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EMPEDOCLEA

“Benattia”
Significato della vita,
senso della malattia e processo di autoguarigione
(E/Book)

un libro di
Francesco Oliviero
25
Tutti i diritti riservati
© 2003-2012, Nuova Ipsa Editore srl
Via Giuseppe Crispi, 50 - 90145 Palermo
www.nuovaipsa.it • e-mail: info@nuovaipsa.it
ISBN 978-88-7676-214-7
ISBN EBOOK 978-88-7676-523-0
PRESENTAZIONE
“Mala tempora currunt” dicevano i Latini e l’editore e scrittore Donato Accodo subito aggiunge:
“et peiora premunt”. Espressioni attualissime, specie se riferite all’uomo che si dà in modo sfrenato e
irragionevole ai beni di consumo, che, invece di agevolargli la vita, lo rendono succube e schiavo,
condizionandolo non solo nella pratica del quotidiano, ma anche nel comportamento e nella
personalità.
L’uomo non è più se stesso, ha perso quello slancio interiore che lo rendeva unico e, rapportandolo
agli altri, lo faceva crescere e migliorare nel corpo e nello spirito. Una volta, nonostante disagio e
miseria erano ovunque diffusi, egli viveva in armonia con sé e con gli altri. Non così è oggi, vista la
gran confusione materiale e, soprattutto, spirituale che sta attraversando il singolo e tutta la società.
Ed ora chissà quanto ci vorrà, prima che l’essere umano si riprenda ciò che gli appartiene e lo
distingue!
Un rimedio valido e abbastanza indicato viene dalla filosofia, dalla riflessione che è stata fatta
dall’antichità ai nostri giorni e che tende a recuperare, per quanto possibile, l’essere razionale che è
in ciascuno di noi, perché la vita venga vissuta con consapevolezza, nel rispetto di sé e degli altri. E
alla filosofia dell’uomo non poteva non rivolgersi Francesco Oliviero con il suo libro Benattia.
L’opera si compone di 5 parti: La vita, la malattia, la salute; Le leggi del principio Lola (ARALA);
La fisica quantistica, l’energia e l’anima; Vivere il presente; La benattia. Strutturata com’è, essa
vuole iniziare l’uomo ad una pratica di vita più sana e confacente alla propria dignità e si rivolge a
chi voglia conoscere cosa fare per essere nella “benattia” e, quindi, nella felicità che, diversamente,
è irraggiungibile. L’impostazione viene incontro a quanti s’accostano per la prima volta ad una
siffatta disciplina di vita, ma, in ogni caso, torna a chiunque utile, perché apre a più ampi orizzonti. A
proposito, ecco cosa leggiamo nella Prefazione:
“Uno scopo di questo libro è quello di gettare un seme per informare le persone sulla possibilità di
altre forme terapeutiche, che facciano prendere loro coscienza del significato della malattia, e
permettere alla classe medica di arrivare ad una diagnostica olistica (dal greco “olos”, che significa
“tutto”) e ad una terapia integrata, che tengano conto dell’unità dell’essere (in termini spirituali,
mentali, emotivi e somatici) ed integrino tutti i contributi delle medicine tradizionali (quella cinese,
indiana, egiziana, ecc.) con la strategia operativa dell’omeopatia, dell’omotossicologia e della
medicina omeosinergetica, e anche con quella della medicina convenzionale, nei casi in cui le
procedure terapeutiche adottate da quest’ultima non siano antibiologiche, cioè rivolte contro la vita”.
La “benattia” (ben-attia, il contrario di mal-attia) è la condizione di benessere, fisico e spirituale,
degli esseri viventi e, in particolare, degli uomini che avvertono la malattia, ma non apprezzano, di
solito, la “benattia”, proprio perché si ha difficoltà a riconoscersi e a riconoscere le positività che
sono in ciascuno di noi. Il libro, e perciò il suo autore, si prefigge di avvicinare a questo senso di
benessere, che è la condizione prima dello star bene, quanti hanno bisogno o coloro che, delusi dalla
medicina ufficiale, credono impossibile ridare equilibrio alla propria persona. Per questo, a pag. 21,
leggiamo:
“Altro scopo di questo libro, oltre quello informativo, è di dare un significato al dolore, alla
sofferenza, e di fornire un senso alla malattia, per riattivare il nostro potere di autoguarigione. Se
vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo cambiare prima noi stessi e la nostra visione della realtà
(…). Le malattie si verificano quando non vengono accettate le leggi naturali ed universali della vita,
che stabiliscono come vivere in armonia con noi stessi e con l’ambiente che ci circonda”.
A primo acchito sembra che Oliviero voglia ‘convertire” all’impossibile, non ci si rende subito
conto che in lui c’è l’esigenza di spingere chiunque a credere che noi siamo la chiave di tutto: nel
bene o nel male, siamo artefici di noi stessi; dipende da noi il vivere bene, nel senso di essere in
ottima salute; da noi dipende la resa, il cadere vittima del male o il cedere alle malattie.
L’Autore, che fa di questo pensiero lo scopo stesso della sua vita, lui che vuole “convertire” è il
primo a dirsi convertito, allorché, da medico specialista qual è, amareggiato dal modo di gestire
malattie e malati da parte della medicina tradizionale, piuttosto che continuare a somministrare
antibiotici o sedativi, che, non rimuovendo la causa, si rivelano palliativi ed, inoltre, interagiscono
negativamente sul nostro organismo, ha preferito darsi alla medicina omeosinergetica, perché questa
mette medico e paziente l’uno di fronte all’altro in un rapporto di fiducia e di stima reciproco.
In tutto questo discorso, se il punto focale del libro è l’uomo-persona, non possono non esserci i
riferimenti ai filosofi antichi e moderni che della filosofia facevano e fanno un esercizio di vita teso a
dare sollievo ai malanni fisici, ristoro alla mente e pace allo spirito. Epicuro, Agostino, e poi Kant,
Schopenhauer, Nietzsche, Bergson e, ancora, gli esistenzialisti e Heidegger, sono più o meno
manifestamente presenti e tenuti nella considerazione più adeguata nel corso di tutta la trattazione, di
cui Benattia si compone, che risulta abbastanza ben sostenuta da così valide pezze d’appoggio.
L’Autore necessariamente dà ampio spazio al rapporto tra l’uomo e il tempo, tema caro ad Agostino
come ad ogni filosofo che si rispetti. Il Nostro, riprendendo Bergson e, quindi, Schopenhauer,
Nietzsche e tutto il pensiero orientale, a cui questi filosofi si rifanno, è portato a considerare
importante il presente, il solo a dare senso alla vita, perché coglie l’esistenza. In sostanza, l’essere-
nel-tempo, per l’uomo, significa vivere l’”adesso” senza indugi, perché in esso è la piena
consapevolezza. Solo nel presente l’uomo ha facoltà di decidere, nel bene o nel male, di essere.
Per Francesco Oliviero è nel presente che costruiamo il nostro benessere; il passato e il futuro
vivono rispettivamente nel ricordo e nell’aspettazione, e perciò niente possono dare. Di qui tutta una
serie di suggerimenti, come l’accettazione di sé, il riproporsi, cioè, l’autostima, necessari ad
avvicinare il microcosmo che siamo al macrocosmo, che è l’universo, al quale apparteniamo: il
finito si concreta nell’infinito e realizza un’osmosi, che nelle diverse chiavi di lettura (laiche e
cristiane coincidono) ci restituisce all’eternità.
Questo discorrere ben costruito, e in un linguaggio accessibile e molto convincente, troviamo nel
libro. Ed è un piacere leggerlo, perché, quasi senza rendersene conto, il lettore è preso da
argomentazioni che lo toccano da vicino e lo coinvolgono, essendosele prima poste, anche
inconsciamente, e avendole poi lasciate in sospeso per paura di cadere, magari, in altre crisi ancor
più profonde.
Ma l’uomo non deve cedere alla paura, che è causa di tanti mali. Accettare la realtà, viverla con
consapevolezza, vuol dire stare bene in salute e non inciampare negli ostacoli, perché trovarsi nella
negatività significa attirarne altra.
Le malattie (tumori, AIDS, SARS e tante altre, poco conosciute o ancora a noi ignote), di cui si
parla ai nostri giorni in modo più frequente, che sono la peste mietitrice di tantissime vite umane, non
costituiscono forse ostacolo, perché motivo di paura nascosta per tutti? Ebbene, il medico
omeosinergetico riesce ad allontanarci da queste paure, consigliando di non pensare alle malattie,
come se non ci riguardassero e non ci appartenessero, perché non le vogliamo e non dobbiamo
volerle. Disconoscerle significa pensare al presente, alla vita che è in noi e che dobbiamo far pulsare
con intensità, senza cedere allo sconforto, che è allontanamento dalla vita, rinuncia e, perciò, morte;
quando, invece, questa altro non deve essere che spogliamento del corpo per darci totalmente alla
”Entità superiore” che tutto accoglie e fa rivivere.
Allontanare le paure, vivere! Sembra una rivisitazione del pensiero epicureo, anzi un ritorno ad
Epicuro. E ben venga, se questo comporta la tranquillità del corpo e dell’anima; ben venga, se questo
significa recuperare il meglio che è in noi per essere in sintonia con il creato, che vive per dare vita
e per essere vita della vita.
Francesco Oliviero, con questo suo lavoro, tratta diffusamente questi ed altri temi per ridare fiducia
e volontà di vivere a quanti navigano nel buio della notte, oggi più che mai denso e ricco di facili
vane chimère.
Il nostro auspicio è che Benattia venga letto e diffuso per la consolazione di tutti e giusto premio a
chi, ad onta dei tanti falsi profeti, in essa crede e per essa opera e spende le sue energie migliori.
Salvatore Vecchio

FONTI E RINGRAZIAMENTI
Da circa 20 anni mi è stata data la possibilità di esercitare la professione di medico, e questo libro,
dopo un lavoro durato quattro anni e iniziato nella città di Sarajevo, alla fine della guerra civile nella
ex-Yugoslavia, è nato per i miei pazienti, alcuni dei quali mi hanno motivato a scriverlo durante i
seminari che organizzo periodicamente con loro. Senza i miei pazienti, che sono i primi maestri di me
stesso, la mia vita non avrebbe alcun senso e questo libro non sarebbe mai venuto alla luce, ma
sarebbe rimasto soltanto un’idea.
Lo scopo del libro è integrare in una visione sintetica le esperienze personali vissute
quotidianamente come medico a contatto con le persone, con gli appunti tratti dall’ascolto delle
lezioni del dott. Marcello Monsellato, mio maestro e amico fraterno, che ha creato un nuovo tipo di
medicina (la medicina omeosinergetica), e con i brani tratti da tre libri che ritengo fondamentali per
l’evoluzione di ogni essere umano: Il Principio Lola di Renè Egli, La Fisica dell’Anima di Fabio
Marchesi, Il Potere di Adesso di Eckart Tolle.
Questi tre testi nei capitoli seguenti verranno sintetizzati, perché rappresentano il filo centrale del
mio lavoro, volto al riconoscimento del significato della vita, del senso della malattia e della
riattivazione del processo di autoguarigione. I lettori potranno, se lo desiderano, leggerli
separatamente, magari nell’ordine in cui sono stati elencati, per ritrovarvi gli elementi in comune che
facciano comprendere loro il significato della malattia, intesa nel nuovo significato di “benattia”.
Il lettore troverà le case editrici di questi tre libri nei percorsi di lettura in ultima pagina, in
aggiunta agli altri testi che mi hanno ispirato nella stesura di questi appunti di viaggio.
Dedico un ringraziamento sincero a mia moglie Daniela e alle mie figlie Paola e Simona, e chiedo
scusa per il tempo che ho sottratto loro e per averle trascurate in tutti questi anni, specialmente nei
fine settimana dedicati all’aggiornamento professionale, ai seminari con i pazienti o ai corsi come
docente.
Grazie alla medicina omeosinergetica e al suo creatore, il dott. Marcello Monsellato, ho potuto
compiere come medico quel salto quantico che aspettavo da molti anni e che non riuscivo a
concretizzare, dopo le frustrazioni e le delusioni vissute nello studio e nell’applicazione della
medicina convenzionale studiata all’Università.
All’età di 3 anni, dal momento in cui ho memoria dei primi ricordi della mia vita, ho preso la
decisione di svolgere la professione di medico; oggi, dopo poco più di 40 anni, la mia vita
professionale è ricca di soddisfazioni e di gratificazioni, perché ogni giorno attraverso i miei pazienti
tento di riscoprire il significato della vita e il miracolo dell’amore. Tutto questo lo devo a Dio, che
mi permette di esistere perché io stesso possa manifestare il Suo amore per gli esseri umani, la
Natura e l’Universo, e a tutti coloro che ho incontrato e continuo a trovare in questo percorso
all’interno di me stesso, alla ricerca della luce.
Un ringraziamento particolare al nonno paterno Mario, che per primo mi ha trasmesso l’amore per
la cultura e la scienza (“Nonno, perché esistono le stelle?; perché siamo sulla Terra?”), ai miei
genitori Maddalena e Raffaele, che ho scelto, non per caso, all’inizio del mio percorso terreno, a
Melina Cantilena, che mi ha avviato, attraverso lo studio dei classici della letteratura,
all’introspezione e alla consapevolezza, e a Clementina Cantilena, che per prima mi ha fatto
intravedere le potenzialità insite nella medicina non convenzionale, in un’epoca in cui accostarsi alla
medicina antroposofica era considerato soltanto un esercizio filosofico non attinente alla realtà. La
sua Anima, molto evoluta, è scesa tra noi per mostrarci la strada, e, alla fine del suo percorso
terreno, ha deciso di ritornare alla Fonte della vita.
Grazie anche al prof. Salvatore Vecchio, che ha corretto con un lavoro certosino la prima bozza del
libro, suggerendomi preziosi consigli.
Ed ora, un invito ai lettori: volete percorrere con me questa strada? Se la risposta è sì, iniziate la
lettura senza pregiudizi né preconcetti, non preoccupatevi se all’inizio non comprenderete
completamente il senso delle frasi o dei concetti espressi, ma aprite il vostro cuore e la vostra
Anima. Non intendo rivoluzionare il vostro modo di valutare la vita, la salute e la malattia, vorrei
solo permettervi di vedere alcune sfumature della realtà quotidiana da un altro punto di vista, da una
diversa prospettiva, dando un senso a tutti gli eventi passati della nostra vita, anche a quelli che la
mente ha giudicato spiacevoli e inaccettabili.
Pensate a ciò che si vede dal primo piano di un palazzo di venti piani, e il panorama che si ammira
dall’ultimo piano; l’edificio è lo stesso, chi guarda è lo stesso, il mondo è lo stesso, è cambiata solo
la prospettiva, e con essa le emozioni e la visione della realtà.
Salire ai piani superiori costa fatica, si fanno tanti sacrifici, si compromettono amicizie, si perdono
affetti, ci si sente criticati dalla maggioranza che rimane sotto, dalla massa che inizia a giudicarti,
spesso a offenderti, a calunniarti. Ma nulla può sostituire l’emozione che si prova al ventesimo piano,
e lo sguardo che spazia all’infinito verso nuovi orizzonti.
Grazie a tutti di esistere!
Francesco Oliviero
Palermo, maggio 2003

PREFAZIONE
All’inizio del terzo millennio si avverte la necessità di un cambiamento storico, che restituisca
all’essere umano-paziente la dignità della propria malattia, e all’essere umano-medico il ruolo che
gli compete secondo il paradigma della biologia e del rispetto della vita, nell’ottica di una visione
globale e integrata della realtà. È già in corso una mutazione epocale, che parte dalla consapevolezza
che il medico non debba essere solo uno scienziato, che opera analiticamente secondo “scienza e
coscienza”, ma anche “un operatore dell’arte medica”, in pratica un artista, disposto a comprendere,
grazie alla propria “arte” (derivante da un paradigma non analitico, ma sintetico e globale), il punto
di partenza della malattia e la sua dinamica psico-somatica, cioè mente-corpo.
Ciò è possibile soltanto nel caso in cui il terapeuta riesca a stabilire un contatto empatico con il
paziente, azione quasi impossibile se si adotta la strategia operativa di tipo analitico che viene
insegnata all’Università. Infatti, l’analisi particolareggiata dei singoli organi, tessuti, cellule che
compongono il corpo umano non fa che disperdere e frammentare il contatto tra il terapeuta e la
persona che chiede aiuto perché si ritiene malata.

Facciamo un esempio. Un paziente si presenta nello studio medico, affermando di soffrire di un


recente “mal di gola”; in quel momento non rappresenta un essere umano da guarire, intervenendo
sulle cause dei propri sintomi (che spesso non sono esterne all’individuo, come afferma la medicina
convenzionale che intende trovare in genere un batterio o un virus come causa), ma solo una “mucosa
faringea con processo infiammatorio in atto (di natura virale o batterica)”.
Nella prescrizione, che avviene dopo l’esecuzione dell’anamnesi, cioè degli eventi clinici remoti e
più recenti che hanno preceduto la manifestazione attuale, sarà sicuramente adottato un
antinfiammatorio, possibilmente non steroideo (cioè non cortisonico), con aggiunta eventuale di un
antibiotico, se si ritiene che il processo infiammatorio sia di natura batterica.
Nel caso in cui si ritenga che l’infiammazione abbia un’origine virale, spesso la somministrazione
dell’antibiotico viene praticata lo stesso, pur sapendo che gli antibiotici non hanno effetto sui virus,
per cautelare il soggetto da una probabile sovrapposizione batterica, che potrebbe conseguire
all’attacco virale. Questa è la cosiddetta “copertura antibiotica”, eseguita spesso in modo
indiscriminato a scopo solo preventivo sia dai medici, sia dai pazienti in autoprescrizione, per
esorcizzare le proprie paure relative alle malattie.
Se dopo 5-7 giorni di terapia il paziente continua a soffrire di faringite, allora si rende necessario
passare a una terapia identica alla precedente, ma più potente (per via iniettiva intramuscolare),
oppure si può arrivare a prescrivere dei farmaci cortisonici in aerosol, per bocca o sempre per via
iniettiva.
Tutto questo ragionamento (di tipo analitico) spesso è eseguito nello stesso modo per un uomo e una
donna, per un bambino o per un anziano, modificando esclusivamente le dosi e la durata della
terapia.
È questa vera medicina? Riescono i medici realmente a esercitare l’ars medica e a guarire il
paziente? Molti obietteranno che spesso, dopo una terapia di questo tipo, il soggetto non si lamenta
più del mal di gola, e che pertanto lo scopo per cui era giunto nello studio del proprio medico è stato
pienamente soddisfatto.
Allora bisogna chiedersi se è vera medicina sopprimere un sintomo, e cercare di osservare il
problema da un altro punto di vista, perché potrebbe verificarsi che il paziente non accusi più la
faringite in quel momento, ma lo stesso sintomo possa ripresentarsi dopo qualche settimana. Se
questo avviene spesso, nell’arco dei mesi o degli anni, la sua malattia viene definita cronica (cioè la
diagnosi cambia da “faringite acuta” a “faringite cronica”), e per essa i provvedimenti terapeutici
adottati saranno sempre più invasivi e profondi (antinfiammatori e antibiotici più potenti, cortisonici,
immunomodulatori), e quindi aumenteranno i loro effetti collaterali e tossici.
Esaminiamo adesso l’ipotesi che, secondo la visione della medicina convenzionale, sembra la
migliore, cioè che il paziente guarisca definitivamente dalla sua faringite, ma dopo alcune settimane o
mesi si ripresenti all’attenzione del medico con un altro sintomo (ad es. una dispepsia, cioè difficoltà
a digerire con senso di pesantezza dopo i pasti). Tale fenomenologia potrebbe verosimilmente essere
considerata, secondo i canoni della medicina tradizionale cinese, che ha un’esperienza di più di 4000
anni, una vicariazione (spostamento dei sintomi su un altro organo collegato attraverso le vie
dell’energia lungo i meridiani d’agopuntura).
Secondo la medicina omotossicologica, creata nei primi anni ’50 dello scorso secolo dal medico
tedesco Reckeweg, che utilizza per la terapia rimedi omeopatici complessi (cioè varie sostanze
naturali di origine vegetale, animale o minerale in sinergia tra loro nello stesso farmaco, a opportune
diluizioni), tale vicariazione nel caso in esame dovrebbe essere considerata di tipo progressivo, cioè
più grave della prima, perché è stata provocata dalla soppressione farmacologica del sintomo
precedente.
Ritorniamo al paziente che giunge nello studio del medico con il mal di gola. Probabilmente la
diagnosi (“faringite batterica o virale”) è esatta, perché è vero che il soggetto ha un’infiammazione
della mucosa faringea con presenza di batteri o virus, ma è probabile che la stessa sia solo un
epifenomeno, cioè una manifestazione fenomenologica finale di un processo iniziato in un altro
distretto del suo corpo, o addirittura dalla mente conscia o dall’inconscio.
Certo, affermare che il mal di gola parta dalla psiche non può che suscitare risate ironiche, anzi
qualcuno potrebbe affermare che è assurdo voler “psichiatrizzare” tutti i sintomi, perché in fondo il
paziente vuole solo che gli finisca il bruciore alla gola. Infatti, il medico deve fare in modo che il
sintomo passi nel più breve tempo possibile, ma con una strategia terapeutica che permetta al
paziente di non soffrire più di faringite cronica negli anni seguenti!
Evitare una recidiva sintomatologica, o addirittura non permettere una soppressione farmacologica
(che non fa altro che approfondire il processo patologico nel corpo), dovrebbe essere il primo
obiettivo del medico-artista, come affermato da Ippocrate, medico greco vissuto nel quarto secolo
a.C., famoso per il suo giuramento che ancora oggi costituisce l’ideale dell’etica professionale; con
esso il medico accetta la sacralità dell’arte medica, impegnandosi a non recare mai danno al malato
(“primum non nocere”).

Uno scopo di questo libro è quello di gettare un seme per informare le persone sulla possibilità di
altre forme terapeutiche, che facciano prendere loro coscienza del significato della malattia, e
permettere alla classe medica di arrivare a una diagnostica olistica (dal greco “olos”, che significa
“tutto”) e a una terapia integrata, che tengano conto dell’unità dell’essere umano (in termini spirituali,
mentali, emotivi e somatici) e integrino tutti i contributi delle medicine tradizionali (quella cinese,
indiana, egizia, ecc.) con la strategia operativa dell’omeopatia, dell’omotossicologia e della
medicina omeosinergetica, e anche con quella della medicina convenzionale, nei casi in cui le
procedure terapeutiche adottate da quest’ultima non siano antibiologiche, cioè rivolte contro la vita.
Soprattutto è necessario che termini la diatriba tra la medicina convenzionale e le altre, perché
anche la “legge dei contrari”, cioè la necessità di dover antagonizzare un sintomo, può e deve essere
applicata dal medico in casi particolari, per esempio, quando al Pronto Soccorso di un ospedale è
giusto per salvare una vita umana durante un’emergenza, o quando si è costretti a eseguire un
intervento chirurgico per asportare un organo o un tessuto danneggiati in modo irreversibile dal
processo patologico.
Un farmaco molto potente, ma anche con tanti effetti collaterali, come il cortisone, ha salvato e
continua a salvare vite umane in caso di shock allergico di tipo anafilattico con edema della glottide,
che provoca impossibilità a respirare e conseguente soffocamento. Ma non è vero che il cortisone e
gli antibiotici abbiano potuto allungare la vita media dell’uomo, come sostenuto dalla maggior parte
dei medici, mentre ciò è sicuramente avvenuto in concomitanza con le migliori condizioni di vita e di
igiene ambientale raggiunte negli ultimi cento anni.
Ciò, inoltre, non significa che il medico debba utilizzare un farmaco salvavita come il cortisone per
prevenire le crisi asmatiche, o un antibiotico (sempre più potente, altrimenti non agirebbe in seguito
alle resistenze batteriche) per prevenire la bronchite in un bambino che lamenta soltanto tosse! Molti
pazienti riferiscono che spesso l’antibiotico in un caso come questo viene prescritto dal medico al
telefono, e ciò avviene in molti casi solo per placare l’ansia della mamma, preoccupata che la tosse
del bambino sia l’inizio di una patologia grave dei bronchi e dei polmoni!
Occorre cercare invece di comprendere perché il bambino asmatico sia diventato tale, senza
fermarsi al ragionamento analitico e superficiale che “tanto anche la madre è allergica, e da piccola
soffriva di crisi asmatiche, poi scomparse”! Non si può focalizzare l’attenzione solo sul discorso
costituzionale ed ereditario, ma si deve andare alla radice del problema, anche perché occorre
evitare che nel bambino avvenga quello che è successo alla madre, che da piccola era asmatica, e
dopo la scomparsa delle crisi respiratorie durante l’adolescenza (in seguito all’effettuazione per anni
di tutte le terapie soppressive del caso), era diventata obesa in età adulta! Per quale motivo si è
verificata l’obesità? Perché è presente una tossicosi metabolica, cioè un tessuto connettivale (posto
tra le cellule sia per un’azione di sostegno, sia per le funzioni, molto più importanti, di scambi
metabolici e di attivazione delle difese immunitarie) impregnato di tossine, cioè di sostanze nocive
che non riescono a essere espulse dall’organismo. Come si è instaurata la tossicosi metabolica? Per
una scarsa capacità di drenare, cioè eliminare tossine attraverso gli organi emuntoriali (apparato
urinario, intestino, cute, polmoni).
Che cosa ha determinato quest’impossibilità di espellere tossine dall’organismo? Numerose cause,
tra le quali sicuramente vi sono le terapie soppressive somministrate durante l’infanzia per l’asma e
successivamente per i ripetuti processi infiammatori dell’apparato respiratorio da cui spesso è stata
affetta. In che rapporto questa patologia “iatrogena” (dal greco iatros: medico) si pone con l’obesità?
Se si conoscesse l’agopuntura cinese, si saprebbe che il processo asmatico, che si sta svolgendo sul
meridiano del polmone, era iniziato in tenera età dal meridiano del grosso intestino (il colon),
probabilmente per un malassorbimento della mucosa nei primi anni di vita, con intolleranza ad alcuni
alimenti (ad esempio, il latte) e per un successivo processo di disbiosi (alterazione e distruzione
della flora batterica intestinale a opera degli antibiotici).
Se si chiede alla paziente come si svolge il proprio alvo, o meglio le si fa una domanda diretta:
“Ma lei è stitica?”, spesso ci si sente rispondere: “Certo, dottore, da sempre! Pensi che ero la
disperazione di mia madre! Purtroppo anche mio figlio ha preso da me, ha ereditato la mia
costituzione!”.
Ecco un semplice esempio di come, per curare un asma bronchiale in un bambino, occorre trovare
l’organo di partenza (l’intestino) della catena causale che porta alla malattia che si localizza come
organo effettore sul polmone, interrogare la madre o il padre sulle loro patologie, e, se necessario,
curare in alcuni casi anche l’assetto psicologico di coppia dei genitori, che fanno assorbire le loro
preoccupazioni vitali al bambino (che si comporta come tutti i suoi simili come una “spugna” delle
emozioni negative e dei conflitti ansiogeni delle figure di riferimento).
Trattare l’intestino colon per curare l’asma, risolvendo una disbiosi o un malassorbimento della
mucosa intestinale, può sembrare assurdo alla medicina convenzionale, ma questo concetto si ritrova
in tutte le medicine tradizionali, che hanno più di 4000 anni, e proprio per questo sono molto più
profonde e globali della nostra, che ha instaurato l’era farmacologica vera e propria poco più di 70
anni fa, con la scoperta della penicillina da parte di Fleming, nel 1928.
La cosa meravigliosa per alcuni, e al tempo stesso sconcertante per la maggior parte dei medici, è
che l’esempio prima riportato è solo un caso clinico, che non sarà mai uguale a un altro, perché in
natura non esistono due uomini uguali, così come non esistono due foglie uguali o due stelle uguali,
ma solo simili.
Pertanto per ogni paziente dovremo adottare una strategia diversa, che, partendo dalla sua
individualità, ci conduca, attraverso un ragionamento analogico e sintetico, alla causa o agli eventi
plurifattoriali che hanno determinato il fenomeno sintomatologico che stiamo osservando, che non è
altro che la punta di un iceberg.
I veri operatori dell’ars medica dovrebbero immergersi sotto la superficie dell’oceano nel quale
galleggia l’iceberg-uomo, per scoprire le sue dimensioni e le sue caratteristiche, capire perché si è
formato e in quale direzione di deriva sta andando. In tal modo, usando una strategia operativa
diversa da caso a caso, che tenga conto possibilmente di tutte o della maggior parte delle medicine
tradizionali, si potrebbe realmente guarire il paziente e restituirlo a uno stato di salute.

Cosa significa guarigione? Cos’è lo stato di salute? Cos’è la malattia?

Guarigione è soltanto un concetto soggettivo, relativo al paziente e non al terapeuta; i medici non
possono affermare: “Il soggetto è guarito!”. È la persona che alla visita successiva dovrebbe far
capire al terapeuta che si sta avviando verso la guarigione, dicendogli: “Mi sento meglio, più attivo,
meno stanco!” E quando sarà guarito, la sua affermazione di conferma dovrebbe essere: “Sono grato
alla malattia da cui ero affetto, perché ha cambiato la mia vita!” .
Gli operatori della salute non dovrebbero avere la presunzione di dichiarare in modo soggettivo la
guarigione del malato, così come non dovrebbero sostenere che la salute equivalga ad assenza di
malattia. I modi di curare possono essere tanti, ma l’ars medica è una soltanto, e a essa occorre
riferirsi se i medici intendono continuare la strada dei numerosi terapeuti che nel corso della storia
hanno dedicato le loro vite a lenire sofferenze e dolori dei propri simili.
Non basta un’intera vita di studio a ripagare il sorriso di un bambino, restituito alla salute, o
l’affermazione di una paziente, che alla visita successiva dice al proprio medico: “Dottore, mi
accorgo che la mia vita sta cambiando e che sto meglio con me stessa e gli altri”. Ed è bellissimo
quando il paziente arriva per la prima volta allo studio perché consigliato dall’amico o dal parente,
perché questa è la dimostrazione diretta della qualità del lavoro svolto, e della sua profondità, come
conferma che la professione medica dovrebbe nascere dal “prendersi cura della gente”.

Ecco cosa afferma Harrison in Principi di Medicina Interna, un trattato di medicina convenzionale:
“La pratica medica combina scienza e arte. II ruolo svolto dalla scienza è evidente: la tecnologia
che da essa deriva è il fondamento per la soluzione di molti problemi clinici; le stupefacenti
conquiste delle metodiche biochimiche e delle tecniche biofisiche che permettono l’accesso alle più
remote parti dell’organismo sono, infatti, il prodotto di questa scienza, come lo sono molte delle
manovre terapeutiche che sempre più divengono parte della pratica medica.
Ma la sola abilità nell’applicazione delle tecniche di laboratorio più sofisticate o l’uso delle più
moderne terapie non sono le sole caratteristiche del buon medico. La capacità di estrarre da una
massa di reperti obiettivi contraddittori, o da una pagina stampata da un computer fitta di risultati
strumentali, quegli elementi che assumono importanza cruciale, la capacità di decidere in un caso
difficile se “trattare” od “osservare”, la capacità di determinare quando un dato elemento clinico è
meritevole o meno di approfondimento, e la capacità di stimare in ogni paziente se un particolare
trattamento crea un rischio maggiore che non la stessa malattia, sono tutti aspetti che ogni medico, in
quanto esperto della clinica, deve analizzare molte volte al giorno.
Questa combinazione di conoscenza medica, intuizione e giudizio è nota come Arte della Medicina:
nella pratica medica questa è altrettanto importante di una profonda conoscenza scientifica. Anche se
molte delle conoscenze scientifiche di base si sono espanse e continueranno a farlo, il compito
fondamentale del medico, cioè quello di avere cura del paziente, rimane invariato.
Dal medico ci si aspetta tatto, comprensione e attenzione in quanto il paziente non è una semplice
collezione di sintomi, segni, funzioni alterate, organi lesi o sensazioni disturbate. Egli è invece un
essere umano con paure e speranze, che cerca sollievo, aiuto e assicurazione.
Per il medico, come per l’antropologo, nulla dell’uomo è strano o ripugnante. Il misantropo può
divenire un abile diagnosta delle malattie organiche, ma ha pochissime possibilità di riuscire come
medico. Il vero medico ha un interesse profondo per il saggio e per il pazzo, per l’orgoglioso e per
l’umile, per l’eroe stoico e per il vagabondo lamentoso: egli si prende cura della gente”.

Un’ultima raccomandazione per i lettori. Alcune parti del libro sono specificamente più tecniche, e
contengono alcuni termini e concetti medici o scientifici che possono risultare un po’ difficili da
comprendere; se ne capite solo in parte il significato, non preoccupatevi, e andate avanti nella lettura,
perché è importante intuire ciò che è presente dietro le parole e le nozioni concettuali, per acquisire
una nuova visione dei dati di realtà, una consapevolezza non più parcellata e frammentata, ma
globale e sintetica.

Per alcuni lettori, si spera per la maggior parte, potrebbe essere importante rileggere le pagine
inizialmente non comprese completamente, per constatare l’acquisizione dei nuovi concetti, e intuire
che probabilmente gli stessi erano già presenti all’interno della coscienza individuale di ognuno, e
solo dimenticati. Infatti, ciò che scopriamo come nuovo fa già parte della nostra realtà interiore e
profonda; lo avevamo solo smarrito.
Buon lavoro ai medici-artisti e buona lettura a tutti!
PRIMA PARTE
LA VITA, LA MALATTIA E LA SALUTE
LA MEDICINA OMEOSINERGETICA:
NUOVA FORMA DELL’ARS MEDICA

La medicina omeosinergetica parte dal presupposto, come la maggior parte delle medicine non
convenzionali, che non è più possibile considerare l’uomo alla stregua di una macchina divisa in vari
settori, ma occorre valutarlo come un essere vivente unico, animato da uno spirito che lo permea e lo
anima, e che può essere riequilibrato energeticamente adottando le forme terapeutiche più antiche,
che sono bagaglio ancestrale dell’umanità nel corso della storia.
Solo in tal modo l’essere umano può arrivare all’accettazione di comportamenti armonici alla
consapevolezza e al ritrovamento di se stesso, attraverso il riconoscimento dello spirito che dimora
in ognuno come energia di vita. Su questi concetti si articola tutto il libro, e il lettore non deve
preoccuparsi se all’inizio alcuni di essi gli sembreranno incomprensibili o assurdi; l’obiettivo è
proprio quello di “tentare di conoscere l’ignoto, senza avere la pretesa di intuire l’inconoscibile”,
come afferma il filosofo Osho, il “Maestro di Realtà” morto nel 1990, che con la sua vita riuscì a
spiegarci come giungere all’illuminazione.
La nuova definizione della salute e della malattia non è ancorata a una base materiale e
unidimensionale, ma si muove su un livello spirituale e multidimensionale, sostituendo l’approccio
analitico convenzionale con una visione sintetica e olistica. L’obiettivo di questa nuova medicina
psicospirituale, creata dal dott. Marcello Monsellato e definita omeosinergetica, è la trasformazione
del malato da passivo ad attivo, da vittima a creatore responsabile del suo stato di salute e della sua
guarigione, da soggetto che “si lascia vivere” ad arbitro e padrone del suo destino.
Fino a oggi abbiamo sviluppato e accettato una visione dualistica della salute e della malattia,
considerando quest’ultima come cattiva e indesiderabile. L’evoluzione della nostra coscienza
dovrebbe invece portarci ad accettare e vivere la malattia come amica, come un invito alla vita che
comporta sia dei rischi sia delle opportunità, e che porta sempre con sé un messaggio importante: lo
stimolo fondamentale della sofferenza a farci cambiare, a trasformare qualcosa nella nostra vita, nel
nostro modo di pensare, di sentire, di volere, di parlare e di agire. In altre parole, ci avverte che non
possiamo continuare a vivere come facciamo in questo momento, e ci fornisce la possibilità di salire
a livelli di coscienza superiori.
Se una persona non sa perché è venuta in questo mondo e qual è il suo compito, se reprime la voce
della sua Anima, della scintilla divina che è in lui, allora perderà la sua armonia interiore e
svilupperà la malattia, che rappresenta un segnale d’allarme che ha come scopo quello di darle
l’opportunità di cambiare le sue attitudini, il suo comportamento e la direzione della sua vita,
rivalutando così lo scopo essenziale della sua esistenza. Purtroppo, la maggior parte dei medici,
grazie a una farmacopea sempre più complessa e sofisticata, cerca di far tacere la voce della
coscienza del nostro corpo, e interpreta il suo linguaggio come sintomi da eliminare al più presto,
quasi mai come messaggi che inducono al cambiamento. Ogni volta che somministriamo un farmaco
chimico, determiniamo nell’individuo che lo assume, e quindi nel suo sistema biologico, tre tipi di
risposte, che vanno da un livello più fisico a uno più profondo.
In primo luogo, lo intossichiamo, cioè aumentiamo il suo stato di tossicosi metabolica, grazie agli
effetti collaterali. In secondo luogo, facciamo in modo che il problema si sposti in un punto
dell’organismo più profondo, secondo le vie dell’energia (i meridiani di agopuntura), cioè inibiamo
la risposta di quell’organismo che stava tentando la via di escrezione delle tossine all’esterno, e
determiniamo una vicariazione, cioè uno spostamento di esse, in modo progressivo verso la
profondità del corpo, verso le sue parti più nobili, gli organi più importanti e la mente (vicariazione
progressiva). In ultimo, diamo al paziente l’illusione che possa essere guarito, senza rimuovere la
causa del problema, che quindi si manifesterà di nuovo per dar segno di sé con nuovi fenomeni, che
chiameremo per l’ennesima volta sintomi ( e magari andremo da uno specialista diverso dal primo,
che terrà conto solo degli organi che sono di sua competenza, senza discernere la causa, per cui il
ciclo si amplificherà ancora, all’infinito, o almeno fino a quando questa via crucis terminerà in una
malattia cronico-degenerativa o tumorale). I dolori, le infiammazioni, la febbre ci dicono che
qualcosa va cambiato nel nostro modo di essere e nella nostra vita, e noi non facciamo altro che
sopprimerli, ignorando il linguaggio dell’Anima, la coscienza intuitiva che cerca disperatamente di
richiamare l’individuo alla vera salute, e lo induce a usare il proprio potenziale e a realizzare il
proprio destino.
La cosa più importante è di poter capire e decifrare il linguaggio delle diverse voci della nostra
coscienza. In questa prospettiva le malattie non sono dei mali assoluti, ma delle reazioni necessarie
per ristabilire l’equilibrio del corpo e l’armonia della psiche. Nelle profondità del nostro essere e
della nostra coscienza esiste la scintilla divina, una sorgente di vita e di amore che silenziosamente
ci guida e aspetta il grande giorno del suo risveglio cosciente. Questo è il vero “natale” personale, e
il cuore della medicina dell’avvenire, che sarà sempre più spirituale, e che dovrebbe diventare una
filosofia di vita, un modello esistenziale antropologico e universale.
Quale dovrebbe essere una forma ideale di medicina? Una vera medicina umanizzata non dovrebbe
basarsi sulla paura dei medici, come si verifica nella medicina convenzionale, né dovrebbe
svilupparsi sul rifiuto della malattia da parte dei pazienti (perché la maggior parte delle persone non
accetta di essere malata). Inoltre dovrebbe facilitare la presa di coscienza dell’energia vitale
presente in ogni essere umano, e prendere in considerazione la sua Anima, che attraverso la terapia
deve riconoscersi ed evolvere, dopo aver definito e accettato le cause dei problemi, permettendo
così di risolverli.
Tale medicina, definita “omeosinergia” (da hómoios, simile, syn-ergìa, cooperazione energetica) è
un paradigma di vita, una educazione alla vita, un metodo olistico che considera non solo il fisico,
l’emozionale, il mentale, ma anche lo spirituale, nel senso di armonia micro-macrocosmo, “l’altro da
sé”, inteso come specchio delle nostre istanze interiori consce e inconsce.
Questa medicina deve rappresentare l’inizio di un viaggio che alla fine porterà a ricercare se stessi
e a dare un senso e una risposta ai vari “perché” legati alla vita. Essa non può preoccuparsi solo di
curare la malattia, ma deve guarire le modalità psicodinamiche che portano alla malattia stessa,
occupandosi delle paure e dei sensi di colpa che spesso limitano la libertà di esprimerci e di essere,
e portando l’individuo alla felicità. Approfittando del sintomo, tale medicina deve mettere in luce
quei comportamenti antibiologici (cioè contro la vita) che, solo se cambiati, possono portare alla
scomparsa assoluta del sintomo e alla vera, unica, profonda guarigione dell’individuo.
Oggi manca la progettualità, siamo come barche alla deriva, senza alcuna responsabilità della
nostra vita. L’errore più grande nelle relazioni umane è preoccuparsi di ciò che fanno gli altri; in tal
modo nasce il conflitto, e si crea una relazione perversa tra vittima e persecutore. La realtà è invece
che ognuno di noi è artefice del proprio destino, per questo gli altri non c’entrano nulla.
Il terapeuta deve risvegliare nel paziente la sua capacità di autoguarigione, il medico interiore che
è in lui, valorizzando i propri difetti, non i propri pregi. L’unica maniera che abbiamo per poter
amare gli altri è amare noi stessi, riconoscendo in primo luogo i nostri difetti, poi accettandoli con lo
scopo di evolvere e cambiare la nostra vita; se non abbiamo stima di noi stessi, se non ci accettiamo,
non potremo mai avere stima degli altri e accettarli, non potremo mai guarire.
Come vedremo in seguito, la guarigione si può raggiungere solo attraverso l’accettazione dei
comportamenti degli altri, che anche se superficialmente appaiono diversi o addirittura opposti ai
nostri, sono simili in profondità. Solo tale accettazione può essere finalizzata all’armonia, alla
consapevolezza e al riconoscimento di se stessi.
L’accettazione dei comportamenti altrui, simili ai nostri, nasce dalla constatazione della “legge
dello specchio”, che afferma che quello che vediamo negli altri che ci circondano è sempre la
proiezione di ciò che è dentro di noi. Quindi, entriamo in relazione con gli altri in conformità a
quello che viviamo di noi stessi. Infatti, la qualità della vita che ogni singolo individuo sperimenta
nel corso della sua esistenza è il prodotto di tre componenti: la relazione con la propria immagine, la
relazione con gli altri e gli effetti di tali relazioni sul quotidiano, cioè la relazione con la vita stessa.
La relazione con gli altri dipende dall’immagine di sé; gli altri non fanno che rispondere, in un
costante ciclo di feedback, cioè di retroazioni, rimandandoci come uno specchio quelle reazioni
suscitate dal nostro agire. In quest’ottica, tutte le malattie nascono da pensieri ed emozioni negative
che, alterando il fisiologico funzionamento delle ghiandole endocrine, portano a una disregolazione
del sistema immunitario, del metabolismo, del sistema neurovegetativo.
Ogni volta che si fa un confronto, che si emette un giudizio o si fa una critica, oppure si prova ira,
odio, gelosia, avidità, orgoglio, paura, ogni volta che si vuole possedere, ogni volta che ci si attacca
troppo alle proprie opinioni, ogni volta che si vive nel passato o nel futuro anziché nell’unico tempo
esistente, che è il presente, ci si stressa e ci s’intossica.
Ogni volta che giudichiamo, non facciamo altro che dividere il bene dal male, e lo stesso fanno i
medici, quando usano il concetto di salute e malattia per frammentare le coscienze, compiendo
inconsapevolmente un abuso di potere.
Quando giudichiamo, condanniamo solo gli aspetti di noi stessi che vediamo negli altri. Quindi
condanniamo negli altri ciò che non sappiamo ancora accettare in noi stessi. Proseguendo nella
lettura di questo libro, vedrete come sia possibile che “il male sia quel bene che non sappiamo
ancora accettare”, e come “il negativo sia quel positivo che non sappiamo ancora riconoscere”.
Queste affermazioni sembrano in apparenza molto difficili da comprendere, ma lo scopo del libro è
quello di dimostrare che solo mettendo da parte il ragionamento analitico e logico della mente
possiamo tentare di raggiungere la dimensione più profonda della nostra Anima, che rappresenta ciò
che di spirituale ed eterno è in noi, e ci collega con tutto l’Universo.
Questo è il motivo per cui occorre attuare una medicina che aumenti il livello di salute attraverso la
legge dello specchio. Quando il medico accetta il paziente, riconosce se stesso e diventa il miglior
farmaco per lui. Entrare in risonanza con il paziente significa far aumentare i suoi meccanismi di
difesa. Solo se di fronte al paziente il medico vede se stesso, può curarlo. Quindi, se si riconosce
nell’altro, entra in risonanza, se non si riconosce, entra in dissonanza; in quest’ultimo caso,
constatando la diversità del paziente, lo indebolisce.
Ciò con cui interagiamo è già parte di noi. I medici o i terapeuti dovrebbero riconoscersi nella
persona che chiede loro aiuto, facendole capire che è lì per arricchire proprio loro. Se non esiste un
canale aperto, non ci può essere intuizione; se il terapeuta riesce a capire perché la persona è davanti
a lui, cosa gli vuol dare, allora subentra la vera ars medica.
Una medicina spirituale dovrebbe tendere proprio a risvegliare l’uomo. Infatti, la maggior parte
delle persone nascono dormendo, vivono dormendo, si sposano dormendo, sono immerse nel sonno.
È importante risvegliarsi, però può essere spiacevole. Molti formulano inconsciamente la richiesta
che il terapeuta permetta loro di aggiustare i propri giocattoli rotti (“ridatemi la moglie, i soldi, il
successo, il lavoro, la salute”), avere nuovi giocattoli. Queste persone cercano il sollievo dai propri
sintomi, una cura sarebbe troppo dolorosa, la guarigione attiverebbe un cambiamento che per paura
non sono pronte a iniziare né vogliono attuare.
È vero, infatti, che il processo di guarigione, che essenzialmente ha il significato di raggiungere un
cambiamento, è un affare rischioso; se si lascia accadere in tutto e per tutto, ciò che si è adesso
cesserà di esistere. Il problema è che abbiamo identificato la stasi con la sicurezza e il cambiamento
con i guai; così perdiamo delle occasioni per ricordarci cosa siamo veramente, e come eravamo.
Inoltre una medicina spirituale dovrebbe tenere in alta considerazione la relazione medico-
paziente, terapeuta-persona, individuo-ambiente, in un contesto dove tutto è energia. È tale relazione
che, associata alla terapia, può portare alla guarigione. Quest’ultima è per il 90% animica-
emozionale (cioè riguarda l’anima e il rinnovamento delle emozioni), e per il 10% dipende dalla
terapia. La cura è a opera del medico, la guarigione è solo del paziente.
Il problema non è mai il paziente, o il medico, ma l’interazione tra i due, di cui spesso si ha paura.
Inoltre occorre tener presente che il primo passo per ogni guarigione è la responsabilizzazione del
paziente, che deve prendere coscienza di quello che succede, del significato della sua malattia,
acquisendo la cognizione che la crescita della consapevolezza è sempre un processo graduale, legato
ai suoi tempi e ritmi.
È proprio nelle relazioni interpersonali e nelle conseguenti modalità reattivo-comportamentali che
nasce la patologia. La patologia è figlia della società, della cultura, del modo di vivere. La malattia è
l’espressione di un rifiuto della vita, per come si sta manifestando, rifiuto di ciò che si sta vivendo,
rifiuto dell’esperienza. È la traduzione della nostra realtà inconscia che stiamo rifiutando. Porta alla
luce il rifiuto, trasformandolo in un riflesso alchemico. Infatti, occorre operare l’alchimia della
trasformazione, attraverso la presa di coscienza: non c’è bisogno di fare, ma di essere.
La malattia è quindi un’opportunità della natura e della vita per mettere ordine nel nostro disordine
interiore, per compensare i nostri squilibri profondi, un meccanismo di compensazione di una
disarmonia animica, uno sgravio verso l’esterno per far sì che l’anima respiri, un tentativo di
compenso di un’incapacità di vivere la vita.
La sofferenza è un linguaggio che l’essere umano utilizza, nella sua complessità, per esprimere il
proprio disagio, è un mezzo che la vita ci offre per essere consapevoli di qualcosa che non
conosciamo ancora. In genere non si muore mai di una malattia, ma del modo in cui la viviamo e la
pensiamo, perché pensare vuol dire creare. Quest’ultima affermazione sarà ampiamente spiegata in
seguito, per cui non abbiate paura di non comprendere ancora questo concetto; quando arriverete ad
avere una maggiore consapevolezza, tutto vi sembrerà più chiaro, e ritornando a rileggere questi
paragrafi, comprenderete ciò che prima vi sembrava impossibile. Quindi non preoccupatevi, perché
il libro è stato scritto proprio per aumentare il vostro livello di conoscenza, e andando avanti nella
lettura verrà spiegato sempre più in profondità il senso di affermazioni che inizialmente possono
anche sembrare sconcertanti.
LE LEGGI DELLA VITA
Altro scopo di questo libro, oltre quello informativo, è di dare un significato al dolore, alla
sofferenza, e di fornire un senso alla malattia, per riattivare il nostro potere di autoguarigione. Se
vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo cambiare prima noi stessi e la nostra visione della realtà,
della vita e della morte, della salute e della malattia. Tutto ciò che esiste nell’universo è dotato di
vita, di coscienza e quindi di uno scopo finale. Tutto ciò che vive è dinamico, in evoluzione, quindi
deve cambiare. La grande legge della vita è la legge del cambiamento.
Perché esistono le malattie? E cosa sono? Le malattie si verificano quando non vengono accettate le
leggi naturali e universali della vita, che stabiliscono come vivere in armonia con noi stessi e con
l’ambiente che ci circonda.
Per essere in buona salute bisogna non soltanto sapere chi siamo e cosa siamo venuti a fare su
questa terra, ma anche rispettare le leggi di Dio, della natura, del nostro essere e della vita. La
malattia è una disarmonia che segue la violazione cosciente o incosciente di queste leggi, che
esistono dalla notte dei tempi. Queste leggi, che dovrebbero essere attivate e rispettate da una
medicina spirituale e a misura d’uomo, sono le seguenti:

1) Legge del significato universale della vita.


2) Legge dello specchio.
3) Legge dell’unità.
4) Legge del simile.
5) Legge di azione-reazione.
6) Legge dell’essere.
7) Legge dell’immanenza divina.
8) Legge dell’eternità della vita.
9) Legge dell’evoluzione.
10) Legge del cambiamento.

1) Legge del significato universale della vita: “Nella vita tutto ha un senso”
“Tutto ciò che è” esiste per un motivo, tutto è perfetto, quindi anche gli eventuali errori che
commettiamo sono una delle possibili soluzioni dei problemi, e rappresentano in ogni caso
un’esperienza. Il “tuo senso” è come sei fatto, non come vorresti essere. Anche la malattia ha un
senso. Quindi tutto ciò che ci succede, che viviamo nel mondo, anche la sofferenza e la malattia, ha
un significato e un valore per la nostra crescita, evoluzione e realizzazione, ed è proprio questo che
dobbiamo scoprire, attraverso l’espansione, approfondimento ed elevazione della nostra coscienza.
Ad ogni esperienza vissuta nel passato occorre dare un significato, anche a quelle spiacevoli e
inaccettabili, altrimenti è impossibile vivere il presente, l’attimo fuggente, e ci lasciamo
condizionare e influenzare dall’ansia anticipatoria del futuro, pregna delle nostre paure e angosce che
non riusciamo a controllare.

2) Legge dello specchio: “Ciò che vediamo negli altri è una nostra proiezione”
Ogni persona con cui ci confrontiamo è un nostro specchio, che ci aiuta a capire come siamo. La
guarigione si può raggiungere attraverso l’accettazione degli atteggiamenti o comportamenti altrui,
che solo superficialmente sono diversi dai nostri, mentre in profondità sono simili, e che per tale
motivo devono essere armonici alla consapevolezza, al riconoscimento e al ritrovamento di se stessi.
L’accettazione dei comportamenti degli esseri umani che ci circondano deve tener conto proprio
della “legge dello specchio”, che afferma che quello che vediamo negli altri è la proiezione di ciò
che è dentro di noi. La consapevolezza deve essere un processo non di volontà, ma di sensazione, di
scoperta, di “mettersi allo specchio”. Guardiamoci allo specchio, e pensiamo di avere tanti specchi
(il partner o la partner, i figli, ecc.) attraverso i quali esprimiamo noi stessi.

3) Legge dell’unità: “Tutto è uno, e tutti siamo collegati all’Unità”


Tutto è interconnesso, e condivide la stessa sorgente. Non esiste separazione, eccetto dove l’essere
umano sceglie di viverla come tale. Una delle lezioni più importanti è di innalzarsi al di sopra di
questa apparente separazione per constatare che non è vera. L’umanità è simile alle isole di un
arcipelago, che sono tutte in collegamento sotto l’acqua; gli indiani d’America usavano l’espressione
“mitakuye oyasin”, che significa “tutto è correlato, tutto è collegato”. Il biologo inglese Sheldrake
parla proprio di campo morfogenetico, cioè afferma che esiste un campo di organizzazione invisibile,
penetrante, che trascende i limiti di spazio e tempo, e determina forma e comportamento di tutti i
sistemi e di tutti gli organismi viventi. In altre parole, quando avviene un mutamento all’interno di un
sistema o di una specie di una qualsiasi parte del mondo, tale variazione influenza sistemi e specie
simili che si trovano in qualsiasi altra parte. Questo è anche l’inconscio collettivo descritto dal
filosofo Jung nella prima metà del secolo scorso, e inteso come substrato non manifesto nel quale si
propagano le informazioni.

4) Legge del simile: “Il simile attira il simile; il simile cura il simile”
La legge del simile o della risonanza afferma che energie simili attraggono particelle simili a causa
dei loro campi elettromagnetici. È solo in superficie che gli opposti si attraggono, in profondità è il
simile che attira il simile. Noi attiriamo ciò che risuona in noi. Se diciamo bugie attiriamo persone
che dicono bugie, perché attiriamo ciò che abbiamo dentro. Noi attiriamo ciò che non abbiamo
ancora superato, ciò di cui abbiamo paura, ciò di cui abbiamo bisogno. Da tale legge si può ricavare
che “il simile cura il simile”; questa è il paradigma chiave della medicina omeopatica.

5) Legge di azione-reazione: “Ogni pensiero torna a chi l’ha trasmesso. Così come semini,
raccoglierai; così come giudichi, verrai giudicato”
Noi trasmettiamo pensieri; questa è l’azione. Ciò che torna a noi, prima o dopo, è la reazione. Se
critichiamo una persona, il pensiero ci tornerà indietro dopo un certo periodo di tempo come
problema di salute, o come evento vitale negativo. Anche dire bugie a se stesso e agli altri
indebolisce l’organismo, e ci fa ammalare. Dire bugie è anche dare la responsabilità agli altri dei
nostri problemi, colpevolizzandoli. Colui che pensa egoisticamente solo a se stesso, e non all’altro,
che giudica continuamente sul bene e sul male, che scarica sugli altri le proprie responsabilità, prima
o poi si ammala. La legge di azione-reazione è il segreto della vita, che abbiamo dimenticato, e vale
non solo per i pensieri, ma anche per le azioni, ecco perché è importante “non fare agli altri quello
che non vuoi che gli altri facciano a te”. Ciò che facciamo agli altri ci ritorna indietro con gli
interessi. La legge di azione-reazione, o di causa-effetto (o legge del Karma) assicura il
ribilanciamento dell’energia nel campo energetico cosmico, nella Matrice Energetica, nella quale per
ogni azione ci deve essere una reazione equa e opposta. Qualsiasi energia venga sprigionata, da parte
di un essere, attirerà delle particelle simili per poi ritornare. L’energia si contrae e si espande; quindi
se viene emessa energia di natura negativa, essa si contrarrà per ritornare alla propria sorgente di
emissione dopo l’espansione iniziale, e porterà con sé altra negatività. La stessa cosa è vera rispetto
all’energia positiva.

6) Legge dell’essere: “Conosci te stesso, perché lo scopo della vita è l’essere”


Nella vita non è importante quello che si fa, ma il modo in cui si fa. Ciò che conta non è ciò che tu
sei, ma è importante che tu sei. È fondamentale il valore che diamo alle cose, il vissuto che c’è dietro
le cose. Io posso sapere, saper fare, far sapere, ma se non so “essere” tutto è inutile e non ha un
senso. La legge dell’essere permette che un individuo arrivi alla comprensione della Forza Divina
dentro se stesso e dentro l’Universo tramite la conoscenza di tutti gli aspetti del proprio essere.

7) Legge dell’immanenza divina: “Dio, la sorgente ed essenza della vita e dell’amore si trova
nelle profondità della nostra coscienza”
In questo mondo fisico non esiste separazione tra noi e Dio. Questo mondo è Dio, Dio è questo
mondo. Stiamo vivendo dentro il nostro Dio e ne siamo parte integrante, così come un aspetto del
nostro Dio è parte integrante di noi e vive dentro di noi. La realtà ultima da cercare si trova proprio
in noi, nelle parti più profonde del nostro essere, quindi per entrare in contatto con qualche parte
dell’Universo bisogna prima “risvegliarla e attivarla” vibratoriamente in se stessi. Il cosmo esterno,
con tutte le sue dimensioni, i suoi esseri e i vari eventi (il piano fisico, emotivo, mentale e spirituale,
gli esseri umani e gli animali, così come tutte le esperienze umane), è un enorme specchio magico
della nostra stessa natura e un enorme laboratorio per l’evoluzione delle nostre potenzialità. Il mondo
esterno con le varie situazioni che offre è quindi il vero “labirinto” per arrivare al centro del nostro
essere, ove risiede il Sé con tutti i suoi tesori. Quando una persona ha capito ciò e fa sua questa
prospettiva, tutte le esperienze umane rivelano un significato e un valore come catalizzatori e
stimolatori per la scoperta di se stessi e l’unione cosciente con la scintilla divina in noi. L’uomo è
veramente un grande Universo, per la maggior parte ancora sconosciuto, fatto “ad immagine di Dio”,
cioè della Realtà, quindi una sintesi di tutto ciò che esiste, microcosmo nel macrocosmo. In natura
ogni struttura (dall’atomo alle galassie di stelle) ha un centro con una periferia a esso collegata,
quindi c’è sempre una costruzione analogica intimamente collegata tra ciò che è piccolo e ciò che è
grande, tra ciò che è in basso e ciò che è in alto.

8) Legge dell’eternità della vita: “La morte non esiste, esiste solo la vita”
La morte del corpo fisico è solo un passaggio dell’Anima a un’altra dimensione o frequenza
vibratoria, a un altro livello di coscienza. L’Anima, la parte spirituale ed essenziale dell’essere
umano, esiste sia prima che dopo la morte del corpo fisico e si congiunge a esso nel mondo fisico per
realizzare tutte le sue facoltà e potenzialità, e per compiere il destino che le è stato dato da Dio.

9) Legge dell’evoluzione: “Lo scopo della vita sulla Terra è quello di evolvere, di realizzare la
scintilla divina che dimora nel profondo del nostro essere”
Questa è l’unica prospettiva che può veramente portare alla pace profonda, alla riconciliazione
degli opposti e della dualità e alla vera accettazione di tutti gli aspetti della propria natura e del
mondo. Dopo aver scoperto e vissuto il senso globale della vita nel mondo fisico (che è quello di
evolvere, anche a prezzo di correre rischi e di dover soffrire), allora arriviamo a comprendere che
siamo venuti in questo mondo per “svolgere un certo compito”, e solo la sua realizzazione può darci
la vera felicità. Questo compito può realizzarsi attraverso la legge dell’evoluzione, o della
trasmutazione alchemica: tutto cambia continuamente, perché l’unica realtà consistente nell’Universo
è l’indistruttibilità dell’energia e il suo cambiare di forma. Ogni condizione della vita può essere
trasformata in gioia e bellezza; accettando qualsiasi cosa, possiamo trasmutare esperienze e
condizioni di vita negative in positive, possiamo anche ricevere il potere di trasformare i nostri
desideri spirituali e i nostri sogni per farli diventare manifestazioni tangibili e materiali. Questa
alchimia è il potere di Dio in azione, è eterna e immutabile.

10) Legge del cambiamento: “Cambiando noi stessi, possiamo cambiare il mondo”
Cambiando il nostro stato di coscienza, il nostro modo di pensare, di sentire e di volere possiamo
cambiare la nostra vita e il nostro modo di essere, siamo cioè in grado di cambiare il mondo.
Questa è la via per diventare creatore e creatura, artista e opera d’arte del nostro essere, padrone
della nostra vita e arbitro del nostro destino.

Se rispettassimo queste leggi, potremmo restituire alla vita la sua dignità energetica, la sua
luminosità, risalire dalla umida terra agli spazi del cielo dove un giorno di 4700 milioni di anni fa
scoccò sulla Terra la prima scintilla che diede luce alla vita, e che da allora continua, con la luce del
sole, a ricreare.
La legge fondamentale dell’essere umano, la vera chiave della sua integrità e della sua grandezza è
la sua autonomia, dal greco autonomos (seguire la propria legge interiore, essere fedeli a se stessi).
La malattia essenziale, la patologia più profonda e la vera disarmonia consistono nel non riconoscere
più se stessi, Dio e la Natura, e quindi non potersi esprimere veramente e compiere ciò che si è
venuti a realizzare in questo mondo; si diventa stranieri a se stessi, all’Universo, alla vita, e non si
riesce a capire cosa fare e cosa non fare, come adoperare le proprie energie in modo armonico e
creativo.
Il male fondamentale consiste nel disconoscere Dio (quindi se stessi), nell’essere separati da Dio
(quindi dal sé interiore) e nel non conoscere e fare la sua volontà (quindi il proprio dovere). Se
questi presupposti continuano a esistere, allora tutti i rimedi terapeutici servono a ben poco.

LA MALATTIA COME MANCANZA DI ARMONIA


Il medico o il terapeuta che esercitano la propria arte non dovrebbero dividere, separare,
analizzare, ma cercare di comprendere la persona malata nel suo insieme, e nel modo di esprimersi
attraverso il corpo, fino al punto di andare a ricercare, nel più profondo del suo essere, gli elementi
nascosti che sono la causa profonda della sua patologia. In tal modo la patologia non viene più
considerata come una fatalità, ma come il linguaggio del corpo fisico. Il dolore, espressione
dell’energia di sofferenza, permette all’uomo di prendere coscienza dei propri errori funzionali in
rapporto alle leggi eterne dell’Universo.
È la persona che va guarita, non la malattia. Il corpo non si ammala, si adegua, per cui va rispettato,
non va tagliato, mortificato, non vanno inibiti o soppressi i suoi messaggi, perché esso è il tempio
dell’Anima. Infatti, la malattia è uno sfogo dell’Anima, e questo concetto, che per ora può sembrare
incomprensibile, verrà approfondito in seguito, perché è in fondo lo scopo del libro.
Bisogna quindi ridare all’uomo il proprio posto nel macrocosmo, perché prenda consapevolezza
della sua identità profonda, per ritrovare quella parte della coscienza che si esprime attraverso il suo
organismo intero, gli organi, i tessuti, le cellule, gli atomi, gli elettroni (e quindi la sua energia
vitale).
Nessun elemento può esistere senza gli altri, perché ciascuno è completamente legato alla realtà
esistenziale dell’altro, e avviene tra loro uno scambio d’informazione; l’invio e il ritorno di
quest’informazione è il principio generale che anima l’Universo. Anche un virus, che in una visione
superficiale appare un nostro nemico, ha un senso, perché è un’informazione frequenziale, un
software, un programma.
Ogni sintomo può essere in rapporto con un disordine lesionale o biologico, che è iniziato molto
tempo prima (come intuìto dai cinesi migliaia di anni fa) con uno squilibrio dell’energia, il quale a
sua volta ha presieduto all’elaborazione di questa lesione. La stessa lesione, una volta costituita, può
indurre disordini energetici permanenti.
Occorre, quindi, porsi il problema profondo dell’induzione energetica che ha provocato la malattia;
in altre parole è necessario ricercare gli squilibri energetici che hanno determinato nel vissuto
dell’individuo, con un processo più o meno lento nel tempo, la modificazione biologica alla base
della patologia. Solo così il medico o il terapeuta possono essere in grado di esercitare una medicina
universale, che obbedisca alle leggi essenziali della creazione, e possa determinare la guarigione del
paziente. Nel caso in cui non si verifichi la guarigione, questa può arrivare sotto un’altra forma o su
un altro piano, magari come una migliore comprensione di quello che ci sta succedendo o sotto forma
di forza per accettare la malattia e convivere con essa, con la percezione di uno scopo divino e di
importanti lezioni da imparare.
Ogni terapia finalizzata alla guarigione dovrebbe essere inserita in una medicina universale
sintetica e olistica, che ridoni all’atto medico tutta la sua dimensione, nel rispetto totale
dell’individuo, della propria identità e responsabilità di fronte alla malattia, rimettendolo in armonia
con se stesso e con l’ambiente circostante.
In quest’ottica la malattia può anche definirsi il risultato di un’alterazione del sistema di flusso
dell’energia tra individuo e ambiente circostante, che si manifesta, in un dato settore, in funzione di
perturbazioni energetiche latenti. La persona pertanto non vive più in armonia con l’ambiente che lo
circonda, e ciò si traduce in un deficit del sistema immunitario a livello locale o sistemico, ossia in
una perturbazione energetica più o meno grave (disregolazione dell’identità dell’individuo nel suo
rapporto comportamentale con se stesso, con gli altri e con l’ambiente), che sarà la porta d’entrata o
lo sviluppo dall’interno di tutte le altre induzioni: infezioni batteriche, virali, micotiche, ecc.

Gli stressors, cioè le cause di stress, possono essere:


1) situazioni conflittuali non superate o elaborate (conflitti di coppia, con i genitori, con i figli, con
i parenti);
2) accumulo di tensione emotiva e fisica nell’attività quotidiana lavorativa ed extra-lavorativa;
3) mancata verbalizzazione dei propri problemi e mancanza di comunicazione con gli altri;
4) sensi di colpa e paure del giudizio degli altri;
5) paure, inibizioni e blocchi emozionali che durano sin dall’infanzia;
6) insicurezza legata a carenza di autostima.

Tutti gli stressors richiedono all’individuo un adattamento in funzione del carattere acquisito nel
corso del tempo, del patrimonio genetico e dell’equilibrio ormonale. Il mancato adattamento in
rapporto alla realtà può verificarsi anche gradualmente nel corso della vita, dando un effetto di
sommazione.

La malattia può manifestarsi sui quattro piani della coscienza, cioè:


a) sul piano fisico, la malattia implica una perdita di energia e un blocco di uno o più organi, che in
genere si manifestano sotto forma di sintomi;
b) sul piano emotivo, implica paura, ansia, sofferenza, che influenzano in modo negativo la nostra
coscienza e il nostro comportamento. Tutto ciò vuol dire “non amarsi più” e cessare di amare la vita
con le sue molteplici avventure e sfide;
c) a livello mentale, si esprime come “confusione”, una visione buia e confusa della realtà, delle
nostre esperienze nel mondo e all’interno di noi stessi. Questo implica non essere in grado di capire
ciò che accade, il perché di certi avvenimenti e ciò che possiamo o non possiamo fare;
d) a livello spirituale, la malattia si manifesta come separazione dal sé, dalla sorgente più profonda
della vita, dell’amore, e si esprime come disperazione, separazione, squilibrio, mancanza d’amore e
di fede.

Al cuore di tutte le malattie troviamo esattamente ciò che l’etimologia di questa parola ci indica in
inglese: dis-ease, cioè mancanza di armonia, un corto circuito nell’allineamento del corpo fisico con
la mente e l’Anima.
Ritornando alle finalità che ogni medico dovrebbe proporsi, è dunque essenziale per il terapeuta
comprendere il livello perturbato da cui sono partiti gli elementi emozionali conflittuali che,
attraverso una catena evolutiva, hanno innescato la patologia, e che verosimilmente hanno influenzato
di sé anche gli altri livelli.
Il terapeuta deve far prendere coscienza all’individuo delle energie che animano la materia, il cui
squilibrio determina i sintomi, permettendogli così di innalzare il suo livello di coscienza, al fine di
deprogrammare le cause di tale interazione energetica patologica, e di diventare padrone del suo
destino.
Egli deve allargare il proprio campo d’osservazione, utilizzando tutte le tecniche e le medicine che
possano integrarsi in un’ars medica unitaria; solo attraverso quest’approccio alle leggi universali si
può accedere alla “medicina universale”.
È chiaramente molto importante lavorare prima su se stessi in modo da imparare a conoscersi e a
collegarsi con le leggi universali, allo scopo di esistere per se stessi e per gli altri. Quando
cominciamo a prendere in considerazione il rapporto che abbiamo con noi stessi, possiamo arrivare
a scoprire cose di cui eravamo inconsapevoli, o cose che non accettiamo e che non ci piacciono.
Possiamo renderci conto che la parte di noi che abitualmente mostriamo al mondo è eccessivamente
ipertrofica rispetto a quell’altra parte che neghiamo a noi stessi, o che abbiamo paura di mostrare (la
nostra “parte in ombra”).
I cinesi affermano che l’uomo è come una collina illuminata dal sole, piena di verde, di alberi, di
fiori; ma se ci rechiamo dietro la collina, entriamo nella parte in ombra, che non è sicuramente bella
come la prima, può farci paura, per cui preferiamo ignorarla o far finta che non ci sia. La verità e
l’equilibrio, invece, si raggiungono proprio quando siamo in grado di interagire con la nostra parte in
ombra, e quando ciò avviene si può scoprire un grave conflitto, conseguenza del fatto che chi
pensiamo di essere, chi siamo diventati e la vita che ci siamo creati seguendo certe convinzioni, in
realtà non sono altro che tutto ciò che gli altri si aspettano da noi.
Quindi la maggior parte di ciò che facciamo nella vita cerca di essere fedele a tale aspettativa,
mentre una grossa parte di ciò che vorremmo essere viene sepolta dentro di noi, si sforza di venire
fuori, ma ne è impedita da tutte le aspettative messe in piedi da genitori, fratelli, insegnanti,
sacerdoti, mezzi di comunicazione.
Dobbiamo smettere di vivere per quello che fanno gli altri, e vivere per quello che facciamo noi.
Se, per esempio, vogliamo risolvere una dipendenza (da sostanze, come il cibo o le droghe, o da
persone) occorre sciogliere il legame, perché l’infelicità nasce proprio dall’attaccamento alle cose o
alle persone. Si creano legami, perché è la mente che li forma, e ciò è dovuto alla paura, collegata
alla necessità di dover sempre controllare tutto.
Ad esempio, la ragazza bulimica che ingrassa ha un controllo esasperato sulla vita, mangia tutto
quello che gli arriva, per riempire un vuoto interiore; se non si accetta, non può dimagrire, deve
lasciarsi andare, giocare con la vita. È fondamentale, per la risoluzione di tutti i problemi, star bene
prima con noi stessi, e non delegarli agli altri. Viviamo una cultura fondata sulla
deresponsabilizzazione, dove si dà la colpa agli altri dei propri problemi; è invece importante
responsabilizzarsi rispetto alla propria vita.
Per ottenere tale responsabilizzazione della persona, la medicina omeosinergetica dispone di una
visione tridimensionale olistica, che permette di osservare il paziente da tre prospettive e secondo
tre piani diversi d’esame:
piano causale
piano sistemico
piano sintomatico.

Piano causale: la causa della malattia è spesso un conflitto emotivo (ad es., la non accettazione di
un’esperienza vissuta, o il rifiuto di se stesso, o il rifiuto degli altri). Tale conflitto instaura nel
paziente uno squilibrio energetico o un blocco del fluire dell’energia lungo i meridiani d’agopuntura,
attraverso l’intermediazione dell’asse ormonale ipofisi-epifisi-ipotalamo, che a sua volta determina
l’insorgenza di malattie psicosomatiche (che partendo dalla psiche si trasferiscono nel corpo) o
somatopsichiche (che iniziando dal corpo influenzano la psiche).
Piano sistemico: attraverso il sistema nervoso autonomo (neurovegetativo simpatico e
parasimpatico) si crea uno squilibrio a livello del sistema mesenchimale o di regolazione degli
organi. Il tessuto mesenchimale si trova tra le cellule, e si è scoperto che non solo ha una funzione di
sostegno (come un’impalcatura) e di nutrizione, attraverso i vasi sanguigni, ma che regola anche le
risposte immunitarie dell’intero organismo, e dispone addirittura di una “memoria”, cioè
immagazzina miliardi di informazioni per le cellule nel corso della vita, permettendo loro di svolgere
le proprie funzioni vitali.
Piano sintomatico: il tessuto mesenchimale ubiquitario sviluppa nell’organo più debole (locus
minoris resistentiae) una risposta specifica dello stesso, detta “sintomo”, che appare funzionale alla
comprensione della malattia.
Così il medico cosciente può avere accesso alle leggi universali che gli permettono di curare, senza
interferire sull’identità propria del malato, e può praticare la sua arte in conformità al giuramento di
Ippocrate ma anche al giuramento di Sibelius, che esiste dalla notte dei tempi, e che viene qui
riportato.

GIURAMENTO DI SIBELIUS
1) Prendi coscienza che ciascun malato è una “unità esistenziale” che si esprime attraverso il suo
corpo. Egli ha in sé questa scintilla del Divino che non chiede che di manifestarsi.
2) Allontanati dal tuo ego personale per dare al malato tutta la tua conoscenza e per curarlo
rispettando la sua identità e la sua appartenenza.
3) Sposta la tua coscienza, mettendoti al più alto livello del tuo essere. Accedi così alla
conoscenza e sii medico-strumento in relazione con il tutto.
4) Percepisci le leggi universali nelle loro realtà operative e oggettive che si esprimono attraverso
la patologia.
5) Percepisci l’uomo, la cui missione è prendere coscienza della manifestazione della dualità, nella
sua espressione spirito-materia, che si esprime attraverso il suo corpo, in funzione della sua identità
e della sua relazione con il tutto.
6) Interroga, esamina, palpa, ausculta, procedi alle investigazioni necessarie con l’occhio del
saggio che sa guardare, che sa ascoltare, che sa percepire nel rispetto dell’identità dell’altro.
7) Cura i tuoi malati con il sapere e le conoscenze che ti sono state insegnate dai tuoi padri
collegandoti alle leggi universali.
8) Rispetta i tuoi malati e conducili alla guarigione attraverso la via della coscienza che permetterà
loro di ritrovare la libertà della propria espressione.

