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FILOSOFIE

LGBT
N. 117

Collana diretta da Pierre Dalla Vigna (Università degli Studi


dell’Insubria, Varese-Como) e Luca Taddio (Università degli Studi
di Udine)

COMITATO SCIENTIFICO
Paolo Bellini (Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como)
Claudio Bonvecchio (Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como)
Mauro Carbone (Université Jean-Moulin, Lyon 3)
Morris L. Ghezzi (Università degli Studi di Milano)
Antonio Panaino (Università degli Studi di Bologna, sede di Ravenna)
Paolo Perticari (Università degli Studi di Bergamo)
Susan Petrilli (Università degli Studi di Bari)
Augusto Ponzio (Università degli Studi di Bari)
IL CLAMORE
DELLA FILOSOFIA
Sulla filosofia francese contemporanea
A cura di
Paolo Aldo Rossi – Paolo Vignola

MIMESIS
Filosofie
© 2011 – MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)
Collana: Filosofie n. 117
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INDICE

PREFAZIONE p. 7

IL SIGNIFICATO E IL METODO DELLA STORIA DELLE SCIENZE


“COSTRUITA DALLA MENTE DELLO STORICO”
IN FEDERICO ENRIQUES
di Paolo Aldo Rossi p. 11

HENRI-LOUIS BERGSON, TRA OTTO E NOVECENTO


di Luca E. Cerretti p. 23

«LES PSYCHOLOGUES NE SAVENT PAS TOUT.


LES POÈTES ONT SUR L’HOMME D’AUTRES LUMIÈRES».
POETICHE DELLA MEMORIA NELLE RÊVERIES
DI GASTON BACHELARD. IPOTESI
PER UN’ERMENEUTICA DELLA LETTERATURA
di Emanuela Miconi p. 39

L’HEGELISMO FRANCESE NEGLI ANNI TRENTA


DEL NOVECENTO. GRANDEZZA E LIMITI
di Roberto Morani p. 53

JACQUES MARITAIN E I DIRITTI DELLA PERSONA UMANA


di Simona Langella p. 63

PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE NELL’OPERA


FILOSOFICO-TEOLOGICA DI HENRI DE LUBAC:
CATTOLICITÀ, PARADOSSO E MISTERO
di Matteo Zoppi p. 73

LA NIETZSCHE RENAISSANCE TRA DELEUZE E DERRIDA


di Paolo Vignola p. 87
BLANCHOT, IL NEUTRO, IL DISASTRO
di Giuseppe Zuccarino p. 107

J.- F. LYOTARD E IL POSTMODERNO


di Ignazio Semino p. 123

FOUCAULT E L’ONTOLOGIA DELL’ATTUALITÀ


di Filippo Domenicali p. 141

PIERRE HADOT: LA FILOSOFIA COME MODO DI VITA


di Letterio Mauro p. 155

CREDENZA RELIGIOSA E VIRTÙ EPISTEMOLOGICHE:


IL CONTRIBUTO DI POUIVET ALLA FILOSOFIA ANALITICA
DELLA RELIGIONE IN FRANCIA
di Marco Damonte p. 167

SIMONE DE BEAUVOIR: LA PASSIONE DELLA LIBERTÀ


di Luisella Battaglia p. 183

L’AMBIVALENZA DEL DEMOCRATICO. NOTE SUL SENSO


DELLA DEMOCRAZIA IN CLAUDE LEFORT E JEAN-LUC NANCY
di Alessandro Esposito p. 205

KLOSSOWSKI E LA NOZIONE DI SIMULACRO


NELLA FILOSOFIA FRANCESE DI FINE NOVECENTO
di Pierre Dalla Vigna p. 223

AUTORI p. 233
87

PAOLO VIGNOLA

LA NIETZSCHE RENAISSANCE
TRA DELEUZE E DERRIDA

Nella comparsa alle stampe delle edizioni critiche di Nietzsche, curate


da Colli e Montinari e pubblicate nel 1964, si è soliti individuare le condi-
zioni di possibilità, filologiche e filosofiche, di una “rinascita nietzscheana”
o, per dirla alla francese, di una “Nietzsche renaissance”. Ma se gettiamo
uno sguardo sul panorama transalpino di quegli anni ci rendiamo conto che
una riscossa nietzscheana era già in atto, grazie soprattutto al diffondersi
di una linea interpretativa radicalmente antidialettica, che ha in Gilles De-
leuze uno dei maggiori promotori. Se vogliamo comprendere le ragioni
di questa rinascita dobbiamo però portarci sicuramente più indietro della
lettura deleuziana di Nietzsche, ed osservare il percorso per così dire gene-
rale del panorama filosofico francese tra gli anni Venti e la fine degli anni
Cinquanta del secolo scorso.

La parabola francese

In un libro indispensabile per l’interpretazione della filosofia francese


del secondo Novecento, Le même et l’autre, Vincent Descombes descrive
il movimento che, come una parabola, a partire dagli anni ‘40 fino alla fine
degli anni ‘70, conduce prima a una rivalutazione della filosofia hegeliana
contro il kantismo ed il bergsonismo, per superarla poi durante gli anni ’60
tramite una riabilitazione di Nietzsche, attuata in vista di una critica radica-
le della dialettica e del ruolo fondamentale che il negativo avrebbe in essa1.
Si può intendere la motivazione di questa parabola, che da Kant giunge a
Nietzsche, come la ricerca sempre più urgente di un pensiero che si rivol-
gesse direttamente ai processi e ai conflitti che attraversavano la società
nel suo complesso. Per Descombes infatti, tanto la fenomenologia quanto
il bergsonismo, per non parlare dell’idealismo universitario, erano incapaci

1 Cfr. V. Descombes, Le même et l’autre, Minuit, Paris 1978, p. 22.


88 Il clamore della filosofia

di portare la riflessione teorica a diretto contatto con la storia dell’umanità,


mentre una rilettura “atea e antropologica”2 di Hegel sembrava avere le
carte in regola per questo compito.
Se il primo a rispondere a tale urgenza è stato Jean Wahl, con La co-
scienza infelice nella filosofia di Hegel3, il ruolo cardine all’interno della
parabola spetta sicuramente a Alexandre Kojève, poiché, tramite i corsi
tenuti all’Ecole Pratique des Hautes Études dal 1933 al 19394, ha dato il
contributo decisivo per una “antropologizzazione” del pensiero hegeliano,
giungendo tramite la dialettica servo-padrone ad un’interpretazione radica-
le dei conflitti novecenteschi.
Il tema portante dei seminari kojèviani è dato dall’intreccio tra “deside-
rio di riconoscimento” – proveniente direttamente dalla trama della Feno-
menologia dello spirito – e “valorizzazione del lavoro di classe” teorizzato
da Marx. Ma la formidabile “molla” kojèviana, che ha consentito al proces-
so di giungere a Nietzsche, risiede nella capacità del professore moscovita
di portare la filosofia su territori a lei inconsueti, come il cinismo politico,
le guerre e i massacri, mostrando l’aspetto paradossale ed inconciliabile
della ragione, vale a dire l’origine irrazionale del razionale5.
Tra gli studiosi che partecipavano ai seminari di Kojève, i nomi di spic-
co erano quelli di Bataille, Merleau-Ponty e Lacan, affascinati dalle inten-
zioni kojèviane di lavorare sugli aspetti eccessivi e paradossali del pensiero
di Hegel, piuttosto che sui momenti razionali e pacificanti6. Descombes ha
mostrato come la lettura di Hegel da parte di Kojève desse modo di rintrac-
ciare le origini non razionali della ragione, nella direzione di una “ragione

