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La doppia libert di Isaiah Berlin,

verso un' Ontologia del Particolare


Indice

0. The Cold War Liberals, un' Introduzione, 1. Libert degli antichi e libert dei moderni. Berlin e Constant,

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2. Isaiah Berlin tra filosofia analitica e filosofia politica 20 3. Libert Negativa 30

4. Libert Positiva: Monismo, determinismo e fanatismo 61 Bibliografia

0. The Cold War Liberals. Un' Introduzione.


abbastanza facile rendersi conto di come Isaiah Berlin non occupi, nella storia della filosofia occidentale del secolo XX, un posto d'onore. Egli fu tutto sommato lontano dal proscenio della filosofia politica novecentesca, tanto che se qualcuno gli avesse chiesto in vita di specificare quale fosse la sua "vocazione", se, in altre parole, fosse stato costretto a cercare per s stesso un termine che riassumesse il suo lavoro di autore e di teorico, egli avrebbe affermato di essere, pi che un filosofo politico, uno "storico delle idee" o, pi semplicemente, un intellettuale. Queste due "definizioni", proposte in alcune interviste da Berlin stesso, condensano il senso del rapporto ravvicinato e continuo che egli volle intrattenere con "Le Idee". Le edizioni Adelphi, non a caso, hanno apposto ad una raccolta di saggi berliniani il significativo titolo de Il Potere delle Idee1. Ne I due concetti di Libert , il saggio che tenteremo di analizzare nella seguente trattazione, suggerita l'immagine delle idee che, allevate nella quiete degli studi dei cattedratici e dei pensatori, precipitano nel mondo fenomenico e talvolta acquistano in esso un'esistenza autonoma di forze motrici di avvenimenti epocali, e molto spesso sanguinosi. Berlin era convinto che n la polizia, n gli eserciti, n i corpi diplomatici, n la politica potessero arginare gli effetti impazziti di un'Idea. Questo compito, per lui, spettava agli

Cfr I.BERLIN, Il potere delle idee, a cura di Henry Hardy, trad. it. G. Ferrara degli Uberti, Adelphi, Milano, 2003

intellettuali, essendo questi ultimi i soli a dimostrarsi adatti ad un simile lavoro. Si pu intuire come per Berlin le idee non sempre e non necessariamente sono "buone", anzi quasi come se egli avvertisse il bisogno, da parte degli Intellettuali, di, per cos dire, addomesticarle in quanto selvagge potenze intellettuali, attraverso la comprensione delle loro sfaccettature, dei loro presupposti e delle loro implicazioni. Judith Nisse Shklar, filosofa della politica e del diritto, connazionale di Isaiah Berlin, parla a ragion veduta, esaminando il ragionamento politico del suo compatriota, di una "preoccupazione per il male politico"2, come se l'impegno teorico fosse stato ordinato quasi esclusivamente ad evitare un summum malum piuttosto che a delineare le caratteristiche di un summum bonum. Parallelamente alla Libert Negativa si potrebbe

individuare allora un Liberalismo Negativo, incentrato, piuttosto che sulla analisi normativa della societ industriale e post-industriale, sul "non-dover-essere" dell'Occidente. La stessa Shklar sottolinea in ci un atteggiamento difensivo verso quello che fu il modello di societ e di stato che durante quasi tutto l'arco del 900 si oppose a quello delle democrazie liberali del Patto Atlantico: il modello Sovietico, col suo propulsore ideologico, il Materialismo Storico. Si potrebbero invero addurre mille obiezioni contro una simile
Per ci che attiene, in tutta questa introduzione, a quanto scritto da J.N. Shklar si veda JUDIT SHKLAR, The Liberalism of Fear, in: NANCY L. ROSENBLUM (ed.), Liberalism and the Moral Life, Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 1989
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affermazione, che istituisce un rapporto causa-effetto tra la teoria e la realt, il quale, lungi dall'essere sempre scontato e chiaramente ricostruibile, ancora meno palesemente

osservabile nella vicenda sovietica. In ogni caso vale la pena ricordare come, nella riflessione berliniana sul rapporto tra le Idee e la storia cruenta del XX secolo, senz'altro ammessa, come gi detto, la possibilit che l'Idea, in questo caso quella del socialismo scientifico marxiano, una volta "seminata" nella materialit dei rapporti tra gli uomini, acquisti, per cos dire, una sua indipendente volont e spinga questi ultimi a servirsene come un "coltello insanguinato"3. Lasciando ad altri, che meglio ne hanno scritto e meglio ne scriveranno, l'onere filosofico e storiografico di appurare quanto marxismo ci fu nell'assetto socio-istituzionale dell URSS, nella triste parabola staliniana e financo nelle "Tesi di Aprile", a noi rimane la possibilit di affermare, con buona approssimazione, che Berlin fu un pensatore liberale caratterizzato da una distinguibile cifra anti-comunista, pur senza traccia di animosit ideologica. Anzi, la sua, prima che essere una posizione politica, fu soprattutto un robusto orientamento filosofico-epistemologico contraddistinto da una decisa opposizione verso il bias teleologico e determinista di buona parte della teoria prodotta nel novecento. Anche in lidi lontani dal marxismo (potremmo citare a titolo meramente esemplificativo la sociologia stutturalfunzionalista di Talcott Parsons) notiamo infatti un penchant
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Vedasi, sull'argomento, la prima parte de I due concetti di libert, pi estese indicazioni bibliografiche sono fornite nel corso di questa trattazione

per

"il

fine

intrinseco",

"l'evoluzione

finalizzata",

il

"compimento", la "perfezione". Per quasi tutti i grandi pensatori politici e sociali vissuti e operanti nei circa centocinquanta anni che vanno dal 1848 al 2000 come se fosse esistita una potenza demiurgica immanente che, prima o poi, avrebbe fatto scivolare tutti i tasselli al loro posto nel mosaico del mondo. A questo proposito Eric Voegelin nel 1959 parlava di gnosi, volendo indicare un complessivo movimento di "ri-

divinizzazione" della societ, e la ricerca di un "compimento escatologico" in un ipotetico paradiso terrestre, che arriv a caratterizzare una grande variet di opzioni intellettuali moderne e, in ultima istanza, la modernit nella sua interezza.4 Per Berlin tale paradiso in terra semplicemente irrealizzabile, costituendo n pi n meno che l'ipotesi fallace di un particolare tipo di razionalit. Berlin si dice scettico nei confronti di qualsiasi gioco razionalistico che creda nella possibilit di una finale estinzione dei conflitti, soprattutto di quelli tra idee. Con un efficace espressione egli dichiar di credere che "la storia non ha libretto", e possiamo ipotizzare come egli credesse che le forze cieche che ne animano il corso non potessero giungere ad un'ultima e definitiva pacificazione. Egli rimasto famoso soprattutto per la sua originale impronta di Pluralismo; ebbene il pluralismo berliniano si nutre proprio
E. Voegelin, filosofo e politologo tedesco, nel 1959 diede alle stampe l'opera intitolata Scienza, Politica e Gnosi, in cui, rovesciando i presupposti della riflessione sociologica weberiana , individuava nel fluire della storia del secolo passato quelli che egli defin dei "germi regressivi", dovuti in massima parte a tendenze totalitarie che egli defini "gnostiche", contrapponendole alla razionalit democratica "greca e cristiana". Si veda in proposito E. VOEGELIN, Science, Politics, Gnosis, Isi Books, Londra, 2005.
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di

questa

incrollabile

certezza

nella

durata

infinita

dell'opposizione tra diversi fini e i valori ultimi dell'esistenza umana. possibile, dice Berlin, comprendere le idee e le motivazioni degli altri, e persino tracciare un confine tra quelle tra loro che sono umane, e quelle che invece sono "disumane", ma letteralmente impossibile ridurre tutte le divergenze ad una composizione e pervenire cos ad una verit assoluta e indubitabile. Ecco il motivo per cui il socialismo scientifico, gnosticismo materialista, viene respinto con decisione: aver compreso le leggi immanenti dello sviluppo storico, e aver previsto su questa base la fine delle opposizioni semplicemente una fallacia logica. Se ci, per vie dirette o traverse che siano, conduce ad una forma estrema di coercizione quale fu il progetto staliniano di "ingegneria dell'anima", allora bisogna difendersi contro una simile razionalit e fare in modo che collassi sulla base della sua stessa inaccettabilit logica. Ecco perch Berlin un "liberale da guerra fredda", perch la sua filosofia pluralista e liberale ci fornisce gli stumenti concettuali per capire il perch del fallimento di un idea progressiva e umanitaria in sommo grado come quella marxista. Berlin ci ricorda che non tutto quello che messo nero su bianco ci pare razionale per ci stesso reale o realizzabile. Egli non il solo "cold war liberal". Insieme a lui, ad abitare questa concezione agonistica della razionalit c' Karl Popper, il quale afferm senza mezzi termini che noi umani "non abbiamo bisogno del certo". Terzo in cotanto senno, lo
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diciamo per amore di completezza, il sociologo tedesco Raymond Aron. I tre furono dunque avversari della nuova metafisica materialista e positivista. In particolare furono tutti e tre, e per ragioni pi che altro biografiche, avversari del Marxismo, ma non per l'intolleranza politica maccartista che prese la mano a molti dei pensatori e dei politici occidentali, ma per una conseguente scelta logica ed epistemologica. Essi ci ricordano, tutt'oggi, che il marxismo si tramut in disumanit perch pretese di porre fine, per il tramite palingenetico di un'ultima lotta, al conflitto; di tutte le cose padre, di tutte re.

1. Libert degli antichi e libert dei moderni: Berlin e Constant

Il saggio di Isaiah Berlin intitolato "Two Concepts of Liberty" fu dato alle stampe quasi dieci anni dopo che il suo autore ebbe pronunciato la prolusione sulla quale si basa la prima edizione. Nel 1957 infatti Berlin successe a G.D.H. Cole sulla cattedra Chicherle di Teoria sociale e politica, e nel 1958, seguendo un costume oxoniense, fu chiamato a tenere un discorso inaugurale per celebrare il suo insediamento. Scelse per l'occasione proprio il tema della libert, quasi a voler segnalare la precedenza logica (e ontologica) di questa rispetto a tutti gli studi di teoria politica. Nacque cos uno dei saggi pi (e a nostro avviso peggio) letti del pensiero liberale del ventesimo secolo, raccolto insieme ad altri dello stesso autore in "Four Essays on Liberty", uscito per i tipi della Oxford University Press, nella collana Paperbacks, nel 1967. I Four Essays dovevano intitolarsi, secondo l'originario progetto editoriale, "Opere Complete". Seppure Berlin considerasse questo un titolo improbabile, esso aveva il merito di riconoscere profeticamente l'importanza capitale che la raccolta, successivamente ampliata secondo le volont dello stesso Berlin, riveste ancora oggi nell'economia del pensiero berliniano (e liberale). Il fondamentale bersaglio polemico dei quattro (poi cinque) saggi da identificarsi nella teoria e nella pratica totalitarie, in maniera specifica (ma non esclusiva) riguardo alla Unione
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Sovietica, dove Berlin era nato e da cui era stato costretto a fuggire ancora ragazzino, insieme alla sua famiglia. Egli sembra, infatti, chiedersi sopratutto in che modo e come mai il marxismo, una teoria di certo profonda, umanitaria e razionalistica, erede, ancorch spuria, della fiducia illuministica nell'uomo come creatura razionale e fine in s, abbia fornito un puntello filosofico al crudele progetto di "ingegneria staliniana. Sebbene tutti i saggi raccolti nei Four Essays siano ciascuno significativo ed importante, opinione di chi scrive che un'analisi dei "Due Concetti di Libert" possa fornire moltissime indicazioni sul pensiero di Berlin e gettare feconda luce interpretativa sul resto dei suoi scritti, ivi compresi gli altri tra gli Essays. La raccolta sembra trovare nei "Due Concetti" il suo fuoco naturale, la sua pietra angolare, anche secondo il parere dello studioso inglese, il quale certamente riteneva che senza una perspicua comprensione di cosa sia la Libert, in s e in rapporto al suo contrario, la Coercizione, non si pu comprendere alcuna delle idee politiche che si sono contese l'agone universale nel corso dei secoli diciannovesimo e ventesimo.1 Potrebbe sembrarci di trovare, nei Due Concetti, una mera banalizzazione di un momento del pensiero di Benjamin Constant, o quantomeno una ripresa poco originale delle idee di quest'ultimo, dobbiamo specificare sin dall'inizio che a
cfr I. Berlin, Due concetti di Libert; in I. Berlin, Libert; a cura di Henry Hardy, trad. it. Di G. Rigamonti e M. Santambrogio Feltrinelli, Milano 2010 (prima ed. 2005); pag 171.
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dell'anima"

rappresentato

dalla

esperienza

differenziare Berlin da Costant sono le premesse e i metodi di indagine. Il secondo, infatti, un oratore militante, impegnato nella competizione politica, preoccupato degli esiti immediati che il suo pensiero avrebbe potuto esercitare sulle sorti della sua nazione. Il primo invece un accademico formatosi nel milieu oxoniense, influenzato dalla logica formale e dalla filosofia del linguaggio, intraprende una disamina dei concetti contenuti nella parola libert guidato in egual misura da motivi storicamente contingenti e da esigenze analitiche, preoccupato cio tanto di analizzare le ragioni filosofiche della tragedia totalitaria del novecento quanto di fissare dei limiti connotativi della parola "Libert" (per quanto questi due obbiettivi possano compenetrarsi nel corso di tutti i Due Concetti). Teoria che immediatamente si traduce in azione politica, dunque, da un lato, e analisi linguistica dei concetti politici, dall'altro. Eppure si pu affermare con buona approssimazione che l'obbiettivo di entrambi consiste in una operazione teorica di salvaguardia delle cosiddette "libert della persona" dalla pressione esiziale che su di esse esercitano quei governi che potremmo definire autoritari. E' chiaro come i due si riferiscano a due "esperimenti" totalitari storicamente lontani: Constant pensa a quella fase della Rivoluzione Francese passata alla storia con l'evocativo nome di "Terrore", Berlin invece ha in mente il secolo ventesimo e i suoi totalitarismi. Ma l'idea che accomuna i due autori e i loro due contesti sostanziale, indipendente dunque da qualsiasi congiuntura. l'idea secondo la quale movimenti
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politici e governi che abbiano carattere autoritario si originino da una qualche confusione o perversione del concetto di Libert politica. Cosa pensa Constant allora riguardo al Terrore e alle Ghigliottine? Egli convinto che una cattiva filosofia, anacronistica pi che illiberale, caduta in mano ad insipienti "sperimentatori" sociali, abbia divorato come un famelico Minotauro l'intero spazio di libert di cui godevano i francesi dopo la loro "felice rivoluzione". Chi sono gli sperimentatori? Senza dubbio i Giacobini. Qual la cattiva filosofia? Per scoprirlo dobbiamo a mio avviso rammentare preliminarmente a noi stessi alcuni lineamenti fondamentali del pensiero del ginevrino JeanJacques Rousseau, in quanto il concetto di volont generale, concetto rousseuviano per eccellenza, pu esserci utilissimo in tutta questa trattazione, non solo in virt del fatto che Constant ne fa il suo nemico teorico, ma anche e soprattutto se lo intendiamo come un archetipo delle teorie della "Libert Perversa" che sia Berlin che Constant intendono anatomizzare e criticare.
Ho detto all'inizio che, per non aver percepito tali differenze [tra la libert degli antichi e quella dei moderni], uomini ben intenzionati, peraltro, erano stati la causa di infiniti mali durante la nostra lunga e tempestosa rivoluzione. [] Ma quegli uomini avevano attinto molte delle loro teorie dalle opere di due filosofi, che non si erano resi conto nemmeno loro dei cambiamenti arrecati da duemila anni alla disposizione

