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Letterature comparate

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1. Il romanzo storico
Gyrgy Lukcs
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scrive nel 1937 Il romanzo storico in cui afferma che il romanzo storico nasce
sulla spinta di due grandi forze:
- La rivoluzione francese. Implica lirruzione delle masse sulla scena della storia. La storia
prima era fatta da quelli che avevano i diritti di nascita, dopo le masse hanno avuto un
ruolo politico e possono fare la storia. Anche i nazionalismo sono importanti nel senso
che il sorgerimento italiano viene attraverso il nazionalismo.
- Storicismo
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. Cambia completamente il rapporto con la storia (passato). Caratteristiche
(progreso, linelit, ogni movimento ha una sua anima, una sua identit. Voltaire
affermava che possiamo capiere il passato perch solo una modificazione della
mente umana.
Il romanzo storico, genere tipicamente romantico, nasce e conosce una grande espansione
durante l'Ottocento. Sul piano filosofico si andava affermando l'idea che il concatenarsi degli
eventi nel tempo, lungi dall'essere casuale, obbedisca a una logica precisa; anche a causa delle
grandi guerre, si inizi a concepire l'esistenza dell'individuo come qualcosa di fortemente
condizionato dalla storia. Inoltre il romanticismo fa leva sulla rievocazione della passata
grandezza dei popoli e accresce il senso storico degli scrittori; i rivoluzionari accadimenti
storico-politici del secolo si nutrirono cos di una narrativa in grado di fornire figure esemplari
del passato alle quali ispirarsi.
Prima dell'Ottocento, naturalmente, nel romanzo e anche nella drammaturgia erano gi state
utilizzate ambientazioni storiche: basti pensare ad alcuni drammi di Shakespeare, che
analizzavano la crisi del sistema feudale e l'autodistruzione cui si stava votando l'aristocrazia; vi
sono esempi di romanzi detti storici anche nel Seicento italiano, come il Demetrio
Moscovita del ferrarese Maiolino Bisaccioni, pubblicato a Venezia nel 1639. Nel Settecento si
erano avuti i grandi romanzi realistico-sociali (per l'Inghilterra Daniel Defoe, Samuel
Richardson, Henry Fielding) che avevano raffigurato i caratteri della contemporaneit, ma
sembrava difficile per gli autori rendere efficacemente le ambientazioni passate. Jonathan

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Il romanzo nasce secondo Lukcs: con la fiducia nella storia e con lirruzione della massa nel trascorso
della storia.
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Il concetto di storicismo dal punto di vista filosofico nasce nella cultura romantica tedesca (il primo autore ad aver impiegato il termine
Novalis), per sottolineare la natura storica e progressiva della manifestazione della verit, frutto di una lenta maturazione che procede
secondo una precisa logica di sviluppo. Il primo autore che presenti un simile modello teorico Johann Gottfried Herder nel mondo
tedesco, Giambattista Vico in quello latino.
Una comune insistenza sul tema della storia avvicina infatti le filosofie di Vico, Georg Wilhelm Friedrich Hegel e, secondo
alcune interpretazioni, Karl Marx (spesso definite appunto "storicismi").Le differenze sono riconducibili in primo luogo al senso della verit
che si manifesta nella storia: secondo l'interpretazione storicista della teoria di Marx la storia considerata da un punto di vista immanente
come autoliberazione dell'uomo attraverso la razionalizzazione progressiva del proprio rapporto con la natura.
[senza fonte]

La logica con cui questa verit si rivela nella storia per lo pi vista come compresenza e funzionalit reciproca di progresso e rovina, in
polemica con l'Illuminismo. Cos il metodo generale di questa tendenza storicistica manifesta una concentrazione dialettica, in cui grande
peso hanno il ruolo del negativo (in Hegel e Marx) o delle barbarie (in Vico) che assolvono a un'essenziale funzione di trasformazione e
rigenerazione del processo storico.
Nella tradizione culturale italiana una stagione storicistica molto influente coincide con l'opera di Benedetto Croce e della sua scuola.
Secondo Croce la tendenza profonda e antimetafisica del moderno atteggiamento filosofico consiste nell'integrale risoluzione della filosofia
in attivit di ricerca storico-culturale, che abbandona ogni speculazione trascendente affrancandosi altres dal modello concettuale
delle scienze della natura.

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Swift, Voltaire e Diderot avevano ambientato le vicende dei loro romanzi satirici in tempi e
luoghi indeterminati, che tuttavia rispecchiavano i tratti essenziali della Francia e
dell'Inghilterra della loro epoca.
Inoltre, nei generi pre-romantici (picaresco e gotico su tutti) la storia era sostanzialmente un
elemento statico, non produttivo dell'azione romanzesca e rappresentava pi che altro lo
scenario di fondo sul quale si muovevano i personaggi. Nel romanzo ottocentesco, invece, la
storia entra in scena da protagonista e lo studio e la documentazione sugli eventi storici
diventa pratica complementare, anzi, necessaria al lavoro dell'autore.
1.1. Walter Scott
Il iniziatore del romanzo storico in Inghilterra Walter Scott. Waverley pubblicato nel 1814
considerato il capostipite del romanzo storico. Fu seguito a breve da Rob Roy(1818) e poi
da Ivanhoe (1819). I romanzi di Scott ebbero un rapido successo e un'ampia diffusione in
Europa e furono tradotti in diverse lingue, dando luogo a una vera e propria fioritura di
narrativa storica in diversi paesi.
Secondo Gyrgy Lukcs, Walter Scott fu il primo romanziere a non considerare la storia come
una mera cornice all'interno della quale collocare vicende di stampo moderno. Fino a Scott,
infatti, nei romanzi ambientati in epoche passate, i pensieri, la psicologia e i comportamenti
dei personaggi riflettevano quelli dell'epoca cui apparteneva il loro autore.

