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Indice

Premessa………………………………… pag. 3

Gli anni operosi dell’INEA…………….. “ 7

Alla scoperta del pianeta Europa………… “ 14

Dal sesto al tredicesimo piano del Berlaymont “ 18

Al servizio dell’Europa e del proprio paese ….“ 27

Il richiamo della foresta ovvero l’amore


per l’insegnamento ……………………………” 32

L’attività accademica e di ricerca………….. “ 35

La breve stagione da ministro dell’agricoltura 39

3
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Premessa

A venticinque anni dalla sua prematura scomparsa, ho


sentito il bisogno di rievocare, per quanti lo hanno
conosciuto ma anche per chi non ha avuto questo
privilegio, la figura professionale ed umana di Vito
Saccomandi, alla luce della nostra quotidiana
contiguità, sul luogo di lavoro ma anche al di fuori di
questo, in particolare, durante uno dei periodi più
cruciali del suo (e del mio) percorso professionale:
quello che si situa tra la fine degli anni Sessanta e
l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso.

In questo periodo ho condiviso con Vito Saccomandi


– anche se con modalità differenti e con una
interruzione di circa due anni – due importanti fasi del
nostro rispettivo iter professionale: dapprima la nostra
attività di analisi e di ricerca – lui in qualità di capo
dell’Ufficio studi, io in qualità di semplice ricercatore
– presso l’INEA (il prestigioso Istituto Nazionale di
Economia Agraria, oggi assorbito dal recente
Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi
dell'economia agraria). Poi, la sua - e più tardi la mia
– personale implicazione in quella che lui amava
chiamare “l’avventura europea”, con ruoli
inizialmente distinti ma che in seguito si sono
nuovamente ravvicinati.

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Per buona parte di questo periodo Vito Saccomandi è
stato in qualche modo il mio più diretto superiore
gerarchico. Ma non è in questo ruolo e da questa
prospettiva che vorrei ricordarlo in queste poche
pagine che ho deciso di dedicargli.

In realtà, debbo confessare che, fin da quando l’ho


conosciuto, nel lontano 1969 (ben cinquanta anni fa!),
quando, all’età di trent’anni, fu nominato responsabile
dell’Ufficio studi dell’INEA, non ho mai percepito
Vito Saccomandi come il classico capo ufficio,
distante dai suoi collaboratori, fiero della sua
posizione gerarchica e quindi felice di poter
sovraintendere, dall’alto della sua posizione, alla
piccola struttura che si era deciso di creare in seno
all’INEA al momento del suo reclutamento.

E ciò, non perché io e i miei colleghi, solo di qualche


anno più giovani di lui, avessimo difficoltà a
riconoscere il suo ruolo gerarchico, ma semplicemente
perché, a prescindere da ogni gerarchia, Vito
Saccomandi si imponeva già allora con la sua
autorevolezza e con il rispetto e la stima che sapeva
conquistarsi, grazie non solo alla sua solida
formazione e ad una ricca esperienza di lavoro, ma
anche alla sua straordinaria facilità di contatto con le
persone, alla sua schiettezza e alla sua ripulsa di ogni
formalismo.

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A Vito Saccomandi debbo peraltro una svolta
fondamentale nel mio percorso professionale: il mio
passaggio, a metà degli anni Settanta, alla
Commissione europea e il mio trasferimento a
Bruxelles, certo a seguito di un concorso pubblico ma
a cui non avrei mai pensato a quell’epoca se non fosse
stato per il suo incoraggiamento e il suo sostegno.

Ed è ancora a lui che debbo un’altra esperienza


lavorativa particolarmente attraente ed impegnativa: il
mio trasferimento, dal marzo 1978 al maggio del
1981, in seno al gabinetto dell’allora vice-presidente
della Commissione europea, Lorenzo Natali, di cui
Vito Saccomandi era nel frattempo diventato il capo
di gabinetto aggiunto.

Al di là, tuttavia, di queste specifiche esperienze


lavorative, che ci hanno consentito una frequentazione
quotidiana sul luogo di lavoro, è soprattutto il
rapporto di reciproca amicizia che si è andato creando
tra di noi e le nostre famiglie, anche al di fuori dei
nostri impegni professionali, in particolare dopo il
mio arrivo a Bruxelles, che vorrei qui ricordare con
autentica nostalgia e con rimpianto.