NUOVA VISIONE ENERGETICA DELL’UOMO


Pensiamo all’estrema complessità degli esseri viventi. Se è vero che in una minuscola goccia di
sangue di 1 millimetro cubo vi sono circa 5 milioni di globuli rossi, è altrettanto vero che un globulo
rosso contiene 280 milioni di molecole di emoglobina, e che una molecola di emoglobina è composta
da circa 10.000 atomi, con una loro precisa collocazione spaziale e strutturale. Questo lascia solo
immaginare quanto sia complicato il nostro corpo (composto da 250.000 miliardi di cellule), e
quanto con la nostra scienza siamo ancora indietro, malgrado tutti i progressi fatti.
Cosa ha in comune il nostro organismo con una stella? Il fatto che entrambi sono costituiti di atomi,
di protoni, neutroni, quark ed elettroni.
Sapete quanti atomi sono contenuti in una capocchia di spillo? Centomila miliardi di miliardi! E la
cosa più stupefacente è che gli atomi sono principalmente costituiti di spazio vuoto. Se il nucleo (che
contiene protoni e neutroni) fosse grande quanto una moneta da 1 centesimo di euro, l’elettrone più
vicino ruoterebbe a una distanza di mezzo chilometro, come 5 campi di calcio affiancati nella loro
lunghezza. E in quei 500 metri apparentemente non c’è niente, invece esiste uno spazio eterico che è
il trasmettitore vibratorio dell’informazione, uno spazio che non è vuoto, ma senza limiti.
Gli elettroni, che sono vibratori attivi di natura elettromagnetica (ed in questa oscillazione si può
già cominciare a intravedere il concetto universale dello Yin e dello Yang, creato dai cinesi 5000
anni fa, e che verrà ripreso in seguito), rappresentano degli attivatori oscillanti, con una duplice
caratteristica (secondo la teoria della relatività di Einstein): sia onda che particella. In tal modo, si
comportano proprio come la luce, che si identifica sia come un flusso di particelle (quanti di luce o
fotoni) sia come un’onda elettromagnetica.
Il movimento dell’elettrone è governato dal “principio di indeterminazione di Heisenberg”,
scienziato contemporaneo di Einstein, che afferma: “È impossibile conoscere con la necessaria
precisione e nello stesso momento sia la posizione che la velocità di un elettrone”. Esso rappresenta
l’elemento chiave di ciò che verrà affermato nelle pagine seguenti, perché solo intuendo l’importanza
del concetto della indeterminazione, che dovrebbe essere applicato anche nella realtà quotidiana, è
possibile astrarsi dal campo mentale che permea con la razionalità e la logica tutto il nostro modo di
pensare e le nostre azioni, e comprendere che anche nella vita quotidiana l’osservatore può essere in
grado di modificare il fenomeno osservato. Quindi l’oggettività (che la scienza proclama come il
paradigma basilare di ogni nuova acquisizione e informazione) è solo un’utopia.
Questi sono i fondamenti della meccanica quantistica, che rende impossibile prevedere con
assoluta precisione e certezza ogni fenomeno, accontentandosi della probabilità. Ogni elettrone orbita
intorno al nucleo alla velocità di milioni di miliardi di giri al secondo, comportandosi come un’onda
che salta da un’orbita all’altra; eppure potremmo considerare i pacchetti di onde come se si
raggruppassero tutti insieme, concentrandosi in un punto, con un comportamento corpuscolare.
La Terra si muove intorno al Sole alla velocità di 260 Km/sec.; noi non abbiamo coscienza di
questo movimento, come non ne abbiamo dell’energia che circola nel nostro organismo, e che rende
possibile la vibrazione dell’Universo dei 250.000 miliardi di cellule umane, come una sinfonia che
s’iscrive in un grande concetto cosmico, e attua quel principio di esistenza che permette la
manifestazione della materia.
L’uomo, secondo i cinesi, è un microcosmo, e i suoi organi e le cellule vibrano in armonia con il
grande ritmo del macrocosmo; dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, si ritrova la stessa
unità della creazione. Ermete Trismegisto nel primo secolo d.C. aveva già postulato i principi
fondamentali della nuova fisica con il celebre motto “ciò che è in alto è come ciò che è in basso”.
Quindi: come nel microcosmo, così nel macrocosmo, come nell’atomo, così nell’Universo, come nel
corpo umano, così nel corpo cosmico, come nella mente umana, così nella mente cosmica.
L’uomo è un trasmutatore d’energia, che si alimenta assumendo quotidianamente i prodotti della
terra o gli animali che si nutrono di tali prodotti, e li trasforma, allo scopo di avere i mezzi energetici
per far funzionare il proprio metabolismo; quindi capta le energie provenienti dal nucleo della Terra
e le trasforma attraverso il suo corpo.
Il nucleo cellulare corrisponde al modulo di comando della cellula, la memoria genetica in
relazione totale con il vissuto dell’individuo che partecipa all’evoluzione della specie.
L’uomo, come sistema dinamico, può essere visto come espressione d’energia organizzata, o
informata. L’informazione è proprio quel particolare tipo di energia richiesta per un lavoro utile al
sistema, cioè quello di stabilire ordine.
L’unità di misura dell’informazione è il “bit”, definibile come la quantità d’informazione necessaria
per effettuare una scelta tra due possibilità alternative (es. bianco/nero, acceso/spento, aperto/chiuso,
0/1, ecc.); anche in tal caso si può notare la stretta somiglianza tra questa concezione moderna
dell’informazione e quella relativa al sistema Yin/Yang dei cinesi.
Lo Yin (il femminile) e lo Yang (il maschile) sono i due elementi che permettono la manifestazione
della materia. Tutta la vita si basa sul principio binario, e senza questo principio di dualità non vi
può essere presa di coscienza né manifestazione. Infatti, la dualità permette l’identificazione di un
elemento in rapporto all’altro. Il freddo non può esistere senza il caldo, né la luce senza il buio, la
materia senza energia; lo Yin e lo Yang esistono ovunque e sono iniziati dal momento della creazione
dei mondi, ossia dal Big Bang. Essi compongono il Tao, cioè tutto ciò che esiste, quindi il sistema
dualistico esiste per permettere l’espressione del Tao.
Questo è il momento in cui un principio unico, il Tao (sistema monistico, cioè unico) si divide in un
sistema dualistico per realizzarsi attraverso questa doppia polarità, che è il punto di congiunzione e
di passaggio tra il mondo della non-manifestazione e quello della manifestazione, tra l’energia e la
materia.
Ogni essere umano riesce a valorizzare il giorno perché c’è la notte, la donna perché siamo uomini,
l’uomo perché siamo donne. Invece noi separiamo, e questo è il primo vero peccato, quello originale.
Separazione è rinnegare la nostra vera origine.
L’uomo nasce da due cellule Yin e Yang (ovulo e spermatozoo) che si combinano per ritrovare
un’unità. L’equilibrio Yin-Yang induce un’oscillazione permanente della vita, attraverso una
trasformazione costante che si realizza a livello di collegamento dell’individuo con i piani cosmici.
Da questo piano binario si passa a un sistema ternario, di tipo antropocentrico, cioè con l’uomo al
centro della realtà: Cielo-Uomo-Terra. Occorre perciò considerare l’essere umano come un
individuo complesso, cioè un sistema le cui componenti sono molteplici, diverse tra loro e in
dinamica interazione, e che soprattutto contiene un numero di informazioni di grado superiore alla
somma delle sue parti. In tal modo il sistema-uomo si oppone alla seconda legge della
termodinamica, che afferma che ogni sistema isolato, entro cui avvenga qualsiasi trasformazione, è
soggetto a una serie di processi che lo spostano verso uno stato d’aumento dell’entropia (vale a dire
del disordine delle particelle di un sistema). La vita implica necessariamente il convertire energia,
lavorare continuamente contro il disordine, che è l’equilibrio termodinamico della morte, dove il
movimento cessa, strutture e molecole complesse si disgregano, l’ordine decade.
Mentre nei sistemi chiusi l’entropia aumenta inevitabilmente, in altre parole si degrada la qualità
della sua energia, un sistema aperto come l’uomo subisce anch’esso un aumento d’entropia se non
riesce ad aumentare il proprio grado d’organizzazione. Poiché l’entropia viene a dipendere anche
dall’interscambio d’energia, informazione e materia con l’esterno, è proprio grazie a tale scambio
che l’entropia può avere segno negativo. Ciò probabilmente si sta verificando anche nell’intero
Universo, che è in espansione, quindi si può ritenere che in esso l’entropia totale sia in diminuzione.
Nell’uomo vi è un flusso in entrata (ad esempio, cibo, luce solare, ossigeno) e un flusso in uscita
(scorie, metaboliti, irradiazione termica, anidride carbonica). L’esistenza di questo flusso garantisce
che il sistema-uomo, almeno per un certo periodo, possa organizzarsi e sopravvivere. La vita si
mantiene e si riproduce come un evento termodinamicamente lontano dall’equilibrio, grazie
all’interscambio d’energia e di materia che il sistema vivente instaura con l’ambiente.
Un uomo potrebbe quindi essere considerato un’isola complessa d’ordine parziale, che si mantiene
per un certo tempo a spese dell’aumento d’entropia dell’ambiente. Tale interazione produce strutture
spazio-temporali, forme e comportamenti caratteristici e nuovi, rispetto a quelli prodotti dalle
singole parti. Queste strutture comportamentali degli esseri viventi sono anche dette “dissipative”,
perché la loro stabilità interna dipende dal flusso di energia che le attraversa e che viene in parte
dissipato. Quindi la vita potrebbe essere definita come un “disequilibrio controllato”, nel quale
l’uomo è perennemente sospeso tra ordine e caos, e la sua vita diventa partecipe di queste due
fondamentali caratteristiche della materia, che sfrutta in modo finalisticamente orientato alla
sopravvivenza.
Le leggi della fisica e della chimica costituiscono dei vincoli inevitabili cui i sistemi viventi
devono obbedire, ma esse non determinano necessariamente quale scelta deve essere fatta per
mantenere l’organizzazione, cioè la sopravvivenza o la guarigione dalle malattie. Quindi la biologia
non può essere ridotta alle sole leggi della chimica o della fisica, e per comprendere la vita si
devono considerare altre proprietà caratteristiche.
Una di queste è la “teleonomia”, che considera il carattere finalistico degli esseri viventi, vale a
dire che i processi vitali di cambiamento e trasformazione sembrano sempre avere uno scopo.
Ciascun essere vivente è dotato, sin dall’inizio, di un progetto, nel quale le strutture e le funzioni
degli organismi viventi sono flessibili e possono adattarsi all’ambiente. La malattia si sviluppa
quando viene meno il progetto, e la vita diventa afinalistica, senza un obiettivo finale.
Lo scopo essenziale dell’avventura umana è di diventare più di quello che si era al momento
dell’arrivo sulla Terra. Conoscere se stessi e il proprio dovere in questo mondo può essere
un’incredibile sorgente di forza e di guarigione.
Inoltre in un sistema complesso come l’uomo, l’ordine e il disordine convivono e collaborano al
funzionamento del sistema stesso, garantendo il primo una costanza dei parametri e uno scambio
efficace d’informazioni, e il secondo la presenza di novità e diversificazione. Questo secondo ordine
di parametri è costituito dai virus, dai batteri, dai miceti (funghi), dai parassiti, che troviamo
implicati nelle malattie probabilmente non come agenti causali, ma come elementi che innescano le
infiammazioni, che rappresentano l’elemento principale del “disequilibrio controllato” che ci
mantiene in vita; che l’infiammazione possa essere una situazione utile al sistema vivente sembra
un’affermazione assurda, abituati come siamo a utilizzare in medicina convenzionale il maggior
numero possibile di farmaci antinfiammatori per spegnere l’infiammazione, come un fuoco che va
spento all’inizio per evitare un incendio. Eppure è proprio l’infiammazione che ha permesso la vita e
ci mantiene in vita: vivere è infiammarsi, difendendosi dalle tossine accumulate, e l’infiammazione è
proprio un meccanismo di disintossicazione per mezzo del quale vengono bruciate tossine in eccesso
accumulate nel tessuto intercellulare, cioè nel mesenchima, ed equivale a un processo di difesa che
consente agli organismi di sopravvivere.
Paradossalmente, almeno per chi è abituato a ragionare secondo gli schemi classici della medicina
convenzionale, è possibile definire l’infiammazione (e quindi la stessa malattia) come un tentativo di
guarigione biologicamente adeguato. Pensate che il filosofo Parmenide, 500 anni prima della nascita
di Gesù, aveva già chiaro questo concetto quando affermava: “Se mi fosse dato il potere di generare
la febbre, potrei guarire ogni malattia!”. Infatti una febbre a 39° neutralizza tutte le informazioni
negative tossiche accumulate nel mesenchima degli esseri viventi, come un “reset” effettuato da un
operatore informatico che reimposta i programmi del computer. Eppure oggi dopo 2500 anni abbiamo
paura della febbre, e gli antipiretici sono i farmaci più venduti e reclamizzati nella pubblicità, perché
la febbre, come vediamo negli spot televisivi, ci fa perdere tempo utile per il lavoro e gli
appuntamenti del tempo libero!
L’infiammazione di base è proprio la temperatura basale del corpo, che aumenta in caso di febbre
grazie all’azione dei batteri, che possono essere considerati come i fiammiferi del mesenchima
attraverso la produzione di un enzima (la ialuronidasi), paragonato all’effetto dell’alcool versato sul
fuoco.
È proprio la caoticità del sistema uomo che conferisce a esso una flessibilità tale da poter variare
con facilità il proprio comportamento, per adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente. Il caos è quindi un
comportamento della materia, che indica una serie di fenomeni variabili, ma soggetti a leggi di tipo
deterministico; nella variabilità dei fenomeni dell’essere umano si deve cercare di distinguere il vero
disturbo, legato a fluttuazioni del tutto casuali e disordinate, dall’oscillazione che si presenta con
caratteri di aperiodicità per ragioni comprensibili e spiegabili. Infatti, nei sistemi biologici esiste
un’ampia serie di fenomeni oscillatori, con periodi variabili da pochi millisecondi (oscillazioni dei
recettori acustici, attività dei neuroni cerebrali) a secondi (battito cardiaco, respirazione), a ore
(ritmo sonno-veglia), a giorni (ciclo ovarico), mesi e anni (variazioni metaboliche stagionali, o la
stessa vita).
In altre parole, tutti i fenomeni interessanti per la vita sono ritmici. L’analisi dei bioritmi e lo studio
dell’orologio biologico cinese (secondo il quale ogni 2 ore del giorno una loggia energetica
costituita da due organi accoppiati del corpo arriva al massimo dell’energia che fluisce all’interno
dei meridiani di agopuntura) mostrano l’incidenza del tempo sul nostro comportamento o sul nostro
stato organico, che sono in relazione costante con i ritmi cosmici. Il battito cardiaco, il ritmo
respiratorio, i flussi ormonali e il ciclo mestruale della donna sono manifestazioni di quest’orologio
cosmico che abbiamo in noi stessi.
La patologia incomincia come perdita di collegamenti tra gli elementi del sistema globale, e ciò
aumenta il disordine del sistema, perché alcuni elementi (cellule, tessuti, organi) sfuggono al gioco
del controllo generale e iniziano a presentare dinamiche proprie, autonome, soggette molto più
facilmente ad ampie oscillazioni. L’oscillazione diventa quindi disordine e assume l’aspetto della
malattia in quanto provoca l’emergere di sintomi e danni consistenti.
Quando si verifica un grave deficit della caoticità, come nell’invecchiamento (modificazione del
connettivo verso la sclerosi, con riduzione della flessibilità, della deformabilità e della vitalità), o
nel pensiero di un ossessivo (che in genere assume comportamenti stereotipati, ripetitivi o fissi), si
possono determinare delle condizioni che possono essere irreversibili, come, a esempio, accade
negli anziani.
Il concetto di oscillazione e di vibrazione ci fa ritornare alle teorie sull’Universo, composto da
atomi che gli antichi greci ritenevano indivisibili, mentre la fisica moderna ha dimostrato che sono
composti di un nucleo (formato da neutroni e protoni) circondato da elettroni. Ogni protone è a sua
volta costituito da 3 quark, e secondo la “teoria delle superstringhe” ogni quark non è un oggetto
puntiforme, ma è formato da microscopici filamenti, come corde chiuse ad anello e in vibrazione, con
diversi valori di tensione. Le stringhe sono le componenti ultime della materia, e differiscono tra loro
solo per il modo in cui vibrano; è la vibrazione che determina se corrispondono a un quark, a un
fotone o a un elettrone, e con tali vibrazioni l’Universo suona come una sorta di sinfonia cosmica,
con tanti strumenti, uno dei quali siamo noi, che insieme alle galassie, alle stelle, ai pianeti
contribuiamo all’armonia della musica.

L’OMEOPATIA E IL FENOMENO DELLA RISONANZA


Il comportamento di un sistema fisiologico dipende sempre dalla rete di relazioni entro cui lo
stesso si trova a operare. Questo è l’antico concetto del “terreno” di Hahnemann, fondatore della
medicina omeopatica, che tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 intuì nella malattia l’importanza da
attribuire al particolare tipo di reattività endogena (determinata dalle condizioni genetiche e dalla
storia dell’individuo), che s’inserisce su quella legata a fattori perturbanti contingenti esterni, di
natura chimica, fisica o biologica. L’omeopatia nasce proprio dall’esigenza di coniugare individuo e
ambiente, mente e corpo, analisi e sintesi, fisica e filosofia. Dall’intuizione di Hahnemann ricaviamo
un principio importantissimo: non esiste nessuna malattia senza un malato, e i sintomi compaiono in
seguito a un’alterazione dell’equilibrio dell’intero organismo. La “predisposizione ad ammalare” si
forma negli anni con l’assimilazione di schemi di relazione che impediscono di mantenere
un’adeguata osmosi tra l’individuo stesso e l’ambiente.
In omeopatia il farmaco altamente diluito e dinamizzato, contenente poca materia del soluto
originale (o nessuna, secondo la diluizione), possiede un alto contenuto informazionale, capace di
determinare un orientamento verso una riorganizzazione terapeutica (una specie di catalizzatore
d’ordine).
Gli esseri viventi sono capaci di sentire minime perturbazioni, soprattutto quando a tale sensibilità
sono predisposti dal processo patologico. Essi rispondono ad alcune frequenze specifiche di campi
magnetici molto deboli, dei quali è depositaria l’acqua, come veicolo d’oscillazioni
elettromagnetiche.
L’informazione, ricevuta, amplificata ed elaborata da uno o più sistemi di regolazione, riesce a
contrastare l’effetto del disordine indotto dal fattore patologico (ad esempio, un inquinante
ambientale, o un’emozione negativa) che ha perturbato la normale omeodinamica dell’organismo. Se
ci si riferisce al campo delle alte diluizioni, è chiaro che una simile informazione deve basarsi sulla
permanenza dell’immagine del composto originale (di origine vegetale, animale o minerale) nel
solvente (acqua o alcool) sottoposto a successive diluizioni e dinamizzazioni (cioè, agitazioni
oscillatorie).
Per “immagine” non si intende solo una geometria spaziale, ma anche un ordine spazio-temporale,
sotto forma di una certa frequenza di oscillazione delle molecole o degli scambi protonici a livello
dei legami idrogeno. Per “forma” si intende quindi l’unione di informazione e di memoria,
caratteristiche veicolate entrambe dalle frequenze elettromagnetiche contenute nei rimedi omeopatici.
La malattia non è quindi soltanto un’anomalia funzionale o strutturale molecolare (come nella
visione accademica), ma anche un disturbo di tutta una rete di comunicazioni elettromagnetiche
basate su interazioni a lungo raggio tra elementi (molecole, centri nervosi, organi) che oscillano a
frequenze coerenti e specifiche, cioè capaci di risonanza.
Si tratta allora di un disturbo degli oscillatori interni e delle loro comunicazioni. Un disturbo
dell’oscillazione e della comunicazione a essa collegata può essere riportato all’equilibrio mediante
“sintonizzazione”, cioè mediante il cambiamento della frequenza imposto dall’interazione con un
altro oscillatore, come in una radio quando si verifica che il canale sul quale siamo sintonizzati
comincia a essere disturbato, per cui siamo costretti a spostare leggermente il cursore, fino a che
l’ascolto avviene di nuovo in modo normale.
Il fenomeno della risonanza, ben noto in fisica, evidenzia che un sistema, caratterizzato da una
propria frequenza d’oscillazione, può entrare in vibrazione se sollecitato da frequenze vicine a quelle
proprie del sistema stesso (onde sonore, elettromagnetiche o vibrazioni meccaniche). Se questo è già
in oscillazione, la risonanza può amplificarne notevolmente l’ampiezza, qualora le onde si
sovrappongano; mentre si può verificare anche il caso opposto, di arresto dell’oscillazione, se
l’interazione è tra due onde di frequenza uguale ma di fase opposta. La risonanza è quindi un modo
con cui un’informazione si trasmette tra due sistemi simili senza modificazioni strutturali, senza
passaggio di materia, attuando la trasmissione di un segnale di natura energetica.
Per esempio, in un dòmino la spinta alla prima tavoletta farà cadere tutte le successive, ma le
tavolette rimarranno al loro posto e saranno identiche a quelle di prima; ciò che verrà trasmessa è
solo l’energia impressa alla prima della serie. Oppure lanciando un sasso in uno specchio d’acqua
piatto si avrà la formazione di un moto oscillatorio che darà vita a onde circolari che si allontanano
dal punto in cui è caduto il sasso. Anche in questo caso non vi è spostamento d’acqua, ma solo di
energia. Per verificare che sia veramente così, possiamo mettere un pezzetto di sughero in un punto
dello specchio d’acqua investito dalle onde. Notiamo come il sughero non si sposta, ma subisce solo
un abbassamento e un innalzamento in senso verticale, senza cambiare la sua posizione in senso
orizzontale. L’onda, perciò, non trasmette materia, altrimenti il sughero si sposterebbe, bensì
trasporta, tramite vibrazioni, dell’energia che procede da un punto dell’acqua a un punto vicino.
Nel caso in cui siano più fonti a propagare onde, si possono registrare degli effetti diversi. Come
esempio, prendiamo una corda sufficientemente lunga e a ciascuno dei due capi diamo un colpo
oscillatorio tale da generare la propagazione di un’onda; ne verrà fuori che le due onde, pur
incontrandosi, proseguono il loro percorso rimanendo immodificate sia per velocità sia per forma. È
interessante notare, però, che nel punto in cui s’incontrano esse generano un’escursione che è la
somma delle onde stesse.
Ammesso che le onde generate siano di uguale grandezza, aventi cioè uguale fase, si avrà,
analogamente, una loro sommazione nel momento in cui s’incontrano. Se, invece, le onde generate
alle due estremità hanno una fase opposta, nel momento in cui s’incontrano si annullano a vicenda. Ne
deriva, in conclusione, che due onde identiche, in fase, nel momento in cui interferiscono, generano
un’onda di ampiezza doppia. Due onde identiche, ma in opposizione di fase, interferiscono
annullandosi e quindi distruggendosi. Per lo stesso motivo, due suoni possono interferire e annullarsi
tanto da generare silenzio, proprio come due sorgenti luminose identiche, in opposizione di fase,
possono combinarsi e determinare il buio. Quando le onde sono in fase e s’incontrano, si stabilisce il
fenomeno della risonanza.
La risonanza, giova ripeterlo, è una legge naturale che si realizza quando un sistema vibrazionale
viene sollecitato da una forza energetica esterna avente stessa frequenza, tanto da determinare un
aumento dell’ampiezza di vibrazione.
Esistono tante corde in vibrazione che generano frequenze che viaggiano verso di noi. Nel nostro
organismo esse generano effetti solo se entrano in risonanza con uno spettro di frequenze che va da 1
Hz a 10 Hz; i fenomeni compresi in tale spettro frequenziale sono importanti in quanto stabiliscono
dei campi di forze che sono determinanti per la nostra esistenza.
Il campo magnetico terrestre viene determinato dalla composizione mineralogica della crosta
terrestre, ma, guarda caso, quest’ultima ha, in termini percentuali, la stessa composizione del nostro
organismo, così come quest’ultimo ha la stessa percentuale di acqua della terra (circa il 75%). Ogni
parte del nostro corpo, d’altro canto, è dotata di una propria capacità vibrazionale rientrante in uno
schema risonante globale, ed esso, per intero, a sua volta vibra con l’ambiente in cui è immerso.
Ecco perché l’uomo è un microcosmo immerso nel macrocosmo universo, rispondente alle stesse
leggi e alle stesse regole, quelle dell’armonia e della risonanza vibrazionale, per cui qualsiasi
alterazione di tale fenomeno produce dissonanza, squilibrio, disarmonia, malattia. L’insorgenza di
uno squilibrio determina, in sostanza, la formazione di oscillazioni patologiche nell’organismo.
Queste, sovrapposte a quelle fisiologiche, determinano campi di disturbo dell’equilibrio globale.
L’omeostasi degli esseri viventi può essere mantenuta solo con un enorme dispendio energetico,
mediante un flusso di informazioni costante che renda possibile l’altissimo grado di ordine dinamico
dei tessuti (entropia positiva o negentropia).
Un farmaco omeopatico altamente diluito, ma veicolante un gran numero d’informazioni altamente
specifiche, può essere visto come una piccola quantità di materia contenente elementi oscillanti
coerentemente in fase, capaci di trasmettere con un processo di risonanza tali frequenze oscillatorie
ai liquidi biologici, o alle macromolecole di membrana, o ai recettori, o ai batteri, o ai virus, inseriti
in un sistema disregolato o in equilibrio precario tra ordine e caos.
A questo livello di “frontiera”, minime variazioni delle condizioni del sistema (quali quelle indotte
da una minima risonanza oscillatoria) possono avere un ruolo decisivo sulla successiva evoluzione
del sistema stesso. Poiché le cellule percepiscono i diversi stati di coscienza, attraverso i differenti
canali che inviano l’informazione, se percepiscono un’informazione energetica alterata non potranno
più compiere la loro funzione; così, se un individuo si arrabbia, le cellule della colecisti
(rappresentata secondo la medicina tradizionale cinese dalla loggia energetica della vescica biliare,
che si collega alla rabbia come emozione negativa) risentiranno di questa perturbazione energetica
legata allo stato di coscienza dell’individuo.
Bisogna dunque imprimere alle cellule del corpo il nostro stato di coscienza, fornendo a ognuna il
supporto vibratorio adeguato a farla partecipare alla realtà esistenziale della manifestazione, dove
ogni uomo trasforma coscientemente o inconsciamente le energie. In che modo è possibile realizzare
questo meccanismo, che appare arcano e quasi esoterico? Lo vedremo in seguito.
È certo che oggi viviamo in un’epoca in cui i valori più sicuri dell’uomo stanno per crollare,
perché entriamo in risonanza spesso esclusivamente con i piani più bassi (quelli legati alla materia),
che ci escludono dalla realtà profonda della nostra esistenza. Molte persone, che si definiscono
religiose, credono in una realtà energetica dell’uomo, oltre la morte, ma non hanno approfondito la
nozione vibratoria e il vissuto delle dualità di queste energie, che, a seconda del livello di
manifestazione, esprimono una dimensione spirituale o materiale.
La realtà energetica di queste leggi si dimostra in ogni individuo, perché ciascun essere ha in sé
questi principi universali, che si esprimono attraverso il suo corpo e attraverso la malattia. Se viene
curato con una medicina spirituale, come quella omeosinergetica, o come altre che privilegiano
l’Anima alla mente, egli può prendere coscienza della dualità della sua esistenza e scoprire la
possibilità di ritrovare la sua verticalità, mettendo la materia a servizio dello spirito.
È per questo che, quando esiste una mancanza d’armonia nell’ambiente circostante, in seguito a
determinati eventi stressanti (ad esempio, l’assorbimento inconscio d’energie negative dall’ambiente,
o il vissuto di una particolare situazione del passato legata alle paure che tornano alla memoria) può
esserci la messa in risonanza di tale vissuto, tale da far scollegare l’individuo e farlo ritornare, senza
che egli ne abbia realmente coscienza, in una dimensione temporale che non ha niente a che vedere
con il tempo presente. Da questo momento la persona non è più sulla sua identità, non è più sul DNA
vibratorio a livello del suo sé, perciò avviene una depressione e quindi un’involuzione, una
regressione completa su se stesso.
Il terapeuta deve tentare di comprendere a quale livello è presente il blocco, lavorando sulla
successione temporale fino a che il problema in questione non produca più alcun disturbo energetico
e successivamente biologico.
Così come uno psicoterapeuta fa prendere coscienza al paziente della realtà del suo passato che
interferisce nella dimensione del tempo presente, fino a produrre uno sblocco suscettibile di generare
l’adeguato riconoscimento dei conflitti relazionali nascosti, così in una moderna medicina spirituale
occorre ricercare i disordini energetici, trovare i blocchi che si sono formati nei piani situati oltre
quello fisico, e scioglierli. Questo si può fare mettendo in evidenza le energie negative perturbanti
che si trovano a livello di un dato piano, che fanno perdere l’identità all’individuo e lo fanno
ammalare.

I VIRUS, L’INIZIO DELLA VITA E IL TAO


Secondo la medicina convenzionale, le malattie virali sono quelle che più fanno paura al medico,
perché non ha armi sufficienti per combattere i virus, e i pochi farmaci antivirali (compresi i vaccini)
hanno numerosi effetti collaterali sulle cellule sane e sull’intero organismo.
Vediamo cosa sono questi cosiddetti nemici, e perché i virus suscitano ancora oggi tanta paura. I
virus sono entità che rappresentano il confine tra materia vivente e materia non vivente, perché non
hanno vita propria, ma sono informazioni genetiche (acidi nucleici) programmati per invadere le
cellule viventi, e arrivare al nucleo cellulare, loro obiettivo finale, che corrisponde al modulo di
comando della cellula, cioè la memoria genetica che partecipa all’evoluzione della specie.
Tali acidi nucleici sono rivestiti da un involucro proteico, composto da aminoacidi (capside) e, in
alcuni casi, da una membrana di rivestimento esterna.
I virus, per quanto siano in grado di replicarsi solo all’interno delle cellule, sono veramente molto
vicini a essere una forma di vita. Diciamo che rappresentano un “andare verso la vita”.
Occorre chiarire un concetto fondamentale: la differenza tra la vita e la non-vita, tra la materia
vivente e quella non vivente. Noi siamo, infatti, abituati a fare una grande differenza tra le due cose,
come se appartenessero a due mondi completamente diversi tra loro; in realtà tutto ciò che la ricerca
scientifica ci sta mostrando è che si tratta semplicemente di una differenza di struttura.
La differenza consiste nel fatto che i vari atomi siano disposti in un modo piuttosto che in un altro.
Infatti, il nostro corpo è costituito esattamente dagli stessi atomi che si trovano in un sasso (idrogeno,
carbonio, ossigeno, azoto, fosforo, ferro, sodio, potassio, calcio, ecc.); la differenza consiste nel
disporre tutti questi atomi in un certo modo, e allora si ottiene un organismo vivente.
Spieghiamo meglio questo concetto. Attraverso il metabolismo cellulare noi cambiamo senza sosta
tutti i nostri atomi; ogni giorno prendiamo dall’ambiente miliardi di atomi (respirando, mangiando,
bevendo) e ne rigettiamo altri miliardi (sudando, espirando, eliminando rifiuti). C’è un ricambio
continuo di atomi nei tessuti del nostro corpo, nei quali tutte le cellule vengono cambiate nel giro di
qualche mese; e sono oggi interamente costituite da atomi che prima si trovavano nei negozi di
alimentari sotto forma di ortaggi, verdure, carne, pesce, pasta, ecc. E da dove prendiamo l’energia
per far muovere tutto questo? Ci viene dal Sole, perché noi funzioniamo a energia solare.
Quello che è importante sottolineare è che la differenza tra materia non vivente e materia vivente è
appunto una differenza di struttura, cioè di montaggio di atomi. Ciò assume una grande importanza;
infatti, se, per un insieme di circostanze, certi atomi cominciano casualmente ad aggregarsi in certe
strutture, sotto l’azione dell’energia solare, diventa allora possibile innescare un processo che
gradualmente, attraverso un meccanismo di selezione, può portare a strutture sempre più complesse e
funzionanti. Ciò è accaduto nel “brodo caldo” della Terra primitiva, oltre 4 miliardi di anni fa. Ai
suoi inizi l’ambiente della Terra era totalmente inospitale; anche dopo che la crosta terrestre aveva
cominciato a solidificarsi, i vulcani, la lava, i fulmini determinavano un’atmosfera che per noi
sarebbe stata irrespirabile, perché composta da ammoniaca, idrogeno, vapore acqueo, metano (oltre
a idrogeno solforato, anidride solforosa e ossido di carbonio).
Sotto l’azione dell’energia solare e dei fulmini, i gas presenti nell’atmosfera reagirono, formando i
primi composti organici (forse in parte portati anche dalle comete). Questi aminoacidi (che sono i
costituenti delle proteine, cioè i mattoni con cui sono costruite tutte le nostre cellule) riempirono pian
piano gli oceani, dove l’acqua li proteggeva dall’azione dei raggi ultravioletti, e si unirono
casualmente in aggregati più grandi e più complessi, i cosiddetti polimeri.
In questo “brodo caldo” per molti milioni di anni ci fu un rimescolamento di molecole organiche
sempre più complesse e numerose, finché a un certo punto, probabilmente in prossimità delle sorgenti
sulfuree calde dei vulcani sottomarini, emersero delle molecole capaci di stampare delle copie
identiche di sé stesse, utilizzando il materiale ambientale. Queste molecole sono gli acidi nucleici, in
particolare il DNA, che rappresenta il filo conduttore della vita sulla Terra.
Nacque così la replicazione, e la selezione ambientale portò a molecole ancora più complesse ed
efficienti, le quali, unendosi in ulteriori montaggi spontanei e cominciando a replicarsi dentro una
membrana, diedero origine alle prime forme cellulari, e quindi alla vita vera e propria, cioè ai primi
esseri unicellulari (alghe verdi-azzurre o solfo-batteri) destinati poi a evolversi.
La comparsa del DNA sulla terra segna il confine tra la non-vita e la vita, un confine non netto,
perché vi è stata una gradualità nel passaggio, come succede dalla notte al giorno. Tutte le forme
viventi sulla Terra sembrano discendere da una sola partenza avvenuta circa 3 miliardi e mezzo di
anni fa, e cioè dalla molecola di DNA, un modello rivelatosi nel corso dell’evoluzione il più adatto e
il più efficiente, grazie a un lungo processo di mutazione e selezione naturale.
Ciò che più stupisce è che una molecola di DNA sia virtualmente identica in un virus, in un
batterio, in un albero, in una cellula umana. Le informazioni genetiche del DNA sono codificate nella
sequenza delle 4 basi (adenina, timina, citosina, guanina), che sono le lettere del suo alfabeto.
Poiché il numero di basi appaiate varia da circa 5000 per i virus più semplici a circa 5 milioni nei
46 cromosomi umani, le variazioni possibili raggiungono un numero astronomico. Il DNA di una
cellula umana, che esteso raggiungerebbe la lunghezza di quasi 2 metri, può contenere informazioni
equivalenti a 600.000 pagine stampate, ognuna di 500 parole (oppure a una biblioteca di circa un
migliaio di volumi, con una lunghezza lineare di 60 metri). Se tutto il DNA del corpo umano fosse
allineato in un’unica striscia, coprirebbe la distanza tra la Terra e il Sole per 600 volte.
Le 4 basi del DNA recano le istruzioni per creare tutti gli organismi, con ciascun gruppo di 3 lettere
corrispondente a un singolo aminoacido. Esistono 20 diversi “mattoni”, cioè gli aminoacidi, che
combinandosi insieme in una miriade di combinazioni producono tutte le proteine del corpo, dalla
cheratina dei capelli all’emoglobina del sangue.
Il 97% del DNA del genoma umano ha funzioni sconosciute, ed è detto “DNA silenzioso”. Gli
esseri umani possiedono poco più di 30000 geni, non molti di più dei vermi nematodi, che ne
possiedono 19000. Ogni gene è formato in media da 15000 basi, che danno a ciascuna cellula le
istruzioni necessarie a compiere tutte le funzioni indispensabili alla vita.
Come già detto, la vita può esistere soltanto se vi sono due forze opposte e antagoniste, ma allo
stesso tempo complementari, poiché cooperano e si combinano in continuazione, sia all’interno del
corpo sia nell’Universo; esse sono, come già detto, lo Yin e lo Yang, racchiuse nel Tao.
Il concetto del Tao, in realtà indefinibile, può essere inteso come flusso, infinito divenire di tutte le
cose e di tutti gli esseri viventi che allo stesso tempo è unicità immutabile e incondizionata, in un
alternarsi di opposti e di forze complementari e inseparabili.
Il DNA, l’acido desossiribonucleico nei geni, fornisce la base molecolare dell’evoluzione e dirige
e controlla tutte le attività della cellula attraverso il controllo della sintesi degli aminoacidi, che
assemblano le proteine, favorendo la crescita e lo sviluppo dell’organismo.
Se ci riferiamo al Tao, possiamo realmente comprendere cosa sono i virus: essi sono i discendenti
di blocchi di acidi nucleici che hanno acquistato la capacità di una replicazione indipendente, e
quindi sono una parte della strategia con cui il DNA assicura la continuazione della sua riproduzione
e la sua evoluzione. I virus potrebbero essere uno dei due estremi che caratterizzano l’ampia varietà
di molecole di DNA che si sono originate all’interno delle cellule viventi.
Infatti, il DNA vivente è il progetto iniziale della vita, ciò che ha creato la vita (e quindi conserva
in sé il progetto divino); il DNA non vivente dei virus potrebbe essere quella parte del progetto
(software) che dopo la creazione si è dato una capacità di replicazione indipendente dal primo,
proprio perché la vita potesse esistere. Questo perché non può esistere una vita senza una non-vita,
una materia senza un’antimateria, un Universo senza un Universo parallelo.
È la legge eterna dello Yin e dello Yang, del bene e del male, dell’amore e della morte (a-mor,
inteso come dagli antichi Egizi, cioè senza morte, immortale).
A dimostrazione della legge eterna del Tao, che afferma l’esistenza degli opposti e di tutte le loro
sfumature, a proposito del DNA potremmo pensare che a un estremo si trovi il DNA nucleare,
responsabile della sintesi delle proteine (al fine di favorire la crescita e lo sviluppo dell’organismo),
oltre che della proprietà di fornire tutta la discendenza delle informazioni per tale sintesi
(trasmissione ereditaria dei caratteri genetici), mentre all’altro estremo si trova il DNA virale.
A metà tra i due c’è il DNA mitocondriale, trecentomila volte più corto di quello nucleare, che si
trova nei mitocondri, organuli situati da tempi antichissimi nel citoplasma cellulare e che hanno il
ruolo di fornire energia ai processi cellulari. Questi nostri “soli” interni derivano probabilmente da
batteri primordiali, e quindi il loro DNA potrebbe derivare da virus batteriofagi (cioè inglobati dai
batteri), il cui acido nucleico si sarebbe inserito nella struttura del mitocondrio, fornendogli il
combustibile per il funzionamento della centrale energetica.
È interessante, e anche suggestivo, il fatto che durante la fecondazione lo spermatozoo inserisce
nell’ovulo il proprio DNA, ma non i propri mitocondri. Infatti, l’ovulo, una volta inglobato il DNA
dello spermatozoo, continua a funzionare grazie ai propri mitocondri. Quindi i mitocondri che ognuno
di noi ha nelle sue cellule sono quelli della madre, non del padre. C’è, insomma, un filone tutto
femminile di DNA: quello mitocondriale. La centrale energetica delle nostre cellule, responsabile
dell’energia vitale endogena, è solo femminile. Questi dati scientifici ovviamente sconvolgeranno i
maschilisti, convinti che il sesso forte sia quello maschile, mentre è vero che la nostra energia a
livello cellulare, che permette la vita, proviene unicamente dal sesso femminile!

DNA, FOTONI E FLUSSO ENERGETICO


Il flusso del Ki, cioè dell’energia cosmica, normalmente raggiunge il corpo entrando in risonanza
con il DNA, che secondo il tedesco Dott. Popp è un oscillatore fotonico che emette biofotoni. Se si
interrompe tale flusso inizia un processo degenerativo del corpo che si manifesta con malattie sempre
più gravi, fino ad arrivare ai tumori.
Questa teoria si ricava dalle ultime ricerche della fisica moderna, che possono essere sintetizzate
come segue. Siamo abituati a pensare che qualcosa esiste solo quando possiamo vederla, toccarla,
misurarla, esaminarla, giudicarla. Questo bagaglio fa parte del nostro modo di vedere le cose, è
frutto del meccanicismo, è insito nella nostra forma mentale, tanto che ci è difficile pensare
all’esistenza di realtà e forze diverse da quelle che esulano dalla nostra conoscenza razionale.
Una delle cose più difficili da capire è la natura della luce, perché essa non è una cosa oggettiva
che può essere investigata come un qualunque oggetto. Il fotone, ovvero l’unità di luce minima, è
osservabile un’unica volta: la sua identificazione costituisce di fatto il suo annullamento. Quindi “non
possiamo vedere la luce, essa stessa è il vedere”.
La luce è pura azione, come dimostrato da Planck con la sua costante (unità d’azione), che esprime
la relazione tra energia e frequenza, e che spiega che la luce è trasmessa mediante unità intere o
quanti d’azione (“ciascun fotone contiene una certa quantità di energia proporzionata alla sua
frequenza”).
Carlo Rubbia, noto scienziato italiano e Premio Nobel, afferma che nell’Universo il rapporto tra
quanti energetici (fotoni) e particelle di materia (nucleoni) è di circa 1 miliardo a 1, per cui la
materia del mondo visibile è solo la miliardesima parte dell’Universo realmente esistente, costituito
quindi quasi totalmente di energia.
I fotoni, privi di massa, rappresentano i quanti energetici della luce. II fotone, in effetti, rappresenta
una forza energetica che, interagendo con la materia, la compone e scompone. In questa interazione
esso genera un elettrone (con carica negativa) e un positrone (elettrone con carica positiva), cioè due
particelle a polarità diversa che, nel fondersi, spariscono liberando nuovamente un fotone. Questa
fusione appare quasi come un atto d’amore tra due particelle che si uniscono, facendo nascere
un’entità nuova, il fotone, che a sua volta ripeterà l’avventura di nuove forme di materia/energia. La
forza che li lega e li fa fondere è l’Amore, quell’arcano fenomeno di richiamo a una scelta, per cui
due stelle, o due esseri viventi, o due molecole, o due atomi, o due elettroni, anziché disperdersi nel
vuoto si accoppiano per creare qualcosa di nuovo.
Possiamo così definire gli elettroni come entità coscienti, indipendenti, dotati di memoria, e capaci
di assumere una quantità infinita di informazioni, utilizzando le loro particelle di luce (i fotoni); essi
apprendono e registrano informazioni entrando in contatto con altri elettroni con cui sono in affinità, e
scambiandosi fotoni. Questa velocità di comunicazione è istantanea, e trascende lo spazio e il tempo,
come verrà dimostrato più avanti, parlando del principio di Bell.
La materia, quindi, nasce dalla luce (fotoni), ma essa non è altro che energia compressa, congelata,
che a sua volta può ridiventare energia pura e scomparire alla nostra osservazione, pur rientrando
sempre in un modello energetico prestabilito.
Possiamo affermare, in altre parole, che la materia è solo un’espressione visibile e passeggera di
una concentrazione d’energia; ciò che conta, di essa, non è la massa, ma l’energia stessa che la forma
e che viene messa in azione secondo un modello già prefissato.
Da questo concetto deriva che qualsiasi componente dell’universo non esiste a caso, bensì in esso
ogni forma materiale assume realtà secondo un ordine energetico prestabilito che esclude qualsiasi
casualità. L’esistenza di quest’ordine implica dei cambiamenti all’interno di una polarità, per cui a
ogni azione consegue una reazione. L’energia si trasforma da materiale a immateriale, da visibile a
invisibile, nell’ottica dello yin e dello yang, secondo il progetto prestabilito dell’ordine naturale
delle cose. Se parliamo di ordine, però, nell’ambito della polarità che lo regge, dobbiamo parlare
anche di disordine, quale parte implicita e sua fondamentale componente. L’ordine ha in sé l’idea del
disordine e viceversa.
La vita di un essere umano, nella sua evoluzione dinamica, tende all’ordine come espressione di
salute, ma nel momento in cui deve adattarsi alle modificazioni dell’ambiente, deve produrre un
cambiamento, una variazione dell’ordine preesistente, un disordine, per recuperare un ordine
diverso, un’organizzazione che gli permetta di affrontare i nuovi stimoli ambientali.
La malattia, dunque, non è altro che uno stato di confusione, generato da componenti ambientali,
nell’ambito dell’ordine già esistente, che permette all’organismo umano di muovere verso un nuovo
ordine, tale da permettere il mantenimento della propria struttura e da consentire a sua volta il
passaggio verso una nuova organizzazione. Se esistesse solo l’ordine, non vi sarebbe capacità
d’adattamento delle strutture biologiche all’ambiente in cui vivono; d’altro canto, se esistesse solo
disordine, non si potrebbe avere la struttura organizzata delle entità biologiche. Entrambi gli estremi
sono dunque importanti, ciascun principio è contenuto nell’altro e trovano espressione in un divenire
dinamico. Possiamo parlare, paradossalmente, di un ordine disordinato o di un disordine ordinato.
Questo “disordine ordinato” è supportato da 10 ¹8 (cioè, 10 seguito da 18 zeri) reazioni
metaboliche organiche al secondo per ogni uomo, e richiede un trasferimento veloce e preciso di
informazioni all’intero organismo. Secondo gli studi del Dott. Popp a metà degli anni ’80 dello
scorso secolo, nessuna molecola, enzima, ormone o neurotrasmettitore è in grado di fare ciò: solo i
fotoni sono in grado di garantire questo coordinamento in maniera ordinata, ultraveloce e olografica.
Anche Rubbia ritiene che la materia sia subordinata ai processi energetici di natura
elettromagnetica, che gestiscono lo stato di organizzazione dei tessuti, e che sia impensabile il
raggiungimento di tale coordinamento nell’intero organismo tramite la sola rete neuronale.
Popp ha dimostrato che ogni forma vivente rappresenta, in quanto composta da energia, un corpo
vibrazionale, che tutto è in vibrazione, e in particolare che esiste una radiazione fotonica ultradebole
che si manifesta in tutti gli organismi viventi, la cui rilevanza aumenta con il loro grado di
evoluzione. L’intensità di tale forza è estremamente debole, ma la sua coerenza (relativa alla
specificità del messaggio) è elevatissima, e caratterizzata da una frequenza di emissione specifica
per ogni specie vivente.
L’emissione fotonica dell’uomo va dai 10 ai 1000 fotoni al secondo; tali fotoni sono prodotti dal
normale funzionamento delle cellule, e sono un importante e velocissimo sistema informativo a
distanza, sia intra che extracellulare. Ogni cellula vivente è un risonatore elettromagnetico in grado di
emettere e assorbire radiazioni di frequenza molto alta. Il risonatore chiave all’interno della cellula è
la catena del DNA, la cui elica, con la propria frequenza oscillatoria, rappresenta un produttore,
accumulatore e un emettitore di fotoni; tale emissione è direttamente proporzionale al grado di salute
delle cellule.
Quindi il DNA si comporta come un laser, che emette radiazioni coerenti e sincrone, cioè fasci di
onde allineate in fase, con la stessa frequenza e lunghezza d’onda, per cui l’informazione rimane
specifica perché la coerenza non permette che si perdano o acquistino ulteriori informazioni durante
il tragitto.
Ciò comporta che il trasporto di energia avvenga senza perdite, in quanto viene annullata la
possibilità di interferenze, oltre a essere aumentata la possibilità di identificazione e migliorata la
capacità di trasmissione delle informazioni. Questo è molto importante per l’omeostasi, in quanto le
informazioni fotoniche mantengono i contatti tra le varie strutture del corpo, formando una rete
informazionale che salvaguarda da tutti i segnali di fondo incoerenti provenienti dall’organismo
(metalli pesanti, pesticidi, microrganismi) o dall’esterno (onde elettromagnetiche).
Il Ki dei meridiani di agopuntura è, perciò, un flusso fotonico.
SECONDA PARTE
LE LEGGI DEL PRINCIPIO LOLA (ARALA):
LEGGE DI AZIONE-REAZIONE (A.R.),
LEGGE DELL’AMORE (A.),
LEGGE DEL LASCIAR ANDARE (L.A.)
IL TERRENO DELLA MALATTIA
Un virus, un batterio, una persona che giudichiamo negativi agiscono fin quando esiste un terreno a
loro idoneo. Quindi Hitler, Osama Bin Laden, Saddam Hussein, ecc, hanno ideato e fatto compiere i
loro crimini contro l’umanità perché si sono realizzate delle situazioni di base che hanno permesso
loro di concretizzare le proprie idee.
Il terreno sul quale si sviluppa la malattia, o nascono e si sviluppano tutte le sofferenze umane, è
costituito da diverse situazioni comportamentali, che sono:

1) giudicare sul bene e sul male;


2) non sfruttare tutte le nostre potenzialità;
3) scaricare sugli altri le nostre responsabilità;
4) intromettersi negli affari degli altri.

1) La prima è il nostro continuo giudizio sul bene e sul male; pronunciamo continuamente giudizi su
noi stessi, sugli altri, sulle situazioni. Il problema è che ciò che è bene per me può essere male per
un’altra persona, e in tal modo si instaura un conflitto, all’interno di ogni uomo e tra esseri umani.
La distinzione tra bene e male non ha nulla a che fare con le leggi naturali della vita. Infatti, bene e
male sono concetti morali dell’uomo che cambiano nel corso del tempo e che variano da regione a
regione. Probabilmente il paradiso di Adamo ed Eva, prima che mangiassero la mela dell’albero
della “conoscenza del bene e del male”, non era un luogo fisico, ma una condizione in cui non
esisteva distinzione tra il bene e il male, dove non esisteva la necessità di giudicare.
Quindi ogni uomo potrebbe trovarsi subito in paradiso, se smettesse di giudicare e di dividere il
mondo in bene e male. L’inferno non è un luogo, ma l’insieme dei modi di pensare della mente umana,
che sono manifestazioni differenti del dualismo. Per uscire dall’inferno, l’individuo ha bisogno di
un’energia speciale: la sua volontà di osservare se stesso.
Ricordo il caso clinico di un uomo che stava vivendo un grave periodo di depressione in seguito ai
contrasti quasi quotidiani con la moglie; tra di loro non era possibile ormai dopo molti anni alcun
tipo di rapporto, e comunicavano solo indirettamente attraverso i figli, vittime sacrificali dei loro
disaccordi. Eppure, di fronte alla più ovvia constatazione, cioè di lasciare la propria moglie e rifarsi
una vita, egli ribadiva che, essendo un fervente cattolico, era contrario ideologicamente al divorzio, e
che se questo fosse avvenuto, la sua Anima avrebbe meritato l’inferno. Quest’uomo stava vivendo
l’inferno già sulla Terra, senza rendersene conto, subendolo quasi come una sorta di espiazione dei
propri peccati, e avviandosi sempre di più verso la malattia.
Il paradiso, come l’inferno, è uno stato interiore, ed è possibile passare dai bassi livelli energetici
dell’inferno ai livelli infiniti del paradiso, se cambiamo il nostro modo di pensare, il nostro
comportamento e la nostra interpretazione della realtà. La realtà dipende da come l’uomo concepisce
se stesso, la vita e la morte; per conquistare il paradiso dobbiamo solo comprendere e accettare tutte
le nostre esperienze e perdonare noi stessi e gli altri.
La distinzione tra bene e male è una caratteristica solo umana; infatti, la Terra non giudica, il Sole
illumina sia i buoni che i cattivi, e la pioggia scarica la sua acqua sui malvagi e sui giusti, come
descritto nel Vangelo di Matteo.
Eppure è comodo condannare gli altri, giudicandoli peggiori di noi; così il sentirmi migliore
rispetto all’altro che ho appena giudicato mi può dare una piacevole sensazione di superiorità, ma è
proprio questo che può farmi ammalare, perché toglie l’armonia dalla mia vita, creando
continuamente conflitti interpersonali. e un’altra cosa molto interessante è che spesso quello che
condanniamo come male in un certo momento assume un aspetto positivo, o almeno un significato
molto meno negativo, in un tempo successivo.
Per questo motivo, il paradiso è qui, è già tra noi, distante da noi un solo pensiero; ma questo non è
un pensiero di altri, ma il nostro pensiero, perché non possiamo aspettarci che qualcuno trovi il
paradiso al posto nostro. Ogni giorno che giudichiamo, ci allontaniamo dal paradiso. Gesù diceva:
“Non giudicate, se non volete essere giudicati”.
Ecco perché il male è quel bene che non sappiamo ancora accettare, e il negativo è quel positivo
che non sappiamo ancora comprendere.

2) La seconda cosa grave che compiamo, avvicinandoci alla malattia, è quella di non sfruttare tutte
le nostre potenzialità, anzi siamo bravissimi a privarci dei nostri poteri e a renderci completamente
impotenti. Infatti, un essere potente è colui che è pienamente responsabile della propria vita, mentre
la maggior parte delle persone amano fare la vittima, così si ha la possibilità di lamentarsi e di
attribuire ad altri la responsabilità dei propri fallimenti. Una persona che ragiona in questo modo si
fa condizionare dalle proprie paure, che derivano dal fatto che siamo insicuri interiormente; chi si
sente insicuro è naturalmente un essere impotente ed ha paura di tutto o quasi, ha scarsa fiducia in se
stesso e nel mondo.
La paura ci induce ad aggrapparci ai giudizi, ai sistemi di credenze, alle persone, sperando in tal
modo di trovare sicurezza, identità, orientamento. Ma in tal modo, le conseguenze diventano pesanti;
infatti, tenendoci aggrappati a qualcosa o a qualcuno, blocchiamo la vita e la nostra evoluzione. È la
stessa cosa che si verifica quando cediamo il nostro potere ad altri, che si prendono il diritto di
decidere su ciò che è peccato e su ciò che non lo è, e in tal modo prendono il potere sugli uomini
“peccatori”. Infatti, indurci a sentire noi stessi come peccatori significa farci venire i sensi di colpa,
a causa della coscienza sporca. E la coscienza sporca ci rende manipolabili, legati. Ciò che è legato
non si muove, e ciò che è immobile muore.
La paura è il contrario dell’amore, ed essa ci fa morire, perché blocca la nostra evoluzione e rende
sterile la capacità di pensare. Inoltre se io ho paura attiro ciò che temo, perché “il simile attira il
simile”, e ciò disturba l’armonioso flusso della vita, la nostra energia e la capacità di pensare, la
fiducia in noi stessi e la risoluzione dei nostri problemi quotidiani.

3) La terza cosa grave è scaricare sugli altri le nostre responsabilità; infatti, spesso diciamo: “è
colpa di ….”, ritenendo un’altra persona colpevole, quindi peccatore, e condannandolo.
Il termine “colpa” contiene in ogni caso l’idea del peccato, che è profondamente radicata nella
nostra coscienza. Infatti, quando qualcuno ha colpa, significa che è colpevole e peccatore. Ma se io
non posso fare nulla, allora non ho potere, quindi dipendo dall’altro (es. dal governo, dal mio vicino,
dalla malattia) e questo significa che anche io sono la vittima, mentre l’altro è il potente colpevole.
Così amiamo fare la vittima, perché ciò è comodo, avendo dalla nostra parte la maggioranza degli
uomini, che diventano così vittime di altre persone, vittime della malattie, vittime degli incidenti.
Il normale meccanismo del nostro modo di pensare è che finché le cose vanno bene, ci sentiamo
responsabili; appena succede qualcosa che non ci piace, cerchiamo altrove i colpevoli, scaricando le
nostre responsabilità sugli altri. In questo modo siamo sempre e solo vittime del nostro pensiero.

4) L’altra cosa grave che compiamo è intrometterci negli affari degli altri, dicendo cosa hanno
sbagliato e che cosa dovrebbero fare diversamente. In questo modo giudichiamo gli altri, e i giudizi
creano sempre conflitti. Anzi, sono proprio le persone che hanno conflitti interiori che cercano di
risolvere i conflitti degli altri, affermando che solo loro sanno cosa si deve fare, cosa è giusto per gli
altri. Il problema è che anche gli altri la pensano così di noi, determinando quell’ingerenza reciproca
che è la principale responsabile del fatto che i conflitti non sono destinati a diminuire, come
c’insegna la storia dell’umanità, anche perché ci saranno sempre persone che traggono profitto dai
conflitti.

IL PENSIERO COME CREATORE DELLA REALTÀ


Siamo abituati a cercare sempre fuori di noi l’aiuto che ci serve, le soluzioni dei problemi, le
risposte alle nostre domande, poiché non abbiamo fiducia nelle nostre potenzialità e nella nostra
saggezza, e ancora una volta cediamo il nostro potere agli altri.
A chi ci rivolgiamo per ottenere le risposte che ci servono? Andiamo dai medici, dagli psicologi,
dai sacerdoti, dai maghi, che dovrebbero pensare al nostro posto e risolvere i nostri problemi. In
questo modo deleghiamo agli altri la nostra capacità di pensare, e diamo il nostro potere a un’altra
autorità, sperando che sia capace di fare ciò che noi non sappiamo fare.
Spesso quando siamo affetti da una malattia, diamo tutto il nostro potere ai medici, alle terapie, ai
metodi, rifiutando con tutti i mezzi di riconoscerci come gli unici ad aver potere sulla nostra vita, e
preferendo morire da vittime. Dobbiamo imparare a diventare responsabili delle nostre malattie,
senza imprecare contro il caso o il destino, dobbiamo cercare la verità in noi stessi e assumerci la
responsabilità della nostra vita. Non possiamo stare ad aspettare che altri al posto nostro risolvano i
nostri problemi; dobbiamo smettere di aspettare un aiuto dall’esterno, e questo deve essere vero a
livello individuale, come a livello delle società e delle nazioni. Nel campo della medicina
convenzionale da circa 70 anni ci stiamo complicando la vita, con il perfezionamento sempre più
tecnologico delle indagini diagnostiche, che molti definiscono progresso, che non è stato seguito
dall’evoluzione della tecnica terapeutica farmacologica, nella quale si avverte sempre più la
mancanza del semplice e della verità.
Oggi ci si affida sempre più spesso alla razionalità e all’analisi nel tentativo di risoluzione dei
problemi relativi alla salute umana. La ragione cerca la conoscenza nel mondo esteriore, ma questo
tipo di ricerca è molto limitato, perché la vera conoscenza è interiore. Questo concetto venne intuito
da Socrate con il “Conosci te stesso”, e molti secoli dopo da S. Agostino, che afferma: “Nell’intimo
dell’uomo c’è la verità”. Chi insiste nel credere nella propria mente, tanto meno si fida di se stesso,
della propria conoscenza interiore; è un insicuro che cerca sicurezza nell’analisi razionale, nel
pensiero analitico che fa chiudere la scienza a riccio su se stessa, irrigidendosi nelle false certezze.
La vera conoscenza non è quella ottenuta con l’aiuto della ragione, che spesso distorce la realtà e
limita il potenziale umano, ma quella ottenuta con il pensiero analogico (o comparativo). I medici di
oggi ridono di quelli del 1500, e allo stesso modo i medici del 2500 rideranno di quelli di oggi.
Cerchiamo, quindi, di essere prudenti a condannare le opinioni che non corrispondono ai principi
imperanti. Anche Galileo Galilei fu condannato dagli scienziati del suo tempo. E oggi anche i
bambini sanno che la terra gira intorno al sole, e questa è la dimostrazione che la scienza può
cambiare radicalmente nel corso di pochi anni. Questo esempio può bastare per dimostrare che la
ristrettezza di vedute basata sulla ragione ostacola lo sviluppo umano; la mente cerca nel mondo
esteriore, ma la vera conoscenza, la vera evoluzione provengono dall’interno.
Noi siamo convinti sempre di più dell’importanza della nostra capacità di pensare, ma spesso con
la logica cartesiana unidimensionale e lineare (basata sul “questo o quello”, sul bene o il male) ci
blocchiamo. Dalla storia è evidente che siamo come razza umana programmati ai conflitti, alle
guerre, e quest’idea dell’evoluzione tramite la lotta, la distruzione, l’annientamento del nemico
corrisponde esattamente alla nostra consapevolezza attuale.
La nostra mente giudica continuamente tutto ciò con cui entra in relazione, valuta quello che è giusto
e quello che è sbagliato sulla base del confronto con le sue reazioni alle precedenti esperienze. Tutto
è questione di consapevolezza. Per un neonato, la cui mente ha la sola consapevolezza della realtà
che ha vissuto nel grembo di sua madre e della relazione emotiva con lei, un evento per noi così
bello come la nascita può rappresentare l’esperienza più traumatica della sua esistenza, perché
vissuta come separazione dall’unica realtà che conosce.
Secondo la medicina convenzionale, si pensa che sia necessario combattere e distruggere i nostri
nemici, i batteri, i virus, i funghi, i parassiti, che riteniamo essere entità che ci sfruttano. In realtà oggi
si conosce che è l’aiuto simbiotico che fa avanzare l’evoluzione; infatti, la maggioranza degli esseri
viventi (ad esclusione dell’uomo) ha capito che tutto ciò che vive è in un rapporto di
interconnessione, di cooperazione simbiotica, e che la morte di un “avversario” o di un’intera specie
costituisce sempre anche un pericolo per tutte le altre specie e per l’intero sistema degli esseri
viventi.
In effetti, non esiste solo un “o questo o quello”, un bene o un male (come se la realtà fosse tagliata
con un coltello), esiste anche un “sia questo, sia quello”, sia un bene che un male. Ogni persona
potrebbe trovare nella propria vita esempi di ciò che crea conflitti e di ciò che li risolve. Ma non
avendo imparato a pensare in modo autonomo, facciamo nostra la programmazione dei nostri genitori
e dell’ambiente. Ciò significa che, pur vivendo in un ambiente altamente tecnologizzato, gli schemi
fondamentali del nostro pensiero non sono per niente diversi da quelli di migliaia di anni fa.
L’assurdità è che la nostra capacità di pensare non è affatto riuscita a tenere il passo con la nostra
capacità di produrre e di cambiare il mondo; in tal modo ci siamo tanto concentrati solo sulla
produzione dei beni materiali che non è rimasto tempo per lo sviluppo della consapevolezza
dell’uomo. Oggi abbiamo urgente bisogno di persone che siano in grado di pensare in modo
autonomo e indipendente da qualsiasi dogma, individui che non accettino semplicemente gli schemi
di pensiero esistenti per riprodurli automaticamente, ma capaci di mettere in discussione le idee
tradizionali, con la creazione di idee (inconcepibili dalla mente) che possano mettere in dubbio le
opinioni correnti.
Queste persone coraggiose, che aumenteranno sempre di più, intuiranno che il cambiamento deve
sempre iniziare in se stessi, perché l’idea che debba essere l’altro a cambiare porta inevitabilmente a
un aumento dei conflitti, e quindi dei problemi.
Ogni essere umano è dotato di libero arbitrio e di libera volontà, in pratica può pensare ciò che
vuole; e ciò significa che non siamo vittime o schiavi dei nostri pensieri, bensì ne siamo i creatori.
Tutto è possibile finché disponiamo di libera volontà; che tutto sia possibile significa che la malattia
è possibile, e la salute è possibile.
La libertà di pensare ciò che vogliamo, attraverso il libero arbitrio, che è il dono più bello che Dio
ci ha fornito, significa che siamo responsabili di tutto ciò che pensiamo, e ciò comporta delle
conseguenze, perché il nostro pensiero si ripercuote sui nostri sentimenti e sulle nostre azioni.
Grazie alla libera volontà ogni uomo può in ogni momento cambiare radicalmente il proprio
pensiero, se vuole, e con ciò cambiare il suo futuro. Questo principio della libera volontà è una legge
cosmica perché è l’espressione di un amore totale e incondizionato.
Il concetto che il potenziale umano sia illimitato deriva dal fatto che l’essere umano è costituito da
due realtà. La prima realtà è il campo limitato della nostra razionalità, e di conseguenza dell’analisi;
è il campo dello spiegabile, della pianificazione del futuro. Ma poiché con la ragione non potremo
mai sapere con assoluta certezza che cosa ci riserva il futuro, da questa prima realtà nascono anche il
dubbio e la paura, la paura di fallire, quella di future disgrazie, ecc. È proprio dal pensiero analitico
che nascono tutti i nostri problemi. Con la nostra testa noi giudichiamo (e condanniamo) e
sprofondiamo sempre più nei problemi, come la lotta, il dominio sugli altri, la ricerca di farmaci
sempre più potenti per combattere le malattie. Ciò si deduce dal fatto che il nostro mondo dispone di
una conoscenza come mai prima nella storia, ma poiché tale conoscenza è solo analitica, ciò
determina come conseguenza che il nostro mondo ha tanti problemi come mai prima.
La seconda realtà, che per fortuna è illimitata, è il campo del non-spiegabile, della sintesi e non
dell’analisi. È il luogo dove non si separa, non si analizza, ma si unisce, dove non si vede dualismo
ma unità, dove non si condanna. Questo è il campo dell’eterno “ora” e ciò significa che in esso non si
conoscono né dubbio né paura, perché non si pensa al futuro. Inoltre poiché non esiste neanche il
passato, non esistono neppure sensi di colpa che ci possano tormentare, relativi alle cose che
pensiamo di aver sbagliato.
Questo è il campo della totale fiducia nella vita, nell’intelligenza universale, in Dio. Questo non è
il “pensiero di testa”, ma il “pensiero del cuore”, del sentimento, dell’intuizione, dell’unità, della
nostra conoscenza interiore, che può risolvere tutti i nostri problemi, perché ha informazioni
illimitate.
La domanda che dobbiamo porci è come possiamo attivare l’intelligenza universale che è in noi,
come possiamo dare ascolto al Dio che è in noi. Abbiamo visto come, secondo le più moderne
acquisizioni della fisica nucleare, la vera realtà non è costituita dalla materia, ma dalla
vibrazione/energia. Se tutto è energia, anche i nostri pensieri sono energia, e l’essere umano è
energia; quindi, poiché l’energia non può essere creata né distrutta, ma solo trasformata (questo è il
primo principio della termodinamica), è possibile affermare che l’essere umano è immortale, ha 15
miliardi di anni (che è l’età dell’universo), come afferma il fisico Charon, e nel suo corpo vi sono
alcuni miliardi di elettroni che hanno partecipato al Big Bang.
Se l’essere umano è energia/vibrazione, è possibile cambiare a piacimento le vibrazioni, attraverso
il nostro pensiero, che può sprofondarci nella materia oppure può elevarci fino al cielo, secondo il
principio della libera volontà. Poiché tutto è vibrazione, la malattia è una disarmonia delle
vibrazioni, che può essere influenzata da altre vibrazioni, come le frequenze elettromagnetiche
contenute nei liquidi o nei granuli solidi dei rimedi omeopatici, la musica, i colori, gli aromi e,
naturalmente, anche dal nostro pensiero.
L’uomo è paragonabile a uno strumento musicale non accordato, che produce costantemente suoni
disarmonici, ossia aggressioni, conflitti, emozioni negative. Dobbiamo allora riaccordare lo
strumento musicale “uomo” con l’aiuto del nostro pensiero. Ma nessuno lo può fare per noi; ogni
essere umano è responsabile di se stesso e del proprio pensiero, e quindi delle vibrazioni armoniche
che emette. Se tutto è vibrazione, tutto è modificabile, quindi non esistono malattie incurabili, come
afferma la medicina materialistica, ma persone (dal latino per-sonare, cioè suono che pervade) che si
ammalano perché emettono suoni disarmonici.
La realtà è costituita dalla luce divina, dalla vibrazione universale, e noi possiamo, secondo la
nostra libera scelta, pensarci sprofondati nell’oscurità della materia o elevati nella luce, a seconda
dei limiti del nostro pensiero, della nostra conoscenza. Per secoli abbiamo creduto che esistesse un
mondo oggettivo e unico, esattamente misurabile e quindi uguale per tutti; questo mondo, secondo la
fisica quantistica, non esiste, perché qualsiasi cosa può essere osservata sia come particella, sia
come vibrazione, e ciò dipende dall’osservatore, come afferma il principio di indeterminazione di
Heisemberg. Ciò significa che il mondo è evidentemente influenzato dall’osservatore, e per tale
motivo non è oggettivo e uguale per tutti.
Il fisico nucleare Charon, a tale proposito, ritiene che “il mondo oggettivo non esiste, perché il
mondo è ciò che di esso pensiamo”. Questo significa che solo noi decidiamo quale sia il nostro
mondo, se debba essere buono o cattivo. Non siamo noi a essere in balìa del mondo, è il mondo a
essere nelle nostre mani.
Se il mondo è esattamente ciò che pensiamo di esso, abbiamo un potere enorme sul nostro mondo.
Cosa pensiamo del mondo? Qualunque cosa pensiamo, lo è. Questo è potere. Dunque non esiste solo
un unico mondo, ma ne esistono molti. Ogni persona vive nel mondo che essa si è creata con il
proprio pensiero, quindi è possibile affermare che:
mia moglie è ciò che penso di lei;
mio marito è ciò che penso di lui;
i miei figli sono ciò che penso di loro;
i miei genitori sono ciò che penso di loro, ecc.
Se pensiamo che questa sia teoria, abbiamo ragione: il mondo è ciò che pensiamo di esso! E lo è
anche questo libro e tutti i suoi contenuti. Questo libro non è oggettivo; è tutto ciò che di esso pensate.
Ognuno ha la sua propria verità, che è un sentimento che proviene da dentro. Se esistono molte verità,
è anche vero che sulla verità non si può litigare, perché tutto ciò che riteniamo vero è assolutamente
vero, ma se qualcun altro ritiene vero il contrario, quella è la sua verità.
Questo modo di pensare basterebbe di per sé a far cessare tutte le guerre, tutti i conflitti. A questo
proposito, la saggezza orientale afferma che è vero anche il contrario di ciò che è vero. Quindi non
esiste alcuna verità universale, esterna e oggettiva, ma tale verità dipende dall’osservatore (questo
viene dimostrato proprio dal noto principio fisico di indeterminazione di Heisemberg, di cui
parleremo). Io vedo nell’altro sempre e solo il mio pensiero. Quindi tutto il mondo funziona da
specchio, e noi vediamo in esso sempre e solo noi stessi; vediamo aggressioni, se siamo aggressivi;
vediamo pace, se siamo in pace.
Noi creiamo il mondo con i nostri pensieri, che possono cambiarlo; ciò ci dà un incredibile potere,
secondo la nostra libera volontà. Noi siamo tutto ciò che pensiamo di essere, e tutto ciò che ci
permettiamo di sapere. Quello che siamo, creiamo, perché l’Universo umano traduce in termini fisici
i nostri pensieri. Possiamo essere ciò che vogliamo, basta pensarlo.
Il nostro modo di percepire e di reagire al mondo è una proiezione della nostra coscienza, che per
noi è più reale del mondo stesso. Il pensiero è una vibrazione energetica, e crea una realtà energetica.
Pensare vuol dire creare; questa è l’essenza di Dio. Se ci avviciniamo a questa essenza, possiamo
guarire. Quindi la salute, la gioia e il benessere sono lontani da noi solo un pensiero!
Dobbiamo ripetere il processo di Dio, Colui che è, che all’inizio del tempo ha pensato, poi
sperimentato la sua idea a livello materiale, creando l’Universo e noi.
Ognuno crea la realtà a sua immagine e somiglianza, perciò le cose non accadono a caso. Pensare
in modo negativo vuol dire creare in modo negativo. Se abbiamo pensieri negativi, è assurdo
reiterarli in modo stereotipato, basta farli fluire, allontanandoli da noi, lasciandoli andare via.
Ecco come si esprime Dio nei confronti degli esseri umani: “Io voglio essere quell’Entità che vi
permette di essere ciò che volete; vi permetto tutto, basta che lo desideriate”. Egli si esprime tramite
noi, si realizza con noi! Come siamo importanti!
Inoltre Dio afferma: “Dovunque tu verrai, io verrò con te!” Non “andrai”, come sarebbe scontato,
se dessimo ascolto alla nostra mente, ma “verrai”, perché non possiamo andare da nessuna parte
dove Dio non sia già. Non possiamo neanche andare verso Dio, perché questo presuppone
attraversare un luogo dove Dio non è, e ciò non è possibile. Possiamo solo venire con Dio, viaggiare
dentro di Lui, scorrere in Lui, essere Lui.