Scott non
modernizza mai le psicologie; descrive invece con precisione le condizioni di vita del periodo
storico in cui ambienta i suoi romanzi, in modo che i comportamenti che ne scaturiscono non
siano considerati dal lettore come curiosit storica, ma come tappe dell'evoluzione
dell'umanit.
1.1.1. I personaggi
La produzione di Scott fu influenzata dai mutamenti che avevano modificato il volto
dell'Europa: la rivoluzione francese aveva segnato profondamente il vecchio continente.
Probabilmente allora per la prima volta il popolo aveva giocato un ruolo fondamentale nella
storia; o comunque, per la prima volta il suo "peso" era stato notato: era apparso evidente
come il corso della storia potesse essere influenzato non solo dalle grandi personalit, ma
anche dalle persone comuni.
I gi citati Waverley e Rob Roy narrano vicende legate alla storia della Scozia e hanno come
protagonista un eroe medio: un personaggio che si colloca in un punto di intersezione tra
diversi gruppi sociali, cos da consentire all'autore, attraverso il conflitto tra i gruppi stessi, di
esplorare i cambiamenti della societ nel tempo. Il termine "medio" non va confuso con
"mediocre". L'eroe di Scott non proviene dalle alte sfere, che costituiscono una parte limitata
della societ, ma da un livello sociale nella norma, rappresentativo della maggioranza della
popolazione. il tipo medio di "gentleman" inglese: dotato di saggezza, fermezza e dignit
morale, ma non di qualit eccezionali.
Questa scelta comporta peraltro una grande libert narrativa: nessuna fonte storica o
documento attesta ci che fecero uomini come Waverley o Francis Osbaldistone (protagonista
di Rob Roy), perch essi sono personaggi di pura invenzione, a differenza delle grandi figure
storiche sulle quali, invece, esiste una vasta documentazione. Sono, dunque, personaggi mai
esistiti, ma che avrebbero potuto esserlo; il romanziere libero di farli agire come crede
perch, pur rappresentando tipologie umane reali, essi non sono legati alla verit
documentata.
La mescolanza di realt e invenzione una caratteristica fondante del romanzesco e di questo
genere in particolare; va a creare dei nessi tra il piano accertato e documentato della
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macrostoria (grandi eventi e scenari storici di ampio orizzonte) e il piano non documentato
ma verosimile della microstoria (fatti e dati della vita quotidiana).
1.1.2. Diffusione in Italia
Al traduttore Gaetano Barbieri si deve la circolazione delle opere di Walter Scott: la sua
versione di Ivanohe usc nel 1822. Nei vent'anni successivi, in Italia come nel resto d'Europa,
esplose il fenomeno e furono pubblicati (spesso a puntate, in appendice a giornali e riviste)
oltre cento nuovi romanzi storici di autori italiani.
A favorire la diffusione del genere fu anche la situazione politica del paese che spronava i
romanzieri a farsi portavoce delle vicende storiche dell'Italia susseguitesi
dal Medioevo al Risorgimento, allo scopo di mostrare esempi eroici di libert e resistenza
all'oppressione dello straniero (si parla infatti di romanzo storico risorgimentale). La soluzione
di convogliare esortazioni, speranze e ideali patriottici all'interno di vicende ambientate in un
passato remoto, quindi apparentemente svincolate dalla situazione politica attuale, era
peraltro imposta da circostanze oggettive: permetteva, cio, di aggirare la censura.
C' da dire, inoltre, che nelle letterature europee del primo Ottocento il romanzo aveva gi
raggiunto un notevole sviluppo, che seguiva la fortuna settecentesca del romanzo epistolare,
di quello diaristico e di quello di formazione. In Inghilterra stava prendendo piede il romanzo
gotico e in Francia, il romanzo sociale psicologico. In Italia tutte queste esperienze non
riuscivano a penetrare; la fortuna del romanzo storico va anche attribuita, quindi, alla minor
presa delle nuove tendenze europee.
Anche se la maggior parte di questi romanzi non si ricorda n si legge pi, tra essi si
annoverano I Lambertazzi e i Geremei di Defendente Sacchi e Il castello di
Trezzo di Giambattista Bazzoni(entrambi usciti nel 1827), diversi titoli di Carlo Varese (Sibilla
Odaleta. Episodio delle guerre d'Italia alla fine del secolo XV, La fidanzata ligure ossia usi,
costumanze e caratteri dei popoli della Riviera ai nostri tempi, I prigionieri di
Pizzighettone, Falchetto Malaspina, Preziosa di Sanluri ossia i Montanari sardi, Torriani e
Visconti), e soprattutto la punta di diamante di questa vasta produzione: I promessi sposi.

1.2. Differenze tra Scott e Manzoni
L'anno fondamentale per il romanzo storico in Italia fu il 1827: fu allora che Alessandro
Manzoni concluse la prima versione, chiamata appunto ventisettana (la seconda, e definitiva,
del 1840, detta quarantana) del suo capolavoro ambientato nella Milano del Seicento, dopo
essersi a lungo documentato partendo dalla Historia Patria dello storico milanese Giuseppe
Ripamonti e dopo aver attentamente riflettuto sulle caratteristiche e sugli scopi del genere
letterario che si accingeva ad affrontare (anni dopo, nel 1845, lo scrittore diede anche alle
stampe il saggio Del romanzo storico ed in genere de' componimenti misti di storia e
invenzione).
Manzoni conosceva i romanzi di Scott e la lettura di Ivanhoe gli era stata di ispirazione gi
per Adelchi (tragedia ambientata al tempo della discesa in Italia di Carlo Magno), ma tra i due
scrittori ci sono differenze: si sente di manera diversa la questione nacionale.
Manzoni remite an ms que Walter Scott a un segundo plano los acontecimientos
histricos, si bien los expone con la concrecin histrica del ambiente aprendida de
Scott. Pero su tema fundamental es menos una determinada crisis histrica concreta
de la historia nacional, como suele ser siempre el caso de Scott, cuando la crisis
general de la vida del pueblo italiano, debida a la disgregacin del pas, y debida
tambin al carcter reaccionario y feudal que las partculas disgregadas de Italia han
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adquirido a travs de las continuas fricciones entre s y a consecuencia de su
dependencia de las grandes potencias extranjeras que intervinieron en ella. As,
Manzoni describe en forma inmediata un episodio concreto de la vida del pueblo
italiano: el amor, la separacin y el reencuentro de dos jvenes campesinos. Pero la
historia se convierte a travs de su descripcin en una tragedia general del pueblo
italiano, agobiado por la humillacin y la divisin nacionales (Lukcs, Romanzo
Storico)
Manzoni si limita a un solo romanzo perche secondo Lukcs vuole fare un vero romanzo
storico:
Ya la temtica misma de su reproche nos hace comprender que esta novela tena que
ser nica, y que una repeticin solamente poda serlo en el mal sentido de la palabra.
Scott nunca ser repite en sus novelas logradas; pues la historia misma, la
representacin de una crisis determinada saca siempre a la superficie lo nuevo. Esta
inagotable variedad de la temtica no le fue otorgada por la historia italiana al genial
Manzoni. La sensatez del poeta se muestra en que emprendi este camino para llegar
a una magna concepcin de la historia de su pas, comprendiendo a la vez que solo era
posible lograr una nica perfeccin. (Lukcs, Romanzo storico).

2. Manzoni: Promessi Sposi

Due aspetti importanti:
- Anacronismo deliberato
- Intenzione di propaganda
Ambientato dal 1628 al 1630 in Lombardia durante il dominio spagnolo, fu il primo esempio
di romanzo storico della letteratura italiana. Il periodo storico era stato scelto da Manzoni con
l'intento di alludere al dominio austriaco sul nord Italia. Quella che Manzoni vuole descrivere
la societ italiana di ogni tempo, con tutti i suoi difetti che tuttora mantiene. Il romanzo si
basa su una rigorosa ricerca storica e gli episodi del XVII secolo, come ad esempio le vicende
della Monaca di Monza e la grande peste del 1629-1631, si fondano tutti su documenti
d'archivio e cronache dell'epoca.
Il romanzo si apre con una finzione letteraria: la trascrizione dell'inizio di
un manoscritto ritrovato di un romanzo del Seicento. In esso scritto che mentre la Storia
ufficiale si occupa solo dei grandi avvenimenti e dei personaggi famosi, il nostro Autore vuole
raccontare la storia di umili persone del popolo. Tale finzione serve a inquadrare le vicende
narrate in uno sfondo storico. Si crea cos una duplice prospettiva nella quale vengono visti gli
avvenimenti: una secondo i fatti narrati, attribuiti all'autore del manoscritto; l'altra secondo i
commenti e le riflessioni del romanziere sulle vicende trattate. Prende una serie di storie reali
per suffragare un successo fittizio (coscenza ironica. Manzoni ha unatteggiamento di tipo
ironicodi fronti a quello che racconta e i successi storici). Lo storico si racconta come qualcosa
verosimile, che potrebbe accadere (vero-falso-finto). Si tratta di un espediente gi usato da
altri autori: per esempio Walter Scott in Ivanhoe, Nathaniel Hawthorne ne La lettera
scarlatta, Cervantes nel Don Chisciotte (il manoscritto arabo di Cide Hamete
Benengeli), Ludovico Ariosto nell'Orlando furioso. L'espediente verr ripreso nel Novecento,
tra gli altri, da Umberto Eco nel romanzo Il nome della rosa.
Questo rapporto ironico doppiamente ironico perch tratta il suo personaggio in maniera
ironica. Nel corso del romanzo cita spesso lAnonimo (la fonte finta).
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2.1. Capitolo 1
- Descrizione paesagistica: innovazione di W. Scott
- Narratore in terza persona: la differenza tra Scott e Manzoni che quella di Scott pi
cinematografica. C un tipo di funzione ideologica del paesaggio (luomo inserito in
questo paesaggio)
Il Manzoni ha la facolt sovrana del poeta di vedere e suggerire, senza guastarle esprimendole,
le segrete affinit tra l'anima e il mondo e le misteriose influenze dell'uno sull'altra, tra i
nostri poeti uno di quelli che ebbero pi profondo e religioso il sentimento della natura e che
in questa sentirono meglio Dio. Domina nello sfondo del romanzo il paesaggio familiare
di Lombardia, con i suoi cieli, i suoi monti, le sue acque, la sua mite luce autunnale :"Quel cielo
di Lombardia cos bello quand' bello, cos splendido, cos in pace" (Cap. XVII). Il paesaggio
calato nella realt storica ed umana del romanzo. La sobriet delle descrizioni il risultato di
uno scarnimento ricco di possibilit liriche ed evocative; i passi descrittivi sono trascrizioni di
un momento di vita interiore. Il paesaggio sempre smorzato e triste, in armonia con il tono
del racconto. L'autore non si diffonde in descrizioni paesistiche, tuttavia l'aria del paese nato
circola in tutti i capitoli, evocata dalle azioni degli uomini. Nei riquadri paesistici spesso
s'insinua una musica elegiaca, che nasce dalla riverenza con cui il poeta si accosta agli aspetti
della natura.
Manzoni segue la concezione, propria del Romanticismo, di un paesaggio proiezione di
emozioni, sensazioni, stati d'animo dei personaggi. Per esempio il paesaggio oggettivo e
realistico nel primo capitolo ("Quel ramo del lago di Como.."); descritto con affettuosa
nostalgia e profonda, accorata intimit da Lucia nell' "Addio monti...." (cap.VIII); pauroso e
minaccioso nel bosco sull'Adda(cap. XVII) allorch l'animo di Renzo pieno di timori, ansie,
tensione e stanchezza; aspro, arido, minaccioso e incutente paura nella valle del castello
dell'Innominato del quale rispecchia la personalit e lo stile di vita.
2.1.1. Atteggiamento critico
Il primo personaggio che entra in scena Don Abbondio
3
e la descrizione degli personaggi dei
bravi (decreti contro i bravi- grida-). Si inserisce il documento storico (racconto+documento
storico). Questo atteggiamente tanto ironico come quello che aveva fatto nel suo prologo.