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del genere umano. Forse una volta esaminer il sistema del pi illustre di questi filosofi, J.-J. Rousseau, e mostrer che, trasferendo ai nostri tempi moderni un'estensione di potere sociale, di sovranit collettiva che apparteneva ad altri secoli, quel genio sublime, animato dall'amore pi puro della libert, ha nondimeno fornito funesti pretesti a pi di un genere di tirannia.2

Rousseau avanz la sua proposta di una societ ideale, basata sul concetto di Volont Generale, nella sua opera pi rilevante, il "Contratto Sociale". Mentre nel "Discorso sull'origine e il fondamento dell'ineguaglianza tra gli uomini" egli vedeva nella divisione del lavoro e nella nascita dei rapporti di dipendenza sociale e di propriet la stortura delle societ, l'origine di un "patto iniquo" che soffocava la libert delle masse3, nel "Contratto Sociale" egli espose i fondamenti di un nuovo patto, pi giusto e capace di garantire il libero esercizio delle umane facolt. Nella stipula di un nuovo patto gli individui avrebbero rimesso tutte le loro libert di natura nelle mani di un Io comune, vero e proprio organismo collettivo dotato di vita e volont. Volont Generale, appunto. Unica depositaria del vero bene:

"poich gli uomini non possono creare nuove forze, ma solo unire e dirigere quelle che ci sono, non hanno pi altro modo per conservarsi che quello di formare, aggregandosi, una somma di forze che possa avere la meglio sulla resistenza, di metterle in movimento mediante un solo impulso e di farle agire
B. Constant, La libert degli antichi, paragonata a quella dei moderni, Piccola Biblioteca Einaudi, A cura di G.Paoletti, Torino, 2005, pagg. 16-18 3 Cfr. J-J. Rousseau, Discorso sull'origine e i fondamenti dell'Ineguaglianza tra gli uomini, Editori Riuniti, 2003, Parte II, passim.
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concordemente. Questa somma di forze pu nascere solo dalla collaborazione di molti uomini: ma, dal momento che la forza e la libert di ciascun uomo sono i primi strumenti della sua conservazione, come potr impegnarle senza arrecare danno a s stesso e senza trascurare le cure che si deve? Questa difficolt, riferita al mio tema, pu essere enunciata nei seguenti termini: "Trovare una forma di associazione che difenda e protegga, mediante tutta la forza comune, la persona e i beni di ciascun associato e per mezzo della quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso e rimanga libero come prima." Questo il problema fondamentale di cui il contratto sociale offre la soluzione. Queste clausole [quelle del contratto], bene intese, si riducono tutte a una sola, cio all'alienazione totale di ciascun associato con tuti i suoi diritti a tutta la comunit. [] Compiendosi l'alienazione senza riserva, l'unione tanto perfetta quanto pu essere, e nessun associato ha pi nulla da rivendicare: infatti, se restasse qualche diritto ai singoli, dato che non vi sarebbe alcun superiore comune in grado di arbitrare tra essi e la collettivit, ciascuno, essendo su qualche punto giudice di se stesso, pretenderebbe presto di esserlo su tutti: lo stato di natura sussisterebbe ancore e l'associazione diventerebbe necessariamente tirannica o inutile. []Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volont generale e noi, costituiti in corpo, riceviamo ogni membro quale parte indivisibile del tutto.4

Ne deriva una concezione della societ e dello stato come


Cfr J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, a cura di R. Gatti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2005, pagg. 66-67
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organismo, e anzi possiamo affermare senza timore di sbagliare che nella filosofia di Rousseau troviamo una delle pi chiare formulazioni della metafora organicistica della societ. A tutta prima l'architettura sembrerebbe quella di hobbesiana memoria, se non fosse che alla terziet di un sovrano assoluto Rousseau sostituisce un ente ideale, le cui parti sono i singoli individui, ma che come ogni totalit molto pi che la somma dei suoi costituenti. E chi pensa che l'Io comune, in qualit di Sovrano, sia meno assoluto di un monarca si sbaglia di gran lunga, dacch nemmeno l'autore sembrava essere di questo avviso. Egli sosteneva infatti che, una volta alienata la sovranit su s stesso in favore dell' Io comune, l' Individuo non dovesse avere pi nulla a pretendere da quest'ultimo, e dunque la Volont Generale, autonoma e sovrana, avrebbe imposto i suoi desiderata, qualora ci si fosse reso necessario, anche in spregio alle volont dei singoli. A interessare Constant per non tanto il concetto normativo di Volont Generale, con le sue ripercussioni nella storia delle idee politiche. Tantomeno egli pare soffermarsi sul lessico "anatomico" che deriva da quella concezione organicistica del vivere associato, che invece Berlin vorr stigmatizzare in molti luoghi del suo discorso politico5. Constant, lo ricordiamo, un membro della elite politica francese del suo tempo, e tiene discorsi in parlamento
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In particolare vedasi, riguardo a questo aspetto, il saggio su Le idee politiche del XX secolo, contenuto in Libert, a cura di Henry Hardy, trad. it. G. Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli, Milano, 2010 (prima ed 2005). Ivi Berlin articola la sua critica contro le idee politiche portatrici di quella che lui chiama una concezione "organicista" della societ

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sperando che servano ad orientare l'azione della classe dirigente tardo-rivoluzionaria, e dunque non ci deve stupire come egli si concentri sulla critica esclusiva del concetto operativo di Volont Generale, cio di quella particolare maniera che ebbero Rousseau in teoria, e i Giacobini in pratica, di concepire l'organizzazione del vivere associato in ottemperanza all'ideale del Popolo Sovrano:
La Francia si vista vessata da inutili esperimenti, i cui autori, irritati dagli scarsi successi, hanno tentato di costringerla a godere del bene che essa non voleva, e le hanno conteso quello ch'essa voleva.6

Ci conviene a questo punto ancora una volta tornare alla pagina rousseauviana. Il ginevrino istituisce una chiara connessione tra la Persona Pubblica (il corpo sociale come Io Comune) e la civitas degli antichi.
"Questa persona pubblica che si crea cos dall'unione di tutte le altre si chiamava una volta Citta, e ora si chiama Repubblica o Corpo Politico"7.

E proprio tale modellamento della Repubblica futura sulla polis degli antichi sembra fornire a Rousseau una delle caratteristiche che pi marcatamente connotano il concetto di Volont Generale: l'indivisibilit. Se il Sovrano uno, ed il

Cfr. B. Constant, La libert degli antichi paragonata a quella dei moderni, a cura di G. Piccoli, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2001, pag. 3 7 Cfr. J.-J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, a cura di Roberto Gatti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2005, pag 68.

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Popolo, allora la divisione dei poteri una impostura e Montesquieu un ciarlatano giapponese.

"Infatti la volont generale o non lo ; quella del corpo del popolo o solamente di una parte. Nel primo caso questa volont, dichiarata, un atto di sovranit e fa legge, mentre nel secondo soltanto una volont particolare o un atto di magistratura, tutt'al pi un decreto. Ma i nostri politici, non potendo dividere la sovranit quanto al suo principio, la dividono quanto al suo oggetto; la dividono in forza e in volont in potere legilativo e in potere esecutivo, in diritti concernenti le imposte, la giustizia e la guerra, in amministrazione interna e in potere i trattare con lo straniero; talvolta confondono tutte queste parti, talaltra le separano. Fanno del sovrano un essere paragonabile a quelli prodotti dalla fantasia, formato di pezzi messi insieme l'uno con l'altro; come se componessero l'uomo con pi corpi, di cui l'uno avesse gli occhi, l'altro le braccia e l'altro i piedi, e niente pi. Si dice che i ciarlatani del Giappone taglino a pezzi un fanciullo sotto gli occhi degli spettatori e poi, gettando in aria tutte le sue membra una dopo l'altra, lo facciano ricadere vivo e tutto ricomposto.8

Che farsene allora di governi, magistrati e corpi diplomatici? Relegarli nelle prigioni della storia come complici

dell'oppressione, e insediare al loro posto un'unica Assemblea dei Cittadini, come ad Atene; e proprio questa Assemblea ci sembra il concetto empirico meglio capace di tradurre la Volont Generale in qualcosa di apprezzabile materialmente. Un' Assemblea, dunque, dove ognuno sia chiamato, in qualit
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J.-J. Rousseau, Il contratto Sociale, a cura di Roberto Gatti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2005 pag 77-78

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di parte del Sovrano, a deliberare sulle materie afferenti alla sua vita. E una volta che tutte le parti si saranno pronunciate potremo stabilire, con precisione matematica, qual la volont del tutto, ed ergere solo quest'ultima a criterio legittimo dell'azione politica. E chiunque vi resista resiste, secondo Rousseau, al vero bene della societ e attenta alla salute dell'organismo civico. Si consuma in questo, secondo Constant, secondo Berlin e secondo chi scrive, un cruento sacrificio dell'Individuo sull'ara della Comunit. Adesso, e per la prima volta nella storia della teoria politica, la preoccupazione per la libert dei singoli ha condotto alla sua confisca, alla sua alienazione, al suo massacro. quel processo di cui Berlin rinverr l'epitome in un passo dell' amato Dostoevskij: si parte dalla libert illimitata e si finisce nell'illimitato dispotismo.9 questo l'equivoco di una Libert Perversa, che si fraintende da se stessa. E di questo equivoco tratta pure Berlin, come vedremo in seguito.

[]l'abate Mably pu essere considerato l'esponente del sistema che, in conformit con le massime della libert antica, vuole che i cittadini siano completamente assoggettati affinch la nazione sia sovrana, e che l'individuo sia schiavo affinch sia libero il popolo10.

Per

adesso

invece

guardiamo

alla

Francia

del

Diciannovesimo incipiente, e preoccupiamoci di chiarire in


cfr I. BERLIN, Le idee politiche del XX Secolo, in I. BERLIN, Libert, a cura di H. Hardy, trad. it. G. Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli, Milano, 2005, pag. 73 10 Cfr. B. Constant, La libert degli antichi paragonata a quella dei moderni, a cura di G. Paoletti, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2001, pagg 18-19
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quale parte del discorso si innesti la critica di Constant. Egli rese consapevoli i Francesi che non era pi possibile che tutti partecipassero direttamente all'amministrazione della cosa pubblica. Le mutate condizioni economiche e sociali rendevano impraticabile ai suoi contemporanei la libert propria degli antichi. Volere a tutti i costi resuscitarla aveva portato la nazione a non godere di nessuna libert. Bisognava forgiare con le armi del pensiero una nuova idea di libert, che fosse adeguata ai tempi. Quale questa libert "dei moderni"? In una battuta potremmo definirla come la libert di dissociarsi dalla Volont Generale.
[] noi non possiamo pi godere della libert degli antichi, che era fatta della partecipazione attiva e costante al potere collettivo. La libert che ci propria deve essere fatta del godimento pacifico dell'indipendenza privata.11

Invece che al governo di tutti su tutti, Constant pensa ad un sistema rappresentativo, il quale possa in ogni caso garantire la difesa degli interessi dei singoli ma che lasci loro il tempo di essere liberi dalla cosa pubblica. Inoltre, per scongiurare il rischio che i rappresentati tradiscano i rappresentati come la Volont Generale in pratica ha fatto tradendo le volont particolari, egli sostiene che debba essere concesso agli Individui uno spazio inviolabile nel quale la Persona Pubblica non possa e non debba assolutamente intromettersi.

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Cfr. B. Constant, La libert degli antichi paragonata a quella dei moderni, a cura di G. Paoletti Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2001, pag. 15.

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"L'edificio rinnovato dello spirito degli antichi crollato, a dispetto di molti sforzi e molti atti eroici che hanno diritto all'ammirazione . Il fatto che il potere sociale ledeva in ogni senso l'indipendenza individuale senza eliminarne il bisogno. La nazione non riteneva affatto che una parte ideale a una sovranit astratta valesse i sacrifici che le venivano comandati. Si aveva un bel ripeterle con Rousseau: le leggi della libert sono cento volte pi austere di quanto sia duro il giogo dei tiranni. Di tali leggi austere non voleva saperne e, nella sua stanchezza, arrivava a credere che il giogo dei tiranni sarebbe stato preferibile. L'esperienza venuta e l'ha disillusa. Ha visto che l'arbitrio degli uomini era ancora peggiore delle leggi pi cattive. Ma anche le leggi devono avere i loro limiti. Se sono riuscito, signori, a farvi condividere l'opinione che, ne sono convinto, dev'esser prodotta da questi fatti, riconoscerete con me la verit dei seguenti principi: L'Indipendenza individuale l primo bisogno dei Moderni. 12

Quello che Constant ha in mente dunque un confine, invalicabile per l' Autorit, che garantisca per il singolo una area entro la quale egli stesso singolo, e nessun altro, sia il Sovrano. Senza soffermarci sull'articolazione del Discorso di Constant diremo invece che, nella vulgata liberale, si fa presto ad appiattire tutta la profondit dei Due Concetti sul dettato constantiano. La Libert degli Antichi, la libert di passata in quella Positiva. La Libert dei Moderni tout-court quella Negativa; libert da. E dunque Berlin sarebbe un epigono poco originale.

Cfr B. Constant, La libert degli antichi paragonata a quella dei moderni, a cura di G.Paoletti, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2001, pag. 22.

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Al netto dei molti richiami berliniani al pensero di Constant, e delle molte similitudini nel modo che i due hanno di intendere la libert, pensare a Berlin come ad un "doppione" ci farebbe perdere di vista la complessit del suo pensiero, delle sue ragioni, dei suoi strumenti e del suo posto nella storia del liberalismo. Uno degli scopi di questa trattazione sar rendere giustizia, cercando di comprenderli passo dopo passo, a tutti questi elementi. .Cos facendo tenteremo, per quelli che sono gli strumenti di chi scrive, una esposizione dei Two Concepts of Liberty, un testo in ogni caso molto difficile, ondivago e involuto.

