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Artemisia Bernardi
DANTE ALIGHIERI 5
1. La giovinezza, Firenze, Beatrice 5
2. La Vita Nova 6
3. Le “Rime” 7
4. L’esilio e i trattati 8
6. La “Commedia” 11
FRANCESCO PETRARCA 15
1. Dalla formazione culturale alla corona di poeta 15
2. L’Africa 16
4. Le opere in latino 17
5. Il “Secretum” 19
7. Il poema i “Triumphi” 22
GIOVANNI BOCCACCIO 22
1. La giovinezza e le opere del periodo napoletano 22
3. Il Decameron 25
4. Dopo il “Decameron” 27
2. Lorenzo il Magni co 30
3. Luigi Pulci 31
4. Agnolo Poliziano 32
LUDOVICO ARIOSTO 38
1. Alla scuola dell’Umanesimo ferrarese 38
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7. Ariosto continuatore di Boiardo: la forma del romanzo 40
9. Le novelle e il romanzo 41
NICCOLÒ MACHIAVELLI 42
1. Il segretario orentino 42
7. La ne di Machiavelli 44
FRANCESCO GUICCIARDINI 45
1. Avvocato, ambasciatore, uomo politico: l’ascesa pubblica di Guicciardini 45
5. I “Ricordi” 46
6. La ne di Guicciardini 46
TORQUATO TASSO 48
1. Gli esordi: dal “Gierusalemme” al “Rinaldo” 48
2. A Ferrara: “l’Aminta” 48
7. I personaggi 51
LA CULTURA BAROCCA 53
1. Le istituzioni 53
2. La periodizzazione 56
POETICHE E RETORICHE 56
1. Il Manierismo 57
2. Il Barocco 57
GIAMBATTISTA MARINO 62
1. Da Napoli a Parigi 62
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2. “La Lira” 62
3. Le “Dicerie sacre” 63
5. “L’Adone” 63
6. Le polemiche sull’Adone 64
IL TEATRO 64
1. Una civiltà teatrale 64
3. Il tragico 66
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Argomenti presenti negli appunti delle lezioni:
• La Poesia in Sicilia: la corte di Federico II e i siciliani; Giacomo da Lentini
• Guittone da Arezzo
Secondo Duecento
Guittone: poesia con responsabilità Stilnovismo: carattere elitario, cultura laica
didattica con spiritualità cristiana ed estranea con intenzione pedagogica e
destinazione politica
Donna: creatura la cui bellezza assume valore etico prima ancora che estetico,
portatrice di virtù; donna-angelo con duplice responsabilità: una, terrena e
mondana, per far manifestare la gentilezza dell’innamorato attraverso il suo
comportamento cortese e virtuoso, è una più alta e spirituale di mediazione tra
uomo e Dio.
Al cor gentil rempaira sempre amore, considerata il “manifesto” del dolce stil
novo, perché ne enuncia alcune idee capitali: il principio della corrispondenza tra
amore e cuore gentile, cioè rivalutazione della nobiltà del cuore contro la nobiltà
di sangue e la concezione della donna come gura che rappresenta la divinità.
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2. Guido Cavalcanti
Nato a Firenze, guelfo bianco, condannato al con no per decisione dei priori, fra i
quali c’era anche il suo amico Dante Alighieri, con cui quindi interromperà i
rapporti.
di fuori dunque dal controllo della ragione. L'apparizione della donna col
folgorante splendore che la fascia e che la rende inconoscibile e l'impossibilità
dell'uomo di costruirsi di lei un'immagine mentale provocano una serie di e etti
psicologici angosciosi, devastanti, devitalizzanti: tremore, paura, smarrimento,
sbigottimento, svenimento, malinconia, pianto.
3. Dante Stilnovista
DANTE ALIGHIERI
1. La giovinezza, Firenze, Beatrice
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Dante, nato a Firenze nel 1265, il cui padre Alighieri era un uomo d’a ari che
aveva consentito al glio adolescente di ricevere una buona istruzione nella
grammatica e nella logica e di seguire lezioni di diritto, di loso a e forse anche di
medicina presso l’Università di Bologna. Partecipa poi tra le la della
2. La Vita Nova
1. L’amore giovanile e il “libello” che racconta l’amore
Vita nova, scritto dopo la morte di Beatrice tra il 1293 e il 1295, è la testimonianza
ispirazione, e dall'altra è rivolta a spiegare gli aspetti retorici e formali delle liriche.
Prima volta in cui gli appare Beatrice: a nove anni, e di quando la rivede nove
anni dopo, insistendo su quel numero «nove» come segno di perfezione in
quanto multiplo del tre, chiaramente indicativo della Trinità.
Amore, sul piano dei rapporti sociali, esige discrezione e segretezza, secondo le
regole dell'amor cortese, cui il poeta si attiene nella prima fase della sua
esperienza e del libretto che la racconta.
Per celare l’identità della donna da lui amata trova come soluzione il simulare e
far credere che ad altra donna sa indirizzato il suo interessamento. Però, quando
la donna dello schermo si allontana da Firenze, il poeta rivolge il suo ttizio amore
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a una seconda donna dello schermo, ma le voci sul suo comportamento
giungono a Beatrice, che lo punisce togliendogli il saluto. Inoltre, la reazione delle
donne che la accompagnano è di scherno, di irrisione, di «gabbo».
3. Lo “stilo de la loda”
Dante si lascia attrarre dalla consolatrice, che insidia nella sua mente la memoria
di Beatrice, e per lei compone quattro sonetti, i cui moduli immaginativi e gurali,
d'impronta cortese e cavalcantiana, la “donna pietosa”.
3. Le “Rime”
1. Tra Guittone e Cavalcanti
Le liriche del tempo della Vita Nova escluse dal libro costituiranno in seguito il
libro delle Rime.
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in cui i due contendenti non hanno freni nello scambiarsi contumelie e insulti
infamanti, nella logica dell'improperium proprio dello stile comico.
4. Le “rime petrose”
Negli anni che precedono l'esilio, probabilmente nel periodo 1296-98, Dante
scrive quattro componimenti che costituiscono le cosiddette «rime petrose».
4. L’esilio e i trattati
1. Dal priorato alla condanna, all’esilio, alla morte
L’altro determinante fatto biogra co che segna la vita di Dante è quello dell’esilio.
Dante entrò a far parte dell’Arte dei medici e degli speziali, che inglobava medici,
loso , poeti e uomini di cultura. In seguito ai contrasti tra guel bianchi e neri (ai
quali lui aderiva ai primi), è costretto a scegliere la strada dell’esilio nel 1300,
durato poi per tutta la sua vita.
2. Il “Convivio”
Tra il 1304 e il 1307, scrive due trattati, il Convivio e il De vulgari eloquentia, scritti
anche con la speranza di ottenere, tramite tale contributo dottrinale, il
riconoscimento di meriti culturali atto a rimuovere l'ostilità nei suoi confronti da
parte di chi reggeva il governo di Firenze.
Più di dieci anni separano Vita nova e Convivio ma, per quanto scritte in
circostanze molto diverse, un lo di collegamento corre tra le due opere. Se nella
Vita nova Dante aveva rivisitato attraverso la memoria lirica i suoi anni giovanili,
esaltando l'esperienza amorosa per Beatrice, ora, nel Convivio, ricostruisce la
propria identità collocando al centro dell'interesse la maturazione avvenuta dopo
la scomparsa dell'amata, in «trenta mesi» di frequentazione delle «scuole de li
religiosi» e delle «disputazioni de li losofanti».
Dell'episodio della «donna pietosa» che prova compassione per il poeta dopo la
morte di Beatrice; non una donna reale, a erma Dante nel Convivio, donna
invece che va allegoricamente intesa per la « glia di Dio, regina di tutto e
bellissima Filoso a»;
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Utilizzando la parola latina «banchetto», egli intende allestire una «beata mensa»,
un banchetto di sapere a bene cio dei non letterati, che siano tuttavia dotati di
core gentile e animati da un desiderio di conoscenza che solo con di coltà
riescono ad appagare, in quanto presi da preoccupazioni familiari o da
incombenze pubbliche.
Egli così pensa che sia più conveniente rivolgersi scrivendo in volgare: più
opportuno per l’esposizione di contenuti loso ci e scienti ci.
Dante riconosce l'inferiorità del volgare rispetto al latino, però giusti ca la sua
scelta fondandola su almeno tre buone ragioni:
I capitoli sono trenta ripartiti in due parti: i primi quindici, che costituiscono la
pars destruens dell'argomentazione dialettica, sono diretti a confutare le
de nizioni errate del concetto di nobiltà; gli altri quindici formano la pars
construens e sono rivolti a determinare il signi cato della vera nobiltà e a
enunciare le facoltà che caratterizzano l'uomo nobile.
secondo libro.
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Il primo libro tratta argomenti di linguistica generale e storica e così suddivide le
lingue europee in tre famiglie: germanica, greca e neolatina. Su quest’ultima si
so erma e individua la tripartizione in lingua d’oc, d’oil e del sì (il volgare italiano).
Di quest’ultima analizza tutte le sue varietà dialettali allo scopo di ssare una
lingua convenzionale, che di fronte alla varietà e mutevolezza delle lingue naturali
s'imponga con la stabilità delle sue regole generali.
Alla ricerca del «volgare illustre» Dante procede passando in rassegna quattordici
varietà di parlate regionali e fa capire che nessun di queste possiede i requisiti
necessari a imporsi sulle altre.
Passando dai contenuti ai problemi di forma, Dante enuncia il principio che alla
dignità dell'argomento corrisponda quella della struttura metrica e dello stile
proponendo una tripartizione: lo stile più basso è l'elegia (o stilum miserorum,
cioè lo stile appropriato all'espressione dell'infelicità), lo stile medio è quello della
comedia, mentre il più alto degli stili è il «tragico», al quale conviene come
adeguata forma metrica la canzone.
È una poetica, quella messa a fuoco da Dante, che riserva alla poesia una
collocazione alta e aristocratica, ssata nella netta separazione tra lingua parlata
e lingua letteraria è governata dall’eccellenza dello stile tragico.
Si tratta del solo trattato portato a compimento, scritto in latino in tre libri negli
anni dell’esilio.
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Inoltre, per lui, il papa e l’imperatore derivano direttamente da Dio, senza
mediazioni e la loro autorità provvede a un doppio ne: la felicità terrena e la
felicità eterna.