3
Luigi Pirandello
"L'umorismo di Manzoni in don Abbondio"
Luigi Pirandello
In questo passo tratto dal celebre saggio "L'umorismo" (1908) il grande romanziere e drammaturgo si
sofferma sulla figura di don Abbondio, che egli - in accordo con la concezione espressa nel testo -
considera non semplicemente comica ma appunto umoristica, in quanto Manzoni ha voluto
rappresentare nel pavido curato la debolezza umana di fronte alla prepotenza dei malvagi e, dunque, far
riflettere il lettore su un lato del nostro carattere che non proprio soltanto del personaggio ma di tutti
noi. Per questo don Abbondio ci fa sorridere ed in fondo compatito dal narratore, il quale non per
questo rinuncia a condannare il suo comportamento e, tuttavia, lo fa come se volesse ridere di lui
anzich renderlo odioso agli occhi del lettore.
Luigi Pirandello (1867-1936) stato uno dei principali romanzieri del Novecento, autore anche di novelle
e testi teatrali che hanno segnato un'epoca e hanno prefigurato il "teatro dell'assurdo" quale sar
elaborato in Europa negli anni Cinquanta. Ha dedicato studi e saggi all'arte teatrale e, occasionalmente,
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anche ad alcuni tra poeti italiani come Dante e Cecco Angiolieri.


Dove sta il sentimento del poeta? Nel disprezzo o nel compatimento per don Abbondio? Il Manzoni ha
un ideale astratto, nobilissimo della missione del sacerdote su la terra, e incarna questo ideale in
Federigo Borromeo. Ma ecco la riflessione, frutto della disposizione umoristica, suggerire al poeta che
questo ideale astratto soltanto per una rarissima eccezione pu incarnarsi e che le debolezze umane
sono pur tante. Se il Manzoni avesse ascoltato solamente la voce di quellideale astratto, avrebbe
rappresentato don Abbondio in modo che tutti avrebbero dovuto provar per lui odio e disprezzo, ma
egli ascolta entro di s anche la voce delle debolezze umane. Per la naturale disposizione dello spirito,
per lesperienza della vita, che glielha determinata, il Manzoni non pu non sdoppiare in germe la
concezione di quellidealit religiosa, sacerdotale: e tra le due fiamme accese di Fra Cristoforo e del
Cardinal Federigo vede, terra terra, guardinga e mogia, allungarsi lombra di don Abbondio. E si
compiace a un certo punto di porre a fronte, in contrasto, il sentimento attivo, positivo, e la riflessione
negativa; la fiaccola accesa del sentimento e lacqua diaccia della riflessione; la predicazione alata,
astratta, dellaltruismo, per veder come si smorzi nelle ragioni pedestri e concrete dellegoismo *+.
Ora, io non nego, don Abbondio un coniglio. Ma noi sappiamo che Don Rodrigo, se minacciava, non
minacciava invano, sappiamo che pur di spuntare l'impegno egli era veramente capace di tutto;
sappiamo che tempi eran quelli, e possiamo benissimo immaginare che a don Abbondio, se avesse
sposato Renzo e Lucia, una schioppettata non glielavrebbe di certo levata nessuno, e che forse Lucia,
sposa soltanto di nome, sarebbe stata rapita, uscendo dalla chiesa, e Renzo anchegli ucciso. A che
giovano lintervento, il suggerimento di Fra Cristoforo? Non rapita Lucia dal monastero di Monza? C
la lega dei birboni, come dice Renzo. Per scioglier quella matassa ci vuol la mano di Dio; non per modo di
dire, la mano di Dio propriamente. Che poteva fare un povero prete?
Pauroso, sissignori, don Abbondio; e il De Sanctis ha dettato alcune pagine meravigliose esaminando il
sentimento della paura nel povero curato; ma non ha tenuto conto di questo, perbacco: che il pauroso
ridicolo, comico, quando si crea rischi e pericoli immaginarii: ma quando un pauroso ha
veramente ragione d'aver paura, quando vediamo preso, impigliato in un contrasto terribile, uno che
per natura e per sistema vuole scansar tutti i contrasti, anche i pi lievi, e che in quel contrasto terribile
per suo dovere sacrosanto dovrebbe starci, questo pauroso non pi comico soltanto. Per quella
situazione non basta neanche un eroe come Fra Cristoforo, che va ad affrontare il nemico nel suo stesso
palazzotto! Don Abbondio non ha il coraggio del proprio dovere; ma questo dovere, dalla nequizia altrui,
reso difficilissimo, e per quel coraggio tuttaltro che facile; per compierlo ci vorrebbe un eroe. Al
posto dun eroe troviamo don Abbondio. Noi non possiamo, se non astrattamente, sdegnarci di lui, cio
se in astratto consideriamo il ministero del sacerdote. Avremmo certamente ammirato un sacerdote
eroe che, al posto di don Abbondio, non avesse tenuto conto della minaccia e del pericolo e avesse
adempiuto il dovere del suo ministero. Ma non possiamo non compatire don Abbondio, che non leroe
che ci sarebbe voluto al suo posto, che non solo non ha il grandissimo coraggio che ci voleva; ma non ne
ha n punto n poco; e il coraggio, uno non se lo pu dare!
Un osservatore superficiale terr conto del riso che nasce dalla comicit esteriore degli atti, dei gesti,
delle frasi reticenti ecc. di don Abbondio, e lo chiamer ridicolo senzaltro, o una figura semplicemente
comica. Ma chi non si contenta di queste superficialit e sa veder pi a fondo, sente che il riso qui
scaturisce da ben altro, e non soltanto quello della comicit.
Don Abbondio quel che si trova in luogo di quello che ci sarebbe voluto. Ma il poeta non si sdegna di
questa realt che trova, perch, pur avendo, come abbiamo detto, un ideale altissimo della missione del
sacerdote su la terra, ha pure in s la riflessione che gli suggerisce che questideale non si incarna se non
per rarissima eccezione, e per lo obbliga a limitare quellideale, come osserva il De Sanctis. Ma questa
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Di fronte ad una realt storica impetuosa, Manzoni utiliza lo strumento dellironia per
condannarla, insomma. Non unatteggiamento storico, oggettivo, unatteggiameno
critico. Il pensiero storicista tiende a giustificare anche ogni possibile forma di barbarie
compiuta dalla storia secondo lidea che ogni cosa chiede il suo tempo, e quindi che una
barbarie dal passato giustificata in relazione a questa evoluzione dello spiritu storico. In
Manzoni c, invece, unatteggiamento giudicante, che deriva in sostanza dalla sua
concenzione religiosa.
La storia devessere giudicata con gli occhi di quellepoca (relativismo storico). La storia non ha
sempre ragione, esiste anche un piano del giusto sovrastorico (religione). C pertanto in
Manzoni unironia romantica pi un giusto sovrastorico. La storia sottoposta a unaltra legge
che quella di Dio.
2.1.2. Componenti del pensiero Manzoniano
Come ritiene Manzoni che questa realt storica fatta al punto di violenza si debba affrontare?
(Il problema del male)
Ci sono tre componenti principali per capire quall la visione di Manzoni e qual sar anche
quella che esprimeranno i suoi personaggi:
- Pensiero politico di Manzoni.
Manzoni come catolico-liberale. Liberale nel senso di un pensatore favorevole allidea di un
progressismo, rifiutando per lipotesi della violenza, della rivoluzione insomma. In quel
periodo in Italia il pensiero politico si divideva in: progressisti (che volevano una rivoluzione
borghese per passo a passo senza battere il potere aristocratico pero riformandolo) e quelli
che ritenevanno che lunica via possibile era quella della violenza.
- Forte pesimismo storico che emerge dalla tragedia dell Adelchi