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2. Isaiah Berlin tra Filosofia Analitica e Filosofia Politica


Per rinvenire le radici pi fonde del pensiero di Isaiah Berlin bisogna ripercorrere i sentieri (solo apparentemente aridi) della filosofia analitica, in maniera precipua di quella oxoniense. Berlin non era inglese di nascita, e nemmeno un immigrato di seconda generazione. Oggi diremmo che egli era lettone; e difatti la Lettonia post-sovietica l'ha presto assunto come il massimo filosofo nazionale e con tale titolo gli tributa ogni anno grandi onori (purtroppo ci sembra non essere mai accaduto fintanto che egli fu in vita, sebbene egli sia sopravvissuto allo spartiacque del 1989). Il nostro per probabilmente non si sent mai lettone quanto russo, ebreo ed inglese. Russo per cultura letteraria; Ebreo di stirpe e di indole; Inglese in filosofia. Ebreo russo Berlin fu per la sua intera esistenza. Convinto sionista, fu tuttavia talmente inglese da non lasciare mai l'insegnamento ad Oxford. Quantunque il nuovo stato di Israele attendesse una delle sue migliori intelligenze, per affidarle un importante incarico di dirigenza politica, i dirigenti sionisti in Palestina mai riuscirono a distogliere quella mente dal suo luogo naturale: l' All Souls College. In contrasto con questo dato biografico (o forse aneddotico), invece, il Berlin di "My Intellectual Path" scrisse di s stesso, senza riserve, che fu la lettura di Vico e di Herder a risvegliarlo al pensiero1, volendo forse intendere che il clima intellettuale di Oxford era quantomeno torpido, se non dormiente.
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Cfr. I. Berlin, Il Mio Itinerario Intellettuale, in I. Berlin, Il Potere delle idee, a cura di H. Hardy, trad. it. G. Ferrara degli Uberti, Adelphi, Milano, 2003, pagg. 31-37

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Mario Ricciardi, apprezzato studioso italiano di cose berliniane, in un saggio pubblicato in "Biblioteca Liberale", rivista digitale edita dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, sembra suggerire invece che un confronto critico con la filosofia di Oxford attraversi trasversalmente tutta l' opera di Berlin2. Stanti cos le cose si potrebbe riservare al dibattito tra Berlin e suoi colleghi e contemporanei un posto pi significativo nella determinazione dei fattori genetici dei nuclei concettuali rinvenibili nei "Two Concepts of Liberty". Dice innanzitutto Ricciardi:

"In My Intellectual Path Berlin ricostruisce il proprio percorso intellettuale secondo uno schema gi proposto in precedenti scritti autobiografici. La lettura di Vico ed Herder sarebbe ci che lo ha liberato dal ristretto orizzonte problematico della filosofia di Oxford, le cui priorit erano sostanzialmente stabilite dal positivismo logico cui Berlin e i suoi colleghi si opponevano, per aprirgli un pi vasto panorama intellettuale. Da questa sorta di rigenerazione, che Berlin a volte ha descritto quasi come una rivelazione, nascerebbe l'interesse per la storia delle idee e per la politica. Secondo questa lettura "discontinuista", sarebbero Vico, Herder e i Romantici a fornire a Berlin gli spunti per mettere in discussione il monismo e per elaborare progressivamente la sua distintiva versione del liberalismo ispirata dal pluralismo dei valori"3

Berlin, finanche nei suoi carteggi con alcune personalit della filosofia e della cultura in generale, non perse mai occasione per mettere in evidenza il fatto che egli considerasse addirittura "futili" i temi previsti dalla agenda intellettuale oxoniense. Egli scrive di volersi dedicare a letture pi "continentali", di voler affrontare
M. Ricciardi, L'altra libert. Isaiah Berlin e il determinismo, in Biblioteca Liberale anno XLVI n. 200 Online Gennaio-Aprile 2011. 3 M. Ricciardi, ibidem, pag. 8
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Hegel, Marx, Engels. Sappiamo che egli fece anche di pi, arrivando a nutrire una accesa stima per autori che gli stessi filosofi continentali consideravano ormai una curiosit antiquaria; si pensi al gi citato Vico, principale fonte della vrve polemica di Berlin contro i logicismi aridi della filosofia dell' Europa insulare. Ricciardi per si sofferma su come, quantunque Berlin manifestasse in maniera palese il desiderio di allontanare il suo sentiero intellettuale da quello dei suoi sodali di Oxford, l'interesse per il pluralismo, per l'azione umana, per la storia della filosofia, fu suscitato in lui da un confronto non solo "distruttivo" con quelle che, per usare una locuzione che riecheggi il dettato berliniano e ne conservi il tono polemico, potremmo definire le mode filosofiche del prestigioso ateneo inglese. Ricciardi si ferma a considerare l'incidenza che pu aver avuto sullo sviluppo del pensiero di Berlin l'insegnamento di John Cook Wilson, eminente personalit oxfordiana di inizio ventesimo secolo. Il futuro inquilino della Cattedra Chicherle conobbe con ogni probabilit le idee di John Cook Wilson attraverso la mediazione degli allievi di questi che ebbe tra i suoi docenti. Ricciardi indica in particolare i nomi di Prichard, Ross e Joseph. Cos Ricciardi:
"Nelle lezioni di logica e negli altri suoi scritti filosofici pubblicati solo dopo la morte avvenuta nel 1915, Cook Wilson sviluppava, non senza incertezze e tentennamenti, una critica delle principali dottrine di Thomas H.Green e Francis H. Bradley. Grande attenzione era prestata agli usi del linguaggio ordinario (lespressione stessa linguistic analysis viene impiegata da Cook Wilson) per smascherare le fallacie derivanti dalla tendenza dei filosofi a introdurre termini tecnici senza unadeguata attenzione alle conseguenze che esse comportano sul piano concettuale. Mentre gli interessi di Cook Wilson erano quasi esclusivamente logici ed epistemologici, quelli di Prichard, Ross e Joseph si estendevano

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fino alla filosofia morale, cui applicavano il metodo di analisi del linguaggio ordinario elaborato dal maestro cercando di esplicitare le assunzioni che sottendono il nostro modo di pensare le azioni che ciascuno compie nella vita di ogni giorno come, ad esempio, quando promette".4

L' importanza che questo passaggio di Ricciardi riveste nella ricostruzione dell' influenza di Oxford nella formazione del pensiero del Berlin maturo capitale. Se ne evince infatti che Prichard, Ross e Joseph, sulla scorta del lascito di John Cook Wilson, cominciarono ad applicare l'analisi linguistica al dominio dell' azione umana, conservando, oltre al metodo, anche l'intenzione del maestro; vale a dire quella di "smascherare le fallacie derivanti dalla tendenza dei filosofi a introdurre termini tecnici senza un'adeguata attenzione alle conseguenze". Non forse questa stessa l'intenzione che guida Berlin nell'analizzare il doppio concetto di libert? Non crede forse il professore lettone che una ingannevole nozione filosofica di libert (una fallacia, appunto) sia alla base dell'instaurazione dei regimi totalitari del Novecento, e che tocchi all'analisi linguisticofilosofica dei concetti ristabilire il vero senso di questi ultimi, o quantomeno la storia del loro fraintendimento? Secondo chi scrive la risposta a tali domande deve essere decisamente affermativa. A suffragio di tale ipotesi possibile utilizzare la stessa pagina berliniana. All'inizio della prolusione sui "Due Concetti di Libert" infatti Berlin scrive:
"Pi di cento anni fa il poeta tedesco Heine ammon i francesi a non sottovalutare il potere delle idee: i concetti filosofici allevati nella quiete dello studio di un professore possono distruggere una civilt.

M. Ricciardi, ibidem, pagg. 8-9

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Secondo Heine la Critica della Ragione Pura di Kant era la spada con cui era stato decapitato il deismo tedesco, e le opere di Rousseau erano l'arma insanguinata che, in mano a Robespierre, aveva distrutto il vecchio regime; e si poteva profetizzare che la fede romantica di Fichte e di Schelling un giorno sarebbe stata rivolta, con effetti terribili, contro la cultura liberale dell'occidente dai loro fanatici seguaci tedeschi. I fatti non hanno completamente smentito questa predizione; ma se i professori hanno davvero in mano questo fatale potere, non potrebbe darsi che solo altri professori, o per lo meno altri pensatori (e non i governi o le commissioni parlamentari), siano in grado di disarmarli?" 5

In questo passo assume particolare rilevanza, ai fini del nostro discorso, l'impiego, da parte dell'autore, del verbo "disarmare". Una simile scelta linguistica sembra in effetti suggerire un'azione quasi assimilabile al disinnescare un ordigno concettuale, operazione che non difficile figurarsi nei termini della rettifica di un errore logico (meglio ancora linguistico), tanto pi se deve essere un compito dei pensatori. Nel testo dei "Due Concetti" la presa in esame di ogni possibile aspetto del problema della libert, da operare in ordine al "disarmo" di cui sopra, si configura proprio come un tentativo di analizzare e chiarire la potenza denotativa, o meglio significante, del lemma, al fine di comprendere il diverso atteggiamento verso la vita sotteso ad ogni possibile attribuzione di significato di cui la parola "libert" pu essere oggetto. In altre parole quello che Berlin sembra voler fare un'analisi dei significati della libert che lo porti a intravedere l'orizzonte culturale, psicologico, relazionale, entro il quale ciascuno di questi significati si inscrive.

I. Berlin, Due concetti di Libert, in I. Berlin, Libert, a cura di Henry Hardy, trad. it. G. Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli, Milano 2005, pag. 170

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Questo intento segna una profonda distanza tra Berlin e i suoi colleghi oxoniensi. E il primo passo di questa distanza consiste nella concezione del tutto diversa, rispetto a quella dei suoi colleghi, che Berlin ha della nozione di "significato". L'ultimo scritto di Berlin, "Il mio itinerario intellettuale", gi citato pi sopra in queste pagine, contiene alcune illuminanti suggestioni in proposito. uno scritto d'occasione, composto su richiesta di un accademico cinese incaricato della curatela di una raccolta di pensatori anglofoni. Berlin ottantasettenne non volle rinunciare a comparire con un suo elaborato in tale volume, molto probabilmente perch proprio in quegli anni (1996) in Cina era in atto il riconoscimento in via costituzionale di alcune importanti "libert negative" e dei diritti soggettivi di matrice liberale. Il contenuto di questo testo non tradisce il titolo. Berlin infatti racconta della sua carriera di filosofo, o meglio ancora delle letture e dei problemi affrontando i quali il suo pensiero si era educato. Quello del significato da subito identificato da Berlin come un cardine della sua formazione filosofica. Tanto vero che gi nelle prime pagine egli ne fa menzione, e tutta la primissima parte del saggio consacrata al resoconto delle querelles sorte a proposito di questo ed altri argomenti simili tra Berlin e i suoi colleghi, entro le mura dell' Universit di Oxford. Facciamo parlare direttamente l'autore:
"La prima questione che occup la nostra attenzione tra la met e la fine degli anni Trenta era la natura del significato: il suo rapporto con la verit e la falsit, la conoscenza e l'opinione, e in particolare il criterio di significanza in termini della verificabilit delle proposizioni in cui il significato era espresso. A spingerci verso questo tema erano i membri della Scuola di Vienna, essi stessi discepoli di Russell e grandemente influenzati da pensatori come Carnap, Wittgenstein e

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Schlick. L'idea di moda era che il significato di una proposizione consiste nel modo della sua verificabilit; e se non c' alcun modo possibile di verificare ci che viene detto, allora si tratta di un enunciato insuscettibile di verit o falsit, che non ha carattere fattuale, ed pertanto privo di significato, oppure un esempio di un diverso uso del linguaggio, come accade nei comandi o nelle espressioni del desiderio, o nella letteratura d'immaginazione, o in altre forme d'espressione che non pretendono di essere empiricamente vere. Fui influenzato da questa scuola nel senso di essere assorbito dai problemi e delle teorie da essa generati, ma non diventai mai un autentico discepolo. Ho sempre creduto che enunciati che possono essere veri o falsi o plausibili o dubbi o interessanti, se da un lato si riferiscono senza dubbio al mondo quale empiricamente concepito (e, da allora fino a oggi, non ho mai concepito il mondo in alcun altro modo), dall'altro non per questo sono necessariamente suscettibili di essere verificati mediante un qualche criterio semplice e risolutivo, come affermavano la Scuola di Vienna e i positivisti logici suoi seguaci."6

Alfiere presso la comunit accademica inglese di un simile approccio fu, tra gli altri, Alfred Jules Ayer. Amico e compagno di studi di Berlin, ancorch suo avversario filosofico, Ayer dedic al principio di verificazione come sopra enunciato una delle sue opere pi importanti: Language, Truth and Logic. Berlin dissentiva da Ayer su tutta la linea. Soprattutto dopo il 1950, egli articol la sua critica al principio di verificazione adducendo un elegante argomento logico-linguistico concernente la natura delle

proposizioni ipotetiche. Anche di ci possiamo trovare una traccia in My Intellectual Path:


".Lo stesso vero per le proposizioni ipotetiche, e a maggior ragione per le proposizioni ipotetiche del terzo tipo, riguardo alle quali
I. Berlin, Il mio itinerario intellettuale, in I. Berlin, il potere delle idee, a cura di H. Hardy, trad. it. G. Ferrara degli Uberti, Adelphi, Milano 2003, pag. 24
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palesemente paradossale sostenere che se ne pu dimostrare la verit o falsit mediante l'osservazione empirica, e che nondimeno hanno senza dubbio un significato".7

A questo proposito Ricciardi nota giustamente che:


Il legame con lazione [] [] chiaro: dal significato degli enunciati ipotetici dipende buona parte del discorso sullazione e il tipo di ricostruzioni controfattuali che si trovano normalmente nei libri di storia.8

Possiamo dunque ipotizzare che Berlin, gi interessato dagli anni trenta agli ambiti della storia, della politica, e della morale, piuttosto che alla logica formale, si sia allontanato dall'ambiente oxoniense primariamente in virt di questa concezione imperante sulla natura del significato, la quale egli si avvide poteva compromettere buona parte del discorso sull'azione umana. Dunque seppure Berlin, nei suoi "Due Concetti", si cimenti con la disamina dei due significati pi pregnanti della parola Libert, e lo faccia in maniera auto-evidente attraverso una analisi linguistica, egli ha in mente una nozione affatto diversa, e molto pi profonda, di significato. Quale sia questa nuova dimensione del significato l'abbiamo accennato prima dicendo che Berlin tenta di comprendere i diversi atteggiamenti verso la vita che costituiscono il presupposto di ogni possibile concetto di Libert. Una tale espressione risulterebbe di molto rischiarata allorch venisse compresa nell'orizzonte delle successive influenze culturali cui fu sottoposto il giovane Berlin. Non dovremo stupirci neanche in questo caso qualora arrivassimo a stabilire che per buona parte fu lo stesso milieu oxoniense a fornire
I.Berlin, ibidem, pag. 25 M. Ricciardi, L'altra libert. Isaiah Berlin e il determinismo, in Biblioteca Liberale anno XLVI n. 200 Online Gennaio-Aprile 2011, pag. 14
8 7

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al Nostro gli spunti necessari ad elaborare una simile concezione del significato. E cos infatti , considerando che l' influenza di Oxford pass attraverso una delle personalit meno integrate nella vita culturale dell'accademia inglese, quale fu Robin G. Collingwood, traduttore in Inglese di Benedetto Croce. Vale la pena, perci, di notare una singolare coincidenza. Berlin segu i corsi di filosofia della storia di Collingwood nel 1931, contemporaneamente al sorgere del suo interesse per la storia e la filosofia della politica. Bernard Williams, redattore di una introduzione all'edizione inglese di Concepts and Categories fa notare come la concezione collingwoodiana della metafisica come scienza non gi dell'essere in quanto tale, quanto delle "presupposizioni assolute" sottese ad ogni concezione del mondo (potremmo dire anche: ad ogni giudizio?), si riversi tout-court nella nozione di significato rinvenibile nell'opera di Berlin, oltre a conservare l'eco chiaramente udibile della Filosofia dello Spirito crociana. In questo capitolo non menzioneremo n Vico n Herder, in quanto il fatto che la lettura delle opere di questi due pensatori "minori" abbia informato di s il pensiero Berliniano si impone alla nostra attenzione con evidente chiarezza. Ci limitiamo a sottolineare come fu Oxford a dissodare le zolle prima che il germe "continenale" venisse seminato, e, a margine di questa

considerazione, ci preme di sottolineare come, oltre a Vico, un altro napoletano fece la sua parte (sebbene in maniera obliqua) nella maturazione della filosofia di Berlin: Benedetto Croce.