2 Cfr. ivi, p. 43.


3 J. Wahl, Le malheur de la conscience dans la philosophie de Hegel, Rieder, Paris
1929; trad. it. di F. Occhetto, Id., La coscienza infelice nella filosofia di Hegel,
ISEDI, Milano 1972.
4 Il seminario di Kojève, che si svolgeva ogni lunedì pomeriggio e durò 5 anni,
divenne ben presto leggendario, «le discussioni che esso suscitava scavalcavano
le mura delle aule universitarie per prolungarsi nei circoli letterari, nei laboratori
politici e sociologici in cui si incubava una estrema riflessione sulla crisi del mo-
derno», M. Vegetti, La fine della storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève,
Jaca Book, Milano 1998, p.17. Al seminario parteciparono, tra gli altri, Raymond
Queneau, Georges Bataille, Jacques Lacan, Alexandre Koiré, Eric Weil, Maurice-
Merleau-Ponty, André Breton, Roger Caillois e Raymond Aron.
5 Cfr. V. Descombes, Le même et l’autre, cit., p.26. Per una interpretazione del
pensiero di Kojéve, oltre al già citato M. Vegetti, La fine della storia. Saggio
sul pensiero di Alexandre Kojéve, si segnala D. Auffret, Alexandre Kojéve: la
philosophie, l’état, la fin de l’histoire, Grasset, Paris, 1990; cfr. inoltre R. Dati,
Alexandre Kojéve interprete di Hegel, La Città, Napoli 1998.
6 Cfr. V. Descombes, Le même et l’autre, cit., p. 25.
La Nietzsche renaissance tra Deleuze e Derrida di P. Vignola 89

allargata”, capace di offrire nuova linfa alle speculazioni filosofiche, ab-


bracciando le tematiche scottanti del periodo:

la realtà è la lotta mortale tra gli uomini, per degli obiettivi derisori – si mette in
gioco la propria vita per difendere una bandiera, per ottenere riparazione da un’in-
giuria, etc – ogni filosofia che ignora questo fatto fondamentale è una mistificazio-
ne idealista: tale è, messo sotto una forma brutale, l’insegnamento di Kojève7.

Inoltre, un altro carattere fondamentale della lettura kojèviana di He-


gel è fornito dalla «umanizzazione del nulla»8, secondo la quale propria
dell’uomo, e solo di esso, è la negatività, concepita tanto dal punto di vista
antropologico quanto metafisico. Se ogni azione, per Kojève, è da inten-
dersi come opposizione ad un avversario, dunque negazione dell’altro, e se
non vi può essere novità che non sia prodotto di un agire, ne consegue che
sarà la negazione ad introdurre il nuovo nell’antico9. Non solo, ma la ne-
gatività sarà allora l’essenza stessa della libertà, ciò che distingue l’uomo
dall’animale10 in una lotta per il riconoscimento in cui l’uomo manifesta
la necessità di affermarsi attraverso l’appropriazione del desiderio altrui e
della sua riconduzione al proprio, dunque al di là della mera ed immediata
conservazione animale11. Queste considerazioni permettono a Kojève di
abbandonare la Filosofia della natura hegeliana, conducendo il professo-
re moscovita ad una ontologia dualista per cui l’essere proprio della na-
tura viene inteso nel senso dell’identità, mentre l’essere storico, proprio
dell’uomo, viene inteso nel senso della differenza, in quanto negazione
ed alterazione dell’ordine costituito. Per Descombes però l’ontologia di
Kojève non è poi così dualistica, infatti l’identità e la differenza non sono
totalmente irriducibili l’una all’altra, ma, proprio grazie alla dialettica, tro-
veranno la loro zona d’indiscernibilità nella fine della storia, ovvero nel
dispiegamento definitivo dello spirito hegeliano12.

7 Ivi, pp. 26-27.


8 È il titolo del primo capitolo de Le même et l’autre.
9 Cfr. ivi, p. 46.
10 Cfr. A. Kojéve, Introduzione alla lettura di Hegel, trad. it. e postfaz. G. Frigo,
Adelphi, Milano 1996, p.492.
11 Cfr. R. Bodei, Il desiderio e la lotta, introd. ad A. Kojève, La dialettica e l’idea
della morte in Hegel, trad. it. P. Serini, Einaudi, Torino 1991, pp. X-XI.
12 Nella post-fazione all’introduzione alla lettura di Hegel di Kojève, G.F. Frigo
mostra come “le fine della storia” comporti l’esaurimento dell’agire antropogeno,
caratterizzato dalla lotta per il riconoscimento, e quindi conduca ad una “morte
dell’uomo” intesa come l’esaurirsi delle possibilità di sviluppo umano; cfr. G.F.
Frigo, Postfazione (trad. it. e c.) ad A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel,
90 Il clamore della filosofia

I corsi di Kojève terminano nel ’39, e irradieranno il pensiero francese


per alcune decine di anni, fino all’emergere di nuove esigenze in seno alla
filosofia d’oltralpe. Per Descombes infatti, «se dopo il corso di Kojève tutto
ciò che è moderno giunge da Hegel, dopo il ’68 tutto ciò che è moderno è
ostile a Hegel»13, e la causa di ciò deve essere ricercata nell’interpretazione
della parola “dialettica”. Se la dialettica ha per compito di estendere la
ragione, è necessario pensare a cosa significhi una ragione “allargata”. Si
può pensare ad un’estensione “quantitativa” dell’impero della ragione su
zone sconosciute, oppure si può intendere un’estensione dimensionale, o
qualitativa, che conduce ad una totale metamorfosi del pensiero. In questo
ultimo caso il compito della ragione sarebbe quello di spingersi in direzio-
ne dell’altro, di ciò che inesorabilmente le sfugge e compromette perfino la
sua conoscenza. Ancora con Descombes:

tutta la questione è allora sapere se, in questo movimento, è l’altro che sarà
stato condotto allo stesso, oppure se, per sbarazzarsi simultaneamente del ra-
zionale e dell’irrazionale, dello stesso e dell’altro, la ragione avrà dovuto meta-
morfizzarsi, cessare di essere la stessa e farsi altra/o con l’altro14.

Anche se la lettura kojèviana di Hegel presenta alcuni tratti che potreb-


bero sedurre il pensatore nietzscheano, come il senso del rischio o il peri-
colo della perdita di identità, ciò che, per la generazione definita post-strut-
turalista, andava criticato e rimpiazzato con uno strumento più radicale era
proprio il sistema della mancanza o della negatività, da sostituirsi con la
nozione di produzione o di creazione. Il desiderio inteso come negazione,
ma anche come mancanza o assenza è precisamente ciò che Kojève pro-
verà a mettere in evidenza nel IV capitolo della Fenomenologia dello spi-
rito di Hegel. Deleuze, da parte sua, combatterà la dialettica proprio sulla
mancanza e sulla negazione, poiché egli porterà avanti la concezione di un
desiderio essenzialmente affermativo, produttivo e creatore di realtà.
Così, continuando a seguire la parabola, ciò che prenderà il nome di
“filosofia del desiderio” marcherà il passaggio dall’attualità di Hegel alla
sua vecchiaia. Eppure, in tale dinamica, è ancora Hegel, anche se indiret-
tamente, a fare da battistrada. Infatti, ancorando il pensiero di Hegel alle
contraddizioni della ragione, Kojève si è mosso lontano dal carattere di
mediazione che la dialettica hegeliana dovrebbe avere, aprendo dunque la
via, seppur ancora tutta da descrivere, per un’accettazione tragica dell’esi-

Adelphi, Milano 1996, pp. 764-765.


