseri che invece fuggivano dalle loro paure.
La scienza ha avuto per l’uomo il ruolo di una sorta di “padre saggio” che sa tutto di tutto e che
dice al figlio piccolo, senza esperienza, quello che è giusto e quello che è sbagliato. Oggi purtroppo
la scienza comincia a essere vittima della sua stessa ignoranza e avidità, dimostrando i suoi limiti e
iniziando a suscitare diffidenza anche tra molti dei suoi rappresentanti. Sono, a esempio, moltissimi i
medici che iniziano a prendere in considerazione metodi terapeutici alternativi a quelli tradizionali,
nonostante le multinazionali della farmacologia e i loro simpatizzanti, insediati in punti strategici del
potere e dell’informazione, cerchino di ridicolizzare in ogni modo ciò che non proviene da loro.
Il ruolo di “padre saggio” detentore della verità sta per fallire, soprattutto a causa di quanto sta
avvenendo proprio in campo medico. I figli sono cresciuti e vogliono iniziare a giudicare il mondo
basandosi anche sulle proprie esperienze e capacità intuitive. È in corso una sorta di rivoluzione, che
coincide con una fase particolare della storia dell’umanità, in cui sia i processi costruttivi evolutivi,
che quelli distruttivi involutivi, manifestano i loro effetti in tempi molto più rapidi che in passato.
Oggi il settore della conoscenza umana pura più evoluto è quello della fisica, mentre la medicina è
ancora frenata a livelli estremamente elementari della conoscenza. Questo avviene nonostante il
brevetto di nuove molecole sintetiche da parte delle multinazionali della farmacologia, che sono
diventate ricche e potenti, intervenendo solo su una delle componenti dell’essere umano, quella che
si manifesta attraverso reazioni chimiche. Esse hanno ovviamente paura di perdere il loro potere e la
loro ricchezza. Da una parte, tendono a esasperare l’unico aspetto sul quale hanno costruito la loro
ricchezza, quello chimico, dall’altra cercano di ostacolare qualsiasi approccio terapeutico
alternativo (o che consideri altri aspetti oltre quello chimico e meccanico), che possa in qualche
modo compromettere i propri profitti. Tutto ciò avviene in nome di una scienza che ha ormai ben
poco a che vedere con la ricerca della verità.
La scienza contiene solo la conoscenza che riguarda i fenomeni che rispondono alle leggi che
governano la nostra realtà spazio-temporale. L’uomo ha stabilito che un fenomeno possa essere
scientificamente accettabile solo se è osservabile, descrivibile e ripetibile. Questi schemi rigidi, se
da un lato tutelano la scienza stessa che potrebbe altrimenti essere contaminata da falsità, dall’altro
rappresentano dei veri e propri limiti, entro i quali una cosa è considerata giusta e oltre i quali una
cosa è considerata sbagliata. Questo è il modo tipico di interpretare la realtà da parte della mente
umana, attraverso schemi, limiti, confronti e giudizi. Per questo motivo, la conoscenza scientifica
difficilmente può rappresentare la verità.
Secondo il concetto di “descrivibilità”, un fenomeno per essere considerato scientificamente
accettabile, deve essere descrivibile in modo dettagliato nel perché e come avviene. La descrizione
deve essere fatta solo utilizzando argomenti che siano già scientificamente riconosciuti e coerenti con
tutti gli altri fenomeni conosciuti; in tal modo si pongono altre condizioni, altri limiti alla
comprensione della verità.
Per fortuna, ci sono delle importanti eccezioni che ridimensionano il concetto di verità, di cui la
scienza dovrebbe essere l’unico portavoce autorizzato, e che ci preparano a un vero e proprio salto
quantico nell’evoluzione della nostra consapevolezza, volto a comprendere la vita e la nostra vera
natura. Si tratta di due fenomeni che hanno superato la prova dell’accettazione scientifica, pur
trovandosi il primo (principio di indeterminazione di Heisenberg) al limite estremo della capacità di
spiegazione da parte della scienza stessa, e il secondo (teorema di Bell) oltre questo limite.
Purtroppo sono ancora tanti i medici “ortodossi” che ignorano questi due fenomeni o, comunque, il
loro profondo significato.
IL TEOREMA DI BELL
Il teorema di Bell è una delle scoperte più sconvolgenti che cambierà profondamente in futuro il
nostro modo di pensare e di capire la realtà. Questo teorema dimostra che l’esperienza
dell’interazione di due particelle avvenuta nel passato crea tra le stesse una forma di collegamento,
che va al di là dello spazio e del tempo. Ognuna delle particelle non solo mantiene una memoria
dell’interazione che ha avuto, ma il comportamento di ognuna di esse continua a condizionare il
comportamento dell’altra, al di là dello spazio e del tempo. Nell’Universo vige un principio di non
località, attraverso il quale i fenomeni avvengono come se ogni cosa fosse in diretto e istantaneo
contatto con ogni altra, indipendentemente dallo spazio fisico che le separa.
Questo è l’esperimento (osservabile e ripetibile) di Einstein-Podolsky-Rosen, che è consistito nel
separare due particelle gemelle (cioè, nate insieme dallo stesso evento), modificare il
comportamento di una (invertendo il senso di rotazione, cioè lo spin, per mezzo di campi magnetici)
e osservare il comportamento dell’altra. Avviene che istantaneamente, e indipendentemente dalla
distanza che separa le due particelle, anche l’altra inverte il suo spin. Ciò avviene a velocità
superiore a quella della luce, attraverso una realtà che non risponde alle leggi dello spazio-tempo, e
permette alle due particelle di essere in collegamento diretto e istantaneo.
Il fisico Bell nel 1964 ha formalizzato scientificamente questo fenomeno, che ammette che ogni
particella subatomica (anche quelle del nostro corpo) acquisisce informazioni relativamente a tutto
ciò con cui interagisce, e trasferisce queste informazioni a una “memoria” che non ha limiti di spazio
e di tempo, e alla quale la stessa particella può accedere successivamente, o vi possono accedere
anche tutte le particelle che hanno interagito con lei o che le sono simili.
Ogni nostro respiro immette nell’atmosfera un numero di atomi pari a 10²³. Se consideriamo il
numero di respiri che Gesù Cristo compì in 33 anni, arriviamo alla conclusione che nell’aria ci sono
tanti dei suoi atomi da far sì che in ognuno dei nostri respiri ci siano almeno una decina di atomi che
appartennero al suo corpo. Questi atomi conservano le informazioni relative alle esperienze che
ebbero avuto, quando facevano parte del corpo di Cristo. Chiaramente a entrare a far parte del nostro
corpo ci sono anche gli atomi di Hitler, di Einstein o della nostra vicina di casa, oppure quelli che
miliardi di anni fa erano nella materia primordiale che diede origine all’Universo.
Ogni atomo ha contribuito e può accedere a tutta la storia dell’Universo e così ognuno di noi ha la
possibilità di avere un collegamento istantaneo e diretto con le esperienze di ognuno di essi.
Ogni pensiero è un’informazione con una propria attitudine a condizionare gli eventi oltre lo spazio
e il tempo; occorre allora divenire consapevoli che i nostri pensieri possono produrre effetti
enormemente più importanti delle nostre azioni.
Secondo il principio di azione-reazione, prima illustrato, ogni pensiero generato da un essere
umano può contenere informazioni da cui dipendono non solo le sue azioni future, ma anche le
reazioni che l’Universo intero potrà avere a tali informazioni.
La riflessione che non siamo separati da ciò che ci circonda, poiché costituiti dalla stessa essenza,
ci induce a ritenere che, oltre a una più profonda integrazione tra il visibile e l’invisibile,
condividiamo anche lo stesso contenuto informativo; viviamo in una realtà indifferenziata che solo
l’inganno dei sensi, e il conseguente pensiero logico, ci suggerisce differenziata.
Il principio di “non località” è stato uno dei concetti fondamentali che hanno portato alla creazione
di una nuova scienza, la scienza delle complessità, che ritiene possibili affermazioni come quella già
detta in un capitolo precedente: “Il battito delle ali di una farfalla nel Borneo può influire sulla nostra
vita”.
IL TEMPO
L’atomo è costituito da un nucleo e da un certo numero di elettroni che gli girano intorno, senza
fermarsi mai per miliardi di anni e senza consumare energia. Questo avviene quando una particella o
un’onda come l’elettrone di un atomo è in una situazione tale da entrare in risonanza con se stessa, e
diventa in grado di orbitare all’infinito intorno al nucleo perché è in una situazione precisa, definita
“orbitale”, dove può vivere e muoversi per l’eternità, in una dimensione eterna e universale nella
quale lo spazio-tempo non esiste.
La luce è costituita da fotoni, quanti di energia tutti uguali che hanno la capacità di manifestarsi a
noi sia come onda sia come corpuscolo, viaggiando alla velocità di 300.000 Km. al secondo. In un
secondo un raggio di luce percorre 7 giri completi della Terra, e per esso il tempo assume una
dimensione completamente diversa rispetto a come lo viviamo e intendiamo noi. Quelli che per noi,
che ci muoviamo a velocità relativamente basse, rappresentano milioni di anni, per un raggio di luce
possono essere frazioni infinitesimali di un nostro secondo. Il tempo è quindi un effetto della
manifestazione dell’energia attraverso la materia. Esso non è assoluto, ma relativo, perché è un
effetto della materia ed è legato a tutto ciò che ha una massa. Ciò che non ha massa, non ha tempo.
Mentre la materia ha uno spazio e un tempo, l’informazione pura non ha spazio e non ha tempo; il
tutto è solo rappresentato dal suo valore essenziale, e il passato, il presente e il futuro non esistono
più. Nel sogno lo spazio e il tempo si deformano fino a essere annullati e vengono prodotte e vissute
esperienze dal forte significato simbolico che spesso sono molto diverse dall’esperienza originaria.
Ciò è dovuto al fatto che per poter estrarre dall’esperienza originale l’informazione pura, devono
essere eliminati tutti gli schemi mentali e i limiti comportamentali che hanno condizionato
l’interpretazione della realtà da parte della nostra mente. Quest’ultima, con tutti i suoi schemi e
pregiudizi, è per noi un grande handicap, perché limita enormemente le nostre capacità reali, sia di
comprensione che di azione. Vivere nella realtà usando solo gli schemi della mente è come voler
guidare un’automobile senza vetri, spiando la strada da un piccolo foro fatto nella carrozzeria.
Nelle religioni orientali la meditazione è lo strumento essenziale per l’illuminazione, e questa può
essere raggiunta rallentando o fermando l’attività della mente, partendo dal presupposto che una
mente attiva compie più danni di una mente ferma. Ci sono innumerevoli casi di malati con tumori
allo stato terminale che sono guariti praticando la meditazione, aumentando la loro consapevolezza e
annullando il loro campo mentale.
La mente, come abbiamo già detto, è impegnata a giudicare e classificare gli eventi, etichettandoli
come giusti o sbagliati, come fonti di gioia o dolore, sulla base delle proprie interpretazioni di
precedenti esperienze vissute. Il giudicare continuamente gli altri e se stessi, secondo i propri schemi
mentali più o meno rigidi (come due mura lungo una strada che possono essere più o meno
distanziate) rappresenta la forma più inutile d’impiego della propria energia potenziale.
Uno degli effetti più evidenti nel comportamento di chi ha schemi mentali rigidi è la sua costante
insoddisfazione, perché gli schemi mentali determinano il giudizio quasi ossessivo su ogni cosa e lo
sviluppo di aspettative sul comportamento di altre persone. In tal modo si soffre, perché si cerca di
controllare l’altra persona, affinché si comporti come la propria mente vorrebbe, cosa che in realtà
non avviene quasi mai.
La comprensione della realtà, da parte della nostra mente, è basata sulla sua capacità di giudicare
tale realtà, in funzione delle esperienze vissute e dei limiti stessi di percezione della stessa da parte
dei sensi.
L’Anima è la manifestazione diretta della Matrice Energetica nella realtà materiale, cioè lo
strumento per la produzione di informazioni pure per l’evoluzione della Matrice Energetica e la
diffusione dell’entropia costruttiva. L’interazione del campo mentale con l’Anima forma il “campo
individuale”. Ogni essere umano è un’Anima con una coscienza, che manifesta la propria azione nella
nostra realtà spazio-temporale attraverso un corpo che produce un campo mentale. Le informazioni
contenute nel campo individuale dell’essere umano condizionano e guidano anche il comportamento
dei campi individuali degli altri esseri umani che interagiscono con lui; dalla similitudine tra i due
dipende la possibilità di avere fenomeni di risonanza costruttiva o distruttiva.
L’Anima si confronta continuamente con il campo mentale, che contiene informazioni che possono
anche essere molto distruttive, impedendo la produzione di informazioni costruttive da parte
dell’Anima. Infatti, la prova fondamentale che un’Anima deve riuscire a superare nella sua esistenza
associata a un corpo fisico è proprio quella di produrre informazioni costruttive, nonostante
l’esistenza di una mente che ha solo la consapevolezza del suo corpo e che per questo limite la
ostacola continuamente.
Il campo mentale è prodotto dal corpo durante la vita fetale, e rimane legato a esso per tutta
l’esistenza del corpo stesso. Mentre le informazioni contenute nell’Anima non hanno tempo e sono
eterne, rispetto alla nostra realtà spazio-temporale, le informazioni contenute nel campo mentale
rimangono attive fintanto che esiste il corpo. Se il corpo muore e torna a essere polvere, queste
informazioni svaniscono con esso, anche se ne rimangono le tracce nei campi mentali collettivi
superiori, quello della famiglia, della comunità, dello Stato, fino al campo mentale collettivo della
specie umana.
Il comportamento dell’essere umano dipende proprio dal risultato dell’interazione tra la sua Anima
e il suo campo mentale, da tali informazioni e dal libero arbitrio.
L’Anima è in collegamento permanente con la Matrice Energetica, e contiene solo informazioni
costruttive.
Il corpo fisico è semplicemente la struttura della materia che grazie alla Matrice Energetica e
all’entropia costruttiva è riuscita a evolvere per ospitare un’Anima che gli dà la vita.
Il campo mentale è un campo di informazioni sia costruttive sia distruttive, e su di esso agiscono sia
l’entropia costruttiva che quella distruttiva. Tali informazioni possono determinare sia fenomeni di
interferenza distruttiva che costruttiva con le informazioni dell’Anima.
Questa concezione della vita ci permette di comprendere anche il fenomeno della morte del corpo
fisico; infatti, lo scopo della vita è il raggiungimento degli obiettivi dell’Anima, che si realizza grazie
alla produzione di informazioni attraverso esperienze vissute in diversi corpi fisici, tendenzialmente
sempre più evoluti, limitati dal tempo proprio per poter permettere un ricambio continuo.
Per la nostra Anima, che è immortale, il corpo è semplicemente uno strumento con il quale può
vivere esperienze, in un determinato periodo di tempo, al fine di evolvere e raggiungere i propri
obiettivi, che consistono nella produzione di nuove informazioni costruttive. Per l’Anima la morte del
corpo fisico non è affatto un evento traumatico, anzi è un’opportunità per cambiare in meglio.
Ogni struttura della materia ha un’Anima, l’Anima dell’elettrone è il suo campo elettrico, quella
della Terra è il suo campo gravitazionale. Un elettrone ha una propria Anima, un protone ha una
propria Anima; quando si fondono per formare un atomo di idrogeno, l’Anima dell’atomo assume il
controllo della nuova struttura e le due Anime precedenti sono libere di andare ad assumere il
controllo di un altro elettrone e di un altro protone nascente.
L’Anima non ha spazio né tempo, ed è lo strumento attraverso il quale la Matrice Energetica compie
la sua evoluzione, per mezzo di fenomeni di entropia costruttiva successivi all’acquisizione di nuove
informazioni costruttive.
La Matrice Energetica (Dio) non può vivere esperienze direttamente, ma lo fa per mezzo delle
Anime; la propria evoluzione è ottenuta grazie alle esperienze costruttive vissute dalle Anime nel
tempo. Lo scopo primario di ogni Anima è quello di contribuire alle manifestazioni di entropia
costruttiva nell’Universo e, quindi, all’evoluzione continua dell’intero Universo.
Per raggiungere il suo scopo, l’Anima deve produrre, come risultato finale di tutte le esperienze
vissute, un aumento dell’ordine nell’Universo e consentire un aumento dei fenomeni governati
dall’entropia costruttiva nell’Universo stesso.
L’Anima ha un suo percorso evolutivo che diviene tanto più veloce quanto più è complessa la
struttura che la ospita. Un fotone può esistere da trilioni di anni, un sasso da milioni di anni, un albero
da centinaia di anni, un essere vivente per molte decine di anni.
I nostri sensi non sono predisposti a recepire e comprendere le informazioni pure dell’Anima,
mentre i segnali inviati e ricevuti dai sensi vengono raccolti facilmente nel campo mentale. Occorre
invece assumere consapevolezza che in realtà ognuno di noi è la sua Anima, e il nostro corpo è
semplicemente la struttura complessa nella quale l’Anima, grazie alla sua evoluzione, ha deciso di
vivere le proprie esperienze. Senza l’Anima, il corpo sarebbe solo una massa di materia organica
soggetta all’azione dell’entropia distruttiva, e tornerebbe a essere polvere.
Noi non siamo il nostro corpo, né siamo la nostra mente, siamo un’Anima che tenta di contribuire in
modo costruttivo all’evoluzione e all’aumento di fenomeni di entropia costruttiva nell’Universo.
Siamo esseri spirituali che stanno vivendo un’esperienza corporea, non esseri corporei che cercano
di vivere esperienze spirituali.
Ognuno di noi dovrebbe entrare nel flusso dell’entropia costruttiva (dove esiste la protezione da
parte di altre anime più evolute, con o senza corpo), per evitare di esporsi all’azione dell’entropia
distruttiva, e per non sperimentare sofferenze.
Quanto più è evoluta un’Anima e quanto meno riesce a raggiungere i suoi scopi per effetto di un
campo mentale troppo distruttivo, tanto maggiore è il senso di sofferenza e frustrazione in cui vive
l’essere umano. Solo un’Anima poco evoluta può vivere serenamente le esperienze distruttive che il
suo campo mentale produce.
Quindi il significato essenziale di un’esperienza può essere totalmente diverso da come la nostra
mente la giudica. Anche i fenomeni distruttivi generati da un’Anima poco evoluta sono comunque
utili, in quanto possono permettere ad altri di vivere esperienze costruttive. Una classica esperienza
costruttiva è, infatti, quella vissuta nel diretto confronto con fenomeni distruttivi. Ciò avviene perché
qualsiasi cosa esista o accada nell’Universo, anche quella che per la nostra capacità di giudizio è la
più terribile, ha una sua utilità: niente è inutile.
Un essere umano fortemente distruttivo rappresenta un “rischio” per l’Universo e per la Matrice
Energetica, ma può essere utilizzato affinché, con la sua azione distruttiva, possa divenire lo
strumento di “disturbo” attraverso il quale altri esseri umani costruttivi possano vivere esperienze
fortemente più costruttive che se non avessero subìto il “disturbo”.
Gli esseri umani che scelgono di essere distruttivi, per effetto dell’incapacità di affrontare le
proprie paure, vivono non solo provocando la sofferenza ad altri, ma spesso anche in una profonda
sofferenza interiore, tanto maggiore quanto più grande è il livello di evoluzione della loro Anima.
L’esperienza attraverso la quale un essere umano costruttivo riesce a non farsi influenzare
negativamente da un essere umano distruttivo, è un’informazione costruttiva molto importante, che, se
raggiunge la Matrice Energetica, diviene istantaneamente disponibile a tutti gli esseri umani viventi
in grado di riceverla.
La nostra esistenza come Anima è iniziata vivendo in strutture della materia molto semplici, come
in un elettrone, in un atomo d’oro, in una molecola d’acqua, in un cristallo, in un fiore, in un virus, in
un verme, in un pesce, in un uccello, fino ad arrivare a uomini e donne capaci, nelle loro prime
esperienze in corpi umani, di vivere soprattutto esperienze distruttive, successivamente in esseri
umani capaci di vivere sia esperienze costruttive che distruttive.
La nostra conquista più importante l’abbiamo già compiuta raggiungendo la possibilità di vivere in
un corpo umano, che in questo momento è vivo. Infatti, se la nostra Anima non ritenesse utile la vita
del nostro corpo per produrre direttamente o indirettamente esperienze costruttive, semplicemente lo
lascerebbe. Anche il fatto stesso di lasciare il corpo può rappresentare l’ultima importante
possibilità (in quella vita) di far vivere a qualche altra Anima esperienze fortemente costruttive.
Il vero problema, a questo punto, consiste nel riuscire a vivere esperienze costruttive e di successo,
piuttosto che ridursi a essere dei semplici strumenti distruttivi che permettono ad altre persone di
vivere esperienze costruttive importanti, talmente importanti da riuscire a compensare i danni
prodotti da chi è distruttivo, e riuscendo, nonostante ciò, a far aumentare la somma totale dei
fenomeni di entropia costruttiva nell’Universo.
Va detto che il campo mentale è estremamente legato alla vita del suo corpo ed estremamente
sensibile al dolore fisico; per l’Anima, invece, la morte è una cosa piacevole.
Ancora prima che il corpo fisico venga alla luce, cioè nell’utero materno, l’Anima e il campo
mentale iniziano ad acquisire informazioni attraverso le esperienze della madre. Le esperienze
vissute dal corpo fisico nel corso dei primi anni di vita sono le più importanti, e in genere dipendono
fortemente dai genitori. Il caso in cui si hanno genitori distruttivi, è dovuto al fatto che l’Anima ha
scelto proprio quei genitori per avere l’opportunità di vivere esperienze fortemente costruttive,
quindi ciò che siamo dipende sempre, solo ed esclusivamente, da noi e da come abbiamo reagito alle
nostre prime esperienze di dolore e di gioia.
L’importanza delle esperienze vissute nei primi anni di vita e il ruolo dei genitori è tale che spesso
un essere umano si trova a consumare gran parte del resto della sua esistenza vivendo esperienze che
semplicemente hanno lo scopo di rimediare alle esperienze distruttive vissute da piccoli, ma
importanti per la sopravvivenza del suo corpo, ripetendole ciclicamente fino a quando saranno
vissute in modo costruttivo. Ogni uomo e ogni donna incontrano ed hanno relazioni con le donne e gli
uomini che si sono saputi meritare.
Spesso l’Anima a causa delle interferenze del campo mentale fallisce nell’obiettivo di vivere
esperienze capaci di produrre informazioni costruttive, e produce invece informazioni distruttive, che
sono memorizzate nel campo mentale e, una volta trasformate dal cervello in informazioni pure,
anche nella coscienza dell’Anima. In tal modo un’Anima che ha un corpo fisico, a causa della forza
dei segnali negativi che riceve dal suo corpo e dal campo mentale associato a esso, arriva a
concepire la sua esistenza solo come corpo fisico, annullando la sua attitudine a vivere esperienze
costruttive.
Un essere umano che può causare ad altri esseri viventi fenomeni di entropia distruttiva, come la
sofferenza gratuita, senza un fine costruttivo, senza provare la minima emozione negativa, è
sicuramente un’Anima poco evoluta che ha solo la consapevolezza del suo corpo. Essa appartiene a
un essere umano che è dominato dalle sue paure, nel quale la volontà del campo mentale di
controllarle prende in ogni modo il sopravvento sulle intenzioni della sua Anima. In tal caso il campo
mentale, che si trova nel flusso dell’entropia distruttiva, si illude di risolvere o giustificare le sue
paure, provocando disordine e sofferenza intorno a lui.
Chi ha paura della povertà, una delle paure fondamentali della nostra società consumistica,
consentendo l’influenza dell’entropia distruttiva, può provare un’emozione positiva, sia quando
ottiene del denaro sia quando gli altri hanno meno denaro di lui. Tale emozione positiva è solo di tipo
mentale ed è indipendente dallo scopo della sua Anima; a queste persone il denaro non basta mai e
provano invidia per chi ne ha più di loro.
È anche vero che non basta provare emozioni positive ed essere attratti dal bene, per capire di
essere nel flusso dell’entropia costruttiva e avere una consapevolezza come Anima. I concetti di bene
e di male, come già descritto nella parte iniziale del libro, sono solo costruzioni della nostra mente,
sono interpretazioni arbitrarie della realtà secondo schemi mentali e senso comune. È, infatti, molto
diffuso il fenomeno secondo il quale chi, per i suoi schemi mentali, opera nel bene, in realtà
determina solo fenomeni distruttivi, così come chi, secondo i suoi schemi mentali, opera nel male, in
realtà produce fenomeni costruttivi.
Per la nostra mente, capire quando una scelta è costruttiva o distruttiva è in ogni caso molto
difficile, come giudicare il significato essenziale di un evento, senza farsi condizionare da schemi,
pregiudizi e senso comune. Pertanto, ogni essere umano dovrebbe entrare nel flusso dell’entropia
costruttiva, in modo che qualsiasi azione, decisione, pensiero e scelta possano essere un effetto
dell’azione dell’entropia costruttiva, indipendentemente dal campo mentale, che spesso si ribella
generando sensi di colpa ogni volta che non sono rispettati i suoi schemi. È augurabile che la nostra
ultima vita associata a un corpo umano possa essere quella in cui saremo stati in grado di vivere
esperienze di entropia costruttiva, atte a produrre nuove informazioni costruttive per la Matrice
Energetica.
L’Anima non può trasferire alla Matrice Energetica le informazioni che possono in qualsiasi modo
produrre informazioni distruttive. Infatti, la Matrice Energetica rappresenta la coscienza dell’entropia
costruttiva, per questo non può regredire, può solo progredire, evolvere proprio grazie alle
informazioni costruttive pure, prodotte dalle esperienze vissute dalle Anime.
LA COSCIENZA E LE ESPERIENZE
Quando un’Anima ha vissuto sufficienti esperienze attraverso strutture sempre più complesse ed ha
sviluppato una coscienza, il suo grado di evoluzione può permetterle di vivere in strutture come
l’organismo umano. In tal modo può potenzialmente produrre, attraverso le sue esperienze,
informazioni costruttive che possono essere nuove anche per la Matrice Energetica, e che quindi
possono contribuire concretamente alla sua evoluzione e all’evoluzione dell’Universo. Esaminiamo
questa schema:
Coscienza: capacità dell’individuo di identificarsi quale soggetto della propria vita. L’Anima
raggiunge tale capacità acquisendo la possibilità di fare delle scelte autonomamente, anche in base
alle proprie esperienze e non solo in funzione delle informazioni ricevute dalla Matrice Energetica: il
libero arbitrio. Quindi la coscienza è la capacità dell’Anima di acquisire, memorizzare, interpretare
e discernere non solo informazioni costruttive, ma anche informazioni distruttive, grazie al libero
arbitrio, al fine di produrre informazioni costruttive, a costo di stimolare eventi che possono portare
l’essere umano a vivere grandi dolori.
Consapevolezza: sentirsi stabilmente partecipe della propria coscienza. È la più elevata esperienza
umana.