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3. Libert Negativa
Dopo aver tentato di rendere preliminarmente conto del rapporto dei Due Concetti di Libert con il liberalismo constantiano e con i pensatori oxoniani coevi, giunto il momento di confrontarci direttamente con il testo, alla ricerca delle trame concettuali che esso sottende. Avremo nel frattempo ulteriori occasioni per mettere in evidenza convergenze e differenze tra Berlin e il pensiero liberale "classico". Riteniamo sia opportuno trattare i due concetti di libert separatamente, rimanendo ci nonostante consapevoli di come l'uno sia indivisibile dall' altro, come le due facce di una moneta, e rammentando che se ciascuno di essi in certa misura contiene l'altro, ad un tempo lo contraddice. Questo aspetto, che a tutta prima sembrerebbe a chiunque un paradosso, invece tanto pi vero in una prospettiva filosofica come quella berliniana, basata come sembra essere su una concezione del pluralismo come contraddizione non solo possibile, ma talvolta necessaria, tra i fini e valori ultimi all'interno di una medesima cultura (o addirittura nell'interpretazione del medesimo concetto).
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In questa direzione ci conduce anche lo stesso incipit del saggio:

"Se gli uomini non si fossero mai trovati in disaccordo sui fini della vita, se i nostri antenati fossero rimasti, indisturbati, nel giardino dell'Eden, gli studi ai quali dedicata la cattedra Chicherle di Teoria Sociale e Politica difficilmente avrebbero potuto essere concepiti"1.

La filosofia politica si nutre dunque del conflitto, e inoltre ad essa affidata la responsabilit di capire il conflitto, siccome giammai sar in suo potere di risolverlo. Se il filosofo abdica a questo difficile compito allora le idee politiche che nascono quasi spontaneamente dall'interazione umana, dalla cosiddetta "societ civile", rischiano, una volta che su di essa nuovamente si riflettono, di diventare un "coltello insanguinato". Ecco Berlin:
"Trascurare il campo del pensiero politico [.] significa semplicemente mettersi alla merc di credenze primitive e acritiche"2.

I.Berlin "Due concetti di libert", in I.BERLIN, Libert, a cura di H. Hardy, trad. it. G. Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli Universale Economica, 2005, pag. 169 2 Op. Cit, pag.170

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Inutile specificare come questi due aggettivi non abbiano affatto una connotazione neutra, ma palesemente assumano un contenuto peggiorativo. Come fare allora a capire il conflitto? Riferendoci a quanto gi accennato nel capitolo precedente, diremo che per Berlin capire i conflitti vuol dire "capire le idee o l'atteggiamento verso la vita ad esse sotteso". Comprendere la genesi dei conflitti fra diversi valori e fini ultimi nel campo della vita associata, ovvero in ultima istanza fra i gruppi di uomini che sono portatori dell'uno o dell'altro fine o valore, vuol dire dunque fare luce sulle Weltanschauungen in cui consiste l'orizzonte culturale dal quale nascono e crescono le idee politiche, al fine di rendere chiari i meccanismi intellettuali (e psicologici) che operano in qualunque attribuzione di significato di cui sono fatte oggetto le parole della Politica.3 In altri termini, a quale visione del mondo (e dell'uomo) fanno capo i diversi significati attribuibili alla parola Libert?
Nell'opera berliniana sono in maniera precipua analizzati i conflitti tra la Weltanschauung romantica e quella illuminista. Berlin dedica all'argomento pi di un saggio critico, e si pu ipotizzare che egli ritenga lo scontro tra le due grandi correnti del pensiero moderno come un momento genetico della modernit in quanto tale. In particolare Berlin sembra essere attratto piuttosto dal romanticismo (ad es. Herder), il quale costituirebbe il puntello della teoria pluralista del valore che caratterizza la sua speculazione etico-politica. Al contrario l'Illuminismo, nell'opinione di Berlin, ripropone la visione monista della vita e del pensiero, la quale Berlin avversa. Per approfondire l'argomento si vedano: I.BERLIN, The age of enlightment, The 18th century philosophers, Plume, Londra, 1984; I. BERLIN, Le radici del romanticismo, a cura di H. Hardy, trad it. Di G. Ferrara degli Uberti, Adelphi, Milano, 2001; I. BERLIN, Il mago del nord: J.G. Hamann e le origini dell'irrazionalismo moderno, trad. it. di N. Giardini, Adelphi, Milano, 1997.
3

32

In via preliminare converrebbe allora stabilire cosa significhi "Libert". Berlin ci avverte pressoch immediatamente della

complessit del problema:

"Quasi tutti i moralisti storicamente noti hanno cantato le lodi della libert; ma il significato di questo termine, come quelli di "felicit" e "bont", "natura" e "realt", talmente elastico che non c' praticamente interpretazione che non ammetta"4.

Subito dopo Berlin qualifica la parola libert come "proteiforme", evocando l'immagine di una catena lunghissima di singoli componenti giustapposti l'uno all'altro (come i peptidi in una proteina) che per si vedono solamente al microscopio, la loro totalit sfuggendo alla vista dell'occhio nudo. come dire che quanti sono gli uomini tanti sono i concetti di libert, ma se volessimo pervenire ad una definizione univoca della parola Libert, allora l'oggetto della nostra indagine d'improvviso sfuggirebbe al nostro sguardo per ritirarsi nella sua ineffabilit, lasciandoci per quantomeno liberi di interpretare la libert come vogliamo, o come ci
4

Op. Cit. pag 171

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interessa. E infatti non c' Una Libert, dato che, secondo Berlin, non c', e mai ci potr essere, l'accordo unanime sui valori supremi della vita associata. Proprio per questo, e nell'impossibilit di rendere conto di tutti i significati di libert ("possiamo forse andare a verificare le multiformi concezioni della libert?", sembra dire Berlin al suo collega Ayer) Berlin restringe il campo della sua analisi a due di questi: uno

negativo ("Fin dove sono libero?"), e uno positivo, che potremmo racchiudere nella domanda che recita: "Da chi sono governato? E in nome di quale principio io debbo obbedire?". Seguendo la divisione in paragrafi degli stessi "Due Concetti" tratteremo prima, in questo capitolo, il senso negativo. Nel capitolo successivo cercheremo di enucleare tutti gli aspetti del senso positivo di Libert, connesso tra l'altro con molti dei temi ulteriori della riflessione berliniana.

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3.1. La Libert Negativa

".questa dottrina relativamente moderna. Nel mondo antico non troviamo, praticamente, nessuna discussione della libert individuale come ideale politico consapevole (distinto dalla sua esistenza effettiva). Gi Condorcet aveva osservato che l'idea dei diritti individuali era assente dalle concezioni giuridiche dei romani e dei greci, e questo vale anche per la civilt ebraica, quella cinese e tutte le altre culture nate (sempre nell'antichit) successivamente".5

Questo passaggio ci aiuta a capire la nozione di Libert Negativa, in quanto ci fornisce un utile parametro di riferimento: la libert individuale (in quanto ideale politico consapevole), e un altrettanto utile tertium comparationis: i diritti individuali. La Libert Negativa dell'Individuo ed collegata ai diritti, al Diritto, e lo nella misura in cui ha a che fare con l'interazione tra i soggetti.

Op. Cit. pag. 179

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"sarebbe una stranezza dire che nella misura in cui non so fare [] io sono coartato o schiavizzato. La coercizione implica una deliberata interferenza di altri esseri umani all'interno dell'area in cui altrimenti potrei agire. Perci si pu parlare di libert politica soltanto se qualcuno ci impedisce il raggiungimento di un obiettivo; la semplice incapacit di raggiungere un obiettivo non pu essere definita mancanza di libert politica".6

La Libert negativa quindi connessa alla dimensione esteriore dell'azione umana, all' , nella accezione

etimologica di "luogo dell'abitare", non gi alla , cio all'interiorit e al rapporto intra-soggettivo. Se io non riesco ad essere libero non ha senso dire che qualcuno mi costringe, se io ho la possibilit di esserlo, e qualcuno me lo impedisce, allora si verifica la coercizione.

"Il criterio della mia oppressione la parte che a mio parere altri esseri umani svolgono nel frustrare i miei desideri, direttamente o indirettamente, con o senza intenzione; e per essere libero in questo senso intendo il non subire interferenze altrui. Pi ampia l'area della non-interferenza, maggiore la mia libert"7.

6 7

Op. Cit.pag 171 Ibidem

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In questo senso la coercizione, che il contrario della Libert Negativa, si configura come la intromissione di qualcuno che non siamo noi stessi (lo Stato, ma anche gli altri socii) nella nostra sfera di non-interferenza. Questa area di non-interferenza come proiettata dall'individuo all'infuori di se, a difesa delle sue "libert naturali". Tutti i filosofi che prepararono la strada alla Rivoluzione Francese, intesa come concrezione in un evento puntuale della fine di una episteme, per dirla con Foucault8, e l'inizio di una nuova, concepirono quest'area come non-illimitata, circoscritta altres dalle leggi, che nello stesso istante la tutelano (mediante quei diritti soggettivi che sono assoluti e perfetti) e le impediscono di fagocitare le aree dell'altrui libert (mediante l'istituzione di doveri sociali). Tuttavia n le leggi n gli altri individui possono mai oltrepassare il perimetro di questo spazio di libert individuale, in quanto questo equivarrebbe a violarlo e configurerebbe immediatamente una carenza di libert.
8

Cfr. M Foucault, Discorso e Verit nella Grecia Antica, a cura di A. Galeotti, Donzelli, Roma, 1996

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evidente che ci stiamo sicuramente muovendo nella visione del mondo liberale classica.

"Locke e Mill in Inghilterra o Costant e Tocqueville in Francia [postulavano] che dovesse esistere una certa area minima di libert personale da non violare per nessuna ragione, poich se quest'area fosse invasa l'individuo si troverebbe chiuso in uno spazio troppo angusto anche per quello sviluppo minimale delle sue facolt naturali senza il quale non possibile perseguire, o anche soltanto concepire, tutti quei fini che gli uomini considerano buoni, giusti o sacri. necessario, di conseguenza, tracciare un confine tra l'area della vita privata e quella dell'autorit pubblica. Dove vada tracciato materia di discussione"9

Nella stessa maniera in cui la nozione dei diritti individuali ci aiuta ad orientarci nella scoperta del contenuto sociale e giuridico della Libert Negativa, questa idea di Confine10,

Op. Cit. pag. 176 Relativamente al confine, pu esserci utile la fortunata distinzione che Kant volle istituire tra Grenzen e Schranken. Per Kant i Grenzen presuppongono sempre uno spazio, che si trova fuori di un certo determinato luogo e lo racchiude. Al contrario gli Schranken sono semplici negazioni che affettano una grandezza. Nei Grenzen, quindi, si afferma positivamente una doppia appartenenza, nel senso che esso appartiene "a ci che sta dentro di esso, come allo spazio che sta fuori di un dato insieme". Questo separare dei Grenzen allora anche un possibile comunicare con ci che sta oltre. Gli Schranken, altres, sono confini invalicabili che precludono totalmente l'accesso all' al-di-fuori. Ai fini del nostro discorso potremmo considerare il confine tra la vita dell'individuo e quella dello stato sia come un Grenze che come uno Schrank , a seconda se lo si guardi dalla prospettiva dell' Individuo o da quella dello Stato. Per l'individuo si da un Grenze, vale a dire un limite valicabile, ogni qual volta egli voglia spingersi oltre l'orizzonte del suo particulare e concorrere alla
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incontrata nel passo poco sopra riportato, che ci insegna qualcosa sui risvolti pi specificamente filosofici della Libert Negativa. Inoltre essa ci regala preziose informazioni sul "paradigma societario" che meglio si accorderebbe con la possibilit di un perfetto esercizio di essa. Ognuno dei "diritti di libert" conosciuti dalle scienze giuridiche informate dal paradigma liberale classico pu infatti essere interpretato come un confine. Esso, come tutte le frontiere, pu essere vissuto al di l o al di qua. Entro il confine troviamo (e questo gi chiarissimo) l'Uomo con la sua libert, fuori dal confine ci sono tutti gli altri uomini e le Istituzioni. Come ogni confine, anche quello della libert convenzionale e mobile; nel senso che pu essere spostato in avanti o all'indietro, corrispondendo tali movimenti

rispettivamente ad un incremento o ad una diminuzione della Libert. Tralasciando per ora la questione della mobilit limitiamoci ad affermare che da tutto il tono del saggio, e dalle risposte
determinazione dell'indirizzo politico della comunit. Per lo Stato, secondo la teoria politica liberale, si da invece, nei confronti del privato degli individui, un insormontabile Schrank, che funziona come necessaria negazione della sfera pubblica. Il confine tra lo Stato e l'individuo , per quest'ultimo, un' orizzonte di possibilit, per il primo una barriera da non trapassare, pena la ricaduta nell'autoritarismo e nella coercizione. Per approfondire si veda I. KANT, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che vorr presentarsi come scienza, trad. it di P. Carabellese, Introduzione di R. Assunto, Laterza, Bari, 1970, segnatamente il paragrafo 57, e P. FAGGIOTTO, Commento al Paragrafo 57 dei Prolegomeni, in Verifiche, XV, 1986, n. 3.

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alle critiche ad esso rivolte, si evince che per Berlin, esattamente come per i liberali classici, l'esistenza di questo confine sia un fatto di per s buono e desiderabile. Vedremo poi pi approfonditamente il perch di questa bont e desiderabilit, necessariamente richiamando tra l'altro alcuni problemi a cavallo tra psicologia e filosofia morale di cui Berlin si occupato nei saggi raccolti insieme ai Due Concetti nei Cinque Saggi sulla Libert. Per ora, su questo argomento, possiamo ragionevolmente affermare che da parte di Berlin si configuri un'adesione, ancorch magari parziale, alla tesi milliana per cui assicurare all' uomo uno spazio di integrale privatezza, subito a ridosso per della sfera pubblica, sia il modo migliore di garantire lo sviluppo della propria personalit in pienezza ed armonia da parte di ciascuno.

La libert dell'individuo deve avere questo limite: l'individuo non deve creare fastidi agli altri. Ma se evita di molestare gli altri nelle loro attivit, e si limita ad agire secondo le proprie inclinazioni e il proprio giudizio nell'ambito che lo riguarda, le stesse ragioni che provano che l'opinione deve essere libera provano anche che gli si

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deve consentire, senza molestarlo di mettere in pratica le proprie opinioni a proprie spese. 11

Se quindi buono che venga tracciato un confine "di libert" tra un uomo e tutti gli altri, se giusto questo movimento di "atomizzazione", allora dovremo essere disposti ad ammettere che, anche laddove la definizione di un confine possa tradursi in uno strappo tra l'Individuo e il resto, ci sia in ogni caso buono. Proprio per questo possiamo dire che Berlin, come Constant, come J.S. Mill, e come tanti altri, un oppositore di qualsivoglia concezione organicista della societ. Egli ritiene che una societ giustamente organizzata debba essere "Individualista", permettendo all'uomo, se lo desidera, di vivere in maniera del tutto autonoma dal resto, senza essere bper forza considerato come una parte di un tutto pi grande ed ontologicamente pi vero. Si intravede con grande chiarezza una posizione affatto dissimile da quella

rousseauiana della Volont Generale, e fortemente differente rispetto a quella hegeliana dello Stato, la quale poi sappiamo che si riverberer, in tutto o in parte un problema ancora
11

J.S.Mill, Saggio sulla libert, Introduzione di g. Giorello e M. Mondadori, trad. it. di S. Magistretti, Il Saggiatore, Milano, 2009

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dibattuto, nella concezione marxista della societ senza classi. Riguardo a quest'ultima, come riguardo a tutto il complesso concettuale del materialismo storico, Berlin ritiene che si tratti di una posizione fortemente determinista e se ne discosta soprattutto in virt di questa considerazione. Avremo modo di parlarne appena il nostro discorso giunger fino alla trattazione della Libert Positiva. Stabilito che c' un confine, stabilito che l'abbiamo tracciato per proteggerci da un'eventuale ingerenza, cosa in realt stiamo proteggendo? La nostra stessa vita, e questo certo. Ma deve esserci comunque un qualche cosa d'altro da

salvaguardare se la nostra libert non la sola vita, ma anche la possibilit di scegliere cosa fare di essa.