13 V. Descombes, Le meme et l’autre, cit., p. 24 (trad. nostra).
14 ivi, p. 25 (trad. nostra).
La Nietzsche renaissance tra Deleuze e Derrida di P. Vignola 91

stenza che troverà il suo compimento nella concezione dell’eterno ritorno,


così come viene interpretata da Deleuze, ossia accettazione incondizionata
dell’esistenza in quanto affermazione dei valori vitali. E proprio in Niet-
zsche la filosofia francese degli anni sessanta troverà le armi per andare
all’attacco della negatività, in nome di un pensiero della differenza dagli
esiti eterogenei tra i vari autori che l’hanno portato avanti, ma deciso a
riabilitare definitivamente il filosofo di Röcken.

Nietzsche renaissance

Per giungere alla Nietzsche renaissance che a partire dai primi anni ses-
santa, e per più di un ventennio, ha segnato numerevoli produzioni edi-
toriali nonché grandi convegni internazionali come quelli di Royamount
(1964) e Cerisy-la-Salle (1972), è necessario comprendere il ruolo di alcu-
ne importanti tendenze interpretative che si sono prodotte in merito al cor-
pus nietzscheano attorno alla metà del Novecento in Europa. La storia della
lettura e della ricezione di Nietzsche nel Novecento, nella sua interezza
e complessità, è sicuramente uno sterminato paesaggio di interpretazioni
inconciliabili tra loro, ma possiamo riscontrare una ‘linea di inattualità’
che attraversa la ricezione tedesca e quella francese, mostrando – in par-
ticolar modo con Löwith, Jaspers, Bataille – l’intempestività del pensiero
nietzscheano di fronte agli esiti della metafisica occidentale e davanti allo
scenario storico-politico che andava profilandosi.
Sia pure con le dovute distinzioni, i filosofi della Nietzsche renaissance
hanno trovato diversi punti in comune nelle loro esigenze di portare il pen-
siero al di là della dialettica e dell’esistenzialismo, prediligendo in Nietz-
sche l’aspetto inattuale, vitalistico ed affermativo, il metodo a-sistematico,
e lo stile della sua scrittura come evasione dalle categorie classiche della
metafisica e dell’argomentare filosofico rigoroso.
Inoltre, se concepiamo la storia della filosofia contemporanea non come
una successione lineare ed un semplice avvicendamento di teorie e pro-
blematiche, ma piuttosto come una condensazione di strati eterogenei, la
cui provenienza è dislocata in sentieri concettuali che possono ricondurre
a svariate dottrine di pensiero, possiamo osservare come Nietzsche non sia
stato necessario solo per una evasione dalla dialettica, ma anche per una
critica filosofica delle posizioni strutturaliste. Il filo conduttore tra queste
due esigenze risiede in una interpretazione della genealogia e del sistema
delle forze nietzscheano completamente intrecciati, per ricercare, nel corso
dell’evoluzione di un concetto o di un’istituzione, le “forze reattive” che
92 Il clamore della filosofia

hanno contribuito alla sua formazione. Non solo, per quanto riguarda que-
sto altro aspetto, non bisogna uscire dalla Francia, ma gli stessi autori che
compiono il passaggio da Hegel a Nietzsche sono anche coloro che dallo
strutturalismo giungono a ciò che, soprattutto per esigenze storiografiche,
si suole chiamare post-strutturalismo. Quest’ultimo si caratterizza essen-
zialmente, come dichiarò Foucault, nell’applicazione di alcune istanze del-
lo strutturalismo in ambito filosofico – in primis la questione di una critica
del protagonismo del soggetto – venutesi ad intrecciare con il ritorno a
Nietzsche degli anni Sessanta15.
Ora, e questo è il carattere del post che allontana il movimento dai suoi
predecessori – poiché inserendo Nietzsche nella struttura quest’ultima ten-
de a saltare –, se lo strutturalismo aveva sostituito al soggetto e alla libertà
umana la forza della struttura intesa come l’ordine delle relazioni di signi-
ficato nelle quali l’uomo è inserito, il post-strutturalismo mette in dubbio
l’immutabilità di tale ordine, concentrandosi attorno al concetto di genesi e
di produzione di tali strutture. In più, ed ecco l’intreccio, se il metodo gene-
alogico di Nietzsche sarà dunque ciò che più potrà interessare il post-strut-
turalismo, il carattere vitalistico ed energetico della filosofia nietzscheana
verrà a sostituire il formalismo e la staticità dello strutturalismo, tramite
i concetti appunto di “energia”, “forza” e “produzione”. Se le differenze,
per lo strutturalismo, erano ciò che poteva permettere la conoscibilità della
struttura, per i post-strutturalisti esse determinano la genesi stessa degli
ordini simbolici. Una genesi, una produzione impersonale, lavorerebbe
incessantemente producendo la stessa soggettività non più immutabile,
ma reinscritta in processi di soggettivazione temporanei. In tal maniera i
rapporti sociali, così come il linguaggio e, nel caso di Deleuze e Guattari,
la psicanalisi, vengono valutati in termini energetici, cosicché il pensiero
dovrà andare alla ricerca di ciò che imprigiona o canalizza il libero flusso
delle energie produttive. Tra gli agenti imprigionatori si ritrovano – oltre
la struttura –, la dialettica, la soggettività e, in particolare per Deleuze,
l’economia negativa del desiderio. Dato l’intreccio tra ermeneutica niet-
zscheana ed elaborazione concettuale singolare, possiamo allora dire che
l’interpretazione di Nietzsche da parte di questi autori, in particolare De-
leuze, Foucault e Derrida, per ciò che concerne queste quattro tematiche,
risulti al tempo stesso caratterizzante e caratterizzata da il superamento
dello strutturalismo.

15 Cfr. l’intervista rilasciata da Foucault Structuralism and Post-structuralism, in


«Telos», XVI, n.55; trad. it. M. Bertani, in M. Foucault, Il discorso, la storia, la
verità, Einaudi, Torino 2001, pp. 301-332.
La Nietzsche renaissance tra Deleuze e Derrida di P. Vignola 93

In realtà, un ruolo a parte viene giocato da Derrida che, pur riattivando il


pensiero di Nietzsche in diversi testi, non solo non rifiuta in blocco, come De-
leuze, la dialettica hegeliana, ma attinge buona parte delle sue risorse teoriche
da pensatori controcorrente rispetto al movimento descritto da Descombes,
come Husserl e Heidegger. Il percorso alternativo di Derrida sembra voler di-
mostrare, implicitamente, ciò che egli si pone come compito a livello teoretico:
la messa in dubbio di qualsiasi linearità, storica o processuale16.
Se però la Nietzsche renaissance ha dimostrato di essere una riattivazione,
a più livelli, del pensiero nietzscheano, è indubbio che Derrida si inscriva in
questo movimento, producendo degli effetti sulla filosofia contemporanea
che hanno chiamato in causa più volte il filosofo della volontà di potenza.
Basti pensare alla Grammatologia, testo autenticamente programmatico del
pensiero di Derrida, incentrato sul ruolo della scrittura come strumento di
messa in discussione di tutta la metafisica occidentale logocentrica, in cui
Nietzsche è uno degli ispiratori, e per quanto riguarda i filosofi tout court
l’unico ispiratore che non viene decostruito: «Nietzsche ha scritto quel che ha
scritto. Ha scritto che (la sua) scrittura non è soggetta al logos e alla verità»17.
Il progetto di una scienza del gramma, seppur problematica e rischiosa, rap-
presenta la via per rendersi conto del potere logocentrico della linguistica e
della tradizione filosofica, e l’impresa stilistica di Nietzsche viene contrappo-
sta all’interpretazione heideggeriana del filosofo di Röcken.