Ognuno di noi durante le varie età della vita arriva ad avere un grado di coscienza più o meno
elevato (ad esempio da 1 a 9), con un valore tanto più alto quanto più ci identifichiamo quali soggetti
della nostra vita. Per ogni grado di coscienza si vivono in maniera proporzionale le corrispondenti
esperienze, che avvengono attraverso il libero arbitrio concesso a ogni uomo. Quindi un essere
umano che ha acquisito un grado di coscienza 3 vive quotidianamente esperienze di tipo 3. Se non
accettiamo le esperienze negative vissute, cioè non ne comprendiamo profondamente il significato,
allora ci ammaliamo.
La malattia appare, allora, come la conseguenza di un blocco energetico, derivante dalla mancata
accettazione di tutte le esperienze vitali (specie quelle negative) vissute grazie al libero arbitrio in
diretta correlazione con il grado di coscienza raggiunto. Ricorrendo a un esempio, se l’essere umano
accetta tali esperienze, aumenta la propria saggezza, il che gli permette di evolvere, aumentando il
grado di coscienza, che diventerà 4. In tal modo avrà esperienze di livello 4, superiori alle
precedenti, ma anche in tal caso può non accettare il significato di tali esperienze e bloccarsi,
producendo la malattia, che come un messaggio inviato sul corpo, lo avvisa, con i suoi sintomi, di
comprendere e accettare tutte le esperienze vissute.
Alcuni soggetti possono arrivare addirittura a involvere, per limitarsi a vivere esperienze di valore
più basso, corrispondenti a un grado di coscienza minore, per evitare di soffrire. Invece il nostro
obiettivo, come già detto, deve essere quello di produrre nuove informazioni per la Matrice
Energetica, fino a raggiungere la consapevolezza, cioè l’illuminazione (grado 10). Quindi la mancata
comprensione delle esperienze induce sempre sofferenza. Abbiamo due possibilità: o soffrire oppure
comprendere e accettare. Se non comprendiamo né accettiamo, allora soffriamo, e ci ammaliamo.
Un punto molto importante per la salute è proprio il livello di coscienza e la sua frequenza
vibratoria, rappresentabile con l’immagine del grattacielo. Tutti siamo come dei grattacieli, con piani
di coscienza e frequenze vibratorie diversi. Se guardiamo fuori dalla finestra di un grattacielo al
primo piano, ciò che vedremo sarà molto diverso da quello che vedremmo se fossimo al centesimo;
la realtà esteriore cambierà radicalmente.
La stessa cosa succede quando cambiamo livello di coscienza e di frequenza energetica: il
paradiso, la vita, la coscienza, la libertà, l’amore, la bellezza e la verità si trovano in alto; mentre
l’inferno, la morte, l’incoscienza, la schiavitù, l’odio e la menzogna si trovano in basso.
È possibile salire su quest’asse verticale della coscienza con un cambiamento del proprio modo di
vedere la realtà e la vita. Questa scoperta ha un impatto fondamentale sulla medicina, sia fisica che
psichica e spirituale, perché con cambiamenti di coscienza e frequenza energetica cambiano
radicalmente le risposte della persona a varie medicine e terapie. Se si cambia livello di coscienza e
di frequenza vibratoria, bisogna cambiare le dosi di un rimedio terapeutico, e magari lo stesso
rimedio. Quindi malattie identiche possono e devono essere curate con dosi e medicine diverse!
Questa è la vera ars medica.
Occorre rendersi conto che noi non siamo solo le nostre sensazioni, i nostri impulsi, le nostre
emozioni, le nostre immagini e simboli, le nostre idee o pensieri, la nostra intuizione, ma siamo la
nostra coscienza, che ingloba contemporaneamente tutte queste facoltà. Siamo capaci di fare ciò che
vogliamo e di non fare ciò che non vogliamo fare? Siamo in grado di attivare in ogni momento della
vita la nostra coscienza, quell’io cosciente creativo e critico che ha reso possibile l’evoluzione della
specie?
L’attività mentale umana è per la maggior parte di tipo conservativo, tesa, cioè, alla difesa dell’io
soggettivo dalle aggressioni esterne. Tale attività è quasi completamente coordinata dalla mente
biologica-neuronale (il cervello).
Le attività superiori, invece, in particolare il pensiero critico e creativo, sono caratteristiche
dell’io cosciente, struttura sicuramente distinta dalla mente biologica, ma a essa strettamente
interconnessa.
Il cervello impiega 500 millisecondi per elaborare la realtà in modo conscio, mentre gli bastano
150 millisecondi per l’individuazione sensoriale senza consapevolezza, cioè per vedere cose non
interessanti, che non vengono registrate.
Il processo di prendere coscienza, quindi, crea un lievissimo e impercettibile ritardo tra quello che
vediamo e sentiamo e quello che “sappiamo” di aver visto e sentito. Cosa avviene in questo lasso di
tempo? In quei 350 millisecondi entrano nella coscienza solo quelle informazioni che le cellule
nervose della corteccia cerebrale ritrasmettono in modo sincrono ai centri di una struttura nervosa (il
talamo), sintonizzandosi tutte sulla stessa frequenza d’onda: una modulazione intorno ai 40 Hertz. Il
rumore di fondo continuo delle altre cellule, trasmesso su altre lunghezze d’onda, resta, invece,
escluso dalla coscienza.
La raccolta di queste informazioni è fatta dalle cellule del nucleo intralaminare del talamo, dal
quale ha origine un treno d’impulsi nervosi, che, simile a un fascio radar, fa il giro completo del
cervello ogni 12,5 millisecondi. Ogni giro esplica il reclutamento di tutte le informazioni presenti
nelle diverse aree specializzate del cervello: corteccia visiva, sensitiva, uditiva, che sono
sincronizzate dalla mente sulla stessa lunghezza d’onda (40 Hertz).
La coscienza, quindi, non è un luogo fisico, ma un tempo e una frequenza che accordano le diverse
sensazioni all’unisono tra loro. Il cervello con la sua struttura organico-biologica è assimilabile
all’hardware di un computer, in cui s’immettono i dati provenienti dagli organi di senso, e in cui il
frutto dell’elaborazione della mente viene tradotto in fisicità, per l’azione finale. La mente è invece il
programma di elaborazione-dati interposto al terminale-cervello, e cioè rappresenta l’unità centrale
elettromagnetica dell’intero calcolatore (software).
Possiamo, quindi, ragionevolmente supporre che accanto a un cervello neuronale esista un cervello
elettromagnetico (psiche), in grado di elaborare informazioni con una velocità e sensibilità
estremamente superiore al cervello biologico. In tale struttura elettromagnetica coesiste sia l’io
biologico che l’io superiore, cioè l’io creativo - riflessivo. Tale struttura utilizza il cervello
biologico-neuronale e da esso ricava percezioni e sensazioni che poi elabora e traduce in coscienza,
senso della vita e dell’essere, nonché in strategie di evoluzione e trascendenza.
Ogni mutamento di carattere somatico influenza tale struttura elettromagnetica che definiamo
“psiche”; così uno “stressor” nella struttura psico-elettromagnetica si tradurrà, attraverso la
mediazione del cervello biologico-neuroendocrino, sull’intero organismo.
Il rapporto tra mente e corpo è così stretto, diretto e immediato, che uno shock psichico produce
contemporaneamente una perturbazione nella mente elettromagnetica, nel cervello biologico e in un
organo periferico controllato da quella area encefalica. Se mente e corpo sono, quindi, così
strettamente interconessi, i fattori psichici possono scatenare malattie somatiche, ma anche
intossicazioni croniche a carico di organi periferici o del tessuto intercellulare connettivale possono
acuire o generare disturbi psicologici.
L’agire consapevolmente in funzione dello scopo dell’Anima è l’elemento fondamentale per entrare
nel flusso dell’entropia costruttiva, e per realizzare ciò la condizione prioritaria è dissolvere le
proprie paure. Per ridurre le proprie paure, occorre imparare a non temere più il giudizio degli altri;
infatti, temere il giudizio degli altri significa essere dominato nelle proprie scelte dall’influenza del
campo mentale, che forza la persona a essere sempre come gli altri si aspettano che sia.
Non temere il giudizio degli altri significa essere riusciti a ridurre l’influenza del campo mentale,
amando profondamente se stessi. Anche imparare a dire di no, rappresenta una condizione importante
per neutralizzare le proprie paure.
Sembra un luogo comune dire che per amare veramente qualcuno, si deve prima imparare ad amare
se stessi, e questo è l’elemento fondamentale per potersi liberare dal timore del giudizio degli altri. Il
giudizio degli altri dipende dagli schemi mentali e dal senso comune (l’educazione e la cultura
ricevute e l’ambiente in cui si è vissuti), ed è condizionato dalle informazioni contenute nel nostro
campo mentale.
Tutti in varia misura temiamo il giudizio degli altri, ma chi non si ama consuma la quasi totalità
della propria energia vitale nel tentativo di piacere agli altri. È come voler attraversare un lago con
una barca a remi che ha una falla nello scafo. Gran parte dell’energia disponibile dovrà essere
utilizzata per togliere l’acqua entrata dalla falla, per evitare che la barca affondi.
Non esiste un “libro del destino” dove sta già scritto tutto, dove tutto è già previsto. L’Anima non sa
se le cose andranno come si aspetta che vadano. È proprio grazie a questa “imprevedibilità guidata”
che le esperienze possono produrre informazioni costruttive che siano nuove anche per la Matrice
Energetica.
La memoria completa di un’esperienza, distruttiva o costruttiva, avvenuta nello spazio e nel tempo
e condizionata da giudizi, schemi mentali, sensi comuni, è mantenuta nel campo mentale.
L’Anima e la sua coscienza, che non hanno spazio né tempo, possono acquisire solo informazioni
pure, che contengono solo le informazioni essenziali ricavate da ogni esperienza, e liberate dallo
spazio e dal tempo e dall’influenza del campo mentale.
Per vivere esperienze costruttive importanti e nuove anche per la Matrice Energetica è necessario il
libero arbitrio e quindi la possibilità di scelta, considerando i possibili sviluppi di un’esperienza, sia
in senso distruttivo sia costruttivo. Per questo motivo la coscienza dell’Anima deve avere anche una
memoria delle esperienze distruttive.
In effetti, le Anime che si sono evolute fino ad avere una coscienza rappresentano un “investimento”
rischioso, nel senso che per produrre nuove informazioni costruttive complesse per la Matrice
Energetica devono poter vivere, interpretare e memorizzare anche esperienze distruttive, cioè devono
essere messe in condizione di prendere decisioni e di fare scelte costruttive anche in fenomeni
governati dall’entropia distruttiva. Solo le informazioni ottenute da questo tipo di esperienze possono
permettere ulteriori evoluzioni della Matrice Energetica.
Le informazioni presenti nella coscienza dell’Anima di un essere umano sono eterne, e sono il
risultato delle innumerevoli esperienze che l’Anima ha vissuto in strutture della materia sempre più
organizzate e capaci di vivere esperienze complesse. Invece le informazioni presenti nel campo
mentale sono collegate con il corpo che le ha prodotte, e in genere hanno una maggiore influenza
immediata sulle esperienze che l’essere umano ha vissuto e vivrà nel corso della sua esistenza. Ogni
essere umano produce continuamente informazioni attraverso i suoi pensieri, e le trasferisce o ad altri
o all’ambiente che lo circonda. Le informazioni prodotte dalla mente sono alla base dell’attrazione e
repulsione tra esseri umani; in genere gli esseri umani che hanno un campo individuale distruttivo,
devono utilizzare strategie mentali estremamente impegnative per non attrarre solo esseri umani
distruttivi, o investire enormi quantità della loro energia nell’aspetto fisico, mentre, per quanto
riguarda le informazioni presenti nella coscienza dell’Anima, non vi sono regole che stabiliscono le
attrazioni e repulsioni tra esseri umani. L’Anima ha una consapevolezza e degli obiettivi per
raggiungere i quali può essere importante per un soggetto costruttivo provare attrazione verso uno
distruttivo e viceversa.
La volontà dell’Anima non può essere giudicata dalla mente, e può apparire estranea a ogni logica.
La mente ha, in effetti, delle limitate capacità di interpretazione della realtà, e crede di esprimere
giudizi obiettivi, ma non fa altro che cercare di spiegare razionalmente, sulla base delle proprie
esperienze, le sensazioni che l’effetto di ogni interazione gli trasmette in misura più o meno evidente.
Ecco un esempio di come la mente sia la principale responsabile del modo con cui percepiamo la
realtà: se un bambino ci dice una frase offensiva di solito non ci arrabbiamo, ma se la stessa frase
viene espressa da un adulto siamo subito pronti a litigare. La frase è la stessa, noi siamo gli stessi, la
differenza è nel fatto che la nostra mente considera le parole del bambino come uno scherzo di un
essere incosciente, mentre ritiene la frase dell’adulto come un’offesa seria pronunciata da una
persona cosciente.
Ma allora, perché dovremmo considerare una persona seria e cosciente chi ci dice una parolaccia e
non potremmo invece considerarlo al pari di un bambino? Se questa persona ci ha insultato senza un
reale motivo, perché arrabbiarsi? Sarebbe naturale considerarlo come un bambino cresciuto che non
sa quello che dice! Se invece siamo stati noi a provocare in qualche modo l’insulto, sarebbe meglio
ammettere il nostro errore ed evitare di peggiorare la situazione. In ogni caso, è sempre la nostra
mente che elabora le percezioni sensoriali, giudicando le varie situazioni, e frammentando la realtà.
Il campo individuale di ogni essere umano, sia per le informazioni che contiene, sia per il loro
valore, è uno degli elementi che rendono ogni essere umano assolutamente unico e irripetibile.
L’aspetto molto interessante di questo fenomeno di interazione distruttiva o costruttiva tra Anima e
campo mentale è che, solo cambiando l’atteggiamento mentale e la qualità delle informazioni
contenute nel campo mentale, è possibile ottenere cambiamenti molto rapidi e forti del campo
individuale.
Il campo individuale pulsa e si espande o si contrae a ogni pensiero che viene prodotto. Questa
pulsazione è percepita come emozioni di gioia ed entusiasmo quando l’interazione costruttiva con
l’Anima determina un’espansione del campo individuale, e come emozione di infelicità e paura
quando l’interazione distruttiva con l’Anima determina una contrazione del campo individuale.
LA FELICITÀ E LA SOFFERENZA
La felicità dipende solo dalla consapevolezza con cui si vive la realtà. È uno stato dell’essere che
si raggiunge quando quello che si fa è in sintonia con gli obiettivi della propria Anima. L’aspetto
importante è che per ottenere tale situazione è sufficiente produrre pensieri costruttivi con un
atteggiamento mentale costruttivo. Quando il campo mentale e quello dell’Anima contengono
informazioni in contrasto tra loro, e le informazioni distruttive del campo mentale sono superiori a
quelle costruttive dell’Anima, si ottiene per effetto dell’interazione distruttiva un campo individuale
distruttivo, con l’entrata nel flusso dell’entropia distruttiva e la percezione dello stato di infelicità.
La mente, purtroppo, non è in grado di capire se un’esperienza o un’informazione è in sintonia con
gli obiettivi dell’Anima, per cui il problema a questo punto si sposta dalla capacità di comprensione
della mente alla consapevolezza della realtà che si sta vivendo. Se si riesce ad avere almeno una
piccola parte della consapevolezza della realtà che ha l’Anima, allora si riesce a entrare nel flusso
dell’entropia costruttiva, e la felicità si raggiunge spontaneamente, senza aver bisogno che accada
nulla perché ciò si verifichi.
In tal modo si contraddice il famoso detto “Chi cerca trova”, che diventa “Chi non cerca trova”, in
quanto chi è nel flusso dell’entropia costruttiva non deve affannarsi e disperdere energia per cercare
le soluzioni a eventuali problemi, ma queste vengono trovate senza alcun tipo di azione, come se
arrivassero dalla sincronizzazione del Campo Individuale della persona con la Matrice Energetica.
Quando si pensa alla felicità, la mente pensa subito a dei motivi che possano giustificarla, cioè
considera la felicità come l’effetto dell’ottenimento di qualcosa che soddisfi i suoi desideri. Ma i
suoi desideri derivano soprattutto dalla paura di soffrire, che a sua volta deriva dall’incapacità di
comprendere il reale significato della realtà in cui vive. Per come vive la realtà un neonato, il poter
essere abbracciato e allattato da sua madre, ha maggior valore di una vincita milionaria. Invece per
una donna terrorizzata dalla solitudine, essere circondata da uomini che la usano, riempiendola di
falsi complimenti finalizzati a possederla sessualmente, ha maggior valore del sincero e
incondizionato amore che può silenziosamente ricevere da chi non vuole nulla in cambio.
La mente dà valore alle cose solo in funzione del bisogno che crede di avere di esse o del timore
che ha di esse, non in funzione della reale importanza che hanno. Una persona che incontra un
pipistrello che gli vola sulla testa può terrorizzarsi, mentre due topi possono considerare lo stesso
pipistrello un angelo.
La consapevolezza dell’Anima è quella che può permettere di dare il giusto valore a ogni cosa,
perché l’Anima non ha bisogno di nulla e non teme nulla. Le basta la sua pura esistenza,
indipendentemente da qualsiasi cosa possa accadere, perché non ha bisogni fisici da soddisfare, non
ha desideri mentali da realizzare, non teme il giudizio o il confronto con gli altri, non può morire e
quindi non ha paura della morte. La sua consapevolezza è quella dell’intero Universo dal quale non
può separarsi, perché partecipa all’evoluzione dell’Universo stesso.
La sofferenza emotiva, che spesso si traduce nella depressione, intesa come effetto del non poter
fare le cose che ci piacciono, è invece sempre dipendente dalle informazioni accumulate nel campo
mentale e del modo in cui la mente interpreta la realtà, quando cioè essa non riesce a soddisfare le
proprie aspettative.
Tale sofferenza può essere l’effetto dei tentativi dell’Anima, incomprensibili per la mente, di creare
situazioni in cui la persona possa evolvere e iniziare a produrre informazioni costruttive, o l’effetto
di uno stato di insoddisfazione da parte della mente, che tenta di trovare subito dei “colpevoli” o
delle cause esterne.
La colpa della sofferenza è solo della mente; la sofferenza produce paura, e questa impedisce a un
essere umano di compiere scelte costruttive. Le ragioni alle quali attribuiamo la causa della nostra
sofferenza non sono altro che l’effetto del nostro atteggiamento mentale, e spesso sono dovute a un
errore nell’interpretazione della realtà. Ma è proprio in queste circostanze che si crea la possibilità
di produrre informazioni costruttive estremamente importanti e di sperimentare, da parte del campo
mentale, che tutto ciò che accade non è altro che l’effetto del proprio modo di porsi nei riguardi della
vita.
Una volta che si riesce comunque a essere sereni, si accede al flusso dell’entropia costruttiva,
seguendo l’Anima, anziché cadere continuamente nelle trappole della mente. Se un’Anima è molto
evoluta, pur di arrivare al suo scopo, è possibile che s’impegni a produrre situazioni in grado di far
vivere esperienze che possano anche causare profonda sofferenza. Quando finalmente avrà imparato
il significato reale della sofferenza, allora sarà pronta per continuare a evolvere senza dover più
affrontare esperienze di sofferenza, ma solo attraverso esperienze di gioia e di successo.
Per i soggetti costruttivi, anche scelte o azioni che apparentemente possono apparire sbagliate,
ingiuste o negative, perché in contrasto con gli schemi mentali e il senso comune, producono sempre
un aumento dell’ordine e fenomeni di entropia costruttiva. In questi soggetti le intuizioni prodotte
dall’Anima prevalgono sempre sui ragionamenti del campo mentale.
Le azioni dei soggetti distruttivi sono invece dominate dal campo mentale, e anche se
apparentemente possono sembrare giuste, corrette e in perfetta sintonia con gli schemi mentali e il
senso comune, producono sempre un aumento del disordine e fenomeni di entropia distruttiva, a
breve o a lungo termine.
I soggetti indecisi sono nel flusso dell’entropia costruttiva, ma a volte le loro paure hanno il
sopravvento e s’inseriscono nel flusso dell’entropia distruttiva; le loro azioni sono comunque
dominate dall’influenza del campo mentale, con occasionale intervento dell’Anima, che non è
particolarmente evoluta. Inoltre sono facilmente plagiabili, come bandiere che sventolano nella
direzione di dove soffia il vento.
Tanto maggiori sono le esperienze che un essere umano ha vissuto e gestito in modo distruttivo,
tanto maggiori sono le sue paure, l’influenza del campo mentale e dell’entropia distruttiva. Un essere
di questo tipo ha due possibilità: o affrontare e vincere le sue paure, o cercare di nasconderle e
fuggire, rimuovendole.
Riuscire, per un costruttivo, a vivere in modo costruttivo un’esperienza con un essere distruttivo, o
indeciso, in modo tale da farlo convertire all’entropia costruttiva (conversione sempre e comunque
voluta e decisa dal soggetto distruttivo o indeciso), rappresenta una tra le più importanti e utili
esperienze che possa produrre, dando un contributo all’ordine dell’Universo. In modo opposto, per
un distruttivo, riuscire a convertire un costruttivo al flusso dell’entropia distruttiva fa aumentare il
disordine dell’Universo, neutralizzando la produzione di ordine che quell’individuo avrebbe
perpetrato se non si fosse “convertito”.
Il soggetto distruttivo sente il bisogno di controllare gli altri, ricorrendo spesso all’autorità, alla
forza e alla violenza; ha sete di ricchezza e di potere, con cui si illude di sconfiggere le sue paure. In
questo soggetto le esperienze d’insuccesso per l’Anima appaiono invece al campo mentale come
esperienze di successo.
L’esperienza della ricchezza ottenuta semplicemente togliendola ad altri non contiene alcuna
informazione evolutiva, perché non ha alcun valore costruttivo, è un semplice spostamento: uno perde
qualcosa e un altro la ottiene, avendo sviluppato l’abilità di togliere denaro ad altri. Il denaro ha un
sapore diverso quando è l’effetto di esperienze costruttive, rispetto a quando è semplicemente tolto
ad altri.
Spesso i politici operano con l’unico fine di mantenere e aumentare il loro potere, producendo
affermazioni e dichiarazioni che hanno come unico fine quello di raccogliere consensi agendo
esclusivamente sul campo mentale di chi li ascolta. Nella maggioranza dei casi si tratta di uomini
distruttivi, che hanno bisogno di potere soltanto per nascondere in qualche modo le loro paure e la
loro reale inferiorità. Gli effetti distruttivi si manifestano attraverso l’assoluta incapacità tecnica di
fare scelte costruttive, spesso a distanza di tempo; lo sperpero economico che ne consegue è l’effetto
dell’assenza di reali obiettivi di benessere e di giustizia per il proprio paese.
Un soggetto costruttivo, che si eleva rispetto ad altri simili, si confronterà a sua volta con soggetti
distruttivi più elevati dei suoi simili, e quindi dovrà superare delle prove molto dure, di cui dovrà
avere piena consapevolezza; in caso contrario potrebbe ritornare al livello gerarchico precedente,
sicuramente molto più tranquillo, ma tale scelta non gli permetterebbe più di evolvere (vedi schema).
I nostri tradizionali concetti di bene e male fanno riferimento esclusivamente ai nostri schemi
mentali, che hanno bisogno di giudicare ogni cosa; anche il soggetto più distruttivo non ammetterebbe
mai di essere distruttivo, le sue azioni sono semplicemente dominate dal campo mentale che riesce
quasi sempre a convincere il protagonista di un’esperienza distruttiva che ciò che sta facendo è
comunque giusto.Capire con il campo mentale cosa è effettivamente bene, e cosa è effettivamente
male, è praticamente impossibile. Fortunatamente questa impresa è estremamente semplice e
immediata per la nostra Anima. Qualsiasi scelta o esperienza vissuta nel flusso dell’entropia
costruttiva determina un aumento dell’ordine, il contrario determina un aumento del disordine.
Chi è nel flusso dell’entropia costruttiva? Chi è felice, pur non avendo un motivo razionale per
esserlo. Chi non ha schemi mentali che lo costringano a giudicare continuamente gli altri e se stesso.
Chi accetta la possibilità che la realtà possa essere completamente diversa da come appare ai propri
occhi e ai propri sensi.
Riguardo alla medicina, siamo vicini a una sorta di rivoluzione attuata sia dai medici, che iniziano
finalmente a ribellarsi a un sistema che li vuole come strumenti prescrittori di farmaci, sia dei malati,
che iniziano a ribellarsi a un sistema che deve la propria ricchezza alle loro malattie. I farmaci
artificiali, sintetizzati chimicamente dall’uomo per soddisfare soprattutto i desideri del suo campo
mentale e fuggire dalle sue paure, anche se appaiono efficaci a breve termine nell’agire sugli effetti
di processi di entropia distruttiva in atto (es. il dolore), nella stragrande maggioranza dei casi non
fanno altro che produrre ulteriori interferenze distruttive con l’entropia costruttiva, determinando un
sistema immunitario sempre più debole, vulnerabile e dipendente dai farmaci.
Esistono numerose sostanze naturali e terapie non convenzionali, come l’omeopatia, l’agopuntura,
l’omotossicologia, la medicina omeosinergetica, che aiutano l’azione dell’entropia costruttiva, che
interviene spontaneamente allorché nel malato si riduce la paura dei propri sintomi, portando alla
vera guarigione; questa si realizza solo quando si riducono le interferenze distruttive dei loro campi
mentali.
Qualsiasi decisione che un soggetto distruttivo possa prendere è condizionata da una tendenza di
base a produrre disordine, insuccesso, infelicità. Nei soggetti distruttivi le paure creano dei circoli
viziosi, dominano e guidano ogni loro scelta e producono fallimenti che a loro volta alimentano le
paure. Le tipiche paure, di cui è afflitto il genere umano, che spesso sono mascherate, sono quelle
della solitudine, del cambiamento, della morte, della dipendenza, dell’inferiorità, della povertà,
dell’abbandono, del dolore. Una persona che vive nella paura è incapace di prendere decisioni e di
compiere azioni dagli effetti costruttivi.
I soggetti distruttivi spesso si ritengono vittime della sfortuna, senza riconoscere di essere loro
stessi la causa degli eventi negativi che vivono. La sfortuna non esiste, è solo una delle
manifestazioni delle loro azioni nel flusso dell’entropia distruttiva. Questi soggetti sono esseri umani
esperti nell’ottenere cose che possano coprire le loro paure con ogni tipo di espediente; a esempio,
per una giovane donna distruttiva riuscire a farsi sposare da un uomo che non ama può essere una
bella copertura, che le fa ottenere soldi, gioielli, potere, automobili prestigiose.
L’entropia distruttiva produce disordine, che in questo caso si propaga nella coppia, e si manifesta
come infelicità, insoddisfazione, rabbia. Se in tale coppia il marito non è sufficientemente costruttivo
da reagire, e se non avviene la separazione, arriva un figlio, un’altra copertura di paure non risolte e
un’altra persona che sarà esposta agli effetti dell’entropia distruttiva.