"Il senso in cui io uso il termine libert [comporta] l'assenza di ostacoli alla scelte e alle attivit possibili - l'assenza di ostacoli lungo le strade che una persona pu decidere di percorrere."12

Vediamo come il confine sia posto a protezione dell' individuo e delle scelte possibili che egli vorr operare per

12

I. BERLIN, Introduzione, in I. BERLIN, Libert, Feltrinelli Universale Economica 2010, p. 32

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dispiegare pienamente le disposizioni del suo animo. Questo assetto vede situato l'individuo entro il cerchio delle sue attivit possibili, protetto dal confine che lo divide dagli altri individui, dividendo contemporaneamente loro da lui e loro gli uni dagli altri, secondo la medesima modalit per ognuno. Cosicch risalta in maniera plastica come chiunque riesca a dilatare lo spazio della propria azione possibile erode la libert degli altri, spostando indietro il loro confine ed in avanti il suo. La libert del pesce grande la morte del pesce piccolo. Eppure Berlin dovette impegnarsi a rispondere a quei critici che avevano creduto di individuare nella Libert Negativa una apologia del lasseiz-faire.

"Non avrei mai creduto che oggi ci fosse ancora bisogno di tornare sulla sanguinosa storia dell'individualismo economico e della competizione capitalistica non regolata; viste tuttavia le opinioni bizzarre che mi hanno imputato alcuni critici, forse sarebbe stato saggio da parte mia sottolineare certe parti della mia argomentazione. Avrei dovuto mettere ancora pi in chiaro che i mali del lasseiz-faire non ristretto e dei sistemi sociali e giuridici che lo hanno permesso e incoraggiato hanno generato brutali violazioni della libert "negativa" - dei diritti umani fondamentali (ancora un concetto "negativo", una barriera contro l'oppressione),

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compresi quelli di libert di espressione e associazione, senza i quali [] non [esiste] democrazia"13

Da questo passaggio troviamo confortate due delle nostre ipotesi interpretative. La prima quella poc'anzi sostenuta, della sostanziale differenza, se non opposizione, tra la Libert Negativa e una giustificazione filosofica del liberismo economico. La seconda quella enunciata un po' pi sopra, quando parlavamo dei diritti fondamentali come una delle principali declinazioni di un concetto negativo di libert. il solo diritto positivo che costituisce per noi il veicolo della Libert Negativa, per cos dire, la sua incarnazione. Infatti la Libert Negativa uno di quei concetti che ha bisogno, per stare in piedi, di un robusto puntello nell' empiria. Infatti, le scelte possibili di cui prima parlavamo, perderebbero valore se venissero considerate solo dal punto di vista della vita "spirituale" degli individui. Le possibilit di azione non sono certo i desideri tout-court. Se cos fosse, dissero i critici di Berlin, allora basterebbe fare come il saggio stoico. Egli sopprime i suoi desideri e si applica a non averne di altri, in

13

Op. Cit, pag. 39

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maniera tale che la sua possibilit di agire non venga mai intralciata dagli altri uomini o dalle istituzioni. Egli si inganna, in questo modo, di essere il pi libero tra gli uomini, mentre invece ha solo introiettato i suoi legacci, e li ha per cos dire sussunti nella sua medesima soggettivit. Berlin lo afferma a chiare lettere nella introduzione premessa ai Quattro Saggi sulla Libert, nella quale, appunto, risponde ad un ampio ventaglio di critiche rivoltegli da un certo numero di studiosi di Storia, Filosofia Politica ed Epistemologia. Egli infatti scrive:

"Nella versione originale di Due concetti di libert parlo della libert come assenza di ostacoli al soddisfacimento dei desideri di una persona. Questo probabilmente il senso in cui il termine pi comunemente usato, ma non rappresenta il mio punto di vista; infatti se essere liberi -in senso negativo- consiste semplicemente nel non essere ostacolati da altre persone nel fare tutto ci che si vuole, allora uno dei modi per ottenere questa libert quello di estinguere i propri desideri. [] Se il grado di libert fosse una funzione del soddisfacimento dei desideri, potrei aumentare la libert altrettanto efficacemente eliminando i desideri che soddisfacendoli; potrei rendere gli uomini (me compreso) liberi condizionandoli in modo che perdano quei desideri originari che ho deciso di non soddisfare. Invece di resistere alle pressioni che mi
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schiacciano o di rimuoverle, posso "interiorizzarle". questo il risultato che raggiunge Epitteto quando afferma di essere, da schiavo, pi libero del suo padrone. [] Il senso di libert degli stoici, per quanto sublime, va distinto dalla libert che pu essere mutilata o distrutta da un oppressore, o da una pratica oppressiva istituzionalizzata. [] La libert spirituale, intesa come vittoria morale, deve essere distinta da un senso della libert pi fondamentale, e da un senso pi comune della vittoria: altrimenti c' il pericolo di una confusione nella teoria e nella pratica, di una giustificazione dell'oppressione in nome della stessa libert. [] Il senso in cui io uso il termine libert non comporta soltanto l'assenza di ostacoli alle scelte e alle attivit possibili - l'assenza di ostacoli lungo le strade che una persona pu decidere di percorrere. Una libert di questo tipo non dipende in ultima analisi dal fatto che io desideri o non percorrere una strada, o fino a dove desidero farlo, ma da quante porte mi sono aperte [].14

Non solo la libert dello stoico non la Libert Negativa, ma addirittura il concetto stoico di libert, "per quanto sublime" potrebbe ingenerare molta confusione e addirittura portarci a desiderare l'oppressione in nome della libert. Come questo

14

Op. Cit, pagg 31 e segg.

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possa accadere ci riserviamo di analizzarlo nel prossimo capitolo. Adesso desideriamo ribadire che la nozione di Libert Negativa calata interamente nelle relazioni sociali, e dunque deve avere un contenuto socialmente individuabile:

"Benjamin Constant, che non aveva dimenticato la dittatura giacobina, sosteneva che come minimo si dovevano salvaguardare da ogni invasione arbitraria la libert di religione, d'opinione, d'espressione e di propriet"15.

Di certo appare rilevante il fatto che l'unica enumerazione "per oggetti" dei contenuti possibili della Libert Negativa sia preceduta dal nome di Benjamin Constant. Del resto chiaro che "se questa dottrina relativamente moderna" la libert negativa, nel significato che sembra emergere meglio dalle pagine dei Two Concepts , in certa misura, proprio quella di Constant. Come si avuto modo di dire all'inizio di questo paragrafo, la Libert Negativa precisamente quella libert che concepisce s stessa come un ideale politico, che vuole realizzarsi nelle societ e negli ordinamenti, attraverso la
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I. BERLIN, Due concetti di libert, in I. BERLIN, Libert, Feltrinelli Universale Economica, 2010, pag. 176

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creazione di uno spazio di diritto in cui il singolo sia "sovrano assoluto" relativamente a ci che lo riguarda. Perci non ci pu essere altro titolare della Libert Negativa che non sia l' Individuo. L' individuo come posto all'intersezione tra l' uomo, il quale, secondo quella visione del mondo che si esprime nel concetto di Libert Negativa, provvisto per nascita di diritti inviolabili che semplicemente da quest'ultima gli derivano, e il cittadino, che la traduzione del medesimo concetto dall'ambito naturale a quello del Diritto. La Libert Negativa la stessa libert che, sia pure in tempi e luoghi diversi, stata proclamata a gran voce dai vari cataloghi dei diritti e delle libert fondamentali succedutesi dalla Magna Charta fino alla Dichiarazione Universale del 1948. Vale a dire, dunque, proprio la libert dell' uomo e del cittadino. questo concetto di Libert che permise ai popoli di emanciparsi dall' Antico Regime. proprio in virt della Libert Negativa in questo modo intesa che gli uomini riuscirono a trasformarsi da soggetti-all'-arbitrio dei Re a soggetti-del-diritto.

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Su questo punto non possiamo esimerci dal riportare le parole di J.S. Mill, il quale viene salutato da Berlin come il pi appassionato difensore di questa particolare forma di libert:

"Per impedire che i membri pi deboli della comunit venissero depredati e tormentati da innumerevoli avvoltoi, era indispensabile la presenza di un rapace pi forte degli altri, con l'incarico di tenerli a bada. Ma, poich il re degli avvoltoi sarebbe stato voglioso quanto le minori arpie di depredare il gregge, si rendeva necessario un perpetuo atteggiamento di difesa contro il suo becco e i suoi artigli. Quindi, lo scopo dei cittadini era di porre dei limiti al potere sulla comunit concesso al governante: e questa delimitazione era ci che essi intendevano per libert. Si cercava di conseguirla in due modi: in primo luogo, ottenendo il riconoscimento di certe immunit chiamate libert o diritti politici, la cui violazione da parte del governante sarebbe stata considerata infrazione ai doveri del suo ufficio, e avrebbe giustificato l'opposizione specifica o la ribellione generale. Una seconda modalit, generalmente successiva, era la creazione di vincoli costituzionali per cui il consenso della comunit, o di un qualche organismo che avrebbe dovuto rappresentarne gli interessi, veniva reso condizione necessaria per alcuni degli atti fondamentali dell'esercizio del potere"16.

J.S. Mill, Saggio sulla Libert, Introduzione di g. Giorello e M. Mondadori, trad. it. di S. Magistretti, il Saggiatore Tascabili, 2009, pag. 20

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Se, come abbiamo gi affermato, fu il desiderio di Libert Negativa a sospingere la cultura politica dell'Occidente fuori dalle maglie dell' Ancient Rgime, una volta che ci accadde, molti purtroppo ritennero che oramai, compiuta questa impresa, si poteva riporre questa idea nel "Museo dei Concetti". Si cominci a pensare, infatti, che spazzato via il potere dinastico e creati sistemi pi o meno radicalmente democratici, non ci sarebbe stato pi bisogno di avere una sfera di non-interferenza per proteggersi dall'arbitrio del Sovrano, in quanto il Sovrano (da noi designato) sarebbe stata una mera espressione di noi stessi, e per questo irresistibile per necessit logica. Chi mai, infatti, vorrebbe resistere a s stesso? Anche questo descritto con chiarezza da J.S. Mill:

"Con lo sviluppo della lotta per fare emanare il potere dalla scelta periodica dei governanti, alcuni cominciarono a pensare che si era attribuita troppa importanza alla limitazione del potere in quanto tale, limitazione che a loro giudizio andava invece considerata un'arma contro quei governanti i cui interessi si contrapponessero abitualmente a quelli popolari. Ci che ora si voleva era l'identificazione dei governanti con il popolo, la coincidenza del loro interesse e volont con quelli della

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nazione. Quest'ultima non aveva bisogno di essere protetta dalla propria volont: non vi era da temere che diventasse il tiranno di s stessa. Se i governanti fossero stati effettivamente responsabili verso di essa, e da essa immediatamente amovibili, la nazione avrebbe dovuto permettersi di affidare loro un potere il cui uso sarebbe dipeso dalla sua volont: il potere di governo non sarebbe stato altro che quello della Nazione, concentrato in forma tale da permetterne un efficace esercizio. Questa linea di pensiero [] sembra ancora predominare nel Continente. Coloro che ammettono limiti alle possibilit di azione di un governo, salvo che si tratti di governi che a loro avviso non dovrebbero esistere, sono delle brillanti, isolate eccezioni tra i pensatori politici del Continente."17

Questo vuol dire che con lo sviluppo delle repubbliche e delle democrazie, veniva affermandosi proprio quella concezione rousseauiana della Volont Generale, che tanto J.S. Mill, quanto Constant (cui potremmo riferire le ultime righe del brano citato), tanto Berlin (seppure con molte e articolate nuances) considerano invece oppressiva. Continuando a leggere in J.S. Mill troviamo espressa questa condanna della Volont Generale:

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Op. Cit. pag 21

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"[] la volont del popolo significa, in termini pratici, la volont della parte di popolo pi numerosa e attiva - la maggioranza, o coloro che riescono a farsi accettare come tale; di conseguenza il popolo pu desiderare opprimere una propria parte, e le precauzioni contro ci sono altrettanto necessarie quanto quelle contro ogni altro abuso del potere".18

Cos'altro se non questo concetto di "precauzione pro libertate" voleva ribadire Constant quando parlava di libert dei moderni? La libert che si addice ai moderni precisamente quella libert che si radica non solo in una visione del mondo latu sensu liberale e giusnaturalistica, ma anche in una visione dell'uomo, pensato non come mero "Citoyen", frazione della pubblica volont, ma anche come portatore di una volont tutta personale; non gi esclusivamente situato nella politica e nel diritto, ma anche nel privato, sua dimensione originaria. Un uomo cos concepito sicuramente il titolare dei diritti civili e politici, attore nella comunit, ma lo solo in quanto pu anche curare i propri affetti, o talenti, e in generale le disposizioni del suo animo. E cio solo se non viene reciso il cordone che lo lega al suo particulare. Si pu anzi
18

Op. cit. pag 22

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ragionevolmente affermare che senza che venga rispettata la componente privata dell' uomo, si svuota di significato la sua stessa libert politica, la quale si origina altres proprio nel tentativo di tradurre nelle regole della vita associata lo status naturale e morale della persona libera. Saremo allora di fronte ad un fallimento della libert, oppure, per dirla con Berlin, ad una carenza di libert politica, quando pretenderemo che l'uomo sia libero solo in quanto pu determinare in prima persona l'indirizzo della comunit politica, e cio come elemento costitutivo della Volont Generale (invero per solo quando si trova in accordo con essa), dimenticando di riconoscergli la possibilit di vivere la sua dimensione privata in piena autonomia e di fornirgli l'opportunit di astrarsi dalla Politica, finanche di essere completamente disinteressato ad essa, e tutto votato, invece, a quelli, tra i suoi affari, che non chiamano in causa la vita dello Stato. Quest'ultima possibilit presuppone appunto, da parte dello Stato, la predisposizione, a beneficio dell' individuo, di una area di non-interferenza. La genesi di questo concetto Diogene di Sinope come ce lo racconta Plutarco nel De Exilio: quando lo Stato, incarnato

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in Alessandro il Grande, gli si para davanti e gli chiede cosa pu fare in suo favore, egli risponde: "scostati dal mio raggio di sole". Alessandro, dal canto suo, va via senza reagire, incarnando a sua volta la liberalit dello Stato. Del tutto differente da questa l'opinione di Rousseau. Possiamo rendercene conto leggendo questo passo:

"Appena il servizio pubblico cessa di essere la principale occupazione dei Cittadini e appena preferiscono prestarlo con il loro denaro anzich con la loro persona, lo Stato gi vicino alla sua rovina. Bisogna andare a combattere? Pagano delle truppe e rimangono a casa. Bisogna partecipare al Consiglio? Eleggono dei Deputati e rimangono a casa. A forza di pigrizia e di denaro arrivano ad avere alla fine dei soldati per rendere schiava la patria e dei rappresentanti per venderla. Sono la preoccupazione per il commercio e per le arti, l'avido interesse per il guadagno, la mollezza e l'amore della vita agiata, che portano a sostituire con il denaro i servizi personali.19"

Usando

una

metafora

potremmo

scorgere

l'uomo

esclusivamente pubblico nell Socrate del Critone, allorquando egli non vuole fuggire dalla prigione per non recare offesa alle

19

J.J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, BUR Classici del Pensiero, 2005, pag.150

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leggi della polis che fino a quel momento l'avevano accudito, soddisfatto e tenuto come un figlio. Nella prima immagine, che quella della Libert Negativa, vediamo all'opera non solo una semplice idea politica, ma anche una posizione ontologica che considera, contro Rousseau, contro Hegel, contro Marx, contro i Totalitarismi, la singolarit, la privatezza e la particolarit come i momenti fondativi della vita associata, in posizione sovraordinata nei confronti dei Sovrani, della Volont Generale, dello Stato e della Classe, rispetto ai quali assurgono ad un grado di esistenza pi pieno e cogente. La Libert Negativa, in questo senso, filosoficamente un ontologia del particolare, la quale comporta, nel dominio della politica, l'affermazione della necessit di un'area che sia, diciamolo senza mezzi termini, di non-governo.