2. Le “Epistole” e le “Egloghe”
Dante distingue tra senso letterale e senso allegorico della visione e rappresenta
lo stato delle anime dopo la morte e il senso allegorico che presenta il destino di
castigo o grazia eterni che l'uomo consegue scegliendo, col libero arbitrio, il male
o il bene. Ai personaggi e agli episodi della Commedia, avverte Dante, sono
a dati un signi cato reale e storico e un signi cato esemplare e morale e il ne
pratico di insegnamento etico e di innalzamento spirituale è raggiunto in virtù
della congiunzione tra verità e allegoria.
6. La “Commedia”
1. Gli anni di composizione
2. Il titolo
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3 al multiplo di 3, il 9, con a volte l'aggiunta di una unità per formare il 10,
sottostanno altre simmetrie.
Nove sono le parti dei tre regni ultraterreni e in ciascun regno le anime sono
distribuite secondo un criterio di tripartizione. L'Inferno, costituito da un vestibolo
e nove cerchi (1+9), è il luogo della dannazione eterna per incontinenti, violenti,
fraudolenti. Le parti del Purgatorio sono nove, e cioè la spiaggia dove approdano
le anime, l'antipurgatorio, le sette cornici dove si «purgano» i sette peccati
capitali, con l'aggiunta, al culmine, del Paradiso Terrestre (9+1). I nove cieli del
sistema tolemaico più l'Empireo (9+1) compongono il Paradiso.
L’inferno.
Dante, smarrito in una «selva oscura» (il peccato), pensa di poter trovare salvezza
dirigendosi verso un monte che vede illuminato dai raggi del sole. Il suo cammino
è però ostacolato da tre ere che gli si parano davanti successivamente: una
lonza (l'invidia), un leone (la superbia) e una lupa (la cupidigia).
Gli viene allora in soccorso un'ombra, che si rivela essere quella di Virgilio, inviato
in suo aiuto da Beatrice e dalla Vergine.
La salvezza per lui potrà venire solo dopo che avrà percorso i regni della
dannazione e della puri cazione.
Dante rappresenta l'Inferno come una profonda voragine a forma di cono, che è
stata aperta sotto Gerusalemme da Lucifero quando fu cacciato dall'Empireo
assieme agli angeli ribelli e fu mandato a con ccarsi al centro della terra. I
dannati sono distribuiti lungo i cerchi degradanti di questo imbuto.
Primo cerchio: il Limbo, anime di bambini e adulti innocenti che non furono
battezzati. Secondo: lussuriosi. Terzo: golosi. Quarto: avari e prodighi. Quinto:
iracondi. Sesto: eretici. Settimo: violenti. Ottavo: fraudolenti che esercitarono la
loro malizia contro chi non aveva particolari motivi di darsi di loro. Nono: frode
contro chi aveva motivi di darsi di loro.
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Poi raggiungono il centro della terra e qui si capovolgono. Salgono quindi lungo
le gambe del diavolo e, dopo aver attraversato la «natural burella», una caverna
scavata nella roccia dalla natura, giungono all'emisfero australe, ove sorge la
montagna del Purgatorio, che si è formata con la terra uscita dalle viscere del
mondo al momento della caduta di Lucifero.
Il Purgatorio.
La montagna del Purgatorio ha tipogra a articolata seguendo l’ordine dei vizi
capitali.
Dopo averlo percorso, compare Beatrice. Smarrito, il poeta non può trovare
appoggio in Virgilio, che si è congedato da lui: la ragione, rappresentata da
Virgilio, ha assolto al suo u cio e d'ora in avanti il cammino dovrà essere guidato
dalla fede, cioè da Beatrice.
Il Paradiso.
Anche le anime del Paradiso, pur avendo tutte la loro dimora nell'Empireo, più o
meno vicine a Dio a seconda del grado di beatitudine di cui godono, vengono
incontro a Dante seguendo una tripartizione correlativa al loro essere stati in vita
saeculares, activi o contemplativi.
L'Inferno è il regno del male e del negativo, del buio e dell'assenza di speranza,
del supplizio e del dolore eterni.
Dante ricorre all'escamotage della profezia post eventum per cacciare nel buco
infernale, l'uno dopo l'altro, ben tre papi: uno già morto, Niccolò III, e gli
altri due, Bonifacio VIII e Clemente V, ancora viventi. Quanto distingue e separa il
Purgatorio sia dall'Inferno sia dal Paradiso è la dimensione della temporalità,
estranea agli altri due regni.
Gli incontri del poeta con le anime, incontri che spesso sono collettivi, si venano
di nostalgia e si riscaldano del sentimento dell'attesa, si stemperano nella
mestizia e s colorano di speranza.
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La cantica infernale si con gura come la più “umana”, la più vicina alle nostre
categorie di percezione del reale.
Dante supera i limiti di fronte ai quali i suoi precursori si erano fermati, che è la
poetica dell’amore-verità, dell’amore-carità dell’amore-grazia del Paradiso.
Questa forma di amore viene incarnata da Beatrice, la cui identità risulta
trasvalutata e arricchita rispetto alla giovanile esperienza amorosa al punto da
diventare gura rappresentativa della Fede.
Dal punto di vista politico vi è la con uenza di più fattori negativi: la con ittualità
fra le fazioni che costituisce il cancro intestino della civiltà comunale, la
corruzione del papato e la secolarizzazione degli ordini ecclesiastici, la debolezza
dell'impero in assenza di una sede u ciale, l'arroganza delle monarchie
emergenti e particolarmente di quella francese.
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L'ideale dantesco è il ripristino del potere delle grandi istituzioni medievali
dell'Impero e del Papato, in collaborazione reciproca, ma con rispetto delle
singole autonomie.
Il numero dei latinismi è vastissimo, siano essi della tradizione classica, siano
invece recuperati dagli autori medievali.
L'adesione al latino è più assidua nel Paradiso, sembra infatti delinearsi una sorta
di progressione lungo le tre cantiche, che può essere percepita nel passaggio dal
termine vecchio, proprio del parlato, che designa Caronte nell'Inferno, al
provenzale veglio, che nel Purgatorio determina Catone, al latinismo puro sene,
che nel Paradiso indica san Bernardo.
Dante, inoltre, è anche creatore di vere e proprie parole. Nei versi coabitano
vocaboli dialettali e lessico dall'uso lirico, parole da trivio e termini aulici, lessico
della pratica quotidiana e neologismi.
Lo schema ABA / BCB / CDC e così via mette in evidenza la particolarità del
meccanismo della terzina, secondo cui il discorso si snoda e si collega
strettamente perché dal cuore di una terzina ne nasce un'altra: il verso centrale
della prima, infatti, diventa il verso iniziale della successiva.
FRANCESCO PETRARCA
1. Dalla formazione culturale alla corona di poeta
Nasce ad Arezzo nel 1304, nel 1312 viene esillato e si trasterisce con la famiglia a
Carpentras, nei pressi di Avignone, perché il padre aveva ottenuto un incarico alla
corte di papa Clemente V.
Il 6 aprile 1327, giorno di Venerdì Santo, nella chiesa di Santa Chiara, incontra
Laura.
Prende gli ordini minori e viene assunto al servizio dal cardinale Giovanni
Colonna, in qualità di cappellano.
Dopo il 1330, si avvia una tta corrispondenza epistolare con i dotti del tempo
come lui interessati alla ricerca lologica e all'approfondimento degli studi
umanistici.
Dopo un viaggio a Roma nel 1337 prende dimora in Valchiusa. Nella quiete del
luogo, Petrarca concepisce molte delle sue opere e comincia a scrivere il De viris
illustribus, alcune poesie in volgare e il poema latino Africa.
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Il riscontro favorevole che ottengono alimentano in lui il desiderio di essere
insignito della laurea di poeta. L'opportunità gli viene o erta nello stesso giorno, il
1° settembre 1340, dall'Università di Parigi e dal Senato di Roma. Su consiglio
del cardinale Colonna, il poeta sceglie Roma e la cerimonia si svolge in
Campidoglio l’8 Aprile 1341.
2. L’Africa
Nel poema le due anime petrarchesche, quella dello studioso e quella dell'uomo
dall'interiorità complessa ed irrequieta, anziché fondersi, si fronteggiano e non
trovano un ponte che le metta in comunicazione. L'erudito umanista trasferisce in
versi di sorvegliata regolarità le proprie conoscenze storiogra che, per la
massima parte derivate da Tito Livio.
L'attenzione alle glorie del passato si traduce in magni cazione delle sorti di
Al poeta interessano non le azioni guerresche e gli atti di eroismo, ma gli stati
d’animo, le perplessità, le pene interiori dei protagonisti.
Lavorando al progetto dell'Africa, il Petrarca scrive nel 1338 una vita di Scipione
l'Africano, che costituisce il punto di partenza per una serie di ventitré biogra e di
personaggi illustri del mondo romano, da Romolo a Catone il Censore,
Nel 1347 la sollevazione popolare che porta al potere a Roma Cola di Rienzo,
eletto tribuno del popolo, sottrae il Petrarca al suo otium letterario, nella
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convinzione che nalmente si potessero realizzare una rinascita della Repubblica
Romanae e il ripristino del papato nella sua sede naturale. Così decide di
rientrare in Italia per sostenere Cola di Rienzo, ma non fa in tempo ad arrivare no
a Roma perché, giunto a Genova, è informato del fallimento dell'impresa del
tribuno.
L'anno successivo, trascorso tra Parma e Verona, è il terribile 1348 della peste
che si porta via molti suoi amici ed è anche l'anno della morte di Laura.
Qui, trascorre la parte conclusiva della sua vita, continuando il lavoro di revisione
e sistemazione di molte sue opere, fra cui anche il Canzoniere, no alla morte, nel
1374.
4. Le opere in latino
1. Le epistole
Petrarca è uno scrittore che a da la sua fama alle opere latine, che in verità
rappresentano la massima parte della sua ricca produzione, distribuendosi in vari
generi: dalla storiogra a alla loso a morale, dalla bucolica all' invettiva polemica,
all'epistologra a. La fondazione dell'«epistolario» quale genere letterario dotato di
un suo statuto autonomo si deve proprio a Petrarca.
Per numerose lettere si hanno due e persino tre redazioni che documentano non
solo aggiustamenti e ri niture formali, ma anche cambiamenti sostanziali, come
l'eliminazione di nomi, la soppressione di particolari privati, l'espunzione di
informazioni cronologiche puntuali.