Spesso i soggetti distruttivi sono attori bravissimi, capaci di recitare parti difficili, e le loro azioni
determinano sempre un’effettiva riduzione dell’ordine del sistema in cui agiscono. Il loro
comportamento dipende in genere da quale tipo di paura primaria ha causato originariamente
l’interruzione dell’azione dell’entropia costruttiva. Se la paura primaria è quella della solitudine, il
soggetto cercherà di evitare ogni esperienza di abbandono; una donna utilizzerà ed esalterà al
massimo tutti i suoi strumenti seduttivi sul maschio, cercando di rendersi irresistibile, amabile e di
conquistarlo con qualsiasi strumento o recitando delle parti. L’effetto più probabile sarà quello di
venire regolarmente abbandonata; allora si convincerà di essere sfortunata e cercherà di aumentare
ancora di più l’efficacia delle sue armi di seduzione, ma le esperienze finiranno sempre allo stesso
modo. Fino a quando non capirà che in realtà è lei stessa la causa degli abbandoni che subisce, fino a
quando non capirà che solo liberandosi della paura dell’abbandono e imparando a viverlo senza più
temerlo, solo allora potrà accedere al flusso dell’entropia costruttiva, e solo in questo caso non sarà
più abbandonata.
La donna che non ama se stessa e che ha paura di non essere amata, spesso commette il grave errore
di esasperare i suoi strumenti di seduzione, arrivando anche in alcuni casi a ricorrere alla chirurgia
estetica per attirare l’attenzione dei maschi. Queste sono donne che si lamentano sempre degli
uomini, che considerano sfruttatori egoisti. Ogni donna ha gli uomini che si merita.
Essere in sintonia con la propria Anima, amarsi semplicemente per quello che si è, è la chiave
della felicità e dell’equilibrio. Un uomo che non si ama, e che ha paura di non essere amato,
utilizzerà strumenti di seduzione, ostentando forza, ricchezza o potere che in realtà non ha; in questo
modo attirerà solo il tipo di donne dalle quali in realtà fugge, perché incapaci di apprezzarlo per la
sua vera natura.
L’uomo distruttivo sarà tradito o lasciato, e si convincerà che le donne sono tutte infedeli e
inaffidabili; in realtà solo quelle che lui ha saputo meritarsi lo sono state con lui. Ogni uomo ha le
donne che si merita.
L’Anima percepisce alla prima interazione, che può essere semplicemente costruttiva o distruttiva,
il valore essenziale di ogni cosa; le basta una frazione di secondo per capire, e comprendere molto
più di quanto la mente potrebbe forse capire in tutta una vita trascorsa insieme.
Se la paura dominante è quella della povertà, è possibile che il soggetto distruttivo utilizzi gran
parte della sua energia e ingegno per cercare di guadagnare sempre più soldi, ricorrendo
normalmente a scorrettezze pur di soddisfare ciò che ritiene una necessità primaria per gestire la sua
paura: il suo guadagno economico, che avviene a scapito di altri o dell’ambiente in cui agisce.
I guadagni economici di un soggetto che è nel flusso dell’entropia costruttiva sono invece l’effetto
di azioni ordinanti e costruttive che hanno dato a qualcuno o aggiunto all’ambiente qualcosa; la
ricchezza è in questo caso l’effetto dell’azione dell’entropia costruttiva e strumento per l’ulteriore
diffusione e creazione di fenomeni costruttivi.
Un distruttivo con la paura della solitudine ha un campo mentale ricco di informazioni relative a
esperienze di abbandono che sono state vissute con sofferenza e alle quali è stata associata la paura.
Quando la mente non riesce a giustificare un’azione da essa prodotta, vengono generati dei sensi di
colpa, i quali contribuiscono ad aumentare le paure. Questo ciclo prodotto dalla mente può
continuare a lungo, fino a quando il soggetto distruttivo non inizia ad agire anche in funzione delle
reazioni della sua Anima nei confronti delle sue azioni.
Invece ogni azione di un soggetto costruttivo è finalizzata alla produzione di ordine e felicità, anche
se può apparire sbagliata al suo campo mentale. Spesso il soggetto costruttivo è una persona umile,
che non sente l’esigenza di controllare gli altri. Ogni scelta viene compiuta in sintonia con le pulsioni
emotive istintive prodotte dall’Anima, ogni volta che una nuova informazione interagisce con essa.
Queste emozioni precedono sempre quelle prodotte per effetto dell’interazione di nuove
informazioni con il campo mentale. Quest’ultimo interviene sempre per interpretare o giustificare le
scelte compiute, ma non riesce mai ad avere maggiore influenza delle pulsioni istintive dell’Anima.
I soggetti costruttivi si trovano spesso a dover affrontare delle prove dall’alto contenuto distruttivo
potenziale, sotto forma di eventi drammatici o di rapporti con soggetti distruttivi che possono indurli
a provare paura, la chiave di accesso all’entropia distruttiva. Proprio tale capacità di affrontare in
modo costruttivo anche situazioni potenzialmente molto distruttive permette a tali soggetti di produrre
informazioni costruttive sempre più utili per l’evoluzione della Matrice Energetica e dell’Universo.
Il flusso dell’entropia costruttiva è un insieme di informazioni costruttive (come una “doccia” di
luce) che permette a tutti gli esseri viventi, che vi sono immersi, di pensare, agire e comportarsi in
totale sintonia con la tendenza evolutiva dell’entropia costruttiva.
L’ALIMENTAZIONE E LA SALUTE
Spesso la paura associata a qualsiasi informazione rende quest’ultima distruttiva e capace di
impedire l’intervento dell’entropia costruttiva. Si creano così delle zone d’ombra, che possono
essere anche determinate da fonti di interferenza minori, come, a esempio, lo stile di vita, cioè quello
che pensiamo, mangiamo, beviamo, respiriamo e tutto ciò che facciamo con il nostro corpo. Agendo
sul corpo in modo costruttivo, possiamo aumentare l’energia vitale, al fine di riuscire a demolire le
fonti d’interferenza e le zone d’ombra.
Le informazioni che riceviamo normalmente da giornali, radio e televisione su come mangiare e su
come dovrebbe essere il nostro stile di vita sono spesso contraddittorie e false, perché condizionate
dalle leggi di mercato. Dovremmo, perciò, “star meglio mangiando meglio”.
Un regime alimentare è qualcosa che si deve seguire per tutta la vita e non per pochi mesi, per
questo potete farlo vostro anche in tempi non brevi, così come c’è voluto molto tempo per imparare a
mangiare male.
Ippocrate diceva: “Che il tuo cibo sia la tua medicina e che la tua medicina sia il tuo cibo!”.
Quattro regole alimentari semplicissime garantiscono di rimanere in perfetta salute e mantenere il
peso ideale. Queste regole discendono dalla conoscenza della nostra natura e dal funzionamento del
nostro organismo.
1) Almeno il 75% degli alimenti che ingeriamo nella giornata deve essere ricco di acqua:
ovvero frutta e verdure.
Il nostro pianeta è composto dal 75% di acqua e anche il nostro corpo rispetta le medesime
proporzioni. Per permettere un corretto ricambio dell’acqua presente nelle nostre cellule non basta
“bere molto”, occorre nutrirsi con alimenti ricchi di acqua, come frutta e verdura od ortaggi. I cibi
“secchi”, cioè le proteine animali come la carne, o i carboidrati come pane e pasta, si chiamano così
perché contengono poca acqua disponibile all’assimilazione durante i processi digestivi. La frutta va
mangiata da sola, lontano dai pasti e dagli altri alimenti, altrimenti ne ostacola la digestione,
causando fermentazione intestinale. L’ideale sarebbe mangiare solo frutta nelle prime ore della
giornata fino al pranzo, oppure come spuntino a metà pomeriggio o ancora usarla ogni tanto come
pasto completo.
2) Le proteine animali vanno assunte non più di quattro volte alla settimana.
Le proteine animali (carne, salumi, insaccati, pesce, uova e formaggi) non sono indispensabili come
ci hanno insegnato le teorie di una certa dietetica contemporanea. L’apporto proteico della civiltà dei
consumi è enormemente superiore a quello dei nostri predecessori e questo non è necessariamente un
bene: studi scientifici dimostrano che un apporto eccessivo di proteine può causare dei seri problemi
all’equilibrio del nostro organismo (specialmente nei bambini). A questo si aggiunga che molti
vegetali sono ricchi di proteine “semplici” (vedi i legumi e la frutta secca) e quindi più assimilabili
da parte del nostro organismo.
Il nostro apparato digerente ha caratteristiche che lo situano tra quello degli erbivori e quello dei
carnivori; queste caratteristiche indicano che carne e pesce si possono mangiare, non sicuramente
tutti i giorni e secondo le indicazioni che tratteremo nel prossimo punto.
Anche il latte e i latticini vanno molto ridimensionati. Il latte è un alimento molto complesso, e di
non facile digestione, che andrebbe eliminato (addirittura secondo studi recenti sarebbe, associato ai
suoi derivati, una concausa responsabile dell’osteoporosi nelle donne in menopausa, perché
l’organismo, per compensare l’enorme quantità di acidi introdotti con tali proteine effettua
l’alcalinizzazione dismettendo il calcio dalle ossa). Quindi si dovrebbe ridurre notevolmente la
quota di latticini e formaggi, che andrebbero preferibilmente consumati freschi e non stagionati.
3) I vari alimenti vanno associati in maniera corretta; ciò assicura un’ottima digestione e
un’ottima assimilazione.
Carboidrati e proteine non vanno mai associati! Bisogna scegliere in ciascun pasto se si vogliono
mangiare i carboidrati (la pasta, il riso o le patate) o le proteine animali (il pesce, la carne, i
latticini, le uova): l’abitudine di mangiare insieme un primo e un secondo non è assolutamente
corretta. Queste indicazioni hanno una precisa ragione fisiologica, facilmente dimostrabile
scientificamente: il nostro stomaco digerisce i carboidrati in un “ambiente” basico e le proteine in un
“ambiente” acido. Ingerire entrambi in tempi ravvicinati manda in tilt lo stomaco, impedendogli così
di svolgere un lavoro corretto. Oltre a un tempo di digestione più lungo (che significa dispendio di
energia), dai cibi mal digeriti si producono tossine che irritano l’intestino e danneggiano tutto
l’organismo.
4) Mangiare meno!
Numerose ricerche scientifiche hanno evidenziato che il modo più sicuro per aumentare la durata
della vita consiste nel ridurre la quantità di alimenti che si ingerisce.
Per questo è importante alimentarci con moderazione, alzandoci ogni volta da tavola con ancora un
po’ d’appetito. Gli eccessi non sono smaltiti in tempi fisiologici dall’organismo, per cui vengono
immagazzinati nei tessuti di deposito e vanno a intasare l’organismo stesso. Quindi, il messaggio è
semplice e chiaro: mangia meno e vivrai di più!
Da questo l’esigenza di bilanciare correttamente ogni pasto: i due pasti principali (pranzo e cena)
devono avere sempre la stessa struttura, facendo in modo che in ogni pasto sia presente un solo cibo
“secco”, cioè:
verdure crude;
o un “primo” o un “secondo” (solo 4 volte alla settimana: carne bianca o formaggio o uova o
pesce);
verdura cotta.
Le verdure crude e cotte si possono condire con sale marino integrale, olio e limone (o aceto di
mele biologico). Le verdure si possono cuocere a vapore o stufate o al forno ma senza grassi in
cottura.
Occorre ricordare che ogni alimento bruciato (specialmente le carni) è potenzialmente
cancerogeno.
Inoltre è necessario ridurre il consumo di cibi conservati e raffinati (impoveriscono la dieta di
nutrienti essenziali e facilitano lo sviluppo di intolleranze alimentari), e preferire decisamente
alimenti integrali freschi e di derivazione biologica, privi di additivi, coloranti, conservanti,
pesticidi.
Come ulteriore raccomandazione, è necessario evitare i grassi insaturi (burro, margarina, panna, oli
spremuti a caldo), lo zucchero bianco e il sale, mentre si possono usare lo zucchero di canna grezzo
integrale e il sale marino integrale.
La colazione del mattino dovrebbe essere a base di frutta ben associata, cioè: ogni qual volta si
mangiano uno o più frutti acidi (ad esempio, arance o pesche o pompelmi) si dovrebbero mangiare
anche uno o più frutti dolci (ananas, pere, ecc).
VINCERE LE PAURE
Il campo mentale è in genere estremamente sensibile al denaro, che è lo strumento attraverso il
quale funziona la nostra società. Per l’Anima il denaro è ininfluente; se per il raggiungimento dei
nostri obiettivi è necessario essere ricchi, saremo semplicemente ricchi, con la collaborazione di tutti
gli angeli che vedono in noi un elemento produttore di nuovo ordine, di informazioni costruttive e che
contribuisce alla diffusione dell’entropia costruttiva, all’evoluzione della Matrice Energetica e
dell’Universo. È la nostra società che ha prodotto nel senso comune e negli schemi mentali l’idea che
per avere successo bisogna necessariamente essere ricchi. Tutto ciò è solo il frutto di una colossale
illusione, causa, peraltro, dei fenomeni più distruttivi che una società sia mai stata capace di
produrre.
Per vivere esperienze costruttive non serve il denaro, basta essere vivi e pensare. Per riuscire ad
avere denaro in abbondanza, con la gioia dell’Anima e la collaborazione degli angeli, un essere
umano deve prima di tutto capire in cosa di realmente utile potrebbe utilizzarlo; deve in sostanza
imparare a spenderlo costruttivamente, facendo in modo di non utilizzarlo per coprire le paure della
mente ma di contribuire a permettere un aumento dei fenomeni di entropia costruttiva.
Il denaro è uno dei maggiori elementi di disturbo per la mente, perché le può impedire di capire il
reale valore di una cosa, senza dover aspettare di averla persa. Il denaro e la ricchezza attirano tutti i
soggetti distruttivi come api sul miele, perché è proprio col denaro che la loro mente crede di poter
risolvere tutti i danni e gli effetti negativi che vivono per il fatto di essere nel flusso dell’entropia
distruttiva.
Chi crede di poter trovare più facilmente l’amore, grazie alla ricchezza, perché parte dal pensiero
che senza denaro non potrà mai trovare una donna che lo ami, si ritrova spesso, una volta diventato
ricco, nella più profonda solitudine, perché viene circondato da innumerevoli esseri distruttivi attratti
solo dalla sua ricchezza.
L’essere distruttivo in genere ha sempre problemi economici, di salute o affettivi; la nostra società
ha contribuito a diffondere l’illusione che con il denaro si possa risolvere qualsiasi problema, ma se
non si elimina la causa primaria dei problemi alla fonte da dove realmente nascono (l’essere nel
flusso dell’entropia distruttiva), non esiste nessuna cifra che potrà mai far evolvere e modificare chi
è distruttivo.
Chi ha paura della povertà spesso accumula denaro, senza spenderlo, per avere quel falso senso di
sicurezza che gli dà l’illusione di aver risolto la propria paura, che in tal caso non fa altro che
rinforzarsi. Tale paura è semplicemente l’amplificatore mentale distruttivo di un’informazione
sbagliata. Chi ha paura della povertà non sa spendere in modo costruttivo il denaro, perché lo usa
solo per mascherare la propria paura; addirittura, spesso il denaro è uno strumento attraverso il quale
un soggetto vive esperienze più distruttive che se non l’avesse.
Se si riesce a vincere la paura della povertà, si aumentano le probabilità di entrare nel flusso
dell’entropia costruttiva; a questo punto non solo l’Anima, ma anche gli angeli iniziano a collaborare
per riuscire ad aver successo e diventare ricchi. L’importante è che quello che desideriamo fare sia
in sintonia con la nostra Anima, e in questo caso non bisogna aver paura di non possedere abbastanza
soldi, perché questi arriveranno sicuramente. Tuttavia, prima di vivere una vera esperienza di
successo, all’altezza del valore di evoluzione della propria Anima, si deve essere pronti ad
affrontare gli attacchi di tutti i distruttivi che saranno invidiosi del nostro successo e cercheranno di
togliercelo.
Ricordiamoci comunque che la vera ricchezza è già dentro di noi, anche se non siamo ricchi, per il
solo fatto di vivere, e questo dovrebbe riempirci di gioia. Ci sono miliardi di Anime che darebbero
miliardi di anni della loro esistenza per poter avere il nostro livello di evoluzione, e noi, che
potremmo contribuire direttamente all’evoluzione dell’Universo semplicemente con un atteggiamento
mentale costruttivo, sprechiamo l’esistenza a rincorrere illusioni! Non possiamo permetterci di
essere infelici per quello che non siamo, o per quello che non abbiamo, o per quello che gli altri
vorrebbero che noi avessimo.
Ogni volta che riusciamo a vivere un’esperienza fortemente costruttiva e produciamo
un’informazione pura costruttiva che riesce a raggiungere la Matrice Energetica, tutti gli esseri
viventi del pianeta e tutte le Anime dell’Universo ne traggono un beneficio.
Le paure più radicate e profonde sono quelle che hanno avuto origine e sono state memorizzate
quando ancora il campo mentale non era separato da quello della madre, nel periodo prenatale,
quelle prodotte dalle prime esperienze della separazione subito dopo la nascita e quelle vissute fino
alla prima adolescenza attraverso le interazioni con i genitori (che in genere adottano con i figli le
informazioni contenute nei loro campi mentali, spesso legate a manifestazioni di entropia distruttiva)
e con i campi individuali degli altri esseri umani.
Colui che affronta la vita, secondo le informazioni del campo mentale (la maggioranza delle
persone), non fa altro che giudicare, confrontare, controllare, classificare, calcolare e prevedere
tutto. Come già detto nella parte iniziale, quando le cose vanno male, egli cerca sempre la causa o il
colpevole al di fuori di se stesso; l’effetto più evidente è che si finisce sempre con il desiderare di
poter prevedere le cose, controllando gli eventi e il comportamento di persone e situazioni
all’esterno di sé. La realtà è che si possono studiare libri specifici, avere diverse lauree e fare
innumerevoli corsi, ma se non si superano le proprie paure non si riuscirà mai a fare nulla di
veramente costruttivo.
Quando si è invece nel flusso dell’entropia costruttiva ci si sente estremamente liberi, non si ha più
paura, non si controllano gli altri o gli eventi, non si sente più la necessità di giudicare tutto e tutti, o
di confrontarli con i propri schemi mentali. La propria gioia non dipende più da quello che fanno gli
altri. Ci si libera dalle proprie paure quando si riesce ad apprezzarsi, ad amarsi incondizionatamente
per quello che si è, perdonandosi semplicemente per quello che non si è o non si è potuto essere fino
a quel momento. Si sviluppa anche una nuova consapevolezza, che è quella che permette di avere il
coraggio di seguire le emozioni prodotte dall’Anima e non quelle in sintonia con il campo mentale.
L’elemento che maggiormente differenzia le emozioni dell’Anima da quelle del campo mentale è la
velocità, perché le emozioni prodotte dalla mente sono sempre in ritardo rispetto a quelle prodotte
dall’Anima. Ogni volta che si interagisce con un campo (un essere umano, o una nuova esperienza),
prima si prova l’emozione (una sorta di “pulsazione”) relativa all’interazione di quel campo con
l’Anima, poi subito dopo arriva come un’onda l’emozione conseguente all’interazione con il campo
mentale, basata prevalentemente su stimoli di tipo sensoriale che vengono interpretati e giudicati.
Soltanto nella prima rapida reazione emotiva vi sono le uniche vere informazioni essenziali, che
sviluppano fenomeni di entropia costruttiva, e che sono molto più significative di tutte quelle che si
potrebbero ottenere in una vita intera di giudizi e interpretazioni da parte del campo mentale.
Quando si ha la certezza che si tratta di un’emozione dell’Anima, bisogna semplicemente avere il
coraggio di seguirla, a qualsiasi costo, nonostante le ragioni del campo mentale. Se vi sono
informazioni distruttive legate alla paura, l’Anima non può evolvere e raggiungere i suoi obiettivi,
per cui crea altre situazioni che possano portare l’essere umano a rivivere (stavolta in modo
costruttivo) esperienze contenenti informazioni simili a quelle che avevano prodotto la paura. Se
ancora non ci riesce, inizia una sorta di circolo vizioso che può durare anche tutta una vita, in cui un
essere umano sperimenta ripetutamente lo stesso copione, con situazioni e persone diverse, ma con la
stessa informazione associata alla paura da dover “cancellare”.
La paura della separazione, dell’abbandono e della solitudine comincia già nel neonato, quando
viene allontanato dalla madre subito dopo la nascita. Il campo individuale del neonato è un tutt’uno
con quello della madre; la nascita, con la separazione dal corpo fisico della madre rappresenta già la
prima e la più grande esperienza del dolore fisico, che continua e diventa immenso se il neonato
viene allontanato dalla madre e messo in un’altra stanza. In questo modo si producono delle paure
così grandi che condizioneranno negativamente, e per il resto dell’esistenza, tutti i rapporti che
quell’essere umano avrà con qualsiasi altro essere umano. L’Anima, che ha obiettivi ben precisi, non
potrà far altro che cercare, nel corso della sua esistenza, di fargli rivivere situazioni d’abbandono,
nella speranza che possano essere rivissute costruttivamente, per ridurre l’influenza della paura
originale.
Più è grande la paura da dover rimuovere, più è “forte” l’esperienza che si dovrebbe vivere in
modo costruttivo, con sofferenza sempre più grande in caso di mancata riuscita. Ma non serve
rivivere realmente e fisicamente l’esperienza dolorosa in modo costruttivo per rimuovere una paura;
basta riuscire a vivere l’esperienza costruttivamente e in modo consapevole semplicemente a livello
emozionale, pensando a una rappresentazione simbolica della stessa. Si può allora per la prima volta
riuscire a non provare alcuna emozione di odio, rabbia o rancore, perdonando chiunque si sia in
precedenza ritenuto erroneamente responsabile della propria sofferenza. In questo modo ci si può
liberare efficacemente di ogni paura, anche di quelle che si crede di aver dimenticato, che riguardano
la prima infanzia.
Una volta superato anche il timore del giudizio degli altri, si può realmente entrare nel flusso
dell’entropia costruttiva, non dovendo più fare i conti con il campo mentale degli altri e con il senso
comune e non finendo più col fare sempre e solo quello che gli altri si aspettano da noi.
QUARTA PARTE
VIVERE IL PRESENTE
ILLUMINAZIONE ED “ESSERE”
Ogni momento della nostra vita è un miracolo. È possibile vivere liberi dalla sofferenza, dall’ansia
e dalle malattie, e a questo scopo dobbiamo arrivare a capire il nostro ruolo come creatori di dolore.
È la nostra mente a causare problemi, non altre persone o l’ambiente, con il suo flusso di pensieri
pressoché costante, che attinge dal passato e si preoccupa del futuro. Noi commettiamo il grave
errore di identificarci con la nostra mente, pensando che questa sia la nostra identità, mentre in realtà
siamo esseri ben più grandi. Tutti i principali problemi dell’umanità sono profondamente radicati
nella nostra errata identificazione con la mente.
L’essere, che è Dio, è l’unica vita eterna e onnipresente al di là delle innumerevoli forme di vita
che sono soggette a nascita e morte, presente in profondità all’interno di ogni forma in quanto sua
essenza intima, invisibile e indistruttibile. Ciò significa che è accessibile a noi adesso, in quanto
nostro sé più profondo, nostra vera natura. Non si può comprendere con la mente, possiamo
percepirlo solo quando siamo presenti, pienamente e intensamente, nell’adesso.
L’illuminazione è lo stato naturale di unione con l’essere quando viene percepito. È uno stato di
sintonia con qualcosa d’incommensurabile, significa trovare la propria vera natura al di là del nome
e della forma. L’incapacità di percepire questa sintonia dà origine all’illusione della separazione, da
noi stessi e dal mondo che ci circonda. Allora ognuno di noi percepisce se stesso, consapevolmente o
inconsapevolmente, come un frammento isolato. Nasce così la paura, e il conflitto interiore ed
esteriore diventa la norma.
L’illuminazione è riacquistare la consapevolezza dell’essere e dimorare in quello stato di
“comprensione intuitiva”. Dell’essere è impossibile formarsi un’immagine mentale, perché è la
nostra essenza ultima, che s’intuisce quando si comprende che “io sono” e basta, non “io sono questo
o quello”.
Il più grande ostacolo all’esperienza dell’essere è l’identificazione con la propria mente, che rende
ineluttabile il pensiero. Questo rumore mentale incessante c’impedisce di trovare quel regno di
quiete interiore che è inseparabile dall’essere. Crea inoltre un falso sé generato dalla mente, che
getta su di noi un’ombra di paura e di sofferenza.
Il filosofo Cartesio, pronunciando la sua famosa affermazione “Penso, dunque sono”, in realtà
aveva dato espressione all’errore fondamentale: identificare il pensiero con l’essere e l’identità con
il pensiero. Chi è obbligato a pensare, il che significa quasi tutti, vive in uno stato di apparente
separazione, in un mondo follemente complesso di continui problemi e conflitti, un mondo che riflette
la crescente frammentazione della mente.
L’illuminazione è lo stato di totalità, di essere in pace, in unione con la vita, con il mondo e con il
proprio sé più profondo. Essa è la fine della sofferenza e del conflitto continuo interiore ed esteriore,
oltre che la fine della terribile schiavitù del pensiero incessante.
L’identificazione con la mente crea uno schermo opaco di concetti, etichette, immagini, parole,
giudizi e definizioni che blocca ogni vero rapporto personale. Si intromette tra noi e il nostro essere,
tra noi e il prossimo, tra noi e la natura, tra noi e Dio. È questo schermo di pensiero a creare
l’illusione di separazione, l’illusione che vi siano un io e un “altro” totalmente separato. Allora
dimentichiamo il fatto essenziale che sotto il livello delle apparenze fisiche e delle forme separate,
noi siamo in unione con tutto ciò che esiste.
Il problema non è tanto che noi utilizziamo la mente in modo sbagliato, quanto che non la usiamo
affatto. È la mente a usare noi. Questa è la malattia. Noi riteniamo di essere la nostra mente. Questa è
l’illusione. Lo strumento si è impadronito di noi. Inconsapevolmente ci identifichiamo con la nostra
mente, per cui non sappiamo nemmeno di esserne schiavi, perché scambiamo per noi stessi l’entità
che ci possiede, quella che pensa. Saperlo ci consente di osservare tale entità; nel momento in cui
cominciamo a osservare l’entità pensante si attiva un più elevato livello di consapevolezza.
La mente è come una voce dentro di noi che commenta, opera congetture, giudica, confronta, si
lamenta, esprime preferenze e avversioni, vivendo e giudicando il presente con gli occhi del passato
o preparando e immaginando possibili situazioni future. Questa voce è il nostro peggior nemico, che
ci attacca continuamente e ci punisce sottraendo energia vitale. È la causa di innumerevoli sofferenze
e infelicità, nonché di malattie.