Deleuze e il suo Nietzsche

Rispolverando la problematica che ha visto protagonista l’interpretazio-


ne lukacsiana, ossia il preteso irrazionalismo su cui si baserebbe l’opera
di Nietzsche, la risposta più esauriente a tale lettura sembra provenire da
Deleuze, nei suoi Nietzsche e la filosofia e Nietzsche, comparsi a distanza
di tre anni l’uno dall’altro. Secondo Deleuze, in merito al pensiero di Niet-
zsche, non è lecito parlare di irrazionalismo, in quanto non è il rifiuto della
razionalità a guidare il progetto nietzscheano ma semmai il bisogno di ap-
prodare ad un pensiero critico radicale, in grado di riconoscere gli autoin-
ganni radicati nell’immagine razionalistica del pensiero. Ciò significa che
la critica non si baserà più sulle istanze “reattive” della coscienza e della

16 Il concetto stesso di linearità, nella sua estensione storica, viene osteggiato da


Derrida, come vedremo, in tutte le fasi della sua opera.
17 J. Derrida, De la grammatologie, Minuit, Paris 1967, p.33; Id., Della grammatologia,
trad. it. AA.VV., Jaca Book, Milano 1998, p. 39. Dalla prossima citazione di questo
testo indicheremo tra parentesi le pagine che si riferiscono all’originale francese.
94 Il clamore della filosofia

ragione, ma sulle analisi delle forze che soggiacciono a quest’ultime e, in


maniera generale, sull’affermatività della volontà di potenza. Una critica
del genere è volta, secondo la lettura deleuziana, ad introdurre come ogget-
to fondamentale della filosofia i concetti di senso e valore, tramite i quali
è possibile conferire alla volontà di potenza una funzione al tempo stesso
ermeneutica e creatrice. La critica allora, indirizzandosi verso lo scaturire
creativo del senso e dei valori, raggiunge le dimensioni di una genealogia,
volta a smascherare i procedimenti che hanno condotto ai valori presenti
nella cultura all’epoca di Nietzsche:

Genealogia vuol dire valore dell’origine e, al tempo stesso, origine dei va-
lori. Genealogia si contrappone tanto al carattere assoluto dei valori quanto al
loro carattere relativo e pratico. Genealogia significa elemento differenziale dei
valori da cui deriva il loro stesso valore. Genealogia vuol dire dunque origine e
nascita dei valori, ma anche differenza e distanza nell’origine […] l’elemento
differenziale non è mai critica del valore dei valori senza essere anche elemento
positivo di una creazione. Perciò Nietzsche non considera mai la critica come
reazione ma come azione18.

Ubaldo Fadini evidenzia che nella lettura deleuziana «l’elemento diffe-


renziale dei valori, da cui deriva il loro stesso valore, è oggetto di una pro-
cedura disvelante singolare, quella genealogica, che non può che ribadire
infine come esso sia elemento differenziale della forza, volontà di potenza
come affermazione della propria differenza»19. È proprio su questo punto
che si concentrano le peculiarità dell’interpretazione deleuziana di Nietz-
sche, infatti l’importanza della genealogia come critica radicale disvela il
ruolo cardine della differenza e dell’affermazione nel pensiero. Deleuze
vede nella differenza la possibilità di evadere dalle maglie della rappre-
sentazione e dal gioco di mediazione della dialettica, nella direzione di un
pensiero affermativo che non abbia più a che fare con la negazione e la
contraddizione, ma che sia principio di creazione, tanto assiologica quanto
concettuale. L’affermazione è l’essenza delle forze attive, plastiche e crea-
trici ma è anche ciò che Nietzsche chiama il “sì alla vita”, l’affermazione-
accettazione dionisiaca del caso nella molteplicità delle sue forme. Ora,

18 G. Deleuze, Nietzsche et la philosophie, PUF, Paris 1962, pp. 2-3; Id., Nietzsche e
la filosofia, trad. it. S. Tassinari, introd. e cura di G. Vattimo, Colportage, Firenze
1978. Nuova edizione a cura di F. Polidori, trad. it. F. Sossi, Feltrinelli, Milano
1992, p. 5. Dalla prossima citazione di questo testo indicheremo tra parentesi le
pagine che si riferiscono all’originale francese.
19 U. Fadini, Deleuze plurale, per un pensiero nomade, Pendragon, Verona 1999, p.
39.
La Nietzsche renaissance tra Deleuze e Derrida di P. Vignola 95

nell’ottica di Deleuze, l’affermazione concerne allo stesso tempo l’accetta-


zione e la creazione, due modi di dire “sì alla vita”. Inoltre, poiché l’accetta-
zione della vita è accettare, innanzitutto, la morte di Dio, del mondo “vero”
e di quello apparente, l’impossibilità dunque di qualsiasi trascendenza, la
creazione da parte dell’umanità (o della volontà di potenza) dei valori im-
manenti alla vita significa la configurazione di un nuovo tipo di uomo, un
übermensch ‘disintossicato’ dall’influsso delle forze reattive, dal risenti-
mento e dalla cattiva coscienza, composto da un’enorme concentrazione
di forze attive, capace di muoversi in un mondo interamente fatto di una
molteplicità di interpretazioni. In questo senso, la distinzione nietzscheana
tra forze reattive e forze attive è un altro cavallo di battaglia dell’interpre-
tazione deleuziana, peraltro legato a doppio nodo con la genealogia e la
differenza. Se il nichilismo rappresenta (ed è dettato da) il trionfo delle
forze reattive, per Deleuze bisognerà comprendere fin dove possa spingersi
questo genere di forze, in modo tale da invertirne il senso e lavorare in
direzione dell’eterno ritorno che, secondo l’ottica del filosofo francese, fa
ritornare solo ciò che è in grado di essere affermato, ossia ciò che è attra-
versato dalle forze attive. Tramite la distinzione delle forze si può allora
comprendere la duplice natura della volontà di potenza, di cui Deleuze ha
saputo mostrare gli aspetti indubbiamente più teoretici, tralasciando però
le interpretazioni à la Heidegger che sembrano con ogni evidenza sminuire
la ricerca singolare dell’autore a favore di un’istanza sedicente originaria,
quella di un’ontologia fondamentale, armata della capacità retroattiva di
scorgere l’oblio dell’Essere in quanto tale come oggetto fondamentale di
indagine, di cui la filosofia occidentale si sarebbe resa partecipe.
La volontà di potenza, e questo non solo per il Nietzsche di Deleuze, non
è da intendersi come volontà di dominio se non nell’epoca del nichilismo,
nella quale sono state condotte, ormai da tempo quasi immemorabile, le
coscienze umane. Se in Heidegger, e in qualche modo anche in Lukacs, è
proprio la concezione della volontà di potenza intesa come “volere il po-
tere” ad essere erede della storia della filosofia, ciò che Nietzsche avrebbe
inteso, a parere di Deleuze, si contrappone a tale prospettiva:

La filosofia della volontà secondo Nietzsche deve sostituire la vecchia me-


tafisica: la distrugge e l’oltrepassa. Nietzsche ritiene di aver fatto la prima filo-
sofia della volontà […] La potenza, come volontà di potenza, non è ciò che la
volontà vuole, ma ciò che vuole nella volontà20.