Resta da comprendere perch questa visione del mondo latu sensu liberal-giusnaturalista assuma come valore in s la Libert Negativa, intesa come uno spazio di libert individuale garantito dalle Leggi ma da esse non governato.

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Abbiamo gi accennato come Berlin metta in evidenza una delle possibili risposte "assiologiche" (nella misura in cui chiamano in causa una attribuzione di valore nell'ambito della cosiddetta "morale pubblica") che si possono dare a quest'ultima questione: la risposta di John Stuart Mill. Per la verit Berlin dedica un intero saggio, anch'esso raccolto nei Four Essays alla trattazione delle peculiari ragioni per cui Mill fu un appassionato sostenitore della libert intesa come sopra si pi volte spiegato. In effetti, che J.S. Mill lo sia stato cosa di cui non dubitare. Egli, nel suo Saggio sulla Libert, argoment che necessario che all' individuo venga lasciata dalla societ un'area di non-interferenza in cui n la legge n l'opinione possano intromettersi. Infatti, poco sopra, abbiamo visto come egli credesse che questa idea avesse sconfitto le monarchie assolute, e che andasse trasportata, senza punto modificarla, nelle forme di Stato e di governo democratiche. Egli enuncia, sempre nel medesimo saggio, anche un criterio generalissimo che deve guidare l'effettiva applicazione di tale principio. Per questo originalissimo interprete della tradizione utilitarista definire un criterio di questo tipo volle dire

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soprattutto identificare il "giusto limite" tra il privato e l'autorit. Leggiamo nel IV capitolo del "Saggio sulla Libert":

"Qual allora il giusto limite alla sovranit dell'individuo su s stesso? Dove comincia l'autorit della societ? Quanto della vita umana spetta all'individualit e quanto alla societ? Ciascuna ricever la parte che le spetta se le viene attribuito ci che la riguarda pi direttamente. All'individualit dovrebbe appartenere la sfera che interessa principalmente l'individuo, alla societ, quella che interessa principalmente la societ. Anche se la societ non si fonda su un contratto, e sarebbe inutile inventarne uno per dedurne degli obblighi sociali, chiunque riceva la sua protezione deve ripagare il beneficio, e il fatto di vivere in societ rende indispensabile che ciascuno sia obbligato ad osservare una certa linea di condotta nei confronti degli altri. Questa condotta consiste, in primo luogo nel non danneggiare gli interessi reciproci, o meglio certi interessi che, per esplicita disposizione di legge o per tacito accordo, dovrebbero essere considerati diritti; e, secondo, nel sostenere la propria parte (da determinarsi in base a principi equi) di fatiche e sacrifici necessari per difendere la societ o i suoi membri da danni e molestie. La societ ha il diritto di far valere a tutti i costi queste condizioni nei confronti di coloro che tentano di non adempiervi. N questo tutto ci che lo societ pu fare. Gli atti di un individuo possono arrecare danno ad altri o non tenere in giusta considerazione il loro benessere, senza giungere al punto di

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violare alcuno dei loro diritti costituiti. In questo caso il colpevole pu essere giustamente condannato dall'opinione, ma non dalla legge. Non appena qualsiasi aspetto della condotta di un individuo diventa pregiudizievole degli interessi altrui, ricade sotto la giurisdizione della societ, e ci si pu chiedere se questa interferenza giovi o meno al benessere generale. Ma tale questione non si pone in alcun modo quando la condotta di un individuo coinvolge soltanto i suoi interessi, o coinvolge quelli di altre persone consenziente (tutti essendo maggiorenni e dotati di normali facolt mentali). In tutti questi casi, vi dovrebbe essere piena libert, legale e sociale, di comprendere l'atto e subirne le conseguenze."20

Vale a dire allora, che secondo J.S. Mill, quando l'individuo non pretenda di spostare in avanti il suo confine di libert sancito per legge, erodendo lo spazio della libert altrui, in maniera particolare nel momento in cui questi ultimi non siano in accordo con lui, egli deve potere dispiegare la sua azione nella maniera pi libera possibile, senza incorrere nelle ire dell' opinione o dell' autorit. E fino a questo punto tra Berlin e J.S. Mill non troviamo un sostanziale disaccordo.

J.S. MILL, Saggio Sulla Libert, Introduzione di g. Giorello e M. Mondadori, trad. it. di S. Magistretti, il Saggiatore tascabili, 2009, pag. 93

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Ma a noi prima interessava farci un'idea del perch della libert intesa come non-interferenza. C' da dire che su questo punto tra i due filosofi si possono evidenziare alcune divergenze, e non mancheremo di farlo nel prosieguo di questa trattazione. Cominceremo con la esposizione della

giustificazione milliana alla non-interferenza, cos come colta da Berlin nei Due concetti e pi compiutamente nel saggio esclusivamente dedicato alla filosofia di J.S. Mill. Scrive Berlin nei Due Concetti:
"Perch per Mill la protezione della libert individuale ero cos sacra? Nel suo famoso saggio egli afferma che se non si permette all'individuo di vivere come preferisce "la parte [della sua condotta] che riguarda solo s stesso", la civilt non potr progredire, la verit non verr alla luce per mancanza di un libero mercato delle idee e non vi sar spazio per la spontaneit, l'originalit, il genio, l'energia mentale, il coraggio morale. La societ sar schiacciata dal peso della "mediocrit collettiva"21.

Ecco una mirabile sinossi del terzo capitolo del saggio milliano Sulla Libert. Il problema che Berlin non sembra essere interamente d'accordo. nostra opinione che egli ritenga l'idea della spontaneit, della originalit e del genio

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I. BERLIN, Due concetti di libert, in I. BERLIN, Libert, Feltrinelli universale economica, 2010, pag. 177

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incapace di attingere la vera essenza della Libert Negativa. E infatti si dedica ad una confutazione, in alcuni luoghi anche discutibile, chiamando in causa elementi extra-filosofici. Secondo quanto Berlin scrive nel saggio su John Stuart Mill e gli scopi dell'esistenza, la teoria milliana della libert sarebbe stata determinata da fattori biografici. Dacch James Mill educ il figlio in maniera tale da sviluppare solo le sue disposizioni intellettuali e soffocare invece la sua spontaneit ed individualit, egli, una volta cresciuto, sarebbe diventato il primo paladino proprio di tali valori. Al di l della validit ermeneutica di un tale approccio "biografista", capiamo che Berlin trova motivazioni un po' diverse per la necessit del confine. Ci saranno chiare, si spera, durante la nostra analisi del concetto di Libert Positiva.

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4. Libert Positiva
Abbiamo detto, alla fine del capitolo precedente, della differenza che corre tra Berlin e J.S. Mill in relazione alla giustificazione filosofica della Libert Negativa. Sembra che Berlin infatti non consideri sufficientemente pregnante una posizione, come quella di Mill, che forse gli sembra troppo "esteriore" ed "estetizzante". Mill, ricordiamolo, credeva che assicurare uno spazio di non-governo agli individui servisse sopra ogni cosa ad assicurare la variet delle intelligenze e il dispiegamento totale della variopinta complessit umana e del genio; ma tutto questo era subordinato alla ricerca di una "verit sociale" della quale informare la vita associata, il costume, la cultura. Il positivista inglese, per, era giunto ad una simile posizione occupandosi semplicemente del problema della libert come essa si pu realizzare nell'interazione tra i governanti e i governati, oppure nella dialettica tra gli stili di vita individuali e l'Opinione dominante. Egli scrive, nell'incipit del saggio "Sulla Libert":
"Il soggetto di questo saggio non la cosiddetta libert della volont, cos sfortunatamente contrapposta alla dottrina filosofica della necessit, ma la

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libert civile, o sociale, concernente la natura ed i limiti del potere che pu essere legittimamente esercitato dalla societ sull'individuo"1

Per cui sappiamo che J.S. Mill consider la "libert della volont" come qualcosa d'altro rispetto alla libert sociale. Berlin, invece, ritiene che entrambe rientrino a pieno titolo nel discorso sulla libert politica, e siano, in certa misura, legate l'una all'altra a doppio filo. Dalla lettura dei paragrafi finali nell'ultimo scritto berliniano, intitolato, come gi abbiamo avuto modo di ricordare, Il mio itinerario intellettuale, otteniamo di sapere che lo studioso lettone considerava che i saggi da lui dedicati al problema della Libert fossero essenzialmente due: il primo, che noi abbiamo gi ampiamente imparato a conoscere, intitolato Due Concetti di Libert, nel quale venivano esaminate le due nozioni di Libert che sono l'oggetto anche di questa trattazione; il secondo,

"L'inevitabilit storica", incentrato sul rapporto tra libert e determinismo. nostra opinione che i due saggi siano tra loro complementari, come lo stesso loro autore lascia intendere, trattando l'uno e l'altro in stretta continuit nell'operetta cui affid la ricostruzione retrospettiva delle sue posizioni filosofiche. Riteniamo inoltre che l'inclusione, da parte di Berlin, del concetto di libert della volont, o (al negativo) dell'opzione anti-

J.S.MILL, Saggio sulla Libert, il Saggiatore Tascabili, 2009, pag 19

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determinista, nell'alveo della discussione sulla libert politica sia uno degli elementi che maggiormente caratterizza la filosofia berliniana della libert, e, insieme al pregiudizio verso la "ricerca della verit", la rende originale rispetto a tutta la corrente liberale classica, cui pure si ispira. Cercheremo tra l'altro di dimostrare come proprio la polemica anti-determinista e "anti-veritativa" forniscano un potente arsenale ermeneutico per smascherare quelle perversioni della libert e mutilazioni di essa che potrebbero annidarsi dietro la nozione di Libert Positiva (come in effetti avvenuto nella storia). Questa Libert non sembra essere, altres, solo quella "cattiva". Infatti, esiste nella valutazione berliniana, un momento in cui Libert Negativa e Libert Positiva vengono a trovarsi tra di loro come le due facce di una medaglia, come accennavamo nel precedente capitolo. Tuttavia questo ci appare quasi come un "attimo fuggente", prima di essere oppresso dal peso di quelle anomalie della Libert Positiva che furono la scintilla dei Totalitarismi. Sulla scorta di queste nostre deduzioni (senza pretesa alcuna di esattezza) divideremo il capitolo in due paragrafi principali. Il primo sar dedicato all'analisi di quelle fortunate circostanze che potrebbero permettere che tra i due concetti di libert si instauri, per cos dire, un circolo virtuoso. Il secondo servir per rendere conto,
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quanto meglio ci possibile, (nuovamente) di quelle visioni del mondo che hanno sovvertito il concetto di Libert (Positiva) fino a fargli significare il suo esatto contrario: dispotismo e coercizione.

4.1 Il circolo virtuoso

Sembra che Berlin ritenga che l'idea di Libert Positiva sia contenuta in nuce nella stessa affermazione, da parte dell' uomo, della essenza razionale delle sue scelte e dei suoi comportamenti:

"Il senso "positivo" della parola "libert" deriva dal desiderio dell'individuo di
essere padrone di s stesso. Voglio che la mia vita e le mie decisioni dipendano da me stesso e non da forze esterne, di nessun tipo. Voglio essere lo strumento dei miei atti di volont e non di quelli altrui. Voglio essere un soggetto, non un oggetto; voglio essere mosso da ragioni, da propositi consapevoli che siano i miei e non da cause che agiscono su di me, per cos dire, dall'esterno. Voglio essere qualcuno, non nessuno, voglio essere un agente, uno che decide, non uno per cui decidono altri; voglio dirigermi da me, e non essere uno su cui la natura esterna e gli altri uomini operano come se fossi una cosa, un animale o uno schiavo incapace di assumermi un ruolo umano, di concepire degli obiettivi e delle politiche solo miei e di portarli a termine. questo, almeno in parte, ci che intendo quando dico di essere razionale e che la mia ragione a
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fare di me un essere umano, ben distinto dal resto del mondo. Soprattutto, io voglio essere consapevole di me stesso come essere che pensa, vuole, agisce ed responsabile delle sue scelte e capace di spiegarle facendo riferimento alle proprie idee e finalit. Mi sento libero nella misura in cui credo vere tutte queste cose, e schiavo nella misura in cui sono costretto a prendere atto che vere non sono."2

Nel momento in cui un uomo riconosce il suo volersi razionalmente egli ha diritto all'autodeterminazione. Tanto pi logicamente allora potremmo, data questa condizione, riconoscergli uno spazio di autodeterminazione indipendentemente da qualsiasi altra

circostanza esterna (politica o di altra natura), e dunque attivare quel confine di cui si discusso al terzo capitolo. In altre parole l'essere razionale della scelta e della volizione a costituire la giustificazione dell'esistenza di un'area di non-governo. Finch io perseguo un fine razionale o abbraccio un valore razionale devo essere senz'altro lasciato libero di fare. Cosicch, in Berlin, la Libert Positiva, presa, per cos dire, al suo "grado zero", e cio intesa come libert e razionalit della scelta autonoma, costituisce la stessa ragione necessaria e sufficiente per la Libert Negativa. Dice Berlin:

I. BERLIN, Due concetti di libert, in I. BERLIN, Libert, Feltrinelli Universale Economica, 2010, pag. 181

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"La libert che consiste nell'essere padroni di s stessi e quella che consiste nel non essere impediti da nessun altro nelle proprie scelte possono sembrare, a prima vista, due concetti logicamente abbastanza vicini - nient'altro che due modi, uno positivo e l'altro negativo, di dire sostanzialmente la stessa cosa."3

Da qui potremmo quasi coniare un motto che compendi tutta questa situazione: "Fin dove voglio auto-determinarmi, vado lasciato padrone di me stesso", contemperando il tutto con la posizione milliana per cui fin dove l'individuo decide solo di s stesso deve essere lasciato libero. In questo modo possibile collegare la Libert Negativa e quella Positiva in un circolo virtuoso. A riprova di queste nostre deduzioni produrremo un passo, tatto da Due Concetti, nel quale ci sembra Berlin abbia condensato la sua posizione in merito all'argomento. Diciamo ci sembra perch, nei Due Concetti come negli altri saggi, Berlin riporta le opinioni di una congerie di pensatori, giustapponendo epoche e tendenze, e da questo intricato insieme egli riesce, nel suo lunghissimo periodare, a far risaltare per speculum et in aenigmata il suo pensiero.