La mente è solo uno strumento, e l’80-90% dei nostri pensieri sono non soltanto ripetitivi e inutili,
ma in gran parte dannosi per la loro natura disfunzionale e negativa. Questo pensiero ineluttabile è
una dipendenza, come una droga di cui non possiamo più fare a meno. Siamo pensiero-dipendenti
perché ci identifichiamo con il pensiero, cioè traiamo il nostro senso del sé dal contenuto e
dall’attività della nostra mente, perché riteniamo che, se smettessimo di pensare, cesseremmo di
esistere.
Questo falso sé fantasma può essere chiamato ego, e può essere mantenuto in vita soltanto con un
pensiero continuo. Per l’ego il momento presente quasi non esiste, soltanto il passato e il futuro sono
considerati importanti. Anche quando l’ego sembra preoccuparsi del presente, lo percepisce in modo
completamente sbagliato, perché lo osserva con gli occhi del passato. Infatti, senza di esso, chi siamo
noi? Inoltre si proietta costantemente nel futuro, per garantirsi la propria sopravvivenza e per cercare
qualche genere di liberazione, affermando: “Un giorno, quando avverrà questo o quello, starò bene e
sarò felice”. Il presente è sempre ridotto a un mezzo rivolto a un fine che si trova nel futuro proiettato
dalla mente.
IL DOLORE
Noi nasciamo nell’amore e viviamo nella paura, collegata al dolore da millenni, da quando siamo
entrati nel regno del tempo e della mente e abbiamo perduto consapevolezza dell’essere; a quel punto
abbiamo cominciato a percepire noi stessi come frammenti insignificanti in un Universo estraneo,
disgiunti dalla Fonte e separati l’uno dall’altro.
Non riusciamo a vivere più l’istante, come fanno i bambini, che alla nascita e nei primi anni di vita
sono onnipotenti, per cui anche se cadono rovinosamente non si fanno del male.
Il dolore emotivo è inevitabile fintanto che ci s’identifica con la mente, ed è anche la causa
principale del dolore fisico e della malattia fisica. Risentimento, odio, senso di colpa, collera,
depressione, gelosia, invidia sono tutte forme di dolore. E ogni piacere contiene in sé il seme del
dolore, il suo contrario inseparabile, che si manifesterà col tempo. Chiunque abbia assunto droghe
per andare “su di giri” saprà che l’euforia alla fine si trasforma in depressione, che il piacere si
trasforma in qualche forma di dolore.
Molto spesso anche un rapporto sentimentale può trasformarsi da fonte di piacere in sorgente di
dolore. Viste da una prospettiva più elevata, entrambe le polarità, negativa e positiva, sono facce
della stessa medaglia, entrambe fanno parte del dolore fondamentale, che è inseparabile dallo stato
di coscienza incentrato sull’io e identificato con la mente.
La maggior parte del dolore umano è superflua; si crea da sé fintanto che a gestire la nostra vita è la
mente non osservata. Il dolore è sempre qualche forma di non accettazione, qualche forma di
resistenza inconsapevole a ciò che esiste. A livello del pensiero, la resistenza è una qualche forma di
giudizio; a livello emotivo è una forma di negatività. L’intensità del dolore dipende dal grado di
resistenza al momento presente, e questo a sua volta dipende dalla forza con cui ci identifichiamo con
la nostra mente.
La mente cerca sempre di negare l’adesso e di sfuggirlo. Più ci identifichiamo con la mente, più
soffriamo. La mente non può funzionare senza il tempo, che significa passato e futuro ed è
inseparabile da essa, per cui percepisce l’adesso senza tempo come qualcosa di minaccioso. In
effetti se un albero potesse parlare, alla domanda “Che ora è?” risponderebbe: “È adesso. Che altro
esiste?”
La mente, per impadronirsi della nostra vita, cerca in continuazione di nascondere il momento
presente sotto il passato e il futuro. Se non vogliamo più creare dolore per noi stessi e per gli altri,
allora non dobbiamo creare altro tempo, o almeno non più di quanto sia necessario per affrontare gli
aspetti pratici della vita.
Bisogna capire in profondità che il momento presente è tutto ciò che abbiamo, rendere l’adesso il
fulcro principale della nostra vita. Cosa può essere più folle che creare resistenza interiore a
qualcosa che già esiste, opponendosi alla vita stessa?
Abbandoniamoci a ciò che esiste. Diciamo di sì alla vita, e vedremo come la vita all’improvviso
comincerà a lavorare per noi, anziché contro di noi. Consentiamo al momento presente di esistere,
anche se è inaccettabile o terribile. Bisogna accettare, e poi agire. Qualunque cosa comporti il
momento presente, dobbiamo accettarlo come se l’avessimo scelto noi. Così si trasformerà
miracolosamente l’intera nostra vita. In caso contrario, ogni dolore emotivo, di cui abbiamo
esperienza, si lascerà dietro un residuo di dolore che si mescolerà ai dolori provenienti dal passato,
e questi si annideranno nella nostra mente e nel nostro corpo, come un campo di energia negativa.
Questo è il corpo di dolore emotivo, che può essere innescato da qualunque cosa, in particolare se
entra in risonanza con un dolore proveniente dal passato; può, infatti, essere attivato da uno stato
latente perfino da un pensiero o da un giudizio di un’altra persona.
Una paziente trentacinquenne un giorno arriva in studio in evidente stato di preoccupazione, e mi
mostra delle analisi cliniche del sangue, dalle quali si evince una positività HCV (aumento degli
anticorpi per il virus dell’epatite C) e un innalzamento di 3 volte sulla norma delle transaminasi
(enzimi che indicano uno stato patologico di sofferenza degli epatociti, cioè delle cellule del fegato)
in assenza di altri valori alterati. È seriamente preoccupata perché il medico curante le ha parlato di
epatite cronica, e le ha descritto con dovizia di particolari l’eventuale evoluzione patologica di tale
infiammazione, che può portare alla cirrosi e al tumore epatico.
Cerco, pertanto, di capire il motivo per cui il medico ha innescato con le sue parole, senza volerlo,
il corpo di dolore emotivo della donna, e vengo a sapere che il padre era morto di cirrosi epatica
dopo enormi sofferenze, durante l’età adolescenziale della paziente. Scopro che il corpo di dolore
emotivo è stato innescato dalla risonanza negativa con le parole del medico, che le avevano
risvegliato un dolore proveniente dal passato e una serie di conflitti non elaborati con la figura
paterna, scomparsa precocemente.
Una terapia omeopatica di drenaggio, cioè di disintossicazione, associata a farmaci
omeosinergetici che agiscono sulle cause emozionali del problema (che in questo caso clinico sono
rappresentate dall’angoscia di morte associata a un senso di svalorizzazione del proprio vissuto
passato) hanno fatto abbassare in circa due mesi le transaminasi a valori normali.
Il corpo di dolore può sopravvivere soltanto se ci induce a identificarci inconsapevolmente con
esso, diventando noi e alimentandosi tramite noi. Si nutrirà di ogni esperienza che entri in risonanza
con il suo stesso tipo di energia, ogni cosa che crei ulteriore dolore sotto qualunque forma: collera,
capacità distruttiva, odio, afflizione, desiderio di offendere, dramma emotivo, violenza, malattia. Il
dolore può alimentarsi soltanto di dolore. Il simile attira il simile. Una volta che il corpo di dolore si
è impadronito di noi, necessitiamo di altro dolore, diventiamo vittime o persecutori, abbiamo
bisogno di infliggere dolore o di soffrire dolore.
Nel caso citato, dopo la diagnosi del medico, la donna aveva addirittura modificato il
comportamento con il partner, richiedendogli inconsciamente maggiori attenzioni che, poiché non
erano state soddisfatte secondo le intenzioni del proprio campo mentale, avevano determinato una
crisi affettiva nel rapporto tra i due.
Noi non siamo consapevoli, naturalmente, di infliggere dolore, e affermeremo che non vogliamo
dolore. Ma se osserviamo più da vicino, scopriamo che il nostro modo di pensare e il nostro
comportamento sono costruiti in maniera da perpetuare il dolore, per noi stessi e per gli altri. Se ne
fossimo veramente consapevoli, questo schema si dissolverebbe, poiché volere altro dolore è follia,
e nessuno è folle consapevolmente.
Il corpo di dolore, che è l’ombra proiettata dall’ego, in realtà ha paura della luce della
consapevolezza, ha paura di essere scoperto. La sua sopravvivenza dipende dalla nostra
identificazione inconsapevole con esso. Ma se non lo affrontiamo, se non portiamo nel dolore la luce
della nostra consapevolezza, saremo costretti a riviverlo ripetutamente.
Il corpo di dolore non vuole che lo osserviamo direttamente e vi rivolgiamo la nostra attenzione. In
questo caso si interrompe l’identificazione e si introduce una dimensione di consapevolezza più
elevata, che è la presenza. Adesso noi siamo testimoni e osservatori del corpo di dolore, e abbiamo
raggiunto “il potere di adesso”. Non dobbiamo combattere il corpo di dolore, così come non
dobbiamo combattere la malattia. Se lo facciamo, creiamo un conflitto interiore, e pertanto ulteriore
dolore. Osservarlo è sufficiente, e implica accettarlo come parte di ciò che esiste in quel momento.
Il corpo di dolore si compone di energia vitale intrappolata che si è staccata dal nostro campo
energetico ed è diventata autonoma attraverso il processo innaturale di identificazione con la mente;
ha tradito sé stessa ed è diventata anti-vita. Allora noi dobbiamo essere presenti, rimanere
consapevoli del nostro spazio interiore, in modo da poter osservare direttamente il corpo di dolore e
percepirne l’energia; solo così non potrà controllare il nostro pensiero e non sarà alimentato dai
nostri pensieri. Per esempio, se la collera è la vibrazione energetica dominante del corpo di dolore e
noi formuliamo pensieri di collera, soffermandoci su ciò che qualcuno ci ha fatto o su ciò che faremo
noi a questa persona, allora siamo diventati inconsapevoli, e il corpo di dolore è diventato “noi”.
Essere inconsapevoli significa identificarsi con qualche schema mentale o emotivo, e implica una
totale assenza dell’osservatore. Un’attenzione consapevole continua spezza il legame fra il corpo di
dolore e il nostro pensiero, e avvia il processo di trasformazione. Questo è il significato esoterico
dell’antica arte dell’alchimia: la trasformazione del vile metallo in oro, della sofferenza nella
consapevolezza.
In sintesi: dobbiamo concentrare l’attenzione sul corpo di dolore, e quindi sulla malattia, accettare
la sua esistenza, senza pensarci, cioè senza lasciare che la sensazione diventi pensiero, senza
giudicare o analizzare, rimanendo presenti. Dobbiamo essere gli osservatori vigili e attenti di ciò che
accade dentro di noi, non soltanto del dolore emotivo ma anche dell’”osservatore muto”, di quello
che osserva. Questo è il potere di adesso, la potenza della nostra presenza consapevole, che permette
una rapida trasformazione di tutto il dolore passato.
Conosco una persona, giunta al mio studio come paziente, e ora diventata un carissimo amico, che
da circa 4 anni ha un carcinoma tiroideo con infiltrazione nei linfonodi del collo, giudicato
gravissimo da illustri endocrinologi, che avevano deciso di asportare la tiroide, le paratiroidi e i
linfonodi latero-cervicali, con il rischio di ledere le corde vocali. Secondo questi specialisti, la
prognosi, in caso di mancato intervento, era infausta, con sopravvivenza inferiore ad 1 anno (“Lei ha
una bomba atomica nel collo pronta a esplodere in qualsiasi momento!”). Questo essere umano,
dotato di un’Anima altamente evoluta, ha deciso di non operarsi, e di vivere con la consapevolezza
del presente, rispettando e accettando la propria malattia, e compiendo una meravigliosa e
incredibile serie di tappe verso un’evoluzione altamente costruttiva della propria Anima. Infatti è
diventato un terapeuta olistico, che utilizza in terapia proprio quell’organo della fonazione
(attraverso la produzione di suoni armonici) che correva il rischio di perdere con l’intervento
chirurgico.
Molte persone, invece, incontrano un’intensa resistenza interiore alla disidentificazione dal dolore,
specie se hanno vissuto per gran parte della vita in stretta identificazione con il corpo di dolore
emotivo, e in quest’ultimo è investita la maggior parte del senso del sé.
Ciò significa che hanno costruito un sé infelice con il proprio corpo di dolore e ritengono che
questa finzione creata dalla mente sia la loro identità; in tal caso la paura inconsapevole di perdere la
propria identità creerà una forte resistenza, e preferiscono rimanere nel dolore (cioè essere il corpo
di dolore), piuttosto che compiere un balzo nell’ignoto.
Se questo è il nostro caso, occorre osservare la resistenza dentro di noi, l’attaccamento al nostro
dolore, lo strano piacere che traiamo dall’essere infelici, rimanendo presenti come testimoni e dando
inizio alla trasformazione. Solo noi possiamo farlo, nessuno può farlo per noi.
È possibile, però, trovare qualcuno che sia intensamente consapevole, e unirci al suo stato di
presenza, in modo che la nostra luce si rafforzi rapidamente, come un ceppo che ha appena iniziato a
bruciare quando viene accostato a uno che arde intensamente.
LA PAURA
La condizione psicologica della paura è sempre separata da ogni pericolo immediato, e si riferisce
(nelle sue varie forme che vanno dal disagio all’angoscia) a qualcosa che potrebbe accadere, non a
qualcosa che sta accadendo ora. Noi siamo nel momento presente, mentre la nostra mente è nel futuro;
questo crea un divario di ansia, che ci accompagnerà costantemente se ci identifichiamo con la nostra
mente e abbiamo perduto il contatto con la potenza e la semplicità dell’adesso. In effetti, possiamo
sempre far fronte al momento presente, ma non possiamo far fronte al futuro, che è solo una
proiezione della mente.
Dobbiamo ricordare che l’emozione è la reazione del corpo alla mente. Quale messaggio il corpo
riceve continuamente dall’ego creato dalla mente? “Pericolo, sono minacciato!”, con la conseguente
emozione di paura.
La paura sembra avere molte cause, ma in definitiva ogni paura è quella della morte e
dell’annullamento. Per l’ego la paura della morte influenza ogni aspetto della vita, e anche il bisogno
ineluttabile di avere ragione in un litigio e dimostrare che l’altra persona ha torto (difendendo la
posizione mentale con cui ci si è identificati) è dovuto alla paura della morte. Infatti, se ci
identifichiamo con una posizione mentale, e contemporaneamente abbiamo torto, il nostro senso del
sé basato sulla mente viene seriamente minacciato di annullamento; per questo il nostro ego non può
permettersi di avere torto, perché avere torto significa morire. Su questo si sono combattute guerre e
conflitti per anni.
Quando eliminiamo la nostra identificazione con la mente, il fatto di avere ragione o torto non fa
alcuna differenza per il nostro senso del sé, che in tal modo proverrà da un luogo più profondo e più
vero dentro di noi, e non dalla mente. Possiamo affermare chiaramente e con fermezza ciò che
pensiamo e ciò di cui siamo convinti, ma non vi sarà in questo alcun atteggiamento aggressivo o
difensivo. Infatti, il potere sugli altri, per mezzo del quale difendiamo un’identità illusoria, è
debolezza mascherata da forza. Così chiunque si identifichi con la propria mente, e pertanto sia
separato dal proprio vero potere dell’essere, sarà costantemente accompagnato dalla paura. In
pratica tutti coloro che incontriamo o conosciamo vivono in uno stato di paura, a varia intensità, da
un vago senso di disagio fino all’angoscia.
La mente vive in uno stato di paura e di necessità, e per mantenere il senso illusorio del sé deve
sempre identificarsi con cose esterne, vale a dire i beni materiali, il denaro, il lavoro che si svolge,
la condizione sociale, l’aspetto fisico, i rapporti affettivi, le storie personali e familiari, le
identificazioni politiche. Spesso tutti questi sono solo problemi.
Questa ricerca di gratificazione dell’ego e di cose con cui identificarsi viene fatta per colmare quel
dolore emotivo collegato con un senso di mancanza o di vuoto interiore; ma anche quando si
raggiungono tutte queste cose, e il desiderio viene temporaneamente appagato, si scopre che il vuoto
è ancora lì, che è senza fondo.
Ognuno conoscerà la verità per conto suo, al più tardi quando sentirà avvicinarsi la morte. Il
segreto della vita è però “morire prima di morire”, e scoprire che non vi è morte.
L’AUTO-OSSERVAZIONE
La resistenza verso ciò che esiste (e la negazione dell’adesso come disfunzione collettiva) è
intrinsecamente legata alla perdita di consapevolezza dell’essere, e costituisce la base della nostra
civiltà industriale disumanizzata. Per dissolvere l’inconsapevolezza ordinaria dobbiamo abituarci a
sorvegliare il nostro stato mentale-emotivo attraverso l’auto-osservazione, ponendoci domande
come: “Cosa avviene dentro di me in questo momento? Quali pensieri produce la mia mente? C’è
tensione nel mio corpo? Provo risentimento per ciò che faccio? Che tipo di emozioni provo?”.
Forse davvero qualcuno si approfitta di noi, forse il nostro lavoro è noioso, forse qualcuno che ci
sta vicino è davvero disonesto, irritante o inconsapevole, ma tutto ciò è irrilevante. Il fatto è che noi
opponiamo resistenza a ciò che esiste, e facciamo del momento presente un nemico. Creiamo
infelicità, conflitto fra l’interiore e l’esteriore; inoltre la nostra infelicità inquina non soltanto il
nostro essere interiore e le persone che ci circondano, ma anche la psiche collettiva umana di cui
siamo parte inseparabile.
L’inquinamento del pianeta è solo un riflesso esteriore di un inquinamento psichico interiore:
milioni di persone inconsapevoli che non si assumono la responsabilità del loro spazio interiore.
Tutto ciò che viene fatto con energia negativa ne viene contaminato e col tempo dà origine a nuovo
dolore e nuova infelicità; inoltre ogni stato interiore negativo è contagioso, e attraverso la legge della
risonanza innesca e alimenta la negatività latente nelle persone inconsapevoli. Ecco perché gli esseri
umani hanno ucciso oltre 100 milioni di altri esseri umani nel secolo scorso, e adesso sono impegnati
a distruggere la natura e il pianeta.
Ciascuno di noi è responsabile del proprio spazio interiore, così come del pianeta; così, se gli
esseri umani eliminano l’inquinamento interiore, smetteranno anche di creare l’inquinamento
esteriore. Per eliminare la negatività, dobbiamo lasciarla andare, pervenendo alla potenza
dell’adesso attraverso l’accettazione della nostra attenzione costante. Successivamente, dobbiamo
passare a una seconda fase, in cui queste emozioni negative non vengano più create.
Spesso ci lamentiamo, ad alta voce o col pensiero, riguardo a una situazione in cui ci troviamo, per
ciò che fanno o dicono altre persone, per il nostro ambiente, per la nostra situazione di vita.
Lamentarsi è sempre una mancata accettazione di ciò che esiste, e in tal modo facciamo di noi stessi
delle vittime. Se troviamo intollerabili il nostro qui e ora e questo ci rende infelici, dobbiamo
assumerci la responsabilità della nostra vita, e abbiamo tre possibilità:
IL KI E IL “NON MANIFESTATO”
Il Ki è il campo energetico interiore del corpo; può essere paragonato a un flusso di un fiume di
energia che si trova a metà strada tra il manifestato, il mondo della forma, e il “non manifestato”.
Infatti il Ki è il legame tra il “non manifestato” e l’universo fisico. Il “non manifestato” è la fonte del
Ki; il primo è quiete, il secondo è movimento. Quando raggiungiamo un punto di quiete assoluta,
peraltro vibrante di vita, siamo andati al di là del corpo interiore e del Ki sino alla fonte stessa: il
“non manifestato”. Pertanto se spostiamo la nostra attenzione in profondità nel corpo interiore,
possiamo raggiungere tale punto, dove vi è la nascita e la morte, in cui il mondo si dissolve nel “non
manifestato”, e questo assume una forma come flusso energetico del Ki, che allora diventa il mondo.
Quando la nostra consapevolezza è diretta verso l’esterno, nascono la mente e il mondo; quando è
diretta verso l’interno, realizza la propria Fonte e ritorna a dimorare nel “non manifestato”. Quindi,
nell’affrontare la vita, dedichiamo un po’ della nostra attenzione al mondo interiore, anche quando
siamo impegnati in attività quotidiane, come nei rapporti umani o quando entriamo in contatto con la
natura. Percepiamo la quiete in profondità dentro il corpo interiore, un profondo senso di pace da
qualche parte in sottofondo, che non ci abbandona mai, qualunque cosa succeda fuori. Così
diventiamo un ponte fra il “non manifestato” e il manifestato, fra Dio e il mondo; questa è
l’illuminazione.
L’attività mentale continua ci mantiene prigionieri nel mondo della forma e diventa uno schermo
opaco che c’impedisce di diventare consapevoli del “non manifestato”, dell’essenza divina senza
forma e senza tempo che è dentro di noi e in ogni creatura o cosa dell’Universo.
Noi facciamo un viaggio nel “non manifestato” ogni notte quando entriamo nella fase di sonno
profondo senza sogni; ci uniamo alla Fonte e ne traiamo l’energia vitale che ci sostiene quando
ritorniamo nel mondo delle forme separate.
L’ingresso principale è però l’adesso; infatti, non possiamo “essere nel nostro corpo” senza essere
intensamente presenti nell’adesso. Quando dissolviamo il tempo psicologico attraverso un’intensa
consapevolezza del momento presente, diventiamo consapevoli del “non manifestato” e percepiamo
l’essenza divina in ogni creatura, fiore, pietra che sia, comprendendo che tutto ciò che esiste è sacro.
Ecco perché Gesù, nel Vangelo di Tommaso afferma: “Rompi un pezzo di legno, io sono lì; solleva
una pietra, e mi troverai lì”.
Un altro ingresso nel “non manifestato” è creato attraverso la cessazione dl pensiero; può
cominciare col respirare consapevolmente o guardare un fiore in uno stato di intensa vigilanza, in
modo che non vi sia un commento mentale in corso allo stesso tempo. Entriamo ancora nel “non
manifestato” con l’abbandono (il lasciar perdere ogni resistenza mentale-emotiva a ciò che esiste).
Infatti, la resistenza interiore ci taglia fuori dagli altri, da noi stessi e dal mondo che ci circonda e
rafforza il senso di separazione da cui dipende l’io per la propria sopravvivenza. Più forte è il senso
di separazione, più siamo legati al manifestato, al mondo delle forme separate, e ci allontaniamo
dalla dimensione interiore.
Sta a noi aprire nella nostra vita un ingresso che ci dia accesso consapevole al “non manifestato”.
Entrare in contatto con il campo energetico del corpo interiore, essere intensamente presenti,
disidentificarci dalla mente, abbandonarci a ciò che esiste; sono tutti ingressi che possiamo usare,
attraverso cui passa l’amore.
Un altro ingresso involontario si apre nel momento della morte fisica; nel “Libro tibetano dei
morti” questa condizione viene definita “lo splendore luminoso della luce incolore del vuoto”, ed è
accompagnata da un senso di serenità beata e pace profonda.
Ma la maggior parte delle persone porta con sé troppa resistenza residua, troppa paura, troppo
attaccamento all’esperienza sensoriale, troppa identificazione con il mondo manifestato. Allora
vedono l’ingresso, ma se ne allontanano per paura, quindi perdono la consapevolezza. Così alla fine
ci sarà un altro ciclo di nascita e di morte, perché la presenza non è stata ancora sufficientemente
forte per l’immortalità consapevole.
In effetti, ogni ingresso è un ingresso di morte, che è morte del falso sé. Quando lo attraversiamo,
smettiamo di trarre la nostra identità dalla nostra forma psicologica creata dalla mente. Allora ci
rendiamo conto che la morte è un’illusione, così come la nostra identificazione con la forma era
un’illusione.
Il “non manifestato” lo possiamo trovare anche nel silenzio da cui provengono e a cui ritornano i
suoni. Prestiamo più attenzione al silenzio che ai suoni, come dopo aver sentito un cane che abbaiava
in lontananza, o un’automobile che passava. Ogni suono nasce dal silenzio, muore nel silenzio, e
durante la sua vita è circondato dal silenzio. Il silenzio consente al suono di esistere, ed è una parte
intrinseca ma non manifestata di ogni suono.
Il “non manifestato” è presente in questo mondo come silenzio, dove c’è Dio. Anche durante una
conversazione, cerchiamo di essere consapevoli degli intervalli fra le parole, dei brevi intervalli
silenziosi tra le frasi. Così facendo, cresce dentro di noi la dimensione della quiete.
LO SPAZIO E IL SILENZIO
Proprio come non può esistere alcun suono senza il silenzio, niente può esistere senza il nulla,
senza lo spazio vuoto che gli consenta di esistere. Ogni oggetto o corpo fisico è venuto dal nulla, è
circondato dal nulla e prima o poi tornerà nel nulla. Come già spiegato, persino la materia
apparentemente solida, compreso il nostro corpo materiale, secondo i fisici, è quasi al 100% spazio
vuoto, tanto vaste sono le distanze tra gli atomi in confronto alle loro dimensioni. Per di più, anche
dentro ciascun atomo vi è in gran parte spazio vuoto. Ciò che rimane è più una frequenza di vibra-
zione (simile a una nota musicale) che particelle di materia solida. Quindi l’essenza di tutte le cose,
come affermano i buddhisti, è il vuoto. Il “non manifestato” non è presente in questo mondo solo
come silenzio, ma permea l’intero universo fisico come spazio, interiore ed esteriore. Anche di
questo è difficile accorgersi, perché tutti prestiamo attenzione alle cose nello spazio, ma chi presta
attenzione allo spazio in sé?
Il nulla (lo spazio) è la comparsa del “non manifestato” in un mondo percepito dai sensi, e non può
diventare oggetto di conoscenza, come cercano di fare gli scienziati, perdendo completamente la sua
essenza. Il nulla può diventare un ingresso nel “non manifestato” soltanto se non cerchiamo di
afferrarlo o capirlo.
Non si può capire lo spazio perché non appare, non ha “esistenza”, ma consente a ogni altra cosa di
esistere. Cosa avviene se noi distogliamo l’attenzione dagli oggetti presenti nello spazio e
diventiamo consapevoli dello spazio in sé? Qual è l’essenza della stanza in cui siete in questo
momento? I mobili, i quadri, che si trovano nella stanza, non sono la stanza. Il pavimento, le pareti e
il soffitto definiscono i confini della stanza, ma nemmeno loro sono la stanza. L’essenza della stanza è
lo spazio vuoto, senza il quale non vi sarebbe stanza. Poiché lo spazio è nulla, si può affermare: ciò
che non c’è assume più importanza di ciò che c’è.
Quindi, prendiamo consapevolezza dello spazio che ci circonda, senza pensarci, ma percependolo.
Così facendo, dentro di noi ha luogo uno spostamento di consapevolezza, perché diventando
consapevoli dello spazio vuoto intorno a noi, contemporaneamente diventiamo consapevoli dello
spazio dell’assenza di mente, della consapevolezza pura: il “non manifestato”. Questo avviene
perché se distogliamo l’attenzione dagli oggetti nello spazio, automaticamente distogliamo
l’attenzione anche dagli oggetti mentali.