TUTTO È CORRELATO (MITAKUYE OYASIN)


Negli anni ’20 dello scorso secolo la fisica quantistica ha sconvolto i principi fondamentali della
scienza, spazzando via molte ipotesi profondamente radicate nell’uomo sulla natura della realtà.
Infatti, la realtà non è come l’abbiamo sempre pensata, perché nell’Universo non esiste separazione,
ma unità. In questa conoscenza sta la soluzione di tutti i nostri problemi. Il sentimento di separazione
è uno dei più grandi problemi che affliggono le persone; sentirsi separati dagli altri, dalla natura e
persino dalla vita è tuttavia un’illusione umana, perché tutto è uno, e nel cosmo non esiste
separazione, esiste solo l’unità. In realtà questa separazione non esiste ed è una sensazione che nasce
dal pensiero razionale. Proprio l’idea della separazione ci fa capire quanto profondamente abbiamo
isolato la mente dal cuore.
Il teorema di Bell, costruito nel 1964 e compatibile con la teoria quantistica, afferma, come sarà
spiegato più avanti, che eventi separati nello spazio non sono indipendenti l’uno dall’altro. Per
questo non esiste alcuna separazione tra gli esseri umani, tra l’essere umano e la natura e tra tutti gli
eventi, qualunque sia la distanza fra di loro. In altre parole, ciò significa che ogni punto
dell’Universo contiene le informazioni sul tutto, e quindi ogni essere umano dispone di tutta la
conoscenza del cosmo. Questo è il principio dell’ologramma, che sarà approfondito in seguito.
Nella vita tutto è sinergia, tutto è collegato; ogni cellula è collegata alle altre. Noi siamo le cellule
dell’Universo, quindi quello che facciamo agli altri lo facciamo a noi e all’Universo.
Anche il fisico nucleare Charon afferma che ogni atomo è collegato a ogni altro atomo del cosmo, e
tutta la conoscenza è potenzialmente accessibile a tutti gli atomi dell’Universo. C’è un potere infinito
che segretamente unisce ogni cosa, un potere così forte che non si può cogliere un fiore senza
disturbare una stella.
Proviamo solo a pensare, mettendo da parte la “res cogitans” cartesiana, la mente pensante, che
nulla di ciò che succede nel mondo e nell’Universo è separato da noi, e che qualunque cosa facciamo
si ripercuote su tutto il cosmo. Quindi ciò che facciamo o pensiamo non si ripercuote solo sulla
nostra famiglia o sul nostro lavoro, ma interessa tutto l’universo; così aumenta la nostra
responsabilità, ma anche il nostro potere di esseri umani diventa universale. Con il pensiero
influenziamo il mondo, e per raggiungere i nostri obiettivi dobbiamo influenzarlo in modo positivo.
Esiste un costante interscambio di energia tra le strutture dei corpi umani e il mondo circostante,
attraverso interazioni chimiche. Per esempio, ogni volta che un individuo prova un’emozione, vi è un
rilascio di ormoni, stimolati dall’adrenalina entrata nel circolo sanguigno, che sono eliminati dal
corpo attraverso diversi canali, come il respiro o il sudore. È allora evidente che ogni essere umano
esercita una precisa azione individuale sul mondo circostante. Se ampliamo l’orizzonte, è naturale
pensare che le reazioni collettive abbiano un impatto maggiore nello spazio circostante: perché allora
non pensare che una tempesta fisica, un uragano o un terremoto, che colpiscono determinati luoghi,
non possano essere il risultato di tempeste interiori collettive, finalizzate proprio allo scarico di tali
energie negative che gli esseri umani accumulano con i loro pensieri?
Se estendiamo ancora il principio di Bell, poiché tutto è correlato, è possibile ipotizzare che il
battito delle ali di una farfalla nella foresta amazzonica possa provocare minuscoli vortici d’aria in
grado di modificare il tempo a Londra alcuni mesi dopo, o influire sulla formazione di un uragano
negli Stati Uniti! Questo è il famoso “effetto farfalla” dimostrato dallo scienziato e meteorologo
americano Edward Lorenz, che ha studiato gli effetti del caos nel corso delle elaborazioni delle
previsioni meteorologiche. Sono proprio le leggi del caos che spiegano come mai ancora oggi i
bollettini non si spingono mai oltre un paio di giorni di anticipo, e non potranno mai essere migliorati
sostanzialmente.
Il simbolo del nostro modo di pensare, della nostra società, è una linea retta, che separa,
affermando la dualità e gli opposti (“o questo o quello”): conseguenza di ciò è la lotta, la
contrapposizione, i conflitti. Invece la realtà è simboleggiata da un cerchio, che rappresenta l’unità e
comprende gli opposti, “sia questo, sia quello”. Pertanto è arrivata l’ora di smettere di giudicare
continuamente la vita, di abbattere le barriere dei tradizionali sistemi di scienza che noi stessi ci
siamo imposti. Ogni essere umano ha in sé il potere di trionfare su tutte le circostanze, anche sulle
malattie, perché è venuto al mondo per star bene, essere felice e avere successo.
Nell’Universo esiste una comunicazione totale: tutto comunica con tutto, nessuno è isolato o può
isolarsi. Noi comunichiamo con tutto nel cosmo, ed esso comunica con noi. Quindi, anche le pietre o
gli alberi parlano, solo che noi non ne comprendiamo il linguaggio.
Molte persone credono che tantissime malattie non siano risolvibili. Queste persone hanno ragione
per due motivi: per prima cosa perché il mondo è ciò che ogni essere umano pensa di esso, e per
seconda cosa perché molte malattie effettivamente non sono risolvibili con il nostro tradizionale
modo di pensare.
La medicina omeosinergetica parte dal concetto che tutte le malattie, così come tutti i conflitti,
siano risolvibili. Per realizzare questo, ogni essere umano deve iniziare il cambiamento da se stesso,
modificando il proprio pensiero (secondo il principio della libera volontà) e constatando che il
proprio potenziale è illimitato e che egli può cambiare il mondo, quel mondo che è “ciò che
pensiamo sia”.
Come è possibile applicare concretamente, nella realtà quotidiana, quanto detto sinora? Con il
principio LOLA, formula creata dall’economista Renè Egli, che ha scritto un libro meraviglioso, da
cui sono tratte queste considerazioni sulle malattie. Si può tradurre in italiano con ARALA, che sta
per “Azione-Reazione, Amore, Lasciar Andare”. Questi sono i meccanismi nei quali sono racchiuse
le leggi della vita. Nella parola ARALA, la seconda A deve essere espressa al quadrato (A²), perché
il rendimento di un essere umano che impiega l’amore non aumenta in modo lineare, ma al quadrato.
LA LEGGE DI AZIONE-REAZIONE
Secondo questa legge, che è universale ed eterna, ogni pensiero torna a chi l’ha trasmesso. Noi
trasmettiamo pensieri, sotto forma di energia vibrazionale; questa è l’azione. Ciò che a noi torna è la
reazione. Qualunque cosa pensiamo, torna a noi!
Se io critico una persona, il pensiero prima o poi tornerà indietro come problema di salute, o come
evento vitale negativo. L’Universo è organizzato in modo tale che la reazione ricade infallibilmente
sull’autore dell’azione.
Ogni nostro pensiero ha un suo potenziale energetico, che tanto più è grande, maggiore tendenza ha
a realizzarsi. Con il nostro pensiero creiamo la nostra realtà, perciò possiamo cambiare tutto!
Quindi, più potente è il nostro modo di pensare, tanto più grande è la possibilità che i nostri
pensieri si realizzino. Se pensiamo in modo positivo e gioioso, avremo con matematica certezza
risultati positivi, se abbiamo sempre pensieri di paura, questo sentimento negativo riempirà
completamente la nostra vita, condizionandola gravemente.
Pensieri simili hanno vibrazioni simili, e perciò si attraggono. Questo produce i cosiddetti corpi di
pensiero, che naturalmente dispongono di un potenziale energetico molto più grande di un singolo
pensiero. Probabilmente il Muro di Berlino è caduto esattamente quando le energie dei pensieri di
libertà sono diventate più grandi di quelle dei pensieri di “non libertà”.
Il nostro pensiero determina le energie che liberiamo, energie che possono essere di paura o di
amore, secondo il principio della libera volontà. Poiché nessun’energia può andare persa, significa
che nessun pensiero va perso, e le energie di tale pensiero hanno la tendenza a realizzarsi. Attraverso
il cambiamento del nostro modo di pensare possiamo produrre immediatamente vibrazioni diverse,
energie diverse, e quindi anche un futuro diverso.
Seguendo la legge di azione-reazione, non possiamo farci un bene più grande che augurare il meglio
a qualcun altro! Poiché qualunque cosa facciamo a un altro, ci torna indietro, il più grande egoista è
colui che fa il maggior bene possibile agli altri!
Inoltre colui che pensa solo a se stesso, non concedendo nulla agli altri, danneggia soprattutto se
stesso. Per questo motivo se vogliamo salute, benessere e successo nella vita, non dobbiamo fare
altro che augurare tutto ciò al maggior numero possibile di persone che incontriamo, e anche a quelle
che non incontriamo, perché la distanza nel campo del pensiero non esiste. Ciò che seminiamo,
raccogliamo.
Molte persone parlano di casualità, affermando che molti avvenimenti avvengono per caso. In
effetti, noi chiamiamo caso quello che non riusciamo a spiegare, ma se conoscessimo la legge di
azione-reazione constateremmo che un avvenimento considerato casuale è solo la reazione a qualcosa
che avevamo molto tempo prima pensato e dimenticato.
Nell’Universo il caso non esiste, per cui tutto quello che ci avviene, anche gli infortuni, non
avvengono per caso. Il nostro futuro dipende da ciò che pensiamo ora, perciò ci conviene pensare
solo il meglio di noi stessi e degli altri. L’ ”ora”, il nostro momento presente, è quindi il risultato dei
nostri pensieri passati. Se nel passato non abbiamo avuto sempre nobili pensieri, possiamo lo stesso
stare tranquilli, perché dal momento in cui cominciamo ad avere pensieri positivi e costruttivi, ci
proteggiamo dalla reazione dei pensieri precedenti, perché l’amore ha una vibrazione più forte di
tutti gli altri pensieri, e ciò attenua la reazione dei pensieri che tornano a noi.
La legge di azione-reazione è contenuta anche nella frase di Gesù: “Non giudicate e non verrete
giudicati”. Infatti, chi giudica un altro (azione) viene giudicato (reazione), chi fa del bene a qualcuno,
otterrà a sua volta del bene. Bisogna prima dare, se si vuole ricevere. Questa legge non vale solo per
il singolo individuo, ma anche per il nucleo familiare, per una città, per un popolo e per l’intera
umanità. L’insieme dei pensieri di un popolo determina il suo destino.
Anche l’inquinamento e i disastri ambientali derivano dal nostro modo di pensare; molte catastrofi
sono semplicemente una conseguenza del pensiero umano, ossia delle energie che attraverso di esso
vengono sprigionate. La Terra è malata a causa del nostro modo di pensare, perciò i suoi veri
inquinanti sono di natura psichica, sono i nostri pensieri. L’inquinamento materiale è solo una
conseguenza dell’inquinamento mentale.
Tutto ciò su cui ci concentriamo con il nostro pensiero, aumenta. Infatti, se aumentiamo l’energia
dei nostri pensieri sulle malattie, la patologie aumentano, se ci concentriamo sul problema della
droga, le tossicodipendenze aumentano, se ci concentriamo sulla guerra, aumentano i conflitti, se si
cerca di sconfiggere il cancro con la legge dei contrari, cioè per mezzo di farmaci o tecniche
soppressive delle cellule tumorali, come avviene con la chemioterapia o la radioterapia, il numero
dei tumori aumenta. Se diamo gran risalto (anche giornalistico) alle storie di violenza, la violenza
aumenta, perché con un’eventuale campagna anti-violenza si aggiunge costantemente energia al
problema della violenza; è come spegnere un fuoco aggiungendo costantemente ossigeno. Ecco
perché quando accade un grave evento di cronaca nera, come l’omicidio di un genitore da parte di un
figlio, nei giorni e nelle settimane successive si verificano episodi analoghi, che avvengono quasi per
imitazione. Se abbiamo dei punti deboli, e ci concentriamo con il pensiero su di essi, aggiungiamo
loro ulteriore energia.
Ogni giorno in Italia (che ha 57 milioni di abitanti) avvengono diversi omicidi compiuti da qualche
decina di persone, mentre 56 milioni di italiani non compiono azioni né giuste né sbagliate; ma delle
azioni positive e altruistiche compiute quotidianamente da almeno un milione di persone non si fa
alcun cenno sui giornali o in televisione, per cui la gente è convinta che la società si stia avviando
verso l’autodistruzione. Quindi è necessario concentrarci con coerenza solo sugli avvenimenti
positivi, che in tal modo aumenteranno.
Il mondo è ciò che di esso pensiamo, quindi ognuno di noi è ciò che pensa di se stesso.
Quest’affermazione ha un potere incredibile, ed è collegata alla legge di azione-reazione, perché
significa che per noi è vero ciò che consideriamo vero. Ognuno ha la sua propria verità, per cui è
sempre necessario un confronto costruttivo tra le parti. Poiché il mondo è ciò che di esso pensiamo, e
tutto è uno, non esiste alcuna separazione tra noi e gli altri, per cui l’altro cambia se cambiamo noi.
Se pensiamo che l’altro non potrà cambiare mai, è giusto, perché il mondo è ciò che pensiamo di
esso.
Con la legge di azione-reazione siamo responsabili di tutto ciò che ci succede, perché siamo
responsabili di ciò che pensiamo, che determina la nostra vita. Non bisogna dare il potere su noi
stessi a qualcun altro, affermando ”è lui il responsabile, io sono la vittima”. Nell’Universo non esiste
nessuna vittima, così come non esiste il caso. Anche Einstein lo sapeva, quando ha affermato: “Non
crederò mai che Dio giochi a dadi con il mondo”.
Siamo talmente limitati nel nostro modo di pensare che semplicemente non possiamo conoscere
tutte le cause di quanto succede, e per questo molte cose le attribuiamo al caso. Ma qualunque cosa
succeda nella nostra vita, non è un caso, perché il caso contraddirebbe tutte le fondamentali leggi
della vita. Quindi non siamo nati per caso, non è un caso che i nostri genitori siano proprio così come
sono, e che la nostra vita sino a oggi si sia svolta secondo gli eventi conosciuti.
L’Anima che arriva in questo mondo materiale si è prefissata un determinato compito, che per
essere portato a termine ha bisogno di determinate condizioni di partenza. E queste condizioni di
partenza le crea scegliendosi i propri genitori (e quindi la razza, il colore della pelle, la religione, la
nazione), e tutto ciò non avviene per caso. Quindi i bambini hanno probabilmente un’Anima più
evoluta di quella dei loro genitori, e proprio questi ultimi, grazie ai bambini, possono imparare una
certa lezione.
L’Anima di un bambino malformato probabilmente sceglie del tutto consapevolmente sua madre,
per aiutarla, e decide di venire al mondo con un corpo deforme. Questo ha a che fare con la libera
volontà e con l’amore illimitato del bambino verso la madre. Per aiutare la propria madre a cambiare
atteggiamento verso la vita, l’anima del bambino ha assunto su di sé quest’esperienza, ma sa
naturalmente che la morte non esiste e che la nostra vita terrena è relativamente breve.
Per coloro che credono nella teoria della reincarnazione, secondo la quale l’Anima si incarna nel
tempo innumerevoli volte in diversi corpi fisici, poiché la legge di azione-reazione ha valore
universale, ciò significa che vale oltre la morte. Può quindi succedere che la reazione a una certa
azione avvenga solo in una vita successiva, perché la morte non è mai una barriera per nulla. Questo
potrebbe anche essere vero, ma non è molto importante crederlo, perché è fondamentale vivere nel
“qui e ora”, non andare alla ricerca di vite passate, che ci allontanano sempre più dal presente e
dalla realizzazione attuale della nostra coscienza, delegando ad altri la responsabilità della nostra
vita.
Per evolvere nella vita, dobbiamo essere responsabili di tutto ciò che succede nella nostra attuale
esistenza.

LA LEGGE DEL LASCIAR ANDARE


Vivere significa fluire (panta rhei = tutto scorre), quindi trattenere conduce alla morte. Ciò che
tratteniamo è fermo, non può più scorrere, e se non può più muoversi è morto.
Lasciar andare è la via più veloce e più economica per raggiungere tutti gli obiettivi. Lasciar
andare ha a che fare con la vita. Trattenere ha a che fare con i blocchi, la malattia e la morte; anche in
tal caso si tratta del nostro potere sulla vita e sulla morte fisica.
Ogni persona, senza eccezioni, dispone di un’intelligenza inimmaginabile, che può impiegare con la
massima quantità d’energia, in un modo molto semplice: lasciandosi andare. Cosa significa lasciar
andare?:

1) accettare “ciò che è”;


2) non giudicare;
3) non pensare alla strada che si prenderà;
4) non lottare per un obiettivo (“ciò che dovrebbe essere”);
5) non lottare contro “ciò che è”;
6) non concentrarsi sull’obiettivo;
7) non dubitare di raggiungere l’obiettivo.

1) Trattenere lo stato di “ciò che è” significa bloccarlo; accettare questo stato significa lasciarlo
andare, e allora succede che in modo straordinario lo stato di “ciò che è” cambia in “ciò che
dovrebbe essere”.
Si deve sempre accettare “ciò che è”, perché è ora, e nessuno può cambiarlo. Possiamo influenzare
il futuro, ma non il “qui e ora”. Se non accettiamo questo “hic et nunc” creiamo un conflitto tra noi e
“ciò che è”, che costa energia e denaro, e blocca l’intelligenza.
I problemi non si risolvono lottando contro lo stato di “ciò che è” (persone e situazioni), perché
questo non fa che creare opposizione. Bisogna sempre accettare lo stato di “ciò che è”, per quanto
spiacevole e negativo possa essere.
2) Non accettare qualcosa significa condannarla. Se giudichiamo, condanniamo continuamente
persone o situazioni, blocchiamo la vita; blocco significa conflitto, e conflitto significa opposizione.
Giudicare significa dividere qualcosa che è intero, e due parti divise creano conflitto.
3) Se si vuole raggiungere un determinato obiettivo, “ciò che dovrebbe essere”, non bisogna
concentrarsi su un unico percorso, per evitare di bloccare l’intelligenza universale. Se siamo
ammalati, e ci fissiamo su una determinata terapia per raggiungere l’obiettivo di ritornare sani,
limitiamo la nostra intelligenza universale. Il nostro intuito sa molto meglio del nostro limitato
pensiero razionale come poter guarire il più presto possibile. Se il pensiero razionale di un medico
non vede nessuna possibilità di guarigione per un paziente affetto da una grave malattia, non significa
che la persona non possa essere curata con altre vie di guarigione. Pensiamo solo a ciò che 100 anni
fa era considerato incurabile e oggi non lo è più. Succederà la stessa cosa tra 50 o 100 anni. La
medicina è l’esempio più eclatante di un modo di pensare limitato.
4 e 5) Lottare significa trattenere, e lotta significa conflitto. Trattenere limita la nostra intelligenza
universale, e fa disperdere inutilmente energia. Quando siamo di fronte a una malattia, occorre
lasciar andare, non opporsi, senza affrontare l’illogica strategia della lotta che ci suggerirebbe il
nostro ottuso modo di pensare lineare, che vuole applicare la “legge dei contrari”. La strategia del
lasciar andare è sempre vincente.
6) Concentrarsi in modo ostinato su un obiettivo significa trattenerlo, significa escludere, non
percepire completamente il presente e limitare il nostro potenziale.
7) Il dubbio nasce dal pensiero razionale e limita totalmente la nostra intelligenza universale.
Lasciar andare significa non avere dubbi, avere fiducia nella vita e nell’infinita saggezza presente in
ogni essere umano. Il dubbio blocca il flusso della vita. Per raggiungere un obiettivo, bisogna
pensarlo e successivamente immaginarsi come saremmo se l’avessimo già raggiunto: questo è il solo
modo per giungere all’obiettivo. Se vogliamo l’amore, non dobbiamo prima averlo, ma dobbiamo già
pensare di essere innamorati. Se vogliamo ciò che desideriamo, non possiamo aspettare gli altri,
dobbiamo già vederci in quella situazione. Già essere in quel tipo di idea ci permette di crearla.
Vogliamo vivere in una bella villa circondata dal verde, allontanandoci dallo smog e dalle liti
condominiali? Allora, cominciamo già a pensare di essere nella villa, e comportiamoci di
conseguenza. In tal modo, il flusso dei nostri pensieri creerà la realtà che desideriamo in breve
tempo! Provare per credere!

Il nostro obiettivo deve essere sempre quello di non perdere o di non bloccare inutilmente
l’energia, al fine di non limitare il potenziale umano. Cosa determina una perdita o un blocco di
energia? Il trattenere, il non lasciar andare, che provengono dal pensiero di testa. E cosa determina il
trattenere? L’incapacità di vivere nel “qui e ora”. Come si estrinseca questa incapacità? Attraverso i
seguenti atteggiamenti:
non accettare lo stato di “ciò che è”;
giudicare;
avere paura dell’insuccesso;
paragonare;
avere sentimenti negativi;
lottare;
avere sensi di colpa;
Se non sappiamo accettare situazioni, persone, i nostri sentimenti o il nostro passato, creiamo i
conflitti, che bloccano l’energia. Dobbiamo sempre accettare lo stato di “ciò che è”, senza lottare per
“ciò che dovrebbe essere”, vivendo nell’ora.
Se separiamo, creiamo un conflitto, e quindi una perdita di energia. Giudicare, e quindi separare,
ha a che fare con la morte; ciò che è separato non è intero. Non giudicare ha a che fare con l’unità,
che a sua volta ha a che fare con la vita.
L’essere umano è in grado di creare la vita (con l’unione tra un uomo e una donna) unendo e non
dividendo! La vita è unità, è energia; il giudizio blocca questa energia e, quindi, la vita. Se non
giudichiamo, non creiamo conflitti tra lo stato di “ciò che è” e lo stato di “ciò che dovrebbe essere”;
questo è il presupposto per far scorrere la vita, per poter cambiare “ciò che è”.
Avere paura significa trattenere; in tal modo la vita non può più scorrere. Quanto più giudichiamo
noi stessi, tanta più paura creiamo; questa è la paura di non corrispondere alle pretese che noi stessi
creiamo. Anche questo è un conflitto tra lo stato di “ciò che è” e di “ciò che dovrebbe essere”. Il
dubbio ha un effetto mortale sul raggiungimento degli obiettivi, perché una persona che dubita perde
energia come un colabrodo. Chi paragona, normalmente anche giudica. Alcuni pazienti con malattie
cronico-degenerative o tumorali sono persone che amano paragonare. Si paragonano costantemente
agli altri che vivono nel loro ambiente, e in tal modo la loro energia viene completamente bloccata.
Non ci si deve mai paragonare ad altre persone, né paragonare qualcosa che è ora con qualcosa che è
stato in precedenza o che dovrà essere in futuro.
Quando ci arrabbiamo con un’altra persona (poiché non sappiamo accettarla così com’è), diamo a
questa persona il potere su di noi, e perdiamo anche energia. Ciò infrange le leggi fondamentali della
vita. Sia che lottiamo per un obiettivo, sia che lottiamo contro lo stato di “ciò che è”, la lotta
significa sempre irrigidimento, e costa inutilmente energia. È vero che anche sotto pressione si
possono raggiungere risultati positivi, ma con un grave dispendio energetico che prima o poi
determinerà una malattia. Se ci sforziamo per cercare il modo migliore per raggiungere un obiettivo,
concentrandosi su esso, limitiamo totalmente il nostro potenziale.
Chiaramente, lasciar andare l’obiettivo non significa rinunciarvi; l’obiettivo resta naturalmente
sempre dentro di noi, ma non siamo più concentrati su di esso, perché concentrarsi significa
escludere. Si può arrivare al paradosso che “chi cerca, non trova”, perché la ricerca è sempre piena
di lotte, di dubbi, di rabbia, che sono tutte caratteristiche del trattenere, e perciò non portano a nulla.
Quando pensiamo di aver sbagliato questo o quello nel passato, abbiamo dei sensi di colpa, che
possono determinare enormi blocchi energetici, che ci paralizzano interiormente in modo totale. I
sensi di colpa causano in molte persone dolori vertebrali, perché queste persone portano sulla
schiena un peso di tonnellate, e lo trascinano faticosamente nella vita.
È incredibile che cosa possa fare l’uomo a se stesso solo per non sentirsi bene, per non spiccare il
volo verso i suoi più alti obiettivi. Si hanno sensi di colpa solo se si giudica il proprio passato; ma
sappiamo che giudicare ci fa solo ammalare. Non dobbiamo giudicarci: non abbiamo mai commesso
nessun errore! Abbiamo sempre solo imparato, e gli errori sono solo una delle possibili soluzioni dei
problemi.
Lasciar andare, allora, significa capacità di vivere nel “qui e ora”, perché la vita non si svolge nel
passato, né nel futuro, si svolge ora, e non esiste nulla al di fuori dell’ora. In tal modo ci allineiamo
con la vita, ossia non abbiamo conflitti con essa, disponendo del massimo di intelligenza e di
energia.
Se abbandoniamo il “qui e ora”, creiamo resistenza e conflitto, e questo frena la corrente della vita,
il raggiungimento dei nostri obiettivi e la soluzione dei nostri problemi. La vita al di fuori del “qui e
ora” è del tutto insicura, perché in ogni momento può succedere una catastrofe naturale, una malattia
grave.
Lasciar andare significa abbandonare il proprio piccolo ego (il pensiero razionale) perché possa
agire la consapevolezza dell’”essere”, che è la nostra parte divina.
Nel buddhismo-zen esiste il termine “assenza di intenzione”, perché gli esercizi hanno come
obiettivo il non lasciar emergere nemmeno l’ombra della consapevolezza dell’ego, che è il pensiero
razionale che disturba e blocca il comportamento ottimale. Questo è il “non pensiero” del
buddhismo-zen, volto al dispiegamento dell’intelligenza universale presente in ogni essere umano.

LA LEGGE DELL’AMORE
La Terra è il pianeta dell’amore, e tutta la nostra vita, che è un processo d’apprendimento, ha
l’unico scopo di farci procedere verso un maggiore amore. L’amore è la legge fondamentale della
vita. È il rispetto dell’altro, così come è. Qualunque cosa ci succeda, serve sempre a farci imparare
ad amare di più.
Poiché tutto è uno, quest’unità ha a che fare con l’amore, perché l’amore è il sentimento dell’unità,
a differenza del sentimento della separazione, dal quale nasce la paura. L’unità è più forte della
separazione, e ciò significa che l’amore è più forte della paura. L’amore porta al massimo di energia
e di intelligenza; è quell’energia dell’Universo che può autoriprodursi, e che quindi è illimitata.
L’amore ci aiuta a massimizzare la nostra energia, e a raggiungere il massimo del potenziale umano.
Poiché amore significa unità, significa anche assenza di conflitto; l’amore non crea opposizione e
porta pertanto più velocemente al conseguimento dell’obiettivo.
Quello di cui parliamo è l’amore incondizionato, che non giudica, non separa, che considera che
tutto è uno, è Dio, è la vita. Chi ama è nella luce, e non può succedergli nulla di male, perché è
diventato consapevole che non c’è nulla al di fuori di Dio, che è amore, è assenza di paura. L’amore
è energia illimitata, è unità, è la risposta a tutte le domande, è la soluzione a tutti i problemi.
Se non abbiamo ancora capito questi concetti, è colpa della nostra consapevolezza, cioè di tutto ciò
di cui siamo consapevoli: della vecchiaia, della paura, dei pensieri sulle malattie, degli incidenti,
della morte, delle guerre. Eppure il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di ampliare il più
possibile la nostra consapevolezza, fino ad arrivare alla consapevolezza cosmica, cioè quella
dell’unità di tutta la vita. Se vogliamo volare, sollevarci al di sopra dei nostri problemi e delle
nostre preoccupazioni, non c’è che un modo: amare di più.
Secondo il fisico e filosofo Teilhard de Chardin tutto si sviluppa e tende verso un punto Omega, che
corrisponde alla consapevolezza cosmica, e quindi all’amore incondizionato. L’amore è la via che
riporta alla luce tutte le possibilità presenti in ogni essere umano, dalla consapevolezza più ristretta
alla consapevolezza cosmica. Ogni volta che non sappiamo accettare persone o situazioni,
blocchiamo noi stessi sulla nostra via verso una consapevolezza più elevata.
Una persona non può fare cosa migliore a se stesso che amare tutto ciò che le accade: questa è la
via più veloce verso il proprio sviluppo. Poiché tutto ciò che esiste come possibilità nella nostra
consapevolezza può succedere, se formuliamo questa frase in senso negativo, ci accorgiamo che ciò
che non esiste come possibilità nella nostra consapevolezza, non può accadere. Quindi se nella nostra
consapevolezza c’è l’idea di malattia, di incidente, di insuccesso, corriamo il pericolo che queste
cose possano succedere. Può, per esempio, essere aggredito solo chi ha l’idea dell’aggressione o di
pericolo nella sua consapevolezza.
Anche Gesù dice: “Vi accada secondo quanto avete creduto”. Sostituiamo il termine credere con la
parola consapevolezza, e avremo: “Vi accada secondo quanto è nella vostra consapevolezza”. Il
mondo è ciò che di esso pensiamo.
Un’altra cosa interessante è che persone che hanno le stesse idee nella loro consapevolezza si
attirano a vicenda, perché un’altra legge fondamentale della vita, come già detto, è che il simile attira
il simile. Non incontriamo per caso certe persone, incontriamo le persone che pensano come noi.
Poiché tutto è una questione di consapevolezza, se ci arrabbiamo con un’altra persona, avendo la
rabbia nella nostra consapevolezza, rimaniamo attaccati a quella persona. Se vogliamo staccarcene,
dobbiamo cambiare la nostra consapevolezza, amandola o accettandola così come è.
Ne deriva che qualunque cosa succeda, dobbiamo amarla, perché l’amore produce un ampliamento
della consapevolezza e dà la capacità di realizzare tutto ciò che si vuole, senza conflitti, facendo
scorrere liberamente la vita. Chi non ama blocca il proprio livello di consapevolezza e con ciò il
proprio sviluppo, blocca la propria intelligenza e la propria energia, il proprio potenziale umano.
Ciò che ci limita è solo la nostra carenza di amore!
Dobbiamo svegliarci dal sogno della consapevolezza sociale, smettere di pensare solo ciò che
pensa la maggioranza delle persone, e cominciare a pensare in modo completamente autonomo,
diventando adulti nel nostro modo di pensare.
Ciò che gli altri pensano di noi non ha importanza, ciò che ognuno di noi pensa degli altri ha molta
importanza, perché tutto è uno e perché il mondo è ciò che di esso pensiamo.
Gesù dice: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Nell’intera storia dell’umanità non è mai stata
pronunciata una frase più potente. Sono 7 parole che possono cambiare la nostra vita. Il “prossimo
tuo” non sono solo le persone, ma anche la natura, gli animali, le piante, le pietre, perché ognuno di
essi ha la propria consapevolezza. “Ama il prossimo tuo, perché è te stesso”, cioè tra te e gli altri
non c’è differenza, tutto è collegato secondo le leggi dell’energia. È però anche vero che chi non ama
se stesso non può amare nemmeno gli altri. Per potere amare tutto ciò che ci accade (persone e
situazioni), dobbiamo prima amare noi stessi. Ciò non ha nulla a che fare con l’egoismo, se teniamo
presente che anche tutti gli altri devono essere amati come noi stessi. Chi ama se stesso è in armonia
col proprio sé, è centrato su se stesso, e quindi non porterà conflitti nell’ambiente esterno. Solo
amando se stessi ci si conosce totalmente, e si arriva a diventare consapevoli del proprio potenziale.
Molte persone per conoscersi meglio si fanno analizzare da uno psicoterapeuta. Chi si ama
veramente non ha bisogno di farsi analizzare, perché l’analisi frammenta tutto in parti distinte, e da
ciò nasce il conflitto, perché ci si concentra ancora di più sulle proprie debolezze e non sui propri
punti di forza. È quindi compito del terapeuta riportare la persona da questa frammentazione analitica
alla sintesi, alla globalità, facendole capire che tutto è uno.
Chi ama se stesso, ama anche attraverso sé tutto il mondo, perché tutto è uno. L’amore per se stessi
e per tutti gli altri ci permette di raggiungere qualsiasi obiettivo con un minimo di tempo e di sforzo.
Per esempio, per dimagrire non esiste modo più semplice, rapido ed economico che l’amore per se
stessi; ciò significa accettarsi così come si è (con tutto il sovrappeso). Anche per un malato, non c’è
modo più semplice, rapido ed economico di guarire che l’amore per se stessi, perché l’amore
favorisce il processo di guarigione in modo inimmaginabile.
Secondo il fisico nucleare Charon, l’amore è il processo più semplice e più efficace per ampliare
la conoscenza dell’Universo. Se mandiamo amore a un’altra persona, lo mandiamo in realtà a noi
stessi e a tutto il mondo, perché tutto è uno. Non ha importanza a chi si manda amore, perché esso va
sempre a vantaggio di tutto l’Universo, e quindi facendo così si favorisce il processo di pace in tutti i
conflitti militari nel mondo. La vera causa di tutti i problemi umani è l’idea della separazione. Tale
idea è un’illusione, perché nel cosmo non esiste separazione. Noi operiamo continuamente nella
nostra realtà questa separazione, per mancanza di amore. Abbiamo creato dentro di noi la
separazione tra testa e cuore, tra ragione e amore. Ci siamo divisi dentro, vedendo anche il mondo
diviso.
Un’espressione dell’amore è la gratitudine. Solo chi dispone di una porzione sufficientemente
grande di amore, sa essere grato. Bisognerebbe sempre provare un sentimento di gratitudine e di
rispetto nei confronti della vita. Chi ama la vita, chi sa essere grato, viene in eguale misura
ricompensato dalla vita, e questa è l’applicazione della legge universale di azione e reazione.
Nell’atteggiamento di gratitudine verso la vita è contenuto l’intero principio ARALA, perché la legge
di azione e reazione fa in modo che anche la gratitudine torni a chi l’ha espressa. La gratitudine
(espressione dell’amore universale) è una forma del lasciar andare, e permette alla vita di scorrere,
di cambiare.
Tutti i mali del mondo, la povertà, la fame, l’AIDS, le droghe, la disoccupazione, le guerre, le
aggressioni, le malattie, sono conseguenza di mancanza di amore e di gratitudine. Se riusciamo da
subito a essere grati per tutto ciò che ci succede, la nostra vita cambierà rapidamente. Come?

1) Amando il prossimo nostro come noi stessi;


2) Vivendo nel “qui e ora”;
3) Considerando che non c’è nulla di più importante al mondo di ciò che penso ora;
4) Essendo consapevoli che, poiché tutto è uno, ciascuno di noi è tutt’uno con Dio, cioè noi siamo
Dio!

Molte religioni affermano: “Un giorno sarete come Dio”; in tal modo si sposta l’entità Dio in un
lontano futuro, dovendo percorrere una lunga via per raggiungere questa meta, attraverso il tempo.
Ma il tempo è un’illusione in cui siamo caduti (se solo pensiamo che l’universo esiste solo da 10¹7
secondi (cioè un numero di secondi costituito da 10 seguito da 17 zeri, perché questo è il tempo
trascorso dal Big Bang), perché tutto è uno, passato, presente e futuro.
Nella vita esiste solo l’ora. O siamo Dio “qui e ora”, o non lo saremo mai. Noi abbiamo
dimenticato di essere Dio, di essere onnipotenti e onniscienti, di essere amore, di non dover imparare
nulla di nuovo, perché sappiamo già tutto, lo abbiamo solo dimenticato.
Dobbiamo liberarci di tutti gli ostacoli che c’impediscono di essere Dio. Se siamo tentati di
pensare di non essere ancora pronti a questo, e di avere ancora molto lavoro da fare su noi stessi, è
giusto così, perché il mondo è ciò che di esso pensiamo, e quindi questa è la nostra verità. Con ciò
otterremo un’unica cosa: non raggiungeremo mai il nostro obiettivo.
Le nostre difficoltà di esseri umani provengono dal fatto che cerchiamo sempre di diventare
qualcosa che già siamo. Cerchiamo Dio al di fuori di noi, benché Dio sia costantemente in noi.
Questa è l’unica consapevolezza della realtà. Solo così “ciò che è” diventa immediatamente “ciò che
dovrebbe essere” e si annulla il tempo tra “ciò che è” e “ciò che dovrebbe essere”.
Non dobbiamo percorrere nessuna via per raggiungere la meta, siamo già alla meta, dobbiamo solo
diventare consapevoli di ciò. L’unica meta è amare “ciò che è”, consapevoli della legge di azione-
reazione, della legge del lasciar andare e della legge dell’amore.
TERZA PARTE
LA FISICA QUANTISTICA,
L’ENERGIA E L’ANIMA
IL CASO E LA SCIENZA
Quasi tutti credono nella sfortuna e nella fortuna, proprio perché queste esperienze appaiono loro
come fenomeni casuali: in effetti, la fortuna e la sfortuna non esistono, ma le esperienze che ogni
essere umano vive non avvengono per caso, ma sono semplicemente lo strumento di cui la sua Anima
si serve per raggiungere i suoi obiettivi.
Qualsiasi esperienza si affronti, non è altro che l’effetto di come ognuno si pone nei confronti della
realtà, e quindi non dipende dal caso, ma da come ogni essere umano riesce a vivere tale esperienza:
quello che pensa, le scelte che fa, le azioni che compie e, soprattutto, il suo atteggiamento mentale.
Poiché nulla accade per caso, tutto ha un senso, una causa, un significato e uno scopo che possiamo e
dobbiamo scoprire per vivere in modo veramente cosciente. Ognuno è il protagonista e il regista del
film della sua vita, per cui tutto quello che uno ha o non ha, che è o non è, è semplicemente l’effetto
di ciò che è riuscito a meritarsi. Il raggiungimento degli obiettivi della sua Anima, attraverso
esperienze di gioia o di sofferenza, dipende essenzialmente solo da lui.
La condizione di normalità della natura essenziale di ogni essere umano è la gioia, mentre la
sofferenza è una situazione anomala che spesso rappresenta un messaggio volto alla salvaguardia del
proprio corpo, ed è il frutto di un’errata interpretazione della realtà dovuta al desiderio di
controllarla. Ma ogni volta che cerchiamo di controllare la realtà, ci accorgiamo che aumenta
l’incapacità di controllo, e spesso quando constatiamo ciò si arriva al panico.
Se si vive la propria esistenza con la convinzione che tutto ciò che accade è causato da qualcosa su
cui non si ha alcun controllo, si disperde tutta l’energia nel cercare continuamente di capire tutto, per
controllare e prevedere ogni cosa, soffrendo ogni volta che non ci si riesce. Quando si riesce ad
acquisire la consapevolezza che qualsiasi cosa accada è comunque l’effetto delle proprie scelte, il
concetto stesso di sofferenza perde il suo normale significato e si è pronti a vivere intervenendo in
modo costruttivo sulla realtà stessa.
La consapevolezza del significato essenziale della vita e degli obiettivi dell’Anima può permetterci
di capire che ogni esperienza che viviamo avviene perché la nostra Anima ha bisogno proprio di
quell’esperienza. Allora dobbiamo espandere la nostra consapevolezza, allargando e
progressivamente demolendo i limiti entro i quali siamo convinti di vivere la nostra vita, e
preparandoci a gestire in modo costruttivo l’immenso potere che la nuova consapevolezza ci darà.
Il lavoro più importante da compiere è quello contro le nostre paure, che sono l’unico vero nemico
che abbiamo, e che impediscono l’evoluzione della nostra Anima. Non c’è nulla di evolutivo nelle
azioni che si compiono per effetto della paura. Sono numerosi gli elementi che contribuiscono ad
accelerare o a rallentare i progressi della conoscenza umana; i veri progressi sono sempre stati
compiuti da esseri evoluti che hanno seguito le proprie intuizioni e che hanno sempre dovuto lottare
contro gli esseri che invece fuggivano dalle loro paure.
La scienza ha avuto per l’uomo il ruolo di una sorta di “padre saggio” che sa tutto di tutto e che
dice al figlio piccolo, senza esperienza, quello che è giusto e quello che è sbagliato. Oggi purtroppo
la scienza comincia a essere vittima della sua stessa ignoranza e avidità, dimostrando i suoi limiti e
iniziando a suscitare diffidenza anche tra molti dei suoi rappresentanti. Sono, a esempio, moltissimi i
medici che iniziano a prendere in considerazione metodi terapeutici alternativi a quelli tradizionali,
nonostante le multinazionali della farmacologia e i loro simpatizzanti, insediati in punti strategici del
potere e dell’informazione, cerchino di ridicolizzare in ogni modo ciò che non proviene da loro.
Il ruolo di “padre saggio” detentore della verità sta per fallire, soprattutto a causa di quanto sta
avvenendo proprio in campo medico. I figli sono cresciuti e vogliono iniziare a giudicare il mondo
basandosi anche sulle proprie esperienze e capacità intuitive. È in corso una sorta di rivoluzione, che
coincide con una fase particolare della storia dell’umanità, in cui sia i processi costruttivi evolutivi,
che quelli distruttivi involutivi, manifestano i loro effetti in tempi molto più rapidi che in passato.
Oggi il settore della conoscenza umana pura più evoluto è quello della fisica, mentre la medicina è
ancora frenata a livelli estremamente elementari della conoscenza. Questo avviene nonostante il
brevetto di nuove molecole sintetiche da parte delle multinazionali della farmacologia, che sono
diventate ricche e potenti, intervenendo solo su una delle componenti dell’essere umano, quella che
si manifesta attraverso reazioni chimiche. Esse hanno ovviamente paura di perdere il loro potere e la
loro ricchezza. Da una parte, tendono a esasperare l’unico aspetto sul quale hanno costruito la loro
ricchezza, quello chimico, dall’altra cercano di ostacolare qualsiasi approccio terapeutico
alternativo (o che consideri altri aspetti oltre quello chimico e meccanico), che possa in qualche
modo compromettere i propri profitti. Tutto ciò avviene in nome di una scienza che ha ormai ben
poco a che vedere con la ricerca della verità.
La scienza contiene solo la conoscenza che riguarda i fenomeni che rispondono alle leggi che
governano la nostra realtà spazio-temporale. L’uomo ha stabilito che un fenomeno possa essere
scientificamente accettabile solo se è osservabile, descrivibile e ripetibile. Questi schemi rigidi, se
da un lato tutelano la scienza stessa che potrebbe altrimenti essere contaminata da falsità, dall’altro
rappresentano dei veri e propri limiti, entro i quali una cosa è considerata giusta e oltre i quali una
cosa è considerata sbagliata. Questo è il modo tipico di interpretare la realtà da parte della mente
umana, attraverso schemi, limiti, confronti e giudizi. Per questo motivo, la conoscenza scientifica
difficilmente può rappresentare la verità.
Secondo il concetto di “descrivibilità”, un fenomeno per essere considerato scientificamente
accettabile, deve essere descrivibile in modo dettagliato nel perché e come avviene. La descrizione
deve essere fatta solo utilizzando argomenti che siano già scientificamente riconosciuti e coerenti con
tutti gli altri fenomeni conosciuti; in tal modo si pongono altre condizioni, altri limiti alla
comprensione della verità.
Per fortuna, ci sono delle importanti eccezioni che ridimensionano il concetto di verità, di cui la
scienza dovrebbe essere l’unico portavoce autorizzato, e che ci preparano a un vero e proprio salto
quantico nell’evoluzione della nostra consapevolezza, volto a comprendere la vita e la nostra vera
natura. Si tratta di due fenomeni che hanno superato la prova dell’accettazione scientifica, pur
trovandosi il primo (principio di indeterminazione di Heisenberg) al limite estremo della capacità di
spiegazione da parte della scienza stessa, e il secondo (teorema di Bell) oltre questo limite.
Purtroppo sono ancora tanti i medici “ortodossi” che ignorano questi due fenomeni o, comunque, il
loro profondo significato.

IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE DI HEISENBERG


Il principio di indeterminazione di Heisemberg dimostra che l’osservazione di un fenomeno
condiziona e modifica il fenomeno stesso; infatti, non è possibile conoscere (attraverso
l’osservazione contemporanea) sia la posizione che la direzione in cui si muove un elettrone. La
verità, pertanto, può solo essere immaginata e considerata in termini di probabilità, ma non potrà mai
essere conosciuta attraverso l’osservazione. Questo principio, apparentemente sconcertante, ha
segnato un profondo punto di svolta nella conoscenza umana, ed è applicabile non solo ai fenomeni
subatomici, ma anche a quelli dove esistono degli osservatori dei fenomeni stessi.
In medicina, a esempio, si è osservato in molteplici occasioni come le intenzioni di chi conduce un
esperimento entrano a far parte di esso, condizionandone il risultato. Infatti, nelle ricerche medico-
scientifiche più rigorose, per evitare interferenze da parte delle aspettative di chi conduce la ricerca,
si esegue un protocollo definito in “doppio cieco”: praticamente la ricerca viene condotta
parallelamente su due gruppi di soggetti, e a uno dei due gruppi viene fatta assumere la sostanza da
studiare, all’altro gruppo viene fatto assumere un “placebo”, cioè una sostanza inerte che non ha
alcun effetto. Durante la ricerca, né i medici che somministrano la sostanza, né i pazienti sanno quali
dei due gruppi riceve la vera sostanza e quale il placebo.
Il fatto stesso che il doppio cieco esista è la prova che il principio di indeterminazione di
Heisemberg è indirettamente riconosciuto valido anche nella realtà quotidiana. Quello che
condiziona un fenomeno non è solo il fatto che venga osservato: anche l’atteggiamento mentale e le
aspettative di chi osserva intervengono su di esso, modificandolo.
Questo è ciò che si è verificato per la sperimentazione della terapia antitumorale del prof. Di Bella,
alla quale hanno partecipato medici ospedalieri agnostici o fortemente contrari a un risultato positivo
della stessa, tanto da aver fatto fallire la ricerca (anche se inconsapevolmente), o per le
sperimentazioni sulla memoria dell’acqua eseguite da Benveniste (che avrebbero permesso di
accettare scientificamente l’azione terapeutica dell’omeopatia). Questo non è un atto di accusa verso
la classe medica, perché ognuno è giusto che compia le proprie esperienze in base alle convinzioni
personali. Occorre partire dal presupposto che noi non compiamo mai errori, perché nella vita tutto
ha un senso, per cui non è sbagliato prescrivere farmaci chimici o sopprimere un sintomo, se si parte
dal presupposto che quel paziente che ha deciso di curarsi con la medicina convenzionale allopatica
ha bisogno proprio di quel tipo di esperienza. Anche chi ha un tumore ha bisogno di vivere quel tipo
di esperienza, perché attraverso la malattia può dare un senso diverso alla propria vita, cambiando il
proprio modo di decodificare i dati di realtà. Se decide di farsi curare con la chirurgia, la
chemioterapia o la radioterapia, significa che ha bisogno di provare tale percorso, scegliendo,
attraverso il proprio libero arbitrio, il medico che può curarlo. Il terapeuta deve, però, comprendere
che esprimere sentenze precostituite di vita o di morte nei confronti dei propri pazienti, basate su
idee e convinzioni dettate dall’esperienza limitata di altre persone che lo hanno preceduto, lo
allontana sempre di più dalla vita, che va ben oltre i cinque sensi controllati dalla coscienza, e
dovrebbe aprirsi intuitivamente ad altre verità nascoste, contenute nelle evidenze della fisica
quantistica, le cui sconvolgenti assunzioni rivoluzionano il concetto di percezione oggettiva e
soggettiva.
A livello del mare la visione della terra è piatta; a mano a mano che saliamo su una montagna,
cominciamo a notare la curvatura dell’orizzonte. La percezione del mondo fisico dipende dal punto
di vista dell’osservatore. Se entriamo in una stanza buia non vediamo nulla, ma non appena
accendiamo la luce, riusciamo a percepire cosa contiene; non ci sono qualità assolute nel mondo
materiale, cioè in esso non c’è una realtà indipendente, ma solo la nostra percezione.
Da quanto detto, è possibile dedurre che:
1) il mondo fisico, inclusi noi stessi, è il risultato della percezione;
2) i nostri corpi sono costituiti da energia e informazione, non da materia solida. L’energia e
l’informazione sono le risultanti di infiniti campi di energie e informazioni che penetrano l’Universo;
3) Noi non siamo separati dagli altri esseri umani o dalla natura, perché ciascuno è connesso agli
schemi di intelligenza che governano l’intero cosmo;
4) Il tempo è un’illusione; esso è “eternità quantificata”.
Il nostro corpo fisico è quindi una struttura che noi percepiamo come solida; in realtà è energia che
assume forme diverse (organi, cellule, molecole, atomi, elettroni). Queste particelle sempre più
immateriali si aggregano dando origine alla materia, e nelle loro attività vi è un immenso scambio di
energia.
Mentre state leggendo, state emettendo atomi di carbonio e di ossigeno che appena un attimo fa
erano nella materia, e il vostro respiro sta immettendo nell’aria parti del vostro fegato, stomaco,
milza, ecc. Il corpo umano è la più prodigiosa entità che sia stata mai concepita. Ogni mese la pelle
si rigenera, il fegato ogni settimana ricostruisce lo strato superficiale, mentre lo stomaco impiega
cinque giorni e lo scheletro tre mesi. La nostra struttura cambia continuamente, poiché alla fine di un
anno circa il 98% degli atomi del nostro corpo è stato sostituito da nuovi.

IL TEOREMA DI BELL
Il teorema di Bell è una delle scoperte più sconvolgenti che cambierà profondamente in futuro il
nostro modo di pensare e di capire la realtà. Questo teorema dimostra che l’esperienza
dell’interazione di due particelle avvenuta nel passato crea tra le stesse una forma di collegamento,
che va al di là dello spazio e del tempo. Ognuna delle particelle non solo mantiene una memoria
dell’interazione che ha avuto, ma il comportamento di ognuna di esse continua a condizionare il
comportamento dell’altra, al di là dello spazio e del tempo. Nell’Universo vige un principio di non
località, attraverso il quale i fenomeni avvengono come se ogni cosa fosse in diretto e istantaneo
contatto con ogni altra, indipendentemente dallo spazio fisico che le separa.
Questo è l’esperimento (osservabile e ripetibile) di Einstein-Podolsky-Rosen, che è consistito nel
separare due particelle gemelle (cioè, nate insieme dallo stesso evento), modificare il
comportamento di una (invertendo il senso di rotazione, cioè lo spin, per mezzo di campi magnetici)
e osservare il comportamento dell’altra. Avviene che istantaneamente, e indipendentemente dalla
distanza che separa le due particelle, anche l’altra inverte il suo spin. Ciò avviene a velocità
superiore a quella della luce, attraverso una realtà che non risponde alle leggi dello spazio-tempo, e
permette alle due particelle di essere in collegamento diretto e istantaneo.
Il fisico Bell nel 1964 ha formalizzato scientificamente questo fenomeno, che ammette che ogni
particella subatomica (anche quelle del nostro corpo) acquisisce informazioni relativamente a tutto
ciò con cui interagisce, e trasferisce queste informazioni a una “memoria” che non ha limiti di spazio
e di tempo, e alla quale la stessa particella può accedere successivamente, o vi possono accedere
anche tutte le particelle che hanno interagito con lei o che le sono simili.
Ogni nostro respiro immette nell’atmosfera un numero di atomi pari a 10²³. Se consideriamo il
numero di respiri che Gesù Cristo compì in 33 anni, arriviamo alla conclusione che nell’aria ci sono
tanti dei suoi atomi da far sì che in ognuno dei nostri respiri ci siano almeno una decina di atomi che
appartennero al suo corpo. Questi atomi conservano le informazioni relative alle esperienze che
ebbero avuto, quando facevano parte del corpo di Cristo. Chiaramente a entrare a far parte del nostro
corpo ci sono anche gli atomi di Hitler, di Einstein o della nostra vicina di casa, oppure quelli che
miliardi di anni fa erano nella materia primordiale che diede origine all’Universo.
Ogni atomo ha contribuito e può accedere a tutta la storia dell’Universo e così ognuno di noi ha la
possibilità di avere un collegamento istantaneo e diretto con le esperienze di ognuno di essi.
Ogni pensiero è un’informazione con una propria attitudine a condizionare gli eventi oltre lo spazio
e il tempo; occorre allora divenire consapevoli che i nostri pensieri possono produrre effetti
enormemente più importanti delle nostre azioni.
Secondo il principio di azione-reazione, prima illustrato, ogni pensiero generato da un essere
umano può contenere informazioni da cui dipendono non solo le sue azioni future, ma anche le
reazioni che l’Universo intero potrà avere a tali informazioni.
La riflessione che non siamo separati da ciò che ci circonda, poiché costituiti dalla stessa essenza,
ci induce a ritenere che, oltre a una più profonda integrazione tra il visibile e l’invisibile,
condividiamo anche lo stesso contenuto informativo; viviamo in una realtà indifferenziata che solo
l’inganno dei sensi, e il conseguente pensiero logico, ci suggerisce differenziata.
Il principio di “non località” è stato uno dei concetti fondamentali che hanno portato alla creazione
di una nuova scienza, la scienza delle complessità, che ritiene possibili affermazioni come quella già
detta in un capitolo precedente: “Il battito delle ali di una farfalla nel Borneo può influire sulla nostra
vita”.

IL TEMPO
L’atomo è costituito da un nucleo e da un certo numero di elettroni che gli girano intorno, senza
fermarsi mai per miliardi di anni e senza consumare energia. Questo avviene quando una particella o
un’onda come l’elettrone di un atomo è in una situazione tale da entrare in risonanza con se stessa, e
diventa in grado di orbitare all’infinito intorno al nucleo perché è in una situazione precisa, definita
“orbitale”, dove può vivere e muoversi per l’eternità, in una dimensione eterna e universale nella
quale lo spazio-tempo non esiste.
La luce è costituita da fotoni, quanti di energia tutti uguali che hanno la capacità di manifestarsi a
noi sia come onda sia come corpuscolo, viaggiando alla velocità di 300.000 Km. al secondo. In un
secondo un raggio di luce percorre 7 giri completi della Terra, e per esso il tempo assume una
dimensione completamente diversa rispetto a come lo viviamo e intendiamo noi. Quelli che per noi,
che ci muoviamo a velocità relativamente basse, rappresentano milioni di anni, per un raggio di luce
possono essere frazioni infinitesimali di un nostro secondo. Il tempo è quindi un effetto della
manifestazione dell’energia attraverso la materia. Esso non è assoluto, ma relativo, perché è un
effetto della materia ed è legato a tutto ciò che ha una massa. Ciò che non ha massa, non ha tempo.
Mentre la materia ha uno spazio e un tempo, l’informazione pura non ha spazio e non ha tempo; il
tutto è solo rappresentato dal suo valore essenziale, e il passato, il presente e il futuro non esistono
più. Nel sogno lo spazio e il tempo si deformano fino a essere annullati e vengono prodotte e vissute
esperienze dal forte significato simbolico che spesso sono molto diverse dall’esperienza originaria.
Ciò è dovuto al fatto che per poter estrarre dall’esperienza originale l’informazione pura, devono
essere eliminati tutti gli schemi mentali e i limiti comportamentali che hanno condizionato
l’interpretazione della realtà da parte della nostra mente. Quest’ultima, con tutti i suoi schemi e
pregiudizi, è per noi un grande handicap, perché limita enormemente le nostre capacità reali, sia di
comprensione che di azione. Vivere nella realtà usando solo gli schemi della mente è come voler
guidare un’automobile senza vetri, spiando la strada da un piccolo foro fatto nella carrozzeria.
Nelle religioni orientali la meditazione è lo strumento essenziale per l’illuminazione, e questa può
essere raggiunta rallentando o fermando l’attività della mente, partendo dal presupposto che una
mente attiva compie più danni di una mente ferma. Ci sono innumerevoli casi di malati con tumori
allo stato terminale che sono guariti praticando la meditazione, aumentando la loro consapevolezza e
annullando il loro campo mentale.
La mente, come abbiamo già detto, è impegnata a giudicare e classificare gli eventi, etichettandoli
come giusti o sbagliati, come fonti di gioia o dolore, sulla base delle proprie interpretazioni di
precedenti esperienze vissute. Il giudicare continuamente gli altri e se stessi, secondo i propri schemi
mentali più o meno rigidi (come due mura lungo una strada che possono essere più o meno
distanziate) rappresenta la forma più inutile d’impiego della propria energia potenziale.
Uno degli effetti più evidenti nel comportamento di chi ha schemi mentali rigidi è la sua costante
insoddisfazione, perché gli schemi mentali determinano il giudizio quasi ossessivo su ogni cosa e lo
sviluppo di aspettative sul comportamento di altre persone. In tal modo si soffre, perché si cerca di
controllare l’altra persona, affinché si comporti come la propria mente vorrebbe, cosa che in realtà
non avviene quasi mai.
La comprensione della realtà, da parte della nostra mente, è basata sulla sua capacità di giudicare
tale realtà, in funzione delle esperienze vissute e dei limiti stessi di percezione della stessa da parte
dei sensi.

L’ENTROPIA E LA MATRICE ENERGETICA


Come detto precedentemente, la seconda legge della termodinamica afferma che in un sistema
isolato l’entropia finale (dal greco en, dentro, e tropos, trasformazione, evoluzione) non può mai
essere inferiore all’entropia iniziale, cioè la quantità di disordine di un sistema non può diminuire nel
tempo. Perciò qualsiasi cosa abbia una struttura ordinata e complessa tende al disordine, involvendo
e assumendo strutture sempre meno ordinate e complesse. Se questa legge fosse l’unica valida,
l’Universo stesso non potrebbe esistere. Il fenomeno che in modo più clamorosamente evidente
contraddice la legge dell’entropia è proprio quello della vita.
Esiste un’entropia distruttiva e un’entropia costruttiva.
L’entropia distruttiva si riferisce a tutto ciò che nell’Universo ha una massa che non ha assunto
regolari forme simboliche e governa tutti i fenomeni che tendono al disordine e a trasformare strutture
complesse e ordinate in strutture semplici e disordinate.
L’entropia costruttiva riguarda tutto ciò che nell’Universo ha una massa organizzata che ha assunto
specifiche e regolari forme simboliche, governa tutti i fenomeni che tendono all’ordine e a far
evolvere strutture semplici e disordinate in strutture più complesse e ordinate.
Nella componente spazio-temporale dell’Universo che ci riguarda, tutti gli eventi sono condizionati
dall’influenza di queste due leggi fondamentali: quella dell’entropia costruttiva e quella dell’entropia
distruttiva.
Per avere un comportamento costruttivo, un corpo deve avere un campo di informazioni, cioè
un’Anima da cui poter attingere informazioni che ne guidino il comportamento. L’Anima contiene tutte
le informazioni necessarie a guidare il comportamento del corpo; essa le ha ricevute da un campo,
detto Matrice Energetica, che contiene tutte le informazioni necessarie per consentire alla materia di
raggiungere livelli di complessità e di ordine sempre maggiori, fino a quelli sufficienti a raggiungere
la vita. Se ne ricava che la manifestazione più evoluta dell’entropia costruttiva è la vita. Quando il
corpo ha raggiunto livelli di organizzazione costruttiva sufficientemente complessi, tali da poter
ospitare un’Anima evoluta, si attua la possibilità di vivere esperienze e di produrre nuove
informazioni costruttive per la Matrice Energetica. Le Anime sono la manifestazione diretta della
Matrice Energetica sulla materia, sono gli strumenti per la produzione di informazioni pure attraverso
le quali la Matrice Energetica evolve, aumentando il numero e la complessità delle sue informazioni
costruttive.
Le Anime hanno, dunque, l’obiettivo di contribuire all’evoluzione dell’Universo e alla diffusione
dell’entropia costruttiva. Per riuscire a compiere la loro opera, le Anime devono riuscire a produrre
informazioni costruttive pure. Per produrre nuove informazioni sono necessarie esperienze, per
produrre esperienze è necessario il tempo, per produrre il tempo è necessaria la materia e, quindi,
l’energia.
Il tempo consente agli eventi di avere una sequenza, con un inizio, delle possibilità di scelta e una
fine: questa è un’esperienza. Senza tempo un’esperienza non può esistere, perché tutti gli eventi
avverrebbero simultaneamente, e non ci sarebbe la possibilità di scelta tra eventi alternativi.
Una volta nata la materia, e quindi lo spazio e il tempo, la Matrice Energetica ha iniziato a
manifestarsi in questa realtà attraverso le Anime, per ricevere nuove informazioni costruttive che
potessero consentire la sua stessa evoluzione, attraverso le esperienze vissute dalla materia in una
realtà anch’essa in continua evoluzione.
L’entropia distruttiva interviene sui fenomeni in assenza dell’azione dell’entropia costruttiva,
facendoli tendere al disordine e alla semplicità.
Sinonimi di entropia costruttiva: evoluzione, costruzione, ordine, bene, amore, piacere, successo,
salute, vita, creatività, perdono, efficienza, ricchezza, pace, libertà, felicità, sincerità, gioia,
entusiasmo, fortuna, atteggiamento mentale positivo, accettazione.
Sinonimi di entropia distruttiva: involuzione, distruzione, disordine, male, odio, dolore, insuccesso,
malattia, morte, distruttività, vendetta, inefficienza, povertà, guerra, schiavitù, tristezza, menzogna,
angoscia, paura, sfortuna, atteggiamento mentale negativo, rifiuto.

LA MATRICE ENERGETICA, L’INFORMAZIONE E LA VITA


La Matrice Energetica esiste in una realtà adimensionale, non ha massa, non ha spazio, non ha
tempo, interviene nella nostra realtà a 4 dimensioni, guidando il comportamento di strutture che hanno
precise forme simboliche; essa è pura informazione costruttiva, è onnipresente, è simultaneamente in
relazione con l’essenza di ogni cosa, sia essa un elettrone o una galassia. Possiamo anche chiamarla
Dio, ma è un Dio che non pensa, non giudica (solo la mente umana ha bisogno di giudicare), non
punisce e non premia: è solo informazione pura costruttiva. Se le informazioni che contiene riescono
a manifestarsi nella nostra realtà, si ottiene l’evoluzione, la costruzione, il successo, in caso contrario
si ottiene l’involuzione, la distruzione, l’insuccesso.
La vita, in qualsiasi sua manifestazione, è l’effetto finale più evidente dell’azione dell’entropia
costruttiva. La Matrice Energetica contiene tutte le informazioni che consentono la manifestazione di
fenomeni di entropia costruttiva nella nostra realtà spazio-temporale.
Fintanto che abbiamo un corpo, qualsiasi fenomeno di entropia non può manifestarsi a noi se non in
presenza di tempo e quindi di massa, energia e spazio.
La Matrice Energetica contiene l’informazione pura, un’entità senza massa, spazio e tempo che è
onnipresente, cioè si trova contemporaneamente in qualunque punto del nostro spazio, e costituisce il
valore essenziale del nostro Universo.
L’essenza dell’Universo non ha massa, non ha spazio, non ha tempo; nella nostra realtà spazio-
temporale quello che vediamo intorno a noi è solo la manifestazione dell’essenza dell’Universo
attraverso la materia: è l’informazione pura, che rende il nostro Universo una manifestazione diretta
dell’entropia costruttiva. Quest’entità onnipresente nello spazio è contemporaneamente presente sia
nel DNA delle nostre cellule, che nel DNA di tutte le cellule di ogni essere vivente nell’Universo,
che nell’elettrone di un atomo di idrogeno di una stella. Anche se per noi si tratta di cose distanti
miliardi di anni luce, per tale entità lo spazio e il tempo non esistono. Quindi ciò che è adesso nel
DNA di una nostra cellula è contemporaneamente nel DNA di tutte le cellule di tutti gli esseri che
sono vissuti nell’Universo, nelle cellule di Gesù, del primo uomo che ha camminato sulla Terra e
nell’elettrone che ha partecipato al Big Bang.
Qualsiasi distanza ha significato se esiste lo spazio, e qualsiasi tempo ha significato se esiste il
tempo. Lo spazio e il tempo esistono nella nostra realtà, ma non in una realtà senza materia.
L’elettrone, secondo la famosa formula di Einstein, non può raggiungere la velocità della luce,
perché a tale velocità la sua massa diventerebbe infinita (più grande di quella di tutto l’Universo).
Gli elettroni, come anche i fotoni, sono tutti esattamente uguali e si comportano tutti nello stesso
modo, ovunque siano nell’Universo, perché attingono da qualcosa le informazioni sul loro
comportamento. La fonte di tali informazioni (la Matrice Energetica) è la stessa per tutte le cose che
si manifestano nella nostra realtà.
Nella nostra realtà spazio-temporale il campo è un’area di influenza entro la quale accadono
fenomeni che hanno comportamenti descrivibili per mezzo di precise relazioni. a esempio la Luna
orbita intorno alla Terra in funzione del campo gravitazionale terrestre, che contiene delle
informazioni, le quali regolano tutta la materia al suo interno, attinte dalla Matrice Energetica: tutto
ciò che ha una massa rispetta queste informazioni.
Il campo gravitazionale è, nella nostra realtà spazio-temporale, un effetto della somma dei campi
individuali delle informazioni di ogni singola particella che costituisce la Terra.
Un quark, un fotone, un elettrone possono nascere, si manifestano e possono rimanere nella nostra
realtà spazio-temporale solo se hanno precise e regolari forme simboliche, altrimenti vengono
rimossi dall’entropia distruttiva. Essi, una volta nati, attingono dalla Matrice Energetica le
informazioni alle quali possono accedere (in funzione della loro precisa forma simbolica). Tali
informazioni, che servono loro per sapere come comportarsi, sono raccolte nel loro campo, nella
loro Anima, e pur mantenendo la propria identità non hanno spazio né tempo.
Se è un fotone, inizierà a viaggiare nel vuoto a 300.000 km. al secondo, se è un elettrone verrà
attratto dai protoni, se è una molecola d’acqua evaporerà alla pressione atmosferica a 100 gradi e
congelerà a 0 gradi.
Quando un elettrone incontra un fotone, la loro interazione produce un nuovo campo dato
dall’interazione tra i due campi e che contiene le nuove informazioni che ne derivano. Queste nuove
informazioni, se rispettano l’entropia costruttiva e hanno un sufficiente valore, accedono
istantaneamente alla Matrice Energetica e da quel momento qualsiasi elettrone o fotone nell’intero
Universo possono accedere, nel corso delle loro interazioni, anche a tali nuove informazioni.
Una molecola d’acqua ha una precisa forma simbolica che le permette di accedere a nuove
informazioni contenute nella Matrice Energetica, accessibili istantaneamente e contemporaneamente
da tutte le molecole d’acqua che vi sono nell’Universo.
L’aspetto che determina l’evoluzione in senso costruttivo dell’Universo è che solo le informazioni
costruttive possono essere trasmesse alla Matrice Energetica e rese quindi disponibili a tutte le
strutture con le stesse forme simboliche presenti nell’Universo. Ogni particella elementare alla sua
nascita attinge dalla Matrice Energetica tutte le informazioni costruttive che sono state prodotte dalle
esperienze delle particelle sue simili. Se tale particella non ha un proprio campo di informazione,
non può esistere nella nostra realtà spazio-temporale, e viene subito espulsa per effetto dell’azione
dell’entropia distruttiva.
Il nostro cervello è un organo la cui attività principale è quella di elaborare le informazioni
provenienti dai sensi, nella forma di stimoli appartenenti alle leggi dello spazio e del tempo. La
ghiandola ipotalamo provvede a fare da interfaccia per ricevere e trasferire informazioni pure
all’Anima (che secondo gli antichi è presente nella ghiandola epifisi, collegata all’ipotalamo), che a
sua volta può direttamente trasferire e ricevere informazioni pure alla Matrice Energetica e da essa.
L’informazione è costituita dalle “istruzioni” che servono alla materia per esistere, muoversi ed
evolvere nella nostra realtà spazio-temporale. Due libri, fatti della stessa carta e dello stesso
inchiostro, possono sembrare apparentemente uguali, ma differiscono invece per l’informazione in
essi contenuta, che non ha peso, non ha massa, non ha tempo, è solo informazione pura.
La Matrice Energetica contiene in sé tutte le informazioni utili a evolvere nel rispetto dell’entropia
costruttiva, contenute in tutti i libri scritti durante la storia dell’umanità, oltre a tutte le informazioni
costruttive ricavate da ogni esperienza vissuta dagli esseri umani e da tutti gli esseri viventi
dell’Universo durante tale tempo, e quelle ricavate da ogni esperienza costruttiva che ogni singola
particella subatomica ha vissuto dall’origine dell’Universo.
La Matrice Energetica può trasferire alla materia informazioni costruttive più o meno complesse, a
esempio alle particelle che costituiscono gli atomi. Essa riesce anche a trasferire informazioni alla
doppia elica del DNA, tali da consentire la realizzazione di un organismo vivente costituito da
miliardi di cellule che sono organizzate, si muovono e agiscono in modo sincronizzato, sulla base
delle informazioni che il DNA ha ricevuto dalla Matrice Energetica.
Il DNA attua una fusione, ordinata e organizzata nello spazio e nel tempo, di tutte le informazioni
pure ricevute da tutti i geni che lo costituiscono. Ogni gene è una chiave di accesso a un tipo preciso
di informazione che viene ricevuta dalla Matrice Energetica per agire sulla materia, permettendone
l’evoluzione costruttiva.
Il DNA di ogni cellula è in comunicazione costante e simultanea sia con la Matrice Energetica che
con il campo individuale dell’organismo vivente nel suo insieme, di cui fa parte, oltre che con il
DNA di ogni altra cellula appartenente allo stesso organismo. Il DNA è quindi come un centralino
telefonico con miliardi di linee attive contemporaneamente, dove sono raccolte e smistate tutte le
informazioni ricevute dalla Matrice Energetica.
Il significato della vita è il seguente: la vita ha lo scopo di permettere a un’Anima di produrre
informazioni costruttive attraverso le esperienze che può vivere solo grazie a un corpo. Le esperienze
che ha ogni uomo (la massima espressione di complessità a cui sia giunta l’entropia costruttiva) con
gli altri esseri e con l’ambiente in cui vive, non sono l’effetto della casualità o delle sole
informazioni ottenute dalla Matrice Energetica, ma sono soprattutto l’effetto delle sue scelte
spontanee, autonome e indipendenti dalle informazioni contenute nella Matrice Energetica (il “libero
arbitrio”).
Il fine ultimo della nostra vita è la produzione di nuove informazioni, sempre più complesse ed
evolute, per la Matrice Energetica, cioè per Dio.

LA MATRICE ENERGETICA E L’ANIMA


L’essere umano è costituito da:
il corpo fisico;
il campo mentale;
l’Anima.

L’Anima è la manifestazione diretta della Matrice Energetica nella realtà materiale, cioè lo
strumento per la produzione di informazioni pure per l’evoluzione della Matrice Energetica e la
diffusione dell’entropia costruttiva. L’interazione del campo mentale con l’Anima forma il “campo
individuale”. Ogni essere umano è un’Anima con una coscienza, che manifesta la propria azione nella
nostra realtà spazio-temporale attraverso un corpo che produce un campo mentale. Le informazioni
contenute nel campo individuale dell’essere umano condizionano e guidano anche il comportamento
dei campi individuali degli altri esseri umani che interagiscono con lui; dalla similitudine tra i due
dipende la possibilità di avere fenomeni di risonanza costruttiva o distruttiva.
L’Anima si confronta continuamente con il campo mentale, che contiene informazioni che possono
anche essere molto distruttive, impedendo la produzione di informazioni costruttive da parte
dell’Anima. Infatti, la prova fondamentale che un’Anima deve riuscire a superare nella sua esistenza
associata a un corpo fisico è proprio quella di produrre informazioni costruttive, nonostante
l’esistenza di una mente che ha solo la consapevolezza del suo corpo e che per questo limite la
ostacola continuamente.
Il campo mentale è prodotto dal corpo durante la vita fetale, e rimane legato a esso per tutta
l’esistenza del corpo stesso. Mentre le informazioni contenute nell’Anima non hanno tempo e sono
eterne, rispetto alla nostra realtà spazio-temporale, le informazioni contenute nel campo mentale
rimangono attive fintanto che esiste il corpo. Se il corpo muore e torna a essere polvere, queste
informazioni svaniscono con esso, anche se ne rimangono le tracce nei campi mentali collettivi
superiori, quello della famiglia, della comunità, dello Stato, fino al campo mentale collettivo della
specie umana.
Il comportamento dell’essere umano dipende proprio dal risultato dell’interazione tra la sua Anima
e il suo campo mentale, da tali informazioni e dal libero arbitrio.
L’Anima è in collegamento permanente con la Matrice Energetica, e contiene solo informazioni
costruttive.
Il corpo fisico è semplicemente la struttura della materia che grazie alla Matrice Energetica e
all’entropia costruttiva è riuscita a evolvere per ospitare un’Anima che gli dà la vita.
Il campo mentale è un campo di informazioni sia costruttive sia distruttive, e su di esso agiscono sia
l’entropia costruttiva che quella distruttiva. Tali informazioni possono determinare sia fenomeni di
interferenza distruttiva che costruttiva con le informazioni dell’Anima.
Questa concezione della vita ci permette di comprendere anche il fenomeno della morte del corpo
fisico; infatti, lo scopo della vita è il raggiungimento degli obiettivi dell’Anima, che si realizza grazie
alla produzione di informazioni attraverso esperienze vissute in diversi corpi fisici, tendenzialmente
sempre più evoluti, limitati dal tempo proprio per poter permettere un ricambio continuo.
Per la nostra Anima, che è immortale, il corpo è semplicemente uno strumento con il quale può
vivere esperienze, in un determinato periodo di tempo, al fine di evolvere e raggiungere i propri
obiettivi, che consistono nella produzione di nuove informazioni costruttive. Per l’Anima la morte del
corpo fisico non è affatto un evento traumatico, anzi è un’opportunità per cambiare in meglio.
Ogni struttura della materia ha un’Anima, l’Anima dell’elettrone è il suo campo elettrico, quella
della Terra è il suo campo gravitazionale. Un elettrone ha una propria Anima, un protone ha una
propria Anima; quando si fondono per formare un atomo di idrogeno, l’Anima dell’atomo assume il
controllo della nuova struttura e le due Anime precedenti sono libere di andare ad assumere il
controllo di un altro elettrone e di un altro protone nascente.
L’Anima non ha spazio né tempo, ed è lo strumento attraverso il quale la Matrice Energetica compie
la sua evoluzione, per mezzo di fenomeni di entropia costruttiva successivi all’acquisizione di nuove
informazioni costruttive.
La Matrice Energetica (Dio) non può vivere esperienze direttamente, ma lo fa per mezzo delle
Anime; la propria evoluzione è ottenuta grazie alle esperienze costruttive vissute dalle Anime nel
tempo. Lo scopo primario di ogni Anima è quello di contribuire alle manifestazioni di entropia
costruttiva nell’Universo e, quindi, all’evoluzione continua dell’intero Universo.
Per raggiungere il suo scopo, l’Anima deve produrre, come risultato finale di tutte le esperienze
vissute, un aumento dell’ordine nell’Universo e consentire un aumento dei fenomeni governati
dall’entropia costruttiva nell’Universo stesso.
L’Anima ha un suo percorso evolutivo che diviene tanto più veloce quanto più è complessa la
struttura che la ospita. Un fotone può esistere da trilioni di anni, un sasso da milioni di anni, un albero
da centinaia di anni, un essere vivente per molte decine di anni.
I nostri sensi non sono predisposti a recepire e comprendere le informazioni pure dell’Anima,
mentre i segnali inviati e ricevuti dai sensi vengono raccolti facilmente nel campo mentale. Occorre
invece assumere consapevolezza che in realtà ognuno di noi è la sua Anima, e il nostro corpo è
semplicemente la struttura complessa nella quale l’Anima, grazie alla sua evoluzione, ha deciso di
vivere le proprie esperienze. Senza l’Anima, il corpo sarebbe solo una massa di materia organica
soggetta all’azione dell’entropia distruttiva, e tornerebbe a essere polvere.
Noi non siamo il nostro corpo, né siamo la nostra mente, siamo un’Anima che tenta di contribuire in
modo costruttivo all’evoluzione e all’aumento di fenomeni di entropia costruttiva nell’Universo.
Siamo esseri spirituali che stanno vivendo un’esperienza corporea, non esseri corporei che cercano
di vivere esperienze spirituali.
Ognuno di noi dovrebbe entrare nel flusso dell’entropia costruttiva (dove esiste la protezione da
parte di altre anime più evolute, con o senza corpo), per evitare di esporsi all’azione dell’entropia
distruttiva, e per non sperimentare sofferenze.
Quanto più è evoluta un’Anima e quanto meno riesce a raggiungere i suoi scopi per effetto di un
campo mentale troppo distruttivo, tanto maggiore è il senso di sofferenza e frustrazione in cui vive
l’essere umano. Solo un’Anima poco evoluta può vivere serenamente le esperienze distruttive che il
suo campo mentale produce.
Quindi il significato essenziale di un’esperienza può essere totalmente diverso da come la nostra
mente la giudica. Anche i fenomeni distruttivi generati da un’Anima poco evoluta sono comunque
utili, in quanto possono permettere ad altri di vivere esperienze costruttive. Una classica esperienza
costruttiva è, infatti, quella vissuta nel diretto confronto con fenomeni distruttivi. Ciò avviene perché
qualsiasi cosa esista o accada nell’Universo, anche quella che per la nostra capacità di giudizio è la
più terribile, ha una sua utilità: niente è inutile.
Un essere umano fortemente distruttivo rappresenta un “rischio” per l’Universo e per la Matrice
Energetica, ma può essere utilizzato affinché, con la sua azione distruttiva, possa divenire lo
strumento di “disturbo” attraverso il quale altri esseri umani costruttivi possano vivere esperienze
fortemente più costruttive che se non avessero subìto il “disturbo”.
Gli esseri umani che scelgono di essere distruttivi, per effetto dell’incapacità di affrontare le
proprie paure, vivono non solo provocando la sofferenza ad altri, ma spesso anche in una profonda
sofferenza interiore, tanto maggiore quanto più grande è il livello di evoluzione della loro Anima.
L’esperienza attraverso la quale un essere umano costruttivo riesce a non farsi influenzare
negativamente da un essere umano distruttivo, è un’informazione costruttiva molto importante, che, se
raggiunge la Matrice Energetica, diviene istantaneamente disponibile a tutti gli esseri umani viventi
in grado di riceverla.
La nostra esistenza come Anima è iniziata vivendo in strutture della materia molto semplici, come
in un elettrone, in un atomo d’oro, in una molecola d’acqua, in un cristallo, in un fiore, in un virus, in
un verme, in un pesce, in un uccello, fino ad arrivare a uomini e donne capaci, nelle loro prime
esperienze in corpi umani, di vivere soprattutto esperienze distruttive, successivamente in esseri
umani capaci di vivere sia esperienze costruttive che distruttive.
La nostra conquista più importante l’abbiamo già compiuta raggiungendo la possibilità di vivere in
un corpo umano, che in questo momento è vivo. Infatti, se la nostra Anima non ritenesse utile la vita
del nostro corpo per produrre direttamente o indirettamente esperienze costruttive, semplicemente lo
lascerebbe. Anche il fatto stesso di lasciare il corpo può rappresentare l’ultima importante
possibilità (in quella vita) di far vivere a qualche altra Anima esperienze fortemente costruttive.
Il vero problema, a questo punto, consiste nel riuscire a vivere esperienze costruttive e di successo,
piuttosto che ridursi a essere dei semplici strumenti distruttivi che permettono ad altre persone di
vivere esperienze costruttive importanti, talmente importanti da riuscire a compensare i danni
prodotti da chi è distruttivo, e riuscendo, nonostante ciò, a far aumentare la somma totale dei
fenomeni di entropia costruttiva nell’Universo.
Va detto che il campo mentale è estremamente legato alla vita del suo corpo ed estremamente
sensibile al dolore fisico; per l’Anima, invece, la morte è una cosa piacevole.
Ancora prima che il corpo fisico venga alla luce, cioè nell’utero materno, l’Anima e il campo
mentale iniziano ad acquisire informazioni attraverso le esperienze della madre. Le esperienze
vissute dal corpo fisico nel corso dei primi anni di vita sono le più importanti, e in genere dipendono
fortemente dai genitori. Il caso in cui si hanno genitori distruttivi, è dovuto al fatto che l’Anima ha
scelto proprio quei genitori per avere l’opportunità di vivere esperienze fortemente costruttive,
quindi ciò che siamo dipende sempre, solo ed esclusivamente, da noi e da come abbiamo reagito alle
nostre prime esperienze di dolore e di gioia.
L’importanza delle esperienze vissute nei primi anni di vita e il ruolo dei genitori è tale che spesso
un essere umano si trova a consumare gran parte del resto della sua esistenza vivendo esperienze che
semplicemente hanno lo scopo di rimediare alle esperienze distruttive vissute da piccoli, ma
importanti per la sopravvivenza del suo corpo, ripetendole ciclicamente fino a quando saranno
vissute in modo costruttivo. Ogni uomo e ogni donna incontrano ed hanno relazioni con le donne e gli
uomini che si sono saputi meritare.
Spesso l’Anima a causa delle interferenze del campo mentale fallisce nell’obiettivo di vivere
esperienze capaci di produrre informazioni costruttive, e produce invece informazioni distruttive, che
sono memorizzate nel campo mentale e, una volta trasformate dal cervello in informazioni pure,
anche nella coscienza dell’Anima. In tal modo un’Anima che ha un corpo fisico, a causa della forza
dei segnali negativi che riceve dal suo corpo e dal campo mentale associato a esso, arriva a
concepire la sua esistenza solo come corpo fisico, annullando la sua attitudine a vivere esperienze
costruttive.
Un essere umano che può causare ad altri esseri viventi fenomeni di entropia distruttiva, come la
sofferenza gratuita, senza un fine costruttivo, senza provare la minima emozione negativa, è
sicuramente un’Anima poco evoluta che ha solo la consapevolezza del suo corpo. Essa appartiene a
un essere umano che è dominato dalle sue paure, nel quale la volontà del campo mentale di
controllarle prende in ogni modo il sopravvento sulle intenzioni della sua Anima. In tal caso il campo
mentale, che si trova nel flusso dell’entropia distruttiva, si illude di risolvere o giustificare le sue
paure, provocando disordine e sofferenza intorno a lui.
Chi ha paura della povertà, una delle paure fondamentali della nostra società consumistica,
consentendo l’influenza dell’entropia distruttiva, può provare un’emozione positiva, sia quando
ottiene del denaro sia quando gli altri hanno meno denaro di lui. Tale emozione positiva è solo di tipo
mentale ed è indipendente dallo scopo della sua Anima; a queste persone il denaro non basta mai e
provano invidia per chi ne ha più di loro.
È anche vero che non basta provare emozioni positive ed essere attratti dal bene, per capire di
essere nel flusso dell’entropia costruttiva e avere una consapevolezza come Anima. I concetti di bene
e di male, come già descritto nella parte iniziale del libro, sono solo costruzioni della nostra mente,
sono interpretazioni arbitrarie della realtà secondo schemi mentali e senso comune. È, infatti, molto
diffuso il fenomeno secondo il quale chi, per i suoi schemi mentali, opera nel bene, in realtà
determina solo fenomeni distruttivi, così come chi, secondo i suoi schemi mentali, opera nel male, in
realtà produce fenomeni costruttivi.
Per la nostra mente, capire quando una scelta è costruttiva o distruttiva è in ogni caso molto
difficile, come giudicare il significato essenziale di un evento, senza farsi condizionare da schemi,
pregiudizi e senso comune. Pertanto, ogni essere umano dovrebbe entrare nel flusso dell’entropia
costruttiva, in modo che qualsiasi azione, decisione, pensiero e scelta possano essere un effetto
dell’azione dell’entropia costruttiva, indipendentemente dal campo mentale, che spesso si ribella
generando sensi di colpa ogni volta che non sono rispettati i suoi schemi. È augurabile che la nostra
ultima vita associata a un corpo umano possa essere quella in cui saremo stati in grado di vivere
esperienze di entropia costruttiva, atte a produrre nuove informazioni costruttive per la Matrice
Energetica.
L’Anima non può trasferire alla Matrice Energetica le informazioni che possono in qualsiasi modo
produrre informazioni distruttive. Infatti, la Matrice Energetica rappresenta la coscienza dell’entropia
costruttiva, per questo non può regredire, può solo progredire, evolvere proprio grazie alle
informazioni costruttive pure, prodotte dalle esperienze vissute dalle Anime.
LA COSCIENZA E LE ESPERIENZE
Quando un’Anima ha vissuto sufficienti esperienze attraverso strutture sempre più complesse ed ha
sviluppato una coscienza, il suo grado di evoluzione può permetterle di vivere in strutture come
l’organismo umano. In tal modo può potenzialmente produrre, attraverso le sue esperienze,
informazioni costruttive che possono essere nuove anche per la Matrice Energetica, e che quindi
possono contribuire concretamente alla sua evoluzione e all’evoluzione dell’Universo. Esaminiamo
questa schema:

Coscienza: capacità dell’individuo di identificarsi quale soggetto della propria vita. L’Anima
raggiunge tale capacità acquisendo la possibilità di fare delle scelte autonomamente, anche in base
alle proprie esperienze e non solo in funzione delle informazioni ricevute dalla Matrice Energetica: il
libero arbitrio. Quindi la coscienza è la capacità dell’Anima di acquisire, memorizzare, interpretare
e discernere non solo informazioni costruttive, ma anche informazioni distruttive, grazie al libero
arbitrio, al fine di produrre informazioni costruttive, a costo di stimolare eventi che possono portare
l’essere umano a vivere grandi dolori.