Nella silloge Familiarium rerum libri (350 epistole in latino), ad esempio, il poeta
racconta l’ascesa al monte Ventoux, da lui compiuta assieme al fratello Gherardo,
Sottoposta a rimaneggiamenti dettati dalla decisione del fratello di farsi monaco
certosino, dà quindi risalto al signi cato allegorico racchiuso nella gurazione del
contrasto tra il passo spedito nel procedere verso l'alto del fratello e quello lento
che sembra trascinare verso il basso il poeta: per indicare, in
compongono la silloge Sine nomine, così intitolata perché vengono omessi i nomi
dei destinatari: per ragioni di prudenza, in quanto si trattava di lettere di
contenuto politico e ideologico, spesso fortemente polemico nei confronti del
papato e della corrotta corte avignonese. A un orizzonte di temi e di motivi
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delle Familiari ci riportano le 120 epistole distribuite in 17 libri che sono raccolte
nel volume delle Seniles.
Petrarca scrive anche una serie di 66 epistole in esametri in latino, raccolte nei tre
libri delle Epistole matrice. Esse per certi tratti si con gurano come sede di
appunti di un diario privato con la presenza anche di alcuni indugi ri essivi
prossimi alla materia e ai toni del Canzoniere.
5. Le opere morali
In De vita solitaria, tesse l’elogio di uno dei suoi miti esistenziali più
profondamente avvertiti, quello della vita solitaria. Molte a nità con questo testo
presenta il successivo De otio religioso (1347), il cui tema è quello della
celebrazione dell'ideale monastico.
Il trattato nel quale in misura più complessa Petrarca organizza l'insieme delle
sue ri essioni morali è il De remedis utriusque fortune, un libro sui due volti della
Fortuna, sulla buona e sulla cattiva.
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5. Il “Secretum”
Nel primo libro l'accusa principale che Agostino indirizza al suo interlocutore
riguarda la debolezza della sua volontà. La meditatio mortis, se da una parte
conduce alla sensibile avvertenza della miseria umana, dall'altra sollecita
l'appello alla misericordia divina, ma il distacco dalle incombenze terrene sembra
arduo da realizzarsi. La acchezza della volontà impedisce al poeta di sottrarsi ai
legami che lo avvincono ai beni terreni e di rivolgere lo sguardo al cielo.
Nel terzo dialogo Agostino mette alle strette il Petrarca, imputandogli i peccati
per lui più rovinosi: l'amore per Laura e il desiderio di gloria. Per Francesco,
Il passo ulteriore che fa Petrarca rispetto a Vita Nova è quello di abolire i raccordi
prosastici e narrativi e a dare alla sola sequenzialità dei testi lirici l'ordine del
racconto e il signi cato complessivo e coerente del discorso amoroso.
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Due sembrano essere le componenti basilari che caratterizzano un «canzoniere»:
una contenutistica e una strutturale. Al primo aspetto appartiene la peculiare
funzione di ltro lirico dell'autobiogra a di cui è investita la silloge poetica,
ordinata secondo un criterio che pone al centro la soggettività, l'io del poeta.
Suddivisione della raccolta in due parti: la prima (I-CCLXIII), «in vita di madonna
Laura»; la seconda (CCLXIV-CCCLXVI) «in morte di madonna Laura».
La prima parte racchiude le poesie che traggono ispirazione dagli amori colpevoli
per Laura e per la gloria, mentre nella seconda parte si collocano quei
componimenti in cui manifesta è la consapevolezza del valore labile ed erroneo di
quegli amori e subentra il desiderio di un riscatto interiore e di una puri cazione
spirituale. Tale obiettivo si palesa soprattutto nell'adozione tematica di due
connotazioni dell'amore estranee alla tradizione della lirica romanza.
Il personaggio centrale della raccolta, Laura, agisce a più livelli nei confronti del
poeta: sul piano sentimentale ed esistenziale suscita i suoi a anni; sul piano
conoscitivo provoca le sue investigazioni psicologiche e la sua analisi interiore;
sul piano poetico è l'ispiratrice dei versi. La sua sionomia viene scolorita nei
tratti generici e al pari delle sembianze esteriori della donna, anche la natura è
sottoposta a un processo di stilizzazione. I paesaggi sono spesso sfumati fondali,
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ricostruiti su immagini desunte e trapiantate dalla tradizione della poesia elegiaca
e bucolica.
Laura, col suo stesso nome, richiama per via allusiva, attraverso una percepibile
rete di a nità (laurea, lauro ecc.), l'altro grande desiderio mondano e dunque
l'altro peccato di cui Petrarca si sente colpevole, l'aspirazione alla gloria, il
«giovanile errore» della passione amorosa suscita un processo di immersione
nell'interiorità che tocca una serie di problemi tali da spingere il poeta oltre la
semplice registrazione dell'avventura sentimentale.
Petrarca si rivolge alla Vergine non con la tensione mistica di chi annega nel suo
grembo i propri a anni, ma con l'umiltà supplice di chi, consapevole di dover
convivere, sulla terra, con il dramma della propria anima scissa, umanamente
Tra Dante e Petrarca vi è una netta di erenza del repertorio verbale dei due.
La qualità delle scelte stilistiche di Petrarca viene meglio messa a fuoco qualora
venga integrata con le misure metriche adottate, che rispondono all'esigenza di
un livello espressivo medio, ma di ra nata stilizzazione. Notevole è l'impiego, di
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gran lunga maggioritario sulle altre strutture, del sonetto. Con la sua misura
chiusa e con il bilanciamento che impone nei rapporti interni tra quartine e
terzine, il sonetto si rivela come la con gurazione metrica più consona ad
accogliere la dialettica contrastiva dell'analisi psicologica del poeta e a
racchiuderla in una compagine di perfetto equilibrio formale.
L’avventura dei sentimenti è per Petrarca anche avventura dello stile: la poesia
come un assoluto che rispecchia e al tempo stesso riscatta il dolore della vita è
concetto che sta a fondamento del Canzoniere.
7. Il poema i “Triumphi”
Trion sta sullo scrittoio del Petrarca per più di trent’anni. Il retroterra letterario
che fa da supporto alla genesi dei Trion è costituito dalle visioni medievali e
dalla letteratura allegorico-didattica.
Petrarca sviluppa la dinamica del suo poema lungo la sequenza di sei quadri che
presentano sei successivi «trion », allineati in senso ascensionale, poiché quello
successivo indica superamento di quello precedente. Al Triumphus Cupidimis,
trionfo d'amore, ove tra le vittime d'amore rinchiuse in un carcere gura Petrarca
stesso, fa seguito il Triumphus Pudicitie, il trionfo della castità, ove i prigionieri
sono liberti da Laura.
La quale Laura, però, nel successivo trionfo, Humphus Mortis, è scon tta dalla
Morte. All’allontanarsi della Morte avanza un'imponente regina, la Fama, che, nel
Triumphus Fume, precede tre cortei, due di insigni uomini d'armi, uno di Illustri
letterati e loso . Ma nel successivo trionfo, il Triumphus Temporis, la Fama viene
vinta dal Tempo, che copre di oblio gli eventi umani. In ne sul tempo trionfa
l'eternità e il Triumphus Eternitatis celebra il trionfo della gloria di Dio.
GIOVANNI BOCCACCIO
1. La giovinezza e le opere del periodo napoletano
1. Le “Rime”
Giovanni Boccaccio nasce a Firenze nel 1313, glio di un mercante che poi si
trasferisce a Napoli e lo segue per essere avviato alla pratica della mercatura.
Inoltre, lo sguardo sensualmente attratto dal fascino delle bellezze naturali e delle
bellezze femminili caratterizza la poetica dalle soluzioni più originali di Boccaccio
lirico.
Il Filostrato, che nell' etimologia greca sta a signi care «vinto d'amore», un
poema in ottave che per argomento risale al mondo omerico, accostato però
attraverso i rimaneggiamenti dell' epica classica scritti in latino e in francese nel
Duecento e nei primi anni del Trecento.
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del suo rivale, Diomede: ma, entrato furiosamente in battaglia, è in ne ucciso da
Achille.
Gli eroi del Teseida non sono guerrieri, ma sono cavalieri che, in quanto tali, sono
principalmente al servizio di un ideale d'amore e che alla ne danno
testimonianza, attraverso il gesto magnanimo di Arcita, di un trionfo dell'amicizia.
Nel genere dell'elegia, il racconto rientra anche per la presenza di una trama non
risolta in modo de nitivo né positivamente né negativamente, come
rispettivamente è nella commedia e nella tragedia. Con una conclusione che non
conclude: la storia d’amore e, con la storia, il libro che la narra rimangono aperti.
3. Il “Ninfale esolano”
3. Il Decameron
1. La struttura del libro di novelle
della peste scoppiata nel 1348. Le cento novelle sono ripartite in dieci giornate e
ogni giornata è formata da dieci novelle, raccontate a turno dai componenti della
brigata. Sempre a turno uno dei giovani o una delle donne è nominato re o
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Dà inizio alla sua narrazione, «quasi da necessità constretto», partendo
dall'«orrido cominciamento» della rappresentazione di Firenze devastata dalla
peste: solo dalla drammatica registrazione di quell'evento può trovare
giusti cazione l'ingresso sulla scena, per contrasto, della brigata dei dieci giovani
che decidono di allontanarsi dalla città e di trascorrere nella letizia del narrare il
tempo funesto. A un'immagine di un mondo in distruzione viene contrapposta
l'immagine di un mondo che si salva, con il gruppo di giovani i cui componenti,
oltre a essere al culmine della giovinezza, si distinguono anche per bellezza,
decoro, agiatezza economica.
I dieci giovani si attengono alla ragione come metodo normativo della loro
convivenza: a un criterio di razionalizzazione risponde il sistema di ripartizione
delle giornate, con il trasferimento del reggimento alla ne di ogni giornata. La
trasgressione è consentita solamente a Dioneo, al quale viene lasciata la libertà di
esulare dai limiti tematici della giornata e viene anche concessa la facoltà di
raccontare la sua novella per ultimo.
Avviene dunque un creativo scambio dialogico in cui i giovani sono sia produttori
sia fruitori di letteratura: sono, a turno, i creatori di novelle e, sempre, il pubblico
l’uditorio.
rilievo è rimarcata dalla sua stessa collocazione strutturale, vale a dire nell’esatto
punto centrale del libro. Attraverso il racconto di Oretta vengono ssate alcune
regole fondamentali della narratologia. Indica come il ne delle novelle non sia
pedagogico o esemplare, ma essenzialmente ludico; il raccontare deve suscitare
piacere e rivela come questo piacere venga raggiunto non attraverso il contenuto
del racconto, ma grazie alla forma: meno importa quanto si racconta rispetto a
come lo si racconta.