20 G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, cit., (pp. 95-96), pp. 125-126.


96 Il clamore della filosofia

Nella concezione deleuziana la volontà di Nietzsche non è un insieme


unitario, ma espressione della molteplicità del reale e della pluralità di forze
in lotta tra loro, «elemento differenziale da cui derivano le forze presenti»21,
dispositivo primario nell’organizzazione del senso e del valore.
Il nocciolo della questione, ciò che fa dell’interpretazione di Deleuze
un’autentica introduzione al pensiero di Nietzsche in quanto sistema fi-
losofico coerente e programmatico, è che stando a Nietzsche e la filosofia
non sarebbe la volontà a volere la potenza, ma quest’ultima semmai appa-
rirebbe come il soggetto stesso del volere, mai unitario e predefinito, ma
risultante dal gioco antagonistico delle forze. Questo soggetto, sicuramen-
te non umanista, non è appunto nemmeno unitario, non è cioè capace di
radunare in sé le diverse istanze della ragione, e dunque non è riducibile
ad un rapporto di elementare appropriazione dell’oggetto. La cifra radica-
le dell’intuizione nietzscheana va individuata dunque, secondo Deleuze,
nell’essenziale pluralismo che sottostà alla concezione della volontà; un
tale pluralismo, portato agli eccessi proprio da Nietzsche, conduce la do-
manda fondamentale del “che cos’è?”, tesa a conoscere un’essenza immu-
tabile dietro all’apparenza fenomenica, al “Chi è?”, ovvero all’indagine
rivolta a conoscere la forza predominante, in grado di conferire il senso
di un enunciato, o di risalire alle circostanze dell’istituzione di un valore.
Ancora con Fadini possiamo dire che «Deleuze mette bene in evidenza
il carattere “aggressivo”, “agonistico” del pensiero nietzscheano, soprat-
tutto là dove sfocia in un radicale anti-hegelismo: alla base di tale esito
c’è una concezione del rapporto tra (due o più) forze che non lo specifica
come essenzialmente negativo. Una forza che entra in rapporto con un’al-
tra forza, che le obbedisce, non nega quest’ultima, ma afferma la propria
differenza»22. La contestazione del negativo fa tutt’uno allora con il valore
cardine della differenza, nella misura in cui il primo risulta essere il motore
della dialettica hegeliana, mentre la seconda sussiste sempre in base ad una
sua affermazione, come forza singolare sulle altre.
Il rapporto tra le forze sarebbe proprio il carattere essenziale dell’afo-
risma nietzscheano, in quanto «gioco di forze, uno stato di forze sempre
esteriori le une alle altre»23. L’interpretazione dell’aforisma sulla base di

21 Ibidem.
22 U. Fadini, Deleuze plurale, cit., p. 115.
23 G. Deleuze, Pensée nomade, in AA. VV, “Nietzsche aujourd’hui”, UGE, Paris
1973 [atti del convegno di Cerisy-la-Salle], ora in G. Deleuze, L’île déserte, textes
et entretiens, cit., pp. 357; Id., Pensiero nomade, trad. it. D. Tarizzo, in Nietzsche e
la filosofia, Einaudi, Torino 2002, p. 315. Dalla prossima citazione di questo testo
indicheremo tra parentesi le pagine che si riferiscono all’originale francese.
La Nietzsche renaissance tra Deleuze e Derrida di P. Vignola 97

questo gioco di forze è ciò che permette a Deleuze un’acuta risoluzione del
problema posto da alcuni testi nietzscheani, tacciati di più o meno larvato
antisemitismo o accusati di essere propedeutici ai fascismi. Lo stesso me-
todo nietzscheano della distinzione delle forze e del loro ruolo all’interno
dell’interpretazione offrirebbe la chiave di lettura dell’aforisma, così come
di tutti gli altri scritti, non consegnando il pensiero del filosofo di Röcken
a nessun ideologia politica se non sulla base delle reali forze in grado di
impadronirsene.

Un aforisma è un gioco di forze, uno stato di forze che restano esterne le une
alle altre. un aforisma non vuol dire nulla, non significa nulla, e non possiede né
significanti né significati. Altrimenti non faremmo che restaurare l’interiorità di
un testo. Un aforisma è uno stato di forze, l’ultima delle quali, la più recente, la
più attuale e la provvisoriamente ultima è sempre la più esterna24.

Per Deleuze è necessario trovare la forza o le forze esterne che conferisca-


no all’aforisma di Nietzsche «un senso liberatorio, un senso di esteriorità»25.
Nietzsche sarebbe quindi rivoluzionario soprattutto per il suo metodo:
è il metodo nietzscheano a rendere il testo di Nietszche non più qualcosa
sul quale domandarsi «è fascista? È borghese? È rivoluzionario in sé?», ma un
campo di esteriorità in cui si fronteggiano forze fasciste, forze borghesi e forze
rivoluzionarie26.

Come è avvenuto per la volontà di potenza, la metodologia stessa della scrit-


tura nietzscheana è espressione del conflitto tra le forze. Qualsiasi pregiudiziale
che abbia il compito di stendere un’interpretazione definitiva è allora destinata
a frantumarsi di fronte al gioco delle forze soggioganti l’aforisma.
L’operazione deleuziana, densa di significato nel suo voler attribuire una
concreta e ben oliata sistematicità al pensiero nietzscheano, ha gettato le basi
per una concezione di Nietzsche non solamente estranea, dal punto di vista
costitutivo, all’imperialismo occidentale o al nazionalsocialismo, ma addirit-
tura capace di offrire suggestivi spunti per una chiave rivoluzionaria del pen-
siero e dell’etica. Tuttavia, l’inattualità costitutiva della filosofia nietzschea-
na può solamente offrire degli spiragli, peraltro problematici, al fine di una
elaborazione etico politica. Tali spiragli, nel momento in cui un interprete
cerca di trasferirli sul proprio piano di riflessione, sono destinati ad eclissare
la figura da cui provengono, ossia il pensiero stesso di Nietzsche.

24 Ivi, (p. 357) pp.315-316.


25 Ibidem.
26 Ibidem.
98 Il clamore della filosofia

Per Vattimo, altro illustre lettore di Nietzsche, la concezione anti-dialet-


tica, che Deleuze ravvisa nel carattere differenziale della volontà di poten-
za, conduce ad un materialismo anti-metafisico come molteplicità irriduci-
bile di forze, ma non può comunque servire per rimpiazzare il materialismo
storico-dialettico di matrice marxiana, poiché Nietzsche «non si limita a
dire che bisogna fondare miti nuovi, che bisogna fondare una società nuo-
va. Vuole giungere alla fondazione ontologica di questa capacità mitolo-
gica, di questa capacità “mitopoietica” dell’uomo. Per questa ragione la
storia non è per lui così importante come lo è per Marx. Nietzsche non è
un rivoluzionario, egli mira piuttosto a teorizzare la possibilità di rivolu-
zione. Nella sua filosofia c’è qualcosa di più profondo della rivoluzione»27.
Del medesimo avviso sembra essere Masini, per il quale tanto la distruzio-
ne della metafisica, quanto la decostruzione genealogica del soggetto non
coincidono con il materialismo in quanto pratica rivoluzionaria, poiché
esso potrebbe emergere solo sulla base storico-reale di una teoria eman-
cipatrice della società che avrebbe la sua condizione nella comprensione
dialettica del movimento immanente alla prassi storico-sociale28.
Che il pensiero di Deleuze, così come appare nelle opere in cui l’au-
tore fa valere la propria filosofia, sia orientato dalla possibilità di una
tale sperimentazione a proposito delle concezioni nietzscheane, come ad
esempio nella teoria dell’inconscio elaborata nell’Anti-Edipo, è un fatto
emblematico. Nietzsche, ad un certo punto dell’elaborazione concettuale
e precisamente dopo aver svolto il ruolo di ispiratore, si eclissa, offrendo
comunque tutta la sua portata energetico-concettuale, man mano che l’ar-
gomentazione deleuziana (e guattariana) si volge alle relazioni tra politica
ed inconscio, o, come recita il sottotitolo, tra capitalismo e schizofrenia.
Ma a nostro avviso, il rigore che sottostà all’interpretazione offerta nei due
testi consacrati a Nietzsche è tale da mantenere l’interprete sulla soglia
di quegli spiragli emancipativi che il pensiero di Nietzsche offre. L’oltre-
passare gli spiragli, anche se implica un ausilio esterno offerto da filosofi
come Bergson e Spinoza, risulta sempre essere un passare per il ciglio dei
monti in cui il pensatore dell’eterno ritorno amava passeggiare. In altri
termini Deleuze sente di essere in qualche maniera violentato29 dal pen-
siero di Nietzsche, ma al tempo stesso, la triplice alleanza deleuziana di
Hume-Bergson-Spinoza dovrà essere coronata dall’autentico ed essenziale