Spazio e silenzio sono due aspetti della stessa cosa, dello stesso nulla. Sono un’esteriorizzazione
dello spazio interiore e del silenzio interiore, che è la quiete. La maggior parte degli esseri umani è
completamente inconsapevole di questa dimensione, essi sono in squilibrio, perché pensano di
conoscere il mondo, ma non conoscono Dio. Si identificano esclusivamente con la loro forma fisica e
psicologica, inconsapevoli dell’essenza. E poiché ogni forma è altamente instabile, vivono nella
paura, che provoca una percezione profondamente errata di loro stessi e degli altri esseri umani, una
distorsione nella loro visione del mondo.
Se non vi fosse nient’altro che silenzio, per noi non esisterebbe; non sapremmo che cosa sia.
Soltanto quando compare il suono nasce anche il silenzio. Analogamente, se vi fosse soltanto lo
spazio senza alcun oggetto nello spazio, per noi non esisterebbe. Sono necessari almeno due punti di
riferimento perché nascano distanza e spazio.
Secondo gli antichi cinesi, lo spazio nasce nel momento in cui l’Uno diventa due, e quando “due”
diventano le “diecimila cose” (il mondo manifestato) lo spazio diventa sempre più vasto. Per cui il
mondo e lo spazio nascono contemporaneamente. Nulla potrebbe esistere senza lo spazio, eppure lo
spazio è nulla. Prima del Big Bang, della nascita dell’Universo, non vi era uno spazio vuoto in attesa
di essere riempito. Non vi era spazio, vi era solo il “non manifestato”, l’Uno. Quando l’Uno diventò
le “diecimila cose”, all’improvviso lo spazio (cioè il nulla, che non è mai stato creato) consentì al
molteplice di esistere. Un miliardo di galassie, che contengono miliardi di stelle, non sono altro che
una frazione infinitesima di ciò che esiste. Ma cos’è tutto quest’infinito? Un vuoto, un enorme vuoto.
E ciò che ci appare come spa-zio nel nostro Universo, percepito attraverso la mente e i sensi, è il
“non manifestato” esteriorizzato, è il “corpo” di Dio.
Il miracolo più grande è che quella tranquilla vastità che consente all’Universo di esistere non è
soltanto là fuori nello spazio, è anche dentro di noi. Quando siamo completamente e totalmente
presenti, la incontriamo come spazio tranquillo interiore dell’assenza di mente. Mentre lo spazio è il
regno tranquillo e infinitamente profondo dell’assenza di mente, l’equivalente interiore del tempo è la
presenza, la consapevolezza dell’adesso eterno. Tra di loro non vi è distinzione.
Quindi, lo scopo ultimo del mondo sta nel trascendere il mondo. Così come noi non saremmo
consapevoli dello spazio, se non vi fossero oggetti nello spazio, il mondo è necessario per la
manifestazione del “non manifestato”. È attraverso il mondo e attraverso noi che il “non manifestato”
conosce se stesso. Perciò noi siamo qui per consentire al divino scopo dell’universo di manifestarsi.
Ecco quanto siamo importanti! Siamo stati creati non da Dio, ma perché Dio esistesse!
RAPPORTI DI AMORE/ODIO
Molte persone rincorrono piaceri fisici o varie forme di gratificazione psicologica, perché
ritengono che queste cose le renderanno felici o le libereranno da una sensazione di paura o di
mancanza. Quasi sempre, l’eventuale soddisfazione che si ottiene è di breve durata, per cui la
condizione di appagamento viene di solito proiettata di nuovo verso un punto immaginario, lontano
dal “qui e ora”. “Quando otterrò questo, o sarò libero da quello, allora tutto andrà bene”. Questa è la
mentalità inconsapevole che crea l’illusione di salvezza nel futuro.
La vera salvezza significa essere ciò che siamo, sentire dentro di noi il bene che non ha contrario,
la gioia dell’essere come presenza costante. In linguaggio teistico significa conoscere Dio non come
qualcosa al di fuori di noi, ma come nostra essenza intima. La vera salvezza è uno stato di libertà
dalla paura, dalla sofferenza, da ogni bisogno, necessità, attaccamento e possesso. È libertà dal
pensiero ineluttabile, dalla negatività, da passato e futuro come bisogno psicologico.
Troviamo Dio nel momento in cui ci rendiamo conto che non abbiamo bisogno di cercarlo. Pertanto
possono essere utilizzate moltissime vie, ma con un unico punto di accesso: l’adesso. Tutto ciò di cui
abbiamo bisogno è già dentro di noi, non è necessario andarlo a cercare fuori, o nel passato, o in
altre vite. Nello stato di illuminazione noi siamo noi stessi, non ci giudichiamo, non abbiamo sensi di
colpa, non siamo orgogliosi, non ci amiamo, non ci odiamo. Proprio i sensi di colpa sono i parassiti
più gravi che possiamo avere, perché ci riportano al passato. Non vi è più un “sé” che dobbiamo
proteggere, difendere o alimentare, non abbiamo più “un rapporto con noi stessi”, ma “siamo noi
stessi”, non siamo più spaccati in due, nella dualità creata dalla mente.
Fintanto che non accediamo alla frequenza di consapevolezza della presenza, tutti i rapporti umani
saranno disfunzionali. Potranno sembrare perfetti per un po’, come quando siamo innamorati, ma
invariabilmente quella apparente perfezione verrà sconvolta quando litigi, conflitti, violenze emotive
e fisiche avranno luogo con frequenza crescente.
La maggior parte dei rapporti di amore diventa rapporto di amore/odio entro breve tempo,
oscillando tra le due polarità, e fornendo piacere e dolore in egual misura. Non è insolito per le
coppie diventare dipendenti da questi cicli, e quando i cicli negativi, distruttivi, si ripetono con
frequenza crescente, allora il rapporto crolla definitivamente. Le polarità sono reciprocamente
interdipendenti; non possiamo avere l’una senza avere anche l’altra. Il positivo contiene già in sé il
negativo non manifestato. Il vero amore, però, non ha contrario perché nasce al di là della mente,
quando vi è un intervallo nel flusso della mente.
Il lato negativo di un rapporto affettivo è naturalmente più facile da riconoscere come disfunzione
rispetto al lato positivo. Ed è anche più facile riconoscere la fonte della negatività nell’altra persona
piuttosto che vederla in se stessi. Può manifestarsi sotto varie forme: possessività, gelosia, controllo,
chiusura in se stessi, bisogno di avere ragione, insensibilità, manipolazione, impulso a litigare,
criticare, giudicare, biasimare oppure collera, vendetta inconsapevole per il dolore passato inflitto
da un genitore, rabbia e violenza fisica.
Dal lato positivo, noi siamo “innamorati” dell’altra persona, e questo ci fa sentire intensamente
vivi. La nostra esistenza è all’improvviso diventata significativa perché qualcuno ha bisogno di noi,
ci vuole e ci fa sentire speciali, e noi facciamo lo stesso nei suoi confronti. Tuttavia, diventiamo
dipendenti dall’altra persona, che agisce su di noi come una droga. Siamo “su di giri” quando la
droga è disponibile, ma perfino la possibilità o il pensiero che tale persona possa non esserci più per
noi può condurci a gelosia, possessività, tentativi di manipolazione attraverso ricatti emotivi e
accuse: paura della perdita. Se l’altra persona ci lascia, questo fatto può far nascere la più intensa
ostilità o la disperazione più profonda. Dove è finito l’amore? Era amore, o solo un attaccamento
dovuto alla dipendenza?
Ogni rapporto amoroso sembra offrire liberazione da uno stato radicato di paura, bisogno,
mancanza e incompletezza. Sul piano fisico, noi siamo uomini e donne, vale a dire metà del tutto. A
questo livello il desiderio per la completezza (il ritorno all’unità) si manifesta come attrazione
maschio-femmina, con un impulso quasi irresistibile per l’unione con la polarità energetica opposta.
La radice di questo impulso fisico è spirituale: il desiderio per la fine della dualità, un ritorno allo
stato di completezza. L’unione sessuale è in effetti l’esperienza più soddisfacente che possa offrire il
regno fisico. Ma l’unione sessuale non è che un barlume fuggevole della completezza; fintanto che
viene ricercata inconsapevolmente come mezzo di salvezza, si ricerca la fine della dualità a livello
della forma, dove non può essere trovata, perché dopo ci si ritrova di nuovo in un corpo separato.
Fintanto che ci identifichiamo con la mente, abbiamo un senso del sé derivato dall’esterno, cioè
ricaviamo il senso di ciò che siamo da cose che in definitiva non hanno niente a che fare con ciò che
siamo: il nostro ruolo sociale, i beni materiali, l’aspetto esteriore, successi e fallimenti, sistemi di
credenze. Questo sé falso e creato dalla mente, l’ego, si sente vulnerabile, insicuro, ed è sempre alla
ricerca di nuove cose con cui identificarsi per ricavarne la sensazione di esistere. Ma niente è mai
abbastanza per fornirgli appagamento duraturo, la sua paura e il suo senso di mancanza e di bisogno
permangono.
Quando arriva quel rapporto speciale, sembra essere la risposta a tutti i problemi dell’ego e
soddisfarne tutte le esigenze; adesso abbiamo un unico punto focale che le sostituisce tutte, dà
significato alla nostra vita e definisce la nostra identità: la persona di cui siamo innamorati. Non
siamo più un frammento sconnesso in un universo indifferente; il nostro mondo adesso ha un centro,
la persona amata, e il fatto che il centro sia al di fuori di noi e che pertanto noi abbiamo ancora un
senso del sè derivato dall’esterno non sembra importare.
Se nel nostro rapporto amoroso noi abbiamo esperienza sia dell’amore sia del contrario dell’amore
(attacco, violenza emotiva, ecc.) allora è probabile che scambiamo per amore l’attaccamento
dell’ego e la dipendenza. Se il nostro amore ha un contrario, allora è un forte bisogno da parte
dell’ego di un senso del sé più completo e profondo, un bisogno che l’altra persona soddisfa
temporaneamente. Ma arriva un punto in cui l’altra persona si comporta in modi che non soddisfano
più le nostre esigenze, o meglio quelle del nostro ego. Così riemergono le sensazioni di paura, dolore
e mancanza che erano state mascherate dal rapporto d’amore. Così come in ogni tossicodipendenza.
Noi siamo “su di giri” quando la droga è disponibile, ma poi arriva un momento in cui la droga per
noi non funziona più. Quando ricompaiono quelle sensazioni dolorose, in misura maggiore di prima,
le percepiamo come causate dall’altra persona, proiettandole all’esterno, e attacchiamo l’altra
persona con tutta la violenza che fa parte del nostro dolore. Quest’attacco può risvegliare il dolore
dell’altra persona, che potrà allora controbattere il nostro attacco: ecco il conflitto.
A questo punto l’ego spera ancora inconsapevolmente che il proprio attacco o i propri tentativi di
manipolazione siano ancora una punizione sufficiente per indurre l’altra persona a modificare il
proprio comportamento, per cui l’ego potrà utilizzarli di nuovo come copertura per il nostro dolore.
Ogni dipendenza nasce da un rifiuto inconsapevole di affrontare e superare il proprio dolore. Ogni
dipendenza comincia con il dolore e finisce con il dolore. Qualunque sia la sostanza verso cui
abbiamo sviluppato una dipendenza (alcool, cibo, farmaci, droghe, tabacco, una persona), noi
utilizziamo qualcosa o qualcuno per mascherare il nostro dolore. Ecco perché, quando è passata
l’euforia iniziale, vi è tanta infelicità, tanto dolore nei rapporti amorosi; questi non causano dolore e
infelicità, ma tirano fuori il dolore e l’infelicità che sono già in noi.
Ogni dipendenza fa la stessa cosa. Questo è il motivo per cui la maggior parte della gente cerca
sempre di sfuggire al momento presente e cerca qualche genere di salvezza nel futuro. La prima cosa
che potrebbe incontrare, se concentrasse la propria attenzione sull’adesso, è il proprio dolore, ed è
questo che teme.
Per modificare un rapporto dipendente in uno vero, è necessario portare la nostra attenzione sempre
più in profondità nell’adesso, in modo da non lasciarci più sopraffare dall’entità pensante o dal
corpo di dolore, scambiandoli per ciò che siamo. Conoscere se stessi come l’essere dietro l’unità
pensante, la quiete dietro il rumore mentale, l’amore e la gioia dietro il dolore, è libertà, salvezza,
illuminazione. Disidentificarsi dal corpo di dolore significa apportare presenza nel dolore, e così
trasformarlo; disidentificarsi dal pensiero significa essere l’osservatore silenzioso dei propri
pensieri e comportamenti. La mente perde così la sua ineluttabilità, che sostanzialmente è l’obbligo
di giudicare e quindi di resistere a ciò che esiste, il che crea conflitto, dramma e nuovo dolore. In
effetti, nel momento in cui il giudizio si arresta attraverso l’accettazione di ciò che esiste, noi siamo
liberi dalla mente. Prima smettiamo di giudicare noi stessi, poi smettiamo di giudicare la persona
amata.
Il più grande catalizzatore del cambiamento in un rapporto affettivo è l’accettazione completa
dell’altra persona così com’è, senza doverla giudicare o cambiare in alcun modo. Questa è anche la
fine di ogni dipendenza reciproca. Così o ci separiamo (con amore) oppure ci spostiamo sempre più
in profondità nell’adesso, nell’essere.
L’amore è uno stato dell’essere, ed è profondità dentro di noi. Non possiamo mai perderlo, e non
può mai abbandonarci. Guardiamo al di là del velo di forma e separazione; questa è la realizzazione
dell’unione, questo è amore.
Dio è l’unica vita eterna dietro tutte le forme di vita. L’amore è sentire la presenza di tale unica vita
in profondità in se stessi e in tutte le creature. Pertanto, ogni amore è amore di Dio.
L’amore non è selettivo, non è esclusivo. Però l’intensità con cui viene percepito il vero amore è
variabile. Il legame che ci unisce alla persona amata è lo stesso legame che ci unisce alla persona
seduta accanto a noi in autobus, o a un uccello, un albero, un fiore. Varia soltanto il grado di intensità
con cui lo percepiamo.
Anche in un rapporto di dipendenza vi possono essere momenti in cui la nostra mente e quella
dell’altra persona si affievoliscono, e il corpo di dolore si trova temporaneamente allo stato latente.
Questo può accadere durante l’intimità fisica, o quando siamo testimoni del parto, o in presenza della
morte, o quando uno di noi è gravemente ammalato: qualunque cosa renda la mente impotente, e fa
rivelare il nostro essere nascosto; questo rende possibile la vera comunicazione, che è comunione,
realizzazione dell’unione, che è amore. Quando ritorna l’identificazione con la mente, cominciamo di
nuovo a essere un’immagine mentale di noi stessi, e ricominciamo a giocare e a interpretare ruoli per
soddisfare le esigenze del nostro ego. Siamo di nuovo una mente umana, che finge di sentirsi un
essere umano, interagisce con un’altra mente e recita un dramma chiamato “amore”.
I rapporti tra uomini e donne riflettono il profondo stato di crisi in cui si trova ora l’umanità, poiché
gli esseri umani si identificano sempre più con la propria mente, per cui i rapporti affettivi per la
maggior parte non sono radicati nell’essere e giungono a essere dominati da problemi e conflitti.
Milioni di persone ormai vivono da sole o soltanto con i figli, non più disposte a ripetere il
dramma folle delle relazioni passate. Altre persone passano da una relazione all’altra, da un ciclo di
piacere e di dolore all’altro, alla ricerca della meta sfuggente dell’appagamento attraverso l’unione
con la polarità energetica opposta. Altre ancora cercano un compromesso e continuano a rimanere
assieme in un rapporto disfunzionale in cui prevale la negatività, per amore dei figli o della
sicurezza, per la forza dell’abitudine, per paura della solitudine.
Tuttavia, ogni crisi rappresenta non soltanto un pericolo ma anche un’occasione. Con il
riconoscimento e l’accettazione dei fatti giunge da essi un grado di libertà. Quando sappiamo che vi è
disarmonia, che non siamo in pace, il nostro sapere crea uno spazio tranquillo perché avvenga la
trasformazione. Quando il nostro rapporto non funziona, quando fa emergere la “pazzia” in noi e nella
persona amata, dobbiamo esserne contenti, perché ciò che era inconsapevole viene portato alla luce;
è un’occasione per la salvezza. Se vi è collera, dobbiamo sapere che vi è collera; se vi sono gelosia,
atteggiamento difensivo, impulso a litigare, bisogno di avere ragione, o dolore emotivo, qualunque
cosa sia, dobbiamo conoscere la realtà di quel momento e possedere tale conoscenza. Il rapporto
diventa allora la nostra pratica spirituale, e serve a farci evolvere, non per renderci felici o appagati,
ma per renderci consapevoli. Per trasformare la nostra vita in pratica spirituale non importa se il
nostro compagno o la nostra compagna non vuole collaborare, perché la consapevolezza può venire
al mondo soltanto attraverso noi stessi. Quando la persona si comporta in modo inconsapevole,
dobbiamo rinunciare a ogni giudizio. Giudizio significa confondere il comportamento inconsapevole
della persona con la sua identità, oppure proiettare la nostra inconsapevolezza sull’altra persona e
scambiare questa per la sua identità.
Rinunciare al giudizio non significa che non riconosciamo la disfunzione e l’inconsapevolezza
quando le vediamo. Significa “essere il sapere” anziché “essere la reazione” e il giudice. Allora
saremo totalmente liberi dalla reazione, oppure reagiremo pur conservando il sapere, lo spazio in cui
la reazione è osservata e lasciata esistere. Essere il sapere crea uno spazio libero di presenza
affettuosa che consente a tutte le cose e persone di essere come sono. Se mettiamo in pratica tutto
questo, la persona amata non potrà stare con noi e allo stesso tempo rimanere inconsapevole.
Occorre all’interno della coppia esprimere reciprocamente pensieri e sentimenti non appena si
presentano, o non appena interviene una reazione, per cui non creiamo un intervallo temporale in cui
possa inasprirsi o crescere un’emozione e una lamentela inespresse o non riconosciute.
Impariamo ad ascoltare la persona amata in maniera aperta e non difensiva, lasciamole spazio
perché si esprima, essendo presenti. Così accusare, difendere, attaccare, schemi creati per rafforzare
o proteggere l’ego, diventano superflui. Questo è l’amore che non ha contrario.
Se la persona amata è ancora identificata con la mente e il corpo di dolore, mentre noi siamo già
liberi, questo rappresenterà una sfida importante per la persona amata. Non è facile vivere con una
persona illuminata, o, meglio, è così facile che l’ego lo trova estremamente minaccioso. Infatti l’ego
ha bisogno di problemi, conflitti e nemici per rafforzare il senso di separazione da cui dipende la sua
identità.
La mente della persona amata non illuminata si sentirà profondamente frustrata, perché le sue
posizioni prefissate non incontrano resistenza, il che significa che diventeranno deboli, e vi è perfino
il pericolo che crollino del tutto, con la conseguenza della perdita del sé. Il corpo di dolore esige un
riscontro e non lo ottiene, il bisogno di litigi, drammi e conflitti non viene soddisfatto.
Ma stiamo attenti: alcune persone che non reagiscono, che sono tagliate fuori dai propri sentimenti
possono cercare di convincere gli altri di essere illuminate, e che tutto ciò che non va è nella persona
amata. Gli uomini tendono a fare così più delle donne. Se non vi è emanazione di amore e gioia,
presenza completa nei confronti di altri esseri, allora non vi è illuminazione, vi è un autoinganno
incentrato sull’ego.
Se una donna viene minacciata dall’incapacità di lui di ascoltarla, di fornirle attenzione e spazio
per esistere, il che è dovuto alla mancanza di presenza da parte di lui, l’assenza di amore nel
rapporto, che di solito è avvertita più acutamente dalla donna che dall’uomo, innescherà il corpo di
dolore della donna, e attraverso questo, lei attaccherà il suo compagno. Per difendersi dall’attacco
del corpo di dolore di lei, che considera totalmente ingiustificato, egli si trincererà ancora più
profondamente nelle sue posizioni mentali, giustificandosi, difendendosi o contrattaccando. Alla fine
questo attiverà anche il suo corpo di dolore. Quando entrambi sono stati così sopraffatti, si è
raggiunto un livello di profonda inconsapevolezza, di violenza emotiva, fino a una fase latente alla
quale seguirà un ulteriore conflitto.
Ogni minaccia al rapporto è in realtà un’occasione di salvezza mascherata; in ogni fase del
processo disfunzionale che si sta svolgendo è possibile la libertà dall’inconsapevolezza. Per
esempio, l’ostilità della donna potrebbe diventare per l’uomo un segnale per uscire dal suo stato
identificato con la mente, per risvegliarsi nell’adesso, per diventare presente, invece di diventare
ancora più inconsapevole, di identificarsi ancora più con la mente.
Invece di identificarsi con il corpo di dolore, la donna potrebbe essere il sapere che osserva il
dolore emotivo in se stessa, accedendo così al potere di adesso e dando inizio alla trasformazione
del dolore. Ciò eliminerebbe la proiezione esterna ineluttabile e automatica del dolore stesso, e la
donna potrebbe esprimere al compagno i propri sentimenti. In questo modo nascerebbe uno spazio
limpido e tranquillo di consapevolezza pura: il sapere, il testimone muto, l’osservatore. Questa
consapevolezza consente al dolore di esistere, eppure lo trasforma allo stesso tempo.
Se noi siamo coerentemente o, almeno, prevalentemente presenti nel nostro rapporto, questa sarà la
più grande minaccia per la persona amata; non potrà tollerare la nostra presenza molto a lungo
rimanendo inconsapevole. Se è pronta, attraverserà quella porta che abbiamo aperto, e si unirà a noi
in quella condizione. Se non lo è, ci separeremo come olio e acqua. La luce è troppo dolorosa per chi
vuole rimanere al buio.
LA FEMMINILITÀ
Per una donna è più facile percepire il proprio corpo, per cui la donna è per natura più vicina
all’essere e all’illuminazione. Secondo i cinesi, il Tao, che ha analogie con l’essere, è “infinito,
eternamente presente, madre dell’Universo”. Per natura le donne vi sono più vicine degli uomini
perché “incarnano” il “non manifestato”. Inoltre, tutte le creature e tutte le cose alla fine devono
ritornare alla Fonte, che è considerata femminile, come un utero che fa nascere ogni cosa creata e la
alimenta e la nutre durante la sua vita come forma. Quando la mente ebbe il sopravvento e gli esseri
umani persero il contatto con la realtà della loro essenza divina, cominciarono a pensare a Dio come
a una figura maschile. La società divenne dominata dai maschi, e la femmina ne fu subordinata.
Il Dio tradizionale è una figura di essere irato di cui bisogna avere timore, come suggerisce
l’Antico Testamento; questo Dio è una proiezione della mente umana, che ha una frequenza energetica
prevalentemente maschile, perché lotta per prevalere, oppone resistenza, manipola, attacca, ecc.
Per andare al di là della mente e tornare in sintonia con la realtà più profonda dell’essere, sono
necessarie qualità molto diverse: abbandono, assenza di giudizio, mancata resistenza, larghezza di
vedute, capacità di racchiudere tutte le cose nell’abbraccio affettuoso del proprio sapere, qualità
molto più vicine al principio femminile. In questo momento, la grande maggioranza degli uomini e
delle donne è ancora nella morsa della mente: in genere gli uomini si identificano con l’entità
pensante, mentre le donne con il corpo di dolore, sebbene in certi casi individuali possa essere vero
il contrario.
Il corpo di dolore ha di solito un aspetto collettivo, oltre a uno personale. L’aspetto personale è il
residuo accumulato di dolore emotivo sofferto nel proprio passato, mentre quello collettivo, che in
certe nazioni è più pesante rispetto ad altre, è il dolore accumulato nella psiche umana nell’arco di
migliaia di anni attraverso malattie, torture, guerre, omicidi, crudeltà, pazzia.
Esiste anche un corpo di dolore collettivo femminile, che consiste del dolore accumulato dalle
donne nel loro assoggettamento da parte dell’uomo, attraverso schiavitù, sfruttamento, stupro, parto,
perdita di figli, nell’arco di migliaia di anni. Il dolore emotivo e fisico che per molte donne precede
e coincide con il flusso mestruale è il corpo di dolore nel suo aspetto collettivo che si risveglia dallo
stato latente, restringendo il libero flusso di energia vitale nel corpo, di cui la mestruazione è
un’espressione fisica.
Oggi il numero di donne che si avvicinano allo stato pienamente consapevole supera quello degli
uomini, e crescerà ancora più rapidamente negli anni futuri. Non è un caso che, statisticamente, su 10
persone che si curano con la medicina non convenzionale, 8 siano donne. Le donne stanno
riguadagnando la funzione che è un loro diritto innato: essere un ponte tra il mondo manifestato e il
“non manifestato”, tra fisicità e spirito. Sono le prime a rendersi conto che finché si costruisce
un’identità a partire dal dolore, non è possibile liberarsene.
Nel momento in cui si prende consapevolezza che si è attaccati al proprio dolore, si è interrotto tale
attaccamento. Il corpo di dolore è un campo energetico che ha trovato alloggio temporaneo nello
spazio interiore della persona, è energia vitale intrappolata, che non scorre più, rappresenta il
passato che vive in noi, e se noi ci identifichiamo con esso, ci identifichiamo con il passato.
Un’identità di vittima è la credenza secondo cui il passato è più importante del presente, il che è il
contrario della verità, è la credenza secondo cui gli altri sono responsabili della nostra identità
attuale, del nostro dolore emotivo e della nostra incapacità di essere il nostro vero sé. La verità è che
l’unico potere che esiste è il potere della nostra presenza, che noi siamo responsabili del nostro
spazio interiore nell’adesso, e che il passato non può prevalere sul potere di adesso.
Molte donne continuano ad aggrapparsi a un’identità di vittime collettive, ricordando continuamente
ciò che gli uomini hanno fatto alle donne nel corso della storia, la violenza maschile su di loro e la
repressione del principio femminile su tutto il pianeta. Se una donna si aggrappa ancora a collera,
risentimento o condanna, si aggrappa al proprio corpo di dolore; questo può darle un confortante
senso di identità e di solidarietà con altre donne, ma la mantiene in schiavitù verso il passato e
blocca il pieno accesso alla sua essenza, favorendo un senso di separazione e un conseguente
rafforzamento dell’ego.
Proprio il periodo mestruale, durante il quale molte donne sono sopraffatte dal corpo di dolore
collettivo femminile, potrebbe essere utilizzato per la trasformazione in consapevolezza. Quando si
verifica la tensione pre-mestruale, la donna dovrebbe divenire molto più vigile, e abitare il proprio
corpo quanto più pienamente possibile. Alla prima forte irritazione o al primo scatto di collera, o al
comparire dei primi sintomi fisici, occorre che la donna vi rivolga il riflettore dell’attenzione, prima
che si impadronisca del pensiero o del comportamento; bisogna “essere il sapere”, vale a dire essere
consapevoli della propria presenza e percepirne il potere.