5. Le fonti e la parodia
Ampio è il bacino delle fonti mentre Il lo conduttore più robusto e continuo che
percorre per intero il Decameron è quello della parodia, intesa come ribaltamento
comico di precedenti o fonti «alti».
6. Le scelte espressive
Attenzione sulla dinamica dei dialoghi, sul ricorso al lessico parlato, sull'adozione
di un plurilinguismo mobile ed e cace.
Cerca, inoltre, di caratterizzare l'ambientarione delle sue novelle anche per via
linguistica.
4. Dopo il “Decameron”
1. Le opere in latino
L’incontro fondamentale per Boccaccio è quello con Petrarca a Firenze nel 1350
e diventa per lui modello di vita e letterario, con il quale poi saranno ininterrotti la
corrispondenza epistolare e lo scambio di testi e codici. È un rapporto, quello tra
Petrarca e Boccaccio, non tra uguali, perché in verità il poeta aretino assume un
costante atteggiamento di superiorità, che si risolve nel considerare il sue
2. Le opere in volgare
Opera nella quale alla liquidazione di alcuni miti del passato si a anca
l'indicazione del cammino più giusto da percorrere e si veri ca l'apertura dello
scrittore verso una cultura seria, destinata a un pubblico di dotti ai quali far
pervenire i risultati della meditazione sui valori morali e i frutti di studi profondi.
Il culto di Dante. Negli anni che vanno dalla conclusione del Decameron alla
morte, l'ammirazione per Dante e la sua opera trova il suo riscontro in un assiduo
impegno di celebrazione dell'esponente più prestigioso della nuova letteratura
Il governo di Lorenzo, non segna uno stacco nella collaborazione tra politica e
cultura, ma la prosegue in termini diversi.
È innegabile che il consolidarsi del principato dei Medici modi cò nel profondo la
funzione dell'intellettuale orentino. In un primo momento egli si identi cava con
l'istituzione politica di cui era parte attiva: la repubblica, il governo democratico
della città. In seguito (cioè a partire dalla seconda metà del secolo), l'intellettuale
si realizza al di fuori della gestione diretta della cosa pubblica; egli si concede
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Gli intellettuali operanti nella prima metà del Quattrocento sono dunque ancora
molto legati alle istituzioni repubblicane di Firenze e al regime oligarchico.
1. Il ritorno di Platone
Figura di Gemisto Platone, dotto bizantino che da lezioni a Cosimo de’ Medici.
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2. Lorenzo il Magni co
1. La prima educazione e gli esordi letterari
Dall’interno della sua famiglia si può dire che gli venissero, in senso culturale,
messaggi contraddittori: da una parte Cosimo con il neoplatonismo e dall’altra
sua madre tipica rappresentante del gusto popolareggiante, semicolto, in
volgare.
2. La conversione ciniana
Compone il De Summo Bono, sei capitoli in terzine, dialogo tra Lauro (Lorenzo
stesso) e Marsilio e testimonia il rapporto profondo che si è ormai istituito fra il
giovane signore di Firenze e l’antico losofo “di famiglia”, riallacciandosi alla
cultura medicea tradizionale del nonno.
1478: momento più Cristo con la congiura de’ Pazzi in cui i congiurati decidono
di attaccare Lorenzo e il fratello Giuliano che cade assassinato.
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Lorenzo muore nel 1492, in seguito a molti lutti e dolori privati (fratello, madre e
moglie).
3. Luigi Pulci
1. Nella cerchia dei Medici: il “Morgante”
Luigi Pulci, nato da una famiglia di nobili origini ma dalle condizioni precarie; si
avvicina ai Medici. La sua formazione risente della frequenza alle lezioni orentine
del dotto umanista Bartolomeo Scala, ma di fatto le sue conoscenze si limitano ai
rudimenti del latino (appreso sui testi di Virgilio e Ovidio), e le sue letture più
approfondite riguardano Petrarca, Dante e Boccaccio.
Scrive il Morgante; una lettera del 4 dicembre 1470 sembra alludere, anzi, a un
più ampio programma di rifacimento e riscrittura dei titoli più di usi delle saghe
cavalleresche francesi.
4. L’invenzione di Margutte
L'originalità del Morgante non può essere individuata soltanto nella pur innegabile
felicità delle aggiunte originali al racconto canterino preesistente. L'originalità
dell'operazione pulciana è in realtà tutta di carattere linguistico e stilistico.
Pulci ignora il registro medio della comunicazione: ogni sua parola è drogata,
deformata, comicamente s gurata da una sorta di costante sovreccitazione
espressiva. Neologismi, modi gurati, proverbi, strambe comparazioni, allusioni
cifrate, uso straripante di lessico vernacolare e gergale: è evidente che nel
Morgante non interessa ciò che viene raccontato, ma come viene raccontato. Lo
stile, dunque, va a incidere sul contenuto.
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Gli ultimi cinque cantari del Morgante maggiore, che ne portano il segno
nell'evidente tentativo di rivincita dello scrittore, sul piano della forma come dei
contenuti. Il registro espressivo muta sensibilmente, facendosi più ambizioso,
serio e dotto.
8. La ne di Pulci
Pulci muore a Padova, durante un viaggio al seguito del suo nuovo signore, per
febbri malariche.
4. Agnolo Poliziano
1. All’ombra del “lauro”: poesia latina e volgare
Angelo Ambrosini ben presto egli diviene il più signi cativo esponente della
cosiddetta «brigata laurenziana», ovvero di quel gruppo di letterati e poeti che si
riuniscono intorno a Lorenzo il Magni co.
Molto poco usate sono invece le forme 'nobili' della canzone e del sonetto,
segno di una non volontà di misurarsi con la tradizione più impegnativa della
letteratura in volgare.
Per celebrare l'esordio mondano del giovane Medici, con un poemetto intitolato
appunto Stanze per la giostra. Si trattava in pratica di reportages sportivi, appunti
di cronaca cittadina in cui si celebravano la grandezza della città e dei suoi fasti
insieme ai nomi delle illustri famiglie orentine che partecipavano alla gara.
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Nelle sue mani la "giostra' divine un poemetto epico-mitologico, personaggi sono
radicalmente tras gurati e accanto a quelli terreni agiscono i personaggi divini,
segnatamente Amore, Venere, Marte.
Nelle Stanze Poliziano dà così perfetto compimento al suo ideale di una poesia in
volgare non inferiore, per eleganza stilistica, so sticazione formale, ra nato
intarsio di fonti, alla poesia latina, sia classica sia moderna, umanistica.
4. Poliziano professore
Numero poi assai elevato di scritti di varia tipologia. Gli argomenti a rontati sono i
più vari: l'autore corregge errori presenti nei testi classici ricorrendo a codici
autorevoli e criticamente selezionati, propone interpretazioni testuali, a ronta
questioni grammaticali, svolge indagini storiche, archeologiche e di costume.
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1. Matteomaria Boiardo
1. Alla corte degli Este: poesia latina e volgarizzamenti dall’antico
Matteomaria Boiardo nasce nel 1441 e poté godere di una solida preparazione
classica e gareggiare presto con i poeti latini della corte di Borso d'Este.
Tutta la prima parte della carriera poetica di Boiardo è decisamente inclinata sul
versante umanistico: in questi anni i scrittore si impegna a soddisfare le esigenze
culturali del futuro signore di Ferrara, Ercole d'Este, per il quale compie, sin dal
1467, numerosi volgarizzamenti di scrittori classici e medievali.
Dalla ne degli anni Sessanta, Boiardo estese la sua sperimentazione poetica alla
poesia d'amore in volgare. Il suo canzoniere (concluso entro il 1476) rappresenta,
nel panorama della lirica quattrocentesca, la ripresa più seria e consapevole del
modello petrarchesco. Si tratta infatti di un vero e proprio *libro' di rime, in cui
come nel Petrarca le singole tessere del mosaico contribuiscono a un testo
organico, continuo, compatto.
Inoltre, a di erenza che nella maggior parte della tradizione lirica in volgare,
l'identità anagra ca della donna amata, Antonia Caprara, è qui dichiarata
dall'autore stesso tramite l'arti cio di due acrostici che interessano le prime
liriche dell'opera.
Il canzoniere si divide in tre libri, corrispondenti alle diverse fasi di una vera e
propria 'storia’ d'amore: nel primo, innamoramento e conquista della donna; nel
secondo, tradimento di lei e delusione del poeta amante; nel terzo, un ritorno di
amma che chiude il libro su una nota dolce-amara, di una schiavitù d'amore
ormai subita senza illusioni e senza speranza di felicità.
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Inamoramento de Orlando sembra adeguarsi all'ultima tendenza canterina,
ovvero alla voga degli 'innamoramenti', poemetti che ormai costituivano un
genere letterario vero e proprio e che presentavano anche i più insospettabili
campioni della cavalleria soggiogati dalla passione amorosa.
Alla corte di Carlo Magno, a Parigi, dove cavalieri cristiani e saraceni, durante la
tregua di Pasqua Rosata, sono riusciti a banchetto alla vigilia di un grande
torneo. La festa viene sconvolta dall'arrivo di Angelica, una principessa orientale
di mirabile bellezza, che si o re in premio a chi scon ggerà il cavaliere che
l'accompagna, suo fratello Argalia; i cavalieri battuti e disarcionati dovranno
rendersi suoi prigionieri senza fare opposizione. Ma Angelica è, in realtà, una
maliarda incantatrice, inviata in Occidente per distruggere la corte carolingia.
Dal titolo stesso del poema, e dalla sua trama, è evidente l'invenzione primaria
che lo governa: fare innamorare Orlando, e trasformare il più casto e integerrimo
dei cavalieri carolingi, campione di un epos interamente devoto alla causa della
fede, in un amante cortese.
Poema boiardesco: che nascerebbe appunto dalla fusione' dei due maggiori cicli
medievali quello carolingio e quello bretone arturiano.
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Tratto caratteristico della narratività boiardesca, infatti, è la struttura ad intreccio
del racconto, fondata su una continua interruzione e ripresa a distanza dei vari li
narrativi.
7. Boiardo novelliere
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Importante l'opera di Jacopo Sannazaro, che muovendosi tra latino e volgare
proseguì ben addentro al Cinquecento il bilinguismo tipico del grande
Umanesimo quattrocentesco, con l'Arcadia (a stampa nel 1504), un prosimetro
che si con gura quale testo archetipo della voga pastorale che imperverserà nel
pieno Rinascimento.