Consapevolezza: sentirsi stabilmente partecipe della propria coscienza. È la più elevata esperienza
umana.

Ognuno di noi durante le varie età della vita arriva ad avere un grado di coscienza più o meno
elevato (ad esempio da 1 a 9), con un valore tanto più alto quanto più ci identifichiamo quali soggetti
della nostra vita. Per ogni grado di coscienza si vivono in maniera proporzionale le corrispondenti
esperienze, che avvengono attraverso il libero arbitrio concesso a ogni uomo. Quindi un essere
umano che ha acquisito un grado di coscienza 3 vive quotidianamente esperienze di tipo 3. Se non
accettiamo le esperienze negative vissute, cioè non ne comprendiamo profondamente il significato,
allora ci ammaliamo.
La malattia appare, allora, come la conseguenza di un blocco energetico, derivante dalla mancata
accettazione di tutte le esperienze vitali (specie quelle negative) vissute grazie al libero arbitrio in
diretta correlazione con il grado di coscienza raggiunto. Ricorrendo a un esempio, se l’essere umano
accetta tali esperienze, aumenta la propria saggezza, il che gli permette di evolvere, aumentando il
grado di coscienza, che diventerà 4. In tal modo avrà esperienze di livello 4, superiori alle
precedenti, ma anche in tal caso può non accettare il significato di tali esperienze e bloccarsi,
producendo la malattia, che come un messaggio inviato sul corpo, lo avvisa, con i suoi sintomi, di
comprendere e accettare tutte le esperienze vissute.
Alcuni soggetti possono arrivare addirittura a involvere, per limitarsi a vivere esperienze di valore
più basso, corrispondenti a un grado di coscienza minore, per evitare di soffrire. Invece il nostro
obiettivo, come già detto, deve essere quello di produrre nuove informazioni per la Matrice
Energetica, fino a raggiungere la consapevolezza, cioè l’illuminazione (grado 10). Quindi la mancata
comprensione delle esperienze induce sempre sofferenza. Abbiamo due possibilità: o soffrire oppure
comprendere e accettare. Se non comprendiamo né accettiamo, allora soffriamo, e ci ammaliamo.
Un punto molto importante per la salute è proprio il livello di coscienza e la sua frequenza
vibratoria, rappresentabile con l’immagine del grattacielo. Tutti siamo come dei grattacieli, con piani
di coscienza e frequenze vibratorie diversi. Se guardiamo fuori dalla finestra di un grattacielo al
primo piano, ciò che vedremo sarà molto diverso da quello che vedremmo se fossimo al centesimo;
la realtà esteriore cambierà radicalmente.
La stessa cosa succede quando cambiamo livello di coscienza e di frequenza energetica: il
paradiso, la vita, la coscienza, la libertà, l’amore, la bellezza e la verità si trovano in alto; mentre
l’inferno, la morte, l’incoscienza, la schiavitù, l’odio e la menzogna si trovano in basso.
È possibile salire su quest’asse verticale della coscienza con un cambiamento del proprio modo di
vedere la realtà e la vita. Questa scoperta ha un impatto fondamentale sulla medicina, sia fisica che
psichica e spirituale, perché con cambiamenti di coscienza e frequenza energetica cambiano
radicalmente le risposte della persona a varie medicine e terapie. Se si cambia livello di coscienza e
di frequenza vibratoria, bisogna cambiare le dosi di un rimedio terapeutico, e magari lo stesso
rimedio. Quindi malattie identiche possono e devono essere curate con dosi e medicine diverse!
Questa è la vera ars medica.

COSCIENZA ED ENTROPIA COSTRUTTIVA


Le facoltà della coscienza, secondo i criteri della psicosintesi di Roberto Assagioli, sono divise in
7 funzioni:

1) Sensazioni (vedere, udire, gustare, odorare, toccare);


2) Impulsi (fame, sete, fatica, desiderio sessuale, ira, aggressività);
3) Emozioni (gioia, tristezza, amore, paura, eccitazione, depressione);
4) Immagini o simboli (naturali, umani, spirituali);
5) Idee o pensieri (del passato, del presente, del futuro);
6) Intuizione (a livello fisico, mentale, spirituale);
7) Volontà (concentrazione dell’attenzione su oggetti fisici, emotivi, mentali, spirituali).

Occorre rendersi conto che noi non siamo solo le nostre sensazioni, i nostri impulsi, le nostre
emozioni, le nostre immagini e simboli, le nostre idee o pensieri, la nostra intuizione, ma siamo la
nostra coscienza, che ingloba contemporaneamente tutte queste facoltà. Siamo capaci di fare ciò che
vogliamo e di non fare ciò che non vogliamo fare? Siamo in grado di attivare in ogni momento della
vita la nostra coscienza, quell’io cosciente creativo e critico che ha reso possibile l’evoluzione della
specie?
L’attività mentale umana è per la maggior parte di tipo conservativo, tesa, cioè, alla difesa dell’io
soggettivo dalle aggressioni esterne. Tale attività è quasi completamente coordinata dalla mente
biologica-neuronale (il cervello).
Le attività superiori, invece, in particolare il pensiero critico e creativo, sono caratteristiche
dell’io cosciente, struttura sicuramente distinta dalla mente biologica, ma a essa strettamente
interconnessa.
Il cervello impiega 500 millisecondi per elaborare la realtà in modo conscio, mentre gli bastano
150 millisecondi per l’individuazione sensoriale senza consapevolezza, cioè per vedere cose non
interessanti, che non vengono registrate.
Il processo di prendere coscienza, quindi, crea un lievissimo e impercettibile ritardo tra quello che
vediamo e sentiamo e quello che “sappiamo” di aver visto e sentito. Cosa avviene in questo lasso di
tempo? In quei 350 millisecondi entrano nella coscienza solo quelle informazioni che le cellule
nervose della corteccia cerebrale ritrasmettono in modo sincrono ai centri di una struttura nervosa (il
talamo), sintonizzandosi tutte sulla stessa frequenza d’onda: una modulazione intorno ai 40 Hertz. Il
rumore di fondo continuo delle altre cellule, trasmesso su altre lunghezze d’onda, resta, invece,
escluso dalla coscienza.
La raccolta di queste informazioni è fatta dalle cellule del nucleo intralaminare del talamo, dal
quale ha origine un treno d’impulsi nervosi, che, simile a un fascio radar, fa il giro completo del
cervello ogni 12,5 millisecondi. Ogni giro esplica il reclutamento di tutte le informazioni presenti
nelle diverse aree specializzate del cervello: corteccia visiva, sensitiva, uditiva, che sono
sincronizzate dalla mente sulla stessa lunghezza d’onda (40 Hertz).
La coscienza, quindi, non è un luogo fisico, ma un tempo e una frequenza che accordano le diverse
sensazioni all’unisono tra loro. Il cervello con la sua struttura organico-biologica è assimilabile
all’hardware di un computer, in cui s’immettono i dati provenienti dagli organi di senso, e in cui il
frutto dell’elaborazione della mente viene tradotto in fisicità, per l’azione finale. La mente è invece il
programma di elaborazione-dati interposto al terminale-cervello, e cioè rappresenta l’unità centrale
elettromagnetica dell’intero calcolatore (software).
Possiamo, quindi, ragionevolmente supporre che accanto a un cervello neuronale esista un cervello
elettromagnetico (psiche), in grado di elaborare informazioni con una velocità e sensibilità
estremamente superiore al cervello biologico. In tale struttura elettromagnetica coesiste sia l’io
biologico che l’io superiore, cioè l’io creativo - riflessivo. Tale struttura utilizza il cervello
biologico-neuronale e da esso ricava percezioni e sensazioni che poi elabora e traduce in coscienza,
senso della vita e dell’essere, nonché in strategie di evoluzione e trascendenza.
Ogni mutamento di carattere somatico influenza tale struttura elettromagnetica che definiamo
“psiche”; così uno “stressor” nella struttura psico-elettromagnetica si tradurrà, attraverso la
mediazione del cervello biologico-neuroendocrino, sull’intero organismo.
Il rapporto tra mente e corpo è così stretto, diretto e immediato, che uno shock psichico produce
contemporaneamente una perturbazione nella mente elettromagnetica, nel cervello biologico e in un
organo periferico controllato da quella area encefalica. Se mente e corpo sono, quindi, così
strettamente interconessi, i fattori psichici possono scatenare malattie somatiche, ma anche
intossicazioni croniche a carico di organi periferici o del tessuto intercellulare connettivale possono
acuire o generare disturbi psicologici.
L’agire consapevolmente in funzione dello scopo dell’Anima è l’elemento fondamentale per entrare
nel flusso dell’entropia costruttiva, e per realizzare ciò la condizione prioritaria è dissolvere le
proprie paure. Per ridurre le proprie paure, occorre imparare a non temere più il giudizio degli altri;
infatti, temere il giudizio degli altri significa essere dominato nelle proprie scelte dall’influenza del
campo mentale, che forza la persona a essere sempre come gli altri si aspettano che sia.
Non temere il giudizio degli altri significa essere riusciti a ridurre l’influenza del campo mentale,
amando profondamente se stessi. Anche imparare a dire di no, rappresenta una condizione importante
per neutralizzare le proprie paure.
Sembra un luogo comune dire che per amare veramente qualcuno, si deve prima imparare ad amare
se stessi, e questo è l’elemento fondamentale per potersi liberare dal timore del giudizio degli altri. Il
giudizio degli altri dipende dagli schemi mentali e dal senso comune (l’educazione e la cultura
ricevute e l’ambiente in cui si è vissuti), ed è condizionato dalle informazioni contenute nel nostro
campo mentale.
Tutti in varia misura temiamo il giudizio degli altri, ma chi non si ama consuma la quasi totalità
della propria energia vitale nel tentativo di piacere agli altri. È come voler attraversare un lago con
una barca a remi che ha una falla nello scafo. Gran parte dell’energia disponibile dovrà essere
utilizzata per togliere l’acqua entrata dalla falla, per evitare che la barca affondi.
Non esiste un “libro del destino” dove sta già scritto tutto, dove tutto è già previsto. L’Anima non sa
se le cose andranno come si aspetta che vadano. È proprio grazie a questa “imprevedibilità guidata”
che le esperienze possono produrre informazioni costruttive che siano nuove anche per la Matrice
Energetica.
La memoria completa di un’esperienza, distruttiva o costruttiva, avvenuta nello spazio e nel tempo
e condizionata da giudizi, schemi mentali, sensi comuni, è mantenuta nel campo mentale.
L’Anima e la sua coscienza, che non hanno spazio né tempo, possono acquisire solo informazioni
pure, che contengono solo le informazioni essenziali ricavate da ogni esperienza, e liberate dallo
spazio e dal tempo e dall’influenza del campo mentale.
Per vivere esperienze costruttive importanti e nuove anche per la Matrice Energetica è necessario il
libero arbitrio e quindi la possibilità di scelta, considerando i possibili sviluppi di un’esperienza, sia
in senso distruttivo sia costruttivo. Per questo motivo la coscienza dell’Anima deve avere anche una
memoria delle esperienze distruttive.
In effetti, le Anime che si sono evolute fino ad avere una coscienza rappresentano un “investimento”
rischioso, nel senso che per produrre nuove informazioni costruttive complesse per la Matrice
Energetica devono poter vivere, interpretare e memorizzare anche esperienze distruttive, cioè devono
essere messe in condizione di prendere decisioni e di fare scelte costruttive anche in fenomeni
governati dall’entropia distruttiva. Solo le informazioni ottenute da questo tipo di esperienze possono
permettere ulteriori evoluzioni della Matrice Energetica.
Le informazioni presenti nella coscienza dell’Anima di un essere umano sono eterne, e sono il
risultato delle innumerevoli esperienze che l’Anima ha vissuto in strutture della materia sempre più
organizzate e capaci di vivere esperienze complesse. Invece le informazioni presenti nel campo
mentale sono collegate con il corpo che le ha prodotte, e in genere hanno una maggiore influenza
immediata sulle esperienze che l’essere umano ha vissuto e vivrà nel corso della sua esistenza. Ogni
essere umano produce continuamente informazioni attraverso i suoi pensieri, e le trasferisce o ad altri
o all’ambiente che lo circonda. Le informazioni prodotte dalla mente sono alla base dell’attrazione e
repulsione tra esseri umani; in genere gli esseri umani che hanno un campo individuale distruttivo,
devono utilizzare strategie mentali estremamente impegnative per non attrarre solo esseri umani
distruttivi, o investire enormi quantità della loro energia nell’aspetto fisico, mentre, per quanto
riguarda le informazioni presenti nella coscienza dell’Anima, non vi sono regole che stabiliscono le
attrazioni e repulsioni tra esseri umani. L’Anima ha una consapevolezza e degli obiettivi per
raggiungere i quali può essere importante per un soggetto costruttivo provare attrazione verso uno
distruttivo e viceversa.
La volontà dell’Anima non può essere giudicata dalla mente, e può apparire estranea a ogni logica.
La mente ha, in effetti, delle limitate capacità di interpretazione della realtà, e crede di esprimere
giudizi obiettivi, ma non fa altro che cercare di spiegare razionalmente, sulla base delle proprie
esperienze, le sensazioni che l’effetto di ogni interazione gli trasmette in misura più o meno evidente.
Ecco un esempio di come la mente sia la principale responsabile del modo con cui percepiamo la
realtà: se un bambino ci dice una frase offensiva di solito non ci arrabbiamo, ma se la stessa frase
viene espressa da un adulto siamo subito pronti a litigare. La frase è la stessa, noi siamo gli stessi, la
differenza è nel fatto che la nostra mente considera le parole del bambino come uno scherzo di un
essere incosciente, mentre ritiene la frase dell’adulto come un’offesa seria pronunciata da una
persona cosciente.
Ma allora, perché dovremmo considerare una persona seria e cosciente chi ci dice una parolaccia e
non potremmo invece considerarlo al pari di un bambino? Se questa persona ci ha insultato senza un
reale motivo, perché arrabbiarsi? Sarebbe naturale considerarlo come un bambino cresciuto che non
sa quello che dice! Se invece siamo stati noi a provocare in qualche modo l’insulto, sarebbe meglio
ammettere il nostro errore ed evitare di peggiorare la situazione. In ogni caso, è sempre la nostra
mente che elabora le percezioni sensoriali, giudicando le varie situazioni, e frammentando la realtà.
Il campo individuale di ogni essere umano, sia per le informazioni che contiene, sia per il loro
valore, è uno degli elementi che rendono ogni essere umano assolutamente unico e irripetibile.
L’aspetto molto interessante di questo fenomeno di interazione distruttiva o costruttiva tra Anima e
campo mentale è che, solo cambiando l’atteggiamento mentale e la qualità delle informazioni
contenute nel campo mentale, è possibile ottenere cambiamenti molto rapidi e forti del campo
individuale.
Il campo individuale pulsa e si espande o si contrae a ogni pensiero che viene prodotto. Questa
pulsazione è percepita come emozioni di gioia ed entusiasmo quando l’interazione costruttiva con
l’Anima determina un’espansione del campo individuale, e come emozione di infelicità e paura
quando l’interazione distruttiva con l’Anima determina una contrazione del campo individuale.
LA FELICITÀ E LA SOFFERENZA
La felicità dipende solo dalla consapevolezza con cui si vive la realtà. È uno stato dell’essere che
si raggiunge quando quello che si fa è in sintonia con gli obiettivi della propria Anima. L’aspetto
importante è che per ottenere tale situazione è sufficiente produrre pensieri costruttivi con un
atteggiamento mentale costruttivo. Quando il campo mentale e quello dell’Anima contengono
informazioni in contrasto tra loro, e le informazioni distruttive del campo mentale sono superiori a
quelle costruttive dell’Anima, si ottiene per effetto dell’interazione distruttiva un campo individuale
distruttivo, con l’entrata nel flusso dell’entropia distruttiva e la percezione dello stato di infelicità.
La mente, purtroppo, non è in grado di capire se un’esperienza o un’informazione è in sintonia con
gli obiettivi dell’Anima, per cui il problema a questo punto si sposta dalla capacità di comprensione
della mente alla consapevolezza della realtà che si sta vivendo. Se si riesce ad avere almeno una
piccola parte della consapevolezza della realtà che ha l’Anima, allora si riesce a entrare nel flusso
dell’entropia costruttiva, e la felicità si raggiunge spontaneamente, senza aver bisogno che accada
nulla perché ciò si verifichi.
In tal modo si contraddice il famoso detto “Chi cerca trova”, che diventa “Chi non cerca trova”, in
quanto chi è nel flusso dell’entropia costruttiva non deve affannarsi e disperdere energia per cercare
le soluzioni a eventuali problemi, ma queste vengono trovate senza alcun tipo di azione, come se
arrivassero dalla sincronizzazione del Campo Individuale della persona con la Matrice Energetica.
Quando si pensa alla felicità, la mente pensa subito a dei motivi che possano giustificarla, cioè
considera la felicità come l’effetto dell’ottenimento di qualcosa che soddisfi i suoi desideri. Ma i
suoi desideri derivano soprattutto dalla paura di soffrire, che a sua volta deriva dall’incapacità di
comprendere il reale significato della realtà in cui vive. Per come vive la realtà un neonato, il poter
essere abbracciato e allattato da sua madre, ha maggior valore di una vincita milionaria. Invece per
una donna terrorizzata dalla solitudine, essere circondata da uomini che la usano, riempiendola di
falsi complimenti finalizzati a possederla sessualmente, ha maggior valore del sincero e
incondizionato amore che può silenziosamente ricevere da chi non vuole nulla in cambio.
La mente dà valore alle cose solo in funzione del bisogno che crede di avere di esse o del timore
che ha di esse, non in funzione della reale importanza che hanno. Una persona che incontra un
pipistrello che gli vola sulla testa può terrorizzarsi, mentre due topi possono considerare lo stesso
pipistrello un angelo.
La consapevolezza dell’Anima è quella che può permettere di dare il giusto valore a ogni cosa,
perché l’Anima non ha bisogno di nulla e non teme nulla. Le basta la sua pura esistenza,
indipendentemente da qualsiasi cosa possa accadere, perché non ha bisogni fisici da soddisfare, non
ha desideri mentali da realizzare, non teme il giudizio o il confronto con gli altri, non può morire e
quindi non ha paura della morte. La sua consapevolezza è quella dell’intero Universo dal quale non
può separarsi, perché partecipa all’evoluzione dell’Universo stesso.
La sofferenza emotiva, che spesso si traduce nella depressione, intesa come effetto del non poter
fare le cose che ci piacciono, è invece sempre dipendente dalle informazioni accumulate nel campo
mentale e del modo in cui la mente interpreta la realtà, quando cioè essa non riesce a soddisfare le
proprie aspettative.
Tale sofferenza può essere l’effetto dei tentativi dell’Anima, incomprensibili per la mente, di creare
situazioni in cui la persona possa evolvere e iniziare a produrre informazioni costruttive, o l’effetto
di uno stato di insoddisfazione da parte della mente, che tenta di trovare subito dei “colpevoli” o
delle cause esterne.
La colpa della sofferenza è solo della mente; la sofferenza produce paura, e questa impedisce a un
essere umano di compiere scelte costruttive. Le ragioni alle quali attribuiamo la causa della nostra
sofferenza non sono altro che l’effetto del nostro atteggiamento mentale, e spesso sono dovute a un
errore nell’interpretazione della realtà. Ma è proprio in queste circostanze che si crea la possibilità
di produrre informazioni costruttive estremamente importanti e di sperimentare, da parte del campo
mentale, che tutto ciò che accade non è altro che l’effetto del proprio modo di porsi nei riguardi della
vita.
Una volta che si riesce comunque a essere sereni, si accede al flusso dell’entropia costruttiva,
seguendo l’Anima, anziché cadere continuamente nelle trappole della mente. Se un’Anima è molto
evoluta, pur di arrivare al suo scopo, è possibile che s’impegni a produrre situazioni in grado di far
vivere esperienze che possano anche causare profonda sofferenza. Quando finalmente avrà imparato
il significato reale della sofferenza, allora sarà pronta per continuare a evolvere senza dover più
affrontare esperienze di sofferenza, ma solo attraverso esperienze di gioia e di successo.

GLI ANGELI, GLI UOMINI E L’ENTROPIA COSTRUTTIVA


Quando l’evoluzione dell’Anima è massima, e l’associazione a un corpo può essere un limite,
anziché un’opportunità, l’Anima può agire costruttivamente, evitando di doversi associare a un corpo
umano. In tal caso agirà come parte integrante della Matrice Energetica, per favorire fenomeni di
entropia costruttiva nella nostra realtà spazio-temporale da parte delle Anime che ancora sono
associate alla materia.
Tale Anima evoluta agirà quindi in modo più efficace e produttivo che se fosse associata a una
struttura con tutti i limiti creati dal corpo e dal campo mentale. Le Anime senza un corpo non hanno
più i limiti operativi spazio-temporali del corpo stesso, ed hanno un nome che le identifica
perfettamente: sono gli angeli.
Gli angeli non desiderano altro che poter collaborare con le Anime che hanno un corpo, ma
possono farlo solo per quegli esseri umani che sono nel flusso dell’entropia costruttiva. Essi non
fanno nulla per realizzare i desideri distruttivi della mente, intenta il più delle volte solo a fuggire
dalle sue paure; possono intervenire solo se la realizzazione del desiderio determina un’esperienza
potenzialmente costruttiva. Ogni aspettativa della mente produce la paura che non sia soddisfatta:
questo allontana gli Angeli.
Può succedere che anche un’Anima senza più un corpo possa decidere di incarnarsi nuovamente in
un altro, di “scendere” nella materia, e ciò avviene quando la maggioranza delle Anime che vivono in
un corpo non riescono più a vivere esperienze governate dall’entropia costruttiva, oppure quando
tante Anime, divenute completamente incapaci di ricevere l’azione dell’entropia costruttiva, vivono
nel flusso dell’entropia distruttiva. In questo secondo caso, tale Anima estremamente evoluta (e
possiamo pensare a Gesù Cristo) potrà efficacemente riuscire a contrastare le azioni distruttive di
altre Anime che hanno perso ogni consapevolezza del loro scopo.
Gli angeli sono anime talmente evolute che non hanno più bisogno di un corpo fisico per produrre
informazioni costruttive per la Matrice Energetica, e contribuiscono alla diffusione dell’entropia
costruttiva nell’Universo, partecipando all’esperienza di quelle Anime con un corpo che possono
produrre informazioni costruttive importanti, e aiutandole alla realizzazione dei loro obiettivi. Non
fanno nulla per assecondare i desideri delle menti degli esseri umani se questi non sono comunque in
sintonia con quelli della loro Anima. Gli angeli hanno un’identità, un’Anima con una propria
coscienza, ma non hanno né un corpo fisico né il campo mentale a esso associato, sono volontà,
intelligenza e informazione pura.
L’obiettivo di ogni angelo custode è quello di aiutare l’essere umano a evolvere e a vivere
esperienze sempre più costruttive, ma per arrivare a ciò, questi deve prima liberarsi delle paure,
affrontandole. Le esperienze che possono liberare un essere umano dalle paure sono proprio quelle
che nel suo passato sono state vissute con sofferenza, e per questo motivo hanno dato origine alla
paura. Se un’esperienza viene vissuta distruttivamente e con sofferenza, è solo a causa delle ridotte
capacità della mente di interpretare correttamente la realtà.
Se l’essere umano è distruttivo ed ha un campo mentale pieno di paure, la condizione costruttiva
può essere raggiunta solo se prima egli riesce a ridurre tali paure; per permettere ciò, l’angelo
custode può solo contribuire a fargli rivivere proprio le esperienze che hanno fatto nascere in lui la
paura quando in passato sono state vissute distruttivamente, dandogli così la possibilità di riuscire,
finalmente, ad affrontarle in modo costruttivo e cancellarle. Per le Anime con un corpo, ogni
desiderio che deriva da paure non risolte presenti nel campo mentale rappresenta solo una perdita di
energia che non solo distrae dai veri obiettivi, ma che contribuisce ad alimentare le paure stesse,
ostacolando il flusso dell’entropia costruttiva.
L’essere umano, per l’Anima, dovrebbe sempre essere entusiasta e felice, solo per il fatto di essere
vivo; chi non riesce a esserlo è solo perché è vittima delle proprie paure e del proprio atteggiamento
distruttivo. Per l’Anima la vita rappresenta la massima espressione della bellezza e della ricchezza.
Tutto ciò che è ottenuto per “fuggire” dalle proprie paure, compresi i beni materiali quando non sono
utilizzati per fini costruttivi, sono solo coperture per rinforzare le paure presenti nel campo mentale.
Per un certo essere umano l’esperienza, che può permettergli di vivere importanti esperienze
costruttive, può essere quella di finire su una sedia a rotelle, per un altro essere umano può essere
invece vincere milioni di euro alla lotteria. Per l’Anima e gli Angeli, che sono eterni ed hanno una
consapevolezza della realtà ben diversa di quella della nostra mente, un’esperienza vale l’altra.
Gli angeli aiutano anche coloro che non riescono a entrare nel flusso dell’entropia costruttiva (e ciò
a causa delle loro paure) a vivere esperienze che possono apparire estremamente distruttive, creando
ripetutamente situazioni “negative” simili, o comunque collegate, affinché un essere umano possa
riuscire a gestire in modo costruttivo, rivivendola, proprio la situazione che inizialmente aveva
prodotto in lui sofferenza e paura.
Chi ha paura di essere abbandonato, vivrà esperienze in cui sarà ripetutamente abbandonato, fino a
quando riuscirà a non temere più l’abbandono. Chi ha paura della povertà, vivrà esperienze in cui
guadagnerà e perderà ripetutamente soldi, fino a quando riuscirà a imparare a non temere più la
povertà, e solo così potrà entrare nel flusso dell’entropia costruttiva e finalmente iniziare a
guadagnare i soldi che gli servono per vivere esperienze più costruttive.
Ci sono anime con un corpo che, finché è sano, ricco e bello, non riescono a vivere
alcun’esperienza di vero successo e a produrre alcun’informazione pura costruttiva; dopo un
incidente che compromette la funzionalità meccanica del corpo, iniziano, se hanno saputo sfruttare
l’opportunità di vivere costruttivamente l’esperienza del dolore, a produrre importanti informazioni
costruttive.
Gli angeli conoscono il vero significato della sofferenza, che non è affatto quello che ogni essere
umano attribuisce e prova a ogni esperienza che non va come vorrebbe o come si aspetta.
L’esperienza del dolore e della sofferenza sono, per molte Anime con un corpo, ancora uno degli
strumenti evolutivi più importanti; il dolore obbliga un essere umano a dover affrontare le proprie
paure, anche se lo fa nel modo meno piacevole.
Lo stile di vita di ogni essere umano è solo il prodotto delle sue scelte, e deriva sempre dallo stato
emotivo con cui affronta la sua esistenza. Ci sono persone infelici quasi ossessionate dalla ricerca di
cibi biologici, dalla volontà di evitare qualsiasi cosa possa intossicarle o far male al loro corpo, che
hanno un livello di salute ed energia estremamente basso. Invece ci sono persone con
un’alimentazione terribile e uno stile di vita estremamente “intossicante”, che si trovano in perfetta
salute ed hanno una grande energia; persone che per un motivo o per l’altro sono felici.
Non è vero che bisogna necessariamente soffrire per ottenere il successo; questo si ottiene molto
più semplicemente facendo le cose che danno un grande entusiasmo e piacere, quello prodotto
dall’Anima e non dalle illusioni del campo mentale. Chi ha capito che la sua sofferenza, qualunque ne
sia la causa, è semplicemente uno degli effetti più evidenti del suo atteggiamento mentale, può
divenire consapevole che le cause della sofferenza possono essere enormemente ridotte o eliminate
cambiando il modo con il quale la si affronta, anche quando si è convinti che le cause non dipendono
da sé.
Tutto ciò che ci accade avviene perché ci serve vivere quell’esperienza, anche quella più terribile;
imparando a gestire la sofferenza come qualcosa di cui si è l’unico vero autore responsabile, anziché
come una punizione che semplicemente si subisce, si ha l’opportunità non soltanto di produrre
informazioni costruttive importanti, ma di non soffrire più.
Chi ancora non ha questa consapevolezza teme semplicemente la sofferenza, ne ha paura e cerca
soltanto in ogni modo di fuggirle, permettendo invece che questa si ripresenti puntualmente. Le nostre
paure in realtà non esistono, sono solo gli effetti di errate interpretazioni della realtà da parte della
nostra mente. Quando i pensieri e le azioni sono finalizzati a evitare di dover affrontare le proprie
paure, non possono far altro che permettere l’intervento dell’entropia distruttiva e causare ulteriore
dolore.
Un angelo può intervenire negli eventi della vita di un’Anima con un corpo, anche provocando
fenomeni che possono causare grande dolore; questo dolore, che si manifesta per effetto dell’entropia
distruttiva, è solo un mezzo per evolvere e produrre esperienze costruttive. Il dolore è l’effetto
dell’azione dell’entropia distruttiva, che si manifesta solo perché il campo mentale di chi lo sta
vivendo ne permette l’azione attraverso la paura.
L’Anima può decidere di abbandonare il corpo fisico al quale si è associata in diversi casi:
1) quando il campo mentale ha informazioni distruttive così forti da produrre in modo irreversibile
solo esperienze tipiche dell’entropia distruttiva, danneggiando il proprio corpo in modo irreversibile
e aumentando il disordine nell’Universo;
2) quando il corpo fisico, giunto alla vecchiaia, ha raggiunto un livello di degenerazione tale da non
permettere più la possibilità di vivere ulteriori esperienze costruttive;
3) quando l’abbandono del corpo da parte dell’Anima può permettere un’evoluzione costruttiva di
altre anime in qualche modo legate emotivamente a essa, tale che le informazioni costruttive
complessivamente prodotte possano essere maggiori che se il corpo rimanesse vivo. Infatti, in alcuni
casi un’Anima può realizzare più facilmente i suoi obiettivi senza un corpo, contribuendo
costruttivamente all’evoluzione di un’altra Anima con un corpo alla quale era legata affettivamente
quando era in vita. Paradossalmente certe Anime riescono a essere molto più vicine, presenti e utili a
persone a loro care, senza un corpo rispetto a quando ne avevano uno.
Per l’Anima, la morte del corpo è una vera e propria rinascita, un’ulteriore importante possibilità
di evoluzione costruttiva. Il campo mentale teme la morte, ed esso contiene spesso molte
informazioni distruttive legate alle paure, che neutralizzano ogni informazione costruttiva pura
proveniente dalla Matrice Energetica.

IL VALORE DI SOGLIA DELLE INFORMAZIONI COSTRUTTIVE


Un essere umano che intende rientrare nel flusso dell’entropia costruttiva deve riuscire a
neutralizzare gli effetti distruttivi delle interferenze del suo campo mentale, imparando a perdonarsi,
amarsi e accettarsi; deve risolvere le proprie paure affrontandole e non facendosi più condizionare
dai suoi schemi mentali, da quelli di altri e dal senso comune. Deve cercare di cogliere il significato
essenziale di ogni cosa, aumentando il proprio livello di consapevolezza.
Il campo mentale è generato dall’organizzazione spazio-temporale della materia che costituisce
l’organismo umano, ha un tempo proprio e le sue informazioni (prodotte dalle esperienze del corpo a
cui appartiene) esistono fino a quando l’organismo mantiene la sua organizzazione materiale.
Quando le informazioni ricavate dalle esperienze sono costruttive, ed hanno un valore superiore al
valore di soglia, possono, nella loro forma pura, contribuire a far evolvere l’Universo e la Matrice
Energetica, perché le informazioni divengono istantaneamente accessibili a tutte le Anime
dell’Universo.
Vediamo come questo avviene. Un’esperienza vissuta da un essere umano produce delle
informazioni che sono memorizzate nel campo mentale nella sua versione “integrale”, quindi con
concetti di spazio, tempo, giudizi, schemi mentali, senso comune. Dopo essere state trasformate dal
cervello in informazioni pure, costruttive o distruttive, senza spazio né tempo attraverso i sogni, sono
trasferite alla coscienza dell’Anima, e lì vi rimangono.
Se l’informazione è costruttiva, e arriva ad avere (anche grazie all’interazione costruttiva con
informazioni simili ottenute da successive esperienze) un valore superiore al valore di soglia, è
trasferita alla Matrice Energetica e diviene accessibile a tutti i fenomeni di entropia costruttiva
nell’Universo.
Il raggiungimento del valore di soglia è la condizione necessaria affinché l’informazione
costruttiva, una volta che sia stata “pulita” da spazio, tempo e senso comune, e trasmessa alla
coscienza dell’Anima, possa raggiungere la Matrice Energetica.
Ciò che dà valore a un’informazione pura, affinché possa raggiungere un valore di soglia per essere
immessa nella Matrice Energetica, è l’emozione che vive l’Anima di chi la produce nell’interagire
con essa. L’Anima non può che reagire positivamente a qualsiasi informazione costruttiva; quanto
positivamente dipende dal suo livello di evoluzione.
In ogni caso è solo la reazione emotiva dell’Anima che può determinare il trasferimento
dell’informazione costruttiva alla Matrice Energetica, cosa che può verificarsi solo se anche il
campo mentale è in sintonia con essa, o almeno non interferisce distruttivamente con essa. Se la
reazione emotiva dell’Anima di un essere umano è in sintonia con la reazione del suo campo mentale,
il suo valore assoluto è enormemente amplificato; purtroppo questo avviene raramente, perché spesso
le reazioni del campo mentale sono in assoluto contrasto con quelle dell’Anima.
Quando le emozioni sono generate dal campo mentale, sono spesso dominate da fenomeni di
entropia distruttiva che producono sofferenza. Chi ascolta solo le emozioni prodotte dal campo
mentale giudica sempre tutto, calcola, confronta, cerca di convincere gli altri delle sue ragioni, cerca
di controllare ogni cosa per poterne prevedere il comportamento.
Prevedere il comportamento di altri esseri umani è per la mente una pura illusione. La principale
causa dell’infelicità degli esseri umani deriva dalla loro incapacità di considerare seriamente le
emozioni dell’Anima e dalla loro abitudine ad ascoltare e seguire solo le emozioni del campo
mentale. In tali casi la sofferenza non solo è inevitabile, ma è il normale effetto conseguente alle loro
scelte.
Una delle prove più importanti che un essere umano deve affrontare nel suo percorso evolutivo è
quella di riuscire a distinguere le emozioni che vengono prodotte come effetto dell’attività del campo
mentale, da quelle che vengono prodotte dall’Anima. Ogni problema emotivo di origine mentale
deriva comunque solo dalla ridotta consapevolezza della realtà che ha la mente, rispetto all’immensa
consapevolezza che ha l’Anima.
Riuscire a distinguere quando un’emozione è generata dall’Anima o dal campo mentale, è una delle
caratteristiche spontaneamente acquisite da chi entra nel flusso dell’entropia costruttiva; invece
sentire solo le emozioni prodotte dal campo mentale è una prerogativa di chi è nel flusso
dell’entropia distruttiva. Le emozioni più forti in assoluto sono comunque provate quando
un’esperienza produce informazioni che sono in risonanza costruttiva sia con il campo mentale che
con l’Anima.
Gli esseri umani costruttivi vivono costantemente esperienze in cui devono confrontarsi con
fenomeni distruttivi; il fatto che riescano a superarli con successo dipende fondamentalmente dalla
loro consapevolezza. Essi manifestano l’evoluzione della loro Anima proprio grazie alla loro
spontanea capacità di reagire in modo fortemente costruttivo a fenomeni distruttivi.
L’Anima non solo produce informazioni costruttive per la Matrice Energetica, ma può anche
ricevere informazioni pure costruttive direttamente da essa; in tal caso l’essere umano riesce a
ricevere intuizioni costruttive, che accedono dalla Matrice Energetica alla coscienza dell’Anima, e
possono essere trasmesse al campo mentale per determinare un effetto su azioni e pensieri o
direttamente o attraverso i sogni.
L’accesso diretto avviene solo quando il campo mentale non è attivo (come a esempio durante la
meditazione), o quando non è carico di informazioni prodotte dall’azione dell’entropia distruttiva.
Ogni intuizione costruttiva (pensiamo, per esempio, all’intuizione di Einstein sulla legge della
relatività e sulla sua famosa formula, che lo scienziato ha rivelato di aver avuto una mattina a letto,
mentre era in dormiveglia e stava per alzarsi) è informazione pura, non ha spazio, tempo e schemi
mentali, è trasmessa all’Anima dalla Matrice Energetica, e questo avviene solo quando le
informazioni che arrivano sono in sintonia con i sogni e i desideri che sono stati pensati intensamente
e con entusiasmo.
Nessun essere razionale, totalmente controllato dal suo campo mentale, può essere capace di avere
intuizioni costruttive; anche per questo motivo egli rifiuta il fatto che possano esistere, eppure senza
di esse la conoscenza non si sarebbe mai evoluta.

IL CAMPO MENTALE COLLETTIVO E LA RISONANZA MORFICA DI SHELDRAKE


Ogni cosa che appartiene alla nostra realtà spazio-temporale ha un proprio campo individuale che
condiziona in modo evidente chi lo produce e chi vi interagisce. Ogni oggetto, come una divisa, una
pistola, un cappello, un’auto, un ospedale, un quadro, una bandiera, sono tutti simboli che hanno un
proprio campo individuale di informazioni che condiziona il comportamento dei campi che vi
interagiscono. Una figlia, quando diventa mamma, interagisce con il campo mentale associato al
simbolo della madre, e magari inizia ad avere comportamenti che quando era figlia non accettava.
Ogni volta che avvengono interazioni tra campi si crea un nuovo campo che contiene le
informazioni risultanti dalle interazioni stesse, che possono essere costruttive o distruttive. Il nuovo
campo influenza e condiziona il comportamento di tutti i campi che interagiscono con esso.
Quando un aereo di linea si prepara al decollo, si crea un nuovo campo, come effetto delle
interazioni del campo individuale dell’aeroporto, dell’aereo, dei campi mentali di tutte le persone
che hanno a che fare direttamente o indirettamente con l’aereo, come i controllori di volo,
l’equipaggio e i passeggeri.
Normalmente il nuovo campo individuale collettivo contiene più informazioni costruttive che
distruttive, ma quando capita che il nuovo campo contenga più informazioni distruttive che
costruttive, allora è possibile che avvengano incidenti o catastrofi. L’interferenza positiva, anche di
un solo campo costruttivo molto forte, può evitare una sciagura, o permettere comunque la
sopravvivenza di chi lo ha generato. Per non subire l’influenza di campi distruttivi, basta mantenere
sempre attivo il proprio entusiasmo senza arrabbiarsi mai. Se si reagisce con rabbia o con paura,
allora si contribuisce ad amplificare il fenomeno distruttivo, subendone le conseguenze.
Il campo mentale collettivo più semplice è quello che si crea come effetto dell’interazione di due
campi, come a esempio tra una coppia di esseri umani. Vi sono inoltre campi mentali collettivi molto
più estesi, come quelli di una famiglia, di un gruppo di amici, degli inquilini di un condominio, degli
abitanti di un paese, di una città, di uno Stato, di un Continente.
L’intera umanità ha un proprio campo mentale collettivo, la cui intensità e i cui contenuti dipendono
dai campi mentali attivi sul pianeta. Il fatto che l’umanità sia in pace o in guerra, sia felice o triste,
viva nella ricchezza o nella miseria, dipende anche da quello che tutti noi pensiamo, dalle nostre
esperienze quotidiane, dal contenuto del nostro campo mentale e da quello della coscienza delle
nostre Anime.
Secondo lo scienziato Sheldrake, l’acquisizione di un comportamento si diffonde tra gli esseri
viventi della stessa specie anche se non ci sono contatti tra loro, quando è stato adottato da un numero
sufficiente di esseri viventi simili. Questo fenomeno del trasferimento di informazioni avviene grazie
a una forma di risonanza che unisce tra loro, al di là dello spazio e del tempo, tutti gli esseri che
appartengono alla stessa razza e che hanno la stessa forma.
L’esperimento più famoso è quello conosciuto come il fenomeno della “centesima scimmia”,
descritto da Watson nel 1979. A un certo numero di scimmie (macaca fusata), che vivevano
liberamente in branchi su numerose isole giapponesi negli anni ’50 dello scorso secolo, era fornito
del cibo sotto forma di patate dolci lasciate sulle spiagge. A un certo momento una scimmia scoprì
che la sabbia e la terra potevano essere velocemente tolte dalle patate, scuotendole nell’acqua del
mare. Questa scoperta fu appresa dalle altre compagne, che a loro volta la insegnarono gradualmente
a tutto il branco. Dopo circa 5 anni, dopo che erano state contate 99 scimmie che lavavano le patate
prima di mangiarle, un’altra scimmia, la centesima, imparò a lavare le patate, e si ebbe il
superamento di una massa critica, perché improvvisamente in quel giorno tutte le scimmie dell’isola
impararono a lavare le patate prima di mangiarle. L’aspetto sconvolgente di quel fenomeno fu che
quel tipo di comportamento superò inspiegabilmente anche barriere naturali e fu adottato
contemporaneamente anche da altre scimmie della stessa specie, che non l’avevano mai fatto prima, e
che si trovavano su altre isole a centinaia di chilometri di distanza.
In realtà, il fenomeno della centesima scimmia rappresenta un esempio tipico di trasferimento di
un’informazione costruttiva alla Matrice Energetica, grazie al contributo di più Anime, in questo caso
cento, per il raggiungimento del valore di soglia.
Per una scimmia, lavare una patata prima di mangiarla, è un’esperienza che produce
un’informazione che, pur essendo costruttiva, non è sufficientemente forte da accedere direttamente
alla Matrice Energetica, anche perché il fatto che vi sia della terra o della sabbia non impedisce in
ogni modo alla scimmia di mangiarla. Se l’esperienza avesse prodotto invece un’informazione
determinante per migliorare la sopravvivenza o la continuazione della specie, sarebbe bastata una
sola scimmia, mentre se fosse stata meno utile del lavare le patate, probabilmente il valore di soglia
sarebbe stato raggiunto solo con il contributo di migliaia di anime.
Il valore costruttivo della nuova informazione si è elevato al punto di permettere il trasferimento
dell’informazione alla Matrice Energetica e quindi a tutte le strutture complesse simili presenti
nell’Universo. Molte scimmie della specie macaca fusata, tuttavia, non possono convertire in azione
tale informazione, se non trovano patate da mangiare sulla spiaggia. Quando dovesse loro capitare di
trovarle, per “istinto” le laverebbero, senza che nessuno lo abbia loro insegnato.
Quindi l’istinto di ogni essere vivente non è altro che l’effetto sul comportamento delle
informazioni ricevute dalla Matrice Energetica, grazie alla forma del suo corpo e a quella del suo
DNA.

IL VALORE DELLE ESPERIENZE


Per produrre informazioni non è necessario che un’esperienza sia vissuta fisicamente. Anche se è
solo pensata, sognata o immaginata, essa produce informazioni.
Anche ogni nostra intenzione, desiderio o aspettativa, producono informazioni che vanno a
risiedere nel campo mentale; se sono informazioni fortemente costruttive possono, attraverso
l’Anima, raggiungere la Matrice Energetica ed estendere la loro presenza, influenzando tutto
l’Universo. Per tale motivo non dobbiamo sorprenderci all’idea che un nostro pensiero possa
condizionare gli eventi di tutto l’Universo.
Per determinare se un’esperienza sia costruttiva o distruttiva, bisogna individuare il risultato della
somma di tutti gli eventi costruttivi, confrontato con il risultato della somma di tutti gli eventi
distruttivi, e quindi occorre aspettare che sia finito tutto il ciclo di eventi a essa connessi. Questo può
anche essere molto distante nel tempo rispetto alla scelta originale. Un terremoto che crea gravi danni
e vittime oggi, può dopo millenni permettere la prosperità e la nascita di molti più esseri di quanti ne
abbia uccisi quando è avvenuto. È proprio il fatto che gli effetti, soprattutto di pensieri e intenzioni,
possono essere anche molto distanti nel tempo che rende difficile la loro associazione mentale alle
cause che li hanno generati. È anche per questo che non riusciamo normalmente a renderci conto di
quanto sia importante quello che pensiamo, e che il comportamento degli altri nei nostri riguardi
dipende molto più da noi che non da loro.
Le esperienze vissute con i propri pensieri utilizzano come ingredienti le proprie paure, i sogni, i
desideri, le rabbie, i rancori, gli amori, le sicurezze e le insicurezze. Esse sono quelle che
contribuiscono maggiormente a produrre le informazioni che risiedono nel campo mentale. Spesso
sono proprio le paure non risolte la reale causa delle esperienze di sofferenza, e in tal caso
addirittura la mente tende in genere a voler trovare all’esterno un colpevole da accusare.
La mente ha comunque una grande difficoltà per capire se stia vivendo un’esperienza costruttiva o
distruttiva; a esempio, dare l’elemosina a un mendicante viene giudicato positivamente dalla mente,
ma tale esperienza può essere costruttiva o distruttiva in base agli effetti che tale azione produrrà, da
come il mendicante utilizzerà il denaro donatogli e dagli effetti che esso può produrre, se acquista del
pane per i suoi figli o un coltello per uccidere un nemico. Può apparire strano o egoistico, ma dare
qualsiasi forma di aiuto, economico o di altro genere a persone incapaci di produrre eventi
costruttivi, può rendere tale azione dannosa, anziché utile, distruttiva anziché costruttiva.
Un esempio è una situazione personalmente vissuta in Albania come ufficiale medico, quando nei
primi anni ’90 dello scorso secolo, dopo la caduta del Muro di Berlino e lo sconvolgimento degli
equilibri internazionali, l’economia albanese è crollata, per cui lo Stato non ha più potuto pagare gli
stipendi ai contadini e agli impiegati, e si è verificato un grave collasso economico, in assenza
completa di imprenditoria privata. In quegli anni l’Italia ha contribuito, grazie al suo Esercito,
all’operazione Pellicano, che ha rappresentato un massiccio intervento di aiuti di ogni genere alla
popolazione.
Dopo qualche anno, a metà degli anni ’90, quando i militari italiani sono andati via, si è verificata
un’altra catastrofe economica, con manifestazioni violente di massa e perdita di vite umane, proprio
perché la mentalità e il comportamento della popolazione non erano cambiati, permanendo nel flusso
dell’entropia distruttiva.
Quindi il vero aiuto a soggetti distruttivi non si realizza soddisfacendo le loro richieste, ma solo
riuscendo a stimolarli a divenire costruttivi, attraverso la consapevolezza del loro valore e
potenzialità, che purtroppo può essere ottenuta attraverso grandi sofferenze.
In genere i soggetti distruttivi sono portati spontaneamente ad aiutare altri soggetti distruttivi,
mentre quelli costruttivi hanno una forma spontanea di repulsione nell’aiutare materialmente i
soggetti distruttivi. Questo li può rendere impopolari e può farli apparire egoisti e privi di cuore, ma
la prerogativa di un soggetto costruttivo è quella di non temere il giudizio degli altri e di agire
costruttivamente, in conformità a quello che “sente” essere giusto e non solo in base alle apparenze.
Non si può partecipare al flusso degli eventi in modo costruttivo solo con il campo mentale,
bisogna invece entrare nel flusso dell’entropia costruttiva, sapendo riconoscere gli impulsi inviati
dalla propria Anima, senza credere più alla fortuna o alla sfortuna, che non esistono.
Abbiamo visto che un’esperienza non deve necessariamente essere vissuta, ma può essere costituita
anche solo da una sequenza di pensieri. In genere le azioni sono sempre un effetto dei pensieri che le
hanno precedute. Riuscire a non pensare a nulla è molto difficile. Anche solo pensando, con le
emozioni collegate, si determina l’intervento dell’entropia costruttiva o dell’entropia distruttiva
sull’autore dei pensieri stessi, producendo informazioni, che, se costruttive, possono raggiungere la
Matrice Energetica.
Chi è nel flusso dell’entropia distruttiva produce in genere sofferenza per gli altri, anche se non se
ne accorge. L’elemento fondamentale che impedisce al campo mentale di un essere umano di entrare
nel flusso dell’entropia costruttiva è la paura. a un essere vivente con un campo mentale costituito da
informazioni prevalentemente distruttive è preclusa la possibilità di intervento dell’entropia
costruttiva. Egli può anche avere, secondo il senso comune, un grande successo apparente, ma lotta
continuamente contro tutti e tutto, crede nella fortuna e nella sfortuna, e in realtà è solo vittima delle
sue paure, che non vuole affrontare, ma solo nascondere.
Le esperienze vissute nei pensieri, e successivamente con azioni e reazioni, vengono in genere
rielaborate nel sonno dal cervello, che “estrae” l’informazione pura, assorbita e memorizzata a sua
volta nell’Anima, al fine di contribuire alla possibilità di ottenere l’azione dell’entropia costruttiva o
dell’entropia distruttiva nell’evoluzione dell’Anima stessa.
Se l’informazione pura è distruttiva, rimane solo nella coscienza dell’Anima e del campo mentale,
se è costruttiva (ed ha un valore di intensità superiore al valore di soglia) è trasferita alla Matrice
Energetica ed è istantaneamente disponibile all’intero Universo.
Una scelta che avviene nel flusso dell’entropia costruttiva sarà in ogni caso costruttiva, se invece
avviene nel flusso dell’entropia distruttiva sarà comunque distruttiva. Ciò significa che dobbiamo
imparare a rinunciare a voler giudicare e capire tutto, perché il nostro compito deve essere
semplicemente quello di imparare a permettere all’entropia costruttiva di agire su di noi.
Dalla nascita e nel corso della prima adolescenza, il ruolo dei genitori è molto importante per i
figli, sui quali sono trasferite le informazioni derivanti dalle proprie esperienze. Dopo la prima
adolescenza, quando i ragazzi iniziano a essere in grado di vivere esperienze anche spontaneamente
(magari sbagliando), nasce in loro una forma di rifiuto verso tutto ciò che è loro imposto dai genitori,
al fine di iniziare a produrre informazioni anche da soli.
Questo aspetto crea spesso nei genitori, quando il figlio si comporta in modo antitetico alle loro
aspettative e sfugge al loro controllo, una grande frustrazione e un senso di impotenza. I genitori
dovrebbero invece prendere coscienza del fatto che non possono opporsi a quella che è una
spontanea tendenza dei figli, e che è proprio dalla loro capacità di accettare serenamente la
possibilità di essere contraddetti che spesso dipende l’equilibrio e la capacità di vivere esperienze
di successo dei loro figli per tutto il resto della loro vita.
Ecco un altro esempio personale: a 16 anni avevo deciso di recarmi durante l’estate al campeggio
con alcuni amici, criticato dai miei genitori, che nello stesso periodo avevano preso in affitto un
appartamento sul mare in una località molto distante da quella in cui si trovava il campeggio, e
desideravano che li seguissi. Il consiglio dei miei genitori era motivato anche dal fatto che,
conoscendomi, avevano intuito che il mio adattamento alla vita non comoda all’aria aperta sotto una
minuscola tenda canadese sarebbe stato sicuramente precario.
Ma io volevo vivere la mia prima vera esperienza di vita senza i genitori, pur essendo consapevole
delle difficoltà che avrei dovuto affrontare con gli amici in una realtà diversa da quella ovattata alla
quale ero abituato. Così decisi di partire, e quell’esperienza durò solo 4 giorni, quando,
considerando le difficoltà della vita “all’aria aperta”, decisi di tornare in anticipo alle comodità
della vita familiare.
Se non avessi preso la decisione iniziale, in contrasto con i miei genitori, e non avessi vissuto
quell’esperienza, che per me ebbe un notevole valore costruttivo, probabilmente mi sarebbe rimasto
un senso di mancata realizzazione, come qualcosa di incompiuto, che avrebbe anche potuto
condizionare la mia vita. In effetti, alla fine dell’esperienza, ero soddisfatto di “aver sbagliato da
solo”, e pronto ad affrontare altre vicende costruttive di vita.

LE INTERAZIONI TRA I CAMPI INDIVIDUALI DEGLI ESSERI UMANI E L’AMORE


Quando un essere umano pensa semplicemente a qualcosa, crea un’interazione tra il suo campo e il
campo individuale della cosa a cui pensa. Quando pensa a un altro essere umano, avviene
un’interazione tra i rispettivi campi, qualunque sia la distanza che li separa.
I rapporti con altri esseri dotati di libero arbitrio aumentano enormemente l’imprevedibilità del
comportamento dell’altro, e le esperienze che si vivono sono pertanto molto utili per vivere
importanti esperienze sia costruttive, quando si ascolta l’Anima, che distruttive, quando si ascolta il
campo mentale. In ogni caso, costituiscono il miglior “allenamento” per poter permettere a un’Anima
di evolvere rapidamente. È per questo motivo che ogni essere umano sente il bisogno di stringere
relazioni con gli altri, anche se in alcune situazioni sarebbe importante riuscire a vivere
costruttivamente la propria solitudine consapevole, senza le interferenze degli altri.
Questo tipo di interazioni tra esseri umani è quello che permette sia un incremento o una riduzione
dell’energia vitale del campo di ogni individuo, sia lo scambio delle informazioni contenute nella
reciproca coscienza dell’Anima e nei reciproci campi mentali, e quindi può provocare interferenze
distruttive o costruttive.
Quando un essere umano vuol conoscere un suo simile, il modo più rapido ed efficace per farlo è
quello di interpretare l’effetto dell’interazione che la sua Anima ha con esso. Se cerca di conoscerlo
razionalmente, attraverso le reazioni del suo campo mentale, può anche stare al suo fianco per tutta la
vita, senza in realtà riuscire a conoscerlo veramente.
Le informazioni pure dell’Anima sono molto più vere, perché considerano solo la vera essenza di
ogni cosa, rispetto a quelle del campo mentale che sono condizionate da paure, aspettative, schemi
mentali e senso comune, e sono estremamente sensibili a quello che è comunicato dai sensi.
Le persone che sono nel flusso dell’entropia distruttiva scelgono i propri partner semplicemente
sulla base di ciò che i sensi comunicano loro e il campo mentale crede, sulla base di aspettative
conseguenti a esperienze precedenti di dolore e alle proprie paure non risolte.
Ogni essere umano nell’interazione dei campi individuali può dare agli altri tanta o poca energia
attraverso il flusso di informazioni, ma questo non è molto importante. Ciò che è fondamentale è dare
ciò di cui l’altro ha bisogno, che dipende soprattutto dal livello di evoluzione della sua Anima. Per
questo motivo è importante saper scegliere, attraverso i segnali dell’Anima, i partner giusti. Non c’è
niente di peggio che ricevere continuamente da qualcuno qualcosa che non si vuole, soprattutto
perché chi dà si aspetterà in ogni caso qualcosa in cambio.
Quando si forma una coppia, i due partner possono vivere inizialmente una grande passione e avere
interazioni costruttive con scambi di informazioni molto importanti (anche attraverso l’attività
sessuale), che vengono mentalmente interpretati come innamoramento. Deve però essere considerata
la capacità della coppia di “autoalimentarsi” anziché “autoconsumarsi”. Quando una coppia,
attraverso un lungo periodo di interazioni, ha reciprocamente trasferito una grande quantità di
informazioni, e non avviene più la trasmissione di nuove informazioni che possono essere utili per
l’altro, è inevitabile che i due partner inizieranno a cercare altre fonti di informazioni o almeno a
desiderare di farlo.
Solo una coppia costituita da due individui capaci di produrre continuamente nuove informazioni
costruttive, in modo autonomo e indipendente dal partner, può mantenere sempre vivo il ruolo
dell’interazione intima come incremento dell’energia vitale e aiuto nell’evoluzione.
Invece, gli esseri che sono nel flusso dell’entropia distruttiva sono spesso ridotti a utilizzare
l’interazione intima con altri esseri umani come unica possibilità di acquisire informazioni pure
costruttive, attingendole da altri attraverso inganni e trucchi del campo mentale. Tali esseri non
sopportano la solitudine, hanno comunque bisogno di avere un partner e, piuttosto che rimanere soli,
si adattano e accettano di stare con lui o con lei, anche se tale rapporto non ha alcuna reale attività
costruttiva. In questo caso viene spesso prodotta una grande sofferenza nel partner, che diversamente
potrebbe essere realmente utile e apprezzato da altri; in ogni caso, se egli accetta di vivere quel tipo
di relazione, significa che ha bisogno di viverla, per evolvere a sua volta.
Chi è nel flusso dell’entropia costruttiva può vivere serenamente traendo piacere dalle interazioni
che vive, senza mai comunque divenirne dipendente. Spesso cerca la solitudine per produrre
spontaneamente nuove informazioni costruttive pure. Chi è in questa condizione non interagisce
sessualmente comunque mai con un altro essere umano con il quale potrebbe avere interazioni
distruttive. La sua Anima riesce a comunicare alla mente, attraverso attrazioni o repulsioni spontanee
e immediate, con quali soggetti si possono avere interazioni costruttive.
Chi è nel flusso dell’entropia distruttiva ed ha interazioni con altri nello stesso flusso, può solo
soddisfare il proprio campo mentale e il proprio corpo con il piacere fisico, per cui un partner vale
l’altro, basta che soddisfi i bisogni del corpo e le aspettative del campo mentale, creando esperienze
dannose e inutili per l’Anima.
Un essere umano ama veramente il proprio partner solo quando gli permette di vivere esperienze in
sintonia con la sua Anima. In questo caso il rapporto a due è molto costruttivo, non solo perché
entrambi possono sperimentare il vero successo dell’Anima, ma perché ognuno contribuisce al
successo dell’Anima dell’altro.
I rapporti costruiti solo per effetto dell’azione dei rispettivi campi mentali, senza che vi siano
interazioni costruttive con le rispettive Anime, non sono basati sul vero amore e non sono destinati a
durare. Diventano comunque nel tempo motivo di sofferenza reciproca e di manifestazioni di
fenomeni di entropia distruttiva. È in ogni caso inutile consumare la propria energia vitale nel
tentativo di “cambiare” gli esseri umani con cui si è scelto di interagire; non c’è niente di più
distruttivo che cercare di convincere una persona a cambiare modo di pensare, agire e comportarsi in
funzione delle proprie esigenze o della propria visione della realtà.
Le persone non si cambiano, e cambiano solo se sono loro a volerlo. L’unica cosa efficace per
“cambiare” un altro essere umano con cui si è costretti a interagire (ad esempio, un familiare con cui
si convive, e che si trova nel flusso dell’entropia distruttiva) è quello di investire su se stessi, sulla
gioia e sul successo della propria Anima.
Solo cambiando noi stessi possiamo modificare il nostro campo energetico, e questo determina
un’interazione diversa con i campi energetici delle persone che frequentiamo abitualmente e
dell’ambiente in cui ci muoviamo, per cui può addirittura avvenire che la modifica del nostro
comportamento possa determinare un cambiamento nell’atteggiamento di persone che ci sembravano
rigidissime e sempre uguali a se stesse. Questo è quello che avviene ogni volta che una terapia
effettuata secondo il paradigma della medicina omeosinergetica determina una vera guarigione del
paziente.

IL CAMPO MENTALE E IL LAVORO


Il nostro campo mentale ci fa pensare di non sbagliare quasi mai, perché sono sempre gli altri che
commettono errori, e allora che senso ha cambiare noi, per poi sperare che gli altri modifichino il
loro atteggiamento verso di noi? La verità è che non sappiamo accettare gli altri e la vita,
giudichiamo continuamente e critichiamo ogni cosa che non entra in risonanza con le aspettative del
nostro campo mentale, e in tal modo creiamo solo infelicità e insuccesso, oltre alle malattie.
In genere il campo individuale di un essere umano può interagire con il campo di qualsiasi altra
cosa, come un libro, un’auto o un lavoro. Oggi è difficile che il lavoro venga vissuto come qualcosa
di piacevole, perché la nostra cultura ci presenta il lavoro come una cosa cui si è obbligati. Il lavoro
dovrebbe essere visto da ogni essere umano come qualcosa che sceglie di fare e che desidera fare
per realizzarsi, per esprimere le sue capacità facendo qualcosa di utile per gli altri, e che gli
permette di ottenere del denaro per mezzo del quale può ricevere da altri qualcosa di utile per se
stesso.
Qualsiasi esperienza che è vissuta come qualcosa alla quale si è costretti, è vissuta male. Se un
essere umano parte dal presupposto che il lavoro sia comunque una sofferenza che deve sopportare,
non si pone nemmeno il problema che invece di una sofferenza potrebbe essere per lui una fonte di
gioia e di entusiasmo, e quindi non si pone nemmeno il problema di inventarsi un lavoro in sintonia
con la sua Anima.
Anche chi è disoccupato vive con vittimismo una situazione che in realtà dipende solo da lui; non
esiste nessun essere umano costruttivo (che cioè abbia veramente voglia di lavorare) che sia
disoccupato. Trovare, o inventarsi un lavoro, è molto più facile di quello che possa sembrare. Una
persona ama realmente il suo lavoro quando quello che fa è in sintonia con la sua Anima; in questo
caso lavorare accresce continuamente la sua energia vitale e la sua capacità di produrre informazioni
costruttive e di mantenersi nel flusso dell’entropia costruttiva. Quando un soggetto ha avuto il
“coraggio” di scegliere un lavoro che è in sintonia con la sua Anima, non lavora più: non può essere
considerato lavoro un’esperienza quotidiana costruttiva utile e piacevole che gli permette di
guadagnare denaro.
Una persona che fa un lavoro che non ama, o che addirittura odia, probabilmente lo ha scelto solo
in base al giudizio del suo campo mentale (che rispecchia spesso solo quello che gli altri si aspettano
da lui) e non perché in sintonia con la sua Anima. Nel farlo perderà continuamente energia vitale e
sarà nel flusso dell’entropia distruttiva; per trovare un parziale compenso, almeno temporaneamente,
dovrà necessariamente trovarsi degli hobby o delle passioni extralavorative che gli consentano di
sentirsi meglio, o, nella migliore delle ipotesi, di essere in sintonia con la sua Anima.
Non importa quanto un lavoro possa, per il campo mentale, apparire umile o prestigioso; anche un
cameriere e un operatore ecologico in sintonia con la loro Anima possono vivere esperienze di vero
successo, contribuendo a permettere ad altri di nutrirsi con gusto o di vivere in una città pulita.
L’elemento principale che caratterizza in genere chi vive esperienze di insuccesso, è che se la
prende sempre con qualcosa o con qualcuno (con il coniuge, il datore di lavoro, il Governo), mai con
se stesso. Questi soggetti trovano sempre qualcuno a cui attribuire le responsabilità dei propri
insuccessi, si ritengono sfortunati e invidiano in modo patologico chi vive esperienze di successo.
Quando l’invidia si trasforma in gelosia, si realizza una delle emozioni più distruttive che un essere
umano possa produrre, che è la causa della quasi totalità dei conflitti e delle guerre. La gelosia è
sempre un effetto di paure non risolte, bassa autostima e scarso livello di evoluzione.
Ci sono addirittura ideologie politiche basate su principi di “uguaglianza”, che in realtà non fanno
altro che alimentare le paure non risolte, nel tentativo di eliminare la possibilità di provare invidia e
gelosia per qualcuno. Occorre invece ricordarsi che il vero successo può essere vissuto solo
entrando nel flusso dell’entropia costruttiva;, chi ci riesce non può essere malato, né fare un lavoro
che odia.
Ho conosciuto personalmente un militare la cui Anima voleva facesse il ballerino; è stato e sarà
sempre un militare mediocre, e si è ammalato. È meglio essere un cameriere felice e in sintonia con
la sua Anima, che un mediocre e triste direttore di banca che non ama il suo lavoro e che magari si è
laureato solo perché lo volevano i suoi genitori. Quando si dà importanza solo al campo mentale, si
iniziano a costruire le basi dell’infelicità e della malattia.
Le informazioni distruttive presenti nel campo mentale di un essere umano e nella coscienza della
sua Anima possono accedere attraverso interazioni al campo individuale di altre strutture della
materia o al campo mentale di altri esseri viventi simili; quindi possono contribuire a produrre
esperienze distruttive sia nell’essere che le ha generate, sia negli esseri che sono in risonanza con il
suo campo mentale.

L’ENERGIA VITALE E L’ORIGINE DELL’UNIVERSO


Riepiloghiamo: la quantità di energia vitale che un essere umano ha a sua disposizione dipende dal
fatto di essere o meno nel flusso dell’entropia costruttiva, dal livello di evoluzione della sua Anima
(e dalla possibilità di essere o non essere in sintonia con il suo campo mentale) e dalle interazioni
con gli altri campi.
Molte persone disperdono continuamente energia, anche coloro che ne hanno molta, perché ancora
giovani, avvicinandosi all’alcol o alle droghe. Molti giovani non sono affatto consapevoli del valore
che ha la loro energia vitale, semplicemente perché non hanno dovuto fare nulla per ottenerla.
Esiste un test bioenergetico che si effettua con l’apparecchio di elettroagopuntura di Voll, che serve
a misurare la quantità di energia dell’individuo, secondo i valori di una scala tarata da 0 a 100.
Questo apparecchio è in effetti un ohmetro, cioè misura la resistività cutanea sui punti di agopuntura.
I medici che effettuano quotidianamente misurazioni sulle persone con tale strumento si accorgono
che ce ne sono tante con un basso livello energetico, o che disperdono tanta energia
nell’espletamento delle loro abituali attività quotidiane. Infatti, tenendo presente che i valori normali
variano secondo un range compreso tra 82 e 88, è sempre più frequente trovare persone con valori
sotto 70 o 60 (in genere gli anziani, o soggetti con malattie cronico-degenerative) oppure persone con
valori di partenza buoni, a esempio 84, che dopo alcuni secondi fanno arrivare la lancetta
dell’Ohmetro a 70-74, indice di dispersione energetica. Sono convinto che tale dispersione dipenda
dal fatto che la persona sia inserita nel flusso dell’entropia distruttiva, che le “vampirizza” energia,
proveniente per la maggior parte dall’incessante attività distruttiva del campo mentale.
Il filosofo indiano Sri Aurobindo parlava di “imbecillità egocentrica”, quando tutto il nostro essere
viene circondato dai propri pensieri, che gli girano intorno in modo vorticoso e ossessivo, e alla fine
sono sempre gli stessi e senza una via d’uscita, per cui diventiamo imbecilli all’interno del flusso
circolare creato dal campo mentale.
In generale, ogni volta che un essere umano ha un’interazione costruttiva con un altro campo, la sua
energia vitale aumenta, ogni volta che ha, invece, un’interazione distruttiva, la sua energia vitale
diminuisce.
Perché una cosa possa esistere, deve esserci anche una sua controparte che la rende evidente, uno
“sfondo” rispetto al quale possa essere confrontata. La luce esiste perché è confrontabile con il buio,
il caldo con il freddo, il bene con il male, l’ordine con il disordine, la materia con l’antimateria. Il
nulla non può esistere da solo, ma soltanto se confrontato con qualcosa; questo qualcosa è la somma
di due cose uguali e contrarie, a esempio +1 e –1, ottenendo uno zero. Tutto ciò che esiste è iniziato
da un nulla tendente all’ordine e da un nulla tendente al disordine: la legge dell’entropia costruttiva e
quella dell’entropia distruttiva.
Il nostro Universo è il prodotto della tendenza all’ordine, dell’entropia costruttiva, che ha una sua
intelligenza, costituita da un campo di informazioni pure costruttive, la Matrice Energetica.
L’evoluzione delle informazioni allo stato puro avviene tramite le esperienze, che sono la fonte
primaria di informazioni pure, dopo aver tolto il tempo, lo spazio, il giudizio di esse e gli schemi
mentali.
La Matrice Energetica ha realizzato e manifestato la sua tendenza a evolvere, attraverso una realtà
provvista di spazio, massa e tempo. Ma come ha potuto la Matrice Energetica generare un Universo
con lo spazio e e il tempo, partendo solo da un nulla tendente all’ordine? Attraverso l’entropia
costruttiva, che esiste in quanto vi è anche una tendenza al disordine, l’entropia distruttiva; l’una non
potrebbe esistere e manifestarsi in azioni, se non esistesse e si manifestasse in azioni anche l’altra.
La prima manifestazione dell’entropia costruttiva sulla materia è proprio quella che ne consente
l’esistenza nella nostra realtà spazio-temporale. Qualsiasi altra manifestazione della materia in forme
simboliche o dimensioni, diverse da quelle che consentono loro di entrare nel flusso dell’entropia
costruttiva, ha come effetto il suo immediato annullamento, per effetto dell’entropia distruttiva.
Se così non fosse, il nostro Universo non sarebbe potuto esistere, perché ogni particella elementare,
a esempio l’elettrone, avrebbe potuto avere forme, velocità e comportamenti diversi l’una dall’altra.
In questo caos non sarebbe mai stata possibile l’evoluzione della materia in strutture sempre più
complesse come gli atomi, le molecole, ecc.
Se tutta la materia si riunisse alla sua corrispondente antimateria, si riotterrebbe il nulla originario.
La nostra realtà spazio-temporale è costituita dall’energia che si è separata dal nulla e si è
“condensata” grazie all’azione dell’entropia costruttiva in materia, lasciando alle sue spalle una
realtà costituita da “antienergia”, che può manifestarsi nella nostra realtà come antimateria.
L’entropia costruttiva ha iniziato a poter evolvere attraverso le informazioni prodotte dalle
esperienze costruttive compiute, nello spazio e nel tempo, dalla materia.
Man mano che la Matrice Energetica, onnipresente strumento evolutivo dell’entropia costruttiva, si
è evoluto, grazie alle informazioni raccolte dalle esperienze della materia, ha potuto permettere
l’evoluzione della materia stessa verso strutture sempre più complesse. Ogni volta che una struttura
della materia, come un elettrone, ha vissuto un’esperienza che ha prodotto una nuova informazione
pura costruttiva, quest’informazione è stata immediatamente resa disponibile a tutti gli elettroni in
tutto l’Universo.
Nell’Universo primordiale non esistevano atomi, esistevano solo elettroni e protoni; a un certo
punto il primo elettrone e il primo protone hanno “vissuto” un’esperienza molto particolare, cioè
quella di ritrovarsi uniti in una nuova struttura più complessa di quanto fossero loro singolarmente.
La loro esperienza ha prodotto il primo atomo di idrogeno. Tali informazioni costruttive prodotte
dall’esperienza dell’elettrone e del protone sono state “assorbite” dalla Matrice Energetica e rese
immediatamente disponibili a tutti gli elettroni e protoni nell’Universo, che hanno formato infiniti
atomi di idrogeno, che a loro volta hanno iniziato a vivere le loro esperienze sia costruttive che
distruttive.
Ogni volta che un atomo di idrogeno ha vissuto un’esperienza costruttiva, l’ha trasmessa alla
Matrice Energetica, che l’ha resa immediatamente disponibile a tutti gli atomi di idrogeno presenti
nell’Universo. Il processo evolutivo è andato avanti fino a oggi, dando luogo all’Universo che noi
oggi conosciamo. È un ciclo evolutivo che si autoalimenta, generato da cause ed effetti che
rispondono a una serie di leggi in cui ogni effetto genera cause più evolute della causa che l’ha
generato.
La Matrice Energetica mantiene attraverso le Anime la sua influenza costruttiva su tutte le strutture
che esistono nella nostra realtà spazio-temporale. Tali strutture rimangono comunque soggette, nelle
loro esperienze, anche all’azione dell’entropia distruttiva, che si manifesta o in assenza di entropia
costruttiva, o ogni volta che l’azione della prima sia necessaria per vivere esperienze più costruttive
che se non ci fosse.
L’Anima, strumento della Matrice Energetica, ha solo una tendenza a evolvere nel rispetto
dell’entropia costruttiva, è eterna, è unita attraverso la Matrice Energetica a tutte le anime
dell’Universo. Le informazioni prodotte nel corso di esperienze distruttive non vengono né
memorizzate dall’Anima né trasferite alla Matrice Energetica. Ogni volta che una struttura della
materia vive un’esperienza costruttiva, è perché la sua Anima ha creato i presupposti per cui essa
potesse viverla. È questo “gioco di anticipo” delle Anime che permette l’evoluzione della materia.