Non bisogna lasciare che il corpo di dolore utilizzi la mente e si impadronisca del pensiero,
bisogna osservarlo, percepirne l’energia direttamente dentro il corpo, trasformando l’attenzione
totale in accettazione totale. Così arriva la trasformazione; il corpo di dolore si trasforma in
consapevolezza radiosa, e la mestruazione diventa non solo un’espressione gioiosa e appagante della
propria femminilità, ma anche un momento sacro di trasformazione, quando si dà alla luce una nuova
consapevolezza.
Anche il compagno può aiutarla in questa pratica. Quando il corpo di dolore della donna prende il
sopravvento durante le mestruazioni o in altri periodi, egli non lo scambierà per l’identità della
donna, perché se il corpo di dolore lo attacca, egli non reagirà, non si ritirerà né allestirà qualche
sorta di difesa, ma manterrà lo stato di presenza intensa. In questo modo nascerà fra i due un campo
energetico permanente di frequenza elevata e pura, realizzazione dello scopo divino e transpersonale
del rapporto affettivo.
IL BENE E IL MALE
Spesso giudichiamo ciò che ci accade in positivo e in negativo, senza renderci conto che vi sono
state molte persone per le quali la limitazione, il fallimento, la perdita, la malattia o il dolore sotto
qualunque forma si sono rivelati i loro principali maestri. Hanno insegnato loro a lasciar perdere le
false immagini di sé, e gli obiettivi e i desideri superficiali imposti dall’ego. Tutto questo ha dato
loro profondità, umiltà e compassione, li ha fatti sentire più reali. Quando ci accade qualcosa di
negativo, vi è una lezione profonda nascosta al suo interno, anche se sul momento possiamo non
vederla; perfino una malattia o un incidente possono mostrarci ciò che è reale e irreale nella nostra
vita, cosa è veramente importante.
Tutte le condizioni di vita sono sempre positive, o per meglio dire non sono né positive né
negative: sono come sono. Quando noi viviamo in completa accettazione di ciò che esiste (unico
modo sano di vivere), nella nostra vita non vi sono più né bene né male. Vi è solo un bene superiore,
che include anche il male. Infatti “il male è quel bene che non sappiamo ancora accettare, la
negatività è quella positività che non sappiamo ancora riconoscere”.
Quando è appena morta una persona cara, o quando sentiremo avvicinarsi la nostra stessa morte,
non possiamo o non potremo essere felici, però possiamo o potremo essere in pace e in serenità
interiore, nonostante la tristezza e le lacrime. Questa pace interiore è l’emanazione dell’essere, il
bene che non ha contrario. Accettare ciò che esiste ci libera immediatamente dal dominio della mente
e dalla resistenza, e così ci ricollega all’essere. Duemila anni fa Marco Aurelio affermava: “Accetta
ciò che ti arriva intessuto nella trama del destino; che cosa, infatti, potrebbe adattarsi meglio ai tuoi
bisogni?”.
La maggior parte della gente fa esperienza di molte sofferenze prima di abbandonare la resistenza e
accettare, prima di perdonare. Non appena lo fa, accade uno dei miracoli più grandi: il risveglio
della “consapevolezza-essere” attraverso ciò che appare come male, la trasformazione della
sofferenza in pace interiore.
L’effetto ultimo di tutto il male e di tutta la sofferenza del mondo è che costringerà gli esseri umani
a rendersi conto di ciò che sono al di là del nome e della forma. Pertanto, ciò che percepiamo come
male dal nostro punto di vista limitato fa parte in realtà del bene superiore che non ha contrario.
Questo, però, non si avvera per noi se non tramite il perdono. Finché ciò non avviene, il male non è
stato redento e, pertanto, continua a essere male.
Attraverso il perdono, che essenzialmente significa riconoscere l’inconsistenza del passato e
consentire al momento presente di essere così com’è, il miracolo della trasformazione accade sia
interiormente sia esteriormente. Uno spazio silenzioso di presenza intensa si crea sia in noi sia
intorno noi. Chiunque o qualunque cosa entri in tale campo di consapevolezza ne sarà influenzato,
talvolta in modo visibile e immediato, talvolta a livelli più profondi, con la comparsa,
successivamente, di cambiamenti visibili. Questo è molto importante per i medici, che potrebbero
dissolvere la discordia, guarire il dolore e scacciare l’inconsapevolezza senza fare nulla,
semplicemente “essendo” e mantenendo quella frequenza di presenza intensa.
Gran parte del cosiddetto male che avviene nella vita delle persone è dovuto all’inconsapevolezza,
ed è creato dall’ego, dalla mente che gestisce la nostra vita quando non siamo presenti come
consapevolezza testimone, come osservatori. L’ego si percepisce come frammento separato in un
universo ostile, senza alcuna connessione interiore con ogni altro essere, circondato da altri ego che
considera potenziali minacce, o che cercherà di usare per i propri fini, combattendo la sua radicata
paura attraverso resistenza, dominio, potere, avidità, difesa, attacco. Queste strategie sono
estremamente abili, eppure non risolveranno mai alcun problema, semplicemente perché il problema
è l’ego stesso.
Quando gli ego si riuniscono insieme, sotto forma di organizzazioni o istituzioni, prima o poi
accade il “male”: conflitti, problemi, lotte di potere, violenza emotiva e fisica, sino a mali collettivi
come guerre, genocidi, tutti dovuti all’inconsapevolezza accumulata.
Anche molti tipi di malattie sono causati dalla resistenza continua dell’ego, che crea restrizioni e
blocchi nel flusso di energia attraverso il corpo. Quando ci sentiamo dispiaciuti per noi stessi,
quando ci sentiamo in colpa o in ansia, quando lasciamo che il passato o il futuro oscurino il
presente, creiamo il tempo, il tempo psicologico; non onoriamo il momento presente (consentendogli
di essere) e quindi creiamo il dramma. Quasi tutti sono innamorati del proprio dramma di vita, la
loro storia è la loro identità, l’ego gestisce la loro vita e vi hanno investito l’intero loro senso del sé.
Fintanto che sono la loro mente, ciò che temono, e a cui resistono di più, è il loro risveglio.
Quando viviamo in completa accettazione di ciò che esiste, questa è la fine di ogni dramma della
nostra vita; con noi nessuno può litigare, perché il litigio implica l’identificazione con la mente,
nonché resistenza e reazione alla posizione dell’altra persona, in piena inconsapevolezza. Possiamo
ancora esprimere la nostra opinione chiaramente e fermamente, ma non vi sarà dietro nessuna forza
reattiva, nessuna difesa e nessun attacco. Quando siamo pienamente consapevoli, smettiamo di essere
in conflitto con noi e col mondo.
L’ABBANDONO
Per molti l’abbandono può avere connotazioni negative, che implicano la sconfitta, la rinuncia, il
non essere all’altezza delle sfide della vita, l’apatia. Il vero abbandono è però qualcosa di
completamente diverso, non significa sopportare passivamente la situazione in cui ci si trova o
smettere di fare progetti. L’abbandono è la saggezza semplice ma profonda di “lasciarsi andare”,
anziché opporsi al flusso della vita. L’unico punto in cui possiamo avere esperienza del flusso della
vita è l’adesso, per cui abbandono significa accettare incondizionatamente e senza riserve il momento
presente, abbandonare la resistenza interiore a ciò che esiste, accettandolo al di là del giudizio
mentale e della negatività emotiva. La resistenza diventa particolarmente pronunciata quando le cose
“vanno storte”, e si afferma il dolore. È in questo momento che bisogna praticare l’abbandono, se si
vuole eliminare il dolore fisico e morale dalla propria vita.
L’accettazione di ciò che esiste ci libera immediatamente dall’identificazione con la mente, e ci
ricollega all’essere. L’abbandono è un fenomeno puramente interiore, e non significa che a livello
esteriore non possiamo intraprendere azioni e modificare la situazione. Se siamo impantanati nel
fango, non dobbiamo rassegnarci, e dobbiamo riconoscere che è necessario tirarci fuori. La
rassegnazione non è abbandono. Non è necessario accettare una situazione di vita indesiderabile o
spiacevole. Restringiamo la nostra attenzione all’adesso, senza etichettarlo mentalmente in alcun
modo e senza esprimere alcun giudizio.
Allora intraprendiamo un’azione e facciamo tutto ciò che possiamo per tirarci fuori dal fango;
quest’azione positiva è molto più efficace dell’azione negativa, che nasce dalla collera, dalla
disperazione e dalla frustrazione. Il mancato abbandono indurisce la nostra forma psicologica,
l’involucro dell’ego, e crea un forte senso di separazione; percepiamo il mondo e gli altri come
minacciosi (questa è la paranoia), nasce l’ineluttabilità inconsapevole di distruggere gli altri
attraverso il giudizio, oltre alla necessità di competere e dominare. Anche il nostro corpo diventa
rigido e duro attraverso la resistenza; si genera tensione in varie parti del corpo, e il corpo nel suo
insieme si contrae. Il libero flusso di energia vitale attraverso il corpo, che è essenziale per il suo
funzionamento sano, viene notevolmente ristretto.
Se troviamo insoddisfacente o perfino intollerabile la nostra situazione di vita, è solo mediante
l’abbandono che possiamo spezzare lo schema inconsapevole di resistenza che perpetua tale
situazione. L’abbandono è perfettamente compatibile con l’intraprendere azioni, il dare inizio a
cambiamenti o il raggiungere obiettivi. Ma nello stato di abbandono fluisce nel nostro comportamento
un’energia completamente diversa, equivalente all’energia primaria dell’essere.
Si potrebbe chiamare “azione nell’abbandono”, facendo una cosa per volta e concentrandoci su una
cosa per volta, come una torcia elettrica che fende la nebbia. Domandiamoci: “Vi è qualcosa che
posso fare per modificare la situazione, migliorarla o allontanarmene?”. In caso affermativo,
intraprendiamo l’azione opportuna, non relativa alle cento cose che faremo in futuro (proiettando
filmati mentali), ma all’unica cosa che possiamo fare adesso. Tale azione può non avere frutti
immediati, l’importante è non opporre resistenza a ciò che esiste. Se non vi è alcuna azione che
possiamo intraprendere, e non possiamo nemmeno allontanarci dalla situazione, allora utilizziamola
per entrare più in profondità nell’adesso e nell’essere. Quando entriamo in questa dimensione senza
tempo del presente, il cambiamento spesso ha luogo in modi strani e senza necessità di grandi azioni
da parte nostra. Se fattori interiori, quale paura, senso di colpa o inerzia, ci impedivano di
intraprendere un’azione, si dissolveranno alla luce della nostra presenza consapevole.
Non confondiamo l’abbandono con un atteggiamento equivalente a dire “non me ne importa più
nulla”, perché spesso tale comportamento è contaminato da negatività sotto forma di risentimento
nascosto, sotto forma di resistenza mascherata. Nel vero abbandono dobbiamo rivolgere la vera
attenzione verso l’interno per controllare se vi sono tracce residue di resistenza dentro di noi.
Bisogna riconoscere che vi è effettivamente resistenza, essere lì quando nasce, come la mente la crea,
come etichetta la situazione, noi stessi e gli altri. Si deve guardare il processo di pensiero che ne è
coinvolto, percepire l’energia dell’emozione. Essendo testimoni della resistenza, vedremo che non
serve ad alcuno scopo.
Negatività, infelicità o sofferenza sotto qualunque forma significano che vi è resistenza, la quale è
sempre inconsapevole. Se fossimo consapevoli, cioè totalmente presenti nell’adesso, ogni negatività
si dissolverebbe quasi istantaneamente, non potrebbe sopravvivere in nostra presenza. Noi
manteniamo viva la nostra infelicità fornendole tempo; allora eliminiamo il tempo attraverso
un’intensa consapevolezza del momento presente, ed ecco che l’infelicità muore.
Finché non pratichiamo l’abbandono, la dimensione spirituale non può divenire una realtà viva
nella nostra vita; mediante l’abbandono viene alla luce l’energia spirituale, che ha una frequenza di
vibrazione molto più elevata rispetto all’energia mentale che continua a gestire il nostro mondo, e
che, al contrario di quest’ultima, non inquina la terra e non è soggetta alla legge della polarità (legata
alla necessità del bene e del male). L’energia spirituale dissolve gli schemi inconsapevoli della
mente, sviluppandosi dall’abbandono, che è un potente fattore di trasformazione di situazioni e
persone.
Le persone inconsapevoli (la maggioranza degli uomini) sono tagliate fuori dall’essere, per cui
tentano di ricavare dagli altri energia e potere, cercano di usare o manipolare gli altri, e
contemporaneamente vengono usati e manipolati. Se noi opponiamo resistenza o combattiamo il
comportamento inconsapevole degli altri, diventiamo a nostra volta inconsapevoli.
Ma abbandono non significa acconsentire a essere usati da persone inconsapevoli; è perfettamente
possibile dire di no fermamente e chiaramente a una persona o allontanarsi da una situazione e
trovarsi allo stesso tempo in uno stato di completa assenza di resistenza interiore. Quando diciamo di
“no” a una persona o a una situazione, questo “no” deve arrivare non da una reazione, ma da
un’intuizione, da una comprensione chiara di ciò che è giusto o sbagliato per noi in quel momento.
Deve essere un “no” libero da ogni negatività, non reattivo, di alta qualità.
Quando non riusciamo a praticare l’abbandono, dobbiamo intraprendere subito un’azione, dicendo
chiaramente come la pensiamo o fare qualcosa per apportare un cambiamento nella situazione, o
allontanarcene. I nostri rapporti personali saranno modificati profondamente dall’abbandono. Se non
possiamo accettare ciò che esiste, implicitamente non saremo in grado di accettare nessuno così
com’è. Giudicheremo, criticheremo, etichetteremo, rifiuteremo o cercheremo di cambiare gli altri.
Così facendo, realizzeremo di ogni persona con cui entriamo in relazione un mezzo rivolto a un fine.
Il rapporto personale assume allora per noi un’importanza secondaria, perché è fondamentale ciò che
possiamo trarre da tale rapporto, che si tratti di guadagno materiale, senso di potenza, piacere fisico
o qualche forma di gratificazione dell’ego.
Vediamo come opera l’abbandono nei rapporti interpersonali. Quando siamo coinvolti in un litigio
o in qualche situazione di conflitto con un’altra persona, cominciamo con l’osservare come
assumiamo un atteggiamento difensivo quando la nostra posizione viene attaccata, o con il percepire
la forza della nostra aggressione quando attacchiamo la posizione dell’altra persona. Osserviamo
l’attaccamento ai nostri punti di vista e alle nostre opinioni, percepiamo l’energia mentale-emotiva
dietro il nostro bisogno di avere ragione e di dare torto all’altra persona. Questa è l’energia della
mente incentrata sull’ego. La rendiamo consapevole riconoscendola. Se nel corso di un litigio
pratichiamo l’abbandono dell’intero campo energetico mentale-emotivo dentro di noi che lottava per
la supremazia, ci sentiremo molto leggeri, limpidi e profondamente in pace.
Ovviamente non bisogna lasciar perdere la reazione soltanto verbalmente dicendo “Va bene, hai
ragione tu”, equivalente a dire “Io sono al di sopra di questa inconsapevolezza infantile”. Questo
significa soltanto spostare la resistenza a un altro livello, con la mente incentrata sull’ego ancora in
posizione dominante, che rivendica la superiorità. Quando abbandoniamo la nostra identificazione
con una posizione mentale, possiamo osservare cosa accade alla mente dell’altra persona quando noi
non la riforniamo più di energia attraverso la resistenza; quando l’identificazione con le posizioni
mentali è sparita, ha inizio la vera comunicazione.
Assenza di resistenza non significa necessariamente non fare nulla; significa soltanto che qualunque
“fare” diventa non reattivo. “Non fare nulla”, quando si è in uno stato di intensa presenza, è un
potente agente di trasformazione e di guarigione di situazioni e persone; è radicalmente diverso
dall’inattività nello stato ordinario di inconsapevolezza che ha origine da paura, inerzia o
indecisione. Il vero “non agire” implica un’assenza di resistenza interiore e un’intensa vigilanza.
D’altro canto, se è necessaria un’azione, noi non reagiremo più a partire dalla nostra mente
condizionata, ma risponderemo alla situazione a partire dalla nostra presenza consapevole. L’ego
ritiene che nella nostra resistenza risieda la nostra forza, mentre in verità la resistenza è formata da
debolezza e paure mascherate da forza. Ciò che l’ego vede come debolezza è il nostro essere nella
sua purezza, innocenza e potenza, ciò che vede come forza è debolezza.
Nell’abbandono non abbiamo più bisogno delle difese dell’ego e delle sue false maschere; l’ego ci
fa pensare “È pericoloso, ti farai male, diventerai vulnerabile”. Ciò che l’ego non sa è che soltanto
diventando vulnerabile, mediante la rinuncia alla resistenza, possiamo scoprire la nostra vera ed
essenziale invulnerabilità.
IL POTERE DI SCEGLIERE
Scegliere di dimorare nello stato di presenza anziché nel tempo, dire di sì a ciò che esiste ci
permette di non avere più bisogno del dolore e della sofferenza.
Molte persone spesso si invischiano numerose volte in rapporti con compagni sbagliati, perché la
mente, condizionata dal passato, cerca sempre di ricreare ciò che conosce e con cui ha familiarità.
L’ignoto è pericoloso perché la mente non vi esercita alcun dominio; ecco perché essa non ama e
ignora il momento presente. La consapevolezza del momento presente crea un intervallo non solo nel
flusso della mente, ma anche nel continuum passato-futuro, spazio vuoto di possibilità infinite.
Queste persone, identificate con la propria mente, ricreano uno schema appreso in passato, in cui
l’intimità e la violenza sono inseparabilmente legate, oppure recitano uno schema mentale appreso
nell’infanzia secondo cui si considerano indegne e meritano di essere punite. È anche possibile che
vivano una gran parte della loro vita attraverso il corpo di dolore, il quale cerca sempre dell’altro
dolore di cui alimentarsi.
Ciò che crea tutte le situazioni è sempre uno schema mentale-emotivo del passato, che gestisce la
nostra vita. Fintanto che la nostra mente con i suoi schemi condizionati gestirà la nostra vita, e noi
saremo la nostra mente, che scelta abbiamo? Nessuna, non esistiamo nemmeno, e creiamo ulteriore
sofferenza, portando il fardello di paura, conflitti, problemi e dolore. Noi non possiamo veramente
perdonare noi stessi o gli altri fintanto che traiamo il nostro senso del sé dal passato. Solo accedendo
al potere di adesso, che è la nostra potenza, può esservi vero perdono.
QUINTA PARTE
LA BENATTIA
L’OLOGRAMMA COSMICO E L’AMORE
Un ologramma è una fotografia tridimensionale ottenuta per mezzo della luce laser (che è coerente).
Un oggetto da fotografare è immerso nel raggio laser, mentre un secondo raggio laser è fatto
rimbalzare nel riflesso del primo, e il punto di incontro dei due raggi fusi insieme si imprime su una
pellicola. Essa, dopo lo sviluppo, sembra un insieme di linee oscure e luminose, ma appena è colpita
da un altro raggio laser, rivela un’immagine tridimensionale dell’oggetto originale. Inoltre ogni parte
dell’ologramma contiene le informazioni della totalità: se l’ologramma di una mela è tagliato a metà
e successivamente viene illuminato da un raggio laser, le due metà conterranno l’immagine intera. E
se suddividiamo ulteriormente le metà, ogni pezzetto di pellicola conterrà una visione rimpicciolita
ma intatta dell’originale. Quindi, nell’ologramma ogni parte contiene l’essenza del tutto.
L’ologramma è una forma di interferenza energetica, il cui modello deve essere utilizzato in
medicina; infatti, ogni cellula contiene la copia del programma di tutto il DNA, con informazioni
sufficienti a costruire un intero corpo umano. Ciò che viviamo è coordinato da un disegno olografico
che ci riporta a Dio; noi siamo l’effetto di questo tipo di disegno, perché portiamo dentro tutta la
realtà di Dio.
Dio è luce coerente ordinata, e noi siamo l’immagine olografica di Dio; se vediamo con la luce
incoerente osserviamo solo il corpo, se usiamo la luce coerente (ad esempio la meditazione, o
tecniche che annullano il campo mentale) si risveglia il Dio che è in noi, e Dio torna a essere
presente in noi. Solo con la luce coerente è possibile vedere l’immagine olografica (il tutto in un
particolare).
Lo stesso Universo è un ologramma cosmico, un’enorme struttura di interferenze energetiche, per
cui ogni parte dell’Universo non solo contiene ma anche contribuisce all’informazione del tutto.
“Come in alto, così in basso”: quanto più profondamente conosciamo noi stessi (in basso), tanto più
possiamo conoscere l’Universo intorno a noi (in alto). Secondo il principio di complementarietà, gli
elettroni sono nello stesso tempo onde e particelle, mettendo in atto contemporaneamente i due
comportamenti. Se il fotone rallenta, diventa particella; per passare da energia a materia basta
rallentare la velocità vibrazionale. La materia è quindi luce congelata. Ogni volta che esprimiamo un
rifiuto, trasformiamo l’energia in materia: ecco arrivare in difesa dell’Anima la malattia,
l’infiammazione, che trasforma la materia in energia, come con il calore il ghiaccio si trasforma in
acqua e poi evapora.
Ogni anima che scende rallenta la sua vibrazione, e s’incarna in un corpo; durante la vita, però, il
corpo dovrebbe aumentare le sue vibrazioni, e l’infiammazione (che è anche passione, amore, perché
quando amiamo ci infiammiamo, ci emozioniamo) permette questo tipo di evoluzione. Infatti,
l’infiammazione, oltre che biologica, può anche essere emozionale. Poiché la materia è luce
congelata, più ci rallentiamo attraverso giudizi e condanne, più diventiamo materiali. Così arriva la
malattia, per permettere alla materia di ridiventare energia.
La materia è composta da un’infinita combinazione di corpi energetici complessi, governati da
leggi naturali. Anch’essa, come la luce, ha caratteristiche vibratorie.
L’ologramma cosmico, che è contenuto anche nell’uomo, visto che in lui c’è tutto l’Universo, è
composto di strutture composte da interferenze energetiche a vari livelli frequenziali che si
sovrappongono; ogni struttura olografica di una specifica frequenza porta informazioni di un tipo
relativo a quella finestra frequenziale. Questa è la legge della similitudine (simile frequenziale).
L’ologramma cosmico è la somma di molti ologrammi frequenziali sovrapposti, ognuno dei quali
contiene informazioni di natura diversa sull’Universo.
Il nostro cervello costruisce la realtà oggettiva attraverso l’interpretazione di frequenze che sono
proiezioni di un’altra dimensione, che è oltre lo spazio e il tempo; esso è un ologramma contenuto in
un universo olografico. Da ciò si può dedurre che noi abbiamo due aspetti di realtà molto diversi: nel
primo, ci possiamo riconoscere come corpi fisici che si muovono nello spazio; nel secondo, siamo
uno degli schemi di interferenza contenuti attraverso l’ologramma cosmico, oltre lo spettro
elettromagnetico della luce visibile.
È stupefacente osservare, alla stregua di uno straordinario gioco di specchi, come l’idea di Platone
del mito della caverna dia risalto alle scoperte attuali, le quali spiegano quello che i pensatori antichi
avevano già intuito. Platone sosteneva, infatti, che l’uomo, messo in una caverna, non vedeva su una
parete la realtà, ma delle ombre che erano la rappresentazione della realtà che era dietro le sue
spalle.
La comprensione multidimensionale della realtà necessita dell’apprendimento di un nuovo
linguaggio: l’ologramma, che si percepisce attraverso i simboli utilizzando l’emisfero cerebrale
destro, quello intuitivo, creativo, immaginativo, spaziale, olistico, femminile.
Se non siamo coerenti con noi stessi, non possiamo essere coerenti con i nostri pazienti e per i
nostri pazienti. Gesù era sempre in contatto con questa verità, perché era focalizzato e coerente col
Padre. Quando ci differenziamo dagli altri, diventiamo incoerenti. Gesù, invece, vedeva sempre il
significato di Dio in ogni cosa.
L’obiettivo di ogni meditazione, o della respirazione, è fare il vuoto mentale; così scatta
l’ologramma di base. Il nostro progetto deve basarsi sull’amore. Se entriamo nella dinamica di non
amore e di non accettazione, creiamo il Karma, cioè andiamo contro la vita. In realtà, il Karma non è
qualcosa di negativo, perché deve essere inteso come un’opportunità che ci fa tornare all’amore,
accettando l’esperienza. Quindi il Karma è un servomeccanismo, uno strumento, non è collegato con
la sofferenza, come pensano alcuni.
Quando stiamo male è perché andiamo contro la vita, c’è sempre un rifiuto, una non accettazione. È
l’ego, la parte materiale che controlla, e ipercontrollando va contro la vita e si attira il Karma.
Secondo le filosofie orientali, il Karma è l’insieme dei conflitti non risolti accumulati nelle vite
precedenti. Mai combattere una situazione, è come nuotare controcorrente in un fiume.
Ogni sostanza ha una frequenza, o una serie di frequenze caratteristiche; anche una pietra ha una sua
vibrazione, soltanto che non è registrabile dai nostri sensi. Ogni stimolo, che giunge a un sistema con
un suo meccanismo di difesa, determina un’alterazione della velocità di vibrazione; se lo stimolo è
più forte del meccanismo di difesa, la risposta sarà un cambiamento della frequenza di risonanza
dell’organismo: ecco il “sintomo” (spesso preceduto da un periodo di incubazione).
Il medico non deve osservare solo il sintomo della patologia che appare, ma il terreno su cui tale
sintomatologia si inserisce. L’ars medica si rivolge, quindi, a una complessità in continua evoluzione,
facendo prendere coscienza all’individuo malato dei meccanismi psicoemozionali che hanno posto
quel terreno nelle condizioni di esprimere quel sintomo. Quanto più il malessere è profondo tanto più
c’imbattiamo nei blocchi energetici relazionali e comportamentali di quel malato.
Nella vita non sono tanto importanti i fatti, ma come ognuno di noi vive e percepisce quei fatti.
L’oggettività, cioè la parte determinata della realtà, ci occorre per definire i limiti entro i quali
muoverci, e ci offre una serie di parametri con i quali confrontarci.
La soggettività, cioè la quota indeterminata della stessa realtà, è la caratteristica del nostro mondo
emotivo; attraverso questa, emergono le differenze nelle emozioni, gli stati d’animo, il nostro modo
di percepire gli altri. Come potrebbe accadere che una stessa persona, in un medesimo contesto,
risulti simpatica a uno e antipatica a un altro, se non postulassimo l’esistenza della “risonanza” di un
fenomeno empatico? Quindi, al di là dell’oggettivo comportamento di quella persona, esiste una
vasta “zona d’interazione” in cui quel comportamento viene a confrontarsi con i meccanismi
esistenziali inconsci degli altri. Il risultato sarà di accettazione, se l’azione del nostro interlocutore
evidenzia qualità o caratteristiche che risuonano con quelle parti accettate della nostra personalità;
se, al contrario, genererà rifiuto, ciò avverrà perché in tal modo cercheremo di esorcizzare i nostri
conflitti e le nostre contraddizioni. Per questo motivo, uno stesso comportamento potrà essere
interpretato diversamente da due differenti personalità.