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La trama dell’Arcadia è sospesa in un tempo inde nito. Il pastore Azio Sincero
lascia Napoli per recarsi in Grecia dove spera di trovare conforto alle proprie
pene d’amore. Si trova così in uno scenario idillico: i pastori-poeti d’Arcadia si
dedicano alla vita campestre, alle cacce, al pascolo e in gare poetiche.
Nell'Arcadia convivono due mondi: uno ideale, bucolico, e uno reale, quello della
corte napoletana cui rimandano continui riferimenti del testo.
LUDOVICO ARIOSTO
1. Alla scuola dell’Umanesimo ferrarese
Ludovico Ariosto nasce a Reggio Emilia nel 1474. Frequenta no al 1494, per
volere del padre, corsi di legge allo Studio di Ferrara, ma senza grandi risultati. Ci
sono giunte invece notizie di una sua precoce partecipazione alla fervida vita
teatrale che ruota intorno alla corte estense; nel 1494 poi comincia la propria
educazione umanistica. Di questo suo apprendistato sono frutto i Carmina in
latino e poi in lirica in volgare le Rime.
La varietà delle forme metriche, a cui si aggiunge quella dei temi, non soltanto
amorosi e autobiogra ci ma, appunto, anche politici e cronachistici, avverte già
che siamo molto lontani da un petrarchismo “ortodosso” e dai metti fantasiosi
della lirica propriamente “cortigiana”.
Nel 1503 Ludovico entra al servizio del cardinale Ippolito d'Este, fratello del duca,
Anni di un'intensa attività diplomatica al servizio del duca Alfonso, che si serve
dell'Ariosto come mediatore nella drammatica crisi che oppone il ducato estense
al papa Giulio II.
A questa satira ne seguiranno altre sei poi pubblicate tutte insieme postume.
Trova nella forma della satira (in volgare nello stampo dell'epistola in terzine) il
veicolo adatto per esprimere, con autobiogra ca immediatezza, la propria
frustrazione: si pro la un «Ariosto morale», ironico, amaro, spesso spazientito
commentatore, nella prima come nelle altre sei satire che seguiranno, dei costumi
del suo tempo.
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condizione di precarietà e di una più grande crisi: quella che attraversa ormai
irreversibilmente, nell'età delle guerre d'Italia, le corti della penisola,
sconvolgendo il paci co assetto del sistema d'equilibrio quattrocentesco.
Nel 1518 l'Ariosto torna al servizio cortigiano, stavolta alle dipendenze del duca
Alfonso. Pubblica la commedia dei Suppositi e il Negromante.
Nel 1528 viene nominato sovrintendente agli spettacoli ducali, il che gli ispira un
fruttuoso ritorno al teatro, soprattutto, attende a una nuova, ampliata
edizione del Furioso, dopo quella del 1521, che si era limitata a una sommaria
ripulitura linguistica in senso toscano. La terza edizione del poema, in
quarantasei canti esce così nel 1532.
In questo senso Ariosto continua Boiardo, non solo perché riprende le la della
trama lasciata interrotta nel suo incompiuto Innamorato, ma anche perché ne
eredita l'arti cio narrativo fondamentale: quello di avere trasportato la «recita»
delle avventure cavalleresche dalla piazza dei narratori canterini all'interno della
corte, invitata a rispecchiarsi nei valori cortesi celebrati dal racconto. Con un
registro morale più pronunciato.
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L'Orlando furioso non si può riassumere. Non soltanto per l'in nita varietà di
episodi personaggi, accadimenti, ma perché l'intenzione del resto, concretizzata
nella sua peculiare costruzione narrativa a intreccio, è quella di non farsi ricordare
dal lettore, ma di smarrirlo, invece, nei labirinti del racconto.
9. Le novelle e il romanzo
Ariosto eredita la peculiare tecnica narrativa del suo romanzo dal Boiardo.
Boiardesca è la nzione di un racconto 'recitato’ da un poeta-performer di fronte
ad un pubblico cortigiano; boiardesca è, di conseguenza, la trasformazione dei
canti in vere e proprie sessioni di recitazione, così come il costume di rivolgersi
direttamente al pubblico all'inizio dei canto, nei proemi, e alla ne, nei congedi;
boiardesca è la procedura d'interruzione del racconto in suspence; e, in ne,
sempre dall'Innamorato l'Ariosto deriva l'arte di incastonare racconti più brevi -
novelle - all'interno dell'intreccio romanzesco.
Sembra, inoltre, innegabile che Ariosto abbia disposto le sue 'storie dentro la
storia' in una progressione studiata e intenzionale. Si parte infatti nei primi canti
con novelle molto legate alla trama romanzesca, tanto da aspettare da quella
trama, come già detto, il loro nale, si procede con novelle compiute, ma legate
al romanzo da rapporti stretti di causalità, per giungere, nella seconda parte
dell'opera, a novelle che hanno rapporti soltanto tematici con la ‘cornice’
romanzesca, ma i cui personaggi nascono e muoiono nello spazio della novella,
non ria orando più sul piano del romanzo.
Poi vi sarà il lungo frammento dei Cinque Canti pubblicato postumo, e del quale
sono tuttora sotto discussione tanto la data di composizione quanto il rapporto
col poema. Rappresentano un frammento non soltanto stilisticamente più opaco
e più spento rispetto al Furioso, ma anche dominato da presenze negative, da
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comportamenti falsi e immorali: la trama è attivata dal risentimento delle Fate
contro i cavalieri cristiani e vede in primo piano l'Invidia e il Sospetto.
Gli ultimi, tranquilli anni ferraresi vedono tornare l'Ariosto non solo sul suo
poema, ma anche sulle sue commedie. La Cassaria (1508) e i Suppositi (1509) in
prosa vengono adesso riscritte in endecasillabi sdruccioli sciolti; il Negromante
(1520) viene ripreso e completato, sempre in versi; a queste si aggiunge una
nuova commedia originale, la Lena.
NICCOLÒ MACHIAVELLI
1. Il segretario orentino
Niccolò Machiavelli nasce a Firenze nel 1469 da una famiglia della borghesia
intellettuale cittadina. Studia la grammatica latina. Viene chiamato nel 1498 a
reggere la seconda cancelleria del Comune e così accumula una notevole
esperienza politica.
Passa anni in viaggi, commissarie, missioni speciali e in questi anni, oltre alla
corrispondenza continua con i suoi superiori orentini, scrive anche opuscoli di
ri essione politica pi distaccata, non immediatamente funzionali ai suoi impegni
di lavoro.
I Discorsi invece, tenendo fermo l'obiettivo sugli «ordini», cioè sulle istituzioni
dello stato, puntano a individuare i fattori di durata dello stato stesso,
continuamente prendendo spunto dalla storia di Roma.
Può essere scandito in quattro parti, di assai diseguale lunghezza: dal I all'XI
capitolo, dove si esamina dettagliatamente la varia tipologia de principati
(ereditari, misti, nuovi, civili, ecclesiastici); dal XII al XXIV, in cui si considerano le
«o ese e difese», cioè le ragioni di forza o di debolezza degli stati, con speciale
attenzione al tema delle armi e della «virtù» del principe; il capitolo XXV, che
a ronta il tema della fortuna; il XXVI, consistente nell'esortazione nale a liberare
l'Italia dai barbari.
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Nella storia del teatro comico rinascimentale, la Mandragola rappresenta lo
scarto più decisivo rispetto al modello classicistico ariostesco, procedendo
verso una modernità inedita di situazioni e di linguaggio. Le sue stesse fonti sono
tutte volgari, giacché si rifanno alla novellistica boccaccesca invece che al teatro
greco o latino: segnatamente, la trama presenta molte a nità con quella della
novella VI della terza giornata del Decameron, da cui deriva il motivo della
sostituzione di persona durante il convegno amoroso, nonché quello del nale
arrendersi della donna alla maggiore e cienza erotica dell'amante rispetto al
marito.
Rispetto alla Mandragola, e alla sua indubbia originalità, pesa sulla seconda
commedia del Machiavelli, la Clizia, il pregiudizio di derivare dalla Casina di
Plauto.
Scrittura creativa, ri essione politica, storiogra a vengono così a strati carsi nella
carriera di Machiavelli secondo tempi diversi, ma anche largamente sovrapposti,
nendo col comporre un' esperienza umana e letteraria di straordinario spessore
e complessità.
7. La ne di Machiavelli
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FRANCESCO GUICCIARDINI
1. Avvocato, ambasciatore, uomo politico: l’ascesa pubblica di
Guicciardini
Francesco Guicciardini nasce a Firenze nel 1483, padre fedele sostenitore dei
Medici che ricopre anche importanti cariche politiche.
Dimostra da subito una forte ambizione politica che lo induce a dedicarsi agli
studi giuridici, prima a Firenze, poi a Ferrara e a Padova.
Intraprende con successo la sua carriera di avvocato anche contro il volere del
padre e ottiene il mandato di ambasciatore della Repubblica presso il re di
Spagna. La legazione è l'occasione per la stesura di alcuni scritti, tra cui si
ricorda il Discorso di Logrogno, una prima, lucida analisi della crisi politica
orentina. A questo periodo spagnolo risale anche il primo nucleo dei Ricordi, la
cui composizione accompagnerà tutta la vita dello scrittore.
Le sue opere siano in massima parte opere "segrete”, non destinate alla
pubblicazione. L'unica scritta per essere divulgata è, infatti, la Storia d'Italia; ma
la più famosa, i Ricordi, arrivò alla stampa nel Cinquecento solo fortunosamente,
in miscellanee di massime circa il governo dello stato e le regole del vivere
politico e varie altre opere private destinate a non uscire dagli scrittoi e dagli
archivi familiari. In particolare i trattati politici derivano la loro 'non pubblicità' dal
lacerante contrasto fra il pensiero politico che rappresentano e le funzioni
pubbliche rivestite dal loro autore.
Nel pur articolato ventaglio di soluzioni istituzionali che Guicciardini immagina per
la sua città non c'è mai posto per un principato, sia pure mediceo. La sua
proposta contempla un contemperamento di poteri che se da una parte rimanda
al moderno modello veneziano e alla sintesi delle forme classiche di governo
(monarchia, oligarchia, democrazia), dall'altra tiene ben presenti le concrete
condizioni civili e istituzionali di Firenze.
5. I “Ricordi”
Distruzione, inoltre, del principio di causalità: non si può mai essere sicuri del
perché un evento succeda ad un altro, e quindi è impossibile dedurne leggi sse
di funzionamento, che possano essere formalizzate e praticamente applicate.