limitazione dellideale che cos? leffetto appunto della riflessione che, esercitandosi su questideale,
ha suggerito al poeta il sentimento del contrario. E don Abbondio appunto questo sentimento del
contrario oggettivato e vivente; e per non comico soltanto, ma schiettamente e profondamente
umoristico.
Bonariet? Simpatica indulgenza? Andiamo adagio: lasciamo star codeste considerazioni, che sono in
fondo estranee e superficiali, e che, a volerle approfondire, c il rischio che ci facciano anche qui
scoprire il contrario. Vogliamo vederlo? S, ha compatimento il Manzoni per questo poveruomo di don
Abbondio; ma un compatimento, signori miei, che nello stesso tempo ne fa strazio, necessariamente.
Infatti, solo a patto di riderne e di far rider di lui, egli pu compatirlo e farlo compatire, commiserarlo e
farlo commiserare. Ma, ridendo di lui e compatendolo nello stesso tempo, il poeta viene anche a ridere
amaramente di questa povera natura umana inferma di tante debolezze; e quanto pi le considerazioni
pietose si stringono a proteggere il povero curato, tanto pi attorno a lui sallarga il discredito del valore
umano. Il poeta, in somma, ci induce ad aver compatimento del povero curato, facendoci riconoscere
che pur umano, di tutti noi, quel che costui sente e prova, a passarci bene la mano su la coscienza. E
che ne segue? Ne segue che se, per sua stessa virt, questo particolare divien generale, se questo
sentimento misto di riso o di pianto, quanto pi si stringe e determina in don Abbondio, tanto pi si
allarga e quasi vapora in una tristezza infinita, ne segue, dicevamo, che a voler considerare da questo
lato la rappresentazione del curato manzoniano, noi non sappiamo pi riderne. Quella piet, in fondo,
spietata: la simpatica indulgenza non cos bonaria come sembra a tutta prima.

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una tragedia dove viene delineato un ritratto impetuoso della storia, cio, limpossibilit
delluomo di fare il bene, perch la storia dominata dal male e anche chi volesse provare a
fare il bene, lazione implica inebitabilmente il male stesso. Questa impossibilit di fare il bene
emerge questo pessimismo storico nelle parole dAdelchi al padre, in cui c appunto la visione
negativa del potere, inebitabilmente compromeso al male. Questo pessimismo storico sar
trasferito anche sul romanzo di Promessi Sposi, pero in questo caso con una eccesione diversa,
in certo senso positiva, perch nel romanzo c questa volunt di superare in qualche modo
questo problema che sembra insalbabile. Nel romanzo questo accento di positivit viene
affidato in sostanza alla possibilit della volont umana che sarebbe in grado di riuscire ad
costituirsi come possibile distacco nei confronti del male: ad esempio la conversione di fra
Cristoforo che appunto una scelta, un atto di volont umana, nel segno di una visione pi
positiva, anche se molto devole, nel contesto sempre del pessimismo storico.
- Il giansenismo
Il giansenismo la dottrina religiosa attraverso la qualle si forma il pensiero religioso catolico
manzoniano. Ha lidea che il peccato origionale delluomo abbia compromeso in sostanza la
sua vita terrena, quindi la vita delluomo dominata dal male per questa idea del peccato
originale. Da qui, quindi, limpossibilit di commettere il bene ma non solo anche lidea che la
sventura subita dalluomo sia in qualche modo una punizione divina giusta proprio perche
luomo deve sfondare il peccato originale che vizia in sostanza la sua vita terrena.
Concetto di provida sventura
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: il fatto che questa sventura delluomo sia una punizione giusta
comunque non fa si che abbia appunto sul carattere di provido, di providenza. E questo, in
particolare, concentra alluomo ad una sorta di purificazione perch lo sposta sul lato degli
opresi, e quindi lo toglie dalla condizione di opresore.

Davvanti a questi componenti fondamentali, il problema manzoniano di come affrontare il
male ci viene presentato attraverso le varie scene. Le risposte che si danno sono risposte in
negativo, cio, cosa non deve fare luomo per affrontare questo male. Le risposte in negativo
principale ci sono due: la prima che luomo non pu riferirsi alla violenza per rispondere a
questo male (viene rappresentato dallimpetu di Renzo che pi volte cerca di fare vendeta da
se; per cui la storia di Fra Cristoforo importante per trasmettere il suo (di Manzoni)
menssaggio di rifiuta dalla violenza. Violenza che appunto inutile perch i devoli in ogni caso
tendeno a sucumbere di fronte al forte. Un altra risposta negativa quella di affidarsi alla
legge; in questo caso abbiamo lepisodio di Renzo con lavvocato Azzecca-garbugli: non ci si
pu affidarsi alla legge perch anche la legge compromessa con il potere della sovrafazione.
Dietro questi episodi c la riflessione manzoniana sul settecento e sulla rivoluzione francese e
quindi il suo modo di considerare la rivoluzione e lideale di Manzoni che appunto quello di
affidarsi ad un cambiamento passo a passo (progressismo moderato).
Fra Cristoforo lunico scelta possibile perch appunto il rappresentante nella terra della
volont divina. La figura di Fra Cristoforo ha una certa sorta di ambivalenza: da una parte la
santit rappresentata da una lunga barba e, dallaltra parte invece, il suo originario impetu
violento che rappresentato da due cavalli nella sua descrizione e che devone essere frenati
attraverso la ragione.