La legge dello specchio (riscoprire se stessi attraverso gli altri) ha un’immediata conseguenzialità:
la vita assume colori diversi in dipendenza dell’approccio mentale che ognuno di noi ha della realtà.
La nostra mente è strutturata in maniera tale che l’uomo possa elaborare uno stimolo ambientale,
dopo averlo confrontato con le esperienze del suo passato, con la sua realtà attuale e con le sue
prospettive future. Spesso però perdiamo la capacità di adattarci alle diverse richieste ambientali e
tendiamo a sottrarci a un reale processo elaborativo dello stimolo, traducendolo immediatamente in
reazioni e modalità comportamentali più accettabili culturalmente e più rassicuranti.
Quante volte ognuno di noi, non elaborando l’esperienza, ripete acriticamente uno stesso
comportamento? Mentre mutano le situazioni, noi, illudendoci di essere sempre gli stessi, tendiamo a
leggere gli avvenimenti secondo un copione prestabilito. Questa modalità rigida di relazionarsi fa sì
che la nostra realtà diventi una montagna immodificabile nella sua negatività. Nel contempo ci
sentiamo sempre più piccoli e incapaci di qualsiasi azione costruttiva e innovatrice; ci conformiamo
sempre più a un modello passivo e routinario, proviamo la necessità di rinunciare alla gestione della
nostra vita e non troviamo sufficienti motivazioni per gratificare le nostre pulsioni. Ne deriva un forte
senso di inadeguatezza che genera quotidianamente aggressività e insoddisfazione, portando a un
surplus di stress: si sono create nel nostro organismo le condizioni necessarie e sufficienti per
ammalarci alla prima occasione.
Il pensiero olografico rende la mente interdimensionale poiché permette l’oggettività piuttosto che
la soggettività. Il pensiero quindi è di per sé oggettivo, mentre la sensazione lo rende soggettivo:
infatti non possiamo pensare in maniera distruttiva, ma possiamo sentirci distruttivi e agire di
conseguenza. Ecco quindi la necessità di imparare a pensare, non condizionati dalle paure che
solitamente ci richiudono nella trappola della soggettività. La consapevolezza è conoscenza, che non
è mai soggettiva; sono le parole che descrivono un pensiero a trasformarlo nella soggettività.
Conseguentemente, qualsiasi acquisizione di nuovi livelli di consapevolezza negli individui muta il
campo morfogenetico di tutti gli individui; se anche un ristretto numero di persone riuscisse a
cambiare la capacità di usare come forma consueta il pensiero olografico, tale mutamento
innescherebbe una reazione a catena che potrebbe portare a un reale cambiamento dell’intera società
umana, mediante una fase di crescita esponenziale.
Recenti studi, condotti negli Stati Uniti dai seguaci del guru della meditazione trascendentale
Maharishi Maesh Yogi, dimostrano che la sincronizzazione degli emisferi cerebrali può essere
prodotta tra gruppi di persone vicine, che irradiano un’onda armonica e coerente, che può produrre
cambiamenti significativi in diversi campi sociali, anche per appianare i conflitti che portano alle
guerre. Questa è l’applicazione del principio di coerenza. Se nella realtà un numero ristretto di
individui “olografici” è ininfluente perché troppo debole per influenzare un sistema di vasta portata,
quando il numero di elementi ordinati supera una massa critica, il disordine è spontaneamente
neutralizzato e l’intero sistema diviene perfettamente ordinato e coerente.
Ecco un altro scopo di questo libro!
1) Per cominciare, esiste una meditazione di autoguarigione semplice ma potente, che si può
eseguire quando si sente la necessità di stimolare il proprio sistema immunitario, anche contro
eventuali perturbazioni del nostro campo energetico causate da qualche forma di negatività.
Quando vi è un attimo di pausa nella nostra giornata, o la sera prima di addormentarci e la mattina
al risveglio, possiamo “inondare” di consapevolezza il nostro corpo, chiudendo gli occhi e stando
distesi sulla schiena. Percepiamo nel modo più intenso possibile l’energia vitale dentro parti diverse
del corpo (mani, piedi, braccia, gambe, addome, torace, testa, ecc.) per circa 15 secondi ognuna.
Quindi lasciamo scorrere alcune volte la nostra attenzione attraverso il corpo come un’onda, dai
piedi alla testa e ritorno, per circa un minuto. Dopo di che cerchiamo di percepire il corpo interiore
nella sua totalità, come unico campo di energia, per qualche minuto.
Durante questo periodo dobbiamo essere intensamente presenti in ogni cellula del corpo. Non
preoccupiamoci se durante l’esercizio la mente riesce ad attirare la nostra attenzione fuori dal corpo,
e noi ci perdiamo in qualche pensiero. Non appena notiamo che è successo, riportiamo
semplicemente la nostra attenzione verso il corpo interiore.
Se troviamo difficile entrare in contatto con il corpo interiore, di solito è più facile concentrarci
prima sulla respirazione consapevole, che di per sé è una potente meditazione. Seduti su una sedia,
senza appoggiare la schiena, mantenendo diritta la colonna vertebrale e con il corpo rilassato,
dobbiamo seguire con la nostra attenzione il respiro mentre esce ed entra dal corpo; quando
respiriamo, dobbiamo percepire l’addome espandersi e contrarsi leggermente a ogni inspirazione ed
espirazione.
Chiudendo gli occhi possiamo anche visualizzarci circondati dalla luce o immersi in un mare di
consapevolezza, respirando in tale luce, in modo che essa ci colmi il corpo, rendendolo luminoso. In
tal modo prendiamo consapevolezza dell’intero campo energetico del corpo, senza pensarci, ma
sentendolo; così allontaniamo la consapevolezza della mente.
Se possibile, lasciamo cadere ogni immagine mentale che possiamo ancora avere del corpo fisico.
Tutto ciò che rimane è un senso onnicomprensivo di presenza o “essenza”, e il corpo interiore sembra
non avere confine, perché fondendoci con il campo energetico non si verifica più alcuna percezione
di dualità fra osservatore e osservato, fra noi e il nostro corpo. Entrando in profondità nel corpo,
abbiamo trasceso il corpo.
Rimaniamo in questo regno di puro essere fintanto che ci appare confortevole, poi riprendiamo
consapevolezza del corpo materiale, del nostro respiro e dei sensi fisici, e apriamo gli occhi.
Guardiamo per qualche minuto l’ambiente circostante in modo meditativo, cioè senza applicarvi
etichette mentali, e continuiamo, così facendo, a percepire il corpo interiore.
Questo esercizio ci libera dalla schiavitù della forma e dall’identificazione con la forma. È la vita
nel suo stato indifferenziato precedente alla sua frammentazione nella molteplicità. Possiamo
chiamarlo “non manifestato”, fonte invisibile di tutte le cose, e ci fa rendere conto che la luce non è
separata da ciò che siamo, ma costituisce la nostra vera essenza.
2) Osservate il respiro. Sedetevi in una posizione comoda con gli occhi chiusi, e allentate
qualunque indumento stretto. Focalizzate l’attenzione sulla respirazione, ma senza cercare di
influenzarla minimamente. Seguite lo svolgersi del ciclo dell’inspirazione e dell’espirazione e
cercate di percepire i punti nei quali una fase si tramuta nell’altra. Fate questo esercizio per almeno
qualche minuto. L’obiettivo è semplicemente quello di mantenere l’attenzione sul ciclo della
respirazione e di osservarlo. Non importa in che modo si modifica il respiro: anche se le escursioni
diventano molto ravvicinate, continuate a seguirle. Questa è la base della meditazione, un metodo di
rilassamento e un modo per armonizzare il corpo, la mente e lo spirito.
3) Iniziate con l’espirazione. La respirazione è continua, non c’è inizio né fine, anche se noi
pensiamo che il respiro inizi con un’inspirazione e finisca con un’espirazione. Occorre invertire
questa percezione nel prossimo esercizio, che si può eseguire sia da seduti sia da sdraiati.
Focalizzate ancora una volta l’attenzione sul respiro: lasciate che l’aria entri senza cercare di
modificare l’inspirazione, ma provate a sentire l’espirazione come l’inizio di un nuovo ciclo. In
questo modo otterrete un controllo maggiore sull’espirazione perché potrete usare i muscoli volontari
intercostali per soffiare l’aria fuori dai polmoni e questa muscolatura è più potente di quella usata
per inspirare l’aria. Quando si butta l’aria fuori, automaticamente e nella stessa misura, l’aria entra
nei polmoni. È consigliabile rendere la respirazione più profonda possibile e il modo più facile per
farlo è quello di pensare all’espirazione come alla prima parte del ciclo, senza preoccuparsi affatto
dell’inspirazione.
4) Lasciate che il respiro entri in voi. Questo esercizio riesce meglio quando si sta sdraiati sulla
schiena, perciò si può cercare di eseguirlo prima di addormentarsi oppure al risveglio. Chiudete gli
occhi e tenete le braccia accanto al corpo, poi focalizzate l’attenzione sul respiro, senza cercare di
modificarlo. Ora immaginate che a ogni inspirazione l’Universo stia soffiando aria dentro il vostro
corpo e che a ogni espirazione la ritiri. Voi ricevete passivamente il respiro. Mentre l’Universo
soffia nel vostro corpo, cercate di avvertire il respiro che penetra in ogni parte del corpo, fino ad
arrivare alla punta delle dita delle mani e dei piedi. Cercate di mantenere questa percezione per dieci
cicli di espirazione e d’inspirazione.
Questi esercizi possono essere eseguiti con la frequenza desiderata, per il periodo di tempo voluto
e fino a un massimo di dieci minuti per ogni esercizio. L’importante è farli ogni giorno.
Il prossimo esercizio è una tecnica di respirazione tratta dal pranayama, l’antica scienza indiana
per il controllo del respiro che si ritrova anche in parte degli esercizi yoga. Prana è un termine che
significa “energia universale”; la pratica del pranayama è mirata ad armonizzare le energie del corpo
e ad accordarle con l’energia cosmica. Questo esercizio è sicuro e molto efficace. Anch’esso
richiede poco tempo, tuttavia, per agire sul sistema di guarigione, deve essere fatto regolarmente.
5) Fate una respirazione stimolante. Sedetevi in una posizione comoda, con la schiena diritta e gli
occhi chiusi. Mettete la lingua nella posizione yoga, in modo che la punta della lingua tocchi il retro
degli incisivi superiori, poi fatela scivolare appena sopra i denti finché non si appoggia alla loggia
alveolare, ossia il tessuto molle tra i denti e il palato. Tenetela in quella posizione per l’intera durata
dell’esercizio. La filosofia yoga sostiene che questo contatto serve a chiudere un circuito d’energia
nel corpo, evitando così la dissipazione del prana durante l’esercizio della respirazione. A questo
punto fate una rapida inspirazione ed espirazione con il naso, tenendo la bocca leggermente chiusa.
L’inspirazione e l’espirazione dovrebbero essere di uguale entità e brevi; si dovrebbe avvertire uno
sforzo muscolare alla base del collo, appena sopra la clavicola, e anche del diaframma. (Cercate di
mettere le mani su questi punti per avere un’idea del movimento che avviene.) L’azione del torace
dovrebbe essere rapida e meccanica, come il movimento dei mantici che pompano l’aria: infatti, in
sanscrito, il nome di questo esercizio vuol dire “respiro dei mantici”. Il respiro dovrebbe essere
udibile sia nell’inspirazione sia nell’espirazione e, se ci riuscite, dovreste completare tre cicli al
secondo.
La prima volta la durata di quest’esercizio non deve superare i quindici secondi, poi bisogna
respirare normalmente. Ogni volta che lo si pratica occorre aumentare la durata di cinque secondi
alla volta, finché non si arriva a un minuto. Si tratta di una vera e propria ginnastica, perciò sarà
normale sentire un certo affaticamento dei muscoli che state esercitando. A questo punto comincerete
anche a sentire qualcos’altro: in pratica, un sottile ma deciso flusso d’energia che attraversa il corpo
quando ricominciate a respirare normalmente. In genere si percepisce come una vibrazione o una
sensazione di formicolìo, soprattutto nelle braccia, e nello stesso tempo ci si sente più pronti e non si
avverte più la stanchezza. Badate che non si tratta di un esercizio d’iperventilazione (in questo caso
avvengono dei cambiamenti fisiologici per il fatto di aver eliminato l’anidride carbonica in eccesso),
ma di un modo per attivare il sistema nervoso centrale. Quando sarete capaci di eseguire la
respirazione dei mantici per un minuto intero, cercate di servirvene al posto del caffè come
stimolante per il pomeriggio! Molte persone lo considerano un esercizio particolarmente utile quando
avvertono segni di stanchezza alla guida, specialmente in autostrada. Comunque, più lo si pratica, più
ci si accorge dell’energia che produce.
Con questi sette esercizi potete iniziare un programma per imparare a usare la respirazione e a
potenziare il sistema di guarigione. Come già detto, si tratta di una vera e propria ginnastica
spirituale, non solo di un metodo per migliorare lo stato di salute.
LA BENATTIA
Questo è il meccanismo della VITA:
1) sia vissuto in maniera drammatica (con tutte le sfumature del caso, per cui una grossa emozione
avrà conseguenze più visibili di una piccola contrarietà: dalla bronchite al cancro ai polmoni, a
seconda dell’intensità del dramma vissuto);
2) ci colga impreparati, come un fulmine a cielo sereno;
3) l‘emozione abbia il sopravvento sulla ragione;
4) sia vissuto in solitudine, rimuginando continuamente il problema (anche se tutti sanno quello che
ci è capitato, nessuno sa quello che abbiamo provato);
5) non si trovi una soluzione soddisfacente.
L’intensità del trauma emotivo subìto determinerà la gravità della malattia, mentre il tipo di
emozione provata al verificarsi del trauma determinerà la localizzazione della patologia nel corpo.
La malattia è dunque un simultaneo squilibrio a livello psichico, cerebrale e organico dovuto a un
trauma emotivo. Senza conflitto non vi è malattia: rendersene conto è il primo passo verso la
guarigione. All’origine di tutte le malattie (bronchite, cancro, depressione, epilessia, infarto,
leucemia, sclerosi a placche, eccetera) c’è, nella vita del paziente, un evento particolare vissuto
come trauma: separazione affettiva, offesa, licenziamento, schiaffo, la morte di un familiare, una
diagnosi medica raggelante, insomma un evento vissuto in modo drammatico, inaspettato e
conflittuale, in solitudine e senza possibilità di una soluzione soddisfacente. Solo quando l’evento
non sarà più vissuto come trauma emotivo, il problema potrà dirsi biologicamente risolto.
Seconda legge: le due fasi della malattia “Niente esiste senza il suo contrario”
Non esiste il giorno se non c’è la notte: tutto funziona in modo binario in questo mondo.
Le attività umane sono governate dal sistema nervoso neurovegetativo, che è composto
essenzialmente dal sistema ortosimpatico (o simpatico) e dal sistema parasimpatico (o vago).
Tutte le malattie hanno due fasi, solitamente di analoga durata. La prima fase (che va dal trauma
alla risoluzione del problema) è quella di stress ed è detta “simpaticotonia”, perché entra in azione il
sistema simpatico. La seconda fase va dalla soluzione dei problemi al ritorno alla normalità ed è
detta vagotonia perché entra in azione il sistema parasimpatico (vago).
È comunque da tener presente che in alcuni casi la fase di riparazione può essere anche più
pericolosa della fase di malattia, e che la crisi epilettoide presenta dei rischi che è bene non ignorare
per poter aiutare il paziente con ogni mezzo terapeutico a portare a compimento questa seconda fase.
Terza legge: il sistema ontogenetico dei tumori e delle malattie equivalenti. “Al di là della
complessità, tutto è semplice”
In sintesi, al verificarsi di un evento conflittuale inatteso, senza soluzione apparente, vissuto in
solitudine, la patologia si esprime contemporaneamente a livello mentale, cerebrale e organico: è la
prima fase, detta di simpaticotonia, che si manifesta così:
a) a livello mentale, c’è uno stato di stress permanente;
b) a livello cerebrale, si verifica il cortocircuito dell’area determinata dal tipo di emozione subita;
c) a livello organico, avviene la proliferazione cellulare (tumore) per gli organi comandati dal
tronco cerebrale e dal cervelletto, oppure la lisi (perdita di sostanza) o ancora il blocco funzionale
(paralisi) per gli organi comandati dal midollo e dalla corteccia cerebrale.
L’eliminazione del conflitto è la chiave di volta che permette di passare alla seconda fase detta
vagotonia, la riparazione vera e propria, che si manifesta così:
a) a livello mentale, si ritrova la quiete;
b) a livello cerebrale, i circuiti elettrici si rigenerano;
c) a livello fisico, avviene la “caseificazione” o l’incistarsi del tumore per gli organi comandati dal
tronco cerebrale e dal cervelletto, la ricostruzione delle perdite di sostanza o lo sblocco funzionale
per gli organi comandati dal midollo e dalla corteccia cerebrale.
Come vedremo nella quarta legge, i microbi sono gli artefici necessari del recupero della salute.
Essi sono i nostri alleati più preziosi e sono attivi, virulenti, sempre e solo in fase di riparazione.
Quarta legge: il sistema ontogenetico dei batteri, virus e funghi, “operai specializzati agli
ordini del cervello”
Contrariamente a quanto creduto finora, i batteri sono nostri alleati; sono loro che si occupano di
riparare i danni durante la fase di vagotonia. È il cervello che invia l’ordine ai nostri amici virus,
funghi o batteri, sollecitando gli uni o gli altri a seconda del lavoro che devono svolgere.
Come mai, durante le annuali epidemie di influenza, non tutti si ammalano? Qual è la differenza tra
un individuo che si ammala e un altro che resta in salute? Non è certo il sistema immunitario degli uni
più debole di quello degli altri, in quanto vediamo individui robusti e pieni di forza falciati dal virus
influenzale, mentre persone fragili e cagionevoli di salute passano indenni attraverso l’epidemia.
Ma se anche esistessero sistemi immunitari più deboli di altri, quale ne sarebbe la ragione? La
risposta ci viene dalla quarta legge, il sistema ontogenetico dei microbi, secondo cui essi si
suddividono in funzione dell’origine embrionale dei tessuti, e “lavorano” solo nella seconda fase
della malattia, quella di riparazione, attivandosi nel momento della risoluzione del conflitto e fino a
riparazione avvenuta, dopodiché ritornano inattivi. I microbi non sono dunque dei nemici ma degli
alleati che vivono in simbiosi con noi e lavorano per noi agli ordini del nostro cervello.
Distruggendoli, non si fa che ritardare e rallentare la fase di riparazione che avviene comunque alla
risoluzione del conflitto, pur non essendo ottimale da un punto di vista biologico.
Tutti i microbi arrivano, proliferano e scompaiono per favorire la riparazione secondo una logica
ben precisa in sincronia con il nostro cervello e il nostro corpo, proliferando o morendo a seconda
del tipo di patologia, degli organi interessati e del lavoro che devono svolgere: eliminare o
ricostruire. Essi fanno parte del programma biologico della natura.
I funghi e i micobatteri sono degli “spazzini” che ripuliscono i tumori, e svolgono un’azione di
caseificazione: “rosicchiano”, per così dire, il tumore.
I batteri hanno sia la funzione di “spazzini”, che quella di “restauratori” delle lisi (che sono delle
riduzioni cellulari), mentre i virus collaborano alla ricostruzione degli organi.
I batteri sono il primo segno di vita nell’universo. L’essere umano, come si è detto, contiene una
quantità di batteri dieci volte superiore al numero delle sue cellule; viviamo in simbiosi con essi e ne
abbiamo bisogno per trasformare la materia. Sono dunque indispensabili alla vita ma sono i primi a
essere uccisi dagli antibiotici! I vaccini impediscono ai batteri e ai virus di fare il loro lavoro, e
senza di loro alcuni importanti processi di trasformazione non possono più avvenire. Non ha senso
impedire ai nostri amici di collaborare! Con i vaccini creiamo il caos nel nostro corpo che non è più
in grado di discriminare fra ciò che è utile e ciò che è dannoso; tutto il nostro apparato di
“riconoscimento” è messo sotto sopra e il nostro sistema immunitario ne è indebolito: da qui alle
malattie da immunodeficienza il passo è breve.
ORGANI
CONFLITTI
COLLEGATI
1° conflitti
Di perdita materiale reni - ureteri
materiali
Di perdita territoriale (lontananza dalla propria terra e dalla propria casa) surreni – reni
Esistenziale surreni
vescica - prostata -
2° conflitti
Sessuale (tradimento o abbandono) cervice - utero -
sessuali
regione lombare
Di maternità (desiderio di essere madre) utero - ovaia
Di perdita di un figlio o del marito ovaia
3° conflitti
Di paura profonda di danno fisico pancreas
sociali
Di fame, o di mancanza di cibo, o di perdita materiale fegato
Di rabbia – incapacità di prendere decisioni o di reagire a una determinata
colecisti
situazione
Di digerire persone, un evento, una situazione, di adattamento a nuovi
stomaco - duodeno
ambienti o a nuove idee
Di accettazione e assimilazione di un evento inaspettato milza
Di assorbire un evento o una nuova situazione, sensazione di aver perso
intestino tenue
delle opportunità
Di espressione emozionale (trattenere le emozioni, non manifestare i
propri sentimenti, problemi nelle relazioni interpersonali, mancanza di colon
fiducia negli altri, dipendere dagli altri, blocco dell’iniziativa).
4° conflitti
Di abbandono - di separazione da una persona cara cuore
familiari
Di continua tensione nell’ambito familiare o nell’attività lavorativa pericardio
Di paura della morte o separazione dai genitori – di isolamento polmone
Con il partner o padre seno dx
Con i figli, con la madre seno sin
tiroide - muscoli del
5° conflitti
professionali Di autorealizzazione collo vertebre -
carotide
Di autostima ghiandole linfatiche
Di delusione di aver fatto ciò che era stato detto orecchio interno
6° conflitti occhi - seni frontali -
mentali o Di paura frontale – di delusione lobo frontale - ipofisi
spirituali orecchio esterno
Di qualcosa sentito lobo temporale
Di qualcosa visto lobo occipitale
Di deviazione spirituale ipofisi
Di cambiamento di domicilio o di situazione ipofisi
7° conflitti
Di spavento – dolore terribile – perdita di coscienza epifisi - ipotalamo
divini
LE EMOZIONI NATURALI
Questo libro ha voluto suggerirvi che le cose non stanno proprio come vogliono farci credere: non
solo il termine “malattia” va rivisto in senso positivo, come un programma biologico di
sopravvivenza per l’individuo e per la specie, ma anche il malato non va più considerato solo un
insieme di cellule avulse dalla realtà, bensì un individuo completo di anima, emozioni, mente e
corpo, che ha un vissuto, un’educazione, una storia; ogni attimo della sua vita è determinato
dall’interazione delle esperienze passate, e ciascuno è parte del “tutto” su cui agisce e da cui è
influenzato. Se non si tiene conto di tutto ciò, è impossibile comprendere i meccanismi e il significato
di qualsiasi patologia.
Nelle tradizioni spirituali occidentali classiche, la “grande opera”, rappresentata simbolicamente
dalla ricerca del Santo Graal, implicava la guarigione olistica e il risveglio spirituale, o
illuminazione. Il Santo Graal conferiva alla persona che lo trovava tre benefici fondamentali:
1) la “pietra filosofale” (cioè la conoscenza integrale di se stessi, di Dio, della natura e delle loro
interrelazioni);
2) la “panacea” (cioè la medicina universale che guariva tutti i mali);
3) l’ “elisir di lunga vita” (cioè la realizzazione cosciente della propria immortalità).
In tal modo era possibile l’apertura della coscienza spirituale e l’elevazione delle proprie
vibrazioni energetiche, attraverso una guarigione essenziale che si potesse realizzare per mezzo della
discesa delle energie spirituali di Dio e della nostra scintilla divina attraverso tutti i piani, o livelli,
del nostro essere, attuando una vera operazione alchemica, cioè la trasmutazione delle nostre energie
e vibrazioni e l’espansione della nostra coscienza.
L’idea di separazione, cui limitiamo attualmente le nostre esperienze, è un trucco del nostro ego,
della nostra mente, tutta tesa alla sopravvivenza. Tutti noi siamo condizionati dalle nostre emozioni
di paura e di rabbia, che inibiscono la nostra innata creatività. Intrappolati nello spazio e nel tempo,
ci percepiamo limitati e separati, dimenticando il potenziale creativo dell’infanzia, quando, senza
timori imposti e poi autoimposti, ci credevamo onnipotenti. Sempre più, anche se non ne siamo
pienamente consapevoli, ci lasciamo immergere dal nostro limitato modo lineare di pensiero nello
sperimentare esperienze spiacevoli, eleggendo paura, rabbia e ansia quali compagnie costanti, che
sono il risultato di un’unica incapacità: il rifiuto a lasciarsi coinvolgere dalla vita.
I modi attraverso i quali si esprime la vita sono:
1) i pensieri (cui seguono le parole);
2) i sentimenti;
3) le emozioni;
4) le esperienze (il livello più importante, che, se non compreso o accettato, determina la
sofferenza).
Esaminiamo ora il livello emotivo, che è divisibile in 5 emozioni naturali, ognuna delle quali è
divisibile a sua volta in amore e paura, per cui ogni pensiero nasce o dall’amore o dalla paura.
1) La sofferenza è un dono che ci fa la vita. Ogni volta che soffriamo emerge la tristezza, che ci fa
comprendere che ci manca qualcosa. Eppure ai bambini diciamo: “perché piangi, perché soffri?”,
proiettando su di loro i nostri problemi. Da grande il bambino ormai cresciuto non potrà piangere:
ecco la depressione, che nasce perché non ci siamo accettati nella tristezza e nella sofferenza, ed è
quindi la conseguenza di una sofferenza non vissuta, ma sempre controllata fino al crollo delle difese
di questo castello di cartone che ci siamo costruiti.
2) L’invidia è un dono della vita; è quella che permette al bambino di guardare la sorella maggiore
con la bicicletta e sognare di averla un giorno anche lui. Ci permette di evolvere, di aspirare a nuove
condizioni di vita. Ma se il bambino viene inibito, cioè viene castrata la sua voglia innata di
desiderare, nasce la gelosia. Questa è un’emozione patologica, non naturale, derivante da un’invidia
repressa a lungo, e ci fa ammalare.
3) La paura è un dono naturale della vita, ci permette di essere prudenti e di mantenerci vivi. Dio ci
dona la paura per salvaguardare la realtà. Alla nascita ci sono solo due tipi di paure: la paura dei
rumori e quella di cadere, tutte le altre derivano dai genitori o dall’ambiente. I genitori dovrebbero
accettare le paure del bambino; invece la paura viene inibita, l’emozione non viene permessa, si ha la
sclerosi dell’emozione, nasce il panico (emozione patologica che si manifesta sotto forma di crisi,
legate a paure non espresse).