Tuttavia, questo pessimismo nelle possibilità di antivedere gli sviluppi della storia
non si traduce mai in puro e semplice fatalismo: al contrario l'uomo, proprio
perché messo a confronto con una realtà elusiva e illeggibile, dovrà sforzarsi di
usare il proprio «accorgimento», «pesando bene ogni cosa benché minima»,
ovvero a nando la capacità di lettura della singola e pratica circostanza.
6. La ne di Guicciardini
7. Guicciardini storico e la “Storia d’Italia”
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Essa ha caratteristiche che la allontanano dalla cultura umanistica.
La lezione però non è solo quella dell'impotenza umana; non solo una lezione di
Si ritorna comunque alla concezione umanistica del valore morale della storia:
una storia che forse non insegna più a vivere, ma induce l'uomo ad acquistare
coscienza del valore intrinseco della propria esistenza.
È Bembo, invece, che con l'esempio prima delle rime raccolte negli Asolani
(1505), un dialogo sull'amore inframmezzato di poesia e di prosa, e poi col suo
canzoniere (Rime, 1530) traccia la strada della nuova lirica cinquecentesca,
caratterizzata da un'imitazione stretta dell'unico modello petrarchesco. In breve,
scrivere sonetti in stile petrarchesco diventò per i letterati italiani l'esercizio più
comune di addestramento alla lingua è alla letteratura patria.
La voce della svolta vera e propria però è quello di Giovanni Della Casa che
rinnova soprattutto attraverso un ricorso sistematico all'enjambement e l'impiego
di una sintassi di grandioso respiro oratorio; tematiche e contenuti.
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In Della Casa infatti culmina un processo di drammatizzazione del petrarchismo
in atto durante tutto il secolo: più che l'amore in questo lone ‘grave' della lirica
cinquecentesca contano i temi esistenziali, di amara e sconsolata ri essione sulla
vita e sul destino dell'uomo.
TORQUATO TASSO
1. Gli esordi: dal “Gierusalemme” al “Rinaldo”
Torquato Tasso nasce nel 1544 a Sorrento e si sposterà a Roma, Pesaro, Urbino
e Venezia. Qui fa il suo esordio nell'epos con le 116 ottave del Gierusalemme. Si
tratta di un frammento rimasto incompiuto e clandestino, ma importante a
testimoniare la precocità dell'idea di un poema eroico ispirato alla gloriosa
materia della prima Crociata.
Nel 1562 esce la sua prima opera a stampa: il Rinaldo, un poema nemente
bilanciato fra omaggio all'avanguardia aristotelica e classicheggiante, e fedeltà al
retaggio romanzesco del genere. Nello stesso anno vengono concepiti anche i
primi nuclei dei Discorsi dell'arte poetica: un momento necessario di ri essione e
chiari cazione teorica, in vista del nuovo, impegnativo progetto di un poema
epico sulla Crociata.
Si trasferisce poi a Ferrara, la capitale per eccellenza del gusto cavalleresco. Qui
coltiva i generi caratteristici del più ra nato gusto cortigiano: la poesia lirica che
nella forma del madrigale è destinata anche all’accompagnamento musicale; e il
teatro, infatti nel 1573 pubblica l’Aminta una favola pastorale in cui culmina la
2. A Ferrara: “l’Aminta”
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Nell'Aminta il numero e l'ampiezza tipologica dei richiami non lascia adito a dubbi
circa l'allusività della pastorale: dietro ai personaggi della favola si celano infatti
ben note gure di letterati, poeti o semplici cortigiani ferraresi.
Dal punto di vista delle fonti, ricava numerose suggestioni da autori classici e
umanistici, oltre che da una più speci ca tradizione rappresentativa ferrarese.
La favola si articola infatti in due parti ben de nite. Nella prima parte, ad
annodare l'intrigo sono i maturi consiglieri, Tirsi e Dafne, quali usano invano la
loro esperienza per vincere le ritrosie di Aminta e Silvia. Nella seconda parte,
escludendo i meccanismi comici, lascia l'iniziativa nelle mani della fortuna, che
Al centro di tutta la sua attività letteraria c’è il poema della Crociata. Esso è
insieme un concreto progetto poetico e il sogno di emulare lo straordinario
successo del più popolare classico moderno, l'Orlando furioso ma con un poema
aggiornato alle richieste di una cultura ben più esigente e teoricamente agguerrita
rispetto a quella della rifondazione letteraria primo-cinquecentesca.
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Gierusalemme conquistata è modellata sull'esemplare omerico dell'Iliade, in una
ricerca di grandiosità classicista e di formale ortodossia epica in cui non c'entra
tanto la Controriforma, quanto un gusto poetico ormai radicalmente mutato.
L'assedio di Gerusalemme è ora lucidato attentamente su quello di Troia; i
personaggi sono sovrapposti studiosamente, uno per uno, a quelli dell'Iliade.
I venti canti della Gerusalemme si possono dunque dividere, rispetto alla trama
appena vista, in tre blocchi strutturali: la sacca centrale di eventi negativi (IV-XIII)
e le ali laterali di eventi positivi (I-III e XIV-XX). Nel primo blocco, i crociati
riprendono la guerra dopo un periodo di crisi. Col canto IV entrano in gioco le
forze dell'Inferno, che condizionano la guerra danneggiando i cristiani.
Tra la ne del XIII e l'inizio del XIV le sorti del con itto giungono ad una
svolta. Dunque, la favola del poema presenta una struttura bilanciata sul piano
delle quantità complessive (fase positiva: 3+7 canti; fase negativa: 10 canti) e
asimmetrica sul piano degli sviluppi narrativi (3+10+7). Non a caso, il Tasso, in
una delle Lettere poetiche.
Tasso articola il fronte nemico che Go redo deve combattere distinguendo tra
«l'Inferno», «d'Asia e di Libia il popol misto» e, in ne, i «compagni erranti», da
ricondurre sotto i «santi segni» della Crociata. Dunque, Go redo a ronterà non
soltanto il nemico ovvio, visibile, costituito dalla coalizione degli infedeli di
Palestina e d'Egitto, ma anche quello invisibile e soprannaturale costituito dal
diavolo stesso e dalle forze demoniache («l'Inferno») nonché quello, più segreto e
problematico, che si incarna nella riottosità indisciplinata dei suoi stessi
compagni, tutt'altro che compatti sotto il vessillo dell'impresa sacra, e
continuamente bisognosi di essere ricondotti alle ragioni prime, etiche e religiose,
della Crociata. Dunque, su un fronte bellico, esterno, terrestre; un fronte
meta sico, cosmico; un fronte interno, più squisitamente etico-politico.
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Lo scontro fra le due cavallerie, tuttavia, non oppone soltanto pagani da una
parte e cristiani dall'altra, ma attraversa anche lo schieramento cristiano,
incrinandone la compattezza ideologica e aprendo proprio quel terzo fronte di
con itto (i «compagni erranti».) che si è sopra indicato.
Anche all'interno del campo cristiano, il movimento del racconto nasce proprio
dall'«erranza» dei cavalieri, ovvero dalla loro resistenza al moto centripeto della
Crociata in nome della fascinazione centrifuga dei valori cavallereschi tradizionali:
brama di onore individuale, spirito di avventura, vulnerabilità alla passione
amorosa. Ed è proprio questa dialettica che riassorbe all'interno dell'unità epica
del poema anche la varietà romanzesca: demonizzata, però, manipolata come
tentazione fuorviante o come vera e propria insidia demoniaca.
Cioè che rende la Liberata un poema moderno capostipiti di una nuova sensibilità
è la compenetrazione e mera e perennemente irrisolta di due impulsi opposti:
l’edi cazione di una struttura inedita in cui si alternano e s’intrecciano momenti
lirici e momenti eroici.
7. I personaggi
1. Nel campo cristiano
All'interno di un sistema testuale costruito sulle discontinuità emotive, sui con itti
che governano i sentimenti degli attori in scena, i personaggi acquistano una
consistenza psicologica e sentimentale no ad ora sconosciuta. Essi diventano
caratteri a tutto tondo, in cui collidono e si chiari cano le varie facce del
bifrontismo tassiano.
Poi c’è Tancredi: crociato pressoché perfetto, non fosse per il «folle amor» che ne
inquina la sincera dedizione alla causa. Innamorato di Clorinda, una valorosa
guerriera pagana, in lui la passione si con gura come una sorta di mancamento
interiore, di paralisi, di debilitazione d'ogni forza.
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2. Nel campo pagano
Dentro Gerusalemme stanno asserragliati i pagani. Alla guida della città troviamo
l'anziano re Aladino, un crudele monarca la cui ferocia si è in parte mitigata con
gli anni, ma comunque sempre capace di esercitare duramente il suo potere.
Aladino non può vantare alcun tipo di ascendente etico-religioso sulle sue truppe,
costituite da una congerie disomogenea di popoli e mercenari, nendo col
recitare nel poema una parte secondaria. Al anco del re vediamo il negromante
Ismeno, animatore del soprannaturale di matrice diabolica.
Tra i pagani poi i due campioni Argante e Solimano e tre gure femminili, titolari
delle storie d’amore che s’infrangono sulla barriera insormontabile della diversità
etico-religiosa: Clorinda, Erminia e Armida.
Come aveva scritto nel terzo dei Discorsi giovanili, infatti, l'epica richiede uno
stile magni co che all'occorrenza, secondo la sionomia della materia, sappia
ettersi verso l'abbondanza di ornamenti della lirica o la semplicità della tragedia:
non, dunque, lo stile mediocre, o addirittura comico, di tanta poesia cavalleresca,
ma uno stile complessivamente alto sebbene non uniforme.
Sul piano retorico, Tasso ricorre preferibilmente ad alcune gure speci che, quali
ad esempio l'ossimoro, il parallelismo, il chiasmo e l'iperbato: gure di doppiezza
o di dissonanza, che ben si accordano a quel sistema di con itti su cui si fonda il
poema.
Una volta uscito dal carcere Tasso riprende in mano il testo e gli dà forma
compiuta col nuovo titolo Il Re Torrismondo, che esce nel 1587, con dedica al
suo liberatore Gonzaga. La favola descrive i tormenti del re di Gozia Torrismondo,
diviso tra l'amore per Alvida, glia del re di Norvegia Araldo, e la lealtà verso
l'amico Germondo, re di Svezia, innamorato anch'egli di Alvida.