L’EVOLUZIONE DELL’UMANITÀ E LE INTERFERENZE DEL CAMPO MENTALE


Per effetto della sempre maggior importanza che è stata data al campo mentale, l’umanità ha
raggiunto negli ultimi decenni un elevato grado di distruttività, per opera del grande numero di esseri
umani, che, agendo solo in relazione al loro campo mentale, determinano l’influenza in loro
dell’entropia distruttiva, producendo enormi danni all’ambiente e allo stesso corpo umano per mezzo
dei farmaci, delle sostanze chimiche inquinanti, degli alimenti transgenici. Se il numero di fenomeni
distruttivi prodotti dall’uomo raggiungerà e supererà quello dei fenomeni costruttivi, si produrrà un
evento fortemente distruttivo che eliminerà gran parte della componente fisica dell’umanità. Tutto
questo sarà sempre prodotto dall’entropia costruttiva, perché il risultato finale (aumentare l’ordine
dell’Universo), che è l’unica cosa che conta, sarà sempre costruttivo.
La morte del corpo fisico, per l’Anima, non ha significato negativo, ed essa considera la sofferenza
che affligge gli esseri umani solo l’effetto di un’errata interpretazione da parte della mente del
significato essenziale di ogni evento, a causa della mancanza di consapevolezza.
Se fino a oggi siamo riusciti a evitare una vera grande catastrofe, lo si deve in gran parte all’attività
costruttiva di persone “normali” che producono continuamente informazioni costruttive, in sintonia
con la loro Anima, tali da compensare tutte quelle distruttive prodotte da altri. Per fortuna, anche solo
il pensiero di un’unica persona fortemente costruttiva, che ha avuto il coraggio e la consapevolezza
di entrare nel flusso dell’entropia costruttiva, può riuscire a compensare e neutralizzare gli effetti
prodotti da migliaia di esseri distruttivi. Quindi, un nostro importante contributo all’evoluzione
dell’Universo può essere solo quello di produrre pensieri costruttivi per sperimentare la gioia
derivante dal vero successo dell’Anima e per contribuire attivamente a salvare l’umanità dalla
catastrofe.
Oggi basta guardare un telegiornale o leggere un quotidiano per prendere atto che quotidianamente
nel mondo avvengono crimini spregevoli, stragi di innocenti, episodi di pedofilia, omicidi di
genitori, fratelli o figli, per cui ci convinciamo sempre di più che viviamo in un mondo terribile, che
l’umanità è completamente impazzita, e ciò aumenta la nostra paura del futuro. Eppure basterebbe
considerare che in un certo giorno nel mondo una certa percentuale di uomini, molto bassa rispetto al
totale, ma sicuramente significativa, ha compiuto azioni costruttive, che riescono, grazie alla potenza
dell’amore che è insito in esse, a controbilanciare e superare il flusso distruttivo di chi compie azioni
abiette e il flusso inerte degli “indecisi”, cioè di chi non compie né azioni distruttive né costruttive.
Ecco perché l’entropia costruttiva è destinata sempre ad aumentare, in conformità con le leggi
universali. Quando a un essere umano succede qualcosa di terribile, c’è una spiegazione che va al di
là della ragione, e che deve essere sempre inquadrata nel campo dell’entropia costruttiva. Se, a
esempio, un bambino innocente muore, perché vittima di un incidente stradale, è perché la sua Anima,
che è eterna, può sentirsi più “utile” andandosene in un altro corpo, che le permetterà un più alto
livello di evoluzione, dopo aver completato il suo ciclo. Oppure l’Anima potrebbe aver deciso,
attraverso la scomparsa del corpo fisico, di determinare delle reazioni nei parenti e nei conoscenti
che possano permettere alle loro Anime di vivere importanti esperienze costruttive, seppur passando
attraverso una grande sofferenza.
L’Anima è semplicemente una manifestazione della Matrice Energetica, con una propria autonomia
e una propria identità, rappresentata dalle informazioni contenute nella sua coscienza, relative alle
esperienze che ha vissuto. Un Anima non molto evoluta, cioè in ritardo con il raggiungimento del suo
scopo, potrebbe scegliere di vivere in un corpo che ancora prima della nascita, per menomazioni
strutturali, ambientali o familiari, abbia un maggior dominio dell’entropia distruttiva; ciò perché è
molto più facile produrre informazioni costruttive importanti in situazioni dominate dall’entropia
distruttiva, che non in situazioni già dominate dall’entropia costruttiva.
Ci sono comunque Anime che hanno nelle loro coscienze delle informazioni totalmente dominate
dall’entropia distruttiva, che per tale motivo non riescono più a “rivivere” in un corpo. La loro
interferenza distruttiva impedisce l’azione dell’entropia costruttiva minima indispensabile per
consentire la vita. In questo caso continuano a favorire fenomeni di entropia distruttiva, interagendo
con i campi mentali di esseri umani che entrano in risonanza con loro.
Questo potrebbe essere un esempio dei casi che vengono definiti come “possessione diabolica”,
nei quali alcune persone particolarmente sensibili e suggestionabili attirano, perché entrano in
risonanza per mezzo dei loro campi mentali, delle “entità energetiche” inserite nel flusso
dell’entropia distruttiva e senza un corpo. In effetti, questa interazione si verifica sempre perché è il
campo mentale delle persone che attira tali anime, poiché nell’Universo nulla avviene per caso, e
niente si verifica se noi non lo vogliamo o lo attiriamo (anche inconsciamente). Il diavolo, quindi,
esiste in risonanza con il nostro campo mentale, e ci tenta continuamente, ma non può nulla su di noi a
meno che noi non lo vogliamo, grazie al “libero arbitrio” che ci è stato concesso dalla vita, da Dio,
dalla Matrice Energetica.
Essere immuni all’influenza del diavolo è facile, basta riuscire a essere sempre nel flusso
dell’entropia costruttiva. In ogni caso, anche le Anime distruttive sono utili, perché consentono alle
Anime che contribuiscono a diffondere l’ordine, di vivere esperienze e produrre informazioni che
possono essere molto più costruttive che se non ci fossero.
Un’Anima è veramente evoluta quando, pur interagendo con campi estremamente distruttivi, non si
fa minimamente condizionare da essi, ma anzi riesce a cambiarli e a produrre ordine all’interno di
essi. Quando arriverà la morte del nostro corpo fisico, la nostra Anima gioirà e sarà pronta per
rinascere; in quel momento l’Anima controllerà le informazioni che è riuscita a memorizzare nella
sua coscienza e le trasferirà alla Matrice Energetica grazie alle esperienze vissute, e sarà felice di
poter ricominciare a produrre nuove informazioni pure costruttive. L’Anima sta molto meglio quando
non ha un corpo e relativo campo mentale con cui confrontarsi, anche se solo attraverso questo
confronto riesce a evolvere; essa è spontaneamente nel flusso dell’entropia costruttiva, che è la
condizione naturale in cui vive.
Il campo mentale di ogni essere umano ha una grande influenza e contiene le informazioni che
vengono vissute e interpretate nella nostra realtà spazio-temporale, costituendo il carattere e la
personalità: in esso sono comprese le paure, i desideri, le ambizioni, i sogni, le gioie, i rancori e gli
entusiasmi. In esso risiede in maggior parte l’attitudine a vivere esperienze distruttive e nel flusso
dell’entropia distruttiva; ciò avviene attraverso la paura, che è una forza che annulla l’entropia
costruttiva, ed è la chiave di accesso all’entropia distruttiva. La forza contraria è l’entusiasmo, che è
la chiave di accesso all’entropia costruttiva.
Se un essere umano che sogna di diventare ricco ha questo desiderio solo per effetto della sua
paura di povertà, subisce l’azione dell’entropia distruttiva, e sarà estremamente difficile che possa
riuscire a sperimentare il successo economico. Se egli ha questo desiderio per effetto del suo
entusiasmo (che è tale solo quando i desideri del suo campo mentale sono in sintonia con quelli della
sua Anima), allora può accedere all’azione dell’entropia costruttiva e potrà sperimentare il vero
successo economico.
L’entusiasmo è un’emozione amplificatrice di qualsiasi informazione associata a essa, talmente
potente da permettere l’annullamento di informazioni distruttive, e anche il trasferimento di
informazioni costruttive alla Matrice Energetica (come sogni, desideri e ambizioni), che in tal modo
diventano accessibili a tutto l’Universo.
Molte situazioni che chiamiamo “fortuna”, come vincite al gioco, promozioni, coincidenze
favorevoli, ecc., sono solo l’effetto di pensieri, azioni ed emozioni di chi riesce a entrare nel flusso
dell’entropia costruttiva, in sintonia con la sua Anima. Se i desideri sono prodotti dal campo mentale,
tutto ciò non è possibile.
La paura interferisce distruttivamente con qualsiasi informazione costruttiva e amplifica qualsiasi
informazione distruttiva. Essa genera molte delle situazioni che chiamiamo “sfortuna”, ma, in realtà, è
solo un effetto delle esperienze, emozioni, pensieri e azioni di chi blocca, con le proprie paure, il
flusso dell’entropia costruttiva. Tale flusso è precluso a chi è governato dalla paura.
Ciò che è molto importante è che le informazioni distruttive presenti nel campo mentale non sono
eterne come quelli presenti nella coscienza dell’Anima; smettendo semplicemente di alimentarle con
la paura, riducono progressivamente il loro valore e quindi i loro effetti negativi (che spesso
determinano circoli viziosi come paura-azioni-fallimenti-sofferenza-paura).
Le informazioni distruttive presenti nel campo mentale, associate alla materia che costituisce il
corpo fisico, possono essere recenti o risalire anche a esperienze vissute in un passato remoto
(addirittura prima del concepimento se si crede alla teoria della reincarnazione); per eliminarle è
necessario “sganciare” da esse la paura associata. Senza paura un’informazione distruttiva non può
esistere, si dissolve.
Rivivere un’esperienza simile a quella che originariamente aveva prodotto l’informazione
distruttiva in modo che, anziché essere di nuovo associata alla paura, possa essere vissuta in totale
assenza di paura, è il modo più efficace per “rimuoverla” dal campo mentale e per neutralizzare la
sua influenza negativa nel presente e nel futuro. È per questo motivo che l’Anima di un essere umano
che vuole evolvere e raggiungere il suo scopo deve necessariamente riuscire a ridurre le interferenze
distruttive del campo mentale, e questo è attuato portando l’essere umano a rivivere proprio le
situazioni che sono legate alle sue paure.
La cosa più efficace, che possa fare un essere umano per evitare di vivere esperienze che
producano in lui sofferenza, è quella di non aver più paura che tali esperienze si verifichino.

IL BENE E IL MALE: LA LOTTA TRA DUE FORZE


L’umanità vive il continuo conflitto tra l’azione dell’entropia costruttiva e quella dell’entropia
distruttiva, e si divide in tre grandi gruppi, organizzati secondo una struttura gerarchica in funzione
del livello di evoluzione della loro Anima:

— i soggetti costruttivi, che si trovano nel flusso dell’entropia costruttiva;


— i soggetti distruttivi, che si trovano nel flusso dell’entropia distruttiva;
— i soggetti indecisi.

Per i soggetti costruttivi, anche scelte o azioni che apparentemente possono apparire sbagliate,
ingiuste o negative, perché in contrasto con gli schemi mentali e il senso comune, producono sempre
un aumento dell’ordine e fenomeni di entropia costruttiva. In questi soggetti le intuizioni prodotte
dall’Anima prevalgono sempre sui ragionamenti del campo mentale.
Le azioni dei soggetti distruttivi sono invece dominate dal campo mentale, e anche se
apparentemente possono sembrare giuste, corrette e in perfetta sintonia con gli schemi mentali e il
senso comune, producono sempre un aumento del disordine e fenomeni di entropia distruttiva, a
breve o a lungo termine.
I soggetti indecisi sono nel flusso dell’entropia costruttiva, ma a volte le loro paure hanno il
sopravvento e s’inseriscono nel flusso dell’entropia distruttiva; le loro azioni sono comunque
dominate dall’influenza del campo mentale, con occasionale intervento dell’Anima, che non è
particolarmente evoluta. Inoltre sono facilmente plagiabili, come bandiere che sventolano nella
direzione di dove soffia il vento.
Tanto maggiori sono le esperienze che un essere umano ha vissuto e gestito in modo distruttivo,
tanto maggiori sono le sue paure, l’influenza del campo mentale e dell’entropia distruttiva. Un essere
di questo tipo ha due possibilità: o affrontare e vincere le sue paure, o cercare di nasconderle e
fuggire, rimuovendole.
Riuscire, per un costruttivo, a vivere in modo costruttivo un’esperienza con un essere distruttivo, o
indeciso, in modo tale da farlo convertire all’entropia costruttiva (conversione sempre e comunque
voluta e decisa dal soggetto distruttivo o indeciso), rappresenta una tra le più importanti e utili
esperienze che possa produrre, dando un contributo all’ordine dell’Universo. In modo opposto, per
un distruttivo, riuscire a convertire un costruttivo al flusso dell’entropia distruttiva fa aumentare il
disordine dell’Universo, neutralizzando la produzione di ordine che quell’individuo avrebbe
perpetrato se non si fosse “convertito”.
Il soggetto distruttivo sente il bisogno di controllare gli altri, ricorrendo spesso all’autorità, alla
forza e alla violenza; ha sete di ricchezza e di potere, con cui si illude di sconfiggere le sue paure. In
questo soggetto le esperienze d’insuccesso per l’Anima appaiono invece al campo mentale come
esperienze di successo.
L’esperienza della ricchezza ottenuta semplicemente togliendola ad altri non contiene alcuna
informazione evolutiva, perché non ha alcun valore costruttivo, è un semplice spostamento: uno perde
qualcosa e un altro la ottiene, avendo sviluppato l’abilità di togliere denaro ad altri. Il denaro ha un
sapore diverso quando è l’effetto di esperienze costruttive, rispetto a quando è semplicemente tolto
ad altri.
Spesso i politici operano con l’unico fine di mantenere e aumentare il loro potere, producendo
affermazioni e dichiarazioni che hanno come unico fine quello di raccogliere consensi agendo
esclusivamente sul campo mentale di chi li ascolta. Nella maggioranza dei casi si tratta di uomini
distruttivi, che hanno bisogno di potere soltanto per nascondere in qualche modo le loro paure e la
loro reale inferiorità. Gli effetti distruttivi si manifestano attraverso l’assoluta incapacità tecnica di
fare scelte costruttive, spesso a distanza di tempo; lo sperpero economico che ne consegue è l’effetto
dell’assenza di reali obiettivi di benessere e di giustizia per il proprio paese.
Un soggetto costruttivo, che si eleva rispetto ad altri simili, si confronterà a sua volta con soggetti
distruttivi più elevati dei suoi simili, e quindi dovrà superare delle prove molto dure, di cui dovrà
avere piena consapevolezza; in caso contrario potrebbe ritornare al livello gerarchico precedente,
sicuramente molto più tranquillo, ma tale scelta non gli permetterebbe più di evolvere (vedi schema).
I nostri tradizionali concetti di bene e male fanno riferimento esclusivamente ai nostri schemi
mentali, che hanno bisogno di giudicare ogni cosa; anche il soggetto più distruttivo non ammetterebbe
mai di essere distruttivo, le sue azioni sono semplicemente dominate dal campo mentale che riesce
quasi sempre a convincere il protagonista di un’esperienza distruttiva che ciò che sta facendo è
comunque giusto.Capire con il campo mentale cosa è effettivamente bene, e cosa è effettivamente
male, è praticamente impossibile. Fortunatamente questa impresa è estremamente semplice e
immediata per la nostra Anima. Qualsiasi scelta o esperienza vissuta nel flusso dell’entropia
costruttiva determina un aumento dell’ordine, il contrario determina un aumento del disordine.
Chi è nel flusso dell’entropia costruttiva? Chi è felice, pur non avendo un motivo razionale per
esserlo. Chi non ha schemi mentali che lo costringano a giudicare continuamente gli altri e se stesso.
Chi accetta la possibilità che la realtà possa essere completamente diversa da come appare ai propri
occhi e ai propri sensi.
Riguardo alla medicina, siamo vicini a una sorta di rivoluzione attuata sia dai medici, che iniziano
finalmente a ribellarsi a un sistema che li vuole come strumenti prescrittori di farmaci, sia dei malati,
che iniziano a ribellarsi a un sistema che deve la propria ricchezza alle loro malattie. I farmaci
artificiali, sintetizzati chimicamente dall’uomo per soddisfare soprattutto i desideri del suo campo
mentale e fuggire dalle sue paure, anche se appaiono efficaci a breve termine nell’agire sugli effetti
di processi di entropia distruttiva in atto (es. il dolore), nella stragrande maggioranza dei casi non
fanno altro che produrre ulteriori interferenze distruttive con l’entropia costruttiva, determinando un
sistema immunitario sempre più debole, vulnerabile e dipendente dai farmaci.
Esistono numerose sostanze naturali e terapie non convenzionali, come l’omeopatia, l’agopuntura,
l’omotossicologia, la medicina omeosinergetica, che aiutano l’azione dell’entropia costruttiva, che
interviene spontaneamente allorché nel malato si riduce la paura dei propri sintomi, portando alla
vera guarigione; questa si realizza solo quando si riducono le interferenze distruttive dei loro campi
mentali.
Qualsiasi decisione che un soggetto distruttivo possa prendere è condizionata da una tendenza di
base a produrre disordine, insuccesso, infelicità. Nei soggetti distruttivi le paure creano dei circoli
viziosi, dominano e guidano ogni loro scelta e producono fallimenti che a loro volta alimentano le
paure. Le tipiche paure, di cui è afflitto il genere umano, che spesso sono mascherate, sono quelle
della solitudine, del cambiamento, della morte, della dipendenza, dell’inferiorità, della povertà,
dell’abbandono, del dolore. Una persona che vive nella paura è incapace di prendere decisioni e di
compiere azioni dagli effetti costruttivi.
I soggetti distruttivi spesso si ritengono vittime della sfortuna, senza riconoscere di essere loro
stessi la causa degli eventi negativi che vivono. La sfortuna non esiste, è solo una delle
manifestazioni delle loro azioni nel flusso dell’entropia distruttiva. Questi soggetti sono esseri umani
esperti nell’ottenere cose che possano coprire le loro paure con ogni tipo di espediente; a esempio,
per una giovane donna distruttiva riuscire a farsi sposare da un uomo che non ama può essere una
bella copertura, che le fa ottenere soldi, gioielli, potere, automobili prestigiose.
L’entropia distruttiva produce disordine, che in questo caso si propaga nella coppia, e si manifesta
come infelicità, insoddisfazione, rabbia. Se in tale coppia il marito non è sufficientemente costruttivo
da reagire, e se non avviene la separazione, arriva un figlio, un’altra copertura di paure non risolte e
un’altra persona che sarà esposta agli effetti dell’entropia distruttiva.
Spesso i soggetti distruttivi sono attori bravissimi, capaci di recitare parti difficili, e le loro azioni
determinano sempre un’effettiva riduzione dell’ordine del sistema in cui agiscono. Il loro
comportamento dipende in genere da quale tipo di paura primaria ha causato originariamente
l’interruzione dell’azione dell’entropia costruttiva. Se la paura primaria è quella della solitudine, il
soggetto cercherà di evitare ogni esperienza di abbandono; una donna utilizzerà ed esalterà al
massimo tutti i suoi strumenti seduttivi sul maschio, cercando di rendersi irresistibile, amabile e di
conquistarlo con qualsiasi strumento o recitando delle parti. L’effetto più probabile sarà quello di
venire regolarmente abbandonata; allora si convincerà di essere sfortunata e cercherà di aumentare
ancora di più l’efficacia delle sue armi di seduzione, ma le esperienze finiranno sempre allo stesso
modo. Fino a quando non capirà che in realtà è lei stessa la causa degli abbandoni che subisce, fino a
quando non capirà che solo liberandosi della paura dell’abbandono e imparando a viverlo senza più
temerlo, solo allora potrà accedere al flusso dell’entropia costruttiva, e solo in questo caso non sarà
più abbandonata.
La donna che non ama se stessa e che ha paura di non essere amata, spesso commette il grave errore
di esasperare i suoi strumenti di seduzione, arrivando anche in alcuni casi a ricorrere alla chirurgia
estetica per attirare l’attenzione dei maschi. Queste sono donne che si lamentano sempre degli
uomini, che considerano sfruttatori egoisti. Ogni donna ha gli uomini che si merita.
Essere in sintonia con la propria Anima, amarsi semplicemente per quello che si è, è la chiave
della felicità e dell’equilibrio. Un uomo che non si ama, e che ha paura di non essere amato,
utilizzerà strumenti di seduzione, ostentando forza, ricchezza o potere che in realtà non ha; in questo
modo attirerà solo il tipo di donne dalle quali in realtà fugge, perché incapaci di apprezzarlo per la
sua vera natura.
L’uomo distruttivo sarà tradito o lasciato, e si convincerà che le donne sono tutte infedeli e
inaffidabili; in realtà solo quelle che lui ha saputo meritarsi lo sono state con lui. Ogni uomo ha le
donne che si merita.
L’Anima percepisce alla prima interazione, che può essere semplicemente costruttiva o distruttiva,
il valore essenziale di ogni cosa; le basta una frazione di secondo per capire, e comprendere molto
più di quanto la mente potrebbe forse capire in tutta una vita trascorsa insieme.
Se la paura dominante è quella della povertà, è possibile che il soggetto distruttivo utilizzi gran
parte della sua energia e ingegno per cercare di guadagnare sempre più soldi, ricorrendo
normalmente a scorrettezze pur di soddisfare ciò che ritiene una necessità primaria per gestire la sua
paura: il suo guadagno economico, che avviene a scapito di altri o dell’ambiente in cui agisce.
I guadagni economici di un soggetto che è nel flusso dell’entropia costruttiva sono invece l’effetto
di azioni ordinanti e costruttive che hanno dato a qualcuno o aggiunto all’ambiente qualcosa; la
ricchezza è in questo caso l’effetto dell’azione dell’entropia costruttiva e strumento per l’ulteriore
diffusione e creazione di fenomeni costruttivi.
Un distruttivo con la paura della solitudine ha un campo mentale ricco di informazioni relative a
esperienze di abbandono che sono state vissute con sofferenza e alle quali è stata associata la paura.
Quando la mente non riesce a giustificare un’azione da essa prodotta, vengono generati dei sensi di
colpa, i quali contribuiscono ad aumentare le paure. Questo ciclo prodotto dalla mente può
continuare a lungo, fino a quando il soggetto distruttivo non inizia ad agire anche in funzione delle
reazioni della sua Anima nei confronti delle sue azioni.
Invece ogni azione di un soggetto costruttivo è finalizzata alla produzione di ordine e felicità, anche
se può apparire sbagliata al suo campo mentale. Spesso il soggetto costruttivo è una persona umile,
che non sente l’esigenza di controllare gli altri. Ogni scelta viene compiuta in sintonia con le pulsioni
emotive istintive prodotte dall’Anima, ogni volta che una nuova informazione interagisce con essa.
Queste emozioni precedono sempre quelle prodotte per effetto dell’interazione di nuove
informazioni con il campo mentale. Quest’ultimo interviene sempre per interpretare o giustificare le
scelte compiute, ma non riesce mai ad avere maggiore influenza delle pulsioni istintive dell’Anima.
I soggetti costruttivi si trovano spesso a dover affrontare delle prove dall’alto contenuto distruttivo
potenziale, sotto forma di eventi drammatici o di rapporti con soggetti distruttivi che possono indurli
a provare paura, la chiave di accesso all’entropia distruttiva. Proprio tale capacità di affrontare in
modo costruttivo anche situazioni potenzialmente molto distruttive permette a tali soggetti di produrre
informazioni costruttive sempre più utili per l’evoluzione della Matrice Energetica e dell’Universo.
Il flusso dell’entropia costruttiva è un insieme di informazioni costruttive (come una “doccia” di
luce) che permette a tutti gli esseri viventi, che vi sono immersi, di pensare, agire e comportarsi in
totale sintonia con la tendenza evolutiva dell’entropia costruttiva.

L’ALIMENTAZIONE E LA SALUTE
Spesso la paura associata a qualsiasi informazione rende quest’ultima distruttiva e capace di
impedire l’intervento dell’entropia costruttiva. Si creano così delle zone d’ombra, che possono
essere anche determinate da fonti di interferenza minori, come, a esempio, lo stile di vita, cioè quello
che pensiamo, mangiamo, beviamo, respiriamo e tutto ciò che facciamo con il nostro corpo. Agendo
sul corpo in modo costruttivo, possiamo aumentare l’energia vitale, al fine di riuscire a demolire le
fonti d’interferenza e le zone d’ombra.
Le informazioni che riceviamo normalmente da giornali, radio e televisione su come mangiare e su
come dovrebbe essere il nostro stile di vita sono spesso contraddittorie e false, perché condizionate
dalle leggi di mercato. Dovremmo, perciò, “star meglio mangiando meglio”.
Un regime alimentare è qualcosa che si deve seguire per tutta la vita e non per pochi mesi, per
questo potete farlo vostro anche in tempi non brevi, così come c’è voluto molto tempo per imparare a
mangiare male.
Ippocrate diceva: “Che il tuo cibo sia la tua medicina e che la tua medicina sia il tuo cibo!”.
Quattro regole alimentari semplicissime garantiscono di rimanere in perfetta salute e mantenere il
peso ideale. Queste regole discendono dalla conoscenza della nostra natura e dal funzionamento del
nostro organismo.

1) Almeno il 75% degli alimenti che ingeriamo nella giornata deve essere ricco di acqua:
ovvero frutta e verdure.
Il nostro pianeta è composto dal 75% di acqua e anche il nostro corpo rispetta le medesime
proporzioni. Per permettere un corretto ricambio dell’acqua presente nelle nostre cellule non basta
“bere molto”, occorre nutrirsi con alimenti ricchi di acqua, come frutta e verdura od ortaggi. I cibi
“secchi”, cioè le proteine animali come la carne, o i carboidrati come pane e pasta, si chiamano così
perché contengono poca acqua disponibile all’assimilazione durante i processi digestivi. La frutta va
mangiata da sola, lontano dai pasti e dagli altri alimenti, altrimenti ne ostacola la digestione,
causando fermentazione intestinale. L’ideale sarebbe mangiare solo frutta nelle prime ore della
giornata fino al pranzo, oppure come spuntino a metà pomeriggio o ancora usarla ogni tanto come
pasto completo.

2) Le proteine animali vanno assunte non più di quattro volte alla settimana.
Le proteine animali (carne, salumi, insaccati, pesce, uova e formaggi) non sono indispensabili come
ci hanno insegnato le teorie di una certa dietetica contemporanea. L’apporto proteico della civiltà dei
consumi è enormemente superiore a quello dei nostri predecessori e questo non è necessariamente un
bene: studi scientifici dimostrano che un apporto eccessivo di proteine può causare dei seri problemi
all’equilibrio del nostro organismo (specialmente nei bambini). A questo si aggiunga che molti
vegetali sono ricchi di proteine “semplici” (vedi i legumi e la frutta secca) e quindi più assimilabili
da parte del nostro organismo.
Il nostro apparato digerente ha caratteristiche che lo situano tra quello degli erbivori e quello dei
carnivori; queste caratteristiche indicano che carne e pesce si possono mangiare, non sicuramente
tutti i giorni e secondo le indicazioni che tratteremo nel prossimo punto.
Anche il latte e i latticini vanno molto ridimensionati. Il latte è un alimento molto complesso, e di
non facile digestione, che andrebbe eliminato (addirittura secondo studi recenti sarebbe, associato ai
suoi derivati, una concausa responsabile dell’osteoporosi nelle donne in menopausa, perché
l’organismo, per compensare l’enorme quantità di acidi introdotti con tali proteine effettua
l’alcalinizzazione dismettendo il calcio dalle ossa). Quindi si dovrebbe ridurre notevolmente la
quota di latticini e formaggi, che andrebbero preferibilmente consumati freschi e non stagionati.

3) I vari alimenti vanno associati in maniera corretta; ciò assicura un’ottima digestione e
un’ottima assimilazione.
Carboidrati e proteine non vanno mai associati! Bisogna scegliere in ciascun pasto se si vogliono
mangiare i carboidrati (la pasta, il riso o le patate) o le proteine animali (il pesce, la carne, i
latticini, le uova): l’abitudine di mangiare insieme un primo e un secondo non è assolutamente
corretta. Queste indicazioni hanno una precisa ragione fisiologica, facilmente dimostrabile
scientificamente: il nostro stomaco digerisce i carboidrati in un “ambiente” basico e le proteine in un
“ambiente” acido. Ingerire entrambi in tempi ravvicinati manda in tilt lo stomaco, impedendogli così
di svolgere un lavoro corretto. Oltre a un tempo di digestione più lungo (che significa dispendio di
energia), dai cibi mal digeriti si producono tossine che irritano l’intestino e danneggiano tutto
l’organismo.

4) Mangiare meno!
Numerose ricerche scientifiche hanno evidenziato che il modo più sicuro per aumentare la durata
della vita consiste nel ridurre la quantità di alimenti che si ingerisce.
Per questo è importante alimentarci con moderazione, alzandoci ogni volta da tavola con ancora un
po’ d’appetito. Gli eccessi non sono smaltiti in tempi fisiologici dall’organismo, per cui vengono
immagazzinati nei tessuti di deposito e vanno a intasare l’organismo stesso. Quindi, il messaggio è
semplice e chiaro: mangia meno e vivrai di più!

Da questo l’esigenza di bilanciare correttamente ogni pasto: i due pasti principali (pranzo e cena)
devono avere sempre la stessa struttura, facendo in modo che in ogni pasto sia presente un solo cibo
“secco”, cioè:

verdure crude;
o un “primo” o un “secondo” (solo 4 volte alla settimana: carne bianca o formaggio o uova o
pesce);
verdura cotta.

Le verdure crude e cotte si possono condire con sale marino integrale, olio e limone (o aceto di
mele biologico). Le verdure si possono cuocere a vapore o stufate o al forno ma senza grassi in
cottura.
Occorre ricordare che ogni alimento bruciato (specialmente le carni) è potenzialmente
cancerogeno.
Inoltre è necessario ridurre il consumo di cibi conservati e raffinati (impoveriscono la dieta di
nutrienti essenziali e facilitano lo sviluppo di intolleranze alimentari), e preferire decisamente
alimenti integrali freschi e di derivazione biologica, privi di additivi, coloranti, conservanti,
pesticidi.
Come ulteriore raccomandazione, è necessario evitare i grassi insaturi (burro, margarina, panna, oli
spremuti a caldo), lo zucchero bianco e il sale, mentre si possono usare lo zucchero di canna grezzo
integrale e il sale marino integrale.
La colazione del mattino dovrebbe essere a base di frutta ben associata, cioè: ogni qual volta si
mangiano uno o più frutti acidi (ad esempio, arance o pesche o pompelmi) si dovrebbero mangiare
anche uno o più frutti dolci (ananas, pere, ecc).

AZIONE SULLA MENTE


Agire sulla mente è fondamentale, perché implica cambiare il modo in cui si è abituati a vivere la
propria realtà. Quello che la nostra mente pensa oggi determinerà il nostro futuro, quello che siamo
oggi è l’effetto di quello che abbiamo pensato nel passato. Tutte le esperienze distruttive vissute nel
passato, che hanno determinato sofferenza fisica e mentale, hanno prodotto o rinforzato le paure che
sono state provate mentre le si viveva.
Se si riesce ad avere la consapevolezza che la causa primaria dei propri dolori e insuccessi passati
sono state proprio le paure non risolte, e che l’Anima nel suo percorso evolutivo porta l’essere
umano a rivivere continuamente scenari simili a quelli legati a tali paure, si possono rimuovere
quelle zone d’ombra create da tali emozioni negative nel flusso dell’entropia costruttiva. Ma spesso
tali esperienze sono vissute dalla mente in modo “passivo”, causando perciò maggiore dolore e
sofferenza.
Riuscire a vivere questo tipo di esperienze attivamente, con la consapevolezza che si tratta di
opportunità per rimuovere vecchie paure non risolte, è sufficiente a ridurre enormemente il dolore e
la sofferenza che si prova vivendole. Tale dolore può essere del tutto evitato se addirittura si utilizza
lo strumento più potente che esiste, cioè il perdono sincero verso se stessi o verso chi è ritenuto
responsabile della propria sofferenza passata.
Le informazioni che le esperienze passate (positive e negative) hanno prodotto sono state
memorizzate nella coscienza dell’Anima per poter produrre nuove informazioni costruttive;
continuare a mantenerle vive e distorte nel campo mentale impedisce di interpretare il presente.
Qualsiasi decisione, pensiero, azione compiuta per effetto della paura determina l’intervento
dell’entropia distruttiva, che fa in modo che il vissuto vada esattamente come si era temuto che
andasse. Prima di aiutare chiunque, dovremmo inizialmente investire sulla nostra capacità di fare
scelte costruttive, riuscendo a entrare nel flusso dell’entropia costruttiva.
Non esistono regole, leggi o condizioni che permettono alla mente umana di capire e giudicare con
sicurezza se un essere umano è costruttivo o distruttivo; solo l’Anima può percepirlo con certezza
attraverso le sue reazioni alle interazioni che sono presenti tra le esperienze attuali e quelle
precedenti. Chi è costruttivo tende spontaneamente a non aiutare chi è distruttivo, perché solo se gli è
negato ogni aiuto, quest’ultimo può riuscire a vivere spontaneamente delle sane esperienze di
insuccesso che possono permettere di farlo evolvere ed entrare nel flusso dell’entropia costruttiva.
Solo divenendo costruttivo, un distruttivo può smettere di vivere a scapito degli altri. È proprio non
assecondando le sue richieste che si aiuta un distruttivo.
Il vero successo si ottiene quando, entrando nel flusso dell’entropia costruttiva, si crea qualcosa
che non toglie nulla a nessuno, ma che aggiunge alla realtà qualcosa che può permettere a se stessi e
ad altri di vivere maggiori esperienze costruttive. Quando, invece, la propria ricchezza deriva solo
dall’averla tolta ad altri, si ottengono solo spostamenti, a proprio favore, di cose che un’altra
persona ha prodotto. Questo non è un effetto dell’entropia costruttiva, è semplicemente uno
spostamento che, poiché determina un consumo di energia senza un fine utile, è comunque un
fenomeno distruttivo. Infatti gli esseri distruttivi dominati solo dal loro campo mentale e dalla paura
della povertà possono anche riuscire ad accumulare ricchezze economiche, sottraendole a qualcuno
del sistema in cui vivono. Ma poiché la forza dell’entropia costruttiva ha degli equilibri che col
tempo devono essere mantenuti, al fine di far evolvere costruttivamente il sistema, questi soggetti,
seppure ricchi, si ritroveranno sempre con un “debito” e i relativi interessi da saldare al sistema in
cui vivono, attraverso esperienze spesso molto dolorose, che hanno l’obiettivo di riportare ordine nel
sistema in cui la loro avidità ha portato disordine.
La vera ricchezza è quella prodotta attraverso fenomeni ed esperienze costruttive, nel rispetto delle
forze e degli equilibri che tendono a far evolvere il sistema in cui si vive. Fintanto che un essere
umano ha la sola consapevolezza di se stesso e del suo corpo come elemento isolato da tutto ciò che
lo circonda, tenderà sempre ad agire solo cercando di ottenere vantaggi per se stesso, anche se questi
vanno a scapito di altri e del sistema in cui vive. Invece, quando un essere umano è nel flusso
dell’entropia costruttiva ha una consapevolezza di sè come parte del tutto, per cui ogni suo vantaggio
è tale solo se determina un vantaggio anche per il sistema in cui vive. Questa è la consapevolezza
dell’Anima, mentre la consapevolezza della mente è quella del corpo fisico isolato dal tutto.
Chi ruba danneggia gli altri solo per avere vantaggi per la propria mente e il proprio corpo;
chiunque ruba qualsiasi cosa, e magari si arricchisce a scapito di altri, è destinato a dover restituire
con gli “interessi” quanto ha rubato al sistema in cui le sue azioni si sono manifestate (legge di
azione-reazione).
Quando si è concentrati, senza ostinazione, su un obiettivo che è in sintonia con il successo
dell’Anima, non si deve avere alcuna paura che l’obiettivo possa non essere raggiunto; se
l’informazione costruttiva è in sintonia con gli obiettivi dell’Anima, raggiunge la Matrice Energetica,
e a quel punto tutte le Anime dell’Universo, compresi gli angeli, iniziano a collaborare affinché tale
informazione si sviluppi ulteriormente concretizzandosi in azioni. Ma quando si prova anche la
minima paura, non bisognerebbe pensare, prendere alcuna decisione e intraprendere alcun’azione,
perché qualsiasi cosa si faccia in tale situazione non può che produrre insuccessi.

I FLUSSI DELL’ENTROPIA COSTRUTTIVA E DELL’ENTROPIA DISTRUTTIVA


Tutte le informazioni presenti nel nostro campo individuale (risultato dell’interazione tra quelle
presenti nell’Anima e nel campo mentale) condizionano e intervengono nel nostro comportamento e
in quello degli esseri umani con cui entriamo in relazione. Per tale motivo noi siamo la vera causa di
ciò che ci accade. Quando un’informazione presente nel campo individuale di un essere umano è resa
attiva dalla paura, essa condiziona in modo negativo il comportamento di tutti gli esseri umani con
cui interagisce. Quindi tutto quello che compiono gli esseri umani con cui interagiamo non è solo
l’effetto delle loro libere scelte, ma anche della combinazione delle informazioni contenute nel loro
campo individuale con il nostro.
Ogni struttura della materia ha un proprio campo individuale, anche un’autovettura; se il suo
proprietario ha continuamente paura del furto, tale informazione viene trasferita al campo dell’auto, e
potrebbe essere probabile che il campo individuale di un ladro, contenente informazioni distruttive,
entri in risonanza con tale informazione, determinando una condizione tale da far verificare il furto
dell’autovettura.
Ogni volta che qualcuno sperimenta l’esperienza di un furto, di un’aggressione o un’ingiustizia che
rimane impunita, dovrebbe cercare di capire che la realtà che vive nel proprio paese è l’effetto di
quanto ogni suo singolo abitante ha fatto o non fatto per realizzarla. È inutile colpevolizzare un
sistema che è in ogni caso parte di sé. Anche una sola persona può cambiare le sorti di un intero
paese, essendo costruttivo e contribuendo ad aumentare il numero di esseri costruttivi con cui viene
in relazione.
Un maestro è chiunque, nel bene o nel male, ci dia l’opportunità di imparare qualcosa. Anche
vivere esperienze distruttive con soggetti inseriti nel flusso dell’entropia distruttiva può costituire
un’opportunità di vivere una grande esperienza costruttiva. La cosa più importante non è la realtà in
cui viviamo, ma come reagiamo a quella realtà, che dipende solo da noi. Molti non credono in Dio
perché ogni volta che osservano fenomeni di ingiustizia, sofferenza e dolore, non credono che questi
fenomeni, se esistesse Dio, potrebbero e dovrebbero accadere.
La comprensione del reale significato del dolore, al di là delle apparenze, costituisce una delle
prove più importanti che un essere umano ha l’opportunità di affrontare per acquisire la
consapevolezza del reale significato della sua esistenza.
La nostra felicità non può mai dipendere da quello che gli altri possono fare per noi. Quello che gli
altri ci fanno o non ci fanno dipende direttamente o indirettamente individualmente da noi, dalla
storia della nostra Anima e da quella della nostra mente, da quello che siamo, che vorremmo essere e
da quello che abbiamo paura di non essere.
Ogni persona ha in sé tutto quello che gli serve per essere felice. Ogni volta che cerca all’esterno
qualcosa, senza essere consapevole che ciò che avviene all’esterno dipende da ciò che è dentro di
sé, non fa altro che predisporsi a vivere nell’infelicità.
Chi è nel flusso dell’entropia costruttiva può avere con gli altri, comprese le persone a lui più
legate, che magari sono ancora accecate dal loro campo mentale, comportamenti che non sono per
niente quelli che si aspettano da lui. In effetti, la cosa più importante della vita è la nostra vita stessa,
per questo non possiamo sprecarla cercando di soddisfare le richieste di chi è ancora manipolato
dalla sua mente.
Per illuderti di aiutare un altro, basta fare ciò che quello si aspetta che tu faccia, ma questo può
essere estremamente distruttivo, sia per te sia per lui, anche se dà l’illusione di aver fatto qualcosa di
buono. La cosa più costruttiva che possiamo fare per un’altra persona è di non fare quello che il suo
campo mentale si aspetta da noi, agendo invece per quello che realmente pensiamo di lei, anche se è
esattamente il contrario di quanto vorrebbe, anche a costo di farla soffrire. Purtroppo, per molti
esseri umani la sofferenza rimane lo strumento più efficace per permettere loro di vivere esperienze
costruttive. Inoltre, per poter fare cose costruttive per gli altri, dobbiamo essere in grado, prima di
tutto, di fare cose costruttive per noi, essendo totalmente indipendenti dagli altri. Non dobbiamo
consumare la totalità della nostra energia vitale per convincere gli altri a essere come loro
vorrebbero che noi siamo, e non dobbiamo più avere sensi di colpa quando non ci riusciamo.
Spesso nelle relazioni di coppia le donne sognano un uomo che le faccia sentire la cosa più
importante della loro vita, mentre gli uomini desiderano essere per la loro donna l’unico vero e
assoluto riferimento. Questi desideri creano aspettative che portano entrambi a esercitare un
controllo reciproco che contribuisce ad alimentare le paure che le cose non siano come ci si aspetta,
e impedisce all’entropia costruttiva di fluire nella coppia. In questo caso la relazione è utile solo per
il campo mentale, che può continuare ad alimentare le sue illusioni e le sue paure, e il rapporto di
coppia serve solo a mascherare le proprie paure della solitudine e di non essere amati.
Entrambi i partner diventano i reciproci complici e capri espiatori della loro mancata
realizzazione, e possono riuscire ad attribuirsi vicendevolmente le responsabilità della propria
infelicità. Ciononostante, s’inventano mille motivazioni razionali per non lasciarsi. Solo se entrambi
i partner sono costruttivi e nel flusso dell’entropia costruttiva, possono sperimentare il vero
matrimonio dell’Anima, in cui non esiste la dipendenza reciproca ma solo la collaborazione
costruttiva incondizionata.
Entrare nel flusso dell’entropia costruttiva è un’esperienza fantastica di gioia incondizionata,
indipendente da tutto e da tutti. L’unico caso in cui un essere umano, anche se distruttivo, sperimenta
l’effetto dell’essere nel flusso dell’entropia costruttiva, è nel momento della nascita di un figlio, che
avviene grazie alla totale influenza della sola entropia costruttiva che avvolge il figlio e che dal
figlio raggiunge indirettamente anche i genitori, nonostante le possibili interferenze dei loro campi
mentali.
Per entrare ordinariamente nel flusso dell’entropia costruttiva è opportuna l’accettazione positiva e
serena di una condizione di solitudine, come scelta consapevole o come stato privilegiato in cui si
sceglie di stare per un certo periodo di tempo per potersi finalmente dedicare totalmente e solo a se
stesso, senza le interferenze di nessun altro, senza alcun condizionamento esterno.
Chi ha paura della solitudine può solo compiere azioni e fare scelte distruttive finalizzate a coprire
questa paura. Questi ottiene che lentamente gli altri si allontanino da lui, perché ogni paura nel nostro
campo individuale condiziona il comportamento di tutti coloro con i quali interagiamo.
Solo vivendo la solitudine con un atteggiamento costruttivo, come se fosse una propria scelta e non
un’imposizione, si può scoprire che è una delle esperienze più preziose che si possano sperimentare.
Ma la vera solitudine non esiste, è solo un’illusione del campo mentale, perché nessuno che abbia
un’Anima è solo. L’Anima è una manifestazione (con una propria identità) della Matrice Energetica
che è onnipresente, perché lo spazio e il tempo sono solo attributi della materia, non dell’Anima.
Ogni volta che giudichiamo qualcosa o qualcuno, perdiamo preziosa energia vitale, perché è il
campo mentale che giudica, mentre la nostra Anima vive esperienze, più o meno complesse, che
possono essere semplicemente costruttive o distruttive. Chiunque, anche la persona che possiamo
considerare più negativa o distruttiva, se esiste è perché serve, è utile a far vivere ad altri importanti
esperienze costruttive. Anche l’ambiente in cui viviamo, familiare o lavorativo, se negativo, può
esserci utile. Il segreto è quello di evitare che l’ambiente in cui viviamo possa essere un freno,
anziché un aiuto alla nostra evoluzione. Se entriamo nel flusso dell’entropia costruttiva, niente e
nessuno potrà più produrre nel nostro campo interferenze distruttive. Un vero angelo si riconosce non
quando è in paradiso, ma quando, pur essendo all’inferno, non viene sfiorato da nessun demone.
È utile avere la consapevolezza che ogni cosa che ci accade, anche la più brutta, non è mai per
caso, ma va sempre vissuta come qualcosa di utile, che ci serve e che è l’effetto delle proprie libere
scelte. Va sempre vissuta come un’importante opportunità per introdurre nella propria vita dei
cambiamenti costruttivi, che magari non si avrebbe mai avuto il coraggio di fare. Ad esempio,
esistono persone che solo dopo un licenziamento scoprono di essere capaci di eseguire un lavoro
basato su una passione giovanile soppressa dal campo mentale. Il vittimismo, al contrario, è in
genere il modo più banale con cui il campo mentale reagisce al fallimento del tentativo di nascondere
le proprie paure.
Gli effetti delle interferenze distruttive del campo mentale e l’incapacità di fare scelte costruttive si
manifestano anche sul corpo, con invecchiamento precoce, sovrappeso, stanchezza fisica,
depressione, malattie cronico-degenerative, tumori. Queste situazioni innaturali del corpo
determinano sofferenza e paura che contribuiscono a mantenere attiva l’azione dell’entropia
distruttiva.
L’utilizzo e l’abuso di farmaci serve a ridurre temporaneamente la sofferenza, permettendo di
ridurre la paura. Ovviamente è assurdo intossicare il proprio corpo con sostanze chimiche artificiali,
solo per poter avere una minore paura della malattia. Per sapere realmente come fare ad avere cura
del nostro corpo, non dobbiamo ascoltare chi per primo non sa avere cura del suo, ma occorre
cercare intorno a noi con un vero atteggiamento costruttivo. Occorre inoltre cercare di volerci bene
solo ed esclusivamente per quello che siamo, non per quello che non siamo o che la nostra mente
avrebbe voluto che fossimo.
Un altro modo per entrare nel flusso dell’entropia costruttiva è quello di riuscire finalmente a
liberarci del timore del giudizio degli altri, anche facendo cose che abitualmente non svolgiamo e che
escono dalla routine quotidiana. Allo stesso tempo, dobbiamo cercare di evitare di continuare a
giudicare tutto secondo i nostri schemi mentali, cercando di cogliere l’essenza di ogni cosa, senza
farci confondere dalla sua apparenza.
Riassumendo, il vero segreto consiste nel riuscire a non avere più paura, e provare gioia anche per
le piccole cose di ogni giorno. Non è importante cosa ci dà emozione, è importante l’emozione in sé
collegata con quella cosa. È importante che ci sentiamo bene ogni volta che pensiamo a quella cosa,
che deve diventare l’ultima cosa a cui pensiamo prima di addormentarci e la prima cosa a cui
pensiamo prima di svegliarci. Così nel nostro campo individuale l’entusiasmo inizia a prevalere
sulla paura, e riesce a far pulsare le informazioni che iniziano a condizionare favorevolmente il
comportamento degli altri e dell’Universo.
Altra cosa importante è non crearsi mai aspettative, la cui realizzazione dipende da cose che altri
debbano fare o evitare di fare. È opportuno anche mantenersi sempre vigile e attento nei riguardi del
mondo che ci circonda, perché tanto maggiore è il nostro livello di evoluzione, consapevolezza,
capacità di vivere esperienze costruttive e produrre informazioni costruttive, tanto maggiore è il
livello di distruttività delle situazioni che ci troveremo a dover affrontare. Ricordiamoci sempre che
ciò che dà valore alla nostra esistenza è la realizzazione di ciò che la nostra Anima desidera, che
dipende dal nostro grado di evoluzione, che a sua volta dipende dal modo con cui abbiamo reagito
alle esperienze vissute nel corso della nostra esistenza, che può essere di miliardi di anni.
Spesso le nostre scelte avvengono solo in funzione del dare sollievo alle paure presenti nel nostro
campo mentale, e molti nostri desideri non sono altro che l’effetto del desiderio di nascondere o
fuggire dalle paure. Tutto ciò che facciamo è comunque l’effetto di pensieri avuti in precedenza; ogni
pensiero è un’informazione che può produrre sia azioni che intenzioni. L’azione esaurisce e consuma
l’energia di un’intenzione, mentre l’intenzione che non è stata consumata da un’azione può continuare
anche per molti anni a condizionare il comportamento. Se non è mai trasformata in azione può
determinare uno stato di insoddisfazione apparentemente inspiegabile. Quindi, ogni intenzione
prodotta da desideri dell’Anima va al più presto convertita in azioni, mentre ogni intenzione prodotta
da illusioni della mente non deve essere più alimentata dai pensieri.
Oggi chi vive solo con la consapevolezza del proprio campo mentale soffre sempre di più; questa
infelicità sta portando molti individui a ribellarsi prima al sistema e poi, se sono abbastanza evoluti,
a se stessi, ovvero al proprio campo mentale. L’aspetto critico è proprio questo: chi è distruttivo ha
una maggiore opportunità di evolvere divenendo costruttivo, ma può anche, se si ferma alla fase in
cui colpevolizza il sistema e gli altri per i propri insuccessi e infelicità, divenire molto più
distruttivo e fare molti più danni al sistema, all’Universo e a se stesso di quanti ne faccia già.

VINCERE LE PAURE
Il campo mentale è in genere estremamente sensibile al denaro, che è lo strumento attraverso il
quale funziona la nostra società. Per l’Anima il denaro è ininfluente; se per il raggiungimento dei
nostri obiettivi è necessario essere ricchi, saremo semplicemente ricchi, con la collaborazione di tutti
gli angeli che vedono in noi un elemento produttore di nuovo ordine, di informazioni costruttive e che
contribuisce alla diffusione dell’entropia costruttiva, all’evoluzione della Matrice Energetica e
dell’Universo. È la nostra società che ha prodotto nel senso comune e negli schemi mentali l’idea che
per avere successo bisogna necessariamente essere ricchi. Tutto ciò è solo il frutto di una colossale
illusione, causa, peraltro, dei fenomeni più distruttivi che una società sia mai stata capace di
produrre.
Per vivere esperienze costruttive non serve il denaro, basta essere vivi e pensare. Per riuscire ad
avere denaro in abbondanza, con la gioia dell’Anima e la collaborazione degli angeli, un essere
umano deve prima di tutto capire in cosa di realmente utile potrebbe utilizzarlo; deve in sostanza
imparare a spenderlo costruttivamente, facendo in modo di non utilizzarlo per coprire le paure della
mente ma di contribuire a permettere un aumento dei fenomeni di entropia costruttiva.
Il denaro è uno dei maggiori elementi di disturbo per la mente, perché le può impedire di capire il
reale valore di una cosa, senza dover aspettare di averla persa. Il denaro e la ricchezza attirano tutti i
soggetti distruttivi come api sul miele, perché è proprio col denaro che la loro mente crede di poter
risolvere tutti i danni e gli effetti negativi che vivono per il fatto di essere nel flusso dell’entropia
distruttiva.
Chi crede di poter trovare più facilmente l’amore, grazie alla ricchezza, perché parte dal pensiero
che senza denaro non potrà mai trovare una donna che lo ami, si ritrova spesso, una volta diventato
ricco, nella più profonda solitudine, perché viene circondato da innumerevoli esseri distruttivi attratti
solo dalla sua ricchezza.
L’essere distruttivo in genere ha sempre problemi economici, di salute o affettivi; la nostra società
ha contribuito a diffondere l’illusione che con il denaro si possa risolvere qualsiasi problema, ma se
non si elimina la causa primaria dei problemi alla fonte da dove realmente nascono (l’essere nel
flusso dell’entropia distruttiva), non esiste nessuna cifra che potrà mai far evolvere e modificare chi
è distruttivo.
Chi ha paura della povertà spesso accumula denaro, senza spenderlo, per avere quel falso senso di
sicurezza che gli dà l’illusione di aver risolto la propria paura, che in tal caso non fa altro che
rinforzarsi. Tale paura è semplicemente l’amplificatore mentale distruttivo di un’informazione
sbagliata. Chi ha paura della povertà non sa spendere in modo costruttivo il denaro, perché lo usa
solo per mascherare la propria paura; addirittura, spesso il denaro è uno strumento attraverso il quale
un soggetto vive esperienze più distruttive che se non l’avesse.
Se si riesce a vincere la paura della povertà, si aumentano le probabilità di entrare nel flusso
dell’entropia costruttiva; a questo punto non solo l’Anima, ma anche gli angeli iniziano a collaborare
per riuscire ad aver successo e diventare ricchi. L’importante è che quello che desideriamo fare sia
in sintonia con la nostra Anima, e in questo caso non bisogna aver paura di non possedere abbastanza
soldi, perché questi arriveranno sicuramente. Tuttavia, prima di vivere una vera esperienza di
successo, all’altezza del valore di evoluzione della propria Anima, si deve essere pronti ad
affrontare gli attacchi di tutti i distruttivi che saranno invidiosi del nostro successo e cercheranno di
togliercelo.
Ricordiamoci comunque che la vera ricchezza è già dentro di noi, anche se non siamo ricchi, per il
solo fatto di vivere, e questo dovrebbe riempirci di gioia. Ci sono miliardi di Anime che darebbero
miliardi di anni della loro esistenza per poter avere il nostro livello di evoluzione, e noi, che
potremmo contribuire direttamente all’evoluzione dell’Universo semplicemente con un atteggiamento
mentale costruttivo, sprechiamo l’esistenza a rincorrere illusioni! Non possiamo permetterci di
essere infelici per quello che non siamo, o per quello che non abbiamo, o per quello che gli altri
vorrebbero che noi avessimo.
Ogni volta che riusciamo a vivere un’esperienza fortemente costruttiva e produciamo
un’informazione pura costruttiva che riesce a raggiungere la Matrice Energetica, tutti gli esseri
viventi del pianeta e tutte le Anime dell’Universo ne traggono un beneficio.
Le paure più radicate e profonde sono quelle che hanno avuto origine e sono state memorizzate
quando ancora il campo mentale non era separato da quello della madre, nel periodo prenatale,
quelle prodotte dalle prime esperienze della separazione subito dopo la nascita e quelle vissute fino
alla prima adolescenza attraverso le interazioni con i genitori (che in genere adottano con i figli le
informazioni contenute nei loro campi mentali, spesso legate a manifestazioni di entropia distruttiva)
e con i campi individuali degli altri esseri umani.
Colui che affronta la vita, secondo le informazioni del campo mentale (la maggioranza delle
persone), non fa altro che giudicare, confrontare, controllare, classificare, calcolare e prevedere
tutto. Come già detto nella parte iniziale, quando le cose vanno male, egli cerca sempre la causa o il
colpevole al di fuori di se stesso; l’effetto più evidente è che si finisce sempre con il desiderare di
poter prevedere le cose, controllando gli eventi e il comportamento di persone e situazioni
all’esterno di sé. La realtà è che si possono studiare libri specifici, avere diverse lauree e fare
innumerevoli corsi, ma se non si superano le proprie paure non si riuscirà mai a fare nulla di
veramente costruttivo.
Quando si è invece nel flusso dell’entropia costruttiva ci si sente estremamente liberi, non si ha più
paura, non si controllano gli altri o gli eventi, non si sente più la necessità di giudicare tutto e tutti, o
di confrontarli con i propri schemi mentali. La propria gioia non dipende più da quello che fanno gli
altri. Ci si libera dalle proprie paure quando si riesce ad apprezzarsi, ad amarsi incondizionatamente
per quello che si è, perdonandosi semplicemente per quello che non si è o non si è potuto essere fino
a quel momento. Si sviluppa anche una nuova consapevolezza, che è quella che permette di avere il
coraggio di seguire le emozioni prodotte dall’Anima e non quelle in sintonia con il campo mentale.
L’elemento che maggiormente differenzia le emozioni dell’Anima da quelle del campo mentale è la
velocità, perché le emozioni prodotte dalla mente sono sempre in ritardo rispetto a quelle prodotte
dall’Anima. Ogni volta che si interagisce con un campo (un essere umano, o una nuova esperienza),
prima si prova l’emozione (una sorta di “pulsazione”) relativa all’interazione di quel campo con
l’Anima, poi subito dopo arriva come un’onda l’emozione conseguente all’interazione con il campo
mentale, basata prevalentemente su stimoli di tipo sensoriale che vengono interpretati e giudicati.
Soltanto nella prima rapida reazione emotiva vi sono le uniche vere informazioni essenziali, che
sviluppano fenomeni di entropia costruttiva, e che sono molto più significative di tutte quelle che si
potrebbero ottenere in una vita intera di giudizi e interpretazioni da parte del campo mentale.
Quando si ha la certezza che si tratta di un’emozione dell’Anima, bisogna semplicemente avere il
coraggio di seguirla, a qualsiasi costo, nonostante le ragioni del campo mentale. Se vi sono
informazioni distruttive legate alla paura, l’Anima non può evolvere e raggiungere i suoi obiettivi,
per cui crea altre situazioni che possano portare l’essere umano a rivivere (stavolta in modo
costruttivo) esperienze contenenti informazioni simili a quelle che avevano prodotto la paura. Se
ancora non ci riesce, inizia una sorta di circolo vizioso che può durare anche tutta una vita, in cui un
essere umano sperimenta ripetutamente lo stesso copione, con situazioni e persone diverse, ma con la
stessa informazione associata alla paura da dover “cancellare”.
La paura della separazione, dell’abbandono e della solitudine comincia già nel neonato, quando
viene allontanato dalla madre subito dopo la nascita. Il campo individuale del neonato è un tutt’uno
con quello della madre; la nascita, con la separazione dal corpo fisico della madre rappresenta già la
prima e la più grande esperienza del dolore fisico, che continua e diventa immenso se il neonato
viene allontanato dalla madre e messo in un’altra stanza. In questo modo si producono delle paure
così grandi che condizioneranno negativamente, e per il resto dell’esistenza, tutti i rapporti che
quell’essere umano avrà con qualsiasi altro essere umano. L’Anima, che ha obiettivi ben precisi, non
potrà far altro che cercare, nel corso della sua esistenza, di fargli rivivere situazioni d’abbandono,
nella speranza che possano essere rivissute costruttivamente, per ridurre l’influenza della paura
originale.
Più è grande la paura da dover rimuovere, più è “forte” l’esperienza che si dovrebbe vivere in
modo costruttivo, con sofferenza sempre più grande in caso di mancata riuscita. Ma non serve
rivivere realmente e fisicamente l’esperienza dolorosa in modo costruttivo per rimuovere una paura;
basta riuscire a vivere l’esperienza costruttivamente e in modo consapevole semplicemente a livello
emozionale, pensando a una rappresentazione simbolica della stessa. Si può allora per la prima volta
riuscire a non provare alcuna emozione di odio, rabbia o rancore, perdonando chiunque si sia in
precedenza ritenuto erroneamente responsabile della propria sofferenza. In questo modo ci si può
liberare efficacemente di ogni paura, anche di quelle che si crede di aver dimenticato, che riguardano
la prima infanzia.
Una volta superato anche il timore del giudizio degli altri, si può realmente entrare nel flusso
dell’entropia costruttiva, non dovendo più fare i conti con il campo mentale degli altri e con il senso
comune e non finendo più col fare sempre e solo quello che gli altri si aspettano da noi.
QUARTA PARTE
VIVERE IL PRESENTE
ILLUMINAZIONE ED “ESSERE”
Ogni momento della nostra vita è un miracolo. È possibile vivere liberi dalla sofferenza, dall’ansia
e dalle malattie, e a questo scopo dobbiamo arrivare a capire il nostro ruolo come creatori di dolore.
È la nostra mente a causare problemi, non altre persone o l’ambiente, con il suo flusso di pensieri
pressoché costante, che attinge dal passato e si preoccupa del futuro. Noi commettiamo il grave
errore di identificarci con la nostra mente, pensando che questa sia la nostra identità, mentre in realtà
siamo esseri ben più grandi. Tutti i principali problemi dell’umanità sono profondamente radicati
nella nostra errata identificazione con la mente.
L’essere, che è Dio, è l’unica vita eterna e onnipresente al di là delle innumerevoli forme di vita
che sono soggette a nascita e morte, presente in profondità all’interno di ogni forma in quanto sua
essenza intima, invisibile e indistruttibile. Ciò significa che è accessibile a noi adesso, in quanto
nostro sé più profondo, nostra vera natura. Non si può comprendere con la mente, possiamo
percepirlo solo quando siamo presenti, pienamente e intensamente, nell’adesso.
L’illuminazione è lo stato naturale di unione con l’essere quando viene percepito. È uno stato di
sintonia con qualcosa d’incommensurabile, significa trovare la propria vera natura al di là del nome
e della forma. L’incapacità di percepire questa sintonia dà origine all’illusione della separazione, da
noi stessi e dal mondo che ci circonda. Allora ognuno di noi percepisce se stesso, consapevolmente o
inconsapevolmente, come un frammento isolato. Nasce così la paura, e il conflitto interiore ed
esteriore diventa la norma.
L’illuminazione è riacquistare la consapevolezza dell’essere e dimorare in quello stato di
“comprensione intuitiva”. Dell’essere è impossibile formarsi un’immagine mentale, perché è la
nostra essenza ultima, che s’intuisce quando si comprende che “io sono” e basta, non “io sono questo
o quello”.
Il più grande ostacolo all’esperienza dell’essere è l’identificazione con la propria mente, che rende
ineluttabile il pensiero. Questo rumore mentale incessante c’impedisce di trovare quel regno di
quiete interiore che è inseparabile dall’essere. Crea inoltre un falso sé generato dalla mente, che
getta su di noi un’ombra di paura e di sofferenza.
Il filosofo Cartesio, pronunciando la sua famosa affermazione “Penso, dunque sono”, in realtà
aveva dato espressione all’errore fondamentale: identificare il pensiero con l’essere e l’identità con
il pensiero. Chi è obbligato a pensare, il che significa quasi tutti, vive in uno stato di apparente
separazione, in un mondo follemente complesso di continui problemi e conflitti, un mondo che riflette
la crescente frammentazione della mente.
L’illuminazione è lo stato di totalità, di essere in pace, in unione con la vita, con il mondo e con il
proprio sé più profondo. Essa è la fine della sofferenza e del conflitto continuo interiore ed esteriore,
oltre che la fine della terribile schiavitù del pensiero incessante.
L’identificazione con la mente crea uno schermo opaco di concetti, etichette, immagini, parole,
giudizi e definizioni che blocca ogni vero rapporto personale. Si intromette tra noi e il nostro essere,
tra noi e il prossimo, tra noi e la natura, tra noi e Dio. È questo schermo di pensiero a creare
l’illusione di separazione, l’illusione che vi siano un io e un “altro” totalmente separato. Allora
dimentichiamo il fatto essenziale che sotto il livello delle apparenze fisiche e delle forme separate,
noi siamo in unione con tutto ciò che esiste.
Il problema non è tanto che noi utilizziamo la mente in modo sbagliato, quanto che non la usiamo
affatto. È la mente a usare noi. Questa è la malattia. Noi riteniamo di essere la nostra mente. Questa è
l’illusione. Lo strumento si è impadronito di noi. Inconsapevolmente ci identifichiamo con la nostra
mente, per cui non sappiamo nemmeno di esserne schiavi, perché scambiamo per noi stessi l’entità
che ci possiede, quella che pensa. Saperlo ci consente di osservare tale entità; nel momento in cui
cominciamo a osservare l’entità pensante si attiva un più elevato livello di consapevolezza.
La mente è come una voce dentro di noi che commenta, opera congetture, giudica, confronta, si
lamenta, esprime preferenze e avversioni, vivendo e giudicando il presente con gli occhi del passato
o preparando e immaginando possibili situazioni future. Questa voce è il nostro peggior nemico, che
ci attacca continuamente e ci punisce sottraendo energia vitale. È la causa di innumerevoli sofferenze
e infelicità, nonché di malattie.
La mente è solo uno strumento, e l’80-90% dei nostri pensieri sono non soltanto ripetitivi e inutili,
ma in gran parte dannosi per la loro natura disfunzionale e negativa. Questo pensiero ineluttabile è
una dipendenza, come una droga di cui non possiamo più fare a meno. Siamo pensiero-dipendenti
perché ci identifichiamo con il pensiero, cioè traiamo il nostro senso del sé dal contenuto e
dall’attività della nostra mente, perché riteniamo che, se smettessimo di pensare, cesseremmo di
esistere.
Questo falso sé fantasma può essere chiamato ego, e può essere mantenuto in vita soltanto con un
pensiero continuo. Per l’ego il momento presente quasi non esiste, soltanto il passato e il futuro sono
considerati importanti. Anche quando l’ego sembra preoccuparsi del presente, lo percepisce in modo
completamente sbagliato, perché lo osserva con gli occhi del passato. Infatti, senza di esso, chi siamo
noi? Inoltre si proietta costantemente nel futuro, per garantirsi la propria sopravvivenza e per cercare
qualche genere di liberazione, affermando: “Un giorno, quando avverrà questo o quello, starò bene e
sarò felice”. Il presente è sempre ridotto a un mezzo rivolto a un fine che si trova nel futuro proiettato
dalla mente.

PENSIERO, CONSAPEVOLEZZA ED EMOZIONI


Pensiero e consapevolezza non sono sinonimi. Il pensiero è soltanto un piccolo aspetto della
consapevolezza, non può esistere senza di essa, mentre la consapevolezza non ha bisogno del
pensiero.
L’assenza di mente è consapevolezza senza pensiero. Solo in tal modo è possibile pensare
creativamente, mentre quando il pensiero non è più in sintonia con il regno molto più vasto della
consapevolezza, diventa rapidamente arido, folle e distruttivo.
La mente è essenzialmente una macchina per la sopravvivenza, che raccoglie, analizza e conserva
le informazioni, ma non è affatto creativa. Tutti i veri artisti creano a partire da un luogo senza mente,
dalla quiete interiore.
Il semplice motivo per cui la maggior parte degli scienziati non sono creativi è che non sanno
smettere di pensare!
Il miracolo della vita sulla terra non è nato nè si perpetua attraverso la mente e il pensiero; vi è
all’opera un’intelligenza molto più grande della mente. Come può una singola cellula umana che
misura qualche centesimo di millimetro contenere nel suo DNA istruzioni che riempirebbero mille
volumi di seicento pagine ciascuno?
La mente non è solo pensiero, include le emozioni, che nascono dal punto di incontro fra corpo e
mente. Le emozioni sono i riflessi della mente sul corpo. Per esempio, un pensiero ostile crea nel
nostro corpo un accumulo di energia che chiamiamo collera. Oppure, il pensiero di essere minacciati,
fisicamente o psicologicamente, induce il corpo a contrarsi, e questo è il lato fisico della paura.
Emozioni forti provocano addirittura cambiamenti nella biochimica dell’organismo, che
rappresentano l’aspetto materiale dell’emozione.
Più ci identifichiamo con il nostro pensiero, con le nostre preferenze e avversioni, con i nostri
giudizi e interpretazioni, cioè meno siamo presenti come consapevolezza osservante, più forte sarà la
carica emotiva. Al contrario, se non riusciamo a provare emozioni, prima o poi ne avremo esperienza
a un livello puramente fisico, sotto forma di un disturbo o di un sintomo. Inoltre chi si porta dentro
molta collera senza esserne consapevole e senza esprimerla ha maggiori probabilità di essere
attaccato, verbalmente ma anche fisicamente, da altre persone incollerite, spesso senza un motivo
apparente. Infatti chi si trova in tale situazione presenta una forte emanazione di collera che certe
persone avvertono in maniera subliminale e che innesca la loro collera latente. Ogni emozione deve
essere osservata e sentita nel corpo; se vi è un apparente conflitto, il pensiero sarà la menzogna,
l’emozione sarà la verità relativa del nostro stato d’animo in quel momento.
Possiamo non essere in grado di portare l’attività mentale inconsapevole allo stato di
consapevolezza sotto forma di pensieri, ma essa sarà sempre riflessa nel corpo sotto forma di
emozioni. Osservare un’emozione nella sua componente fisica consente all’emozione di esistere
senza per questo sottostare al suo controllo. Noi non siamo più l’emozione, ma siamo l’entità che la
guarda, la presenza che osserva. In questo esercizio non dobbiamo analizzare, ma soltanto osservare,
concentrare la nostra attenzione verso l’interno, percepire l’energia dell’emozione.
Un’emozione di solito rappresenta uno schema di pensiero amplificato e carico di energia, per cui è
difficile restare presenti abbastanza da poterla osservare. Vuole avere il sopravvento su di noi e di
solito ci riesce, diventando “noi”. In tal modo si crea un circolo vizioso tra il pensiero e l’emozione:
si alimentano reciprocamente. Soffermandosi mentalmente sulla situazione, sull’evento o sulla
persona percepiti come causa dell’emozione, il pensiero fornisce energia all’emozione, che a sua
volta dà energia allo schema di pensiero.
Sostanzialmente tutte le emozioni sono variazioni di un’unica emozione primordiale indifferenziata
che ha origine nella perdita di consapevolezza di ciò che siamo al di là del nome e della forma: la
paura del dolore. Infatti, uno dei compiti principali della mente è combattere o eliminare il dolore
emotivo legato a quelle che ci appaiono come esperienze negative, ma tutto ciò che può ottenere è
tenerlo nascosto temporaneamente. In effetti, più la mente si sforza di sbarazzarsi del dolore, più
grande è il dolore stesso. La mente non può mai trovare la soluzione, perché è essa stessa una parte
intrinseca del problema. Immaginiamo un capo della polizia che cerchi di scoprire un assassino,
quando l’assassino è lo stesso capo della polizia.
Noi non saremo liberi dal dolore finché non smetteremo di trarre il nostro senso del sé
dall’identificazione con la mente.
Vi sono anche emozioni positive, come l’amore e la gioia, che sono inseparabili dal nostro stato
naturale di sintonia interiore con l’essere, e che si creano quando si verificano intervalli nel flusso
dei pensieri, per esempio, durante la vista di uno spettacolo di grande bellezza. In effetti, l’amore e la
gioia si trovano al di là delle emozioni, a un livello molto più profondo, perché sono stati profondi
dell’essere. In quanto tali non hanno contrari, perché nascono al di là della mente, mentre le emozioni
sono soggette alla legge dei contrari, facendo parte della mente dualistica, che afferma che non
possiamo avere il bene senza il male. Quindi nella condizione non illuminata d’identificazione con la
mente, ciò che è chiamato “gioia” è l’aspetto piacevole, di breve durata, del ciclo continuo e
alternato di dolore e piacere. La stessa cosa che ci dà piacere oggi ci darà dolore domani, oppure ci
abbandonerà, e la sua assenza ci procurerà dolore. E ciò che spesso è chiamato “amore” può essere
piacevole ed entusiasmante per un po’, ma è un attaccamento che causa dipendenza. Molti rapporti
amorosi, una volta passata l’euforia iniziale, in realtà oscillano tra amore e odio, attrazione e attacco.
Il vero amore non fa soffrire, non si può trasformare in odio, come la vera gioia non si trasforma in
dolore. Essi non hanno contrario.

L’OSSERVAZIONE DELL’ENTITÀ PENSANTE E L’ADESSO


Per liberarci dalla mente, dobbiamo ascoltare in modo imparziale la voce nella nostra testa quanto
più spesso possibile, osservando l’entità pensante, essendo lì come presenza testimone, senza dare
giudizi.
Non dobbiamo giudicare o condannare ciò che sentiamo. Così, quando ascoltiamo un pensiero,
cerchiamo di essere consapevoli non solo del pensiero, ma anche di noi stessi come testimoni del
pensiero. Subentra una nuova dimensione di consapevolezza, una presenza consapevole (il nostro sé
più profondo) dietro e sotto il pensiero. Il pensiero allora perde il suo potere su di noi e rapidamente
si placa, perché noi non forniamo più energia alla mente attraverso la nostra identificazione con essa.
Quando un pensiero si placa, si ha esperienza di una discontinuità nel flusso mentale, un intervallo
“senza mente” accompagnato da una pace interiore e da una sottile emanazione di gioia che viene dal
profondo: la gioia dell’essere. Dapprima gli intervalli saranno brevi, forse alcuni secondi, ma a poco
a poco si faranno sempre più lunghi. Ogni volta che creiamo un intervallo nel flusso mentale, la
nostra consapevolezza si intensifica, perché ci disidentifichiamo, cioè ci stacchiamo dalla nostra
mente.
Osho affermava che la vita potrebbe essere paragonata a una pellicola cinematografica, con i vari
fotogrammi che, messi insieme, determinano, attraverso il loro scorrere, il film della nostra esistenza.
Ma la parte più importante della pellicola non sono, come vorrebbe il campo mentale portato
all’analisi, i vari fotogrammi, ma lo spazio bianco tra essi, che è appunto dato dagli intervalli
all’interno del flusso mentale, nei quali si raggiunge la vera consapevolezza, l’essere nell’adesso. In
questo stato di sintonia interiore non vi è perdita di coscienza, anzi si è molto più vigili rispetto allo
stato di identificazione con la mente. Si è totalmente presenti, e avviene un innalzamento della
frequenza delle vibrazioni del campo energetico che crea il corpo fisico. In questo regno senza mente
si giunge allo stato di consapevolezza pura, in cui si avverte la propria presenza con una tale intensità
e una tale gioia che l’intero mondo esterno diventa al suo confronto una realtà insignificante.
Si può anche, invece di “osservare l’entità pensante”, creare un intervallo nel flusso mentale
semplicemente rivolgendo il centro dell’attenzione all’adesso, diventando intensamente consapevole
del momento presente. In questo modo si crea un intervallo senza mente in cui si è altamente vigili e
consapevoli, ma non si sta pensando: questa è l’essenza della meditazione.
Nella vita quotidiana possiamo fare pratica di questo metodo dedicando la nostra massima
attenzione in ogni attività di routine della vita quotidiana, a esempio quando saliamo o scendiamo le
scale, prestando attenzione a ogni passo, perfino alla respirazione, oppure quando ci laviamo le
mani, prestando attenzione al suono e alle sensazioni tattili dell’acqua, al movimento delle mani, al
profumo del sapone, in modo da essere totalmente presenti. In questo modo si potrà misurare il
proprio successo in questa pratica avvertendo interiormente un grande senso di pace.