4) La rabbia è un dono naturale, un’emozione che va vissuta, senza violenza fisica, senza farsi del
male o far male agli altri. È un modo per dire No! È una modalità per affermare che non si è
d’accordo con quanto proposto dagli altri. Se la rabbia viene inibita, si ha l’ira, emozione patologica
legata a un concetto nevrotico. Con l’ira si può arrivare all’omicidio, mentre la rabbia, come
emozione naturale, non va mai inibita, perché anch’essa ci permette di evolvere.
5) La rabbia, l’invidia, la paura nascono dall’amore, che è la base di tutte le emozioni naturali. Un
bambino di 8 anni che attraversa la strada da solo suscita nella mamma la paura, che in questo caso è
proprio una forma elevata di amore. Quando l’amore non viene vissuto ed espresso, crea il possesso,
il pretendere, l’avidità, il potere.
La nostra cultura impedisce il fluire della vita, per cui l’emozione fisiologica diventa distorta, e
nasce la patologia. Occorre invece vivere queste 5 emozioni naturali, per essere coerenti in pensieri,
parole e azioni, altrimenti inizia il caos nella nostra vita, e la malattia arriva perché ci manda il
messaggio che non esiste in noi la coerenza tra quello che pensiamo, quello che diciamo e quello che
facciamo.
Anche nella Bibbia è presente questo simbolismo: Dio pensò (psiche divina), e il suo pensiero si
tradusse in azione; dopo aver creato l’Universo creò il corpo dell’uomo impastando il fango e
soffiando in lui l’anima (soffio = energia vibrazionale = informazioni frequenziali).
Dio, il Padre, il Creatore (E) è pura energia che pervade tutto l’Universo, e l’anima di ogni essere
vivente ne fa parte in quanto entità energetica. Secondo il 1° principio della termodinamica,
l’Energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma; Dio è eterno, e si trasforma continuamente nelle
varie forme di vita.
E = mc²: Dio (E) è una mente pensante alla velocità della luce al quadrato (c²), dotata di massa,
cioè di corpi fisici (m) (stelle, pianeti, uomini, cellule, atomi, elettroni, quark).
m = E/c²: il corpo fisico (m) è direttamente proporzionale all’energia (E). L’uomo è direttamente
collegato al Padre, è un’entità energetica, un’anima pensante, che, esistendo, permette l’esistenza
stessa di Dio. La malattia del corpo fisico m è quindi uno squilibrio energetico E che si produce in
seguito a uno squilibrio della psiche c² (emozioni negative, conflitti psichici).
m = E/c²: se c fosse 0, cioè annullassimo la mente, m diventerebbe infinito (∞), perché un numero
diviso per 0 è uguale a infinito. Se riusciamo ad annullare il pensiero, come, a esempio, si produce
nella meditazione, il nostro corpo fisico si avvicina a Dio, ricongiungendosi all’Energia Universale.
m = E/c²: per guarire da una malattia (sintomi sul corpo fisico) si deve agire sia sull’Energia che
sulla psiche; ecco dimostrata l’importanza dell’agopuntura, dei rimedi omeosinergetici o dei rimedi
omeopatici unitari ad alta diluizione. Poiché E è costante, per la guarigione si deve intervenire su c²;
si può guarire anche solo intervenendo sul pensiero. Ecco perché è importante il valore delle
informazioni, date dal medico al paziente, che incidono sulla sua psiche, sia in caso di prognosi
favorevole sia in caso di prognosi infausta, aggravando in questo secondo caso la malattia.
m = E/c²: se i bisogni e i desideri dell’Anima (E) non collimano con le esigenze della mente (c), il
corpo (m) soffre, perché si ha uno sbilanciamento del rapporto E/c² in favore di c². Poiché E è
costante e c è inversamente proporzionale ad m, aumentando c diminuirà m: ecco la comparsa dei
sintomi.
m = E/c²: nelle malattie della pelle in caso di trattamento allopatico si interviene sulla cute con un
farmaco soppressivo, a esempio, il cortisone. Bloccando i sintomi del corpo fisico (m), si blocca
anche l’energia vitale (E), perché sono direttamente proporzionali. Se i sintomi diminuiscono,
aumenta contemporaneamente la c (perché sono inversamente proporzionali), quindi il processo, che
stava andando in superficie, ritornerà in profondità sulla mente, accentuando i sintomi mentali. Infatti
cute e sistema nervoso hanno la stessa origine embrionaria, dall’ectoderma.
m = E/c²: se si vuole ottenere soltanto un miglioramento del corpo fisico del paziente, e non la
guarigione, è possibile migliorare lo squilibrio energetico anche senza intervenire sul suo pensiero,
somministrando un rimedio omeopatico senza il tentativo di accrescere la consapevolezza del
paziente. È ovvio che in tal caso si può ottenere soltanto il miglioramento dei sintomi, non la
guarigione.
m = E/c²: nel miracolo si annulla la c, perché la mente non riesce a credere nei miracoli. Ciò
avviene quando m, il corpo fisico, diventa infinito, si accosta per un attimo a Dio, all’energia
universale, come, a esempio, può succedere nei luoghi sacri, a esempio Lourdes, dove l’energia E
(energia di guarigione) è molto elevata.
c² = E/m: se m diventa 0, cioè il corpo fisico si annulla (la morte), c² diventa infinito, cioè la nostra
psiche si ricongiunge all’Energia Universale, a Dio. Ecco il significato della morte, che pertanto
esiste solo come perdita del corpo fisico, mentre si conferma l’immortalità dell’Anima, che prende
con sé tutti i pensieri sviluppati in vita. Per questo dovremmo essere responsabili di tutti i nostri
pensieri, e lasciar fluire quelli negativi, che non ci appartengono, perché non appartengono alla
nostra Anima. Noi non siamo i nostri pensieri, e non dobbiamo identificarci con essi, come invece
affermato da Cartesio con la frase “Cogito ergo sum” (penso, quindi esisto). Noi non siamo i nostri
pensieri, siamo un’Anima pensante.
c² = E/m: se pensiamo troppo, in modo ossessivo, cioè aumentiamo caoticamente il flusso della
mente, poiché E è costante (perché l’Energia dell’Universo è costante), m diminuisce (perché sono
inversamente proporzionali), e il corpo si ammala, arrivano i sintomi. La schizofrenia, a esempio, è
la perdita dei contatti con il corpo, con la realtà fisica (c² aumenta, m diminuisce).
c² = E/m: nella depressione si ha l’aumento di c ( aumento dei pensieri negativi) che si riflette sulla
diminuzione di m (comparsa di sintomi fisici).
c² = E/m: nel tumore aumenta la c², e pensando troppo negativamente e perdurando il conflitto di
partenza, tale conflitto si trasferisce su m, che è inversamente proporzionale e tende a diminuire
verso lo 0 (formazione di cellule indifferenziate nel corpo, inteso come ritorno alle origini). Se si
supera una certa soglia, m si abbassa troppo, e si ha la morte del corpo fisico, e il ricongiungimento
della psiche a Dio. Per guarire da un tumore, si deve cambiare la c² (mente). Moriamo di tumore per
la paura del tumore (c² aumenta, aumenta la paura).
c² = E/m: se m diventasse infinita (∞), poiché E è infinita, c² sarebbe uguale a 1. Questo è anche
Dio, lo Spirito Divino, che è l’Unità, energia di massa infinita. Se l’uomo, dotato di massa m, si
fonde con l’infinito, si ricongiunge a Dio.
Nella medicina omeosinergetica il terapeuta deve agire su E (l’anima del paziente), facendogli
prendere coscienza dei bisogni e desideri della propria anima, deve intervenire su c, la mente del
paziente, invitandolo a diminuire o annullare il proprio pensiero negativo relativo alla malattia,
conforme alle informazioni spesso impartite dai medici condizionati a loro volta dal proprio campo
mentale pieno di paure. Solo agendo su E e su c², attraverso l’utilizzo di rimedi omeosinergetici
strutturati secondo la logica dei 3 piani (causale, sistemico, sintomatico; cioè Anima, mente, corpo) e
prescritti promuovendo la presa di coscienza del paziente, è possibile intervenire realmente su m, sul
corpo fisico, guarendolo.
Se il paziente crede che la terapia funzioni, dal momento che il pensiero può essere in grado di
creare la realtà, qualsiasi farmaco (sia della medicina convenzionale, sia della medicina non
convenzionale) può essere in grado di agire su m, sul corpo fisico. Se non ci crede, qualsiasi
farmaco, anche il più potente, non funzionerà, perché c è molto elevata (è al quadrato).
Un veleno in dosi notevoli funziona sempre perché come tossico è congegnato per annullare m (cioè
dare la morte), per cui va ad agire direttamente su E, bloccando il fluire dell’energia lungo i
meridiani di agopuntura e all’interno dei Chakra, i vortici situati nel campo energetico individuale,
che canalizzano l’energia cosmica verso i meridiani di agopuntura, rappresentando dei trasduttori
delle frequenze energetiche del Ki nelle frequenze del flusso fotonico dei meridiani.
Poiché E è costante, attraverso la c (il pensiero) posso modificare la m (il corpo). Il pensiero crea
la realtà, e secondo il principio di indeterminazione di Heisemberg l’osservatore modifica il
fenomeno osservato. Ciò significa che se l’osservatore carica il fenomeno che sta osservando di
pensieri positivi (es. esperimento di Benveniste sulla memoria dell’acqua, o sperimentazione della
terapia Di Bella somministrata direttamente dal professore), l’esperimento riesce secondo le proprie
aspettative. Se egli carica il fenomeno che sta osservando di pensieri negativi (es. esperimento di
Benveniste eseguito da scienziati invidiosi, o sperimentazione della terapia Di Bella eseguita da
medici scettici o denigratori), il fenomeno osservato (la degranulazione dei basofili, o il
miglioramento del paziente terminale) non si verifica. Per tale motivo il medico omeopata che non
crede totalmente alla terapia che prescrive, o assume con i pazienti un atteggiamento ambivalente
riguardo alle terapie, determina l’insuccesso della terapia sul paziente.
La terapia omeopatica è spesso efficace nei bambini, poiché la loro energia E è molto elevata
(infatti hanno meno sovrastrutture mentali), per cui basta un minimo rimedio energetico per
riequilibrarla.
La psiche è un’interprete che decifra i messaggi nelle vie di comunicazione anima-corpo e corpo-
anima, alla stregua di un mediatore di messaggi e informazioni, fondamentali per un giusto equilibrio
tra l’energia spirituale e il corpo fisico. Quindi, può essere concepita come la parte attraverso la
quale l’intima essenza del sé, cioè il soffio vitale che contiene le informazioni del programma-vita (il
DNA), dono dello spirito cosmico che è in noi, entra in rapporto con il corpo.
La malattia fisica nasce quando il messaggio interpretativo prende la via del corpo, in quanto la
mente e la coscienza psichica non sono in grado di assecondare le esigenze e aspirazioni del sé
profondo, dell’Anima. Secondo questa visione, è possibile arrivare a un’altra definizione della
salute: il corpo m sta bene, quando i bisogni e i desideri dell’Anima (E) coincidono con le esigenze
della mente (m).
Il rapporto tra energia e materia non è altro che la psiche, cioè l’informazione. Abbiamo detto che
l’informazione è una particolare forma di energia, che può essere captata dalla materia,
modificandola. Ecco perché il pensiero e la parola di un medico che interagisce con un suo paziente
hanno una loro particolare risonanza elettromagnetica che raggiunge ogni sua cellula e può
modificare in senso migliorativo o peggiorativo il corpo del paziente, anch’esso costituito, a livello
di ogni organo e di ogni cellula, da un insieme di informazioni energetiche che formano una
tridimensionalità sincronica (corpo, mente, spirito) creatasi da un’unica vibrazione primordiale, che
genera onde elettromagnetiche a varia frequenza.
Il corpo è lo specchio dei nostri pensieri e della nostra vita interiore, ci invia costantemente dei
segnali simbolici (i sintomi delle malattie) che non abbiamo la capacità o la voglia di ascoltare. I
nostri pensieri sono arbitri della nostra salute o delle nostre malattie, perché riproducono onde di
forma mentali le quali organizzano la materia nel senso voluto, producendo malattia o armonia e
salute.
La malattia in sé non esiste: è solo una contrazione di energia. Le contratture, i blocchi energetici
hanno luogo solo quando non ci stiamo amando, o non stiamo amando gli altri e la vita, quando
sostituiamo l’accettazione con il giudizio e il rifiuto; è il segnale che qualcosa dentro di noi non è
armonico e deve essere riportato in equilibrio.
Tutto vibra nell’Universo, e l’ampiezza di ogni vibrazione determina gli eventi. Ciascuno di noi ha
la sua specifica vibrazione, essa richiama le circostanze, le persone e gli oggetti che sono parte della
nostra realtà. Se la vita che conducete non vi soddisfa, cambiate scenario come cambiereste
frequenza a una radio semplicemente girando una manopola: innalzate le vostre vibrazioni.
Mutandole, immediatamente cambierete le vostre relazioni con le circostanze della vostra realtà,
diventerete padroni di nuovo del vostro destino, e non ci sarebbe più bisogno di ammalarsi.
Il mondo in cui viviamo è la somma totale delle nostre singole azioni giornaliere, lo specchio che
ci rimanda le immagini che noi mettiamo in scena nelle nostre recite individuali. I problemi che ogni
giorno affrontiamo sono sfide alla nostra creatività per costringerci a evolvere, per assumere la
nostra responsabilità personale, senza delegare o pretendere che gli altri cambino al posto nostro.
Noi siamo esseri multisensoriali che hanno con sé un potenziale inesplorato che aspetta solo di
essere portato alla luce, e una facoltà che pochi sanno usare in modo consapevole: l’abilità di
percepire l’energia.
L’energia ha un suo modo spontaneo di esprimersi. È difficile poter affermare con sicurezza quando
un individuo sperimenterà un determinato avvenimento, ma si può invece dedurre quando eventi
compresi in una determinata fascia energetica diventano più probabili nella vita di colui che sta
sperimentando un livello energetico compatibile con tale fascia. Il livello di vibrazione energetico
dell’uomo medio si attesta dalle 18.000 alle 24.000 vibrazioni per milionesimo di secondo. Sotto
tale banda, è probabile che si inneschino dinamiche e reazioni negative. I grandi mistici generalmente
hanno un livello di vibrazioni che oscilla stabilmente sui 60.000 cicli. Questa banda di oscillazione
influenza direttamente la vita quotidiana dei singoli individui e di coloro che interagiscono con lui.
Per riconoscere l’energia, dobbiamo essere calmi e centrati, poiché anch’essa è sottoposta alla legge
della risonanza e dei simili: energie simili si attraggono, rafforzando quindi l’effetto. Se ciascuno di
noi entra in un luogo affollato portandosi dietro pensieri negativi, le antenne della nostra stazione
ricevente si sintonizzeranno immediatamente su colui che sta provando lo stesso schema emozionale,
che, rafforzandosi, aumenterà il nostro disagio.
Impariamo a pensare a ciò che desideriamo, piuttosto che a ciò che rifiutiamo; questo è un modo
per impadronirsi delle nostre vite, per divenire creatore della propria realtà.
Impariamo il segreto della vita: scegliere chi siamo e chi vogliamo essere, in un vita nella quale
tutto è perfetto, è giusto, è necessario e va rispettato; una vita senza la necessità di giudicare e senza
sensi di colpa, nella quale Dio è in tutto e in tutti, per cui il peccato e l’errore non esistono, o almeno
sono presenti solo per farci comprendere come evolvere. Una vita nella quale per capire cos’è la
salute non è necessario ammalarsi, né andare alla ricerca di una verità fuori di noi e lontana nel
tempo e nello spazio, perché esistono tante verità per quanti sono gli esseri umani. Vi ricordate la
caverna di Platone? L’uomo guarda le ombre di persone e di oggetti che sono posti alle sue spalle, e
che sono proiettate contro uno schermo, e afferma che ciò che vede (le ombre) è la sua verità, cioè
che la verità è lo schermo. Impariamo che la verità non va dimostrata, perché è.
Viviamo una vita pervasa di amore, amore verso Dio, verso il Padre, che ci ha creati, perché lui
potesse manifestarsi attraverso noi, permettendoci di scegliere, attraverso il libero arbitrio, proprio
il modo con cui manifestarsi!
Viviamo ogni giorno della nostra vita come se fosse l’ultimo, non diamo nulla per scontato, amiamo
noi stessi e allo stesso modo gli altri, realizzando così la vera essenza dell’amore, che si esprime
nella sua totalità quando mettiamo gli altri nella condizione di amare!
Mettiamoci in discussione, scegliamo, responsabilizziamoci, non deleghiamo il nostro potere
individuale agli altri, sbarazziamoci delle nostre dipendenze! Diventiamo multisensoriali, olografici,
iniziamo il viaggio della nostra vita, raggiungiamo la consapevolezza del nostro scopo quali esseri
umani!
Come afferma Osho, una goccia d’acqua dell’oceano che evaporando torna al cielo viene data per
dispersa dalle altre che rimangono nel mare, ma da sola raggiunge il cosmo e poi ritorna con una
consapevolezza diversa: quella goccia ha sperimentato l’essere della vita, si è trasformata
alchemicamente, perché si è liberata dai condizionamenti, dalle interferenze e dalle paure delle altre
gocce. La Terra è una scuola, che abbiamo deciso di frequentare per vedere Dio in ogni
manifestazione. Ciò che non si impara con la conoscenza, si impara con la sofferenza, e soffriamo
finché ci separiamo.
Dobbiamo decidere chi siamo, e chi vogliamo essere. Noi siamo quello che abbiamo pensato di
essere, per cui decidere in anticipo ciò che vogliamo essere è l’unico modo per fare esperienza. Ogni
stato mentale si riproduce, si materializza, per cui decidiamo subito cosa vogliamo essere! Se agiamo
come la persona che vorremmo essere, lo saremo. Se vogliamo essere sani lo saremo, se pensiamo
alla malattia come sofferenza soffriremo e ci ammaleremo sempre di più. La guarigione è distante
solo un pensiero! Dire che è difficile raggiungere la guarigione è la stessa cosa che non raggiungerla.
Non c’è più bisogno di crearsi degli alibi per non responsabilizzarci. Comportiamoci come quella
piccola goccia che ha sperimentato l’infinito! Questo è il mio augurio.
Così scriveva in “Come io vedo il mondo” Albert Einstein, colui che ha avuto la più grande
intuizione che possa avere un essere umano, cioè quella di collegare nella sua famosa formula E=mc²
l’energia e la materia, lo Yin e lo Yang:
“Ognuno di noi è su questa terra per una breve visita; egli non sa il perché, ma assai spesso crede
di averlo capito. Non si riflette profondamente e ci si limita a considerare un aspetto della vita
quotidiana; siamo qui per gli altri uomini: anzitutto per coloro dal cui sorriso e dal cui benessere
dipende la nostra felicità, ma anche per quella moltitudine di sconosciuti alla cui sorte ci incatena un
vincolo di simpatia…. Qual è il senso della nostra esistenza, qual è il significato dell’esistenza di
tutti gli esseri viventi in generale?… Chiunque crede che la sua propria vita e quella dei suoi simili
sia priva di significato è non soltanto infelice, ma appena capace di vivere. La più bella sensazione è
il lato misterioso della vita… Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così
dire morto; i suoi occhi sono spenti… Mi basta sentire il mistero dell’eternità della vita, avere la
coscienza e l’intuizione di ciò che è, lottare attivamente per afferrare una particella, anche
piccolissima, dell’intelligenza che si manifesta nella natura”.
Ecco lo scopo di una vita. Non esiste più il concetto del peccato originale, che ci ha fatto sentire
Dio separato da noi, esseri viventi una vita dall’esito incerto. Esiste, invece, un “potere originale”,
che consiste nella capacità di creare la realtà a nostra immagine e somiglianza, come ciò che
abbiamo deciso e scelto di essere. Il fine ultimo della vita è “essere”, perché la vita è un mezzo per
realizzare ciò che si vuole. L’essere precede sempre il fare e l’avere; non procedete mai nel senso
contrario, cominciando dall’avere!
Vivere è riscoprire la luce e l’energia, come afferma il filosofo Lorenzo Ostuni, con la
consapevolezza che:
1) Il corpo è l’energia da incontrare;
2) La mente è l’energia da conoscere;
3) Il cuore è l’energia da amare;
4) L’anima è l’energia da diventare;
5) Dio è l’energia da essere.
Questo livello di coscienza superiore, che ci fa entrare in comunione con Dio, ed è collegato con la
consapevolezza che ”io sono nel presente”, costituisce il vero obiettivo della medicina
omeosinergetica e della guarigione spirituale e olistica, che annulla la paura e il giudizio mentale su
ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato, facendoci vivere nel presente tutto quanto è necessario per
rimanere collegati con Dio. Tale consapevolezza ci permetterà alla fine della vita di valutare in pochi
attimi in modo olografico tutto il film della nostra esistenza, e poter dire: “È stata una bella vita,
degna di essere vissuta!”.
Forse in quel momento, come afferma Osho, mi accorgerò che il vero obiettivo della mia vita, che
ho sognato utopisticamente per tanti anni, non era alla fine della strada, ma era la strada stessa.
PERCORSI DI LETTURA
AA. VV. Dispense A.R.T.I.
Egli Renè Il principio Lola Macro Edizioni
Marchesi Fabio La fisica dell’Anima Tecniche Nuove
Tolle Eckart Il potere di adesso Edizioni Armenia
Marchesi Fabio La luce che cura Tecniche Nuove
John N. Ott Luce, radiazione e vita Nuova Ipsa Editore
Roche de Coppens Vivere sani in un mondo malato Bresci Editore
Franco Pippo Pensieri per vivere Ed. Mediterranee
Nannelli Rossella Il pensiero olografico Comp. d. Araldi
Gerber Richard Medicina vibrazionale Lampis Editore
Gribbin John La nuova fisica Editoriale Scienza
Gribbin John Guida alla scienza per quasi tutti Longanesi
Walsch Neale D. Conversazioni con Dio (vol. 1) Sperling e Kupfer
Walsch Neale D. Conversazioni con Dio (vol. 2) Sperling e Kupfer
Walsch Neale D. Conversazioni con Dio (vol. 3) Sperling e Kupfer
Walsch Neale D. Amicizia con Dio Sperling e Kupfer
Walsch Neale D. Comunione con Dio Sperling e Kupfer
Fanelli Vincenzo Il potere dell’energia universale Macro Edizioni
Ghirardi Gian Carlo Un’occhiata alle carte di Dio EST Il saggiatore
POSTFAZIONE
La medicina omeosinergetica è una branca della medicina che pone la consape-volezza e il
sentimento al centro della sua strategia terapeutica. Senza la consape-volezza e senza la capacità di
sentire, non c’è evoluzione e senza evoluzione non può esistere la vita.
Oggi si chiama “resilienza”, una volta la si chiamava “forza d’animo” o “sentimento”. Il cuore è
l’espressione fisica e la sede metaforica del sentimento, una parola che risuona in sé la platonica
“tymoidés”. Ma il sentimento di cui si occupa la medicina omeosinergetica non è languore o
malcelata tristezza, né macerante tormento o sconsolato abbandono: è energia, empatia, forza, quella
forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione, che ci fa sentire centrati, in ascolto di noi stessi, a
casa.
Spesso, purtroppo, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomen-tazioni dispiegano, il
raziocinio prevale sull’istinto, la mente sul cuore, la paura sul coraggio, e così ci si sente stranieri
nella propria vita. La forza d’animo, la forza del “sentire dentro”, ci difende da questa estraneità , ci
fa sentire a casa, presso di noi. Ed è questa la chiave della salute: la capacità di essere in linea con
noi stessi, una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, il che corrisponde alla forza d’animo di cui
sopra.
Il bisogno di essere accettati ed il desiderio di essere gratificati ed amati, ci fanno percorrere
strade non nostre, incorriamo in tutto quell’ “altrove” della vita che non ci appartiene, e tutto ciò
perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono e noi non
sappiamo dire di no. Così l’animo si indebolisce, si ripiega su se stesso nel vano tentativo di
compiacere agli altri. Nasce la malattia, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita.
Rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, smarrito il senso dell’esistenza, gli sguardi
si incontrano solo per evitarsi, ci immergiamo nel lavoro, grati perché ci permette di giustificare la
lontananza dalla nostra vita. Passioncelle generiche e ingannevoli sfiorano le nostre anime assopite,
ma non le destano, non hanno forza. Sono state acquietate da quell’ideale di vita che viene spacciato
per equilibrio, buona educazione, salvaguardia dei figli. Passiamo così il tempo della nostra vita
senza sentimento, senza dignità, senza nobiltà. Vivere a lungo è diventato il nostro ideale; il “come”
non ci riguarda più, perché il contatto con noi stessi si è perso nel rumore del mondo.
È assolutamente necessario pertanto essere se stessi! Ma per fare ciò bisogna accettarci
integralmente, compresa la nostra ombra, ciò che di noi stessi non sap-piamo accettare e
conseguentemente rifiutiamo, quella parte oscura, ben nascosta che, quando viene sfiorata da
qualcuno “a caso”, ci fa sentire “punti nel vivo”. L’ombra però è necessaria, è viva ed è presente
come strumento per la nostra felicità perché fornisce un campo contestuale localizzato in cui ricreare
noi stessi, in cui possiamo scegliere di essere diversi e sperimentare l’aspetto più grande che
possiamo concepire di noi. Pertanto, in assenza dell’ombra, non può esistere la luce. Accolta,
l’ombra cede la sua energia, la sua forza, cessa la guerra tra noi e noi stessi. Siamo in grado di dire a
noi stessi: “Perché no? Posso essere anche questo”. La pace e la serenità così raggiunte
rappresentano la forza d’animo, la capacità di essere, di guardare in faccia la realtà senza illusorie
vie di fuga.
Ed è così che, grazie a questo processo d’integrazione, l’oscurità dello sguardo che non vede via
d’uscita si riaccende di speranza, cerca nel buio la luce, perché si ricorda che il buio della notte non
è l’unico colore del cielo.
Tutto ciò che evitiamo o non accettiamo è sonno, dimenticanza di sé, non ha nulla del coraggio di
chi vive col cuore ed accetta la sfida della vita, è incapacità di ricordare che tutto è necessario e
prima o poi sarà funzionale, servirà a qualcuno.
“Tu appartieni alla consapevolezza, sei parte di quel flusso. Ma solo il cuore può compiere questo
viaggio: è un avventuriero, esplora i misteri. Il cuore non si assesta mai da nessuna parte…è
soddisfatto solo quando arriva all’assoluto. E solo il cuore può avere la fiducia che quel viaggio
richiede”.
Qualcuno ci potrà chiedere: “Ma tutto ciò cosa c’entra con la malattia, o meglio, con la benattia?”
Beh, se qualcuno ancora non l’ha compreso, questa può essere l’occasione per... ascoltare il proprio
cuore.
Buona vita.
Marcello Luigi Monsellato