4
La provida sventura il dolore che redime, che purifica ed eleva spiritualmente l'animo.
La Provvidenza intesa come una fiducia in Dio e nella sua Grazia, un invito ad affidarsi alla Fede e agli
insegnamenti cristiani di fronte alle avversit della vita:" una delle facolt singolari ed incomunicabili
della religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a
qualsivoglia termine, ricorra ad essa" (cap. X).
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Promessi sposi delineano un quadro completo delle gerarchie tra le diverse classi
sociali nella societ lombarda del Seicento e delle attivit che le caratterizzano.
L'autore scrive (cap. I): " Il clero vegliava a sostenere e ad estendere le sue immunit,
la nobilt i suoi privilegi, il militare le sue esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano
arrolati in maestranze e in confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici
una corporazione". Dato che il romanzo ha un carattere volutamente popolare,
Manzoni attento a figure della piccola borghesia (mercanti e artigiani) e degli strati
pi umili della societ (contadini e operai).
Ad esempio, Fra Cristoforo era figlio di un commerciante, prima di ricevere
la vocazione e diventare frate cappuccino, si chiamava Lodovico. Grazie alla fortuna
paterna cercava di introdursi negli ambienti della nobilt ma rifiutato da questa come
irrimediabilmente inferiore per nascita (il suo ultimo avversario lo definisce
sprezzantemente vile meccanico), si immedesima nel ruolo di paladino dei pi poveri.

2.2. Confronto tra Don Abbondio e Fra Cristoforo
Fin dai primi quattro capitoli, emergono subito i due caratteri contrapposti di Don
Abbondio e Fra Cristoforo. Queste differenze sono soprattutto legate ai caratteri dei
due personaggi.
Don Abbondio, curato di un paesino vicino Lecco, si dimostra fin da subito una persona
abitudinaria che cerca di scansare gli ostacoli, diventando anche una persona egoista.
La sua caratteristica pi evidente emerge nelle sue scelte: infatti ogni sua decisione
data dalla paura. Lo stesso fatto di diventare prete stato dettato dalla paura della
vita. Infatti, convertendosi, Don Abbondio si inserisce in una classe sociale agiata e
protetta; quindi la sua non fu una vera vocazione, ma una scelta di comodit.
Diverso fra Cristoforo, cappuccino al convento di Pescarenico. Si dimostra una
persona umile, che si prende cura di tutti, che si adopera per gli altri per amore e che
sollecito verso gli umili. La sua scelta religiosa fu dettata dall'amore verso il prossimo e
dalla fede.
I caratteri dei due si contrappongono nelle loro caratteristiche: don Abbondio che per
paura si schiera dalla parte degli oppressori; e Fra Cristoforo che per trionfo della
giustizia interviene subito non avendo paura dei prepotenti (esempio eclatante nel
capitolo VI).
Anche il Manzoni volendo mettere in risalto alcune caratteristiche dei due, inserisce
nel testo delle metafore come: "Don Abbondio non era nato con un cuor di leone"
oppure "Come un vaso di terra cotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di
ferro"; questo riguardo Don Abbondio. Per il carattere di Fra Cristoforo il Manzoni usa
delle similitudini riguardanti gli occhi: "che sembravano come due cavalli imbizzarriti"
Questi due personaggi rappresentano i due modi opposti di intendere la vita
consacrata: piccoli pregi e comodit per Don Abbondio, umiliazione e sacrificio per Fra
Cristoforo.

2.3. Promessi sposi e il romanzo borghese
Letterature comparate
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Nel romanzo borghese il protagonista cerca di affermare la sua individualit e di
migliorare la sua posizione sociale. Questo accade nei Promessi sposi nella figura di
Ludovico e di Renzo (cerca di migliorare la sua vita con Lucia spostandosi della
Lombardia). Promesi Sposi, pero, non si trasforma in un romanzo borghese e restano
quel che sono perche nel romanzo borghese domina lindividualismo, mentre nei
Promessi sposi non questa lidea che il Manzoni vuole far emergere. Manzoni vuol
dire che luomo pu uscire da questa situazione di minorit solo attraverso Dio, cosa
che non accade nel romanzo borghese. A questo i Promessi sposi sono
antirromanzeschi, in cui per romanzesco si intende il tentativo di rendere lazione
umana autonoma; questo non accade nei Promessi sposi perch ogni azione umana,
che tenta di essere autonoma dal potere di Dio, falisce.
In questo sta lironia di Manzoni, forse la maggior ironia del romanzo, che la distanzia
che c tra il creatore e il creato, cio, tra Dio e luomo. Nel tentativo delluomo di
rendersi Dio, lo porta inebitabilmente al fallimento. Questidea viene raccontata
attraverso la storia di Fra Cristoforo: Ludovico si arrivato alla conversione dopo aver
compiuto un omicidio (aver ucciso un nobile che aveva alla sua volta ammazato il
servitore di Ludovico, Cristoforo, che intervento per difenderlo in un duelo). Ludovico
decide dopo questa morte di diventare Fra Cristoforo e dedicare la propria vita a Dio.
Sacrifica ci che era, ci che dovrebbe avuto essere per diventare qualcosa altro, per
diventare ci che Dio gli chiede.
Un altro tema importante nel romanzo il tema del perdono (morale cristiana):
unicamente Dio chi pu perdonare. Dio trascende la storia, la guarda con ironia e
interviene per saldare il debito degli uomini come a dire voi non siete capacie ce li ha
tutti a lui debitori. La storia diventa il palco scenico guardato da qualcuno.

2.4. Lirruzione della citt nei Promessi Sposi
5

il luogo del disorientamento, ma anche della scoperta di s: qui Renzo avverte la
propria differenza e , talora, la propria inettitudine. Nella citt domina il movimento
6
;
compaiono grandi masse in azione, urlanti ed aggressive dapprima nei tumulti per il
pane, poi nella caccia agli untori. Il tempo nella citt pi veloce e concitato. Per due
volte Renzo costretto a fuggire, dalle guardie la prima, dai persecutori che lo
scambiano per untore la seconda (cap. XXXIV). La citt il luogo della violenza non solo
del potere pubblico (che vi erge le sue forche e i suoi strumenti di tortura e vi
sguinzaglia i suoi monatti), ma anche del popolo, che assale i forni e la casa del vicario
di provvisione o d la caccia ai presunti untori. Il sapere contadino e artigianale di
Renzo appare qui inefficace. Per ritrovare la propria identit, la sicurezza del proprio
sapere e le ragioni della propria cultura, Renzo deve ritrovare l'Adda, il fiume della sua
esperienza contadina e montanara. Solo allora lo smarrimento cittadino - col
traviamento che comporta, fino all'ubriacatura - avr termine.