IL DOLORE
Noi nasciamo nell’amore e viviamo nella paura, collegata al dolore da millenni, da quando siamo
entrati nel regno del tempo e della mente e abbiamo perduto consapevolezza dell’essere; a quel punto
abbiamo cominciato a percepire noi stessi come frammenti insignificanti in un Universo estraneo,
disgiunti dalla Fonte e separati l’uno dall’altro.
Non riusciamo a vivere più l’istante, come fanno i bambini, che alla nascita e nei primi anni di vita
sono onnipotenti, per cui anche se cadono rovinosamente non si fanno del male.
Il dolore emotivo è inevitabile fintanto che ci s’identifica con la mente, ed è anche la causa
principale del dolore fisico e della malattia fisica. Risentimento, odio, senso di colpa, collera,
depressione, gelosia, invidia sono tutte forme di dolore. E ogni piacere contiene in sé il seme del
dolore, il suo contrario inseparabile, che si manifesterà col tempo. Chiunque abbia assunto droghe
per andare “su di giri” saprà che l’euforia alla fine si trasforma in depressione, che il piacere si
trasforma in qualche forma di dolore.
Molto spesso anche un rapporto sentimentale può trasformarsi da fonte di piacere in sorgente di
dolore. Viste da una prospettiva più elevata, entrambe le polarità, negativa e positiva, sono facce
della stessa medaglia, entrambe fanno parte del dolore fondamentale, che è inseparabile dallo stato
di coscienza incentrato sull’io e identificato con la mente.
La maggior parte del dolore umano è superflua; si crea da sé fintanto che a gestire la nostra vita è la
mente non osservata. Il dolore è sempre qualche forma di non accettazione, qualche forma di
resistenza inconsapevole a ciò che esiste. A livello del pensiero, la resistenza è una qualche forma di
giudizio; a livello emotivo è una forma di negatività. L’intensità del dolore dipende dal grado di
resistenza al momento presente, e questo a sua volta dipende dalla forza con cui ci identifichiamo con
la nostra mente.
La mente cerca sempre di negare l’adesso e di sfuggirlo. Più ci identifichiamo con la mente, più
soffriamo. La mente non può funzionare senza il tempo, che significa passato e futuro ed è
inseparabile da essa, per cui percepisce l’adesso senza tempo come qualcosa di minaccioso. In
effetti se un albero potesse parlare, alla domanda “Che ora è?” risponderebbe: “È adesso. Che altro
esiste?”
La mente, per impadronirsi della nostra vita, cerca in continuazione di nascondere il momento
presente sotto il passato e il futuro. Se non vogliamo più creare dolore per noi stessi e per gli altri,
allora non dobbiamo creare altro tempo, o almeno non più di quanto sia necessario per affrontare gli
aspetti pratici della vita.
Bisogna capire in profondità che il momento presente è tutto ciò che abbiamo, rendere l’adesso il
fulcro principale della nostra vita. Cosa può essere più folle che creare resistenza interiore a
qualcosa che già esiste, opponendosi alla vita stessa?
Abbandoniamoci a ciò che esiste. Diciamo di sì alla vita, e vedremo come la vita all’improvviso
comincerà a lavorare per noi, anziché contro di noi. Consentiamo al momento presente di esistere,
anche se è inaccettabile o terribile. Bisogna accettare, e poi agire. Qualunque cosa comporti il
momento presente, dobbiamo accettarlo come se l’avessimo scelto noi. Così si trasformerà
miracolosamente l’intera nostra vita. In caso contrario, ogni dolore emotivo, di cui abbiamo
esperienza, si lascerà dietro un residuo di dolore che si mescolerà ai dolori provenienti dal passato,
e questi si annideranno nella nostra mente e nel nostro corpo, come un campo di energia negativa.
Questo è il corpo di dolore emotivo, che può essere innescato da qualunque cosa, in particolare se
entra in risonanza con un dolore proveniente dal passato; può, infatti, essere attivato da uno stato
latente perfino da un pensiero o da un giudizio di un’altra persona.
Una paziente trentacinquenne un giorno arriva in studio in evidente stato di preoccupazione, e mi
mostra delle analisi cliniche del sangue, dalle quali si evince una positività HCV (aumento degli
anticorpi per il virus dell’epatite C) e un innalzamento di 3 volte sulla norma delle transaminasi
(enzimi che indicano uno stato patologico di sofferenza degli epatociti, cioè delle cellule del fegato)
in assenza di altri valori alterati. È seriamente preoccupata perché il medico curante le ha parlato di
epatite cronica, e le ha descritto con dovizia di particolari l’eventuale evoluzione patologica di tale
infiammazione, che può portare alla cirrosi e al tumore epatico.
Cerco, pertanto, di capire il motivo per cui il medico ha innescato con le sue parole, senza volerlo,
il corpo di dolore emotivo della donna, e vengo a sapere che il padre era morto di cirrosi epatica
dopo enormi sofferenze, durante l’età adolescenziale della paziente. Scopro che il corpo di dolore
emotivo è stato innescato dalla risonanza negativa con le parole del medico, che le avevano
risvegliato un dolore proveniente dal passato e una serie di conflitti non elaborati con la figura
paterna, scomparsa precocemente.
Una terapia omeopatica di drenaggio, cioè di disintossicazione, associata a farmaci
omeosinergetici che agiscono sulle cause emozionali del problema (che in questo caso clinico sono
rappresentate dall’angoscia di morte associata a un senso di svalorizzazione del proprio vissuto
passato) hanno fatto abbassare in circa due mesi le transaminasi a valori normali.
Il corpo di dolore può sopravvivere soltanto se ci induce a identificarci inconsapevolmente con
esso, diventando noi e alimentandosi tramite noi. Si nutrirà di ogni esperienza che entri in risonanza
con il suo stesso tipo di energia, ogni cosa che crei ulteriore dolore sotto qualunque forma: collera,
capacità distruttiva, odio, afflizione, desiderio di offendere, dramma emotivo, violenza, malattia. Il
dolore può alimentarsi soltanto di dolore. Il simile attira il simile. Una volta che il corpo di dolore si
è impadronito di noi, necessitiamo di altro dolore, diventiamo vittime o persecutori, abbiamo
bisogno di infliggere dolore o di soffrire dolore.
Nel caso citato, dopo la diagnosi del medico, la donna aveva addirittura modificato il
comportamento con il partner, richiedendogli inconsciamente maggiori attenzioni che, poiché non
erano state soddisfatte secondo le intenzioni del proprio campo mentale, avevano determinato una
crisi affettiva nel rapporto tra i due.
Noi non siamo consapevoli, naturalmente, di infliggere dolore, e affermeremo che non vogliamo
dolore. Ma se osserviamo più da vicino, scopriamo che il nostro modo di pensare e il nostro
comportamento sono costruiti in maniera da perpetuare il dolore, per noi stessi e per gli altri. Se ne
fossimo veramente consapevoli, questo schema si dissolverebbe, poiché volere altro dolore è follia,
e nessuno è folle consapevolmente.
Il corpo di dolore, che è l’ombra proiettata dall’ego, in realtà ha paura della luce della
consapevolezza, ha paura di essere scoperto. La sua sopravvivenza dipende dalla nostra
identificazione inconsapevole con esso. Ma se non lo affrontiamo, se non portiamo nel dolore la luce
della nostra consapevolezza, saremo costretti a riviverlo ripetutamente.
Il corpo di dolore non vuole che lo osserviamo direttamente e vi rivolgiamo la nostra attenzione. In
questo caso si interrompe l’identificazione e si introduce una dimensione di consapevolezza più
elevata, che è la presenza. Adesso noi siamo testimoni e osservatori del corpo di dolore, e abbiamo
raggiunto “il potere di adesso”. Non dobbiamo combattere il corpo di dolore, così come non
dobbiamo combattere la malattia. Se lo facciamo, creiamo un conflitto interiore, e pertanto ulteriore
dolore. Osservarlo è sufficiente, e implica accettarlo come parte di ciò che esiste in quel momento.
Il corpo di dolore si compone di energia vitale intrappolata che si è staccata dal nostro campo
energetico ed è diventata autonoma attraverso il processo innaturale di identificazione con la mente;
ha tradito sé stessa ed è diventata anti-vita. Allora noi dobbiamo essere presenti, rimanere
consapevoli del nostro spazio interiore, in modo da poter osservare direttamente il corpo di dolore e
percepirne l’energia; solo così non potrà controllare il nostro pensiero e non sarà alimentato dai
nostri pensieri. Per esempio, se la collera è la vibrazione energetica dominante del corpo di dolore e
noi formuliamo pensieri di collera, soffermandoci su ciò che qualcuno ci ha fatto o su ciò che faremo
noi a questa persona, allora siamo diventati inconsapevoli, e il corpo di dolore è diventato “noi”.
Essere inconsapevoli significa identificarsi con qualche schema mentale o emotivo, e implica una
totale assenza dell’osservatore. Un’attenzione consapevole continua spezza il legame fra il corpo di
dolore e il nostro pensiero, e avvia il processo di trasformazione. Questo è il significato esoterico
dell’antica arte dell’alchimia: la trasformazione del vile metallo in oro, della sofferenza nella
consapevolezza.

In sintesi: dobbiamo concentrare l’attenzione sul corpo di dolore, e quindi sulla malattia, accettare
la sua esistenza, senza pensarci, cioè senza lasciare che la sensazione diventi pensiero, senza
giudicare o analizzare, rimanendo presenti. Dobbiamo essere gli osservatori vigili e attenti di ciò che
accade dentro di noi, non soltanto del dolore emotivo ma anche dell’”osservatore muto”, di quello
che osserva. Questo è il potere di adesso, la potenza della nostra presenza consapevole, che permette
una rapida trasformazione di tutto il dolore passato.
Conosco una persona, giunta al mio studio come paziente, e ora diventata un carissimo amico, che
da circa 4 anni ha un carcinoma tiroideo con infiltrazione nei linfonodi del collo, giudicato
gravissimo da illustri endocrinologi, che avevano deciso di asportare la tiroide, le paratiroidi e i
linfonodi latero-cervicali, con il rischio di ledere le corde vocali. Secondo questi specialisti, la
prognosi, in caso di mancato intervento, era infausta, con sopravvivenza inferiore ad 1 anno (“Lei ha
una bomba atomica nel collo pronta a esplodere in qualsiasi momento!”). Questo essere umano,
dotato di un’Anima altamente evoluta, ha deciso di non operarsi, e di vivere con la consapevolezza
del presente, rispettando e accettando la propria malattia, e compiendo una meravigliosa e
incredibile serie di tappe verso un’evoluzione altamente costruttiva della propria Anima. Infatti è
diventato un terapeuta olistico, che utilizza in terapia proprio quell’organo della fonazione
(attraverso la produzione di suoni armonici) che correva il rischio di perdere con l’intervento
chirurgico.
Molte persone, invece, incontrano un’intensa resistenza interiore alla disidentificazione dal dolore,
specie se hanno vissuto per gran parte della vita in stretta identificazione con il corpo di dolore
emotivo, e in quest’ultimo è investita la maggior parte del senso del sé.
Ciò significa che hanno costruito un sé infelice con il proprio corpo di dolore e ritengono che
questa finzione creata dalla mente sia la loro identità; in tal caso la paura inconsapevole di perdere la
propria identità creerà una forte resistenza, e preferiscono rimanere nel dolore (cioè essere il corpo
di dolore), piuttosto che compiere un balzo nell’ignoto.
Se questo è il nostro caso, occorre osservare la resistenza dentro di noi, l’attaccamento al nostro
dolore, lo strano piacere che traiamo dall’essere infelici, rimanendo presenti come testimoni e dando
inizio alla trasformazione. Solo noi possiamo farlo, nessuno può farlo per noi.
È possibile, però, trovare qualcuno che sia intensamente consapevole, e unirci al suo stato di
presenza, in modo che la nostra luce si rafforzi rapidamente, come un ceppo che ha appena iniziato a
bruciare quando viene accostato a uno che arde intensamente.

LA PAURA
La condizione psicologica della paura è sempre separata da ogni pericolo immediato, e si riferisce
(nelle sue varie forme che vanno dal disagio all’angoscia) a qualcosa che potrebbe accadere, non a
qualcosa che sta accadendo ora. Noi siamo nel momento presente, mentre la nostra mente è nel futuro;
questo crea un divario di ansia, che ci accompagnerà costantemente se ci identifichiamo con la nostra
mente e abbiamo perduto il contatto con la potenza e la semplicità dell’adesso. In effetti, possiamo
sempre far fronte al momento presente, ma non possiamo far fronte al futuro, che è solo una
proiezione della mente.
Dobbiamo ricordare che l’emozione è la reazione del corpo alla mente. Quale messaggio il corpo
riceve continuamente dall’ego creato dalla mente? “Pericolo, sono minacciato!”, con la conseguente
emozione di paura.
La paura sembra avere molte cause, ma in definitiva ogni paura è quella della morte e
dell’annullamento. Per l’ego la paura della morte influenza ogni aspetto della vita, e anche il bisogno
ineluttabile di avere ragione in un litigio e dimostrare che l’altra persona ha torto (difendendo la
posizione mentale con cui ci si è identificati) è dovuto alla paura della morte. Infatti, se ci
identifichiamo con una posizione mentale, e contemporaneamente abbiamo torto, il nostro senso del
sé basato sulla mente viene seriamente minacciato di annullamento; per questo il nostro ego non può
permettersi di avere torto, perché avere torto significa morire. Su questo si sono combattute guerre e
conflitti per anni.
Quando eliminiamo la nostra identificazione con la mente, il fatto di avere ragione o torto non fa
alcuna differenza per il nostro senso del sé, che in tal modo proverrà da un luogo più profondo e più
vero dentro di noi, e non dalla mente. Possiamo affermare chiaramente e con fermezza ciò che
pensiamo e ciò di cui siamo convinti, ma non vi sarà in questo alcun atteggiamento aggressivo o
difensivo. Infatti, il potere sugli altri, per mezzo del quale difendiamo un’identità illusoria, è
debolezza mascherata da forza. Così chiunque si identifichi con la propria mente, e pertanto sia
separato dal proprio vero potere dell’essere, sarà costantemente accompagnato dalla paura. In
pratica tutti coloro che incontriamo o conosciamo vivono in uno stato di paura, a varia intensità, da
un vago senso di disagio fino all’angoscia.
La mente vive in uno stato di paura e di necessità, e per mantenere il senso illusorio del sé deve
sempre identificarsi con cose esterne, vale a dire i beni materiali, il denaro, il lavoro che si svolge,
la condizione sociale, l’aspetto fisico, i rapporti affettivi, le storie personali e familiari, le
identificazioni politiche. Spesso tutti questi sono solo problemi.
Questa ricerca di gratificazione dell’ego e di cose con cui identificarsi viene fatta per colmare quel
dolore emotivo collegato con un senso di mancanza o di vuoto interiore; ma anche quando si
raggiungono tutte queste cose, e il desiderio viene temporaneamente appagato, si scopre che il vuoto
è ancora lì, che è senza fondo.
Ognuno conoscerà la verità per conto suo, al più tardi quando sentirà avvicinarsi la morte. Il
segreto della vita è però “morire prima di morire”, e scoprire che non vi è morte.

IL TEMPO COME ILLUSIONE


Poiché tempo e mente sono inseparabili, occorre porre termine all’illusione del tempo. Identificarsi
con la mente significa essere intrappolati nel tempo, perché si vive quasi esclusivamente attraverso il
ricordo e l’attesa. Ciò crea una preoccupazione infinita nei riguardi del passato e del futuro, con
l’impossibilità di lasciare esistere il momento presente. Tale ineluttabilità nasce perché il passato ci
fornisce un’identità, e il futuro racchiude la promessa di appagamento sotto qualsiasi forma. Entrambi
sono illusioni.
Secondo i cinesi il tempo non è rappresentato in modo lineare da una freccia che va da sinistra a
destra, con il passato a sinistra, il presente al centro e il futuro a destra, ma è assimilabile a una
circonferenza, dove passato, presente e futuro si equivalgono, sono lo stesso principio, perché si
trovano in modo paritetico sulla circonferenza, per cui il tempo è solo un’illusione creata dal campo
mentale.
La cosa più preziosa che esiste, che è anche l’unica cosa, è l’adesso, che è tutto ciò che esiste. La
vita è adesso; non vi è mai stato un tempo in cui la nostra vita non fosse adesso, né vi sarà mai.
L’adesso è l’unico punto di accesso al regno senza tempo e senza forma dell’essere.
Niente è mai avvenuto nel passato; è avvenuto nell’adesso. Ciò che consideriamo come il passato è
una traccia di memoria, conservata nella mente, di un adesso precedente. Il futuro è un adesso
immaginato, una proiezione della mente, e quando arriva, avviene sotto forma di adesso. Quando noi
pensiamo al futuro, pensiamo adesso. In situazioni di emergenza che pongono in pericolo di vita, la
personalità che ha un passato e un futuro viene sostituita da un’intensa presenza cosciente, che la
costringe nell’adesso, in quello stato intensamente vivo che è libero dal tempo, dal pensiero. Questo
è il motivo per cui alcune persone amano affrontare attività pericolose, come l’alpinismo o le corse
automobilistiche, nelle quali scivolare via dal momento presente anche solo per un secondo può
significare la morte.
Secondo la filosofia Zen, la sofferenza necessita del tempo, non può sopravvivere nell’adesso.
Nell’adesso, in assenza del tempo, tutti i nostri problemi si dissolvono.
La mente trova posto nel regno pratico della vita quotidiana, ma quando si impadronisce di tutti gli
aspetti della nostra vita diventa un parassita mostruoso che, incontrollato, può finire con l’uccidere
come un tumore tutta la vita sul pianeta e infine se stesso, uccidendo la persona che lo ospita.
IL POTERE DI ADESSO
Per accedere al potere di adesso, che è la potenza della nostra presenza liberata dalle forme di
pensiero, occorre un mutamento permanente della consapevolezza. Dobbiamo essere presenti come
osservatori della mente, dei pensieri e delle emozioni, nonché delle nostre reazioni; notare quanto
spesso la nostra attenzione è rivolta al passato o al futuro. Non dobbiamo giudicare né analizzare ciò
che osserviamo.
Attraverso l’osservazione di sé, automaticamente entra nella nostra vita una maggiore presenza, la
presenza testimone, che non è della mente. L’identificazione con la mente le dà maggiore energia e
crea altro tempo; l’osservazione della mente le sottrae energia e dischiude la dimensione
dell’assenza di tempo. L’energia sottratta alla mente si trasforma in presenza. Ciò non danneggia la
nostra capacità di usare il tempo (passato e futuro) quando dobbiamo farvi riferimento per scopi
pratici, né danneggia la nostra capacità di usare la mente.
In effetti, bisogna imparare a usare il tempo negli aspetti pratici della vita (“tempo orario”), e
ritornare immediatamente alla consapevolezza del momento presente quando si sono risolte tali
questione pratiche. In tal modo non vi sarà accumulo di “tempo psicologico”, che è l’identificazione
con il passato e la proiezione continua e ineluttabile verso il futuro. Tempo orario vuol dire imparare
dal passato in modo da non ripetere più gli stessi errori, e fissare obiettivi prevedendo il futuro per
mezzo di schemi e leggi apprese in passato. Anche nella vita pratica, comunque, il momento presente
rimane il fattore essenziale, perché ogni lezione del passato viene applicata adesso, e ogni azione per
raggiungere un particolare obiettivo viene intrapresa adesso.
Se abbiamo commesso un errore in passato e impariamo da tale errore, utilizziamo il tempo orario.
Però se ci soffermiamo su tutto questo mentalmente, nascono autocritica, rimorso e senso di colpa e
rendiamo l’errore parte del nostro senso del sé. Questo è il tempo psicologico, che è sempre legato a
un falso senso d’identità. L’assenza di perdono implica necessariamente un pesante fardello di tempo
psicologico. Se ci poniamo un obiettivo e lavoriamo per raggiungerlo, utilizziamo il tempo orario; se
però ci concentriamo eccessivamente sull’obiettivo, cercando in esso felicità o appagamento,
l’adesso non viene più onorato, e il tempo orario si trasforma in tempo psicologico. Così il viaggio
della nostra vita non è più un’avventura, ma solo un bisogno ossessivo di arrivare, di raggiungere il
traguardo; in tal modo non possiamo più essere consapevoli della bellezza e del miracolo della vita
che si manifesta intorno a noi quando siamo presenti nell’adesso.
Il tempo psicologico è una malattia mentale grave e pericolosa, se si osservano le sue
manifestazioni collettive; ad esempio, compare sotto forma di ideologie, quali comunismo, nazismo,
fascismo, oppure come religioni che operano sulla base dell’ipotesi che il bene supremo risieda nel
futuro, e che pertanto il fine giustifichi i mezzi. Il fine è un punto nel futuro proiettato dalla mente,
quando si raggiungerà la salvezza sotto qualunque forma (felicità, uguaglianza, liberazione), e questo
è un esempio agghiacciante di come il credere in un paradiso futuro crei un inferno presente.
La maggior parte del nostro agire è solo un mezzo rivolto a un fine, limitato a piaceri di breve
durata, come sesso, cibo, bevande, droghe, beni materiali, denaro, che creano un’ossessione per il
futuro come fuga dal presente insoddisfacente. In questo modo il futuro diventa solo una replica del
passato, che si perpetua attraverso la mancanza di presenza. Se la nostra mente porta un pesante
fardello del passato, avremo di nuovo esperienza delle stesse cose. Anche se vincessimo la lotteria,
continueremmo a recitare gli stessi schemi condizionati in un ambiente più lussuoso.
Ogni negatività è causata da un accumulo di tempo psicologico e dalla negazione del presente.
L’ansia, le preoccupazioni (tutte sotto forma di paura), sono causate da un eccesso di futuro e da
un’insufficienza di presente.
In effetti, è difficile riconoscere che il tempo sia la causa della nostra sofferenza o dei nostri
problemi, mentre crediamo che siano causate da situazioni specifiche della nostra vita. Ma se i nostri
problemi o le presunte cause di sofferenza e di infelicità ci fossero miracolosamente tolti oggi, senza
essere diventati più presenti e consapevoli, ben presto ci ritroveremmo con un’analoga serie di
problemi, come un’ombra costante. In definitiva vi è un solo problema: la mente legata al tempo, che
ci impedisce di essere liberi adesso, che ci fa opporre resistenza a quello che è avvenuto in passato,
e oppone resistenza a quello che esiste.
La nostra situazione di vita può essere piena di problemi, che possono annullarsi se cerchiamo di
utilizzare pienamente i nostri sensi, se guardiamo senza interpretare, se osserviamo la luce, le forme,
i colori, se prendiamo consapevolezza della presenza silenziosa dello spazio che consente a ogni
cosa di esistere, se ascoltiamo il silenzio dietro i suoni, senza giudicarli, se osserviamo il ritmo della
nostra respirazione, percependo l’energia vitale dentro il nostro corpo. In questo modo consentiamo a
ogni cosa di esistere, dentro di noi e al di fuori, entriamo in profondità nell’adesso. Così ci
renderemo conto che non esistono problemi, ma solo situazioni da affrontare adesso o da lasciare
stare o da accettare nel momento presente, finché non cambieranno e potranno essere affrontate.
La mente inconsapevolmente ama i problemi, perché ci danno una sorta di identità. Quando creiamo
un problema, creiamo dolore per noi stessi e per gli altri. Quando ci troviamo in una situazione di
pericolo di vita o di morte, ci rendiamo conto che quello non è un problema, perché la mente non ha
il tempo di farne un problema; infatti, in una vera emergenza la mente e il tempo si fermano e noi
diventiamo totalmente presenti nell’adesso.
Dire che i problemi che ci creiamo sono solo illusioni sembra un’eresia, perché tale affermazione
minaccia di portare via il nostro senso di identità, dopo aver investito molto tempo nel nostro falso
senso del sé. Chi saremmo noi senza i problemi e la sofferenza? Gran parte di ciò che le persone
dicono, pensano o fanno, è in realtà motivata dalla paura, che è sempre legata al fatto di concentrarsi
sul futuro e di non essere in contatto con l’adesso.
La modalità di consapevolezza legata al tempo è profondamente radicata nella psiche umana, con
schemi mentali che hanno creato sofferenza su vasta scala. È arrivato il momento di attuare una
profonda trasformazione nella consapevolezza collettiva del pianeta e negli schemi mentali che
dominano la vita umana da millenni; il risveglio della consapevolezza dal sogno di materia, forma e
separazione.
Accettiamo completamente ciò che esiste, senza opporvi resistenza, onorando il momento presente.
Non preoccupiamoci dei frutti della nostra azione, ma prestiamo attenzione all’azione stessa, e così i
frutti verranno da soli. Non dipendiamo più dal futuro per trovare la felicità e non traiamo il nostro
senso del sé dal passato personale; non abbiamo più cose da ottenere nel mondo della forma, del
guadagno e della perdita, spinti dalla paura, dalla collera o dal bisogno di diventare qualcuno.

STRATEGIE MENTALI PER EVITARE L’ADESSO


Siamo liberi dal tempo quando ogni cellula del corpo è presente al punto di sentirsi vibrante di
vita, e quando possiamo percepire questa vita in ogni momento come gioia dell’essere. Vivere liberi
dal tempo significa essersi liberati dal bisogno psicologico del passato (per ricavarne la propria
identità) e del futuro (per ricavarne il proprio appagamento). Questa trasformazione profonda di
consapevolezza senza tempo comincia diventando consapevoli di quanto raramente la nostra
attenzione sia davvero nell’adesso. Ma già sapere di non essere presenti è un grande successo, anche
se dura pochi secondi; successivamente, con frequenza crescente, possiamo scegliere di concentrare
la nostra consapevolezza sul momento presente anziché sul passato o sul futuro, abbandonando lo
stato di identificazione con la mente e l’inconsapevolezza, e raggiungendo lo stato di presenza
consapevole.
Il problema è che quasi tutti gli esseri umani non riconoscono il loro campo d’azione tra
consapevolezza e inconsapevolezza, ma soltanto tra livelli diversi di inconsapevolezza. Essi
oscillano tra l’inconsapevolezza ordinaria e quella profonda. Nell’inconsapevolezza ordinaria ci si
identifica con i propri processi di pensiero e le proprie emozioni, reazioni, desideri e avversioni. In
questo stato siamo inconsapevoli dell’essere, e viviamo in una tensione quasi continua di disagio,
noia o nervosismo, come una sorta di rumore di fondo a cui ci abituiamo, a esempio il rumore di un
condizionatore d’aria che solo quando si ferma ci accorgiamo che ci dava fastidio, avendo un senso
di sollievo. Per eliminare questo rumore di fondo molte persone utilizzano inconsapevolmente come
anestetici alcool, droghe, sesso, cibo, lavoro, televisione, fare acquisti, e ne diventano dipendenti,
anche se dimenticano quel disagio per una brevissima durata.
Quando impariamo a essere testimoni dei nostri pensieri ed emozioni, cioè a essere presenti,
possiamo restare sorpresi quando per la prima volta ci rendiamo conto del rumore di fondo
dell’inconsapevolezza ordinaria; a livello del pensiero incontreremo molta resistenza sotto forma di
giudizi e proiezione mentale lontana dall’adesso, mentre a livello emotivo vi sarà una corrente
sotterranea di disagio, tensione, noia o nervosismo. Il disagio dell’inconsapevolezza ordinaria si
trasforma nel dolore dell’inconsapevolezza profonda quando qualcosa “va storto”, quando vi è un
pericolo o una perdita nella situazione di vita, o un conflitto personale.
L’inconsapevolezza profonda spesso significa che è stato innescato il corpo di dolore, e che noi ci
siamo identificati con quest’ultimo, venendo pervasi da un’intensa negatività, come collera, panico,
aggressività, depressione, ecc. Questo può avvenire anche in una folla di persone o in un’intera
nazione, fino al verificarsi di un campo collettivo di energia negativa. Se non riusciamo a essere
presenti nemmeno in circostanze normali, come quando stiamo seduti da soli in una stanza,
passeggiamo nei boschi o ascoltiamo qualcuno, certamente non saremo in grado di rimanere
consapevoli quando ci troviamo ad affrontare situazioni difficili, caratterizzate dalla paura della
perdita. Queste situazioni minacciose sono le nostre prove; soltanto il modo in cui le affrontiamo
dimostrerà a noi stessi e agli altri a che punto siamo relativamente al nostro stato di consapevolezza.
Apportare maggiore consapevolezza nella nostra vita in situazioni ordinarie genera attorno a noi un
campo energetico di elevata frequenza di vibrazione, nel quale nessuna inconsapevolezza, nessuna
negatività, nessuna discordia o violenza possono entrare e sopravvivere, così come il buio non può
sopravvivere in presenza della luce.

L’AUTO-OSSERVAZIONE
La resistenza verso ciò che esiste (e la negazione dell’adesso come disfunzione collettiva) è
intrinsecamente legata alla perdita di consapevolezza dell’essere, e costituisce la base della nostra
civiltà industriale disumanizzata. Per dissolvere l’inconsapevolezza ordinaria dobbiamo abituarci a
sorvegliare il nostro stato mentale-emotivo attraverso l’auto-osservazione, ponendoci domande
come: “Cosa avviene dentro di me in questo momento? Quali pensieri produce la mia mente? C’è
tensione nel mio corpo? Provo risentimento per ciò che faccio? Che tipo di emozioni provo?”.
Forse davvero qualcuno si approfitta di noi, forse il nostro lavoro è noioso, forse qualcuno che ci
sta vicino è davvero disonesto, irritante o inconsapevole, ma tutto ciò è irrilevante. Il fatto è che noi
opponiamo resistenza a ciò che esiste, e facciamo del momento presente un nemico. Creiamo
infelicità, conflitto fra l’interiore e l’esteriore; inoltre la nostra infelicità inquina non soltanto il
nostro essere interiore e le persone che ci circondano, ma anche la psiche collettiva umana di cui
siamo parte inseparabile.
L’inquinamento del pianeta è solo un riflesso esteriore di un inquinamento psichico interiore:
milioni di persone inconsapevoli che non si assumono la responsabilità del loro spazio interiore.
Tutto ciò che viene fatto con energia negativa ne viene contaminato e col tempo dà origine a nuovo
dolore e nuova infelicità; inoltre ogni stato interiore negativo è contagioso, e attraverso la legge della
risonanza innesca e alimenta la negatività latente nelle persone inconsapevoli. Ecco perché gli esseri
umani hanno ucciso oltre 100 milioni di altri esseri umani nel secolo scorso, e adesso sono impegnati
a distruggere la natura e il pianeta.
Ciascuno di noi è responsabile del proprio spazio interiore, così come del pianeta; così, se gli
esseri umani eliminano l’inquinamento interiore, smetteranno anche di creare l’inquinamento
esteriore. Per eliminare la negatività, dobbiamo lasciarla andare, pervenendo alla potenza
dell’adesso attraverso l’accettazione della nostra attenzione costante. Successivamente, dobbiamo
passare a una seconda fase, in cui queste emozioni negative non vengano più create.
Spesso ci lamentiamo, ad alta voce o col pensiero, riguardo a una situazione in cui ci troviamo, per
ciò che fanno o dicono altre persone, per il nostro ambiente, per la nostra situazione di vita.
Lamentarsi è sempre una mancata accettazione di ciò che esiste, e in tal modo facciamo di noi stessi
delle vittime. Se troviamo intollerabili il nostro qui e ora e questo ci rende infelici, dobbiamo
assumerci la responsabilità della nostra vita, e abbiamo tre possibilità:

1) allontanarci dalla situazione;


2) modificarla;
3) accettarla totalmente (lasciando cadere ogni resistenza interiore).

Un’azione qualunque è spesso migliore dell’assenza di azione, specialmente se siamo invischiati da


molto tempo in una situazione infelice. Se è un errore, almeno impariamo qualcosa, nel qual caso non
è più un errore. Se rimaniamo invischiati, non impariamo niente. Spesso è la paura a impedirci di
intraprendere un’azione, e allora la dobbiamo riconoscere, osservarla, essere pienamente presenti di
fronte alla paura. Così facendo, spezziamo il legame tra la paura e il nostro pensiero, non lasciando
che essa si innalzi fino alla nostra mente.
Se non vi è nulla che possiamo fare per modificare il nostro “qui e ora”, e non possiamo
allontanarci dalla situazione, allora accettiamo totalmente la nostra situazione di vita e lasciamo
cadere ogni resistenza interiore. Questo si chiama “abbandono”, che non è debolezza, perché in esso
vi è grande forza e potenza spirituale, non vi è conflitto interiore, né resistenza né negatività.
Attraverso l’abbandono saremo liberi internamente dalla situazione, che addirittura può cambiare
senza alcuno sforzo da parte nostra. Se ne siamo costretti, possiamo muoverci e lavorare
rapidamente, senza proiettarci nel futuro e senza opporre resistenza al presente, facendolo totalmente,
godendoci il flusso di energia del momento e divertendoci. Oppure possiamo lasciare tutto e sederci
su una panchina del parco, osservando la nostra mente, che potrà dirci: ”Dovresti essere al lavoro.
Stai perdendo tempo!”. In tal caso, osserviamo la mente, sorridendoci sopra.
Se il passato assorbe gran parte della nostra attenzione, creando sensi di colpa, collera, rimorso,
non soltanto rafforziamo un falso senso del sé, ma contribuiamo ad accelerare il processo di
invecchiamento del nostro organismo, creando un accumulo di passato nella nostra psiche. Più ci
immergiamo nel passato, più diventa un pozzo senza fondo, e si afferma l’illusione che il futuro prima
o poi ci libererà dal passato. Più attenzione rivolgiamo al passato, più lo riforniamo di energia,
rafforzando l’ego. Non possiamo trovare noi stessi entrando nel passato, troveremo noi stessi
arrivando al presente.
Spesso, inoltre, ci preoccupiamo e pensiamo: “Se succede…”, identificandoci con la nostra mente,
che proietta se stessa in una futura situazione immaginaria e crea paura. Non vi è modo di fare fronte
a una tale situazione, perché non esiste, è un fantasma mentale che corrode la salute e la vita. Per
evitare ciò, dobbiamo semplicemente riconoscere il momento presente, prendendo consapevolezza
del nostro respiro, percependo l’aria che entra ed esce dal corpo e il nostro campo energetico
interiore. Tutto ciò che dobbiamo affrontare e gestire nella vita reale è questo momento.
Diciamo: “Un giorno ce la farò!”, e il nostro obiettivo assorbe tanta parte della nostra attenzione
che riduciamo il momento presente a un mezzo rivolto a un fine. Così trascorriamo gran parte della
nostra vita in attesa, aspettando di cominciare a vivere; se sviluppiamo un tale schema mentale,
qualunque cosa realizzeremo, il presente non andrà mai abbastanza bene, perché il futuro sembrerà
sempre migliore. L’attesa è uno stato mentale, e significa sostanzialmente che noi vogliamo il futuro,
non vogliamo il presente. Non vogliamo ciò che abbiamo, e vogliamo ciò che non abbiamo. Con ogni
genere di attesa creiamo inconsapevolmente un conflitto interiore tra il nostro qui e ora, dove non
vogliamo essere, e il futuro proiettato, dove vogliamo essere.
Quando siamo in viaggio, ci è certamente utile sapere dove stiamo andando, ma non dobbiamo
dimenticare che l’unica cosa reale riguardo al nostro viaggio è il passo che stiamo compiendo in quel
dato momento. È tutto ciò che esiste. Il percorso della nostra vita ha uno scopo esteriore e uno scopo
interiore. Lo scopo esteriore è arrivare al nostro obiettivo o destinazione, e appartiene alla
dimensione orizzontale di spazio e tempo, ed è quindi destinato a fallire prima o poi, semplicemente
perché è soggetto alla legge della transitorietà di tutte le cose, mentre lo scopo interiore concerne un
approfondimento del nostro essere nella dimensione verticale dell’adesso senza tempo.
Il nostro viaggio esteriore può essere composto da un milione di passi; il nostro viaggio interiore
ne ha uno solo: il passo che compiamo in questo momento. Diventando profondamente consapevoli di
quest’unico passo, ci rendiamo conto che contiene già in sé tutti gli altri passi nonché la destinazione.
La nostra presenza consapevole può dissolvere il passato, ed essere l’agente della trasformazione. Il
passato non può sopravvivere in nostra presenza, può sopravvivere soltanto in nostra assenza.

LO STATO DI PRESENZA E IL VALORE DEL SILENZIO


Proviamo a chiudere gli occhi, e chiediamoci: “Quale sarà il mio prossimo pensiero?”. Poi
restiamo vigili e attenti, e aspettiamo il prossimo pensiero. Succede che dobbiamo aspettare un certo
tempo, prima che arrivi un pensiero. Questo dimostra che fintanto che ci troviamo in uno stato di
intensa presenza, siamo liberi da pensieri, siamo in quiete, ma altamente vigili. Nell’istante in cui la
nostra attenzione consapevole scende al di sotto di un certo livello, fa irruzione il pensiero, ritorna il
rumore mentale e siamo ritornati nel tempo. Per rimanere presenti con l’intero nostro essere nella
vita quotidiana, è utile essere profondamente radicati in se stessi, abitando pienamente il nostro
corpo, sentendolo da dentro, altrimenti la mente con la sua forza incredibile ci trascina via come un
fiume impetuoso.
I maestri Zen usano il termine “satori” per descrivere un lampo di intuizione, un momento di
assenza di mente e di presenza totale. La presenza è necessaria per diventare consapevoli della
bellezza e della sacralità della natura, come l’infinito di una notte stellata o il suono di un torrente di
montagna nel bosco. Per divenire consapevoli di cose simili, la mente deve essere in quiete, senza il
bagaglio personale di problemi, di passato o futuro, altrimenti guardiamo ma non vediamo,
ascoltiamo ma non udiamo. È necessaria la nostra presenza totale.
La mente non può né riconoscere né creare la bellezza. Molte persone sono così imprigionate nella
loro mente che la bellezza della natura per loro in realtà non esiste, e attribuiscono solo etichette
mentali automatiche agli elementi naturali. a esempio, quando vedono un fiore, non lo vedono
veramente, non ne percepiscono l’essenza e la sacralità, così come non conoscono se stessi, non
percepiscono la propria essenza e la propria sacralità. Più è ampio l’intervallo temporale fra
percezione, consapevolezza della bellezza in assenza di pensiero e successiva interpretazione come
pensiero, maggiore profondità vi è in noi in quanto esseri umani, vale a dire maggiore
consapevolezza acquisiamo. Quando diventiamo consapevoli dell’essere, questo diviene
consapevole di sé, e questa è la presenza. Presenza significa vita che raggiunge la consapevolezza di
sé. Tutto ciò che esiste ha l’essere, ha essenza divina, ha qualche grado di consapevolezza.
Anche una pietra ha una consapevolezza rudimentale; altrimenti non esisterebbe, e i suoi atomi e
molecole si disperderebbero. Il sole, la terra, le piante, gli animali, gli esseri umani, sono tutti
espressione di consapevolezza, che si manifesta come forma. Il mondo nasce quando la
consapevolezza assume figure e forme, forme di pensiero e forme materiali. Ogni forma di vita è
replicata milioni di volte, e molte nel mare non sopravvivono per più di qualche minuto dopo la
nascita.
Anche la forma umana si trasforma in polvere molto rapidamente; ciò appare tragico e crudele
soltanto se noi creiamo un’identità separata per ciascuna forma, se dimentichiamo che la
consapevolezza è essenza divina che si esprime nella forma. Ma noi non sappiamo questo finché non
realizziamo la nostra essenza divina come consapevolezza pura. Negli esseri umani la
consapevolezza conosce se stessa solo come forma, e pertanto vive nel timore dell’annullamento
della propria forma fisica e psicologica; questa è la mente incentrata sull’io, che proietta sempre un
sè separato laddove non c’è separazione. Se nel nostro acquario nasce un pesce al quale ci
affezioniamo, e dopo pochi minuti viene mangiato da un altro pesce, questo viene giudicato tragico
dalla mente razionale, ma avviene perché abbiamo afferrato una frazione di un processo dinamico e
ne abbiamo fatto un’entità separata.
Quando si parla di osservare la propria mente, personalizziamo un concetto che ha un significato
cosmico, perché in tal modo la consapevolezza si risveglia dal suo sogno di identificazione con le
forme fisiche e mentali, e diventa consapevolezza pura, cioè presenza. Quasi tutti gli esseri umani
sono ancora nella morsa della modalità di consapevolezza incentrata sull’io, identificati con la loro
mente e avvolti in esperienze di sempre maggiore confusione, conflitto, violenza, malattia,
disperazione, follia.
L’unica tregua che molte persone trovano dall’ingerenza della mente è data dal ritornare a un livello
di consapevolezza al di sotto del pensiero, come succede di notte durante il sonno, ma anche con il
sesso, l’alcool, il fumo di tabacco e le altre droghe che sopprimono l’eccesso di attività mentale. Se
non fosse per alcolici, tranquillanti, antidepressivi, fumo di tabacco e sostanze stupefacenti, tutti
consumati in grandi quantità, la follia della mente umana diventerebbe ancora più chiaramente ovvia
di quanto lo sia già. Infatti, privata delle droghe, che mantengono la popolazione invischiata nella
disfunzione, gran parte di essa costituirebbe un pericolo per sé e per gli altri.
Un detto orientale recita: “Il maestro e l’allievo insieme creano l’insegnamento”. È difficile
insegnare a qualcuno, perché ciascuno di noi è consapevolezza, e ascolta se stesso. Le parole non
sono importanti, non sono la verità, si limitano a indicarla.
Il silenzio è un vettore di presenza ancora più potente, per cui quando si legge o si ascolta qualcosa
di interessante, bisogna essere consapevole del silenzio fra le parole e al di sotto di esse,
consapevoli delle pause. Ascoltare il silenzio è un modo facile e diretto per diventare presenti, e
crea immediatamente una quiete dentro di noi, che è presenza, consapevolezza liberata dalle forme di
pensiero.
Gesù Cristo è stato un uomo vissuto 2000 anni fa che ha realizzato la presenza divina, la sua vera
natura, trasmettendo direttamente il significato della presenza, della realizzazione di sé. È andato
oltre la dimensione di consapevolezza governata dal tempo, passando nel regno dell’assenza di
tempo. Dio, infatti, nella Bibbia si definisce “Io sono colui che sono”: non tempo, soltanto presenza.
Se Cristo tornasse oggi, direbbe: “Io sono dentro di voi. Io sono qui. Io sono adesso”.
Se ci sentiamo attratti da un maestro illuminato è perché in noi vi è presenza sufficiente da farci
riconoscere la presenza in qualcun altro. L’oscurità non può riconoscere la luce, soltanto la luce può
riconoscere la luce (“il simile attira il simile”).
Anche il lavoro di gruppo può essere utile per intensificare la luce della nostra presenza. Un
gruppo di persone che si riunisce in uno stato di presenza genera un campo energetico collettivo di
grande intensità, innalzando il grado di presenza di ciascun componente del gruppo, e aiutando anche
a liberare la consapevolezza collettiva umana dal suo attuale stato di dominio della mente.
La mente cercherà sempre di definire l’essere, comprimendolo in una scatola e appiccicandovi
un’etichetta. Questo non è possibile, perché l’essere non può diventare oggetto di conoscenza.
Nell’essere, soggetto e oggetto si fondono formando un tutt’uno. L’essere può essere percepito come
l’onnipresente “io sono”, che è al di là di nome e forma, ed è la verità che, secondo Gesù, ci renderà
liberi. Liberi dall’illusione di non essere nulla di più che il nostro corpo fisico e la nostra mente,
liberi dalla paura, che è il nostro torturatore continuo e la conseguenza inevitabile di tale illusione,
liberi dal peccato, cioè dalla follia e dalla sofferenza, che inconsapevolmente infliggiamo a noi stessi
e agli altri, fintanto che questo senso illusorio del sé governa ciò che pensiamo, diciamo o facciamo.

LA FOLLIA COLLETTIVA E IL CORPO


Fintanto che siamo gestiti dalla mente incentrata sull’ego, facciamo parte della follia collettiva. Se
apriamo gli occhi, vediamo la paura, la disperazione e la violenza che sono ovunque, vediamo le
crudeltà e le sofferenze che gli esseri umani hanno inflitto e continuano a infliggere ai propri simili e
ad altre forme di vita di questo pianeta. Non è necessario condannare tutto questo, basta osservarlo.
Soprattutto, non dimentichiamo di osservare la nostra mente. Ricerchiamo lì la radice della follia.
Siamo tagliati fuori dall’essere fino a quando la nostra mente assorbirà tutta la nostra attenzione.
Questo avviene continuamente per la maggior parte di noi, e non ci fa sentire nel nostro corpo.
La mente assorbe tutta la nostra consapevolezza, non riusciamo a smettere di pensare. Il pensiero
ineluttabile è diventato una malattia collettiva, in modo che l’intero nostro senso di identità è tratto
dall’attività della mente, che crea la paura come emozione fondamentale dominante. Allora viene a
mancare nella nostra vita l’unica cosa che importa veramente: la consapevolezza del nostro sé più
profondo, della nostra realtà invisibile e indistruttibile. Per diventare consapevoli dell’essere
dobbiamo liberare la consapevolezza dalla mente; un modo assai efficace di farlo è semplicemente
distogliere l’attenzione dal pensiero e indirizzarla verso il corpo, dove l’essere può sentirsi come
campo energetico invisibile che crea ciò che percepiamo come corpo fisico. Così “abitare il corpo”
significa sentire il corpo da dentro, sentire la vita dentro il corpo, e in tal modo arrivare a sapere che
noi siamo al di là della forma esteriore, che non siamo solo un frammento privo di significato in un
universo estraneo, brevemente sospesi tra la vita e la morte, cui sono concessi alcuni piaceri di breve
durata seguiti dal dolore e da un annullamento finale.
A livello del corpo, come esseri umani siamo molto vicini agli animali, con cui condividiamo tutte
le funzioni corporee fondamentali (piacere, dolore, respirazione, mangiare, bere, defecare, dormire,
accoppiarsi). Essere come gli animali è una verità troppo fastidiosa da tollerare: Adamo ed Eva
videro che erano nudi, ed ebbero paura. Allora fecero ciò che dovevano fare, cominciarono a
dissociarsi dal loro corpo; adesso si vedevano “avere” un corpo, anziché esserlo.
Quando nacquero le religioni, questa dissociazione diventò ancora più pronunciata come credenza
secondo cui “noi non siamo il nostro corpo”. Molte persone in Oriente e in Occidente nel corso dei
secoli hanno cercato di trovare Dio, la salvezza, l’illuminazione attraverso la negazione del corpo e
della sessualità. Addirittura molte persone infliggevano perfino dolore al corpo nel tentativo di
indebolirlo o punirlo perché lo consideravano peccaminoso. La trasformazione, invece, avviene
attraverso il corpo, non lontano da questo. Ciò che percepiamo come struttura fisica densa, chiamata
corpo, soggetta a malattia, vecchiaia e morte, non è in definitiva reale, non è noi. È un’errata
percezione dovuta alle limitazioni della nostra mente, che avendo perduto il contatto con l’essere
crea il corpo come prova della sua credenza illusoria nella separazione, allo scopo di giustificare il
suo stato di paura. Invece è proprio all’interno di tale simbolo di transitorietà, limitazione e morte,
che si nasconde lo splendore della nostra realtà essenziale e immortale.
La verità non va ricercata all’esterno di noi, perché si trova all’interno del corpo. Se combattiamo
contro il nostro corpo, combattiamo contro la nostra realtà. Noi siamo il nostro corpo, e al di sotto di
quello che possiamo vedere e toccare vi è il corpo interiore invisibile che conduce all’essere, e che
ci unisce a Dio.
La chiave sta nel vivere in uno stato di sintonia permanente con il proprio corpo interiore,
percependolo in ogni momento. Più consapevolezza indirizziamo verso il corpo interiore, più elevata
diventa la sua frequenza di vibrazione; a questo livello, la negatività non può più influenzarci, e noi
tendiamo ad attrarre circostanze nuove che riflettono questa frequenza più elevata. Se manterremo il
più possibile l’attenzione rivolta al corpo, saremo ancorati nell’adesso, non ci perderemo nel mondo
esterno e non ci perderemo nella nostra mente.
Percepiamo il nostro corpo dall’interno, come un unico campo di energia, tutte le volte che
rimaniamo in attesa, dovunque ci capiti, come negli ingorghi stradali o nelle code all’ufficio postale;
invece di proiettarci lontano dall’adesso, entriamo più in profondità nell’adesso radicandoci
profondamente nel corpo, e osservando la nostra mente. Questo vale specialmente quando qualcosa
va storto, o quando vi è qualche perdita o sconvolgimento; la nostra reazione condizionata sarà allora
alimentata da quell’unica emozione fondamentale che soggiace allo stato di consapevolezza
identificato con la mente: la paura. Quando si presentano queste minacce, abituiamoci a entrare
interiormente subito e a concentrarci il più possibile sul campo energetico interiore del nostro corpo,
ancorandoci sul nostro baricentro, come un albero che ha radici profonde nella terra.
In un organismo pienamente funzionante, un’emozione ha una vita molto breve. Quando non siamo
nel nostro corpo, però, un’emozione può sopravvivere dentro di noi per giorni o settimane, o unirsi
ad altre emozioni di frequenza analoga che si sono fuse e sono diventate il corpo di dolore, un
parassita che può vivere dentro di noi per anni, alimentarsi della nostra energia, condurre a malattie
fisiche e rendere miserevole la nostra vita. Pertanto dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al
percepire l’emozione e verificare se la nostra mente si aggrappa a uno schema di rancore o di
risentimento, che alimenta tale emozione. Se è così, significa che non abbiamo perdonato; il mancato
perdono è spesso rivolto a un’altra persona e a noi stessi, ma può riguardare anche qualunque
situazione o condizione (passata, presente o futura) che la nostra mente rifiuta di accettare.
Perdono significa non opporre resistenza alla vita, consentire alla vita di vivere attraverso noi. Le
alternative sono dolore e sofferenza, un flusso di energia vitale fortemente ristretto e in molti casi una
malattia fisica. Nel momento in cui noi perdoniamo veramente, abbiamo liberato la nostra potenza
dalla mente. L’assenza di perdono è la natura stessa della mente, così come il falso sé creato dalla
mente, l’ego, non può sopravvivere senza dispute e conflitti. La mente non può perdonare, soltanto
noi possiamo. Ecco perché Gesù disse: “Prima di entrare nel tempio, perdonate”.

LA PRESENZA E IL SAPER ASCOLTARE


La presenza è consapevolezza pura, liberata dalla mente, dal mondo e dal sogno della forma.
Nessuno può dirci niente che in profondità dentro di noi non sappiamo già. Quando abbiamo
raggiunto un certo stadio di sintonia interiore, riconosciamo la verità appena la udiamo.
La consapevolezza del corpo interiore ha notevoli benefici a livello fisico, uno di questi è un
significativo rallentamento dell’invecchiamento del corpo materiale. Non appena il nostro stato
abituale passa dall’essere fuori del corpo e intrappolato nella mente all’essere dentro il corpo e
presente nell’adesso, sentiremo il nostro corpo più leggero, più limpido, più vivo. Con una maggiore
consapevolezza nel corpo, la sua struttura molecolare si fa in realtà meno densa, e si riduce
l’illusione della materialità. Quando riusciamo a identificarci con il corpo interiore, quando la
presenza diventa la nostra modalità normale di consapevolezza, e passato e futuro non dominano più
la nostra attenzione, noi non accumuliamo più tempo nella psiche e nelle cellule del corpo. Così il
corpo esteriore invecchierà a un ritmo molto più lento.
Un altro beneficio apportato da questa pratica a livello fisico è un grande rafforzamento del sistema
immunitario, come una potente forma di autoguarigione. Per la maggior parte, le malattie si insinuano
quando noi non siamo presenti nel corpo.
Anche il nostro sistema immunitario e la psiche migliorano notevolmente, proteggendoci contro i
campi di forza mentali-emotivi negativi degli altri, che sono altamente contagiosi. Abitare il corpo ci
protegge aumentando la vibrazione di frequenza del nostro campo energetico totale, per cui ogni cosa
che vibra a una frequenza inferiore, come paura, collera, depressione, viene a trovarsi in un ordine
diverso di realtà. Non entra più nel nostro campo di consapevolezza, e se lo fa non abbiamo bisogno
di opporre resistenza perché ci attraversa e basta.
Se dobbiamo usare la mente per uno scopo specifico, usiamola in congiunzione con il corpo
interiore. Quando è necessaria una risposta, una soluzione o un’idea creativa, smettiamo per un
attimo di pensare, concentrando l’attenzione sul nostro campo energetico interiore. Non pensiamo
solo con la mente, pensiamo con l’intero corpo.
Ascoltando un’altra persona, cerchiamo di non ascoltare soltanto con la mente, ma con l’intero
corpo, cerchiamo di percepire il campo energetico del corpo interiore. Ciò distoglie l’attenzione dal
pensiero e crea uno spazio tranquillo che ci consente di ascoltare veramente senza interferenza da
parte della mente. Così diamo spazio all’altra persona, spazio per esistere. Questo è il dono più
prezioso che possiamo offrire. La maggior parte delle persone non sa ascoltare perché gran parte
dell’attenzione è assorbita dal pensiero. Dobbiamo prestare attenzione all’essere dell’altra persona,
al di sotto delle parole e della mente. Naturalmente non possiamo percepire l’essere di qualcun altro
se non attraverso il nostro. Questo è l’inizio della realizzazione dell’unione, che è amore. Al livello
più profondo dell’essere, noi siamo in unione con tutto ciò che esiste.
Per la maggior parte, i rapporti umani consistono principalmente di menti che interagiscono tra di
loro, non di esseri umani che comunicano, essendo in comunione. Nessun rapporto può prosperare in
tal modo, ed è per questo che nei rapporti umani vi sono tanti conflitti.

IL KI E IL “NON MANIFESTATO”
Il Ki è il campo energetico interiore del corpo; può essere paragonato a un flusso di un fiume di
energia che si trova a metà strada tra il manifestato, il mondo della forma, e il “non manifestato”.
Infatti il Ki è il legame tra il “non manifestato” e l’universo fisico. Il “non manifestato” è la fonte del
Ki; il primo è quiete, il secondo è movimento. Quando raggiungiamo un punto di quiete assoluta,
peraltro vibrante di vita, siamo andati al di là del corpo interiore e del Ki sino alla fonte stessa: il
“non manifestato”. Pertanto se spostiamo la nostra attenzione in profondità nel corpo interiore,
possiamo raggiungere tale punto, dove vi è la nascita e la morte, in cui il mondo si dissolve nel “non
manifestato”, e questo assume una forma come flusso energetico del Ki, che allora diventa il mondo.
Quando la nostra consapevolezza è diretta verso l’esterno, nascono la mente e il mondo; quando è
diretta verso l’interno, realizza la propria Fonte e ritorna a dimorare nel “non manifestato”. Quindi,
nell’affrontare la vita, dedichiamo un po’ della nostra attenzione al mondo interiore, anche quando
siamo impegnati in attività quotidiane, come nei rapporti umani o quando entriamo in contatto con la
natura. Percepiamo la quiete in profondità dentro il corpo interiore, un profondo senso di pace da
qualche parte in sottofondo, che non ci abbandona mai, qualunque cosa succeda fuori. Così
diventiamo un ponte fra il “non manifestato” e il manifestato, fra Dio e il mondo; questa è
l’illuminazione.
L’attività mentale continua ci mantiene prigionieri nel mondo della forma e diventa uno schermo
opaco che c’impedisce di diventare consapevoli del “non manifestato”, dell’essenza divina senza
forma e senza tempo che è dentro di noi e in ogni creatura o cosa dell’Universo.
Noi facciamo un viaggio nel “non manifestato” ogni notte quando entriamo nella fase di sonno
profondo senza sogni; ci uniamo alla Fonte e ne traiamo l’energia vitale che ci sostiene quando
ritorniamo nel mondo delle forme separate.
L’ingresso principale è però l’adesso; infatti, non possiamo “essere nel nostro corpo” senza essere
intensamente presenti nell’adesso. Quando dissolviamo il tempo psicologico attraverso un’intensa
consapevolezza del momento presente, diventiamo consapevoli del “non manifestato” e percepiamo
l’essenza divina in ogni creatura, fiore, pietra che sia, comprendendo che tutto ciò che esiste è sacro.
Ecco perché Gesù, nel Vangelo di Tommaso afferma: “Rompi un pezzo di legno, io sono lì; solleva
una pietra, e mi troverai lì”.
Un altro ingresso nel “non manifestato” è creato attraverso la cessazione dl pensiero; può
cominciare col respirare consapevolmente o guardare un fiore in uno stato di intensa vigilanza, in
modo che non vi sia un commento mentale in corso allo stesso tempo. Entriamo ancora nel “non
manifestato” con l’abbandono (il lasciar perdere ogni resistenza mentale-emotiva a ciò che esiste).
Infatti, la resistenza interiore ci taglia fuori dagli altri, da noi stessi e dal mondo che ci circonda e
rafforza il senso di separazione da cui dipende l’io per la propria sopravvivenza. Più forte è il senso
di separazione, più siamo legati al manifestato, al mondo delle forme separate, e ci allontaniamo
dalla dimensione interiore.
Sta a noi aprire nella nostra vita un ingresso che ci dia accesso consapevole al “non manifestato”.
Entrare in contatto con il campo energetico del corpo interiore, essere intensamente presenti,
disidentificarci dalla mente, abbandonarci a ciò che esiste; sono tutti ingressi che possiamo usare,
attraverso cui passa l’amore.
Un altro ingresso involontario si apre nel momento della morte fisica; nel “Libro tibetano dei
morti” questa condizione viene definita “lo splendore luminoso della luce incolore del vuoto”, ed è
accompagnata da un senso di serenità beata e pace profonda.
Ma la maggior parte delle persone porta con sé troppa resistenza residua, troppa paura, troppo
attaccamento all’esperienza sensoriale, troppa identificazione con il mondo manifestato. Allora
vedono l’ingresso, ma se ne allontanano per paura, quindi perdono la consapevolezza. Così alla fine
ci sarà un altro ciclo di nascita e di morte, perché la presenza non è stata ancora sufficientemente
forte per l’immortalità consapevole.
In effetti, ogni ingresso è un ingresso di morte, che è morte del falso sé. Quando lo attraversiamo,
smettiamo di trarre la nostra identità dalla nostra forma psicologica creata dalla mente. Allora ci
rendiamo conto che la morte è un’illusione, così come la nostra identificazione con la forma era
un’illusione.
Il “non manifestato” lo possiamo trovare anche nel silenzio da cui provengono e a cui ritornano i
suoni. Prestiamo più attenzione al silenzio che ai suoni, come dopo aver sentito un cane che abbaiava
in lontananza, o un’automobile che passava. Ogni suono nasce dal silenzio, muore nel silenzio, e
durante la sua vita è circondato dal silenzio. Il silenzio consente al suono di esistere, ed è una parte
intrinseca ma non manifestata di ogni suono.
Il “non manifestato” è presente in questo mondo come silenzio, dove c’è Dio. Anche durante una
conversazione, cerchiamo di essere consapevoli degli intervalli fra le parole, dei brevi intervalli
silenziosi tra le frasi. Così facendo, cresce dentro di noi la dimensione della quiete.

LO SPAZIO E IL SILENZIO
Proprio come non può esistere alcun suono senza il silenzio, niente può esistere senza il nulla,
senza lo spazio vuoto che gli consenta di esistere. Ogni oggetto o corpo fisico è venuto dal nulla, è
circondato dal nulla e prima o poi tornerà nel nulla. Come già spiegato, persino la materia
apparentemente solida, compreso il nostro corpo materiale, secondo i fisici, è quasi al 100% spazio
vuoto, tanto vaste sono le distanze tra gli atomi in confronto alle loro dimensioni. Per di più, anche
dentro ciascun atomo vi è in gran parte spazio vuoto. Ciò che rimane è più una frequenza di vibra-
zione (simile a una nota musicale) che particelle di materia solida. Quindi l’essenza di tutte le cose,
come affermano i buddhisti, è il vuoto. Il “non manifestato” non è presente in questo mondo solo
come silenzio, ma permea l’intero universo fisico come spazio, interiore ed esteriore. Anche di
questo è difficile accorgersi, perché tutti prestiamo attenzione alle cose nello spazio, ma chi presta
attenzione allo spazio in sé?
Il nulla (lo spazio) è la comparsa del “non manifestato” in un mondo percepito dai sensi, e non può
diventare oggetto di conoscenza, come cercano di fare gli scienziati, perdendo completamente la sua
essenza. Il nulla può diventare un ingresso nel “non manifestato” soltanto se non cerchiamo di
afferrarlo o capirlo.
Non si può capire lo spazio perché non appare, non ha “esistenza”, ma consente a ogni altra cosa di
esistere. Cosa avviene se noi distogliamo l’attenzione dagli oggetti presenti nello spazio e
diventiamo consapevoli dello spazio in sé? Qual è l’essenza della stanza in cui siete in questo
momento? I mobili, i quadri, che si trovano nella stanza, non sono la stanza. Il pavimento, le pareti e
il soffitto definiscono i confini della stanza, ma nemmeno loro sono la stanza. L’essenza della stanza è
lo spazio vuoto, senza il quale non vi sarebbe stanza. Poiché lo spazio è nulla, si può affermare: ciò
che non c’è assume più importanza di ciò che c’è.
Quindi, prendiamo consapevolezza dello spazio che ci circonda, senza pensarci, ma percependolo.
Così facendo, dentro di noi ha luogo uno spostamento di consapevolezza, perché diventando
consapevoli dello spazio vuoto intorno a noi, contemporaneamente diventiamo consapevoli dello
spazio dell’assenza di mente, della consapevolezza pura: il “non manifestato”. Questo avviene
perché se distogliamo l’attenzione dagli oggetti nello spazio, automaticamente distogliamo
l’attenzione anche dagli oggetti mentali.
Spazio e silenzio sono due aspetti della stessa cosa, dello stesso nulla. Sono un’esteriorizzazione
dello spazio interiore e del silenzio interiore, che è la quiete. La maggior parte degli esseri umani è
completamente inconsapevole di questa dimensione, essi sono in squilibrio, perché pensano di
conoscere il mondo, ma non conoscono Dio. Si identificano esclusivamente con la loro forma fisica e
psicologica, inconsapevoli dell’essenza. E poiché ogni forma è altamente instabile, vivono nella
paura, che provoca una percezione profondamente errata di loro stessi e degli altri esseri umani, una
distorsione nella loro visione del mondo.
Se non vi fosse nient’altro che silenzio, per noi non esisterebbe; non sapremmo che cosa sia.
Soltanto quando compare il suono nasce anche il silenzio. Analogamente, se vi fosse soltanto lo
spazio senza alcun oggetto nello spazio, per noi non esisterebbe. Sono necessari almeno due punti di
riferimento perché nascano distanza e spazio.
Secondo gli antichi cinesi, lo spazio nasce nel momento in cui l’Uno diventa due, e quando “due”
diventano le “diecimila cose” (il mondo manifestato) lo spazio diventa sempre più vasto. Per cui il
mondo e lo spazio nascono contemporaneamente. Nulla potrebbe esistere senza lo spazio, eppure lo
spazio è nulla. Prima del Big Bang, della nascita dell’Universo, non vi era uno spazio vuoto in attesa
di essere riempito. Non vi era spazio, vi era solo il “non manifestato”, l’Uno. Quando l’Uno diventò
le “diecimila cose”, all’improvviso lo spazio (cioè il nulla, che non è mai stato creato) consentì al
molteplice di esistere. Un miliardo di galassie, che contengono miliardi di stelle, non sono altro che
una frazione infinitesima di ciò che esiste. Ma cos’è tutto quest’infinito? Un vuoto, un enorme vuoto.
E ciò che ci appare come spa-zio nel nostro Universo, percepito attraverso la mente e i sensi, è il
“non manifestato” esteriorizzato, è il “corpo” di Dio.
Il miracolo più grande è che quella tranquilla vastità che consente all’Universo di esistere non è
soltanto là fuori nello spazio, è anche dentro di noi. Quando siamo completamente e totalmente
presenti, la incontriamo come spazio tranquillo interiore dell’assenza di mente. Mentre lo spazio è il
regno tranquillo e infinitamente profondo dell’assenza di mente, l’equivalente interiore del tempo è la
presenza, la consapevolezza dell’adesso eterno. Tra di loro non vi è distinzione.
Quindi, lo scopo ultimo del mondo sta nel trascendere il mondo. Così come noi non saremmo
consapevoli dello spazio, se non vi fossero oggetti nello spazio, il mondo è necessario per la
manifestazione del “non manifestato”. È attraverso il mondo e attraverso noi che il “non manifestato”
conosce se stesso. Perciò noi siamo qui per consentire al divino scopo dell’universo di manifestarsi.
Ecco quanto siamo importanti! Siamo stati creati non da Dio, ma perché Dio esistesse!

RAPPORTI DI AMORE/ODIO
Molte persone rincorrono piaceri fisici o varie forme di gratificazione psicologica, perché
ritengono che queste cose le renderanno felici o le libereranno da una sensazione di paura o di
mancanza. Quasi sempre, l’eventuale soddisfazione che si ottiene è di breve durata, per cui la
condizione di appagamento viene di solito proiettata di nuovo verso un punto immaginario, lontano
dal “qui e ora”. “Quando otterrò questo, o sarò libero da quello, allora tutto andrà bene”. Questa è la
mentalità inconsapevole che crea l’illusione di salvezza nel futuro.
La vera salvezza significa essere ciò che siamo, sentire dentro di noi il bene che non ha contrario,
la gioia dell’essere come presenza costante. In linguaggio teistico significa conoscere Dio non come
qualcosa al di fuori di noi, ma come nostra essenza intima. La vera salvezza è uno stato di libertà
dalla paura, dalla sofferenza, da ogni bisogno, necessità, attaccamento e possesso. È libertà dal
pensiero ineluttabile, dalla negatività, da passato e futuro come bisogno psicologico.
Troviamo Dio nel momento in cui ci rendiamo conto che non abbiamo bisogno di cercarlo. Pertanto
possono essere utilizzate moltissime vie, ma con un unico punto di accesso: l’adesso. Tutto ciò di cui
abbiamo bisogno è già dentro di noi, non è necessario andarlo a cercare fuori, o nel passato, o in
altre vite. Nello stato di illuminazione noi siamo noi stessi, non ci giudichiamo, non abbiamo sensi di
colpa, non siamo orgogliosi, non ci amiamo, non ci odiamo. Proprio i sensi di colpa sono i parassiti
più gravi che possiamo avere, perché ci riportano al passato. Non vi è più un “sé” che dobbiamo
proteggere, difendere o alimentare, non abbiamo più “un rapporto con noi stessi”, ma “siamo noi
stessi”, non siamo più spaccati in due, nella dualità creata dalla mente.
Fintanto che non accediamo alla frequenza di consapevolezza della presenza, tutti i rapporti umani
saranno disfunzionali. Potranno sembrare perfetti per un po’, come quando siamo innamorati, ma
invariabilmente quella apparente perfezione verrà sconvolta quando litigi, conflitti, violenze emotive
e fisiche avranno luogo con frequenza crescente.
La maggior parte dei rapporti di amore diventa rapporto di amore/odio entro breve tempo,
oscillando tra le due polarità, e fornendo piacere e dolore in egual misura. Non è insolito per le
coppie diventare dipendenti da questi cicli, e quando i cicli negativi, distruttivi, si ripetono con
frequenza crescente, allora il rapporto crolla definitivamente. Le polarità sono reciprocamente
interdipendenti; non possiamo avere l’una senza avere anche l’altra. Il positivo contiene già in sé il
negativo non manifestato. Il vero amore, però, non ha contrario perché nasce al di là della mente,
quando vi è un intervallo nel flusso della mente.
Il lato negativo di un rapporto affettivo è naturalmente più facile da riconoscere come disfunzione
rispetto al lato positivo. Ed è anche più facile riconoscere la fonte della negatività nell’altra persona
piuttosto che vederla in se stessi. Può manifestarsi sotto varie forme: possessività, gelosia, controllo,
chiusura in se stessi, bisogno di avere ragione, insensibilità, manipolazione, impulso a litigare,
criticare, giudicare, biasimare oppure collera, vendetta inconsapevole per il dolore passato inflitto
da un genitore, rabbia e violenza fisica.
Dal lato positivo, noi siamo “innamorati” dell’altra persona, e questo ci fa sentire intensamente
vivi. La nostra esistenza è all’improvviso diventata significativa perché qualcuno ha bisogno di noi,
ci vuole e ci fa sentire speciali, e noi facciamo lo stesso nei suoi confronti. Tuttavia, diventiamo
dipendenti dall’altra persona, che agisce su di noi come una droga. Siamo “su di giri” quando la
droga è disponibile, ma perfino la possibilità o il pensiero che tale persona possa non esserci più per
noi può condurci a gelosia, possessività, tentativi di manipolazione attraverso ricatti emotivi e
accuse: paura della perdita. Se l’altra persona ci lascia, questo fatto può far nascere la più intensa
ostilità o la disperazione più profonda. Dove è finito l’amore? Era amore, o solo un attaccamento
dovuto alla dipendenza?
Ogni rapporto amoroso sembra offrire liberazione da uno stato radicato di paura, bisogno,
mancanza e incompletezza. Sul piano fisico, noi siamo uomini e donne, vale a dire metà del tutto. A
questo livello il desiderio per la completezza (il ritorno all’unità) si manifesta come attrazione
maschio-femmina, con un impulso quasi irresistibile per l’unione con la polarità energetica opposta.
La radice di questo impulso fisico è spirituale: il desiderio per la fine della dualità, un ritorno allo
stato di completezza. L’unione sessuale è in effetti l’esperienza più soddisfacente che possa offrire il
regno fisico. Ma l’unione sessuale non è che un barlume fuggevole della completezza; fintanto che
viene ricercata inconsapevolmente come mezzo di salvezza, si ricerca la fine della dualità a livello
della forma, dove non può essere trovata, perché dopo ci si ritrova di nuovo in un corpo separato.
Fintanto che ci identifichiamo con la mente, abbiamo un senso del sé derivato dall’esterno, cioè
ricaviamo il senso di ciò che siamo da cose che in definitiva non hanno niente a che fare con ciò che
siamo: il nostro ruolo sociale, i beni materiali, l’aspetto esteriore, successi e fallimenti, sistemi di
credenze. Questo sé falso e creato dalla mente, l’ego, si sente vulnerabile, insicuro, ed è sempre alla
ricerca di nuove cose con cui identificarsi per ricavarne la sensazione di esistere. Ma niente è mai
abbastanza per fornirgli appagamento duraturo, la sua paura e il suo senso di mancanza e di bisogno
permangono.
Quando arriva quel rapporto speciale, sembra essere la risposta a tutti i problemi dell’ego e
soddisfarne tutte le esigenze; adesso abbiamo un unico punto focale che le sostituisce tutte, dà
significato alla nostra vita e definisce la nostra identità: la persona di cui siamo innamorati. Non
siamo più un frammento sconnesso in un universo indifferente; il nostro mondo adesso ha un centro,
la persona amata, e il fatto che il centro sia al di fuori di noi e che pertanto noi abbiamo ancora un
senso del sè derivato dall’esterno non sembra importare.
Se nel nostro rapporto amoroso noi abbiamo esperienza sia dell’amore sia del contrario dell’amore
(attacco, violenza emotiva, ecc.) allora è probabile che scambiamo per amore l’attaccamento
dell’ego e la dipendenza. Se il nostro amore ha un contrario, allora è un forte bisogno da parte
dell’ego di un senso del sé più completo e profondo, un bisogno che l’altra persona soddisfa
temporaneamente. Ma arriva un punto in cui l’altra persona si comporta in modi che non soddisfano
più le nostre esigenze, o meglio quelle del nostro ego. Così riemergono le sensazioni di paura, dolore
e mancanza che erano state mascherate dal rapporto d’amore. Così come in ogni tossicodipendenza.
Noi siamo “su di giri” quando la droga è disponibile, ma poi arriva un momento in cui la droga per
noi non funziona più. Quando ricompaiono quelle sensazioni dolorose, in misura maggiore di prima,
le percepiamo come causate dall’altra persona, proiettandole all’esterno, e attacchiamo l’altra
persona con tutta la violenza che fa parte del nostro dolore. Quest’attacco può risvegliare il dolore
dell’altra persona, che potrà allora controbattere il nostro attacco: ecco il conflitto.
A questo punto l’ego spera ancora inconsapevolmente che il proprio attacco o i propri tentativi di
manipolazione siano ancora una punizione sufficiente per indurre l’altra persona a modificare il
proprio comportamento, per cui l’ego potrà utilizzarli di nuovo come copertura per il nostro dolore.
Ogni dipendenza nasce da un rifiuto inconsapevole di affrontare e superare il proprio dolore. Ogni
dipendenza comincia con il dolore e finisce con il dolore. Qualunque sia la sostanza verso cui
abbiamo sviluppato una dipendenza (alcool, cibo, farmaci, droghe, tabacco, una persona), noi
utilizziamo qualcosa o qualcuno per mascherare il nostro dolore. Ecco perché, quando è passata
l’euforia iniziale, vi è tanta infelicità, tanto dolore nei rapporti amorosi; questi non causano dolore e
infelicità, ma tirano fuori il dolore e l’infelicità che sono già in noi.
Ogni dipendenza fa la stessa cosa. Questo è il motivo per cui la maggior parte della gente cerca
sempre di sfuggire al momento presente e cerca qualche genere di salvezza nel futuro. La prima cosa
che potrebbe incontrare, se concentrasse la propria attenzione sull’adesso, è il proprio dolore, ed è
questo che teme.
Per modificare un rapporto dipendente in uno vero, è necessario portare la nostra attenzione sempre
più in profondità nell’adesso, in modo da non lasciarci più sopraffare dall’entità pensante o dal
corpo di dolore, scambiandoli per ciò che siamo. Conoscere se stessi come l’essere dietro l’unità
pensante, la quiete dietro il rumore mentale, l’amore e la gioia dietro il dolore, è libertà, salvezza,
illuminazione. Disidentificarsi dal corpo di dolore significa apportare presenza nel dolore, e così
trasformarlo; disidentificarsi dal pensiero significa essere l’osservatore silenzioso dei propri
pensieri e comportamenti. La mente perde così la sua ineluttabilità, che sostanzialmente è l’obbligo
di giudicare e quindi di resistere a ciò che esiste, il che crea conflitto, dramma e nuovo dolore. In
effetti, nel momento in cui il giudizio si arresta attraverso l’accettazione di ciò che esiste, noi siamo
liberi dalla mente. Prima smettiamo di giudicare noi stessi, poi smettiamo di giudicare la persona
amata.
Il più grande catalizzatore del cambiamento in un rapporto affettivo è l’accettazione completa
dell’altra persona così com’è, senza doverla giudicare o cambiare in alcun modo. Questa è anche la
fine di ogni dipendenza reciproca. Così o ci separiamo (con amore) oppure ci spostiamo sempre più
in profondità nell’adesso, nell’essere.
L’amore è uno stato dell’essere, ed è profondità dentro di noi. Non possiamo mai perderlo, e non
può mai abbandonarci. Guardiamo al di là del velo di forma e separazione; questa è la realizzazione
dell’unione, questo è amore.
Dio è l’unica vita eterna dietro tutte le forme di vita. L’amore è sentire la presenza di tale unica vita
in profondità in se stessi e in tutte le creature. Pertanto, ogni amore è amore di Dio.
L’amore non è selettivo, non è esclusivo. Però l’intensità con cui viene percepito il vero amore è
variabile. Il legame che ci unisce alla persona amata è lo stesso legame che ci unisce alla persona
seduta accanto a noi in autobus, o a un uccello, un albero, un fiore. Varia soltanto il grado di intensità
con cui lo percepiamo.
Anche in un rapporto di dipendenza vi possono essere momenti in cui la nostra mente e quella
dell’altra persona si affievoliscono, e il corpo di dolore si trova temporaneamente allo stato latente.
Questo può accadere durante l’intimità fisica, o quando siamo testimoni del parto, o in presenza della
morte, o quando uno di noi è gravemente ammalato: qualunque cosa renda la mente impotente, e fa
rivelare il nostro essere nascosto; questo rende possibile la vera comunicazione, che è comunione,
realizzazione dell’unione, che è amore. Quando ritorna l’identificazione con la mente, cominciamo di
nuovo a essere un’immagine mentale di noi stessi, e ricominciamo a giocare e a interpretare ruoli per
soddisfare le esigenze del nostro ego. Siamo di nuovo una mente umana, che finge di sentirsi un
essere umano, interagisce con un’altra mente e recita un dramma chiamato “amore”.
I rapporti tra uomini e donne riflettono il profondo stato di crisi in cui si trova ora l’umanità, poiché
gli esseri umani si identificano sempre più con la propria mente, per cui i rapporti affettivi per la
maggior parte non sono radicati nell’essere e giungono a essere dominati da problemi e conflitti.
Milioni di persone ormai vivono da sole o soltanto con i figli, non più disposte a ripetere il
dramma folle delle relazioni passate. Altre persone passano da una relazione all’altra, da un ciclo di
piacere e di dolore all’altro, alla ricerca della meta sfuggente dell’appagamento attraverso l’unione
con la polarità energetica opposta. Altre ancora cercano un compromesso e continuano a rimanere
assieme in un rapporto disfunzionale in cui prevale la negatività, per amore dei figli o della
sicurezza, per la forza dell’abitudine, per paura della solitudine.
Tuttavia, ogni crisi rappresenta non soltanto un pericolo ma anche un’occasione. Con il
riconoscimento e l’accettazione dei fatti giunge da essi un grado di libertà. Quando sappiamo che vi è
disarmonia, che non siamo in pace, il nostro sapere crea uno spazio tranquillo perché avvenga la
trasformazione. Quando il nostro rapporto non funziona, quando fa emergere la “pazzia” in noi e nella
persona amata, dobbiamo esserne contenti, perché ciò che era inconsapevole viene portato alla luce;
è un’occasione per la salvezza. Se vi è collera, dobbiamo sapere che vi è collera; se vi sono gelosia,
atteggiamento difensivo, impulso a litigare, bisogno di avere ragione, o dolore emotivo, qualunque
cosa sia, dobbiamo conoscere la realtà di quel momento e possedere tale conoscenza. Il rapporto
diventa allora la nostra pratica spirituale, e serve a farci evolvere, non per renderci felici o appagati,
ma per renderci consapevoli. Per trasformare la nostra vita in pratica spirituale non importa se il
nostro compagno o la nostra compagna non vuole collaborare, perché la consapevolezza può venire
al mondo soltanto attraverso noi stessi. Quando la persona si comporta in modo inconsapevole,
dobbiamo rinunciare a ogni giudizio. Giudizio significa confondere il comportamento inconsapevole
della persona con la sua identità, oppure proiettare la nostra inconsapevolezza sull’altra persona e
scambiare questa per la sua identità.
Rinunciare al giudizio non significa che non riconosciamo la disfunzione e l’inconsapevolezza
quando le vediamo. Significa “essere il sapere” anziché “essere la reazione” e il giudice. Allora
saremo totalmente liberi dalla reazione, oppure reagiremo pur conservando il sapere, lo spazio in cui
la reazione è osservata e lasciata esistere. Essere il sapere crea uno spazio libero di presenza
affettuosa che consente a tutte le cose e persone di essere come sono. Se mettiamo in pratica tutto
questo, la persona amata non potrà stare con noi e allo stesso tempo rimanere inconsapevole.
Occorre all’interno della coppia esprimere reciprocamente pensieri e sentimenti non appena si
presentano, o non appena interviene una reazione, per cui non creiamo un intervallo temporale in cui
possa inasprirsi o crescere un’emozione e una lamentela inespresse o non riconosciute.
Impariamo ad ascoltare la persona amata in maniera aperta e non difensiva, lasciamole spazio
perché si esprima, essendo presenti. Così accusare, difendere, attaccare, schemi creati per rafforzare
o proteggere l’ego, diventano superflui. Questo è l’amore che non ha contrario.
Se la persona amata è ancora identificata con la mente e il corpo di dolore, mentre noi siamo già
liberi, questo rappresenterà una sfida importante per la persona amata. Non è facile vivere con una
persona illuminata, o, meglio, è così facile che l’ego lo trova estremamente minaccioso. Infatti l’ego
ha bisogno di problemi, conflitti e nemici per rafforzare il senso di separazione da cui dipende la sua
identità.
La mente della persona amata non illuminata si sentirà profondamente frustrata, perché le sue
posizioni prefissate non incontrano resistenza, il che significa che diventeranno deboli, e vi è perfino
il pericolo che crollino del tutto, con la conseguenza della perdita del sé. Il corpo di dolore esige un
riscontro e non lo ottiene, il bisogno di litigi, drammi e conflitti non viene soddisfatto.
Ma stiamo attenti: alcune persone che non reagiscono, che sono tagliate fuori dai propri sentimenti
possono cercare di convincere gli altri di essere illuminate, e che tutto ciò che non va è nella persona
amata. Gli uomini tendono a fare così più delle donne. Se non vi è emanazione di amore e gioia,
presenza completa nei confronti di altri esseri, allora non vi è illuminazione, vi è un autoinganno
incentrato sull’ego.
Se una donna viene minacciata dall’incapacità di lui di ascoltarla, di fornirle attenzione e spazio
per esistere, il che è dovuto alla mancanza di presenza da parte di lui, l’assenza di amore nel
rapporto, che di solito è avvertita più acutamente dalla donna che dall’uomo, innescherà il corpo di
dolore della donna, e attraverso questo, lei attaccherà il suo compagno. Per difendersi dall’attacco
del corpo di dolore di lei, che considera totalmente ingiustificato, egli si trincererà ancora più
profondamente nelle sue posizioni mentali, giustificandosi, difendendosi o contrattaccando. Alla fine
questo attiverà anche il suo corpo di dolore. Quando entrambi sono stati così sopraffatti, si è
raggiunto un livello di profonda inconsapevolezza, di violenza emotiva, fino a una fase latente alla
quale seguirà un ulteriore conflitto.
Ogni minaccia al rapporto è in realtà un’occasione di salvezza mascherata; in ogni fase del
processo disfunzionale che si sta svolgendo è possibile la libertà dall’inconsapevolezza. Per
esempio, l’ostilità della donna potrebbe diventare per l’uomo un segnale per uscire dal suo stato
identificato con la mente, per risvegliarsi nell’adesso, per diventare presente, invece di diventare
ancora più inconsapevole, di identificarsi ancora più con la mente.
Invece di identificarsi con il corpo di dolore, la donna potrebbe essere il sapere che osserva il
dolore emotivo in se stessa, accedendo così al potere di adesso e dando inizio alla trasformazione
del dolore. Ciò eliminerebbe la proiezione esterna ineluttabile e automatica del dolore stesso, e la
donna potrebbe esprimere al compagno i propri sentimenti. In questo modo nascerebbe uno spazio
limpido e tranquillo di consapevolezza pura: il sapere, il testimone muto, l’osservatore. Questa
consapevolezza consente al dolore di esistere, eppure lo trasforma allo stesso tempo.
Se noi siamo coerentemente o, almeno, prevalentemente presenti nel nostro rapporto, questa sarà la
più grande minaccia per la persona amata; non potrà tollerare la nostra presenza molto a lungo
rimanendo inconsapevole. Se è pronta, attraverserà quella porta che abbiamo aperto, e si unirà a noi
in quella condizione. Se non lo è, ci separeremo come olio e acqua. La luce è troppo dolorosa per chi
vuole rimanere al buio.