Tasso incrocia nel Torrismondo due tragedie diverse, rispondenti a due diverse
problematiche morali. Da una parte c'è la tragedia "cavalleresca", che vede il
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protagonista lacerato fra gli obblighi dell'amicizia e dell'amore: è una tragedia
tipicamente cortese, in cui si a rontano Amore e Onore e nella quale è messa a
repentaglio l'integrità della gura di Torrismondo come cavaliere e come principe.
Dall'altra parte c'è la tragedia basata sull'incesto, e per di più sull'incesto
inconsapevole: Alvidia è anche sorella del protagonista.
A livello della materia, Tasso valorizza l'importanza del vero come base
imprescindibile dell'epica, e orienta le componenti di quest'ultima (storiche e non)
alla produzione di una piacevole meraviglia. In pratica, da una parte accentua la
propria fedeltà alle fonti cronistiche, dall'altra suggerisce un sovrasenso
allegorico-religioso dietro gli episodi inventati.
A livello della favola, Tasso cerca di acquisire linearità narrativa ponendosi ancora
più precisamente sulle tracce dell'Iliade. A questo scopo, aumenta il numero delle
partizioni da 20 canti a 24 libri; inoltre, modi ca lo scheletro della Liberata con
veri e propri calchi dell'Iliade, incrementando l'apparato epico attraverso la
riduzione, anche se non l'eliminazione, degli episodi amorosi, e soprattutto
cercando una minuta corrispondenza di personaggi ed eventi tra la sua nuova
favola e quella omerica.
LA CULTURA BAROCCA
Il Seicento fu un secolo ricco di spinte innovative, segnato dalla volontà di
di erenziarsi dal periodo precedente e dalla consapevolezza che una nuova era
prendeva avvio. Questo non signi cò rinnegare il passato, anzi, in ogni ambito gli
esponenti di spicco della cultura di questo secolo tennero in conto la lezione
degli antichi; il desiderio di sperimentare sorgeva sul fondamento di una
tradizione venerata, ma molte novità, quali gli sviluppi della stampa, gli apporti
dal nuovo mondo, un sistema di e cienti comunicazioni epistolari, nuove
conoscenze naturali, portavano a innovare in ogni campo.
1. Le istituzioni
1. I luoghi del sapere
Poli culturali sono nel Seicento ancora le corti. Centri di potere assoluto, si
servono tuttavia del prestigio che le lettere, le arti e gli spettacoli possono o rire,
e coltivano di conseguenza le attività culturali e artistiche.
Il libro stampato non è più un prodotto raro. In forme molto piccole e per soggetti
di interesse molto largo raggiunge anche un pubblico popolare. Venezia è sempre
uno dei centri più importanti del mercato librario in Europa, ma Amsterdam ha
ormai il primato. Si pubblicano molti libri illustrati, che servono per la propaganda
di collezioni museali, di corti in ascesa e in cerca di prestigio, di nuovi ordini
religiosi.
2. La Chiesa
Roma è il punto di raccolta delle forze più vive e attive del mondo ecclesiastico
sia per essere il centro della cristianità. Forte della riforma avviata con il Concilio
Nel mondo cattolico, però, a causa della censura che grava sulla produzione
libraria e per il divieto di tradurre e discutere il testo biblico in volgare, viene a
mancare quel fecondo rapporto tra fede e conoscenza che aveva rappresentato
la vitalità dell'Umanesimo italiano.
Il ritorno alla scolastica prevale su una spiritualità più interiore, inoltre, la Chiesa è
tutt’altro che uniforme, al suo interno vi sono correnti e voci plurime, a volte in
netta divergenza.
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L'impegno della Chiesa è volto anche a formulare degli indirizzi culturali. Accanto
al controllo sui libri si hanno metodi propositivi, che suggeriscono, guidano e
indirettamente disciplinano.
3. La corte e le città
Se la religione è uno dei poli della cultura barocca, l'altro è la politica. La corte
nell'età dell'assolutismo irradia splendore e potere, prestigio e onore. È il centro
da cui dipendono le sorti dei singoli e dei popoli, quello su cui non vi sono
meccanismi di controllo. Ma le corti italiane hanno perso quel primato che
avevano ancora nell'Europa del Cinquecento e vivono di ri esso le decisioni
prese altrove, nelle grandi corti di Madrid, di Parigi o di Londra.
Poi Napoli e Milano, legate dallo stesso controllo spagnolo, conoscono all'inizio
del Seicento un'intensa attività culturale, ma sono coinvolte nell'inesorabile
decadenza dell'Impero che le governa e vedono nel secolo declinare le loro
risorse umane ed economiche.
Nella sua università, a Padova, vige una libertà e una circolazione di idee ignote
negli altri stati italiani.
Nel Seicento Venezia conosce una straordinaria oritura delle arti gurative, della
musica e dello spettacolo, per cui continua ad attrarre stranieri, riuscendo ad
amalgamare le novità importate con la propria cultura. Così maschera il declino
economico e politico, in cui sta inesorabilmente scivolando dopo l'apertura
Tramontati centri come Mantova, Ferrara, Urbino, già irraggianti cultura nel
Rinascimento, ora relegati ai margini, solo Firenze, tra le vecchie signorie,
conserva un suo primato culturale cui contribuiscono ancora i Medici.
Nel Seicento si pratica moltissimo l'arte e mera delle feste di corte e sacre.
4. La lingua
Il grande evento linguistico del Seicento italiano è la pubblicazione, nel 1612, del
primo Vocabolario dell'Accademia della Crusca.
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Il criterio estremamente selettivo della Crusca dà subito adito a opposizioni e
polemiche dei non toscani contro le ristrettezze della scelta.
Il volgare viene accolto pure in quegli ambiti che erano tradizionale prerogativa
del latino, come nel campo della comunicazione scienti ca, storica e giuridica.
2. La periodizzazione
I caratteri più marcati del Barocco sono la ricerca del nuovo e l'e etto della
meraviglia, l'inedito e il bizzarro, la cui ricerca esasperata si sottomette al gusto
del fruitore. Entra infatti nelle scelte degli scrittori un nuovo criterio: il giudizio e il
gusto del pubblico. Per l'allargarsi del consumo e della circolazione librari, per le
mutate condizioni del mercato, si presta nuova attenzione alle reazioni dei lettori.
Nella crisi del rapporto fra natura e ragione si individuano nuove sistemazioni
della conoscenza, l'«ingegno» diventa la facoltà protagonista, perchè sintetica e
aggregatrice.
POETICHE E RETORICHE
In poesia si tratta di scelte più sperimentate che teorizzate, in prosa più frequenti
sono le prese di posizione teoriche. Si confrontano uno stile variato ma
controllato, uno stile laconico e spezzato, e uno stile orito ed esuberante.
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Nonostante le frequenti proposte classicheggianti, il distacco ultimo dal Barocco
si compie solo sullo scorcio del secolo, quando nel clima prearcadico si rinnova il
linguaggio poetico con il richiamo al «buon gusto» e alla tradizione.
1. Il Manierismo
2. Il Barocco
1. Meraviglia, metafora, concetto, acutezza
La curiosità diventa una virtù che aiuta a evadere dal prevedibile. Il nuovo,
I’eccesso, l'insolito, lo strabiliante, sono ricercati per causare e etti di meraviglia
e di stupore.
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Sull'impegno etico della poesia, sul docere, prevale il soddisfacimento, il
delectare.
Sulla base della metafora si creano i «concetti»», una parola chiave della retorica
e della poetica barocca, usati nell'oratoria, in poesia, in ogni forma letteraria e
comunicativa. «Concetto» nella retorica barocca indica un argomento arguto.
Le manifestazioni del Barocco non sono uniformi, perché la ricerca del mirabile e
dell'inedito, l'impiego di concetti e acutezze devono fare i conti con chi si appella
ai canoni di giudizio della tradizione classica, alla misura, all'equilibrio, al valore
etico della parola.
1. Galileo Galilei
1. Dagli studi pisani al “Sidereus nuncius”
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Con la nuova epistemologia cambia anche il comportamento dello scienziato,
che, da decifratore dei segni che la natura gli o re da interpretare e su cui
esercita un potere magico, passa al rispetto di essa, alla fede nella semplicità e
regolarità delle sue leggi, che non sono più dominabili in toto dall'essere umano,
ma conoscibili in piccole, minute parti.
Galileo (1564-1642) si iscrive alla Facoltà di Arti dell'Università di Pisa, dove non
portò a termine gli studi per la precoce disa ezione verso la scienza tradizionale
e il suo insegnamento. Si avvicinò invece alla letteratura e allo studio della
geometria, e compose studi su Dante, postillò Petrarca, Ariosto e Tasso.
Nell'estate del 1609 costruì il suo primo telescopio, strumento che ebbe un
impatto straordinario sulla cultura dell'epoca, e che egli conobbe tramite notizie
provenienti dall'Olanda, lo potenziò e lo migliorò.
Viene poi chiamato a Firenze nel 1610 come matematico e losofo di corte e in
seguito a Roma.
Fu ricevuto dal papa ed ebbe confermate le sue osservazioni dal Collegio dei
gesuiti. Non mancarono indizi di dubbi, ma Galileo era troppo preso dal valore di
ciò che proponeva per accorgersi del pericolo in cui incorreva nel promuovere
l'abbandono del sistema tolemaico per quello copernicano.
Nel viaggio romano, inoltre, gli fu o erta anche l'iscrizione all'Accademia dei
Lincei.
Nel 1613 uscì, con il contributo dei Lincei, la Istoria e dimostrazioni intorno alle
macchie solari.
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Galileo dimostrava l'appartenenza del fenomeno alla super cie solare, arrivando
a calcolare, attraverso il loro moto regolare, il periodo del movimento di rotazione
del Sole intorno al proprio asse. Ciò in ciava ancora una volta la tesi aristotelica
dell'incorruttibilità dei corpi celesti. Contro questa quindi non mancarono gli
oppositori.
Galileo, inoltre, era convinto di avere una missione da svolgere all'interno della
Chiesa, quella di innovare il sapere aprendosi a una cultura al passo dei tempi,
aggiornando il paradigma aristotelico con l'accoglimento delle nuove
conoscenze.
4. Il “Saggiatore”
Nel 1616 scrive il Discorso del usso e re usso del mare, in cui spiega il
fenomeno delle mare sulla base del movimento terrestre, ma non lo potè
pubblicare.
riconosciuta dai gesuiti come sintesi della posizione degli scienziati del Collegio
Romano.
Il saggiatore, assai sprezzante verso l’autore della Libra, non nasconde l’intento
polemico.