5
Tecnica del straniamento: si fa vedere come nuovo qualcosa che gia si conosce.
6
Metafora del vrtice: la rivoluzione sociale viene rappresentata sotto la forma di un fenomeno
metereologico che ti priva di movimento. Cap. XII: il cuore del romanzo storico nel senso che il
narratore comincia un dicorso storico.
Letterature comparate
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Episodi significativi: l'addio, monti ... (cap. VIII); Renzo riesce a sfuggire all'arresto
(cap. XIV) e poi attraversa l'Adda (cap. XVII); episodi di orrore durante la peste a
Milano (cap. XXXIV); Renzo scambiato per untore riesce a scappare verso il lazzaretto
(cap. XXXIV).
Manzoni nei Promessi sposi contrappone piuttosto nettamente citt e campagna.
Allorigine di questa contrapposizione c un dato di realt: Manzoni vive in unepoca
in cui le differenze tra citt e campagna tendevano ad accentuarsi a causa
dellurbanesimo, cio del rapido e vorticoso aumento della popolazione cittadina. Ne
accenna allinizio del romanzo, parlando di Lecco: un gran borgo al giorno d'oggi, e
che s'incammina a diventar citt (cap. I, pag. 000).
La contrapposizione fra citt e campagna un tema che resta vivo nella letteratura
italiana fino alla seconda met del Novecento, quando il miracolo economico
provoca un unteriore fenomeno di rapida urbanizzazione.
La prima pagina dei Promessi sposi in cui citt e campagna sono esplicitamente
contrapposte laddio ai monti, laddove Manzoni immagina i pensieri di colui che
lascia volontariamente il proprio paesello in cerca di ricchezza: s'inoltra mesto e
disattento nelle citt tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle
strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero,
pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha gi
messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprer, tornando ricco a' suoi monti.
(cap. VIII, pag. 164) Il personaggio a cui legato in particolare questo tema Renzo,
che per ben due volte (capitoli XI-XVI e capitoli XXXIV-XXXVI) compie viaggi a Milano.
Primo viaggio di Renzo a Milano
- Renzo, arrivando a Milano, trova una citt in rivolta: la popolazione si
sollevata per protestare contro laumento del prezzo del pane. Lo spreco, la
distruzione, la violenza, caratterizzano Milano:
lo spreco: Renzo trova pani e farina sparsi a terra; i passanti carichi di refurtiva ne
sprecano una buona parte;
la distruzione: la folla inferocita assalta il forno delle grucce e lo distrugge
completamente, bruciando arredi e strumenti;
la violenza: la stessa folla d lassalto alla casa del vicario di provvisione con
lintenzione di linciarlo.
- Renzo resta inizialmente estraneo al degrado dellambiente cittadino:
raccoglie i pani pensando di pagarli al legittimo proprietario;
si limita a osservare lassalto al forno delle grucce senza prendervi parte;
si propone di contribuire alla salvezza del vicario.
- La citt stimola per i suoi difetti:
la curiosit, che lo spinge a seguire la folla anzich aspettare il cappuccino a cui lha
indirizzato fra Cristoforo;
Letterature comparate
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lingenuit, che lo spinge a illudersi daver fatto amicizia con Antonio Ferrer perch
ha ricevuto qualche occhiata di ringraziamento da parte del Gran Cancelliere;
lorgoglio, che lo spinge a dichiarare in pubblico le sue idee, senza pensare che esse
potrebbero diventar capi daccusa a suo carico
Secondo viaggio di Renzo a Milano
In occasione del suo secondo viaggio, Renzo trova Milano in condizioni ancora peggiori
a causa della pestilenza. La citt ha un carattere propriamente infernale - e carattere
diabolico hanno quasi tutte le persone che Renzo vi incontra: dai passanti terrorizzati
dagli untori alla vecchia strega che suscita laggressione della folla contro di lui, ai
monatti che accompagnano Renzo al lazzaretto - quasi un inferno nellinferno. Pur in
questo contesto negativo, Manzoni sottolinea per la presenza di alcuni elementi
non infernali:
il sacerdote che assiste gli ammalati e che Renzo incarica di aiutare la donna
dimenticata in quarantena;
la madre di Cecilia che commuove perfino i monatti con il suo atteggiamento
dignitoso e fermo di fronte alla morte;
il recinto, allinterno del lazzaretto, dove le donne e le capre assistono e nutrono gli
orfanelli e creano un clima affettuoso.
Confronto fra i due viaggi a Milano
- La citt in entrambi i casi un luogo pericoloso per Renzo:
la prima volta rischia di essere linciato dalla folla come aiutante del vicario e
arrestato come sedizioso;
la seconda volta rischia di essere nuovamente linciato come untore.
- La citt in entrambi i casi spinge Renzo al vizio:
nel primo caso, allubriachezza (Renzo perde il controllo allosteria della luna piena);
nel secondo caso, alla violenza (Renzo pensa di difendersi dalla folla che vuole
linciarlo e impugna il coltello, pronto a usarlo).
- La citt in entrambi i casi per per il giovane unesperienza formativa
importante:
nel primo caso, Renzo impara a vincere la propria ingenuit (si comporta con astuzia
sia per sfuggire ai birri, sia per raggiungere lAdda);
nel secondo caso, completa nel lazzaretto la sua formazione morale e religiosa
(perdona definitivamente don Rodrigo).