LA FEMMINILITÀ
Per una donna è più facile percepire il proprio corpo, per cui la donna è per natura più vicina
all’essere e all’illuminazione. Secondo i cinesi, il Tao, che ha analogie con l’essere, è “infinito,
eternamente presente, madre dell’Universo”. Per natura le donne vi sono più vicine degli uomini
perché “incarnano” il “non manifestato”. Inoltre, tutte le creature e tutte le cose alla fine devono
ritornare alla Fonte, che è considerata femminile, come un utero che fa nascere ogni cosa creata e la
alimenta e la nutre durante la sua vita come forma. Quando la mente ebbe il sopravvento e gli esseri
umani persero il contatto con la realtà della loro essenza divina, cominciarono a pensare a Dio come
a una figura maschile. La società divenne dominata dai maschi, e la femmina ne fu subordinata.
Il Dio tradizionale è una figura di essere irato di cui bisogna avere timore, come suggerisce
l’Antico Testamento; questo Dio è una proiezione della mente umana, che ha una frequenza energetica
prevalentemente maschile, perché lotta per prevalere, oppone resistenza, manipola, attacca, ecc.
Per andare al di là della mente e tornare in sintonia con la realtà più profonda dell’essere, sono
necessarie qualità molto diverse: abbandono, assenza di giudizio, mancata resistenza, larghezza di
vedute, capacità di racchiudere tutte le cose nell’abbraccio affettuoso del proprio sapere, qualità
molto più vicine al principio femminile. In questo momento, la grande maggioranza degli uomini e
delle donne è ancora nella morsa della mente: in genere gli uomini si identificano con l’entità
pensante, mentre le donne con il corpo di dolore, sebbene in certi casi individuali possa essere vero
il contrario.
Il corpo di dolore ha di solito un aspetto collettivo, oltre a uno personale. L’aspetto personale è il
residuo accumulato di dolore emotivo sofferto nel proprio passato, mentre quello collettivo, che in
certe nazioni è più pesante rispetto ad altre, è il dolore accumulato nella psiche umana nell’arco di
migliaia di anni attraverso malattie, torture, guerre, omicidi, crudeltà, pazzia.
Esiste anche un corpo di dolore collettivo femminile, che consiste del dolore accumulato dalle
donne nel loro assoggettamento da parte dell’uomo, attraverso schiavitù, sfruttamento, stupro, parto,
perdita di figli, nell’arco di migliaia di anni. Il dolore emotivo e fisico che per molte donne precede
e coincide con il flusso mestruale è il corpo di dolore nel suo aspetto collettivo che si risveglia dallo
stato latente, restringendo il libero flusso di energia vitale nel corpo, di cui la mestruazione è
un’espressione fisica.
Oggi il numero di donne che si avvicinano allo stato pienamente consapevole supera quello degli
uomini, e crescerà ancora più rapidamente negli anni futuri. Non è un caso che, statisticamente, su 10
persone che si curano con la medicina non convenzionale, 8 siano donne. Le donne stanno
riguadagnando la funzione che è un loro diritto innato: essere un ponte tra il mondo manifestato e il
“non manifestato”, tra fisicità e spirito. Sono le prime a rendersi conto che finché si costruisce
un’identità a partire dal dolore, non è possibile liberarsene.
Nel momento in cui si prende consapevolezza che si è attaccati al proprio dolore, si è interrotto tale
attaccamento. Il corpo di dolore è un campo energetico che ha trovato alloggio temporaneo nello
spazio interiore della persona, è energia vitale intrappolata, che non scorre più, rappresenta il
passato che vive in noi, e se noi ci identifichiamo con esso, ci identifichiamo con il passato.
Un’identità di vittima è la credenza secondo cui il passato è più importante del presente, il che è il
contrario della verità, è la credenza secondo cui gli altri sono responsabili della nostra identità
attuale, del nostro dolore emotivo e della nostra incapacità di essere il nostro vero sé. La verità è che
l’unico potere che esiste è il potere della nostra presenza, che noi siamo responsabili del nostro
spazio interiore nell’adesso, e che il passato non può prevalere sul potere di adesso.
Molte donne continuano ad aggrapparsi a un’identità di vittime collettive, ricordando continuamente
ciò che gli uomini hanno fatto alle donne nel corso della storia, la violenza maschile su di loro e la
repressione del principio femminile su tutto il pianeta. Se una donna si aggrappa ancora a collera,
risentimento o condanna, si aggrappa al proprio corpo di dolore; questo può darle un confortante
senso di identità e di solidarietà con altre donne, ma la mantiene in schiavitù verso il passato e
blocca il pieno accesso alla sua essenza, favorendo un senso di separazione e un conseguente
rafforzamento dell’ego.
Proprio il periodo mestruale, durante il quale molte donne sono sopraffatte dal corpo di dolore
collettivo femminile, potrebbe essere utilizzato per la trasformazione in consapevolezza. Quando si
verifica la tensione pre-mestruale, la donna dovrebbe divenire molto più vigile, e abitare il proprio
corpo quanto più pienamente possibile. Alla prima forte irritazione o al primo scatto di collera, o al
comparire dei primi sintomi fisici, occorre che la donna vi rivolga il riflettore dell’attenzione, prima
che si impadronisca del pensiero o del comportamento; bisogna “essere il sapere”, vale a dire essere
consapevoli della propria presenza e percepirne il potere.
Non bisogna lasciare che il corpo di dolore utilizzi la mente e si impadronisca del pensiero,
bisogna osservarlo, percepirne l’energia direttamente dentro il corpo, trasformando l’attenzione
totale in accettazione totale. Così arriva la trasformazione; il corpo di dolore si trasforma in
consapevolezza radiosa, e la mestruazione diventa non solo un’espressione gioiosa e appagante della
propria femminilità, ma anche un momento sacro di trasformazione, quando si dà alla luce una nuova
consapevolezza.
Anche il compagno può aiutarla in questa pratica. Quando il corpo di dolore della donna prende il
sopravvento durante le mestruazioni o in altri periodi, egli non lo scambierà per l’identità della
donna, perché se il corpo di dolore lo attacca, egli non reagirà, non si ritirerà né allestirà qualche
sorta di difesa, ma manterrà lo stato di presenza intensa. In questo modo nascerà fra i due un campo
energetico permanente di frequenza elevata e pura, realizzazione dello scopo divino e transpersonale
del rapporto affettivo.

IL BENE E IL MALE
Spesso giudichiamo ciò che ci accade in positivo e in negativo, senza renderci conto che vi sono
state molte persone per le quali la limitazione, il fallimento, la perdita, la malattia o il dolore sotto
qualunque forma si sono rivelati i loro principali maestri. Hanno insegnato loro a lasciar perdere le
false immagini di sé, e gli obiettivi e i desideri superficiali imposti dall’ego. Tutto questo ha dato
loro profondità, umiltà e compassione, li ha fatti sentire più reali. Quando ci accade qualcosa di
negativo, vi è una lezione profonda nascosta al suo interno, anche se sul momento possiamo non
vederla; perfino una malattia o un incidente possono mostrarci ciò che è reale e irreale nella nostra
vita, cosa è veramente importante.
Tutte le condizioni di vita sono sempre positive, o per meglio dire non sono né positive né
negative: sono come sono. Quando noi viviamo in completa accettazione di ciò che esiste (unico
modo sano di vivere), nella nostra vita non vi sono più né bene né male. Vi è solo un bene superiore,
che include anche il male. Infatti “il male è quel bene che non sappiamo ancora accettare, la
negatività è quella positività che non sappiamo ancora riconoscere”.
Quando è appena morta una persona cara, o quando sentiremo avvicinarsi la nostra stessa morte,
non possiamo o non potremo essere felici, però possiamo o potremo essere in pace e in serenità
interiore, nonostante la tristezza e le lacrime. Questa pace interiore è l’emanazione dell’essere, il
bene che non ha contrario. Accettare ciò che esiste ci libera immediatamente dal dominio della mente
e dalla resistenza, e così ci ricollega all’essere. Duemila anni fa Marco Aurelio affermava: “Accetta
ciò che ti arriva intessuto nella trama del destino; che cosa, infatti, potrebbe adattarsi meglio ai tuoi
bisogni?”.
La maggior parte della gente fa esperienza di molte sofferenze prima di abbandonare la resistenza e
accettare, prima di perdonare. Non appena lo fa, accade uno dei miracoli più grandi: il risveglio
della “consapevolezza-essere” attraverso ciò che appare come male, la trasformazione della
sofferenza in pace interiore.
L’effetto ultimo di tutto il male e di tutta la sofferenza del mondo è che costringerà gli esseri umani
a rendersi conto di ciò che sono al di là del nome e della forma. Pertanto, ciò che percepiamo come
male dal nostro punto di vista limitato fa parte in realtà del bene superiore che non ha contrario.
Questo, però, non si avvera per noi se non tramite il perdono. Finché ciò non avviene, il male non è
stato redento e, pertanto, continua a essere male.
Attraverso il perdono, che essenzialmente significa riconoscere l’inconsistenza del passato e
consentire al momento presente di essere così com’è, il miracolo della trasformazione accade sia
interiormente sia esteriormente. Uno spazio silenzioso di presenza intensa si crea sia in noi sia
intorno noi. Chiunque o qualunque cosa entri in tale campo di consapevolezza ne sarà influenzato,
talvolta in modo visibile e immediato, talvolta a livelli più profondi, con la comparsa,
successivamente, di cambiamenti visibili. Questo è molto importante per i medici, che potrebbero
dissolvere la discordia, guarire il dolore e scacciare l’inconsapevolezza senza fare nulla,
semplicemente “essendo” e mantenendo quella frequenza di presenza intensa.
Gran parte del cosiddetto male che avviene nella vita delle persone è dovuto all’inconsapevolezza,
ed è creato dall’ego, dalla mente che gestisce la nostra vita quando non siamo presenti come
consapevolezza testimone, come osservatori. L’ego si percepisce come frammento separato in un
universo ostile, senza alcuna connessione interiore con ogni altro essere, circondato da altri ego che
considera potenziali minacce, o che cercherà di usare per i propri fini, combattendo la sua radicata
paura attraverso resistenza, dominio, potere, avidità, difesa, attacco. Queste strategie sono
estremamente abili, eppure non risolveranno mai alcun problema, semplicemente perché il problema
è l’ego stesso.
Quando gli ego si riuniscono insieme, sotto forma di organizzazioni o istituzioni, prima o poi
accade il “male”: conflitti, problemi, lotte di potere, violenza emotiva e fisica, sino a mali collettivi
come guerre, genocidi, tutti dovuti all’inconsapevolezza accumulata.
Anche molti tipi di malattie sono causati dalla resistenza continua dell’ego, che crea restrizioni e
blocchi nel flusso di energia attraverso il corpo. Quando ci sentiamo dispiaciuti per noi stessi,
quando ci sentiamo in colpa o in ansia, quando lasciamo che il passato o il futuro oscurino il
presente, creiamo il tempo, il tempo psicologico; non onoriamo il momento presente (consentendogli
di essere) e quindi creiamo il dramma. Quasi tutti sono innamorati del proprio dramma di vita, la
loro storia è la loro identità, l’ego gestisce la loro vita e vi hanno investito l’intero loro senso del sé.
Fintanto che sono la loro mente, ciò che temono, e a cui resistono di più, è il loro risveglio.
Quando viviamo in completa accettazione di ciò che esiste, questa è la fine di ogni dramma della
nostra vita; con noi nessuno può litigare, perché il litigio implica l’identificazione con la mente,
nonché resistenza e reazione alla posizione dell’altra persona, in piena inconsapevolezza. Possiamo
ancora esprimere la nostra opinione chiaramente e fermamente, ma non vi sarà dietro nessuna forza
reattiva, nessuna difesa e nessun attacco. Quando siamo pienamente consapevoli, smettiamo di essere
in conflitto con noi e col mondo.

I CICLI DELLA VITA


Se ammettiamo l’esistenza di tutte le cose, si rivela a noi una dimensione più profonda al di sotto
del gioco degli opposti, come presenza costante, quiete profonda, gioia dell’essere, al di là del bene
e del male. A livello della forma, vi sono nascita e morte, creazione e distruzione, crescita e
dissoluzione, che si riflettono ovunque, nel ciclo di vita di una stella o di un pianeta, nel corpo fisico,
in un albero, in un fiore, nell’ascesa e nel crollo di nazioni, sistemi politici, civiltà. Negli individui
vi sono cicli di successo e cicli di fallimento, nei quali dobbiamo lasciar andare le cose vecchie per
fare spazio alla nascita di cose nuove, affinché avvenga la trasformazione. Se opponiamo resistenza,
significa che rifiutiamo di seguire il flusso della vita, e soffriamo.
Non è vero che il ciclo ascendente sia bene e il ciclo discendente sia male, se non nel giudizio
della mente. Se la crescita dovesse proseguire all’infinito, prima o poi diverrebbe mostruosa o
distruttiva. La dissoluzione è necessaria perché avvenga una nuova crescita, l’una non può esistere
senza l’altra. Il ciclo discendente è assolutamente essenziale per la realizzazione spirituale, perché
bisogna andare incontro a una crisi profonda o aver sperimentato qualche perdita o dolore profondi
per essere attratti verso la dimensione spirituale.
Anche la nostra energia fisica è soggetta a cicli, e vi saranno momenti di energia ridotta e altri di
energia elevata, con cicli grandi e piccoli. Molte malattie vengono create dalla lotta contro i cicli di
energia ridotta, che sono vitali per la rigenerazione. L’ineluttabilità del fare e la tendenza a trarre il
nostro senso di valorizzazione del sé da fattori esterni quali il successo sono un’illusione inevitabile
fintanto che ci identifichiamo con la mente. Ciò rende difficile o impossibile accettare i cicli
discendenti e consentire loro di essere. Pertanto l’intelligenza dell’organismo può avere il
sopravvento come misura di autodifesa, e crea una malattia per costringerci a fermarci, in modo che
possa aver luogo la necessaria rigenerazione.
La natura ciclica dell’universo è strettamente legata alla transitorietà di tutte le cose e le situazioni.
Tutto finisce o cambia, oppure può subire uno spostamento di polarità: la stessa condizione che era
“bene” ieri o l’anno scorso è improvvisamente o gradatamente diventata “male”. La stessa
condizione che ci rendeva felici ci rende infelici. Le nozze e la luna di miele felici diventano il
divorzio infelice o la convivenza infelice.
Buddha insegnava che perfino la nostra felicità è sofferenza o insoddisfazione, cioè è inseparabile
dal suo contrario, e la felicità e l’infelicità sono separate soltanto dall’illusione del tempo. Questo
non vuol dire essere negativi, significa semplicemente riconoscere la natura delle cose, in modo da
non seguire illusioni per il resto della vita. Né vuol dire che non dobbiamo più apprezzare condizioni
belle o piacevoli, ma cercare attraverso queste qualcosa che non possono dare (un’identità, un senso
di stabilità o di appagamento) è una ricetta per la sofferenza.
L’intera industria della pubblicità e la società dei consumi crollerebbero se la gente divenisse
illuminata e non cercasse più di trovare la propria identità attraverso gli oggetti. Questi possono
darci piacere temporaneo, ma non possono darci gioia.
La gioia è priva di causa e nasce dall’interno come gioia dell’essere. Solo imparando a non
opporre resistenza a ciò che esiste, a consentire al momento presente di essere, e ad accettare la
natura transitoria di tutte le cose e condizioni si trova la pace. Quando la nostra dipendenza interiore
dalla forma e la resistenza vengono meno, le condizioni generali della nostra vita, le forme esteriori,
tendono a migliorare notevolmente. Cose, persone o condizioni che ritenevamo necessarie per la
nostra felicità ora arrivano a noi senza lotta o sforzo da parte nostra.
Ogni resistenza interiore viene percepita come negatività, perché resistenza e negatività sono
sinonimi. L’ego ritiene, attraverso la negatività, di poter manipolare la realtà e ottenere ciò che vuole;
quando ci identifichiamo con qualche forma di negatività, non vogliamo lasciarla andare, e
inconsapevolmente non vogliamo un cambiamento positivo, perché questo minaccerebbe la nostra
identità di persone depresse e incollerite.
La negatività è del tutto innaturale, è un inquinante psichico, e vi è un legame profondo tra
l’avvelenamento e la distruzione della natura e la vasta negatività che si è accumulata nella psiche
collettiva umana. Nessun’altra forma di vita viola o avvelena la Terra che la sostiene. Gli unici
animali che possono avere occasionalmente esperienza di qualcosa di simile alla negatività o
mostrare segni di comportamento nevrotico sono quelli che vivono a stretto contatto con gli esseri
umani e pertanto sono collegati alla mente umana e alla sua follia. Osserviamo qualunque pianta o
animale e lasciamo che ci insegni l’accettazione di ciò che esiste, l’abbandono all’adesso, l’essere,
che ci insegni a vivere e a morire, e a non fare del vivere o del morire un problema.
Le emozioni negative ricorrenti, le negatività che attraversiamo e le malattie racchiudono davvero
un messaggio, che consiste nell’invito a esercitare un cambiamento a livello di consapevolezza, a
diventare maggiormente presenti. Quando percepiamo nascere dentro di noi la negatività, causata da
un fattore esterno, da un pensiero o da nulla di cui siamo consapevoli, consideriamola una voce che
dice: “Attenzione, qui e ora, svegliati!”. Allora possiamo lasciarla andare, facendola ritornare nel
flusso, oppure possiamo immaginare di diventare trasparenti alla causa esterna della reazione; ad
esempio, mentre siamo tranquilli nella nostra abitazione veniamo disturbati dal suono penetrante
dell’allarme di un’auto dall’altro lato della strada. L’irritazione viene creata dalla mente in modo
automatico, perché essa sostiene la credenza inconsapevole secondo cui la sua resistenza, che noi
percepiamo come negatività, in qualche modo dissolverà la condizione indesiderabile. Questa
naturalmente è un’illusione. Invece occorre consentire al rumore di attraversarci, in modo da non
colpire più una parete solida dentro di noi. Facciamo in modo che non ci sia dentro di noi una parete
di resistenza che viene colpita continuamente e dolorosamente da cose che “non dovrebbero
succedere”, lasciamo che tutto ci attraversi.
Altro esempio: qualcuno ci dice qualcosa di sgarbato o con l’intento di offendere. Invece di
passare a una reazione inconsapevole e alla negatività, come attacco o difesa, lasciamo che ci
attraversi, non opponiamo resistenza. È come se non vi fosse più nessuno a offendersi. Questo è
perdono, così diventiamo invulnerabili. Possiamo anche dire a quella persona che il suo
comportamento è inaccettabile, ma quella persona non ha più il potere di dominare il nostro stato
interiore. Così noi siamo in nostro potere, non in potere di qualcun altro, e non siamo gestiti dalla
nostra mente.
L’espressione di Gesù “porgere l’altra guancia”, spesso fraintesa, trasmette simbolicamente il
segreto della non resistenza e della non reazione. In questa affermazione, come in tutte le altre da lui
pronunciate, il suo interesse era rivolto solo alla nostra realtà interiore, non alla condotta esteriore
della nostra vita.
Avendo superato i gruppi di opposti creati dalla mente, diventiamo come un lago profondo; la sua
superficie è la situazione esteriore della nostra vita, a volte calma, a volte agitata, a seconda dei cicli
e delle stagioni. In profondità, però, il lago è sempre indisturbato. Noi siamo l’intero lago, non
soltanto la superficie, e siamo in contatto con l’essere profondo, che rimane assolutamente calmo. In
questa condizione, interpreteremo il corpo e la mente di un’altra persona (un altro lago) come un
semplice schermo, dietro cui possiamo sentire la sua vera realtà, come percepiamo la nostra.
Quindi, quando un medico o un terapeuta si trova di fronte alla sofferenza o al comportamento
inconsapevole di qualcun altro, dovrebbe rimanere presente e in contatto con l’essere, in modo da
guardare al di là della forma. Al livello dell’essere ogni sofferenza è riconosciuta come illusione,
per l’identificazione con la forma. Talvolta accadono miracoli di guarigione attraverso questa
constatazione, risvegliando la consapevolezza dell’essere in altri, se sono pronti. Questa è la
compassione, che è consapevolezza di un legame profondo tra noi e tutte le creature.
La prossima volta che diciamo “non ho niente in comune con questa persona”, ricordiamoci che
abbiamo tanto in comune: fra qualche anno, domani o tra 70 anni, entrambi saremo diventati cadaveri
putrescenti, quindi mucchio di polvere, quindi niente. Questo non è un pensiero negativo, è un dato di
fatto, che ci fa comprendere che vi è uguaglianza totale fra noi e ogni altra creatura. Cerchiamo di
morire prima di morire. Pensiamo che, dopo che la nostra forma fisica si dissolve, arriva un
momento in cui muoiono anche tutte le forme mentali o i pensieri. Ciò che sopravvive è solo la
presenza divina che è in noi. La constatazione di questa dimensione senza morte, della nostra vera
natura, è l’altro aspetto della compassione.
Ad un livello di percezione profonda noi adesso riconosciamo non soltanto la nostra immortalità,
ma attraverso la nostra anche quella di ogni altra creatura. A livello della forma, condividiamo la
mortalità e la precarietà dell’esistenza; a livello dell’essere, condividiamo la vita eterna. Questi
sono i due aspetti della compassione, nella quale i sentimenti apparentemente contrapposti di
tristezza e gioia si fondono insieme e si trasformano in una profonda pace interiore, la pace di Dio,
che ha grande potere di guarigione e trasformazione, ed è uno dei sentimenti più nobili di cui siano
capaci gli esseri umani.
Il corpo e la morte fanno parte della stessa illusione, creata dalla modalità di consapevolezza
incentrata sull’io, che si vede separata e costantemente minacciata. Pertanto crea l’illusione che noi
siamo un corpo, un veicolo denso e fisico che è costantemente minacciato.
Percepire noi stessi come corpo vulnerabile che è nato e che morirà: questa è l’illusione. Il corpo è
un’incredibile percezione errata della nostra vera natura. Ma essa è nascosta da qualche parte dentro
tale illusione, non al di fuori di essa, per cui il corpo è ancora l’unico punto di accesso a tale natura.
La nostra percezione del mondo è un riflesso del pensiero, che in ogni momento crea il mondo che
noi abitiamo. Una delle più grandi intuizioni che sono venute fuori dalla fisica moderna è, come già
detto, il principio di indeterminazione di Heisemberg, che esprime l’unità tra osservatore e fenomeno
osservato: la persona che conduce l’esperimento (la consapevolezza osservante) non può essere
separata dai fenomeni osservati, e un modo diverso di guardare fa sì che i fenomeni osservati si
comportino diversamente. Se noi crediamo nella separazione e nella lotta per la sopravvivenza,
allora vediamo questo modo di credere riflesso tutt’intorno a noi, e le nostre percezioni sono
governate dalla paura, perché pensiamo di abitare un mondo di morte e di corpi che lottano, si
uccidono e si divorano l’un l’altro. Niente è ciò che sembra essere. Il mondo che noi creiamo e
vediamo attraverso la mente incentrata sull’io può sembrare un luogo imperfetto, una valle di
lacrime, ma tutto ciò che percepiamo è solo una sorta di simbolo, come un’immagine in un sogno. È il
modo in cui la nostra mente interpreta e interagisce con la danza energetica molecolare
dell’Universo, e tale energia è la materia prima della cosiddetta realtà fisica.
In effetti, esistono un numero infinito di interpretazioni completamente diverse, di mondi
completamente diversi, tutti dipendenti dalla mente che li percepisce. Ogni essere è un punto focale
di consapevolezza, e ogni punto focale crea il proprio mondo, sebbene tutti questi mondi siano
interconnessi. Vi è un mondo umano, un mondo delle formiche, un mondo dei delfini, e così via. Vi
sono innumerevoli esseri la cui frequenza di consapevolezza è tanto diversa dalla nostra che noi
probabilmente siamo inconsapevoli della loro esistenza, come loro lo sono della nostra.
Poiché il nostro mondo è un riflesso della mente incentrata sull’ego, e la paura è una conseguenza
inevitabile di tale illusione, esso è un mondo incentrato sulla paura e sui pesanti strati di negatività
che si sono accumulati nella psiche collettiva umana. Se ci risvegliamo dall’illusione della forma,
possiamo percepire le nostre radici nel “non manifestato” e cominciamo a dare un contributo reale
alla creazione di un mondo migliore, di un differente ordine di realtà. È solo a questo punto che
siamo in grado di provare vera compassione e di aiutare gli altri a livello della causa, tenendo
presente la duplice natura della vera compassione, che è consapevolezza di un legame comune di
mortalità e immortalità. A questo livello profondo, la compassione diventa guarigione, basata
principalmente non sul fare ma sull’essere; così diventiamo la “luce del mondo”, un’emanazione di
consapevolezza pura, eliminando l’inconsapevolezza dal mondo, e quindi la sofferenza a livello
della causa. Ciò non significa che non possiamo anche insegnare attraverso il fare, per esempio,
indicando come disidentificarsi con la mente o riconoscere gli schemi inconsapevoli dentro di sé. Ma
ciò che siamo è sempre un insegnamento più vitale e un agente di trasformazione del mondo più
potente di ciò che diciamo o facciamo. Per di più, riconoscere il primato dell’essere, e pertanto
operare a livello della causa, non esclude la possibilità che la nostra compassione possa
contemporaneamente manifestarsi a livello del fare, alleviando la sofferenza altrui. Se un affamato ci
chiede del pane, e noi glielo diamo, anche se questa interazione può essere brevissima, ciò che
importa realmente è questo momento di essere condiviso, di cui il pane è soltanto un simbolo. Qui ha
luogo una profonda guarigione, e in questo momento non vi è nessuno che dà, nessuno che riceve. Se
sentiamo la vocazione di alleviare la sofferenza del mondo, questa è una cosa assai nobile, ma non
dobbiamo concentrarci esclusivamente sull’esteriore, altrimenti andremo incontro a frustrazione e
disperazione. Senza un cambiamento profondo nella consapevolezza umana, la sofferenza del mondo
è un pozzo senza fondo.
L’immedesimazione nel dolore provato dagli altri e il desiderio di aiutare devono essere
controbilanciati da una più profonda comprensione della natura eterna di ogni forma di vita. Questo
vale anche se sosteniamo un movimento teso a impedire agli esseri umani profondamente
inconsapevoli di distruggere se stessi, i propri simili e il pianeta, perché così come non si può
combattere il buio, non si può combattere l’inconsapevolezza; se cerchiamo di farlo, le polarità
opposte si rafforzeranno e si radicheranno più in profondità. Noi ci identificheremo con una delle
polarità, creeremo un nemico da combattere, e così verremo attirati a nostra volta
nell’inconsapevolezza. Dobbiamo accrescere la consapevolezza diffondendo informazioni, o, al
massimo, praticando una resistenza passiva, senza portare dentro di noi odio, resistenza e negatività.
Non dobbiamo avere nemici.

L’ABBANDONO
Per molti l’abbandono può avere connotazioni negative, che implicano la sconfitta, la rinuncia, il
non essere all’altezza delle sfide della vita, l’apatia. Il vero abbandono è però qualcosa di
completamente diverso, non significa sopportare passivamente la situazione in cui ci si trova o
smettere di fare progetti. L’abbandono è la saggezza semplice ma profonda di “lasciarsi andare”,
anziché opporsi al flusso della vita. L’unico punto in cui possiamo avere esperienza del flusso della
vita è l’adesso, per cui abbandono significa accettare incondizionatamente e senza riserve il momento
presente, abbandonare la resistenza interiore a ciò che esiste, accettandolo al di là del giudizio
mentale e della negatività emotiva. La resistenza diventa particolarmente pronunciata quando le cose
“vanno storte”, e si afferma il dolore. È in questo momento che bisogna praticare l’abbandono, se si
vuole eliminare il dolore fisico e morale dalla propria vita.
L’accettazione di ciò che esiste ci libera immediatamente dall’identificazione con la mente, e ci
ricollega all’essere. L’abbandono è un fenomeno puramente interiore, e non significa che a livello
esteriore non possiamo intraprendere azioni e modificare la situazione. Se siamo impantanati nel
fango, non dobbiamo rassegnarci, e dobbiamo riconoscere che è necessario tirarci fuori. La
rassegnazione non è abbandono. Non è necessario accettare una situazione di vita indesiderabile o
spiacevole. Restringiamo la nostra attenzione all’adesso, senza etichettarlo mentalmente in alcun
modo e senza esprimere alcun giudizio.
Allora intraprendiamo un’azione e facciamo tutto ciò che possiamo per tirarci fuori dal fango;
quest’azione positiva è molto più efficace dell’azione negativa, che nasce dalla collera, dalla
disperazione e dalla frustrazione. Il mancato abbandono indurisce la nostra forma psicologica,
l’involucro dell’ego, e crea un forte senso di separazione; percepiamo il mondo e gli altri come
minacciosi (questa è la paranoia), nasce l’ineluttabilità inconsapevole di distruggere gli altri
attraverso il giudizio, oltre alla necessità di competere e dominare. Anche il nostro corpo diventa
rigido e duro attraverso la resistenza; si genera tensione in varie parti del corpo, e il corpo nel suo
insieme si contrae. Il libero flusso di energia vitale attraverso il corpo, che è essenziale per il suo
funzionamento sano, viene notevolmente ristretto.
Se troviamo insoddisfacente o perfino intollerabile la nostra situazione di vita, è solo mediante
l’abbandono che possiamo spezzare lo schema inconsapevole di resistenza che perpetua tale
situazione. L’abbandono è perfettamente compatibile con l’intraprendere azioni, il dare inizio a
cambiamenti o il raggiungere obiettivi. Ma nello stato di abbandono fluisce nel nostro comportamento
un’energia completamente diversa, equivalente all’energia primaria dell’essere.
Si potrebbe chiamare “azione nell’abbandono”, facendo una cosa per volta e concentrandoci su una
cosa per volta, come una torcia elettrica che fende la nebbia. Domandiamoci: “Vi è qualcosa che
posso fare per modificare la situazione, migliorarla o allontanarmene?”. In caso affermativo,
intraprendiamo l’azione opportuna, non relativa alle cento cose che faremo in futuro (proiettando
filmati mentali), ma all’unica cosa che possiamo fare adesso. Tale azione può non avere frutti
immediati, l’importante è non opporre resistenza a ciò che esiste. Se non vi è alcuna azione che
possiamo intraprendere, e non possiamo nemmeno allontanarci dalla situazione, allora utilizziamola
per entrare più in profondità nell’adesso e nell’essere. Quando entriamo in questa dimensione senza
tempo del presente, il cambiamento spesso ha luogo in modi strani e senza necessità di grandi azioni
da parte nostra. Se fattori interiori, quale paura, senso di colpa o inerzia, ci impedivano di
intraprendere un’azione, si dissolveranno alla luce della nostra presenza consapevole.
Non confondiamo l’abbandono con un atteggiamento equivalente a dire “non me ne importa più
nulla”, perché spesso tale comportamento è contaminato da negatività sotto forma di risentimento
nascosto, sotto forma di resistenza mascherata. Nel vero abbandono dobbiamo rivolgere la vera
attenzione verso l’interno per controllare se vi sono tracce residue di resistenza dentro di noi.
Bisogna riconoscere che vi è effettivamente resistenza, essere lì quando nasce, come la mente la crea,
come etichetta la situazione, noi stessi e gli altri. Si deve guardare il processo di pensiero che ne è
coinvolto, percepire l’energia dell’emozione. Essendo testimoni della resistenza, vedremo che non
serve ad alcuno scopo.
Negatività, infelicità o sofferenza sotto qualunque forma significano che vi è resistenza, la quale è
sempre inconsapevole. Se fossimo consapevoli, cioè totalmente presenti nell’adesso, ogni negatività
si dissolverebbe quasi istantaneamente, non potrebbe sopravvivere in nostra presenza. Noi
manteniamo viva la nostra infelicità fornendole tempo; allora eliminiamo il tempo attraverso
un’intensa consapevolezza del momento presente, ed ecco che l’infelicità muore.
Finché non pratichiamo l’abbandono, la dimensione spirituale non può divenire una realtà viva
nella nostra vita; mediante l’abbandono viene alla luce l’energia spirituale, che ha una frequenza di
vibrazione molto più elevata rispetto all’energia mentale che continua a gestire il nostro mondo, e
che, al contrario di quest’ultima, non inquina la terra e non è soggetta alla legge della polarità (legata
alla necessità del bene e del male). L’energia spirituale dissolve gli schemi inconsapevoli della
mente, sviluppandosi dall’abbandono, che è un potente fattore di trasformazione di situazioni e
persone.
Le persone inconsapevoli (la maggioranza degli uomini) sono tagliate fuori dall’essere, per cui
tentano di ricavare dagli altri energia e potere, cercano di usare o manipolare gli altri, e
contemporaneamente vengono usati e manipolati. Se noi opponiamo resistenza o combattiamo il
comportamento inconsapevole degli altri, diventiamo a nostra volta inconsapevoli.
Ma abbandono non significa acconsentire a essere usati da persone inconsapevoli; è perfettamente
possibile dire di no fermamente e chiaramente a una persona o allontanarsi da una situazione e
trovarsi allo stesso tempo in uno stato di completa assenza di resistenza interiore. Quando diciamo di
“no” a una persona o a una situazione, questo “no” deve arrivare non da una reazione, ma da
un’intuizione, da una comprensione chiara di ciò che è giusto o sbagliato per noi in quel momento.
Deve essere un “no” libero da ogni negatività, non reattivo, di alta qualità.
Quando non riusciamo a praticare l’abbandono, dobbiamo intraprendere subito un’azione, dicendo
chiaramente come la pensiamo o fare qualcosa per apportare un cambiamento nella situazione, o
allontanarcene. I nostri rapporti personali saranno modificati profondamente dall’abbandono. Se non
possiamo accettare ciò che esiste, implicitamente non saremo in grado di accettare nessuno così
com’è. Giudicheremo, criticheremo, etichetteremo, rifiuteremo o cercheremo di cambiare gli altri.
Così facendo, realizzeremo di ogni persona con cui entriamo in relazione un mezzo rivolto a un fine.
Il rapporto personale assume allora per noi un’importanza secondaria, perché è fondamentale ciò che
possiamo trarre da tale rapporto, che si tratti di guadagno materiale, senso di potenza, piacere fisico
o qualche forma di gratificazione dell’ego.
Vediamo come opera l’abbandono nei rapporti interpersonali. Quando siamo coinvolti in un litigio
o in qualche situazione di conflitto con un’altra persona, cominciamo con l’osservare come
assumiamo un atteggiamento difensivo quando la nostra posizione viene attaccata, o con il percepire
la forza della nostra aggressione quando attacchiamo la posizione dell’altra persona. Osserviamo
l’attaccamento ai nostri punti di vista e alle nostre opinioni, percepiamo l’energia mentale-emotiva
dietro il nostro bisogno di avere ragione e di dare torto all’altra persona. Questa è l’energia della
mente incentrata sull’ego. La rendiamo consapevole riconoscendola. Se nel corso di un litigio
pratichiamo l’abbandono dell’intero campo energetico mentale-emotivo dentro di noi che lottava per
la supremazia, ci sentiremo molto leggeri, limpidi e profondamente in pace.
Ovviamente non bisogna lasciar perdere la reazione soltanto verbalmente dicendo “Va bene, hai
ragione tu”, equivalente a dire “Io sono al di sopra di questa inconsapevolezza infantile”. Questo
significa soltanto spostare la resistenza a un altro livello, con la mente incentrata sull’ego ancora in
posizione dominante, che rivendica la superiorità. Quando abbandoniamo la nostra identificazione
con una posizione mentale, possiamo osservare cosa accade alla mente dell’altra persona quando noi
non la riforniamo più di energia attraverso la resistenza; quando l’identificazione con le posizioni
mentali è sparita, ha inizio la vera comunicazione.
Assenza di resistenza non significa necessariamente non fare nulla; significa soltanto che qualunque
“fare” diventa non reattivo. “Non fare nulla”, quando si è in uno stato di intensa presenza, è un
potente agente di trasformazione e di guarigione di situazioni e persone; è radicalmente diverso
dall’inattività nello stato ordinario di inconsapevolezza che ha origine da paura, inerzia o
indecisione. Il vero “non agire” implica un’assenza di resistenza interiore e un’intensa vigilanza.
D’altro canto, se è necessaria un’azione, noi non reagiremo più a partire dalla nostra mente
condizionata, ma risponderemo alla situazione a partire dalla nostra presenza consapevole. L’ego
ritiene che nella nostra resistenza risieda la nostra forza, mentre in verità la resistenza è formata da
debolezza e paure mascherate da forza. Ciò che l’ego vede come debolezza è il nostro essere nella
sua purezza, innocenza e potenza, ciò che vede come forza è debolezza.
Nell’abbandono non abbiamo più bisogno delle difese dell’ego e delle sue false maschere; l’ego ci
fa pensare “È pericoloso, ti farai male, diventerai vulnerabile”. Ciò che l’ego non sa è che soltanto
diventando vulnerabile, mediante la rinuncia alla resistenza, possiamo scoprire la nostra vera ed
essenziale invulnerabilità.

LA MALATTIA E LE SITUAZIONI CATASTROFICHE


La malattia fa parte della nostra situazione di vita, e in quanto tale ha un passato e un futuro, che
formano un continuum ininterrotto, a meno che la potenza redentrice dell’adesso non venga attivata
attraverso la nostra presenza consapevole, il nostro essere nell’adesso senza tempo. Poiché
nell’adesso non vi sono problemi, non vi è nemmeno malattia. Credere in un’etichetta che qualcuno
appiccica alla nostra condizione di malattia le dà potenza e fa di uno squilibrio temporaneo una
realtà apparentemente solida, con una continuità nel tempo che prima non aveva.
Mediante la concentrazione su quest’istante e l’astensione dall’etichettarla mentalmente, la malattia
può essere ridotta a uno o più di questi fattori: dolore fisico, debolezza, sconforto o invalidità. Non
ci abbandoniamo all’idea di malattia, lasciamo che la sofferenza ci costringa a entrare nel momento
presente, in uno stato di intensa presenza consapevole, utilizziamola per l’illuminazione. Abbandono
non significa trasformare ciò che esiste, almeno non direttamente; l’abbandono trasforma noi. Quando
siamo trasformati, tutto il nostro mondo viene trasformato, perché il mondo è soltanto un riflesso.
La malattia non è il problema. Il problema siamo noi, fintanto che la mente incentrata sull’ego è in
posizione dominante. Quando siamo ammalati, non dobbiamo sentirci come se avessimo fallito, non
dobbiamo sentirci in colpa. Non incolpiamo la vita per averci trattato in modo sleale, ma non diamo
la colpa neanche a noi stessi. Tutto questo è resistenza. Se soffriamo di una malattia grave,
utilizziamola per l’illuminazione. Eliminiamo il tempo dalla malattia, non diamole passato né futuro.
Lasciamo che ci costringa a entrare in un’intensa consapevolezza del momento presente. Dobbiamo
diventare alchimisti, trasformare il metallo in oro, la sofferenza in consapevolezza, la catastrofe in
illuminazione. Soltanto una situazione limite ha il potenziale per rompere il duro involucro dell’ego e
costringere all’abbandono. Una situazione limite nasce quando, in seguito a una catastrofe, un grave
lutto o dolore, l’intero nostro mondo va in frantumi e non ha più senso. È un incontro con la morte,
fisica e psicologica. La mente incentrata sull’ego, creatrice di questo mondo, crolla. Dalle ceneri del
vecchio mondo può allora nascere un mondo nuovo.
La resistenza di alcune persone a ciò che esiste addirittura può intensificarsi in una tale situazione,
per cui diventa una discesa all’inferno. Invece, ogni volta che si verifica una catastrofe o qualcosa va
storto (malattia, invalidità, perdita della casa o del patrimonio o di un’identità socialmente definita,
rottura di un rapporto affettivo, morte o sofferenza di una persona cara, oppure la nostra morte
imminente) dobbiamo sapere che in tale situazione può verificarsi una completa trasformazione
alchemica del vile metallo del dolore e della sofferenza in oro, attraverso l’abbandono.
Con questa pace radiosa giunge la comprensione (non a livello della mente ma nella profondità
dell’essere) del fatto che noi siamo indistruttibili, immortali. Sapendo che ciò che esiste non può
essere disfatto (perché già esiste), diciamo di sì a ciò che esiste o accettiamo ciò che non esiste; così
non creiamo più negatività, né sofferenza né infelicità. Quando non siamo in grado di farlo, allora
creiamo qualche forma di dolore e di sofferenza, che nascono entrambi dalla resistenza.
Un’altra possibilità di abbandono è la seguente: se non possiamo accettare ciò che esiste
esteriormente, accettiamo ciò che esiste interiormente, cioè non opponiamo resistenza al dolore,
consentiamogli di esistere, percepiamolo pienamente, abbandoniamoci alla disperazione, alla paura,
alla solitudine, siamone testimoni senza etichette mentali.
Rimaniamo vigili e presenti con tutto il nostro essere, con ogni cellula del corpo. Così facendo,
apportiamo luce in questo buio; questa è la fiamma della nostra consapevolezza. Allora vedremo
come il miracolo dell’abbandono trasformi la sofferenza profonda in pace profonda. Così la nostra
crocifissione può diventare la nostra risurrezione e la nostra ascensione. La presenza elimina il
tempo; senza il tempo non può sopravvivere alcuna sofferenza, nessuna negatività.
L’accettazione della sofferenza è un viaggio nella morte, perché accettare il dolore profondo
significa entrare consapevolmente nella morte. Quando siamo morti di questa morte, ci rendiamo
conto che non vi è morte. Solo l’ego muore, perché la rinuncia alla resistenza (l’abbandono) è la fine
della mente come impostora che finge di essere “noi”, come falso dio. Il regno dell’essere, che era
stato oscurato dalla mente, allora si dischiude.
Molte persone trovano Dio attraverso l’abbandono, a cui sono costretti dalla loro intensa
sofferenza. In effetti, non è corretto dire “trovare Dio”, perché come possiamo trovare ciò che non è
mai andato perduto, la vita stessa che siamo noi? Dio non è un’entità diversa da noi, come ci hanno
insegnato, ma è l’essere stesso. Così non c’è più un rapporto soggetto-oggetto, né dualità, né noi
separati da Dio.
La via della croce è l’antica via verso l’illuminazione; significa che la cosa peggiore della nostra
vita, la nostra croce, si trasforma nella cosa migliore che ci sia mai capitata, costringendoci
all’abbandono, alla “morte”, a diventare Dio. Questa sofferenza viene inflitta non da Dio ma dagli
esseri umani a loro stessi e ai loro simili, nonché da certe misure difensive che la Terra, la quale è un
organismo vivente e intelligente, prenderà per proteggersi dall’assalto della follia umana. Tuttavia
oggi vi è un numero crescente di esseri umani la cui consapevolezza è sufficientemente evoluta da
non richiedere altra sofferenza prima della realizzazione dell’illuminazione. Noi possiamo essere fra
questi. L’illuminazione scelta consapevolmente significa eliminare l’attaccamento al passato e al
futuro e fare dell’adesso il fulcro principale della nostra vita.
Un paziente mi ha recentemente dato la più grande dimostrazione della verità di quanto detto finora.
Egli ha affermato, spontaneamente, che la sua vera vita è iniziata quando è stato arrestato, perché,
dopo aver scontato più di 3 anni di carcere, ha compreso i reali valori della vita, ed è passato da una
profonda inconsapevolezza, gestita dai beni materiali e dal denaro, alla consapevolezza del presente,
intrisa di aiuto al prossimo e di gioia per il “qui e ora”.

IL POTERE DI SCEGLIERE
Scegliere di dimorare nello stato di presenza anziché nel tempo, dire di sì a ciò che esiste ci
permette di non avere più bisogno del dolore e della sofferenza.
Molte persone spesso si invischiano numerose volte in rapporti con compagni sbagliati, perché la
mente, condizionata dal passato, cerca sempre di ricreare ciò che conosce e con cui ha familiarità.
L’ignoto è pericoloso perché la mente non vi esercita alcun dominio; ecco perché essa non ama e
ignora il momento presente. La consapevolezza del momento presente crea un intervallo non solo nel
flusso della mente, ma anche nel continuum passato-futuro, spazio vuoto di possibilità infinite.
Queste persone, identificate con la propria mente, ricreano uno schema appreso in passato, in cui
l’intimità e la violenza sono inseparabilmente legate, oppure recitano uno schema mentale appreso
nell’infanzia secondo cui si considerano indegne e meritano di essere punite. È anche possibile che
vivano una gran parte della loro vita attraverso il corpo di dolore, il quale cerca sempre dell’altro
dolore di cui alimentarsi.
Ciò che crea tutte le situazioni è sempre uno schema mentale-emotivo del passato, che gestisce la
nostra vita. Fintanto che la nostra mente con i suoi schemi condizionati gestirà la nostra vita, e noi
saremo la nostra mente, che scelta abbiamo? Nessuna, non esistiamo nemmeno, e creiamo ulteriore
sofferenza, portando il fardello di paura, conflitti, problemi e dolore. Noi non possiamo veramente
perdonare noi stessi o gli altri fintanto che traiamo il nostro senso del sé dal passato. Solo accedendo
al potere di adesso, che è la nostra potenza, può esservi vero perdono.
QUINTA PARTE
LA BENATTIA
L’OLOGRAMMA COSMICO E L’AMORE
Un ologramma è una fotografia tridimensionale ottenuta per mezzo della luce laser (che è coerente).
Un oggetto da fotografare è immerso nel raggio laser, mentre un secondo raggio laser è fatto
rimbalzare nel riflesso del primo, e il punto di incontro dei due raggi fusi insieme si imprime su una
pellicola. Essa, dopo lo sviluppo, sembra un insieme di linee oscure e luminose, ma appena è colpita
da un altro raggio laser, rivela un’immagine tridimensionale dell’oggetto originale. Inoltre ogni parte
dell’ologramma contiene le informazioni della totalità: se l’ologramma di una mela è tagliato a metà
e successivamente viene illuminato da un raggio laser, le due metà conterranno l’immagine intera. E
se suddividiamo ulteriormente le metà, ogni pezzetto di pellicola conterrà una visione rimpicciolita
ma intatta dell’originale. Quindi, nell’ologramma ogni parte contiene l’essenza del tutto.
L’ologramma è una forma di interferenza energetica, il cui modello deve essere utilizzato in
medicina; infatti, ogni cellula contiene la copia del programma di tutto il DNA, con informazioni
sufficienti a costruire un intero corpo umano. Ciò che viviamo è coordinato da un disegno olografico
che ci riporta a Dio; noi siamo l’effetto di questo tipo di disegno, perché portiamo dentro tutta la
realtà di Dio.
Dio è luce coerente ordinata, e noi siamo l’immagine olografica di Dio; se vediamo con la luce
incoerente osserviamo solo il corpo, se usiamo la luce coerente (ad esempio la meditazione, o
tecniche che annullano il campo mentale) si risveglia il Dio che è in noi, e Dio torna a essere
presente in noi. Solo con la luce coerente è possibile vedere l’immagine olografica (il tutto in un
particolare).
Lo stesso Universo è un ologramma cosmico, un’enorme struttura di interferenze energetiche, per
cui ogni parte dell’Universo non solo contiene ma anche contribuisce all’informazione del tutto.
“Come in alto, così in basso”: quanto più profondamente conosciamo noi stessi (in basso), tanto più
possiamo conoscere l’Universo intorno a noi (in alto). Secondo il principio di complementarietà, gli
elettroni sono nello stesso tempo onde e particelle, mettendo in atto contemporaneamente i due
comportamenti. Se il fotone rallenta, diventa particella; per passare da energia a materia basta
rallentare la velocità vibrazionale. La materia è quindi luce congelata. Ogni volta che esprimiamo un
rifiuto, trasformiamo l’energia in materia: ecco arrivare in difesa dell’Anima la malattia,
l’infiammazione, che trasforma la materia in energia, come con il calore il ghiaccio si trasforma in
acqua e poi evapora.
Ogni anima che scende rallenta la sua vibrazione, e s’incarna in un corpo; durante la vita, però, il
corpo dovrebbe aumentare le sue vibrazioni, e l’infiammazione (che è anche passione, amore, perché
quando amiamo ci infiammiamo, ci emozioniamo) permette questo tipo di evoluzione. Infatti,
l’infiammazione, oltre che biologica, può anche essere emozionale. Poiché la materia è luce
congelata, più ci rallentiamo attraverso giudizi e condanne, più diventiamo materiali. Così arriva la
malattia, per permettere alla materia di ridiventare energia.
La materia è composta da un’infinita combinazione di corpi energetici complessi, governati da
leggi naturali. Anch’essa, come la luce, ha caratteristiche vibratorie.
L’ologramma cosmico, che è contenuto anche nell’uomo, visto che in lui c’è tutto l’Universo, è
composto di strutture composte da interferenze energetiche a vari livelli frequenziali che si
sovrappongono; ogni struttura olografica di una specifica frequenza porta informazioni di un tipo
relativo a quella finestra frequenziale. Questa è la legge della similitudine (simile frequenziale).
L’ologramma cosmico è la somma di molti ologrammi frequenziali sovrapposti, ognuno dei quali
contiene informazioni di natura diversa sull’Universo.
Il nostro cervello costruisce la realtà oggettiva attraverso l’interpretazione di frequenze che sono
proiezioni di un’altra dimensione, che è oltre lo spazio e il tempo; esso è un ologramma contenuto in
un universo olografico. Da ciò si può dedurre che noi abbiamo due aspetti di realtà molto diversi: nel
primo, ci possiamo riconoscere come corpi fisici che si muovono nello spazio; nel secondo, siamo
uno degli schemi di interferenza contenuti attraverso l’ologramma cosmico, oltre lo spettro
elettromagnetico della luce visibile.
È stupefacente osservare, alla stregua di uno straordinario gioco di specchi, come l’idea di Platone
del mito della caverna dia risalto alle scoperte attuali, le quali spiegano quello che i pensatori antichi
avevano già intuito. Platone sosteneva, infatti, che l’uomo, messo in una caverna, non vedeva su una
parete la realtà, ma delle ombre che erano la rappresentazione della realtà che era dietro le sue
spalle.
La comprensione multidimensionale della realtà necessita dell’apprendimento di un nuovo
linguaggio: l’ologramma, che si percepisce attraverso i simboli utilizzando l’emisfero cerebrale
destro, quello intuitivo, creativo, immaginativo, spaziale, olistico, femminile.
Se non siamo coerenti con noi stessi, non possiamo essere coerenti con i nostri pazienti e per i
nostri pazienti. Gesù era sempre in contatto con questa verità, perché era focalizzato e coerente col
Padre. Quando ci differenziamo dagli altri, diventiamo incoerenti. Gesù, invece, vedeva sempre il
significato di Dio in ogni cosa.
L’obiettivo di ogni meditazione, o della respirazione, è fare il vuoto mentale; così scatta
l’ologramma di base. Il nostro progetto deve basarsi sull’amore. Se entriamo nella dinamica di non
amore e di non accettazione, creiamo il Karma, cioè andiamo contro la vita. In realtà, il Karma non è
qualcosa di negativo, perché deve essere inteso come un’opportunità che ci fa tornare all’amore,
accettando l’esperienza. Quindi il Karma è un servomeccanismo, uno strumento, non è collegato con
la sofferenza, come pensano alcuni.
Quando stiamo male è perché andiamo contro la vita, c’è sempre un rifiuto, una non accettazione. È
l’ego, la parte materiale che controlla, e ipercontrollando va contro la vita e si attira il Karma.
Secondo le filosofie orientali, il Karma è l’insieme dei conflitti non risolti accumulati nelle vite
precedenti. Mai combattere una situazione, è come nuotare controcorrente in un fiume.
Ogni sostanza ha una frequenza, o una serie di frequenze caratteristiche; anche una pietra ha una sua
vibrazione, soltanto che non è registrabile dai nostri sensi. Ogni stimolo, che giunge a un sistema con
un suo meccanismo di difesa, determina un’alterazione della velocità di vibrazione; se lo stimolo è
più forte del meccanismo di difesa, la risposta sarà un cambiamento della frequenza di risonanza
dell’organismo: ecco il “sintomo” (spesso preceduto da un periodo di incubazione).
Il medico non deve osservare solo il sintomo della patologia che appare, ma il terreno su cui tale
sintomatologia si inserisce. L’ars medica si rivolge, quindi, a una complessità in continua evoluzione,
facendo prendere coscienza all’individuo malato dei meccanismi psicoemozionali che hanno posto
quel terreno nelle condizioni di esprimere quel sintomo. Quanto più il malessere è profondo tanto più
c’imbattiamo nei blocchi energetici relazionali e comportamentali di quel malato.
Nella vita non sono tanto importanti i fatti, ma come ognuno di noi vive e percepisce quei fatti.
L’oggettività, cioè la parte determinata della realtà, ci occorre per definire i limiti entro i quali
muoverci, e ci offre una serie di parametri con i quali confrontarci.
La soggettività, cioè la quota indeterminata della stessa realtà, è la caratteristica del nostro mondo
emotivo; attraverso questa, emergono le differenze nelle emozioni, gli stati d’animo, il nostro modo
di percepire gli altri. Come potrebbe accadere che una stessa persona, in un medesimo contesto,
risulti simpatica a uno e antipatica a un altro, se non postulassimo l’esistenza della “risonanza” di un
fenomeno empatico? Quindi, al di là dell’oggettivo comportamento di quella persona, esiste una
vasta “zona d’interazione” in cui quel comportamento viene a confrontarsi con i meccanismi
esistenziali inconsci degli altri. Il risultato sarà di accettazione, se l’azione del nostro interlocutore
evidenzia qualità o caratteristiche che risuonano con quelle parti accettate della nostra personalità;
se, al contrario, genererà rifiuto, ciò avverrà perché in tal modo cercheremo di esorcizzare i nostri
conflitti e le nostre contraddizioni. Per questo motivo, uno stesso comportamento potrà essere
interpretato diversamente da due differenti personalità.
La legge dello specchio (riscoprire se stessi attraverso gli altri) ha un’immediata conseguenzialità:
la vita assume colori diversi in dipendenza dell’approccio mentale che ognuno di noi ha della realtà.
La nostra mente è strutturata in maniera tale che l’uomo possa elaborare uno stimolo ambientale,
dopo averlo confrontato con le esperienze del suo passato, con la sua realtà attuale e con le sue
prospettive future. Spesso però perdiamo la capacità di adattarci alle diverse richieste ambientali e
tendiamo a sottrarci a un reale processo elaborativo dello stimolo, traducendolo immediatamente in
reazioni e modalità comportamentali più accettabili culturalmente e più rassicuranti.
Quante volte ognuno di noi, non elaborando l’esperienza, ripete acriticamente uno stesso
comportamento? Mentre mutano le situazioni, noi, illudendoci di essere sempre gli stessi, tendiamo a
leggere gli avvenimenti secondo un copione prestabilito. Questa modalità rigida di relazionarsi fa sì
che la nostra realtà diventi una montagna immodificabile nella sua negatività. Nel contempo ci
sentiamo sempre più piccoli e incapaci di qualsiasi azione costruttiva e innovatrice; ci conformiamo
sempre più a un modello passivo e routinario, proviamo la necessità di rinunciare alla gestione della
nostra vita e non troviamo sufficienti motivazioni per gratificare le nostre pulsioni. Ne deriva un forte
senso di inadeguatezza che genera quotidianamente aggressività e insoddisfazione, portando a un
surplus di stress: si sono create nel nostro organismo le condizioni necessarie e sufficienti per
ammalarci alla prima occasione.
Il pensiero olografico rende la mente interdimensionale poiché permette l’oggettività piuttosto che
la soggettività. Il pensiero quindi è di per sé oggettivo, mentre la sensazione lo rende soggettivo:
infatti non possiamo pensare in maniera distruttiva, ma possiamo sentirci distruttivi e agire di
conseguenza. Ecco quindi la necessità di imparare a pensare, non condizionati dalle paure che
solitamente ci richiudono nella trappola della soggettività. La consapevolezza è conoscenza, che non
è mai soggettiva; sono le parole che descrivono un pensiero a trasformarlo nella soggettività.
Conseguentemente, qualsiasi acquisizione di nuovi livelli di consapevolezza negli individui muta il
campo morfogenetico di tutti gli individui; se anche un ristretto numero di persone riuscisse a
cambiare la capacità di usare come forma consueta il pensiero olografico, tale mutamento
innescherebbe una reazione a catena che potrebbe portare a un reale cambiamento dell’intera società
umana, mediante una fase di crescita esponenziale.
Recenti studi, condotti negli Stati Uniti dai seguaci del guru della meditazione trascendentale
Maharishi Maesh Yogi, dimostrano che la sincronizzazione degli emisferi cerebrali può essere
prodotta tra gruppi di persone vicine, che irradiano un’onda armonica e coerente, che può produrre
cambiamenti significativi in diversi campi sociali, anche per appianare i conflitti che portano alle
guerre. Questa è l’applicazione del principio di coerenza. Se nella realtà un numero ristretto di
individui “olografici” è ininfluente perché troppo debole per influenzare un sistema di vasta portata,
quando il numero di elementi ordinati supera una massa critica, il disordine è spontaneamente
neutralizzato e l’intero sistema diviene perfettamente ordinato e coerente.
Ecco un altro scopo di questo libro!

ESERCIZI RESPIRATORI DI RILASSAMENTO


Al centro del nostro essere si trova il movimento ritmico, un’espansione e una contrazione ciclica
che avvengono sia dentro il nostro corpo sia all’esterno, sia nella nostra mente sia nel corpo, sia
dentro sia fuori la nostra coscienza. Il respiro è l’essenza dell’essere, e in tutti gli aspetti
dell’universo possiamo vedere lo stesso disegno ritmico dell’espansione e della contrazione: sia nei
cicli diurni sia in quelli notturni, in quelli della veglia e del sonno, nell’alta e nella bassa marea o,
ancora, nel fiorire e nel finire delle stagioni.
Se il respiro è il movimento dello spirito nel corpo, un mistero che ci rende parte della creazione,
allora lavorare con il respiro è una forma di esercizio spirituale. Ma è anche un qualcosa che
influisce sulla salute e sulla guarigione, perché il modo in cui respiriamo rispecchia lo stato del
sistema nervoso e agisce sul suo equilibrio. Si può insegnare a regolare il battito cardiaco, la
pressione arteriosa, la circolazione e la digestione modificando volontariamente il ritmo e la
profondità del respiro. Allo stesso modo, si può rendere più forte il sistema di guarigione.
A questo punto spieghiamo alcune semplici tecniche per compiere questo tipo di lavoro e, poiché
ciascuna di esse richiede solo pochi minuti, non vi renderete conto delle loro potenziali capacità
finché non avrete incominciato a praticarle regolarmente, preferibilmente ogni giorno.

1) Per cominciare, esiste una meditazione di autoguarigione semplice ma potente, che si può
eseguire quando si sente la necessità di stimolare il proprio sistema immunitario, anche contro
eventuali perturbazioni del nostro campo energetico causate da qualche forma di negatività.
Quando vi è un attimo di pausa nella nostra giornata, o la sera prima di addormentarci e la mattina
al risveglio, possiamo “inondare” di consapevolezza il nostro corpo, chiudendo gli occhi e stando
distesi sulla schiena. Percepiamo nel modo più intenso possibile l’energia vitale dentro parti diverse
del corpo (mani, piedi, braccia, gambe, addome, torace, testa, ecc.) per circa 15 secondi ognuna.
Quindi lasciamo scorrere alcune volte la nostra attenzione attraverso il corpo come un’onda, dai
piedi alla testa e ritorno, per circa un minuto. Dopo di che cerchiamo di percepire il corpo interiore
nella sua totalità, come unico campo di energia, per qualche minuto.
Durante questo periodo dobbiamo essere intensamente presenti in ogni cellula del corpo. Non
preoccupiamoci se durante l’esercizio la mente riesce ad attirare la nostra attenzione fuori dal corpo,
e noi ci perdiamo in qualche pensiero. Non appena notiamo che è successo, riportiamo
semplicemente la nostra attenzione verso il corpo interiore.
Se troviamo difficile entrare in contatto con il corpo interiore, di solito è più facile concentrarci
prima sulla respirazione consapevole, che di per sé è una potente meditazione. Seduti su una sedia,
senza appoggiare la schiena, mantenendo diritta la colonna vertebrale e con il corpo rilassato,
dobbiamo seguire con la nostra attenzione il respiro mentre esce ed entra dal corpo; quando
respiriamo, dobbiamo percepire l’addome espandersi e contrarsi leggermente a ogni inspirazione ed
espirazione.
Chiudendo gli occhi possiamo anche visualizzarci circondati dalla luce o immersi in un mare di
consapevolezza, respirando in tale luce, in modo che essa ci colmi il corpo, rendendolo luminoso. In
tal modo prendiamo consapevolezza dell’intero campo energetico del corpo, senza pensarci, ma
sentendolo; così allontaniamo la consapevolezza della mente.
Se possibile, lasciamo cadere ogni immagine mentale che possiamo ancora avere del corpo fisico.
Tutto ciò che rimane è un senso onnicomprensivo di presenza o “essenza”, e il corpo interiore sembra
non avere confine, perché fondendoci con il campo energetico non si verifica più alcuna percezione
di dualità fra osservatore e osservato, fra noi e il nostro corpo. Entrando in profondità nel corpo,
abbiamo trasceso il corpo.
Rimaniamo in questo regno di puro essere fintanto che ci appare confortevole, poi riprendiamo
consapevolezza del corpo materiale, del nostro respiro e dei sensi fisici, e apriamo gli occhi.
Guardiamo per qualche minuto l’ambiente circostante in modo meditativo, cioè senza applicarvi
etichette mentali, e continuiamo, così facendo, a percepire il corpo interiore.
Questo esercizio ci libera dalla schiavitù della forma e dall’identificazione con la forma. È la vita
nel suo stato indifferenziato precedente alla sua frammentazione nella molteplicità. Possiamo
chiamarlo “non manifestato”, fonte invisibile di tutte le cose, e ci fa rendere conto che la luce non è
separata da ciò che siamo, ma costituisce la nostra vera essenza.

2) Osservate il respiro. Sedetevi in una posizione comoda con gli occhi chiusi, e allentate
qualunque indumento stretto. Focalizzate l’attenzione sulla respirazione, ma senza cercare di
influenzarla minimamente. Seguite lo svolgersi del ciclo dell’inspirazione e dell’espirazione e
cercate di percepire i punti nei quali una fase si tramuta nell’altra. Fate questo esercizio per almeno
qualche minuto. L’obiettivo è semplicemente quello di mantenere l’attenzione sul ciclo della
respirazione e di osservarlo. Non importa in che modo si modifica il respiro: anche se le escursioni
diventano molto ravvicinate, continuate a seguirle. Questa è la base della meditazione, un metodo di
rilassamento e un modo per armonizzare il corpo, la mente e lo spirito.

3) Iniziate con l’espirazione. La respirazione è continua, non c’è inizio né fine, anche se noi
pensiamo che il respiro inizi con un’inspirazione e finisca con un’espirazione. Occorre invertire
questa percezione nel prossimo esercizio, che si può eseguire sia da seduti sia da sdraiati.
Focalizzate ancora una volta l’attenzione sul respiro: lasciate che l’aria entri senza cercare di
modificare l’inspirazione, ma provate a sentire l’espirazione come l’inizio di un nuovo ciclo. In
questo modo otterrete un controllo maggiore sull’espirazione perché potrete usare i muscoli volontari
intercostali per soffiare l’aria fuori dai polmoni e questa muscolatura è più potente di quella usata
per inspirare l’aria. Quando si butta l’aria fuori, automaticamente e nella stessa misura, l’aria entra
nei polmoni. È consigliabile rendere la respirazione più profonda possibile e il modo più facile per
farlo è quello di pensare all’espirazione come alla prima parte del ciclo, senza preoccuparsi affatto
dell’inspirazione.

4) Lasciate che il respiro entri in voi. Questo esercizio riesce meglio quando si sta sdraiati sulla
schiena, perciò si può cercare di eseguirlo prima di addormentarsi oppure al risveglio. Chiudete gli
occhi e tenete le braccia accanto al corpo, poi focalizzate l’attenzione sul respiro, senza cercare di
modificarlo. Ora immaginate che a ogni inspirazione l’Universo stia soffiando aria dentro il vostro
corpo e che a ogni espirazione la ritiri. Voi ricevete passivamente il respiro. Mentre l’Universo
soffia nel vostro corpo, cercate di avvertire il respiro che penetra in ogni parte del corpo, fino ad
arrivare alla punta delle dita delle mani e dei piedi. Cercate di mantenere questa percezione per dieci
cicli di espirazione e d’inspirazione.

Questi esercizi possono essere eseguiti con la frequenza desiderata, per il periodo di tempo voluto
e fino a un massimo di dieci minuti per ogni esercizio. L’importante è farli ogni giorno.
Il prossimo esercizio è una tecnica di respirazione tratta dal pranayama, l’antica scienza indiana
per il controllo del respiro che si ritrova anche in parte degli esercizi yoga. Prana è un termine che
significa “energia universale”; la pratica del pranayama è mirata ad armonizzare le energie del corpo
e ad accordarle con l’energia cosmica. Questo esercizio è sicuro e molto efficace. Anch’esso
richiede poco tempo, tuttavia, per agire sul sistema di guarigione, deve essere fatto regolarmente.

5) Fate una respirazione stimolante. Sedetevi in una posizione comoda, con la schiena diritta e gli
occhi chiusi. Mettete la lingua nella posizione yoga, in modo che la punta della lingua tocchi il retro
degli incisivi superiori, poi fatela scivolare appena sopra i denti finché non si appoggia alla loggia
alveolare, ossia il tessuto molle tra i denti e il palato. Tenetela in quella posizione per l’intera durata
dell’esercizio. La filosofia yoga sostiene che questo contatto serve a chiudere un circuito d’energia
nel corpo, evitando così la dissipazione del prana durante l’esercizio della respirazione. A questo
punto fate una rapida inspirazione ed espirazione con il naso, tenendo la bocca leggermente chiusa.
L’inspirazione e l’espirazione dovrebbero essere di uguale entità e brevi; si dovrebbe avvertire uno
sforzo muscolare alla base del collo, appena sopra la clavicola, e anche del diaframma. (Cercate di
mettere le mani su questi punti per avere un’idea del movimento che avviene.) L’azione del torace
dovrebbe essere rapida e meccanica, come il movimento dei mantici che pompano l’aria: infatti, in
sanscrito, il nome di questo esercizio vuol dire “respiro dei mantici”. Il respiro dovrebbe essere
udibile sia nell’inspirazione sia nell’espirazione e, se ci riuscite, dovreste completare tre cicli al
secondo.
La prima volta la durata di quest’esercizio non deve superare i quindici secondi, poi bisogna
respirare normalmente. Ogni volta che lo si pratica occorre aumentare la durata di cinque secondi
alla volta, finché non si arriva a un minuto. Si tratta di una vera e propria ginnastica, perciò sarà
normale sentire un certo affaticamento dei muscoli che state esercitando. A questo punto comincerete
anche a sentire qualcos’altro: in pratica, un sottile ma deciso flusso d’energia che attraversa il corpo
quando ricominciate a respirare normalmente. In genere si percepisce come una vibrazione o una
sensazione di formicolìo, soprattutto nelle braccia, e nello stesso tempo ci si sente più pronti e non si
avverte più la stanchezza. Badate che non si tratta di un esercizio d’iperventilazione (in questo caso
avvengono dei cambiamenti fisiologici per il fatto di aver eliminato l’anidride carbonica in eccesso),
ma di un modo per attivare il sistema nervoso centrale. Quando sarete capaci di eseguire la
respirazione dei mantici per un minuto intero, cercate di servirvene al posto del caffè come
stimolante per il pomeriggio! Molte persone lo considerano un esercizio particolarmente utile quando
avvertono segni di stanchezza alla guida, specialmente in autostrada. Comunque, più lo si pratica, più
ci si accorge dell’energia che produce.

6) Ciclo respiratorio 1-4-2. Quest’esercizio è fondamentale in tutte le malattie cronico-


degenerative e nei tumori, e va eseguito con un ritmo personalizzato. Si sceglie all’inizio un ritmo
semplice, es. 3: questo significa che si inspira (cioè si introduce l’aria nei polmoni, possibilmente
con il naso) per 3 secondi, si compie una pausa in apnea per 12 secondi (4x3), poi si espira (cioè si
butta l’aria fuori, possibilmente con la bocca semiaperta) per 6 secondi (2x3). Si ripete per 10 volte.
Ognuno può scegliere il suo ritmo personale, da 2 (quindi 2-8-4) a 4 (quindi 4-16-8) o a 5 (quindi
5-20-10). Più aumenta il ritmo, più occorre spremere i polmoni durante l’espirazione, svuotandoli
dell’aria che spesso ristagna in essi a causa della respirazione superficiale che adottiamo
inconsciamente per il blocco frequente del muscolo diaframmatico.

7) Respirazione del fuoco.