27 G. Vattimo, all’interno della Discussion in Nietzsche, Cahiers de Royamount [atti del


convegno di Royamount del 1964], Ed. Minuit, Paris 1967, p. 220 (trad. nostra).
28 cfr. F. Masini, Lo scriba del caos, Il Mulino, Bologna 1978, p. 24.
29 Cfr. G. Deleuze, Pourparlers, Minuit, Paris 1990, p. 15; Id., Pourparler, trad. It.
S. Verdicchio, Quodlibet, Macerata 2000, p. 15.
La Nietzsche renaissance tra Deleuze e Derrida di P. Vignola 99

“sì alla vita” della differenza in grado di affermare se stessa. Tuttavia, a


nostro parere, l’effettivo ruolo del filosofo di Röcken all’interno di ogni
singolo concetto deleuziano va messo in relazione con le altre sue com-
ponenti provenienti da altri filosofi, ed il risultato di tale commistione, in
quanto autentica creazione concettuale, appartiene unicamente agli esiti
del pensiero deleuziano.
Un’ultima constatazione riguarda la concezione dell’inattualità che sot-
tostà all’interpretazione di Nietzsche fornita da Deleuze, il quale riconosce
nell’evidenziare il carattere metastorico, intempestivo del pensiero nietz-
scheano le ragioni di un “ritorno a Nietzsche” quale la Francia degli anni
Sessanta ha conosciuto. Ma l’intempestività di cui parla Deleuze non è
concepita solamente in quanto comprensione della storia estranea sia alla
filosofia classica che a quella dialettica, bensì anche come “allergia” ad
ogni codificazione tramite cui potersi appropriare del pensiero nietzsche-
ano. Inoltre Deleuze si sforza di concepire l’intempestività a partire dalle
sue potenzialità di creazione, come forze di produzione dell’evento. Niet-
zsche avrebbe quindi consegnato ai filosofi dell’avvenire non soltanto un
metodo per porsi al di là della storia, ma uno strumento per sormontarla
e creare il presente. Sulla stessa linea si situa Michel Foucault che, pro-
prio per ciò che riguarda il carattere intempestivo ed inattuale del pensiero
nietzscheano, individua nell’indagare le forze che intercorrono durante il
divenire storico lo scaturire evenemenziale necessario a creare il presente
come attualità del senso.
Possiamo concepire l’operazione di Deleuze come un proseguimento
del pensiero nietzscheano, una continuazione trasformatrice in grado di
sviluppare una filosofia propria a partire dalle indicazioni del filosofo di
Röcken, il quale aveva pensato all’immagine della freccia, scagliata da
un pensatore in una data epoca e ripresa da altri in epoche successive, per
illustrare la dinamica relativa all’evolversi del pensiero.

Derrida e la decostruzione della renaissance

Di fronte ad un certo ‘orgoglio’ nietzscheano esibito da Deleuze, che ca-


ratterizza la sua strategia di riattivazione del filosofo della volontà di po-
tenza, appare interessante far valere le istanze di un altro protagonista del
dibattito francese attorno a Nietzsche. Un grande protagonista del Convegno
Internazionale di Cerisy-la-Salle e al tempo stesso un pensatore che, con le
dovute e profonde differenze, ha condiviso molte delle tematiche deleuziane:
Jacques Derrida, i cui testi e interventi su Nietzsche potrebbero descrivere
100 Il clamore della filosofia

l’altra faccia della Nietzsche renaissance. Una rinascita di determinate istan-


ze nietzscheane o, per meglio aderire alla superficie derridiana, di determina-
ti “stili” nietzscheani che reclamano la loro importanza strategica nell’opera
del filosofo di Röcken nonché nella filosofia contemporanea.
Derrida, in Nous autres Grecs, ha affermato che la propria lettura di
Nietzsche «rimane molto differente da quella di Deleuze: dal suo stile, dal-
le sue traduzioni, dal suo trattamento del testo e del linguaggio, dal suo in-
sistente passaggio attraverso Heidegger e attraverso le questioni “critiche”
poste da Heidegger e dal Nietzsche di Heidegger»30. La lettura derridiana
di Nietzsche non si presenta infatti sotto forma di un commentario esau-
stivo delle tematiche e dei concetti elaborati da Nietzsche, ma si manifesta
tramite incursioni, privilegiando piuttosto aspetti apparentemente margi-
nali – lo stile di scrittura, l’ambiguità di alcuni luoghi testuali e la vena po-
lemica caratteristica del pensiero nietzscheano – e facendoli risuonare, fino
all’iperbole, nel corso di un ricco itinerario filosofico, da Della Grammato-
logia fino a Politiche dell’amicizia. Così Derrida, nei due testi consacrati a
Nietzsche, Sproni e Otobiographies, non mira a fornire un’interpretazione
accurata e sistematica come quella deleuziana, bensì mette direttamente in
gioco la propria maniera di riattivare il pensiero nietzscheano, lasciando
dispiegare, tramite la scrittura di Nietzsche, una forza lacerante tanto l’er-
meneutica tradizionale quanto l’impianto metafisico del Logos. L’obiettivo
derridiano risulta allora essere quello di cogliere nel filosofo dell’Eterno
Ritorno gli elementi per una introduzione ‘sovversiva’ e destabilizzante nel
dibattito filosofico contemporaneo. Inoltre, con Derrida si giunge ad uno
stadio iperbolico dell’inattualità, o intempestività, nietzscheana, tramite il
suo Otobiografie. L’insegnamento di Nietzsche e la politica del nome pro-
prio. Intempestività in grado di far tremare le fondamenta politiche della
Nietzsche renaissance.

In Sproni. Gli stili di Nietzsche, la mossa principale di Derrida consiste


nel controeffettuare la lettura heideggeriana di Nietzsche ed il metodo er-
meneutico a partire dal problema della donna, ritrovando nello stile di scrit-
tura nietzscheano la radicalità ‘sovversiva’ volta al fine del “superamento
del platonismo”, inteso derridianamente come decostruzione dell’idea di
verità. Come già era stato teorizzato in Della Grammatologia,31 la lettura e
la scrittura del testo divengono operazioni originarie e creatrici del senso,

30 J. Derrida, Nous autres Grecs, In Nos Grecs et leurs modernes, ed. B. Cassin,
Paris 1992, p. 258 (trad. nostra).
31 Cfr. J. Derrida, Della Grammatologia, cit., (pp. 30-33) pp.36-39.
La Nietzsche renaissance tra Deleuze e Derrida di P. Vignola 101

il quale non sarebbe già presente nella sua purezza e solamente da scoprire,
ma da inventare o da trasformare soprattutto grazie allo stile – di scrittura
e di lettura –, ogni volta diverso, di un particolare filosofo. In questo primo
testo dedicato a Nietzsche, Derrida riprende diversi aforismi della Gaia
Scienza e del Crepuscolo degli idoli per mostrare il singolare rapporto che
lo stile di scrittura nietzscheano intrattiene con la figura della donna e con
il tema della verità. Lo stile stesso sarebbe espresso sia in questo rapporto
tra donna e verità, nella plurivocità del senso e dei sensi, sia nell’utilizzo
dell’aforisma e delle figure che in quanto maschere avrebbero un ruolo
squisitamente filosofico, non riconosciuto nella sua profondità da Heideg-
ger. Il rovesciamento del platonismo, che dovrebbe coincidere con un suo
superamento, non consiste nella semplice inversione dei valori, e dunque
nel conferire alla donna l’essenza della verità. Si tratterà piuttosto di mo-
strare, tramite la strategia della scrittura e la figura stessa della donna, una
non-verità della verità, il che significa una “verità plurale”:

Modello della verità [la donna], essa è dotata di un potere di seduzione che
regola il dogmatismo, fuorvia e prende in giro gli uomini, i creduli, i filosofi.
Ma siccome, per quanto la riguarda, essa non crede alla verità, anche se ripone
il proprio interesse in questa verità che non la interessa, la donna è ancora il
modello: stavolta, il buon modello, o piuttosto il cattivo modello in quanto
buon modello: si esercita nella dissimulazione, nel vezzo, nella menzogna,
nell’arte, nella filosofia artiste: è un potere di affermazione.32

Heidegger sembrerebbe dimenticare il problema della donna, la quale è


fondamentale che in Nietzsche possa essere vista sotto diversi aspetti: con-
dannata come figura della menzogna, oppure degradata e disprezzata ma in
quanto “verità”, per essere infine «riconosciuta e affermata quale potenza
affermativa, dissimulatrice, artistica, dionisiaca»33. In questo modo non po-
trebbe darsi una essenza della donna, ma a guidare il senso del rapporto tra
donna e verità sarebbe il fenomeno della propriazione:
La propriazione del proprio viene precisamente denominata ciò che non
appartiene a nulla, e quindi a nessuno, ciò che non decide più dell’appropria-
zione della verità dell’essere, e rinvia nel senza-fondo dell’abisso la verità
come non-verità, lo svelamento come velamento, la simulazione come dissi-

32 J. Derrida, Eperons les styles de Nietzsche, Flammarion, Paris 1978, p.28; Id.,
Sproni. Gli stili di Nietzsche, trad. it. di S. Agosti, Adelphi, Milano 1991, p. 40.
Dalla prossima citazione di questo testo indicheremo tra parentesi le pagine che si
riferiscono all’originale francese.
33 J. Derrida, Sproni, cit., (p. 79) p. 90.
102 Il clamore della filosofia

mulazione, la storia dell’essere come storia nella quale nulla, nessun essente si
produce, ma solo il processo senza fondo dell’Ereignis, la proprietà dell’abis-
so che è necessariamente l’abisso della proprietà ed anche la violenza d’un
evento che si produce senza essere.34

Il significato della propriazione, intesa come indecidibile tra il dare e il


prendere, tra il possedere e il posseduto, viene ripreso dalla stessa lettura
heideggeriana di Nietzsche ed è per Derrida una problematica capace di
comprendere il senso della volontà di potenza, così come dell’eterno ritor-
no; una problematica “più grande” ancora della questione della verità o del
senso dell’Essere, i quali vi si troverebbero inscritti.
L’operazione di interpretazione messa in atto da Derrida si rivela allora
soprattutto una decostruzione della lettura heideggeriana di Nietzsche, lad-
dove il filosofo di Marburgo designava Nietzsche come l’ultimo metafisico,
e la volontà di potenza come culmine della tradizione metafisico-nichilistica
occidentale. Per Derrida l’indecidibilità della propriazione viene espressa da
Nietzsche mediante l’eterogeneità del senso manifestata dalla polivalenza che
egli conferisce alla figura della donna. Questa eterogeneità, che per Derrida è
“lo stile di Nietzsche”, garantisce al rovesciamento del platonismo di non con-
cludersi in una mera opposizione simmetrica, ossia in una semplice inversione
della gerarchia dei valori. La condizione per uscire dal platonismo si ritrova
invece nell’eterogeneità del senso capace di produrre una reale trasformazio-
ne della gerarchia dei valori. La donna dunque, recando in sé il movimento
della propriazione, rappresenta per Derrida la possibilità di un nuovo rapporto
tra la filosofia e la verità. Mancando di attenzione nei riguardi del tema della
donna in Nietzsche, Heidegger vieterebbe di fatto alla sua lettura nietzscheana
di comprendere il superamento della questione della verità.
L’interpretazione nietzscheana mediante una decostruzione di altre inter-
pretazioni, che in Sproni ha il suo primo esempio, mostrerà nei testi derri-
diani successivi la natura del rapporto tra Nietzsche e Derrida. Si può quindi
parlare di una riattivazione di Nietzsche da parte di Derrida nella misura in
cui quest’ultimo, mediante l’ausilio del filosofo di Röcken, controeffettua,
decostruisce e critica le tesi di altri filosofi ed in particolare le loro letture
nietzscheane.

Otobiografie. L’insegnamento di Nietzsche e la politica del nome proprio


è la pubblicazione della relazione presentata a Chicago nel 1984 in cui, inve-
ce che leggere, come l’uditorio si aspettava, un testo inerente la costituzione

34 Ivi, (p. 98) p. 109.


La Nietzsche renaissance tra Deleuze e Derrida di P. Vignola 103

americana, Derrida lesse un denso e acuto discorso su Nietzsche, che mette-


va in campo diverse problematiche legate all’indecidibilità di un senso stabi-
le da offrire alle letture nietzscheane. Un gesto, quello di Derrida, che nella
sua prassi, nel suo essere effettuato in tale forma, si può definire realmente
intempestivo. Ma intempestivo forse fino all’iperbole è anche il contenuto
del testo, in cui si sottopone la scrittura, e non le intenzioni o il “voler dire” di
Nietzsche35, di fronte al problema del nazionalsocialismo. Derrida si mostra
allora inattuale rispetto ad una “attualità” della critica e dell’esegesi francese
in merito a Nietzsche, mettendo in atto una decostruzione della renaissan-
ce, cercando cioè di disarmare lo slancio politico di un discorso collettivo
che trova la sua maggior forza nell’interpretazione deleuziana. E, seguendo
l’analisi di Derrida, le ragioni di una decostruzione sono sicuramente ben
calibrate dal punto di vista politico. Derrida si pone infatti l’obiettivo di mo-
strare il senso che le conferenze di Nietzsche Sull’avvenire delle nostre scuo-
le hanno di fronte alla storia ed in merito all’ascesa nazista in Germania. In
particolare, Nietzsche nella quinta conferenza accenna in maniera esplicita
al bisogno, per i tedeschi, di una guida, di un führer, che abbia il compito di
risollevare le sorti di una cultura decadente e ostile alla vita.
Qui si sviluppa la contro-effettuazione derridiana della Nietzsche renaissan-
ce. Se da un lato è sicuramente riduttivo sbandierare un’affinità calzante tra
quel che può significare führer per Nietzsche ed il führer hitleriano, dall’altro
lato per Derrida è comunque “politicamente insufficiente” pensare che Nietz-
sche non avesse mai voluto riferirsi ad un ordine sociale e politico in qualche
modo simile al nazionalsocialismo. Il grande problema filosofico però, secon-
do Derrida, è un altro, e non riguarda “ciò che Nietzsche avrebbe voluto dire” o
ciò a cui alludeva, poiché tanto dal punto di vista storico che da quello del testo
della quinta conferenza non sono il “voler dire” o l’intenzionalità dell’autore
a guidare gli esiti dei suoi enunciati, ma un certo effetto di scrittura nel quale
il nome proprio di Nietzsche rimane incatenato e da cui non può più slegarsi:

Anche se il voler-dire di uno dei firmatari o degli azionisti della grande


società anonima “Nietzsche” non c’entrasse per niente, non può essere soltanto
un caso che il discorso che porta il suo nome, nella società e secondo le norme
civili ed editoriali, sia servito come legittimo riferimento agli ideologi; e il fatto
che la sola politica che lo abbia effettivamente assunto come portabandiera sia
stata la politica nazista non ha niente di contingente36.