"[] se l'essenza degli uomini quella di essere entit autonome, creatori di valori e di fini in s la cui autorit ultima consiste precisamente nel fatto di

Op. Cit, pag 182

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essere voluti liberamente, allora non c' nulla di peggio che trattarli come se non avessero autonomia e fossero invece oggetti naturali su cui agiscono influenze causali, creature alla merc di stimoli esterni, le cui scelte possono essere manipolate da chi li governa, vuoi con la minaccia della forza, vuoi con l'offerta di ricompense. Trattare in questo modo gli uomini vuol dire trattarli come se non potessero determinare se stessi."4

In Berlin il "volere se stesso" dell' uomo razionale esattamente l'elemento che, trasportato nell'ambito della vita in societ, si traduce nella necessit di uno spazio di Libert Negativa. Se esiste un giusnaturalismo specificamente Berliniano, esso consiste in questa continuit tra il e l'habeas corpus. Potremmo essere portati spontaneamente a concludere che dove viene meno quel minimo di ragione che necessaria alla convivenza civile, quando l'individuo non assolutamente pi capace di situare se stesso in un orizzonte politico, allora si pu e si deve fare ricorso alla coercizione. Se qualcuno, in preda ad un raptus omicida, uccide alcuni dei suoi simili, allora giusto ridurre ai minimi termini quell'area di libert di cui costui godeva prima di compiere il suo gesto irrazionale. Berlin ammette che la noninterferenza possa subire alcune limitazioni in favore di altri fini ultimi che sono importanti esattamente quanto la libert. Nel caso
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Op. Cit, pag 187

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poco prima ipotizzato potrebbe trattarsi della sicurezza, e lo stesso potrebbe valere per la giustizia e l'eguaglianza. Tuttavia il filosofo di Oxford ci ammonisce contro l'abitudine a considerare questi, che sono sacrifici di spazi di libert, come accrescimenti di un ipotetico "ammontare complessivo di libert" che ricorderebbe molto, con le dovute sfumature, le teorie degli utilitaristi:

"La libert non l'unico fine dell'uomo. Posso dire, come il critico russo Belinskij, che se altri devono esserne privati - se i miei fratelli devono rimanere nello povert, nello squallore e in catene - allora non la voglio per me, la rifiuto senza esitare e preferisco infinitamente condividere il destino dei miei fratelli. Ma non si ottiene niente confondendo i termini della questione. Per evitare una disuguaglianza sfacciata o una miseria diffusa sono pronto a sacrificare parte della mia libert o addirittura tutta, e posso anche farlo volentieri e liberamente: ma la libert a cui sto rinunciando in nome della giustizia o dell'uguaglianza o per amore dei miei simili. [] un sacrificio non un aumento di ci che viene sacrificato, cio della libert, per grande che sia la sua necessit morale []. Ogni cosa e quello che : la libert libert e non uguaglianza, imparzialit, giustizia, cultura, felicit umana o una coscienza tranquilla.5

Op. Cit. pag 175

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Tra la libert e gli altri valori di cui si informano le societ occidentali, come vediamo, esiste un trade-off. O si sceglie l'una, o uno degli altri. Di conseguenza

[] solo una confusione di valori dire che, anche se forse la mia libert "liberale" e individuale stata spazzata via, qualche altra libert - "sociale" o "economica" - invece aumentata. Tuttavia resta sempre vero che a volte la libert di alcuni deve essere limitata per assicurare quella degli altri."6

Per Berlin un pensiero siffatto, che vorrebbe diminuita una libert "individuale" in favore di un' accresciuta "libert collettiva", "confusionario" perch contraddice uno dei capisaldi della sua filosofia. L'autore lettone infatti famoso per la sua teoria "pluralista". Ebbene, uno degli architravi del pensiero "pluralista" berlininano, che i fini e i valori ultimi, considerati "buoni" dagli uomini, possono essere l'un l'altro antitetici.7 In tutta la filosofia occidentale, da Platone in poi, ritroviamo invece l'idea che ogni

Op. Cit pag 176 Come fa notare G. Cacciatore nel saggio L'etica della libert tra relativismo e pluralismo, raccolto nel volume Logica, Ontologia ed Etica, studi in onore di Raffaele Ciafardone, (Franco Angeli, Milano, 2011) purtroppo molti dei saggi sul pluralismo editi negli ultimi anni non citano Berlin. Nondimeno ricorderemo, tra questi, quello di Seyla Benhabib, che ha innescato una serie di fruttuose indagini e discussioni intitolato La rivendicazione dell'identit culturale. Eguaglianza e diversit nell'era globale (Il Mulino, Bologna, 2005), e quello di Charles Taylor, Radici dell'Io. La costruzione dell'identit moderna, (Feltrinelli, Milano, 1993). Relativamente al pluralismo specificamente berliniano invece si vedano: C. Taylor, Cosa c' che non va nella libert negativa, ora in I. Carter e M. Ricciardi (a cura di), L'idea di libert, Feltrinelli, Milano, 1996, pp. 75-99; M. Barberis, presentazione di G. Crowder, Isaiah Berlin, Il Mulino, Bologna, 2007, pag. 7; P. Badillo O' Farrell (a cura di) Pluralismo, Tolerancia, Multiculturalismo. Reflexiones para un mundo plural, U.I.A.-Akal, Madrid 2003, in special modo il contributo dello stesso Badillo O' Farrell (?Pluralismus versus Multiculturalismus?, ivi pp. 33-36)
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cosa che sia "vera" e "buona" sia, almeno in parte, identica alle altre cose "vere" e "buone". Per fare un esempio che rimanga nel nostro campo di indagine diremo che molti pensatori politici ritengono che ci sia una ampia intersezione tra la libert e la giustizia, quando non credono che la "vera" libert e la "vera" giustizia siano del tutto identiche. Potremmo citare su questo punto proprio Rousseau, gi indicato, in questa trattazione, come un evidente esempio di teorico politico che segue un orientamento "monista":
"Se si cerca in che cosa consiste precisamente il pi grande di tutti i beni, quello che deve essere l'obiettivo di ogni sistema di legislazione, si trover che si riduce a questi due oggetti principali: la libert e l'uguaglianza. La libert, poich ogni dipendenza particolare altrettanta forza tolta al corpo dello Stato; l'uguaglianza, poich senza di essa la libert non pu sussistere."8

4.2 Liberta, Verit e Monismo


Per J.S. Mill la Libert Negativa, che egli identifica con la "libert sociale" tout-court significa essenzialmente libert di

8 9

J.J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, Bur Classici del Pensiero, 2005, pag.104 I. BERLIN, Due concetti di Libert in I. BERLIN, Libert, Feltrinelli Universale Economica, pag 217

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esprimersi, in maniera tale che la societ possa arricchirsi dal confronto tra diverse opinioni, nel costume come nella politica. Egli riteneva precipuamente che l'Individuo dovesse prima di tutto essere lasciato libero nel manifestare la propria opinione e seguire lo stile di vita che ha scelto. Concedere il diritto di esprimersi anche alle opinioni erronee serve a fare emergere dialogicamente la verit ed il bene.

"Se tutti gli uomini, meno uno, avessero la stessa opinione, non avrebbero pi diritto di far tacere quell'unico individuo di quanto ne avrebbe lui di far tacere, avendone il potere, l'umanit. Se l'opinione fosse un bene privato, privo di valore eccetto che per il suo proprietario, se essere ostacolati nel suo godimento fosse semplicemente un danno privato, il numero delle persone che lo subiscono farebbe una certa differenza. Ma impedire l'espressione di un'opinione un crimine particolare, perch significa derubare la razza umana , i posteri altrettanto che i vivi, coloro che dall'opinione dissentono ancor pi di chi la condivide: se l'opinione giusta, sono privati dell'opportunit di passare dall'errore alla verit; se sbagliata, perdono un beneficio quasi altrettanto grande, la percezione pi chiara e viva della verit, fatta risaltare dal contrasto con l'errore"10.

Berlin non avrebbe mai potuto condividere in pieno un simile ragionamento. Non che lo avversi in toto. Anzi, lo ritiene valido
J.S. MILL, Saggio sulla libert, prefazione di G. Giorello e M. Mondadori, trad. it di S. Magistretti, Il Saggiatore, Milano, 2009, pag. 35
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finch esso volto ad assicurare uno spazio di libert agli individui. Ma ci su cui Berlin non potrebbe consentire il fatto che, in ultima analisi, la giustificazione milliana alla libert politica sia basata in sostanza sulla necessit per l'individuo di essere messo in condizione di ricercare liberamente la verit. Abbiamo appena scoperto altres che uno dei capisaldi nel pensiero berliniano una sorta di scetticismo verso la verit, soprattutto quando essa viene considerata come assoluta e indubitabile. Egli riteneva anzi che l'illusione di una "ricerca della verit" avesse pregiudicato gran parte della filosofia occidentale da Platone fino alle correnti positiviste e materialiste del XIX e XX secolo, sottraendole una parte del suo inestimabile valore. Tra i tanti scritti a cui Berlin affid queste sue meditazioni di storia della filosofia, ancora una volta Il mio itinerario intellettuale ad offrirci una sintesi esaustiva e sufficientemente precisa.

"Abbagliati dagli spettacolari successi delle scienze naturali nel loro secolo e in quelli che l'avevano preceduto, uomini come Helvtius, d'Holbach, d'Alembert e Condillac, e propagandisti di genio come Voltaire e Rousseau, si convinsero che una volta scoperto il metodo giusto sarebbe stato possibile portare alla luce la verit essenziale nel campo della vita sociale, politica, morale e personale quel tipo di verit che aveva ottenuto cos grandi trionfi nelle indagini rivolte al mondo esterno Gli Enciclopedisti credevano nel metodo scientifico in quanto
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unica chiave per accedere a questa conoscenza; Rousseau e altri credevano in verit eterne scoperte mediante gli strumenti dell'introspezione Ma quali che fossero le loro divergenze, essi appartenevano a una generazione convinta di essere sulla via che conduceva alla soluzione di tutti i problemi che avevano afflitto l'umanit fin dai suoi inizi. Al di sotto di quest'idea stava una tesi pi ampia: ossia che tutte le vere domande debbono ammettere una e una sola risposta vera, tutte le altre essendo false, altrimenti le domande non possono essere autentiche domande. [] e una volta riunite insieme tutte le risposte giuste alle pi profonde domande morali, sociali e politiche, che occupano (o dovrebbero occupare) l'umanit, il risultato costituir la soluzione finale di tutti i problemi dell'esistenza. [] Questo credo non era certamente limitato ai philosophes dell'illuminismo, bench i metodi raccomandati da altri pensatori differiscano. Platone credeva che la via alla verit fosse la matematica; Aristotele che forse era la biologia; gli ebrei e i cristiani cercarono le risposte nei libri sacri []. Ma ci su cui tutti convenivano, come d'altronde i loro successori dopo la Rivoluzione Francese [...] era che le leggi dello sviluppo storico potevano essere scoperte (e anzi erano ormai state scoperte), e che le risposte alle domande riguardanti la morale, la vita sociale, l'organizzazione politica, i rapporti personali - erano tutte suscettibili di essere ridotte a sistema alla luce delle verit scoperte mediante i giusti metodi, quali che questi potessero essere. Questa una philosophia perennis []. la credenza centrale su cui il pensiero umano ha poggiato per due millenni. [] Non so perch io abbia

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sempre guardato con scetticismo a questa credenza pressoch universale, ma cos. 11

Sappiamo gi che Berlin diede a questo atteggiamento fondamentale della filosofia occidentale, cos come da lui colto nelle pagine richiamate immediatamente sopra, il nome di monismo. Il monismo, nella filosofia di Berlin , assieme al determinismo, come si detto, il principale agente filosofico-culturale da cui scaturisce la frattura tra i due concetti di libert e dunque il tradimento della libert da parte di coloro che vollero, e vogliono, affermarne esclusivamente il senso positivo. dall'azione di queste due Weltanschauungen, appunto quella monista e quella

determinista che si originano quelle fallaci "attribuzioni di significato" che riducono la libert al suo contrario. nell'orizzonte culturale di queste due "forze" filosofiche che tra Libert Positiva e Negativa viene a determinarsi un "circolo vizioso".

4.3 Il circolo vizioso


Com' possibile, conviene chiedersi, che due accezioni dello stesso lemma diventino due concetti distinti, e arrivino persino a contraddirsi l'uno con l'altro? Quando diciamo "non possibile",
11

I. Berlin, Il mio itinerario intellettuale, in I. Berlin, Il potere delle idee, a cura di H. Hardy, trad. it di G. Ferrara degli Uberti, Adelphi, Milano , 2003, pagg. 28-30

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invero non vogliamo stabilire se ci sia una condizione di possibilit, n quale essa sia. La possibilit per Berlin esiste nella natura delle cose: fini e valori ultimi degli esseri umani possono tramutarsi in visioni del mondo tra di loro antitetiche. Vogliamo solo scoprire la maniera in cui una di queste tante opposizioni viene a determinarsi. Berlin lo fa con la libert perch gli pare che tutto attorno a lui (la politica di potenza dei due Blocchi, la corsa agli armamenti atomici, spionaggi e controspionaggi, propagande e agitazioni) si alimenti dalla opposizione tra due modi di pensarsi liberi. Se per Marx la storia storia di lotte di classe, che si risolvono nella finale liberazione dell'uomo, per Berlin la storia politica dalla caduta dell'antico regime fino a quella del muro invece la storia della lotta tra i due concetti di libert.

"[] i nostri atteggiamenti e le nostre attivit rimarranno oscuri a noi stessi se non capiremo le questioni dominanti del nostro mondo, la pi importante delle quali la guerra aperta che si sta combattendo tra due sistemi di idee che danno risposte diverse e contrastanti a quello che da molto tempo il problema centrale della politica: l'ubbidienza e la coercizione.12"

Qual , in senso certamente logico e non cronologico, il primo atto di questo conflitto? Per Berlin esso consiste nella divisione che
12

I. BERLIN, Due concetti di Libert, in I. BERLIN, Libert, Feltrinelli universale economica, 2010, pag, 171

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si verifica nell' Io psicologico quando si crede che esiste un io inferiore, bestiale e cupido, e un io superiore, scopritore delle vere risposte. doveroso dire che, per il nostro autore, questa spaccatura si determina in maniera consequenziale ad un'interpretazione della verit come "sovranit di s stessi" ed autodeterminazione razionale.