Prese il via la scrittura del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo,
tolemaico e copernicano, che rispondeva all'idea, a lungo coltivata, di
confrontare e provare la validità della tesi copernicana.
Egli porta nel dialogo sia la fervida passione per la conoscenza che era del vero
Sagredo sia la «rapidità arguta» e l' «agilità del ragionamento» proprie di Galileo.
Simplicio è lo sciocco e ostinato difensore delle tesi aristoteliche.
Simplicio rappresenta i più dogmatici tra gli aristotelici e il suo stesso linguaggio
lo rende oggetto di be a.
La ssità del suo sistema non gli consente nessuna mobilità, nessuna ironia,
mentre le battute ironiche e le occasioni di comicità alle sue spalle sono
numerosissime.
6. Le lettere
Sant'U zio incolpa Galileo di ben otto capi di accusa, che riguardavano la
presentazione della tesi copernicana, l'irrisione della loso a tradizionale, la
parità tra intelletto umano e divino.
Galileo tentò in ogni modo di evitare il viaggio (era ormai settantenne e in cattiva
salute), ma dovette cedere e presentarsi a Roma, dove ricevette in ne una
condanna assai più dura di quanto si aspettasse: doveva abiurare, subire una
pena detentiva, impegnarsi a non trattare più della mobilità della terra e della
stabilità del sole. Il Dialogo venne proibito, l'eliocentrismo, per espressa
dichiarazione papale, fu considerato contrario alla fede, quindi eretico.
Nell'abiura, accettata senza resistenza da Galileo, fallivano tutte le speranze di
rinnovare il sapere fondandolo sulla conciliazione della nuova cosmologia con le
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Sacre Scritture. Alla ne del 1633 gli venne consentito di tornare a casa, ma con il
divieto di ricevere visitatori.
GIAMBATTISTA MARINO
Nel panorama letterario del Seicento Giambattista Marino è gura preminente, in
quanto furono le sue scelte a fare scuola e a determinare il gusto del secolo.
Formatosi nella Napoli di ne Cinquecento, fortemente in uenzata dall'eredità di
Tasso, Marino conobbe i centri culturali più attivi all'epoca: Roma, Venezia,
Bologna, Torino, approdando in ne a Parigi. La sua raccolta di liriche, La lira, fu
tanto ammirata da lasciare un seguito di imitatori de niti poi marinisti; le sue
Dicerie sacre determinarono una svolta nel modo di predicare; l'idillio si può dire
una sua invenzione; La galeria creò un nuovo modo di abbinare pittura e poesia;
L'Adone in ne ebbe larghissima fortuna in Italia e in Europa e rappresentò il
poema del secolo, oltre che il superamento de nitivo dell'epica.
1. Da Napoli a Parigi
Si trasferisce a Roma e lì approntò una raccolta di liriche che portò a Venezia per
seguirne la stampa presso il più importante editore del tempo. La pubblicazione
nel 1602 delle prime due parti delle sue Rime, ristampate poi con la terza parte
con il titolo La lira (1614), costituiscono il primo evento letterario signi cativo del
Seicento lirico, oltre che un indiscusso e immediato successo per il poeta.
Le rime si caratterizzano per le catene di metafore, per arditi concetti, per gli
e etti cromatici e soprattutto fonici. Nuovi poi sono alcuni temi ricorrenti, come la
predicazione della donna in varie attività, o la canzone e i madrigali dei baci.
2. “La Lira”
La lira uscì sia in edizione singola sia riprendendo i primi due volumi di rime già
edite. Questa terza parte, costituita da altre tre centinaia di componimenti di varie
forme metriche, si suddivide in Amori, Lodi, Lagrime, Divozioni, Capricci.
Si tratta di un canzoniere frammentato, per cui è di cile ricostruire la cronologia
dei componimenti.
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La volontà di sperimentazione, coniugata con una straordinaria padronanza del
linguaggio poetico.
Senza arti ciosità, senza virtuosismi, senza asprezze giunse a risultati mirabili
grazie alla padronanza della retorica e della metrica e a una naturale musicalità
della sua parola.
Nei versi ricerca un piacere che mira all' e etto intellettuale di sorpresa oltre a
quello melodioso.
I numerosi madrigali indicano come Marino abbia trovato una sua forma
espressiva, giocando con forme più arti ciose, che avranno un enorme successo
presso i musicisti.
Le rime di Marino, che divennero presto rappresentative del gusto lirico del
secolo, sono in realtà caratterizzate da equilibrio ed eleganza nell'uso della
metafora, dalla rinuncia agli estremi gradi del concettismo.
3. Le “Dicerie sacre”
Uscirono le tre prediche ttizie che costituiscono le Dicerie sacre. Esse non
ambiscono a una funzione liturgica ma appartengono a tutti gli e etti all'oratoria
La Galeria è una sorta di poesia encomiastica diretta d artisti. Mette a segno una
particolare retorica delle immagini sfruttando il suo creativo amore per le arti
gurative.
5. “L’Adone”
Marino si dedica a elaborare una favola mitica, per farne un poema alternativo al
successo tassiano.
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Se inizialmente L'Adone si presenta come un possibile Idillio, già nel 1614 Marino
esprime con chiarezza l'intenzione di farne un «nuovo genere non più tentato da'
volgari».
L'esile trama mitologica, viene arricchita con molti inserti di episodi correlati e
altre favole. L'eroismo è a dato al tema amoroso con una sorta d'inversione:
mentre l'amore normalmente cede alle armi, qui le armi cedono all'amore.
L'Adone può così essere letto come l'epica della pace. Si presenta in venti canti,
più di cinquemila ottave, un testo immenso, tre volte la Liberata, ma architettato
con somma perizia e calcolo. Ebbe subito un grande successo.
6. Le polemiche sull’Adone
IL TEATRO
Il Seicento è il grande secolo del teatro: nasce il teatro pubblico, si organizzano
professioni e spazi speci ci per le rappresentazioni, si impone l'impiego della
musica, ma soprattutto il teatro acquisisce quei caratteri di visionarietà,
simulazione, illusorietà, che fanno della scena lo spazio per ogni fantasia che
rappresenti il mondo.
La teatralità spinge verso una cura sempre maggiore della performance, che
porta alla specializzazione dei comici dell'Arte: essi ssano il repertorio, il modo
di recitare, l'uso delle maschere. Accanto alle scritture tradizionali, tragedia e
commedia, nascono e si sviluppano generi nuovi, il dramma pastorale, il
melodramma, l'oratorio, la tragedia cristiana. Quest'ultima, usata in specie nelle
recite dei collegi dei gesuiti, come parte del loro progetto educativo, concilia le
potenzialità catartiche e i miti della classicità con la sensibilità e gli intenti
edi canti del cristianesimo
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Mentre si a erma nel Seicento la moderna civiltà teatrale, il teatro assurge a
metafora, rappresentazione stessa del mondo, inteso come gioco, travestimento,
commedia o tragedia, in cui ognuno recita una parte. Gli e etti illusionistici
teatrali divengono emblema di un'idea della vita umana fondata sul senso della
provvisorietà dell'esistenza, sulla vanità di tutte le forme.
I gesuiti fecero presto del teatro uno strumento educativo. La recitazione era
L'eroe delle tragedie dei gesuiti non è, come nelle tragedie classiche, in con itto
fra il dovere politico e le scelte morali o sentimentali, ma è un individuo
totalmente votato al bene, che si trova però in contrasto con il mondo esterno,
malvagio e ostile. La coerenza con se stesso lo conduce inevitabilmente al
sacri cio di sé, no al martirio. I soggetti sono attinti dalla Bibbia, dalla storia del
cristianesimo delle origini, dalle vite dei santi, dalle recenti guerre di religione.
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I comici dell'Arte recitavano prevalentemente «all'improvviso», cioè con battute
più o meno spontanee innestate su un intreccio ssato da un testo.
L'opera improvvisata è un genere del tutto nuovo, che coordina diversi pezzi,
monologhi, contrasti, pantomime, brani cantati, giochi di destrezza, di cui sono
incaricati diversi attori. In questo modo essi mescolano testi letterari e forme
rappresentative, stili e linguaggi.
Gli attori scelgono per le compagnie nomi di prestigio che le accomunano alle
accademie (i Desiosi, i Gelosi, i Fedeli, i Con denti, gli Uniti), cioè aspirano a
essere considerati intellettuali di alto livello. Sono infatti in possesso di speci che
competenze letterarie e spesso sono autori in proprio.
3. Il tragico
1. La tragedia cristiana. Federico della Valle ed Emanuele Tesauro
La tragedia, che attinge sia a fonti patristiche sia a Seneca, rispetta l'unità di
tempo e di luogo, è divisa in cinque atti, mantiene i cori che introducono gure
allegoriche, come la Discordia, o concrete, come i cittadini. Dal problema della
successione dinastica si sviluppano gli elementi fondanti il dramma classico e
quelli della tragedia cristiana.
Il grande mutamento che avviene nel Seicento nella cultura e pratica teatrale è
preparato da intensi dibattiti avvenuti alla ne del Cinquecento, nati dal confronto
fra le esigenze del tempo e il rispetto per l'eredità classica. Da una parte ad
esempio Il Pastor do di Battista Guarini causò una polemica, sorta ancor prima
della sua uscita, sulla legittimità di un genere misto come la tragicommedia.
Dall'altra un gruppo di musicisti e di eruditi, riuniti intorno al nobile Giovanni de'
Bardi, nell'impegno di ricostruire l'antica tragedia, nella quale, si sapeva, era
essenziale la musica, portò alla ricostruzione di uno spettacolo musicato che
diede come esito un genere nuovo, il melodramma.
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2. L’oratorio e il melodramma a Roma
3. L’opera veneziana
Nel giro di dieci anni di tentativi per stabilizzare il genere si attuò a Venezia la
profonda trasformazione nella produzione e fruizione del melodramma. Musicisti,
librettisti, nobili, accademici, concorsero nell'elaborare e nanziare opere che
attingevano al repertorio mitologico, eroico o storico, epico-cavalleresco.
Prima della ne del secolo a Venezia furono aperti ben quindici teatri pubblici e si
a ermò l'uso di portare fuori Venezia lo spettacolo per opera di compagnie che
preparavano un loro repertorio. L'adattamento alle diverse città produsse una
grande varietà di situazioni sceniche e un'apparente assenza di regole, anche
metriche, il complicarsi delle trame, con esito sempre comico e con soluzioni
drammaturgiche ripetitive.
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