35 Cfr. J. Derrida, Otobiographies, Galilée, Paris 1984, p. 59; Id., Otobiografie, l’in-
segnamento di Nietzsche e la politica del nome proprio, trad. it. di R. Panettoni, Il
poligrafo, Padova 1993, p. 79.
36 Ibidem.
104 Il clamore della filosofia

Ora, se si pensa al Nietzsche ‘di’ Deleuze, il contrasto con la tesi derri-


diana è lampante. Sembra palese che la controeffettuazione di Derrida vada
a colpire un’immagine – almeno potenzialmente – emancipatoria di Nietz-
sche, che Deleuze ed altri autorevoli esponenti della Nietzsche renaissance
costruiscono. Il problema, per Derrida, non è quello di individuare una
ideologia “di destra” o (virtualmente) “di sinistra” nel pensiero di Niet-
zsche, ma intessere il suo nome nella trama della scrittura ed osservarne
gli effetti di cortocircuitamento e disseminazione del senso, così come gli
effetti politici. Non sarà più (soltanto) l’intenzione di Nietzsche a compiere
il destino politico di un proprio messaggio, ma il suo voler dire verrà fran-
tumato in una rete eterogenea di sensi che si articolano a partire dal loro
differimento spazio-temporale.
La distanza che Otobiographies misura dalla critica deleuziana è allora
segnata dalla volontà di ripensare tutti i possibili effetti filosofici, etici e
politici legati all’opera di Nietzsche, a partire dal movimento di dissemina-
zione del senso attuato dalla scrittura, che è différance, ossia “differimento
e differenziazione”. Si può dire che, mentre Deleuze cerchi di far passare
attraverso Nietzsche una sua visione filosofica, Derrida inscriva gli esiti del
testo nietzscheano proprio all’interno del movimento di différance. Se pen-
siamo a Nietzsche come “una macchina di scrittura”, il cui senso interiore,
come per la scrittura derridiana, non sarebbe presente, le implicazioni con
il nefasto futuro sarebbero in qualche maniera condotte a partire proprio
dall’avvenire, consegnando, come ciò è avvenuto, l’opera di Nietzsche al
pericolo più cieco. Ma d’altra parte, per Derrida, è proprio il metodo di
scrittura nietzscheano, se compreso nel suo stile radicalmente intempesti-
vo, ad offrire la chance per non farsi ingabbiare tanto dal nazismo quanto
dall’irrazionalismo. È a partire dalla comprensione di questa radicalità che
Derrida si pone in definitiva l’obiettivo di destabilizzare ogni critica ed
ogni interpretazione del “voler dire” di Nietzsche, rilanciando una volta di
più l’enigmaticità del suo pensiero.

Non potendo in questo lavoro descrivere un confronto approfondito sul


rapporto che, rispettivamente, Deleuze e Derrida intrattengono con Niet-
zsche, ci limiteremo ad indicare una comune esigenza di riattualizzazione
del pensiero nietzscheano da parte dei due filosofi francesi. Tale esigenza,
come abbiamo potuto osservare, ha in realtà motivi differenti e viene ‘sod-
disfatta’ con metodi assai diversi, che testimoniano anche l’inconciliabilità
dei due modi di fare (e di intendere la) filosofia. Se infatti per Deleuze la
filosofia è innanzitutto creazione di concetti, Derrida ha fatto della deco-
struzione – dei concetti, delle categorie e delle tematiche della tradizione
La Nietzsche renaissance tra Deleuze e Derrida di P. Vignola 105

– il proprio metodo filosofico. Il fatto che entrambi i filosofi francesi abbia-


no sviluppato un pensiero nietzscheano della “differenza”, dell’“evento” e
dell’“esteriorità” non può essere tuttavia fonte di confusione tra le inten-
zioni di Deleuze e quelle di Derrida.
Tra le due concezioni della “differenza”, ad esempio, non vi è una sem-
plice differenza di grado, ma semmai una differenza di natura, dal momen-
to che con Deleuze la “differenza”, ricercata nella sua “purezza ontologi-
ca”, appartiene ad una sorta di empirismo metafisico, mentre con Derrida
la “differenza” diviene “différance”, rigorosa custode di un’economia
testuale incapace di cedere a qualsiasi pretesa purezza, e a qualsivoglia
ontologia. La différance derridiana non potrebbe “poggiarsi” sul piano di
immanenza che Deleuze stabilisce per la creazione dei concetti, così come
la distinzione tra forze attive e forze reattive, centrale per quanto riguarda
l’intero orizzonte etico politico deleuziano, non esprimerebbe nulla all’in-
terno dell’economia testuale di Derrida. Un altro punto di “scostamento”
proviene dal problema del vitalismo: una filosofia vitalistica come quella
deleuziana, che si sforza di non contemplare minimamente la mancanza
sul piano di immanenza – intendendo quest’ultima, l’immanenza, come la
meraviglia della vita, vale a dire la sua molteplicità costitutiva, slegata da
ogni trascendenza –, non può che chiudersi a riccio di fronte alla decostru-
zione della metafisica della presenza e del presente vivente messa in atto da
Derrida praticamente in tutti i suoi lavori.
Se la grandezza di Nietzsche di fronte alla filosofia contemporanea può
essere rintracciata nel suo stile che permette una pluralità di attualizzazione,
il merito di Deleuze e di Derrida è stato però sicuramente quello di indicare
due vie interpretative in grado non solo di comprendere ma anche di far pro-
seguire il pensiero nietzscheano. L’immagine suggerita da Nietzsche che più
si presta a questa attualizzazione è quella – usata per descrivere il movimento
del pensiero lungo la storia – della freccia scagliata da un filosofo per essere
raccolta da un altro pensatore in un’epoca successiva37. È un’immagine al
tempo stesso di alleanza e di discontinuità, che permette anche la pluralità
delle interpretazioni che un filosofo può ricevere dai pensatori dell’avvenire.
La teoria nietzscheana della freccia per Deleuze descrive «l’immagine
del filosofo, offuscata da tutti i travestimenti di cui ha bisogno, [che] deve
trovare un nuovo ambito di attività nell’epoca successiva»38. Pensare la ri-

37 Cfr. F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III, trad. it. di S. Giammetta, M. Montanari,


in Id., Opere, Adelphi, Milano 1964, vol. III, t. II, p. 433; Id., La filosofia all’epoca
tragica dei greci, trad. it. di F. Masini, in Id., Opere, cit., vol. III, t. I, p. 271.
38 G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, cit., (p. 122) p.160.
106 Il clamore della filosofia

attivazione secondo una dinamica sagittale non conduce ad una continuità


lineare, ma rappresenta uno sforzo creativo di attualizzazione del senso:
«la catena dei filosofi non è l’eterna catena dei saggi e meno ancora la con-
catenazione della storia: è una catena spezzata, il susseguirsi delle comete,
la loro discontinuità e la loro ripetizione»39. La freccia, nel suo percorso
“spezzato”, illustra così tanto le affinità che si possono contrarre con un fi-
losofo come Nietzsche, quanto una ri-attivazione plastica e trasformatrice
del suo pensiero. In questo senso allora, Deleuze e Derrida hanno raccolto,
ciascuno a proprio modo, la freccia – o le frecce – di Nietzsche e, sempre
in maniera singolare, hanno cercato di proseguirne il tragitto.

39 Ibidem.

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