È una respirazione che ha un risvolto terapeutico importante. Tutte le malattie croniche possono
essere aiutate da questo tipo di respirazione. Le persone depresse, tristi, che non hanno voglia di
vivere e sono sempre più pessimiste, sono aiutate da questo tipo di respirazione. Anche le persone
molto intossicate hanno delle reazioni grazie a questa respirazione.
Si estendono le braccia in avanti con le mani e le dita estese quasi perpendicolarmente agli
avambracci, poi si portano di scatto raccolte a pugno all’indietro a livello del cavo ascellare,
compiendo contemporaneamente una vigorosa e profonda inspirazione; di colpo, mentre la
espirazione viene fatta a tratti (e contemporaneamente le mani e le braccia vengono riestese in avanti
a tratti con forza), si deve sentire forte il rumore dell’aria che fuoriesce dalla bocca come se andasse
contro resistenza, perché spinta fuori come se si soffiasse rumorosamente. Quindi, si hanno 2 fasi:
1) inspirazione rapida col naso, mentre le mani devono arrivare a scatto sul torace;
2) espirazione sibilante con la bocca, mentre le mani sono riestese in avanti.
Si effettua almeno per 10 volte, e dopo ci si accorge di un aumento del livello energetico. Bisogna
cercare di ricordarsi di eseguirla almeno una volta al giorno, quando ci si sente stanchi e sonnolenti.
È un tonico per il sistema nervoso, un tonico spirituale più che materiale.

Con questi sette esercizi potete iniziare un programma per imparare a usare la respirazione e a
potenziare il sistema di guarigione. Come già detto, si tratta di una vera e propria ginnastica
spirituale, non solo di un metodo per migliorare lo stato di salute.

LA BENATTIA
Questo è il meccanismo della VITA:

Vai (cioè agisci, non permettere la stasi)


Insegna (quello che ritieni giusto per permettere l’evoluzione degli altri secondo le leggi
dell’amore universale)
Traduci (parla al bambino, al contadino, all’analfabeta con il loro linguaggio)
Ama.

Ecco il significato della vita: viviamo finché ci emozioniamo; se blocchiamo le emozioni, ci


ammaliamo.
Tutto è finalizzato alla sopravvivenza: anche un collasso, una crisi epilettica, un tumore sono i
tentativi dell’organismo di equilibrarsi omeodinamicamente, interagendo con l’ambiente esterno.
Vivere è respirare, infiammarsi, bruciare. Se spegniamo il fuoco (ad esempio, bloccando le
emozioni, o assumendo farmaci soppressivi dei sintomi, che sclerotizzano l’organismo) interveniamo
sul nostro destino filogenetico, e ci avviamo verso le malattie degenerative e la morte del corpo
fisico.
Ogni nostra risposta involontaria parte dalla nostra realtà divina. La parte involon-taria di noi,
quella non controllata dalla coscienza, è quella divina; è lì che nascono le risposte finalizzate alla
vita, cioè l’infiammazione e le difese immunitarie. Quindi ogni infiammazione, ogni difesa è divina.
L’organismo agisce per autodifesa. La malattia è un meccanismo di disintossicazione (in
omotossicologia si chiama “vicariazione regressiva”, cioè spostamento di tossine verso l’esterno),
che consente agli organismi di sopravvivere; è quindi una funzione di difesa, anzi un’accentuazione
dei normali processi di difesa e di disintossicazione, e quindi un tentativo di guarigione
biologicamente adeguato.
Per questo motivo la malattia va rispettata, amata e supportata. Esistono solo “benattie”, non
malattie, che possono essere vissute in modo sacro, integrale o iniziatico, facendo scomparire la
paura e la frustrazione, e iniziando il processo di guarigione interna attraverso l’attribuzione di un
senso, un significato e un valore alla malattia che viviamo. Una malattia vissuta senza significato,
senza speranza e in modo passivo è una cosa terribile tanto a livello soggettivo (per l’angoscia
psicologica che crea) che a livello oggettivo (per il male che può fare al corpo e alla psiche).
Facciamo un semplice esempio, che possa farci capire cosa avviene in noi quando si verifica una
malattia, intesa come un sistema di allarme per avvertirci che qualcosa non va, che dobbiamo
cambiare certe abitudini e comportamenti della nostra vita. In un circuito elettrico, se c’è un eccesso
di energia serve una messa a terra per scaricare. Poiché le emozioni e i pensieri sono frequenze
elettromagnetiche, quando il nostro circuito si sovraccarica di emozioni negative o represse, ecco
che si verifica la scarica a terra, che avviene appunto attraverso la malattia sul corpo fisico.
Quindi la malattia è una scarica a terra, è una somatizzazione a livello fisico di uno squilibrio
emozionale, che deve essere spiegata al paziente, usando l’esempio di una scarica in conseguenza di
un sovraccarico energetico. Il corpo è la messa a terra, e la malattia è la scarica. Attraverso la
malattia buttiamo fuori la negatività che abbiamo dentro; essa è la testimonianza di un sovraccarico a
livello elettromagnetico, in quanto il corpo salva l’anima, ed evita che ci sia il sovraccarico a monte,
nell’anima. Ci sovraccarichiamo quando non lasciamo scorrere le cose.
Con il concetto di “benattia” si elimina dalla medicina il bene e il male, e si raggiunge il Tao,
passando dal dualismo all’uno. Anche la morte non deve farci paura, perché è una trasformazione,
così come il ghiaccio si trasforma in acqua e poi in vapore se riscaldato; ma è sempre acqua.
Alla luce di tutto quello che abbiamo detto, emerge un nuovo concetto di malattia. La malattia è la
testimonianza innegabile di un rifiuto in atto che, creando disarmonia, porta a un distress e poi al
sintomo. Quindi la malattia rappresenta la somatizzazione di una disarmonia interiore finalizzata
all’evidenziazione del rifiuto della vita e quindi alla comprensione dell’esperienza e dei meccanismi
che mettiamo in essere per vivere. Accettare significa permettere che qualcosa possa esistere; non è
un subire, né un atto passivo. La guarigione significa accettazione, comprensione dell’esperienza, che
non viene più rifiutata. La forza più grande che può avere un essere umano è accettare le proprie
debolezze, perché in ogni caso nella vita ognuno fa quello che può. Bisogna imparare a
riappropriarsi della capacità di riconoscersi nell’altro, che non deve essere sempre considerato un
diverso, un nemico dal quale difendersi perché può nuocerci.
È proprio l’omeopatia che ci insegna a valorizzare il simile; l’altro spesso evidenzia il simile che è
in noi. Nell’altro ci affascinano le qualità che più amiamo e che spesso non riusciamo a far emergere
dentro di noi, così come allo stesso modo odiamo e rifiutiamo nell’altro ciò che non vogliamo vedere
dominante nella nostra personalità. L’uomo potrà orientare tanto più il suo pensiero al positivo
quanto più avrà coscienza della sua realtà e quanto più manterrà desta la sua capacità di immaginare
se stesso diverso, cioè di vedere e sentire una realtà diversa.
Nella nostra società il pessimismo e soprattutto la rassegnazione caratterizzano lo star male.
Rifiutando l’esperienza della malattia, la blocchiamo, aumentando il problema a monte e
autoalimentando la malattia. Se si cerca di sconfiggere la sofferenza, si blocca la vita. La sofferenza
comincia quando non viene rispettato il programma del codice genetico. Questa è la legge della
teleonomia, che afferma lo scopo degli esseri viventi, come detto all’inizio del libro, e che si
realizza attraverso un progetto. Impariamo attraverso la sofferenza ciò che non impariamo attraverso
la saggezza. O comprendiamo e accettiamo, o soffriamo. Se ci opponiamo alla vita, ci ammaliamo. È
come andare controcorrente in un fiume; prima ci stanchiamo, poi veniamo travolti.
Il problema è sempre legato alla non accettazione di una situazione, non alla situazione in sé. Se
valuto una strage, vedo il negativo in quell’esperienza, ma alcuni vedono il bene, per cui non è
importante l’avvenimento, ma come lo viviamo. Il vero problema delle malattie è che noi non
accettiamo la sofferenza, ma solo accettandola possiamo evolvere. Una persona che si ammala non è
cosciente del conflitto che ha, e non accetta la sua malattia; per fargli accettare la malattia, occorre
sdrammatizzarla. Il corpo che abbiamo è funzionale alle nostre problematiche, perché il DNA ha in
sé tutte le patologie, che sono nascoste, ed esistono per permettere l’evoluzione dell’individuo e
della sua anima.
La dimensione spirituale è la base energetica di tutta la vita, perché è l’energia dello spirito che
assume la struttura fisica. È proprio la connessione invisibile tra corpo fisico ed energie spirituali
che contiene la chiave per comprendere l’intimo rapporto tra materia ed energia. Una vera medicina
deve trasformare la coscienza umana, lavorando sulle strutture energetiche che governano le
manifestazioni fisiche della vita.
Uno dei punti più importanti del cambiamento di paradigma in medicina e della nuova concezione
della guarigione è proprio il fatto che il malato deve partecipare alla comprensione e alla cura dei
propri disturbi, deve essere attivo e assumersi la responsabilità per la propria malattia e la propria
guarigione, arrivando alle cause e rimuovendole. Questo significa poter capire e realizzare
l’integrazione delle polarità maschili e femminili: ossia cambiare tutto ciò che può essere cambiato,
accettare quello che non può essere cambiato, e avere la saggezza per capire la differenza tra le due
cose.
Il collegamento e l’allineamento con la coscienza superiore riporta l’armonia e la salute nel nostro
essere e nella nostra vita, dinamizzando il nostro sistema immunitario e aiutandolo a cambiare ciò
che deve essere cambiato.

I TUMORI, I CONFLITTI EMOTIVI E LA TEORIA DI HAMER


Anche il tumore è sempre la conseguenza di un nostro modo di essere. È l’ultima ratio
dell’organismo di sopravvivere; è una reazione di difesa estrema, che si realizza quando sono stati
inficiati i meccanismi di difesa. Ogni giorno eliminiamo 25.000 cellule cancerogene, senza
accorgercene, grazie al nostro sistema immunitario.
Per la medicina omeosinergetica, curare un tumore è come curare un raffreddore, l’unica differenza
è la paura; per il raffreddore sappiamo che non si muore, e allora è facile da curare. Invece la mente
sa che col tumore si muore, e allora moriamo. Questo perché il pensiero crea la realtà. Non si muore
mai di tumore, ma del modo con cui lo viviamo; col tumore la vita ci dà l’ultima possibilità di
cambiare, e si muore perché non riusciamo a capire il significato.
Spesso il tumore si sviluppa quando la persona non è più capace di stare con gli altri, li giudica, li
condanna; per analogia anche le sue cellule non riescono più a stare con le altre. Il tumore manifesta
ciò che noi siamo. Nella patologia tumorale avviene il cammino a ritroso sul sentiero della vita, e si
ha la regressione dell’edificazione biologica verso gli elementi chimici semplici da cui si era partiti.
La guarigione del tumore deve essere di tipo quantistico, perché ci deve essere un cambio della
consapevolezza. Quando si verifica un miracolo nella guarigione, significa che è avvenuto che il
simile attira il simile, perché si attira il Dio che è già dentro di noi. Il tumore è l’ultima occasione di
avere fiducia nella vita, di aumentare le nostre capacità. Ci ammaliamo quando perdiamo il contatto
con la nostra identità interiore divina; se la recuperiamo, guariamo.
La consapevolezza è una forza sconosciuta, spesso svalorizzata. Il miracolo è solo l’amplificazione
di ciò che facciamo normalmente; per un raffreddore ci vuole 10, per un tumore ci vuole 10000, ma è
la stessa cosa. È facile pensare che un osso fratturato possa riattaccarsi, mentre non è facile pensare
che un tumore possa guarire. Se il terapeuta ha la consapevolezza che un tumore possa curarsi come
un raffreddore, ed elimina da sé la paura di non farcela, allora potrà guarire il paziente. Le persone
che si sono automiracolate hanno potuto attingere al loro potere interiore, trovando una motivazione e
un modo per guarire.
Spesso i pazienti si aggravano di cancro (e muoiono) proprio quando vengono a conoscenza del
tumore, con cui convivevano da 2 o 3 anni senza sintomi. Spesso si convive con il tumore, ma non
con la diagnosi di tumore. e allora perché una persona che non sa di avere un tumore, muore di esso?
Perché non prende consapevolezza del motivo per cui gli è venuto, e non riesce a cambiare il suo
modo di vivere e il suo pensiero.
Cosa controlla il legame mente-corpo? La consapevolezza, che attua meccanismi ordinati di
sincronizzazione e temporizzazione, mettendo ordine. Con la consapevolezza, il cancro può guarire.
C’è sempre un’intelligenza al lavoro, implicata nella guarigione. Quando diamo un farmaco chimico,
inibiamo la consapevolezza, diamo un ingrediente inerte, senza vissuto, reprimiamo l’intelligenza
presente in ogni punto del nostro corpo, superiore a qualsiasi sostituto interno, più importante della
materia del corpo, che senza di essa non avrebbe ordine. Questa intelligenza fa distinguere un
mucchio di mattoni da una casa progettata da un architetto.
Vediamo qual è la teoria del medico tedesco Hamer, che ha elaborato una suggestiva ipotesi sulla
genesi del cancro dopo la tragica morte del figlio, avvenuta nel 1979 sull’isola di Cavallo, in seguito
a un colpo d’arma da fuoco esploso accidentalmente da Vittorio Emanuele di Savoia.
Le scoperte di Hamer aprono un universo totalmente opposto: è infatti da migliaia di anni che
l’umanità ha sperimentato che in definitiva tutte le malattie hanno un’origine psichica, e ciò è ormai
un assunto scientifico solidamente inscritto nel patrimonio della conoscenza universale. In
quest’ottica, la malattia è la risposta appropriata del cervello a un trauma esterno, e fa parte di un
programma di sopravvivenza della specie codificato da 5 leggi fondamentali, nate con la nascita
della vita e inscritte nel codice genetico di ogni organismo vivente: la pianta, l’animale, l’uomo, si
comportano secondo le stesse leggi biologiche.

Prima legge: la legge ferrea del cancro (“Il trauma è il detonatore”).


Ogni malattia è causata da un trauma emotivo che ci coglie impreparati, ci prende alla sprovvista,
un trauma che viviamo in solitudine e che non sappiamo come risolvere. L’intensità del trauma e il
tipo di emozione provata quando è avvenuto, determinano l’area del cervello colpita, l’organo fisico
corrispondente e la gravità della malattia.
Allo scopo di continuare la specie, l’uomo ha sviluppato col passare del tempo dei programmi
biologici di sopravvivenza che sono diventati automatici e si sono inscritti nel suo cervello e nelle
sue cellule. Fino a quando la medicina si ostinerà a occuparsi solo della cellula, dimenticando che
l’uomo è un’unità composta di emozioni (ciascuno vive gli avvenimenti della vita in modo del tutto
personale), cervello (la nostra centrale di comando per la sopravvivenza e la continuazione della
specie) e corpo (l’unico campo di azione a disposizione del cervello), non potrà mai arrivare a
capire il significato della malattia né le sue leggi di funzionamento.
Il cervello non è in grado di distinguere tra reale e simbolico, tra realtà e immaginazione. Tutte le
volte che una persona, nel corso della sua esistenza, viene colpito da un trauma emotivo che abbia
determinate caratteristiche, il cervello entra in azione mettendo in moto uno speciale programma
biologico per la sopravvivenza dell’individuo. Le caratteristiche di tale trauma emotivo devono
essere le seguenti:

1) sia vissuto in maniera drammatica (con tutte le sfumature del caso, per cui una grossa emozione
avrà conseguenze più visibili di una piccola contrarietà: dalla bronchite al cancro ai polmoni, a
seconda dell’intensità del dramma vissuto);
2) ci colga impreparati, come un fulmine a cielo sereno;
3) l‘emozione abbia il sopravvento sulla ragione;
4) sia vissuto in solitudine, rimuginando continuamente il problema (anche se tutti sanno quello che
ci è capitato, nessuno sa quello che abbiamo provato);
5) non si trovi una soluzione soddisfacente.

L’intensità del trauma emotivo subìto determinerà la gravità della malattia, mentre il tipo di
emozione provata al verificarsi del trauma determinerà la localizzazione della patologia nel corpo.
La malattia è dunque un simultaneo squilibrio a livello psichico, cerebrale e organico dovuto a un
trauma emotivo. Senza conflitto non vi è malattia: rendersene conto è il primo passo verso la
guarigione. All’origine di tutte le malattie (bronchite, cancro, depressione, epilessia, infarto,
leucemia, sclerosi a placche, eccetera) c’è, nella vita del paziente, un evento particolare vissuto
come trauma: separazione affettiva, offesa, licenziamento, schiaffo, la morte di un familiare, una
diagnosi medica raggelante, insomma un evento vissuto in modo drammatico, inaspettato e
conflittuale, in solitudine e senza possibilità di una soluzione soddisfacente. Solo quando l’evento
non sarà più vissuto come trauma emotivo, il problema potrà dirsi biologicamente risolto.

Seconda legge: le due fasi della malattia “Niente esiste senza il suo contrario”
Non esiste il giorno se non c’è la notte: tutto funziona in modo binario in questo mondo.
Le attività umane sono governate dal sistema nervoso neurovegetativo, che è composto
essenzialmente dal sistema ortosimpatico (o simpatico) e dal sistema parasimpatico (o vago).
Tutte le malattie hanno due fasi, solitamente di analoga durata. La prima fase (che va dal trauma
alla risoluzione del problema) è quella di stress ed è detta “simpaticotonia”, perché entra in azione il
sistema simpatico. La seconda fase va dalla soluzione dei problemi al ritorno alla normalità ed è
detta vagotonia perché entra in azione il sistema parasimpatico (vago).

1) Fase di simpaticotonia, ovvero “il conflitto attivo”.


Al verificarsi di un trauma che ci coglie impreparati, che viviamo in solitudine, che continuiamo a
rimuginare e che non sappiamo come risolvere, i tre livelli dell’essere umano (mente, cervello e
corpo) entrano contemporaneamente in una fase di reazione per poter sopravvivere:
a) a livello psichico: il paziente continua a ruminare il suo problema, è stressato in permanenza,
non ha più fame, dimagrisce, ha problemi ad addormentarsi e si sveglia di frequente durante la notte:
è la fase di adattamento di fronte all’evento inatteso. In questo continuo stato di allarme, tutte le sue
energie sono mobilitate al solo fine di superare il trauma. Come a dire che non è il cancro che fa
dimagrire, ma il continuo stato di stress.
b) a livello cerebrale: si verifica una specie di cortocircuito che Hamer chiama “focolaio”; esso
assume la forma di piccoli anelli concentrici in una certa area del cervello che presiede al
funzionamento di un organo ben determinato. I neuroni e le cellule gliali del connettivo circostante
muoiono. Mentre i neuroni non potranno più riformarsi (ma ne abbiamo talmente tanti che il problema
è irrilevante), le cellule gliali, sorta di serbatoio nutritivo dei neuroni, potranno riformarsi.
Sottoponendo un paziente a TAC cerebrale senza mezzo di contrasto, i focolai di Hamer, chiaramente
visibili a un occhio esperto, permettono di determinare se ci si trova di fronte a una fase di conflitto
attivo oppure a una fase di riparazione, e di “leggere” la storia del paziente attraverso i suoi
“cortocircuiti”. Sulla base di più di ventimila casi esaminati, il dottor Hamer è arrivato a
determinare una sorta di “mappa” del cervello, individuando la corrispondenza fra il tipo di trauma
originario, l’area colpita a livello cerebrale e l’organo fisico comandato da quell’area.
c) a livello fisico: il cervello può dare solo quattro ordini: creare una massa, scavare dei buchi
(detti “lisi”), bloccare, sbloccare. Vedremo nella terza legge il suo modo di funzionamento.

2) Fase di vagotonia, ovvero il recupero e la riparazione


L’intensità di questa fase è generalmente proporzionale alla prima ed ha inizio sempre e solo al
momento della soluzione del conflitto. Questa seconda fase è a sua volta divisa in due parti dalla
cosiddetta “crisi epilettoide”, di cui vedremo in seguito la funzione. Prima della crisi avviene la
riparazione del cervello che si conclude col verificarsi della crisi epilettoide; in seguito tocca al
corpo proseguire nella sua riparazione (iniziata alla risoluzione del conflitto) fino al completo
ritorno dell’omeostasi (lo stato di equilibrio). Nella fase di vagotonia accade quanto segue:
a) a livello psichico: è il momento in cui possiamo cominciare a “tirare il fiato”. Lo stress si
dilegua e il paziente è pervaso da un gran senso di quiete e serenità. Il conflitto è stato risolto. Torna
l’appetito, il corpo e le estremità riprendono a essere calde a seguito di una vasodilatazione
periferica e il sonno, malgrado qualche difficoltà ad addormentarsi, ritorna dopo le tre di notte,
coll’avvicinarsi dell’alba.
b) a livello cerebrale: nell’area in cui si è verificato il “cortocircuito” comincia a formarsi un
edema di riparazione, composto di sostanze nutritive che hanno il compito di rivitalizzare le cellule
gliali, e i cerchi concentrici precedentemente visibili cominciano a scomparire: è l’inizio della fase
di riparazione. Se a questo punto si esegue una TAC cerebrale con liquido di contrasto, si corre il
rischio di diagnosticare erroneamente un tumore cerebrale, in quanto il mezzo di contrasto opacizza
l’edema di riparazione. Molti interventi chirurgici, che alterano tra l’altro il fondamentale ritmo
vibratorio del cervello, potrebbero essere evitati se solo si fosse a conoscenza di questo “piccolo
dettaglio”! Una volta terminata la riparazione, l’edema cerebrale non ha più ragione di persistere e
continuare a crescere; ciò danneggerebbe il cervello che per sua natura non può dilatarsi oltre i limiti
della scatola cranica. Ma la Natura è perfetta ed ha “inventato” la crisi epilettoide (possono
verificarsi tremori, sudori freddi, stress, evacuazioni urinarie), sorta di momentaneo ritorno alla fase
di simpaticotonia, che ha la funzione di verificare se l’evento conflittuale è stato realmente superato;
in caso affermativo l’edema sarà evacuato tramite una fase di diuresi, in caso negativo il conflitto
altalenante, mai superato, si manifesterà con fasi alterne di ricadute e risoluzioni, che avranno come
conseguenza il formarsi di una cisti cerebrale al posto dell’edema.
c) a livello fisico: già prima della crisi epilettoide la malattia smette di progredire e il cervello si
ripara, ma il corpo termina di recuperare la sua piena funzionalità solo dopo questa crisi. Nella fase
di vagotonia il paziente entra in uno stato di infiammazione; tutte le sue energie sono ora tese alla
riparazione cerebrale e fisica: può avere degli stati febbrili, dolori diffusi o localizzati e molta
stanchezza, come se fosse stato investito da uno schiacciasassi. Qui ancora la natura si dimostra
estremamente efficiente: se infatti non esistessero questi sintomi, il paziente si dedicherebbe alle sue
attività quotidiane distogliendo in parte o totalmente le sue energie dall’obiettivo primario del
momento, ovvero riparare i danni. Tutti gli stati infiammatori sono delle riparazioni, anche le malattie
infettive contro le quali combattiamo con ogni mezzo nella speranza di uccidere i batteri o i virus. La
realtà è tuttavia esattamente l’opposto: siamo in presenza di una fase di riparazione!

È comunque da tener presente che in alcuni casi la fase di riparazione può essere anche più
pericolosa della fase di malattia, e che la crisi epilettoide presenta dei rischi che è bene non ignorare
per poter aiutare il paziente con ogni mezzo terapeutico a portare a compimento questa seconda fase.

Terza legge: il sistema ontogenetico dei tumori e delle malattie equivalenti. “Al di là della
complessità, tutto è semplice”
In sintesi, al verificarsi di un evento conflittuale inatteso, senza soluzione apparente, vissuto in
solitudine, la patologia si esprime contemporaneamente a livello mentale, cerebrale e organico: è la
prima fase, detta di simpaticotonia, che si manifesta così:
a) a livello mentale, c’è uno stato di stress permanente;
b) a livello cerebrale, si verifica il cortocircuito dell’area determinata dal tipo di emozione subita;
c) a livello organico, avviene la proliferazione cellulare (tumore) per gli organi comandati dal
tronco cerebrale e dal cervelletto, oppure la lisi (perdita di sostanza) o ancora il blocco funzionale
(paralisi) per gli organi comandati dal midollo e dalla corteccia cerebrale.
L’eliminazione del conflitto è la chiave di volta che permette di passare alla seconda fase detta
vagotonia, la riparazione vera e propria, che si manifesta così:
a) a livello mentale, si ritrova la quiete;
b) a livello cerebrale, i circuiti elettrici si rigenerano;
c) a livello fisico, avviene la “caseificazione” o l’incistarsi del tumore per gli organi comandati dal
tronco cerebrale e dal cervelletto, la ricostruzione delle perdite di sostanza o lo sblocco funzionale
per gli organi comandati dal midollo e dalla corteccia cerebrale.
Come vedremo nella quarta legge, i microbi sono gli artefici necessari del recupero della salute.
Essi sono i nostri alleati più preziosi e sono attivi, virulenti, sempre e solo in fase di riparazione.

Quarta legge: il sistema ontogenetico dei batteri, virus e funghi, “operai specializzati agli
ordini del cervello”
Contrariamente a quanto creduto finora, i batteri sono nostri alleati; sono loro che si occupano di
riparare i danni durante la fase di vagotonia. È il cervello che invia l’ordine ai nostri amici virus,
funghi o batteri, sollecitando gli uni o gli altri a seconda del lavoro che devono svolgere.
Come mai, durante le annuali epidemie di influenza, non tutti si ammalano? Qual è la differenza tra
un individuo che si ammala e un altro che resta in salute? Non è certo il sistema immunitario degli uni
più debole di quello degli altri, in quanto vediamo individui robusti e pieni di forza falciati dal virus
influenzale, mentre persone fragili e cagionevoli di salute passano indenni attraverso l’epidemia.
Ma se anche esistessero sistemi immunitari più deboli di altri, quale ne sarebbe la ragione? La
risposta ci viene dalla quarta legge, il sistema ontogenetico dei microbi, secondo cui essi si
suddividono in funzione dell’origine embrionale dei tessuti, e “lavorano” solo nella seconda fase
della malattia, quella di riparazione, attivandosi nel momento della risoluzione del conflitto e fino a
riparazione avvenuta, dopodiché ritornano inattivi. I microbi non sono dunque dei nemici ma degli
alleati che vivono in simbiosi con noi e lavorano per noi agli ordini del nostro cervello.
Distruggendoli, non si fa che ritardare e rallentare la fase di riparazione che avviene comunque alla
risoluzione del conflitto, pur non essendo ottimale da un punto di vista biologico.
Tutti i microbi arrivano, proliferano e scompaiono per favorire la riparazione secondo una logica
ben precisa in sincronia con il nostro cervello e il nostro corpo, proliferando o morendo a seconda
del tipo di patologia, degli organi interessati e del lavoro che devono svolgere: eliminare o
ricostruire. Essi fanno parte del programma biologico della natura.
I funghi e i micobatteri sono degli “spazzini” che ripuliscono i tumori, e svolgono un’azione di
caseificazione: “rosicchiano”, per così dire, il tumore.
I batteri hanno sia la funzione di “spazzini”, che quella di “restauratori” delle lisi (che sono delle
riduzioni cellulari), mentre i virus collaborano alla ricostruzione degli organi.
I batteri sono il primo segno di vita nell’universo. L’essere umano, come si è detto, contiene una
quantità di batteri dieci volte superiore al numero delle sue cellule; viviamo in simbiosi con essi e ne
abbiamo bisogno per trasformare la materia. Sono dunque indispensabili alla vita ma sono i primi a
essere uccisi dagli antibiotici! I vaccini impediscono ai batteri e ai virus di fare il loro lavoro, e
senza di loro alcuni importanti processi di trasformazione non possono più avvenire. Non ha senso
impedire ai nostri amici di collaborare! Con i vaccini creiamo il caos nel nostro corpo che non è più
in grado di discriminare fra ciò che è utile e ciò che è dannoso; tutto il nostro apparato di
“riconoscimento” è messo sotto sopra e il nostro sistema immunitario ne è indebolito: da qui alle
malattie da immunodeficienza il passo è breve.

Quinta legge: “la legge della quintessenza”


Tutti i comportamenti dell’uomo (e quindi anche le malattie) sono determinati da programmi
speciali di sopravvivenza inscritti nel cervello fin dalla notte dei tempi. La malattia è la soluzione
biologica perfetta del nostro cervello, l’ultima possibilità di sopravvivenza.
La malattia ha sempre un senso. Essa è utile, necessaria, vitale per l’individuo e per l’evoluzione
della specie.
Possiamo dire che Hamer abbia scoperto una lettura supplementare delle funzioni del cervello. Le
sue cinque leggi danno finalmente un senso alla vita e alle sue manifestazioni; non si tratta più di
riconoscere dei sintomi e cercare di eliminarli con medicine, ma di comprendere le cause emotive
profonde proprie a ciascun individuo, risvegliando in lui la consapevolezza della possibilità di
invertire la rotta. È un viaggio all’interno di noi stessi, a volte “doloroso”, ma sempre premiante: è
come fare il punto sulla propria vita e ripartire su nuove basi.
Per comprendere la localizzazione della manifestazione patologica è sufficiente ricollegarsi al
momento preciso del trauma emotivo: è in quel preciso istante che avviene un’associazione emotiva
spontanea e immediata tra la localizzazione nel corpo e il significato soggettivo dell’emozione
provata.
Ecco nella pagina seguente una mappa della localizzazione sugli organi dei tumori, e il
collegamento con il tipo di conflitto biologico.

ORGANI
CONFLITTI
COLLEGATI
1° conflitti
Di perdita materiale reni - ureteri
materiali
Di perdita territoriale (lontananza dalla propria terra e dalla propria casa) surreni – reni
Esistenziale surreni
vescica - prostata -
2° conflitti
Sessuale (tradimento o abbandono) cervice - utero -
sessuali
regione lombare
Di maternità (desiderio di essere madre) utero - ovaia
Di perdita di un figlio o del marito ovaia
3° conflitti
Di paura profonda di danno fisico pancreas
sociali
Di fame, o di mancanza di cibo, o di perdita materiale fegato
Di rabbia – incapacità di prendere decisioni o di reagire a una determinata
colecisti
situazione
Di digerire persone, un evento, una situazione, di adattamento a nuovi
stomaco - duodeno
ambienti o a nuove idee
Di accettazione e assimilazione di un evento inaspettato milza
Di assorbire un evento o una nuova situazione, sensazione di aver perso
intestino tenue
delle opportunità
Di espressione emozionale (trattenere le emozioni, non manifestare i
propri sentimenti, problemi nelle relazioni interpersonali, mancanza di colon
fiducia negli altri, dipendere dagli altri, blocco dell’iniziativa).
4° conflitti
Di abbandono - di separazione da una persona cara cuore
familiari
Di continua tensione nell’ambito familiare o nell’attività lavorativa pericardio
Di paura della morte o separazione dai genitori – di isolamento polmone
Con il partner o padre seno dx
Con i figli, con la madre seno sin
tiroide - muscoli del
5° conflitti
professionali Di autorealizzazione collo vertebre -
carotide
Di autostima ghiandole linfatiche

Di delusione di aver fatto ciò che era stato detto orecchio interno
6° conflitti occhi - seni frontali -
mentali o Di paura frontale – di delusione lobo frontale - ipofisi
spirituali orecchio esterno
Di qualcosa sentito lobo temporale
Di qualcosa visto lobo occipitale
Di deviazione spirituale ipofisi
Di cambiamento di domicilio o di situazione ipofisi
7° conflitti
Di spavento – dolore terribile – perdita di coscienza epifisi - ipotalamo
divini

LE EMOZIONI NATURALI
Questo libro ha voluto suggerirvi che le cose non stanno proprio come vogliono farci credere: non
solo il termine “malattia” va rivisto in senso positivo, come un programma biologico di
sopravvivenza per l’individuo e per la specie, ma anche il malato non va più considerato solo un
insieme di cellule avulse dalla realtà, bensì un individuo completo di anima, emozioni, mente e
corpo, che ha un vissuto, un’educazione, una storia; ogni attimo della sua vita è determinato
dall’interazione delle esperienze passate, e ciascuno è parte del “tutto” su cui agisce e da cui è
influenzato. Se non si tiene conto di tutto ciò, è impossibile comprendere i meccanismi e il significato
di qualsiasi patologia.
Nelle tradizioni spirituali occidentali classiche, la “grande opera”, rappresentata simbolicamente
dalla ricerca del Santo Graal, implicava la guarigione olistica e il risveglio spirituale, o
illuminazione. Il Santo Graal conferiva alla persona che lo trovava tre benefici fondamentali:
1) la “pietra filosofale” (cioè la conoscenza integrale di se stessi, di Dio, della natura e delle loro
interrelazioni);
2) la “panacea” (cioè la medicina universale che guariva tutti i mali);
3) l’ “elisir di lunga vita” (cioè la realizzazione cosciente della propria immortalità).
In tal modo era possibile l’apertura della coscienza spirituale e l’elevazione delle proprie
vibrazioni energetiche, attraverso una guarigione essenziale che si potesse realizzare per mezzo della
discesa delle energie spirituali di Dio e della nostra scintilla divina attraverso tutti i piani, o livelli,
del nostro essere, attuando una vera operazione alchemica, cioè la trasmutazione delle nostre energie
e vibrazioni e l’espansione della nostra coscienza.
L’idea di separazione, cui limitiamo attualmente le nostre esperienze, è un trucco del nostro ego,
della nostra mente, tutta tesa alla sopravvivenza. Tutti noi siamo condizionati dalle nostre emozioni
di paura e di rabbia, che inibiscono la nostra innata creatività. Intrappolati nello spazio e nel tempo,
ci percepiamo limitati e separati, dimenticando il potenziale creativo dell’infanzia, quando, senza
timori imposti e poi autoimposti, ci credevamo onnipotenti. Sempre più, anche se non ne siamo
pienamente consapevoli, ci lasciamo immergere dal nostro limitato modo lineare di pensiero nello
sperimentare esperienze spiacevoli, eleggendo paura, rabbia e ansia quali compagnie costanti, che
sono il risultato di un’unica incapacità: il rifiuto a lasciarsi coinvolgere dalla vita.
I modi attraverso i quali si esprime la vita sono:
1) i pensieri (cui seguono le parole);
2) i sentimenti;
3) le emozioni;
4) le esperienze (il livello più importante, che, se non compreso o accettato, determina la
sofferenza).

Esaminiamo ora il livello emotivo, che è divisibile in 5 emozioni naturali, ognuna delle quali è
divisibile a sua volta in amore e paura, per cui ogni pensiero nasce o dall’amore o dalla paura.

Queste 5 emozioni naturali sono:


1) la sofferenza;
2) l’invidia;
3) la paura;
4) la rabbia;
5) l’amore.
Esse sono il dono della vita, che ci viene dato alla nascita, e che viene mistificato e alterato
dall’educazione e dalla cultura. Sono lo strumento che la vita ci ha offerto per elaborare ciò che
l’Anima ha vissuto nelle vite passate e servono per mitigare la separazione che abbiamo vissuto in
precedenza; non sono negative, ma hanno un profondo significato volto alla nostra evoluzione
interiore, significato che non riusciamo comprendere; da qui nasce la malattia.

1) La sofferenza è un dono che ci fa la vita. Ogni volta che soffriamo emerge la tristezza, che ci fa
comprendere che ci manca qualcosa. Eppure ai bambini diciamo: “perché piangi, perché soffri?”,
proiettando su di loro i nostri problemi. Da grande il bambino ormai cresciuto non potrà piangere:
ecco la depressione, che nasce perché non ci siamo accettati nella tristezza e nella sofferenza, ed è
quindi la conseguenza di una sofferenza non vissuta, ma sempre controllata fino al crollo delle difese
di questo castello di cartone che ci siamo costruiti.
2) L’invidia è un dono della vita; è quella che permette al bambino di guardare la sorella maggiore
con la bicicletta e sognare di averla un giorno anche lui. Ci permette di evolvere, di aspirare a nuove
condizioni di vita. Ma se il bambino viene inibito, cioè viene castrata la sua voglia innata di
desiderare, nasce la gelosia. Questa è un’emozione patologica, non naturale, derivante da un’invidia
repressa a lungo, e ci fa ammalare.
3) La paura è un dono naturale della vita, ci permette di essere prudenti e di mantenerci vivi. Dio ci
dona la paura per salvaguardare la realtà. Alla nascita ci sono solo due tipi di paure: la paura dei
rumori e quella di cadere, tutte le altre derivano dai genitori o dall’ambiente. I genitori dovrebbero
accettare le paure del bambino; invece la paura viene inibita, l’emozione non viene permessa, si ha la
sclerosi dell’emozione, nasce il panico (emozione patologica che si manifesta sotto forma di crisi,
legate a paure non espresse).
4) La rabbia è un dono naturale, un’emozione che va vissuta, senza violenza fisica, senza farsi del
male o far male agli altri. È un modo per dire No! È una modalità per affermare che non si è
d’accordo con quanto proposto dagli altri. Se la rabbia viene inibita, si ha l’ira, emozione patologica
legata a un concetto nevrotico. Con l’ira si può arrivare all’omicidio, mentre la rabbia, come
emozione naturale, non va mai inibita, perché anch’essa ci permette di evolvere.
5) La rabbia, l’invidia, la paura nascono dall’amore, che è la base di tutte le emozioni naturali. Un
bambino di 8 anni che attraversa la strada da solo suscita nella mamma la paura, che in questo caso è
proprio una forma elevata di amore. Quando l’amore non viene vissuto ed espresso, crea il possesso,
il pretendere, l’avidità, il potere.

La nostra cultura impedisce il fluire della vita, per cui l’emozione fisiologica diventa distorta, e
nasce la patologia. Occorre invece vivere queste 5 emozioni naturali, per essere coerenti in pensieri,
parole e azioni, altrimenti inizia il caos nella nostra vita, e la malattia arriva perché ci manda il
messaggio che non esiste in noi la coerenza tra quello che pensiamo, quello che diciamo e quello che
facciamo.

Esistono 3 modi per rapportarsi agli altri, e vivere la realtà:


1) “Riflettere”, cioè capire il senso dell’esperienza (ad esempio, che l’altro ci fa da specchio),
essendo coerenti con noi stessi.
2) “Esprimere” le emozioni legate alle situazioni che viviamo, essendo in contatto con ciò che
pensiamo.
3) “Somatizzare”, cioè produrre la malattia sul corpo.
Chi somatizza non ha riflettuto, né espresso, producendo una deviazione dal proprio percorso
vitale. La somatizzazione (malattia/benattia) è un messaggio per comprendere il vero senso da
attribuire alla realtà della vita. Ogni infiammazione diluisce e omeopatizza in modo spirituale la
materia, trasformandola in energia.
L’Anima sa che siamo un’unica realtà con Dio, e cerca intuitivamente le circostanze perfette per
guarire i pensieri della mente, che nega tutto ciò; di conseguenza, il corpo risponde con la
malattia/benattia.
Se vuoi sapere ciò che ricordi di Dio, guarda nella tua mente.
Se vuoi sapere ciò che senti di Dio, guarda nel tuo corpo.
Se vuoi sapere ciò che sai di Dio, guarda nella tua Anima.
Una persona non può guarire se non riesce a dare un senso all’esperienza. La vita attira sempre le
cose di cui si ha bisogno, e siamo obbligati continuamente a scegliere. Scegliamo in continuazione,
anche quando decidiamo di non scegliere. Quando ci ammaliamo, abbiamo scelto di soffrire. Quando
però arriviamo alla consapevolezza che scegliendo diversamente potremmo stare bene, perché non lo
facciamo, e continuiamo a reiterare gli stessi errori, sempre nello stesso percorso, scegliendo di star
male? Perché manca la motivazione, e l’abitudine ci porta a fare sempre le stesse cose. Spesso non
siamo motivati abbastanza, e quando c’è un tumore spesso non siamo in grado di cambiare,
preferendo morire. Non si deve dire: “È difficile!”, perché non esistono cose facili o difficili, ma
solo cose che si scelgono o non si scelgono. Tutta la vita è funzionale per conoscerci, non per
giudicare o giudicarci. Ecco perché non esiste colpa, ma solo scelte, che hanno un senso e un
significato. Se molte persone hanno bisogno di curarsi con il cortisone, è perché scelgono questo tipo
di esperienza, funzionale a ciò che vogliono raggiungere, per cui nella vita non esiste qualcosa di
giusto o sbagliato. Possiamo non condividere tale scelta, ma occorre accettare che tutto ha una sua
funzione: ognuno, pur avendo idee diverse, fa il suo percorso. Ciò che siamo, e che diventiamo, è una
nostra scelta.
Non esiste qualcosa che non siamo in grado di fare. Se non ce la facciamo, è perché pensiamo di
non farcela. Esiste solo ciò che scegliamo e ciò che non scegliamo.

ALLA FINE DEL VIAGGIO: E=MC² COME FORMULA DELLA VITA


L’uomo interagisce con l’Universo in modo totale, tuttavia il corpo fisico percepisce in modo
evidente solo gli aspetti della realtà che i cinque sensi sono in grado di comunicargli, quelli descritti
dalle leggi che governano la nostra realtà spazio-temporale.
Le relazioni che il nostro corpo fisico ha con se stesso e con il mondo esterno avvengono in una
realtà a 4 dimensioni, tre per lo spazio (larghezza, altezza e profondità) e una per il tempo.
Einstein ha scoperto con la sua famosa formula E=mc² che materia ed energia sono i due aspetti
della stessa sostanza universale, l’Energia Primordiale, e ha trovato l’esatta relazione che esiste tra
esse. Pertanto, la differenza tra materia fisica e materia eterica è solo una differenza di frequenza.
L’energia può essere immaginata come una sorta di nuvola che, comprimendosi a dismisura e
concentrandosi in un punto, arriva a condensarsi fino ad assumere l’aspetto di un minuscolo oggetto,
con una massa e dimensioni precise nella nostra realtà spazio-temporale.
In effetti, per produrre una particella microscopica è necessaria una quantità enorme di energia, 90
miliardi di volte superiore (la velocità della luce al quadrato) alle dimensioni della massa che si
otterrà. Quindi, la disintegrazione di 1 grammo di materia libera 90 miliardi di erg. Se applichiamo
la stessa relazione al contrario, scopriamo che se trasformassimo una minuscola particella in energia
pura, questa sarebbe enorme rispetto alle dimensioni della sua massa, e ciò è quello che si verifica
nella bomba atomica o nel Sole.
Se fossimo in grado di trasformare la massa in energia come fa il Sole, con l’energia di un
sassolino grande come un seme la nostra automobile potrebbe viaggiare per milioni di chilometri, e
con un sassolino grande come una noce si potrebbe produrre l’energia necessaria a una città per anni.
Il riconoscimento che tutta la materia è energia costituisce il fondamento per comprendere come gli
esseri umani possano essere considerati sistemi energetici dinamici.
Il nostro corpo, dotato di massa m, è uguale a E/c², cioè al rapporto tra l’energia e la velocità della
luce al quadrato (che nella frazione appare al denominatore, ed è uguale a 300.000 Km/sec al
quadrato). Pensate quindi quanta energia (che nella frazione appare al numeratore) è presente nel
nostro corpo fisico, se si tiene presente che un grammo di materia contiene 90 miliardi di erg, e
l’uomo adulto pesa in media 75 Kg!
Vediamo cosa è possibile ricavare dalla formula di Einstein attraverso un ragionamento non
analitico, ma analogico:
Se

E = mc² ne consegue che:


m = E/c² e c² = E/m
Nella formula della relatività di Einstein l’energia rappresenta il prodotto della massa e del
quadrato della velocità della luce. In questa formula c’è tutto l’Universo, e da essa è possibile intuire
l’immortalità dell’Anima, l’esistenza di Dio, il senso della vita.
“E” è l’energia, l’energia vitale, il ki dei cinesi, il prana degli indiani, l’anima (perché l’anima è
pura energia), Dio (perché Dio è dovunque, è eterno, come l’energia), il Padre.
“m” è la massa, il corpo fisico, l’uomo, il Figlio.
“c²” è la velocità della luce al quadrato, la mente, il pensiero, la psiche, l’informazione, lo Spirito
Santo (cioè, la conoscenza intesa come consapevolezza). Il nostro pensiero è infatti un flusso di
elettroni, che viaggiano alla velocità della luce, addirittura al quadrato, perché la mente può
ricordare il passato e viaggiare nel futuro in modo simultaneo.

Anche nella Bibbia è presente questo simbolismo: Dio pensò (psiche divina), e il suo pensiero si
tradusse in azione; dopo aver creato l’Universo creò il corpo dell’uomo impastando il fango e
soffiando in lui l’anima (soffio = energia vibrazionale = informazioni frequenziali).

Dio, il Padre, il Creatore (E) è pura energia che pervade tutto l’Universo, e l’anima di ogni essere
vivente ne fa parte in quanto entità energetica. Secondo il 1° principio della termodinamica,
l’Energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma; Dio è eterno, e si trasforma continuamente nelle
varie forme di vita.
E = mc²: Dio (E) è una mente pensante alla velocità della luce al quadrato (c²), dotata di massa,
cioè di corpi fisici (m) (stelle, pianeti, uomini, cellule, atomi, elettroni, quark).

m = E/c²: il corpo fisico (m) è direttamente proporzionale all’energia (E). L’uomo è direttamente
collegato al Padre, è un’entità energetica, un’anima pensante, che, esistendo, permette l’esistenza
stessa di Dio. La malattia del corpo fisico m è quindi uno squilibrio energetico E che si produce in
seguito a uno squilibrio della psiche c² (emozioni negative, conflitti psichici).

m = E/c²: se c fosse 0, cioè annullassimo la mente, m diventerebbe infinito (∞), perché un numero
diviso per 0 è uguale a infinito. Se riusciamo ad annullare il pensiero, come, a esempio, si produce
nella meditazione, il nostro corpo fisico si avvicina a Dio, ricongiungendosi all’Energia Universale.

m = E/c²: per guarire da una malattia (sintomi sul corpo fisico) si deve agire sia sull’Energia che
sulla psiche; ecco dimostrata l’importanza dell’agopuntura, dei rimedi omeosinergetici o dei rimedi
omeopatici unitari ad alta diluizione. Poiché E è costante, per la guarigione si deve intervenire su c²;
si può guarire anche solo intervenendo sul pensiero. Ecco perché è importante il valore delle
informazioni, date dal medico al paziente, che incidono sulla sua psiche, sia in caso di prognosi
favorevole sia in caso di prognosi infausta, aggravando in questo secondo caso la malattia.

m = E/c²: poiché m ed E sono direttamente proporzionali, se mi ammalo (cioè avverto


coscientemente il mio corpo), mi avvicino a Dio. Se trasformo alchemicamente il concetto di malattia
in benattia, cioè cambio la c (mente), poiché E è costante, cambia anche la m (il corpo) e si ha la
guarigione. Ecco perché l’infiammazione è divina.

m = E/c²: se i bisogni e i desideri dell’Anima (E) non collimano con le esigenze della mente (c), il
corpo (m) soffre, perché si ha uno sbilanciamento del rapporto E/c² in favore di c². Poiché E è
costante e c è inversamente proporzionale ad m, aumentando c diminuirà m: ecco la comparsa dei
sintomi.
m = E/c²: nelle malattie della pelle in caso di trattamento allopatico si interviene sulla cute con un
farmaco soppressivo, a esempio, il cortisone. Bloccando i sintomi del corpo fisico (m), si blocca
anche l’energia vitale (E), perché sono direttamente proporzionali. Se i sintomi diminuiscono,
aumenta contemporaneamente la c (perché sono inversamente proporzionali), quindi il processo, che
stava andando in superficie, ritornerà in profondità sulla mente, accentuando i sintomi mentali. Infatti
cute e sistema nervoso hanno la stessa origine embrionaria, dall’ectoderma.

m = E/c²: se pensiamo eccessivamente (c aumenta), non accettiamo, rifiutiamo, resistiamo, non ci


lasciamo andare, il corpo si ammala (m diminuisce). Se accettassimo tutto, annulleremmo la mente, c
diventerebbe 0, per cui m diventerebbe infinito: il corpo fisico si ricongiunge all’Energia Universale.
Gesù Cristo, colui che ha accettato tutto, anche di morire in croce (segno della croce: Padre – ci si
tocca la fronte, Figlio – ci si tocca il centro del torace, Spirito Santo – si toccano 2 volte i lati del
torace) è risorto.

m = E/c²: se si vuole ottenere soltanto un miglioramento del corpo fisico del paziente, e non la
guarigione, è possibile migliorare lo squilibrio energetico anche senza intervenire sul suo pensiero,
somministrando un rimedio omeopatico senza il tentativo di accrescere la consapevolezza del
paziente. È ovvio che in tal caso si può ottenere soltanto il miglioramento dei sintomi, non la
guarigione.

m = E/c²: nel miracolo si annulla la c, perché la mente non riesce a credere nei miracoli. Ciò
avviene quando m, il corpo fisico, diventa infinito, si accosta per un attimo a Dio, all’energia
universale, come, a esempio, può succedere nei luoghi sacri, a esempio Lourdes, dove l’energia E
(energia di guarigione) è molto elevata.

m = E/c²: se si assume uno psicofarmaco, si agisce su c (bloccando i pensieri, cioè diminuendoli) e


migliorando apparentemente la m (i sintomi del corpo fisico), perché sono inversamente
proporzionali. Appena i pensieri derivanti dai conflitti irrisolti ritorneranno, si verificano di nuovo i
sintomi, per cui si è costretti ad aumentare la dose del farmaco o a cambiarlo con uno più potente e
con più effetti collaterali.

m = E/c²: se c² diventasse infinita (∞), poiché E è infinita, m diventerebbe uguale a 1


(infinito/infinito). Questo è Dio, lo Spirito Divino, che è l’Unità, energia pensante infinita.
L’uomo è un individuo (indivi-duo), cioè una dualità indivisa; se si riconosce nel suo dualismo
indivisibile, si avvicina a Dio, all’Unità. La dualità viene vissuta nella realtà quotidiana, dividendo
il bene dal male, l’amore dalla paura; se egli prende consapevolezza di essere indiviso, si fonde con
l’Unità e diventa divino. Infatti l’uomo (m) è su questa Terra come esponente e parte di Dio, come
creatura ed entità energetica divina che deve tendere a unirsi al Creatore, pensando all’infinito.

c² = E/m: se m diventa 0, cioè il corpo fisico si annulla (la morte), c² diventa infinito, cioè la nostra
psiche si ricongiunge all’Energia Universale, a Dio. Ecco il significato della morte, che pertanto
esiste solo come perdita del corpo fisico, mentre si conferma l’immortalità dell’Anima, che prende
con sé tutti i pensieri sviluppati in vita. Per questo dovremmo essere responsabili di tutti i nostri
pensieri, e lasciar fluire quelli negativi, che non ci appartengono, perché non appartengono alla
nostra Anima. Noi non siamo i nostri pensieri, e non dobbiamo identificarci con essi, come invece
affermato da Cartesio con la frase “Cogito ergo sum” (penso, quindi esisto). Noi non siamo i nostri
pensieri, siamo un’Anima pensante.
c² = E/m: se pensiamo troppo, in modo ossessivo, cioè aumentiamo caoticamente il flusso della
mente, poiché E è costante (perché l’Energia dell’Universo è costante), m diminuisce (perché sono
inversamente proporzionali), e il corpo si ammala, arrivano i sintomi. La schizofrenia, a esempio, è
la perdita dei contatti con il corpo, con la realtà fisica (c² aumenta, m diminuisce).

c² = E/m: nella depressione si ha l’aumento di c ( aumento dei pensieri negativi) che si riflette sulla
diminuzione di m (comparsa di sintomi fisici).

c² = E/m: nel tumore aumenta la c², e pensando troppo negativamente e perdurando il conflitto di
partenza, tale conflitto si trasferisce su m, che è inversamente proporzionale e tende a diminuire
verso lo 0 (formazione di cellule indifferenziate nel corpo, inteso come ritorno alle origini). Se si
supera una certa soglia, m si abbassa troppo, e si ha la morte del corpo fisico, e il ricongiungimento
della psiche a Dio. Per guarire da un tumore, si deve cambiare la c² (mente). Moriamo di tumore per
la paura del tumore (c² aumenta, aumenta la paura).

c² = E/m: se m diventasse infinita (∞), poiché E è infinita, c² sarebbe uguale a 1. Questo è anche
Dio, lo Spirito Divino, che è l’Unità, energia di massa infinita. Se l’uomo, dotato di massa m, si
fonde con l’infinito, si ricongiunge a Dio.

Nella medicina omeosinergetica il terapeuta deve agire su E (l’anima del paziente), facendogli
prendere coscienza dei bisogni e desideri della propria anima, deve intervenire su c, la mente del
paziente, invitandolo a diminuire o annullare il proprio pensiero negativo relativo alla malattia,
conforme alle informazioni spesso impartite dai medici condizionati a loro volta dal proprio campo
mentale pieno di paure. Solo agendo su E e su c², attraverso l’utilizzo di rimedi omeosinergetici
strutturati secondo la logica dei 3 piani (causale, sistemico, sintomatico; cioè Anima, mente, corpo) e
prescritti promuovendo la presa di coscienza del paziente, è possibile intervenire realmente su m, sul
corpo fisico, guarendolo.

Se il paziente crede che la terapia funzioni, dal momento che il pensiero può essere in grado di
creare la realtà, qualsiasi farmaco (sia della medicina convenzionale, sia della medicina non
convenzionale) può essere in grado di agire su m, sul corpo fisico. Se non ci crede, qualsiasi
farmaco, anche il più potente, non funzionerà, perché c è molto elevata (è al quadrato).

Un veleno in dosi notevoli funziona sempre perché come tossico è congegnato per annullare m (cioè
dare la morte), per cui va ad agire direttamente su E, bloccando il fluire dell’energia lungo i
meridiani di agopuntura e all’interno dei Chakra, i vortici situati nel campo energetico individuale,
che canalizzano l’energia cosmica verso i meridiani di agopuntura, rappresentando dei trasduttori
delle frequenze energetiche del Ki nelle frequenze del flusso fotonico dei meridiani.

Poiché E è costante, attraverso la c (il pensiero) posso modificare la m (il corpo). Il pensiero crea
la realtà, e secondo il principio di indeterminazione di Heisemberg l’osservatore modifica il
fenomeno osservato. Ciò significa che se l’osservatore carica il fenomeno che sta osservando di
pensieri positivi (es. esperimento di Benveniste sulla memoria dell’acqua, o sperimentazione della
terapia Di Bella somministrata direttamente dal professore), l’esperimento riesce secondo le proprie
aspettative. Se egli carica il fenomeno che sta osservando di pensieri negativi (es. esperimento di
Benveniste eseguito da scienziati invidiosi, o sperimentazione della terapia Di Bella eseguita da
medici scettici o denigratori), il fenomeno osservato (la degranulazione dei basofili, o il
miglioramento del paziente terminale) non si verifica. Per tale motivo il medico omeopata che non
crede totalmente alla terapia che prescrive, o assume con i pazienti un atteggiamento ambivalente
riguardo alle terapie, determina l’insuccesso della terapia sul paziente.
La terapia omeopatica è spesso efficace nei bambini, poiché la loro energia E è molto elevata
(infatti hanno meno sovrastrutture mentali), per cui basta un minimo rimedio energetico per
riequilibrarla.

Dallo sviluppo dell’equazione di Einstein si evincono i seguenti termini numerici: 0, 1 e infinto.


Lo 0 è il nulla, che esiste perché possa esistere il suo opposto, l’infinito, che è Dio.
L’1 è lo Spirito Divino, che esisteva come Unità prima del big bang, unendo in sé il tutto. Per
manifestarsi si è diviso infinite volte, ed ha creato l’Universo, le stelle, i pianeti, la Terra, gli uomini,
gli animali, i vegetali, i minerali. Tutti questi sono indivi dui, dualità indivise con diverse modalità di
coscienza.
Infatti un cristallo ha una coscienza molto lontana dalla divisione, è molto vicino all’Unità, allo
Spirito Divino, e per questo motivo ha una vita di milioni di anni, è quasi eterno. Un vegetale è più
vicino alla divisione, infatti molti alberi sono pluricentenari. Mentre gli animali e l’uomo sono i più
vicini alla divisione, ecco perché la loro vita è limitata a poche decine di anni.

La psiche è un’interprete che decifra i messaggi nelle vie di comunicazione anima-corpo e corpo-
anima, alla stregua di un mediatore di messaggi e informazioni, fondamentali per un giusto equilibrio
tra l’energia spirituale e il corpo fisico. Quindi, può essere concepita come la parte attraverso la
quale l’intima essenza del sé, cioè il soffio vitale che contiene le informazioni del programma-vita (il
DNA), dono dello spirito cosmico che è in noi, entra in rapporto con il corpo.
La malattia fisica nasce quando il messaggio interpretativo prende la via del corpo, in quanto la
mente e la coscienza psichica non sono in grado di assecondare le esigenze e aspirazioni del sé
profondo, dell’Anima. Secondo questa visione, è possibile arrivare a un’altra definizione della
salute: il corpo m sta bene, quando i bisogni e i desideri dell’Anima (E) coincidono con le esigenze
della mente (m).

Il rapporto tra energia e materia non è altro che la psiche, cioè l’informazione. Abbiamo detto che
l’informazione è una particolare forma di energia, che può essere captata dalla materia,
modificandola. Ecco perché il pensiero e la parola di un medico che interagisce con un suo paziente
hanno una loro particolare risonanza elettromagnetica che raggiunge ogni sua cellula e può
modificare in senso migliorativo o peggiorativo il corpo del paziente, anch’esso costituito, a livello
di ogni organo e di ogni cellula, da un insieme di informazioni energetiche che formano una
tridimensionalità sincronica (corpo, mente, spirito) creatasi da un’unica vibrazione primordiale, che
genera onde elettromagnetiche a varia frequenza.
Il corpo è lo specchio dei nostri pensieri e della nostra vita interiore, ci invia costantemente dei
segnali simbolici (i sintomi delle malattie) che non abbiamo la capacità o la voglia di ascoltare. I
nostri pensieri sono arbitri della nostra salute o delle nostre malattie, perché riproducono onde di
forma mentali le quali organizzano la materia nel senso voluto, producendo malattia o armonia e
salute.
La malattia in sé non esiste: è solo una contrazione di energia. Le contratture, i blocchi energetici
hanno luogo solo quando non ci stiamo amando, o non stiamo amando gli altri e la vita, quando
sostituiamo l’accettazione con il giudizio e il rifiuto; è il segnale che qualcosa dentro di noi non è
armonico e deve essere riportato in equilibrio.
Tutto vibra nell’Universo, e l’ampiezza di ogni vibrazione determina gli eventi. Ciascuno di noi ha
la sua specifica vibrazione, essa richiama le circostanze, le persone e gli oggetti che sono parte della
nostra realtà. Se la vita che conducete non vi soddisfa, cambiate scenario come cambiereste
frequenza a una radio semplicemente girando una manopola: innalzate le vostre vibrazioni.
Mutandole, immediatamente cambierete le vostre relazioni con le circostanze della vostra realtà,
diventerete padroni di nuovo del vostro destino, e non ci sarebbe più bisogno di ammalarsi.
Il mondo in cui viviamo è la somma totale delle nostre singole azioni giornaliere, lo specchio che
ci rimanda le immagini che noi mettiamo in scena nelle nostre recite individuali. I problemi che ogni
giorno affrontiamo sono sfide alla nostra creatività per costringerci a evolvere, per assumere la
nostra responsabilità personale, senza delegare o pretendere che gli altri cambino al posto nostro.
Noi siamo esseri multisensoriali che hanno con sé un potenziale inesplorato che aspetta solo di
essere portato alla luce, e una facoltà che pochi sanno usare in modo consapevole: l’abilità di
percepire l’energia.
L’energia ha un suo modo spontaneo di esprimersi. È difficile poter affermare con sicurezza quando
un individuo sperimenterà un determinato avvenimento, ma si può invece dedurre quando eventi
compresi in una determinata fascia energetica diventano più probabili nella vita di colui che sta
sperimentando un livello energetico compatibile con tale fascia. Il livello di vibrazione energetico
dell’uomo medio si attesta dalle 18.000 alle 24.000 vibrazioni per milionesimo di secondo. Sotto
tale banda, è probabile che si inneschino dinamiche e reazioni negative. I grandi mistici generalmente
hanno un livello di vibrazioni che oscilla stabilmente sui 60.000 cicli. Questa banda di oscillazione
influenza direttamente la vita quotidiana dei singoli individui e di coloro che interagiscono con lui.
Per riconoscere l’energia, dobbiamo essere calmi e centrati, poiché anch’essa è sottoposta alla legge
della risonanza e dei simili: energie simili si attraggono, rafforzando quindi l’effetto. Se ciascuno di
noi entra in un luogo affollato portandosi dietro pensieri negativi, le antenne della nostra stazione
ricevente si sintonizzeranno immediatamente su colui che sta provando lo stesso schema emozionale,
che, rafforzandosi, aumenterà il nostro disagio.
Impariamo a pensare a ciò che desideriamo, piuttosto che a ciò che rifiutiamo; questo è un modo
per impadronirsi delle nostre vite, per divenire creatore della propria realtà.
Impariamo il segreto della vita: scegliere chi siamo e chi vogliamo essere, in un vita nella quale
tutto è perfetto, è giusto, è necessario e va rispettato; una vita senza la necessità di giudicare e senza
sensi di colpa, nella quale Dio è in tutto e in tutti, per cui il peccato e l’errore non esistono, o almeno
sono presenti solo per farci comprendere come evolvere. Una vita nella quale per capire cos’è la
salute non è necessario ammalarsi, né andare alla ricerca di una verità fuori di noi e lontana nel
tempo e nello spazio, perché esistono tante verità per quanti sono gli esseri umani. Vi ricordate la
caverna di Platone? L’uomo guarda le ombre di persone e di oggetti che sono posti alle sue spalle, e
che sono proiettate contro uno schermo, e afferma che ciò che vede (le ombre) è la sua verità, cioè
che la verità è lo schermo. Impariamo che la verità non va dimostrata, perché è.
Viviamo una vita pervasa di amore, amore verso Dio, verso il Padre, che ci ha creati, perché lui
potesse manifestarsi attraverso noi, permettendoci di scegliere, attraverso il libero arbitrio, proprio
il modo con cui manifestarsi!
Viviamo ogni giorno della nostra vita come se fosse l’ultimo, non diamo nulla per scontato, amiamo
noi stessi e allo stesso modo gli altri, realizzando così la vera essenza dell’amore, che si esprime
nella sua totalità quando mettiamo gli altri nella condizione di amare!
Mettiamoci in discussione, scegliamo, responsabilizziamoci, non deleghiamo il nostro potere
individuale agli altri, sbarazziamoci delle nostre dipendenze! Diventiamo multisensoriali, olografici,
iniziamo il viaggio della nostra vita, raggiungiamo la consapevolezza del nostro scopo quali esseri
umani!
Come afferma Osho, una goccia d’acqua dell’oceano che evaporando torna al cielo viene data per
dispersa dalle altre che rimangono nel mare, ma da sola raggiunge il cosmo e poi ritorna con una
consapevolezza diversa: quella goccia ha sperimentato l’essere della vita, si è trasformata
alchemicamente, perché si è liberata dai condizionamenti, dalle interferenze e dalle paure delle altre
gocce. La Terra è una scuola, che abbiamo deciso di frequentare per vedere Dio in ogni
manifestazione. Ciò che non si impara con la conoscenza, si impara con la sofferenza, e soffriamo
finché ci separiamo.
Dobbiamo decidere chi siamo, e chi vogliamo essere. Noi siamo quello che abbiamo pensato di
essere, per cui decidere in anticipo ciò che vogliamo essere è l’unico modo per fare esperienza. Ogni
stato mentale si riproduce, si materializza, per cui decidiamo subito cosa vogliamo essere! Se agiamo
come la persona che vorremmo essere, lo saremo. Se vogliamo essere sani lo saremo, se pensiamo
alla malattia come sofferenza soffriremo e ci ammaleremo sempre di più. La guarigione è distante
solo un pensiero! Dire che è difficile raggiungere la guarigione è la stessa cosa che non raggiungerla.
Non c’è più bisogno di crearsi degli alibi per non responsabilizzarci. Comportiamoci come quella
piccola goccia che ha sperimentato l’infinito! Questo è il mio augurio.
Così scriveva in “Come io vedo il mondo” Albert Einstein, colui che ha avuto la più grande
intuizione che possa avere un essere umano, cioè quella di collegare nella sua famosa formula E=mc²
l’energia e la materia, lo Yin e lo Yang:

“Ognuno di noi è su questa terra per una breve visita; egli non sa il perché, ma assai spesso crede
di averlo capito. Non si riflette profondamente e ci si limita a considerare un aspetto della vita
quotidiana; siamo qui per gli altri uomini: anzitutto per coloro dal cui sorriso e dal cui benessere
dipende la nostra felicità, ma anche per quella moltitudine di sconosciuti alla cui sorte ci incatena un
vincolo di simpatia…. Qual è il senso della nostra esistenza, qual è il significato dell’esistenza di
tutti gli esseri viventi in generale?… Chiunque crede che la sua propria vita e quella dei suoi simili
sia priva di significato è non soltanto infelice, ma appena capace di vivere. La più bella sensazione è
il lato misterioso della vita… Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così
dire morto; i suoi occhi sono spenti… Mi basta sentire il mistero dell’eternità della vita, avere la
coscienza e l’intuizione di ciò che è, lottare attivamente per afferrare una particella, anche
piccolissima, dell’intelligenza che si manifesta nella natura”.

Ecco lo scopo di una vita. Non esiste più il concetto del peccato originale, che ci ha fatto sentire
Dio separato da noi, esseri viventi una vita dall’esito incerto. Esiste, invece, un “potere originale”,
che consiste nella capacità di creare la realtà a nostra immagine e somiglianza, come ciò che
abbiamo deciso e scelto di essere. Il fine ultimo della vita è “essere”, perché la vita è un mezzo per
realizzare ciò che si vuole. L’essere precede sempre il fare e l’avere; non procedete mai nel senso
contrario, cominciando dall’avere!

Come afferma Walsch:


1) ciò che penso, creo;
2) ciò che creo, divento;
3) ciò che divento, esprimo;
4) ciò che esprimo, sperimento;
5) ciò che sperimento, sono. Ecco l’essere.

Vivere è riscoprire la luce e l’energia, come afferma il filosofo Lorenzo Ostuni, con la
consapevolezza che:
1) Il corpo è l’energia da incontrare;
2) La mente è l’energia da conoscere;
3) Il cuore è l’energia da amare;
4) L’anima è l’energia da diventare;
5) Dio è l’energia da essere.
Questo livello di coscienza superiore, che ci fa entrare in comunione con Dio, ed è collegato con la
consapevolezza che ”io sono nel presente”, costituisce il vero obiettivo della medicina
omeosinergetica e della guarigione spirituale e olistica, che annulla la paura e il giudizio mentale su
ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato, facendoci vivere nel presente tutto quanto è necessario per
rimanere collegati con Dio. Tale consapevolezza ci permetterà alla fine della vita di valutare in pochi
attimi in modo olografico tutto il film della nostra esistenza, e poter dire: “È stata una bella vita,
degna di essere vissuta!”.
Forse in quel momento, come afferma Osho, mi accorgerò che il vero obiettivo della mia vita, che
ho sognato utopisticamente per tanti anni, non era alla fine della strada, ma era la strada stessa.

PERCORSI DI LETTURA
AA. VV. Dispense A.R.T.I.
Egli Renè Il principio Lola Macro Edizioni
Marchesi Fabio La fisica dell’Anima Tecniche Nuove
Tolle Eckart Il potere di adesso Edizioni Armenia
Marchesi Fabio La luce che cura Tecniche Nuove
John N. Ott Luce, radiazione e vita Nuova Ipsa Editore
Roche de Coppens Vivere sani in un mondo malato Bresci Editore
Franco Pippo Pensieri per vivere Ed. Mediterranee
Nannelli Rossella Il pensiero olografico Comp. d. Araldi
Gerber Richard Medicina vibrazionale Lampis Editore
Gribbin John La nuova fisica Editoriale Scienza
Gribbin John Guida alla scienza per quasi tutti Longanesi
Walsch Neale D. Conversazioni con Dio (vol. 1) Sperling e Kupfer
Walsch Neale D. Conversazioni con Dio (vol. 2) Sperling e Kupfer
Walsch Neale D. Conversazioni con Dio (vol. 3) Sperling e Kupfer
Walsch Neale D. Amicizia con Dio Sperling e Kupfer
Walsch Neale D. Comunione con Dio Sperling e Kupfer
Fanelli Vincenzo Il potere dell’energia universale Macro Edizioni
Ghirardi Gian Carlo Un’occhiata alle carte di Dio EST Il saggiatore

Anello Laura La fortuna di avere un figlio spastico Il pozzo di Giacobbe


Bollone Pierluigi M. I miracoli di Gesù Ed. La Stampa
Staguhn Gerhard Breve storia dell’atomo Salani Editore
Long Max Freedom La scienza segreta dietro ai miracoli Macro Edizioni
Tresoldi Roberto Terapie Vibrazionali Tecniche Nuove
Wiesendanger H. Il grande libro della guarigione spirituale Ed. Mediterranee
Dalai Lama Il senso dell’esistenza Rizzoli
A.N.F.C.C. Guarire con il metodo Di Bella Monduzzi Editore
Guglielmo Arcieri Introduzione alla medicina energetica e quantistica Nuova Ipsa Editore
Zukav Gary La danza dei maestri Wu Li Corbaccio
Osho La dottrina suprema Bompiani
Osho Orme sulle rive dell’ignoto Mondadori
Osho Meditazione dinamica Ed. Mediterranee
Osho La mezza età: un nuovo inizio Ediz. Del Cigno
Scheffer-Storl Le piante per la psiche Nuova Ipsa Editore
Del Giudice Nicola Omeopatia: ponte tra biologia e psicologia Nuova Ipsa Editore
Del Giudice Nicola Omeopatia e bioenergetica Cortina Editore
Fritz-Albert Popp Nuovi orizzonti in medicina Nuova Ipsa Editore
Dominique Senn L’equilibrio biologico Nuova Ipsa Editore
Bateson Gregory Verso un’ecologia della mente Adelphi
Bateson Gregory Mente e natura Adelphi
Charon Jean Morte, ecco la tua sconfitta Ed. Mediterranee
Brofman Martin Guarire TEA Editore
Simonton Carl L’avventura della guarigione Macro Edizioni
Fernando Risquez Femminilità Nuova Ipsa Editore
Paciotti Iris La salute integrale Ed. Mediterranee
Helmut Kiene Medicina complementare & Medicina accademica Nuova Ipsa Editore
Capra Fritjof Il tao della fisica Adelphi
Capra Fritjof La rete della vita Adelphi
Bodanis David E=mc2 Mondadori
Dethlefsen Thorwald Malattia e destino Ed. Mediterranee
Satprem La mente delle cellule Ed. Mediterranee
Mambretti Giorgio La medicina sottosopra Ed. Amrita
Butto Nader Il settimo senso Ed. Mediterranee
Griscom Chris Il tempo è un’illusione Ed. Mediterranee
Lyndley David La luna di Einstein Longanesi
Talbot Michael Tutto è uno URRA
Viacava Claudio Onde elettromagnetiche Xenia Editore
Roy Martina Chi siamo veramente Tecniche Nuove
Roy Martina Equilibrio emozionale Tecniche Nuove
Roy Martina Vitalità Nuova Ipsa Editore
Victor Bott Medicina antroposofica Nuova Ipsa Editore
Montecucco Nitamo Cyber Ed. Mediterranee
Hamer Ryke Geerd Riassunto della nuova medicina Ed. Amici di Dirk
Dossey Larry Spazio, tempo e medicina Ed. Mediterranee

POSTFAZIONE
La medicina omeosinergetica è una branca della medicina che pone la consape-volezza e il
sentimento al centro della sua strategia terapeutica. Senza la consape-volezza e senza la capacità di
sentire, non c’è evoluzione e senza evoluzione non può esistere la vita.
Oggi si chiama “resilienza”, una volta la si chiamava “forza d’animo” o “sentimento”. Il cuore è
l’espressione fisica e la sede metaforica del sentimento, una parola che risuona in sé la platonica
“tymoidés”. Ma il sentimento di cui si occupa la medicina omeosinergetica non è languore o
malcelata tristezza, né macerante tormento o sconsolato abbandono: è energia, empatia, forza, quella
forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione, che ci fa sentire centrati, in ascolto di noi stessi, a
casa.
Spesso, purtroppo, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomen-tazioni dispiegano, il
raziocinio prevale sull’istinto, la mente sul cuore, la paura sul coraggio, e così ci si sente stranieri
nella propria vita. La forza d’animo, la forza del “sentire dentro”, ci difende da questa estraneità , ci
fa sentire a casa, presso di noi. Ed è questa la chiave della salute: la capacità di essere in linea con
noi stessi, una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, il che corrisponde alla forza d’animo di cui
sopra.
Il bisogno di essere accettati ed il desiderio di essere gratificati ed amati, ci fanno percorrere
strade non nostre, incorriamo in tutto quell’ “altrove” della vita che non ci appartiene, e tutto ciò
perché altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono e noi non
sappiamo dire di no. Così l’animo si indebolisce, si ripiega su se stesso nel vano tentativo di
compiacere agli altri. Nasce la malattia, la metafora della devianza dal sentiero della nostra vita.
Rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, smarrito il senso dell’esistenza, gli sguardi
si incontrano solo per evitarsi, ci immergiamo nel lavoro, grati perché ci permette di giustificare la
lontananza dalla nostra vita. Passioncelle generiche e ingannevoli sfiorano le nostre anime assopite,
ma non le destano, non hanno forza. Sono state acquietate da quell’ideale di vita che viene spacciato
per equilibrio, buona educazione, salvaguardia dei figli. Passiamo così il tempo della nostra vita
senza sentimento, senza dignità, senza nobiltà. Vivere a lungo è diventato il nostro ideale; il “come”
non ci riguarda più, perché il contatto con noi stessi si è perso nel rumore del mondo.
È assolutamente necessario pertanto essere se stessi! Ma per fare ciò bisogna accettarci
integralmente, compresa la nostra ombra, ciò che di noi stessi non sap-piamo accettare e
conseguentemente rifiutiamo, quella parte oscura, ben nascosta che, quando viene sfiorata da
qualcuno “a caso”, ci fa sentire “punti nel vivo”. L’ombra però è necessaria, è viva ed è presente
come strumento per la nostra felicità perché fornisce un campo contestuale localizzato in cui ricreare
noi stessi, in cui possiamo scegliere di essere diversi e sperimentare l’aspetto più grande che
possiamo concepire di noi. Pertanto, in assenza dell’ombra, non può esistere la luce. Accolta,
l’ombra cede la sua energia, la sua forza, cessa la guerra tra noi e noi stessi. Siamo in grado di dire a
noi stessi: “Perché no? Posso essere anche questo”. La pace e la serenità così raggiunte
rappresentano la forza d’animo, la capacità di essere, di guardare in faccia la realtà senza illusorie
vie di fuga.
Ed è così che, grazie a questo processo d’integrazione, l’oscurità dello sguardo che non vede via
d’uscita si riaccende di speranza, cerca nel buio la luce, perché si ricorda che il buio della notte non
è l’unico colore del cielo.
Tutto ciò che evitiamo o non accettiamo è sonno, dimenticanza di sé, non ha nulla del coraggio di
chi vive col cuore ed accetta la sfida della vita, è incapacità di ricordare che tutto è necessario e
prima o poi sarà funzionale, servirà a qualcuno.
“Tu appartieni alla consapevolezza, sei parte di quel flusso. Ma solo il cuore può compiere questo
viaggio: è un avventuriero, esplora i misteri. Il cuore non si assesta mai da nessuna parte…è
soddisfatto solo quando arriva all’assoluto. E solo il cuore può avere la fiducia che quel viaggio
richiede”.
Qualcuno ci potrà chiedere: “Ma tutto ciò cosa c’entra con la malattia, o meglio, con la benattia?”
Beh, se qualcuno ancora non l’ha compreso, questa può essere l’occasione per... ascoltare il proprio
cuore.
Buona vita.
Marcello Luigi Monsellato

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