2.5. Discorso di Renzo
"-Al pane, - disse Renzo, ad alta voce
e ridendo, - ci ha pensato la provvidenza. -
E tirato fuori il terzo e ultimo di que' pani
raccolti sotto la croce di san Dionigi,
Letterature comparate
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l'alz per aria, gridando:
- ecco il pane della provvidenza!
All'esclamazione, molti si voltarono;
e vedendo quel trofeo in aria, uno grid:
- viva il pane a buon mercato! ..."
Renzo inizia a dire che, secondo lui, la faccenda del pane a buon mercato non la sola
che meriti l'attenzione del popolo, giacch ci sono dei tiranni che opprimono la povera
gente ed esercitano contro di essa degli autentici soprusi: egli certo che ci siano dei
signori prepotenti a Milano come in campagna e una voce gli d prontamente ragione.
Renzo aggiunge che le gride ci sono, stampate in bella evidenza, ma non vengono
applicate e non viene fatta giustizia ai poveri, perch c' una "lega" di birboni che si
proteggono l'uno con l'altro, anche se il re e gli altri uomini di governo vorrebbero che i
malvagi venissero puniti per i loro delitti. Il giovane propone di recarsi tutti il giorno
dopo da Ferrer, che si dimostrato un galantuomo, per fargli sapere come stanno le
cose e invocare il suo aiuto: Renzo rammenta la sua triste esperienza dal
dottor Azzecca-garbugli, dove ha visto coi suoi occhi una grida firmata da Ferrer in
persona e che riguardava proprio un caso simile al suo, anche se non ha potuto
ottenere soddisfazione. Il gran cancelliere non potr certo andare in giro in carrozza ad
arrestare tutti i birboni, ma potr comandare ai giudici e ai podest di applicare la
legge e dare la giusta punizione a chi sgarra, con l'aiuto dei popolani che saranno
pronti a darsi da fare come accaduto in questa giornata. L'uditorio ha ascoltato con
interesse le sue parole e molti alla fine si complimentano e applaudono, anche se
alcuni disapprovano e osservano che tutti i montanari vorranno dir la loro e questo,
alla lunga, si volger in peggio per i poveri.
L'episodio fondamentale nel percorso di "formazione" di Renzo, che dopo aver
assistito al tumulto per il pane si mette a "predicare in piazza" attirando l'attenzione di
un poliziotto, il che sar poi causa del suo arresto e della sua fuga nel Bergamasco (il
giovane paga lo scotto della sua condotta imprudente e della sua ingenuit, specie
quando rivela allo sbirro il proprio nome). Gli altri protagonisti del capitolo sono il
sedicente Ambrogio Fusella, abile nel raggirare Renzo per estorcergli il suo nome, e
l'oste della Luna Piena, costretto a reggere il gioco al poliziotto e irritato contro il
monatanaro per la sua ingenuit (i tre danno vita a una sorta di commedia delle parti,
in cui Renzo ovviamente la vittima designata e viene ingannato anche a causa della
sua ubriachezza).
Il discorso che Renzo rivolge alla folla dopo il tumulto un piccolo capolavoro di
oratoria popolare, in cui emerge tutta l'amarezza del giovane contadino per le
angherie e i soprusi patiti al suo paese: ai suoi occhi di montanaro inurbato la
sommossa stata un atto di giustizia e il popolo dovrebbe andare da Ferrer per far
rispettare la legge, facendo in modo che le gride siano finalmente applicate, senza
rendersi conto che l'unico a subire le ritorsioni della giustizia sar lui stesso, pur non
avendo fatto nulla di male. L'autore guarda con simpatia Renzo e i suoi guai, ma vuole
anche mettere in guardia contro i moti di piazza e le soluzioni sediziose ai problemi
politici, poich le rivolte causano troppo spesso disordini e violenze indiscriminate (alla
Letterature comparate
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fine del romanzo Renzo dir di aver imparato "a non predicare in piazza",
condannando in modo implicito la sua partecipazione ai tumulti di Milano).
L'autore svela la reale identit di Ambrogio Fusella nel cap. XV, quando dir che un
"bargello travestito" sguinzagliato dal capitano di giustizia per trovare dei capipopolo
da arrestare e con cui dare un esempio alla folla in tumulto: del resto gi nel cap. XII un
popolano aveva detto di aver visto "certi galantuomini che giran, facendo l'indiano",
alludendo proprio alla presenza di poliziotti mescolati alla folla, mentre lo stesso oste
della Luna Piena lo designa come "cane", alludendo al fatto che l'uomo va a caccia di
criminali. Il nome che egli fornisce a Renzo dunque falso, come il particolare pietoso
dei quattro figli che lo attendono a casa.
Nel finale del capitolo Renzo viene mostrato completamente ubriaco, intento a dare
un pessimo spettacolo di s agli altri avventori dell'osteria: l'autore disapprova
esplicitamente la sua condotta e in seguito il giovane si mostrer assai pi morigerato
nel bere (specie quando andr all'osteria di Gorgonzola, durante la sua fuga verso il
Bergamasco). Durante l'intero episodio la voce del narratore si fa spesso sentire per
giudicare negativamente il comportamento del protagonista, come del resto
avvenuto in diversi momenti dell'avventura milanese di Renzo (la curiosit verso il
tumulto lo ha "perduto", mentre avrebbe potuto attendere in chiesa come gli era stato
suggerito dal frate e come lui stesso rimpianger durante la sua fuga dopo l'arresto).
Per approfondire: E. Raimondi, Renzo eroe cercatore.
Renzo definisce "poeta", vale a dire cervello balzano, un avventore che pronuncia una
battuta sarcastica e Manzoni osserva con ironia che questo il significato dato alla
parola da quel "guastamestieri del volgo", mentre il poeta dovrebbe essere "un sacro
ingegno": ovvio che l'autore la pensa in realt come il popolo e che la definizione da
lui data di poeta ("un abitator di Pindo, un allievo delle Muse") corrisponde alla
concezione neoclassica che Manzoni ha del tutto abbandonato in questa fase della sua
attivit di scrittore.
2.6. La peste
Con i Lanzichenecchi entra nella penisola la peste: se ne ammalano Renzo, che
guarisce, e don Rodrigo, che viene tradito e derubato dal Griso, il capo dei suoi bravi
(che, contagiato anch'egli dalla peste, non godr dei frutti del suo tradimento). Don
Rodrigo viene portato dai monatti al Lazzaretto in mezzo agli altri appestati. Renzo,
guarito, torna al paese per cercare Lucia, preoccupato dagli accenni fatti da lei per
lettera a un suo voto di castit fatto quando era dall'Innominato, ma non la trova, e
viene indirizzato a Milano, dove apprende che si trova nel Lazzaretto. Qui trova anche
padre Cristoforo, indomito nel servizio sebbene segnato dalla malattia, che scioglie il
voto di Lucia e invita Renzo a perdonare don Rodrigo, ormai morente.
La peste viene descritta in maniera scrupolosa e nei minimi particolari nelle sue prime
manifestazioni, nelle reazioni suscitate, negli interventi positivi e negativi degli uomini
chiamati a occuparsene (dai medici, ai politici, alla chiesa). Agli errori delle autorit,
alla voluta disinformazione si somma l'ignoranza superstiziosa della popolazione. Ne
Letterature comparate
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deriva uno sconvolgimento drammatico della citt intera, attraversata da Renzo, ormai
guarito, come un luogo infernale pieno di pericoli e di insidie mortali.
La parte pi drammatica di questa descrizione si trova nel capitolo 34, con una delle
pi celebri frasi della letteratura italiana:
"Come il fiore gi rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al
passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato".
In tale capitolo si parla anche di Cecilia, "di forse nov'anni", che, ormai morta, posta
sul carro dei monatti dalla madre, che li implora di non toccare il piccolo corpo
composto con tanto amore, e chiede poi di tornare dopo a "prendere anche me e non
me sola" (per questo episodio Manzoni trasse ispirazione dal De pestilentia di Federigo
Borromeo). La donna presentata piena di dignit umana e di amore materno che
riuscir a impietosire anche il "turpe monatto" che le voleva strappare la bambina. Il
personaggio descritto accostando coppie di termini in antitesi collegati da forme
oppostive e negative (cap. XXXIV): "una giovinezza avanzata ma non trascorsa"; una
bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor
mortale"; "la sua andatura era affaticata, ma non cascante".
La descrizione della carestia, della fame, della calata dei Lanzichenecchi sono prove
corali dell'immensa rappresentazione della peste. La peste descritta nel romanzo ha il
carattere della necessit: superflua perci ogni nota storica. Il prologo del dramma
nella descrizione di don Rodrigo preso dal contagio. La peste appare nel suo vario
orrore quando Renzo viene al suo paese e poi a Milano. Nella descrizione della citt
colpita dal morbo una spaventevole verosimiglianza: non pi la luce dell'alba cara al
Manzoni ma la spietata intensit del sole a picco. La descrizione dei carri dei monatti
pagina potente e sinistra. Un'immagine di follia nella corsa del cavallaccio spinto dal
frenetico cavaliere. L'accordo dei vari temi dell'episodio si rivela per nelle note soavi
della scena della madre di Cecilia, nell'umoristico contrasto tra l'angoscia dell'ambiente
e il comico errore dei monatti su Renzo scambiato per untore, nell'idillica visione
dell'ospedale degli innocenti, dove i bimbi allattati da donne e da capre suggeriscono il
senso di una societ favolosa come l'et dell'oro.
[27]
Le principali fonti storiche
utilizzate dal Manzoni furono: De peste quae fuit anno 1630 ("La peste del 1630")
di Giuseppe Ripamonti; Ragguaglio dell'origine et giornali successi della gran
peste di Alessandro Tadino
Quanto all'aspetto religioso del flagello, Manzoni presenta la peste come una terribile
prova inviata da Dio agli uomini in base ai suoi disegni imperscrutabili, per cui vano
cercare una logica nell'azione di un morbo che ha colpito egualmente colpevoli e
innocenti, personaggi malvagi e buoni: il male nella storia un enigma insolubile e ci
appare chiaro soprattutto nel dramma dell'epidemia, di fronte al quale l'atteggiamento
del romanziere spesso di sbalordito attonimento e lontanissimo da quello di altri
scrittori del passato, che l'avrebbero prontamente interpretato come un meritato
castigo divino (cfr. I. Calvino, Un mondo senza Provvidenza). Del resto anche i
personaggi del romanzo hanno pensieri del tutto diversi riguardo alla spaventosa
moria, da don Rodrigo che si fa beffe del morbo ma poi inorridito quando si scopre
ammalato, a Renzo e Lucia che accettano la malattia con cristiana rassegnazione, a fra
Cristoforo che vede nella peste l'occasione di sacrificarsi nel servizio caritatevole al
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prossimo, fino a don Abbondio per il quale la peste stata una "scopa" che ha spazzato
via prepotenti e malvagi, massima che conforme al suo consueto gretto egoismo. Val
la pena di ricordare ancora lo scombinato ragionamento con cui don Ferrante, alla fine
del cap. XXXVII, nega che il contagio si propaghi da un corpo all'altro e attribuisce la
pestilenza, forte della sua filosofia aristotelica, agli influssi astrali: rifiuta di prendere
qualunque precauzione e finisce per ammalarsi, morendo a letto come "un eroe di
Metastasio, prendendosela con le stelle", mentre la sua famosa biblioteca finisce
probabilmente in vendita sulle bancarelle (il suo atteggiamento, messo in ridicolo
dall'autore, era comunque proprio di tanti presunti "dotti" nel XVII secolo).
2.7. Bildungsroman
Il romanzo di formazione (o Bildungsroman) un genere letterario che nasce tra la fine
del Settecento e i primi anni dellOttocento. Esso narra le vicende di un/una giovane
che, attraverso una serie di prove, scopre la propria vocazione, subisce un processo di
maturazione interiore e alla fine si inserisce felicemente nella societ (spesso
attraverso il matrimonio). I promessi sposi non sono un romanzo di formazione, ma un
romanzo storico. Le vicende di cui protagonista Renzo, per, si avvicinano per alcuni
aspetti a quelle tipiche dei romanzi di Formazione.
Il primo viaggio a Milano
Renzo viene presentato nei primi capitoli come un giovane gi inserito nel suo piccolo
mondo (il paese di Olate), ma sostanzialmente ingenuo. La sua onest si unisce infatti a
un carattere molto impulsivo e quindi lontano dalla riflessivit propria dellet adulta.
Il primo viaggio a Milano (capp. XI-XVII) costituisce la prima grande prova che Renzo
deve affrontare. Il viaggio di Renzo scandito in due fasi:
nella prima fase (capp. XI-XIV), Renzo compie una parabola discendente, cedendo:
o alla curiosit (anzich aspettare in chiesa, si lascia attrarre dalla folla dei
rivoltosi - cap. XI);
o allingenuit (espone le sue idee in piazza e si lascia ingannare dal bargello -
cap. XIV);
o allubriachezza (allosteria della luna piena diventa lo zimbello degli altri
avventori - cap. XIV);
nella seconda fase (capp. XV-XVII), Renzo compie una parabola ascendente,
recuperando:
o capacit di giudizio (si rende conto della sua situazione e valuta le persone
che incontra - cap. XV e XVI);
o astuzia (si comporta in maniera efficace, sfruttando le situazioni a suo
vantaggio - cap. XV e XVI);
Letterature comparate
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o senso morale (riprende a pregare, si pente della precedente caduta, fa
lelemosina ai poveri - cap. XVII).
Il secondo viaggio a Milano
Il secondo viaggio a Milano (capp. XXXIV-XXXVI) la seconda grande prova che
Renzo deve affrontare. Anche in questo caso, possiamo distinguere due fasi:
nella prima fase, Renzo ripercorre rapidamente le stesse tappe del primo viaggio:
o si trova in un ambiente ostile e pericoloso (cap. XXXIV);
o impegnato in una ricerca che non ha esito positivo (cap. XXXIV);
o rischia la vita a causa della folla (cap. XXXIV);
nella seconda fase, al lazzaretto, Renzo compie esperienze del tutto diverse, poich
o ritrova fra Cristoforo e con il suo aiuto completa la sua maturazione di
cristiano (impara la differenza fra perdono e amore per il nemico; capisce che deve
accettare ci che la provvidenza ha in serbo per lui, per quanto possa essere doloroso -
cap. XXXV);
o ritrova Lucia e completa la sua maturazione di uomo (con il matrimonio,
celebrato grazie allintervento di fra Cristoforo, che scioglie Lucia dal voto - cap. XXXVI).