"Possiamo chiarire questo punto considerando la forza d'urto autonoma che ha acquisito la metafora dell'essere padroni di se stessi, che inizialmente era, forse, abbastanza inoffensiva. "Io sono padrone di me stesso", "Io non sono schiavo di nessuno"; ma non potrei essere (come dicono, tendenzialmente, i platonici e gli hegeliani) schiavo della natura? O delle mie passioni "sfrenate"? Queste non sono forse tante specie diverse -alcune politiche o giuridiche, altre morali o spirituali - di uno stesso genere "schiavo"? E gli uomini non hanno forse provato l'esperienza di liberarsi dalla schiavit spirituale o dalla schiavit della natura? E non hanno forse colto, nel corso di questa esperienza, l'esistenza, da un lato, di un io che domina e, dall'altro, di qualcosa dentro di loro che portato a sottomettersi? Questo io che domina viene di volta in volta identificato con la ragione, con la propria 'natura pi alta', con quell'io che calcola e cerca ci che a lungo andare lo soddisfer, con il proprio io 'vero', 'ideale' o 'autonomo', con la 'parte migliore' di se stessi; e a tutto ci si

contrappone poi l'impulso irrazionale, il desiderio incontrollato, la natura 'pi bassa', la ricerca dei piaceri immediati, l'io 'empirico' 'eteronomo', in balia di qualunque ventata di desiderio e di passione, che ha bisogno di essere

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disciplinato rigorosamente, se mai vuole ergersi in tutta la statura della sua reale natura."13

Questa dottrina in apparenza sembra abbastanza lontana dall'ambito della filosofia politica. Appare piuttosto una teoria etica, o finanche religiosa. Invero si pu ben essere d'accordo con Berlin nell'affermare che essa si riverberata sulle idee politiche pi di quanto si possa immaginare. In primo luogo, infatti, essa d origine a quella "opzione stoica" gi menzionata e che Berlin battezza, senza tanti orpelli, la "ritirata nella cittadella interiore", ad evidenziare la fuga dalla polis empirica. Infatti, quando mi sono affrancato dalla schiavit della natura, ho posto sotto rigido controllo i miei insaziabili appetiti e ho trovato la mia serenit in me stesso, allora pu darsi questa situazione:

"Il tiranno minaccia di distruggere la mia propriet, di imprigionarmi, di esiliare o mandare a morte coloro che amo; ma io non mi sento pi attaccato alla propriet, non mi curo pi di essere in prigione o no, e se ho ucciso dentro di me gli affetti naturali egli non pu piegarmi al suo volere, perch tutto ci che rimane di me non pi soggetto a paure o a desideri empirici."14

13 14

Op. Cit, pag 182 Op. Cit. pag 185

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Mentre io mi credo libero da ogni cosa, e unico padrone di me stesso, il tiranno che l fuori fa di me ci che vuole. Questa, secondo Berlin, non affatto libert. Ma qual il vero significato di questo "vedersi doppi" di cui poco sopra abbiamo scritto? A ben guardare ci pare che il nostro "io basso" tale perch non riuscito ancora ad impadronirsi delle verit ultime, invece quello "alto" lo proprio in quanto partecipa del vero e del bene. Ritroviamo qui in azione il "monismo". Siccome le risposte vere alle vere domande esistono, e sono tutte collegate tra loro, chi le scopre vive razionalmente, chi non ha questa capacit o questa fortuna, ricade nella animalit. In questo quadro, al monismo si combina immediatamente una certa dose di determinismo, concorrendo con esso a formare un concetto fortunatissimo nella filosofia occidentale da Socrate in poi: l'intellettualismo etico, la concezione per la quale l'uomo pecca per ignoranza15. Chiunque sia pervenuto alla realizzazione della sua razionalit sar logicamente necessitato a comportarsi secondo ragione. Che fare degli altri? purtroppo assai probabile che

Intendiamo con intellettualismo etico la teoria, in primo luogo socratica e platonica, ma trasversale a tutta la storia della morale, che vede nella conoscenza del bene la ragione necessaria e sufficiente dell'agire buono. Possiamo ben ipotizzare che Berlin, nella critica da lui mossa a tali argomenti, raccolga l'eredit di chi, come lui e forse pi radicalmente di lui si oppose ad essi. Si pensi almeno, anche nell'ambito dei richiami berliniani al pensiero romantico, all'opera di Nietzsche.Innumerevoli sono, nell'opera di questi,i luoghi in cui possibile rinvenire una sferzante critica verso ci che da noi stato indicato come intellettualismo etico; a riguardo si veda almeno l'aforisma 305 de La gaia scienza (Adelphi, Milano, 20008) pag. 221, e l' aforisma 190 di Al di l del bene e del male (Guaraldi, Rimini, 1996, pagg. 136-137) , nonch le numerose invettive rivolte contro il socratismo contenute ne La nascita della tragedia (Adelphi, Milano, 2005).

15

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l'irrazionalit altrui diventi per noi un problema di natura politica, e siccome, secondo l' "ideologia" monista, ogni vero problema ammette una soluzione, quale questa potr essere? Andiamo in ogni caso con ordine, anche perch non riusciremmo a capire la pericolosit di una Weltanschauung monista in politica se non capissimo come pu succedere che il "vero io" venga proiettato all'infuori del "saggio" fino ad abbracciare insieme a lui tutta la sua "parte". Per chiarire quanto andiamo dicendo ci rifaremo direttamente a Berlin:

" si pu concepire l'io reale come qualcosa di pi grande dell'individuo (nel senso corrente in cui si intende il termine), come il tutto sociale di cui il singolo un elemento o un aspetto - una trib, una razza, una chiesa, uno stato, la grande societ dei vivi, dei morti e dei non ancora nati. Questa entit viene poi identificata con il "vero io" che, imponendo la sua volont unica e collettiva, "organica" ai propri "membri" recalcitranti, consegue la sua, e quindi la loro, pi "alta" libert".16

Quando il "vero io" smette di essere considerato sub specie interioritatis e sconfina nella politica allora esso si muta nel concetto di una "parte" (un partito, un movimento, una associazione in genere o addirittura una nazione) che ritenga di avere scoperto le

16

ibidem

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verit razionali della storia, della societ, dell'interazione tra gli uomini, e voglia realizzarle nel mondo per renderlo conforme a ragione. Confrontiamo quanto scrive Friederich Engels nella Prefazione all'Edizione del 1888 del Manifesto del Partito Comunista:

"Sebbene il Manifesto sia un nostro comune prodotto, ci tengo a dichiarare che l'idea fondamentale, che forma il suo nucleo, appartiene a Marx. L'idea che in ogni epoca storica il modo prevalente di produzione e scambio economici, e l'organizzazione sociale che necessariamente ne scaturisce, forma la base su cui viene edificata, e da cui soltanto pu essere spiegata, la storia politica e intellettuale di quell'epoca; che di conseguenza l'intera storia dell'umanit (dalla dissoluzione della societ tribale primitiva, caratterizzata dal possesso comune delle terre) stata una storia di lotte di classe, di conflitti tra classi sfruttatrici e sfruttate, dominanti e oppresse; che la storia di tali lotte di classe forma una serie evolutiva in cui, al giorno d'oggi, si raggiunto uno stadio dove la classe sfruttata e oppressa - il proletariato - non pu conseguire la propria emancipazione dal dominio della classe sfruttatrice e dominante - la borghesia - senza, allo stesso tempo, e una volta per tutte, emancipare la societ nel suo insieme da qualsiasi sfruttamento, oppressione, distinzioni di classe e lotte di classe.17

F.ENGELS, Introduzione all'edizione del 1888, in K. MARX & F. ENGELS, Manifesto del partito comunista, a cura di S.M. Soares, Metalibri; Amsterdam, Lausanne, Milan, Melbourne, New York, Sao Paulo, 2008.

17

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Sebbene Marx ed Engels non ne siano gli unici responsabili, in queste poche righe vediamo esemplificata tutta la visione del mondo che porta al sanguinoso fraintendimento della libert che condusse il mondo sull'orlo del terzo conflitto mondiale. Abbiamo una parte (e prendiamo ad esempio quella "orientale" perch le espressioni della sua Weltanschauung sono esse medesime delle pietre miliari della teoria politica di ogni tempo, e perch Berlin, per questioni biografiche, era un pensatore dichiaratamente antisovietico) che crede di avere realizzato le verit razionali che presiedono ai corsi e ricorsi della storia e della politica; contemporaneamente ha scoperto che solo un ultimo atto separa gli uomini dalla realizzazione della ragione nel mondo, e dalla conseguente soppressione di tutto ci che irrazionale (e nel caso di specie vengono ritenuti irrazionali in maniera peculiare l'oppressione e lo sfruttamento). Abbiamo citato Engels (per la verit una massima molto rappresentativa del pensiero materialista storico), ma non ci meraviglieremmo di scoprire qualche pamphlettista politico che abbia dichiarato, all'indomani della caduta del Muro, che ormai qualsiasi residuo di irrazionalit politica era stato cancellato dalla faccia del globo terrestre grazie al liberalismo vincente.

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Invero, anche se Berlin non lo dice mai troppo esplicitamente, gli sembra che non solo il marxismo o il positivismo di Comte siano viziati da questo pregiudizio "monista", ma sia tutta la teoria politica dagli enciclopedisti a Lenin, passando per i liberali e i conservatori del secolo XIX ad esserlo, con l'illustre eccezione di Constant.

"Conservatori, radicali, liberali e socialisti non davano la stessa interpretazione del mutamento storico. Non erano d'accordo su quali fossero i bisogni, gli interessi, gli ideali pi profondi degli esseri umani, su chi ne fosse il detentore e con quanta profondit e ampiezza e per quanto tempo, sul metodo per scoprirli e sulla loro validit in questa o quella situazione. Divergevano riguardo ai fatti, divergevano riguardo ai fini e ai mezzi, ed erano i primi a pensare di non essere in accordo su niente. Ma ci che in realt avevano in comune - e che era troppo ovvio perch ne fossero pienamente coscienti - era la convinzione che la loro epoca fosse dominata da problemi sociali e politici che avrebbero potuto essere risolti solo con l'applicazione consapevole di verit su cui tutti gli uomini dotati di intelligenza adeguata avrebbero dovuto convenire."18

Ancora su questo punto, con particolare attenzione al rapporto tra marxismo e liberalismo:

18

I.BERLIN, Le idee politiche del XX secolo, in I. BERLIN, Libert, Feltrinelli Universale Econimica, 2010, pag. 68

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"A prima vista, nessun movimento sembra differenziarsi pi nettamente del marxismo dal riformismo liberale; eppure le tesi centrali - la perfettibilit umana, la possibilit di creare una societ armoniosa con mezzi naturali, la fede nella incompatibilit, e addirittura nella inseparabilit di libert ed eguaglianza - sono comuni a entrambi. La trasformazione storica pu avvenire con continuit o per salti rivoluzionari improvvisi, ma deve procedere secondo un disegno intelligibile e logicamente coerente, che sempre sciocco e utopistico abbandonare. Nessuno metteva in dubbio che fra liberalismo e socialismo ci fosse un duro conflitto sia sui fini sia sui metodi, eppure ai margini essi sfumavano l'uno nell'altro. Il marxismo, per quanto insista con forza sul condizionamento di classe dell'azione e del pensiero, tuttavia una dottrina che almeno teoricamente vorrebbe fare appello alla ragione, se non altro all'interno della classe che la storia ha destinato a trionfare, il proletariato. Nella concezione comunista soltanto il proletariato in grado di guardare al futuro senza vacillare, perch non ha bisogno di falsificare i fatti per paura di ci che l'avvenire potrebbe portare con se. E questo vale come corollario anche per quegli intellettuali che si sono liberati dai pregiudizi e dalle razionalizzazioni - dalle 'distorsioni ideologiche'- della loro classe economica, e nella lotta sociale si sono schierati con la parte vincente. A loro, dal momento che sono completamente razionali, si possono concedere i privilegi della democrazia e del libero uso delle facolt intellettuali. Essi sono per i marxisti ci che i philosophes illuministi erano per gli enciclopedisti: il loro compito liberare gli uomini dalla "falsa coscienza" e contribuire a predisporre i mezzi che trasformeranno tutti coloro che ne sono storicamente capaci in esseri liberati e razionali"19.
19

Op. Cit, pag 71

83

Per chi ne "storicamente capace" la dissoluzione del processo storico nella ragione avverr con mezzi razionali, approntati appunto dai filosofi e dagli intellettuali. Ma pi sopra ci chiedevamo: cosa ne sar di coloro che capaci non sono, che vorranno, per cattiva volont o idiozia, rifugiarsi ancora nell' Irrazionale politico e rinunceranno dunque a rendersi perfettamente liberi e a partecipare della Verit Ultima? Immediatamente oltre, nelle stesse pagine appena citate, Berlin adduce un esempio tratto dalla storia del novecento.

4.4 Salus revolutionis suprema lex

"Ma nel 1903 si verific un evento che segn il culmine di un processo che ha
cambiato la storia del nostro mondo. Al secondo congresso del Partito Socialdemocratico Russo, che ebbe luogo quell'anno e inizi a Bruxelles per poi finire a Londra, durante la discussione di quella che inizialmente sembrava una questione puramente tecnica - fino a che punto la centralizzazione e la disciplina gerarchica dovessero determinare la condotta del partito - un delegato che si chiamava Mandel'berg ma aveva adottato il nom de guerre di Posadovskij sostenne che il rilievo dato dai socialisti pi "duri", cio Lenin e i suoi amici, alla necessit che il nucleo rivoluzionario del Partito esercitasse una autorit assoluta poteva rivelarsi incompatibile con quelle libert fondamentali alla cui realizzazione il socialismo, non meno del liberalismo, era ufficialmente votato. Posadovsij sosteneva che (in questo caso) le libert civili minime e
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fondamentali ("l'inviolabilit della persona") dovevano essere violate, e addirittura calpestate, se cos decidevano i capi del partito. Gli rispose Plechanov, uno dei fondatori del marxismo russo e il suo rappresentante pi venerato - uno studioso colto e raffinato, di grande sensibilit morale e di ampie vedute che per vent'anni aveva vissuto in Occidente, molto stimato dai leader del socialismo occidentale e che per i rivoluzionari russi era il simbolo stesso del pensiero civilizzato e "scientifico"; con tono solenne, unito ad uno splendido disprezzo della grammatica, l'uomo pronunci le parole Salus Revolutiae Suprema Lex (sic!). Certamente, se la rivoluzione lo richiedeva, qualunque cosa - la democrazia, la libert e i diritti individuali - avrebbe dovuto esserle sacrificata."20

Tutto ci vale a dire che chi non sia in grado di comprendere il "razionale politico" va messo in condizioni di non nuocere agli altri che hanno scoperto il proprio "Io vero". Va dunque trattato, senza mezzi termini, alla stregua di un pazzo omicida. Data la sua condizione di minorit intellettuale, egli deve essere guidato verso la realizzazione della sua ragione, deve essere obbligato ad accettare quello che, se fosse ragionevole, vorrebbe anch'egli con ogni fibra del suo corpo. La situazione di costui, per i monisti, come quella dello scolaro: come questi rigetta le verit della matematica, e non vuole studiarle finch non si accorge che in esse vi realizzata la sua stessa ragione, cos egli si opporr ai cambiamenti finch non sar messo in condizioni, con le buone o
20

Op. Cit. pagg. 71 e segg.

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con le cattive, di capire qual il suo bene e il bene di tutti. Tutto questo poggia sulla massima comtiana, che recita grosso modo cos: "se non ammettiamo il libero pensiero nella scienza della natura, perch dovremmo ammetterlo nelle cose della politica?"21 Ecco dove ha portato l'equivoco, partito con i pensatori illuministi, di "newtonizzare" le scienze umane e quelle sociali: ad un epocale e tragico fraintendimento della libert. Eppure noi abbiamo cominciato questo capitolo dicendo che per Berlin, dovunque ci fosse un deficit di ragione nella capacit di determinare se stessi, la coercizione sarebbe potuta essere ammessa. Ci nondimeno non difficile intuire come una ragione "monista" non corrisponde all'idea berliniana. Egli, sebbene il suo pluralismo vada distinto abbastanza nettamente dal relativismo, ammette, come gi detto, che nella sfera delle cose umane non esistano verit irrefutabili in nome delle quali poter costringere in catene i nostri simili. Per Berlin esiste quasi una "collezione" di idee comprensibili e condivisibili razionalmente oltre le quali la cifra specificamente umana si perde. Credere ad una ragione che tale solo perch si ritiene in possesso di verit irrevocabili in dubbio, le quali Berlin ritiene non esistere, e pertanto obbligare con la forza altri esseri
21

Cfr. A. Comte, Plan de travaux scientifiques necessaires pour reorganizer la societ (1822), in Appendice generale du systme de politique positive, Paris, 1854, pag. 53 nel volume IV del Systme de politique positive. Berlin cita il passo in Le idee politiche del ventesimo secolo, in Libert, a cura di H. Hardy, trad. it. G. Rigamonti e M. Santambrogio, Feltrinelli, Milano, 2005, pag. 83

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umani a vivere secondo tali verit-fantasma, pervertire non solo la libert, ma anche la ragione e la umanit. Berlin chiama questo atteggiamento "Fanatismo", e noi crediamo lo faccia a ragione veduta.

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Bibliografia
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