Una formazione solo parziale. Le vicende di Renzo presentano analogie e
differenze con quelle tipiche dei romanzi di formazione.
Analogie:
- il protagonista un giovane ingenuo e impulsivo, che affronta una serie di
prove;
- il protagonista mette in luce, accanto ai suoi difetti giovanili, le sue virt;
- il protagonista raggiunge la maturit sentimentale, simboleggiata dal
matrimonio;
- il protagonista alla fine si inserisce felicemente nella societ.
Differenze:
- nei romanzi di formazione, il personaggio un adolescente che passa
dallinfanzia alla maturit, mentre Renzo un giovane i cui sentimenti e il cui carattere
sono gi ben definiti allinizio del romanzo;
- nei romanzi di formazione, il protagonista cambia molto profondamente nel
corso della vicenda, mentre il carattere di Renzo resta sostanzialmente immutato;
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- nel romanzi di formazione, il protagonista artefice del proprio destino,
mentre il destino di Renzo dipende dalla Provvidenza e dallaiuto di fra Cristoforo.

2.8. Parangone tra il discorso di Renzo e il discorso di Lucia (cap.xxxvi)
In queste pagine, come gi in quelle relative alla rivolta per il pane, si coglie il
significato pregnante del sottotitolo del romanzo: Storia milanese del secolo XVII. Nel
saggio Del romanzo storico, Manzoni spiega da quali attese nasca questo genere di
letteratura: non la narrazione di soli fatti politici e militari, (...) ma una
rappresentazione pi generale dello stato dell'umanit, il cui oggetto siano costumi,
opinioni, sia generali, sia particolari a questa o a quella classe d'uomini; effetti privati
degli avvenimenti pubblici, descritti e resi godibili al lettore per mezzo d'una
rappresentazione animata e in atto. Anche se, poi, la tesi del saggio sostiene
l'impossibilit di far convivere nella stessa opera romanzo e storia, e conduce l'autore
ad abbandonare il genere romanzesco, non c' dubbio che le parole che abbiamo
citato rivelino l'intenzione da cui sono nati i Promessi Sposi. Dunque, non solo un
romanzo milanese, ma anche una vera e propria "storia sociale e della mentalit" -
come direbbe uno storico moderno - del territorio milanese nel '600. Del resto,
mescolando in maniera cos ampia invenzione narrativa e storia di fatti veri, Manzoni
non fa che spingere molto avanti una caratteristica propria di tutto il genere
romanzesco: quella di trovarsi a stretto contatto con la vita vissuta, con la
problematicit del reale e del divenire storico. I grandi avvenimenti hanno il potere di
coinvolgere anche gli ultimi della scala sociale ( come un turbine solleva anche i
fuscelli nascosti tra l'erba, dice il narratore), cos che necessario conoscere la grande
storia per comprendere le microstorie private. Tuttavia vero anche l'inverso, e non
solo perch i fatti storici possono essere raffigurati in maniera pi vivace se calati nella
concreta esistenza di un personaggio. Dal basso, dall'esperienza personale priva di
peso sulla bilancia della storia generale, pu venire la domanda sul senso totale delle
vicende umane. E a questo approda il romanzo manzoniano, nella sua conclusione.
Quando Renzo, ormai tranquillo e appagato nelle vesti di padre di famiglia e di
imprenditore, fa il bilancio degli insegnamenti ricevuti dalla sua esperienza e sembra
dare ragione alla morale di don Abbondio
7
del badare a s, dello stare ne' propri panni
per scansare i guai, Lucia trova che una tale dottrina non soddisfacente. - E io -
disse un giorno al suo moralista - cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata
a cercare i guai: son loro che son venuti a cercar me. (...) Dopo un lungo dibattere e
cercare insieme, conclusero che i guai vengono bens spesso, perch ci si dato
cagione; ma che la condotta pi cauta e pi innocente non basta a tenerli lontani, e

7
Se Renzo ritorno ancora a dire lo stesso che Don Abbondio aveva detto allinizio del romanzo, questo
vuol dire che lapprendimento un apprendimento al fallimento (romanzo della dellusione). Renzo ha
imparato a non scegliere lazione.
Letterature comparate
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che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li
rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, bench trovata da povera gente,
c' parsa cos giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la
storia.
La morale della fabula in sostanza ci dice che la vera vita migliore non questa,
unaltra.
Commenta Ezio Raimondi: Mentre si crede di aver toccato un epilogo pacifico,
sottomesso alla rinunzia o alla rassegnazione, il discorso segreto di tutto il romanzo si
rimette in moto e si porta dietro l'angoscia della storia, l'inquietudine della
contraddizione, il sentimento dell'assurdo, cos come pu arrivare sino agli "infimi"
della "scala del mondo" (...) Dove finisce la ricerca di Renzo, comincia forse quella del
lettore.

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