Avendo seguito l’attività professionale di Vito


Saccomandi anche dopo il suo rientro in Italia, ho
voluto dedicare l’ultima parte di questa mia
testimonianza alla sua attività accademica e alla sua
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breve ma intensa esperienza da ministro
dell’Agricoltura e da presidente del Consiglio dei
ministri della CEE in una fase cruciale dei negoziati
commerciali internazionali, in maniera da coprire
praticamente l’intero arco della sua vita lavorativa.
Una vita lavorativa che, come apparirà chiaramente
dalle pagine che seguono, in ogni circostanza, Vito
Saccomandi ha davvero vissuto intensamente.

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Gli anni operosi dell’INEA

L’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria) è


stato, dal 1928 al 2014, uno degli organismi di ricerca
più prestigiosi nel campo dell’agricoltura e
dell’economia agraria. Dai suoi vertici sono passati
alcuni fra i maggiori economisti agrari italiani degli
ultimi 80 anni, da Arrigo Serpieri, che lo fondò, a
Manlio Rossi Doria, da Giuseppe Medici a Mario
Bandini.

L’INEA era un ente pubblico che agiva nel quadro


delle attività controllate dal Ministero dell’Agricoltura
da cui dipendeva anche finanziariamente. Nel quadro
della ristrutturazione generale degli enti di ricerca,
con la legge di stabilità per il 2015 l'Istituto Nazionale
di Economia Agraria è stato incorporato nel Consiglio
per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura
(CRA) che ha assunto da allora la denominazione di
Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi
dell'economia agraria.

Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso l’INEA


era essenzialmente articolato su due assi: da una parte,
l’INEA era stato da poco designato quale organo di
collegamento tra lo Stato italiano e l’Unione europea
per la creazione e la gestione della Rete
d’Informazione Contabile Agricola (RICA), uno
strumento concepito a livello comunitario per
9
monitorare e meglio programmare le misure adottate o
da adottare nel quadro della politica agricola comune.

Dall’altra, una piccola struttura interna,


prevalentemente a supporto della produzione del
famoso “Annuario dell’Agricoltura Italiana”, una
rassegna molto approfondita degli sviluppi e dei
problemi della nostra agricoltura, la cui redazione era
però pressoché integralmente affidata – come del resto
qualche sporadica ricerca commissionata dal
Ministero dell’Agricoltura e Foreste - a redattori
all’esterno dell’Istituto, molti dei quali operanti in
ambito accademico.

Vito Saccomandi arrivò all 'INEA nell'estate del


1969, preceduto da una lusinghiera reputazione di
giovane economista a g r a r i o , brillante e dinamico,
che univa alla solida formazione teorica, acquisita
nell’Università di Piacenza e nella successiva scuola
di specializzazione di Portici, una già ricca
esperienza di lavoro e di ricerca sul terreno, in
particolare presso l’Ente Nazionale Tre Venezie1.

L'arrivo di Vito Saccomandi all'INEA rappresentò


senza dubbio una svolta r i l e v a n t e nella vita
dell 'Istituto. E ciò non solo perché venne creato,
1 Saverio Torcasio, In ricordo di Vito Saccomandi, in: “Lo sviluppo del
sistema agricolo nell’economia post-industriale” a cura di Fosco
Valorosi, Franco Angeli, Milano, 2002.

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per la prima volta, nell’organigramma di questo
Istituto, un apposito Servizio Studi e Ricerche, e
l'INEA cominciò quindi a dotarsi di un nucleo
interno di ricercatori, ma anche perché, con la sua
personalità estroversa e poco incline ai formalismi,
Saccomandi introdusse indubbiamente una ventata di
aria nuova negli ambienti fino ad allora piuttosto
austeri di questo Istituto.

Di Vito Saccomandi mi piace ricordare, per quanto


riguarda quel periodo, la sua semplicità dei modi, il
parlare schietto e fiorito, le battute salaci, i suoi
racconti di vita vissuta, ambientati quasi sempre a
Portici o a Mestre, d o v e a v e v a v i s s u t o p e r
q u a l c h e a n n o , la sua pazienza nell’ascoltare i
suoi collaboratori, a consigliarli e ad incoraggiarli
nel loro lavoro, la sua disponibilità a consacrare parte
del suo tempo a “tutorare”, come si direbbe oggi, i
giovani ricercatori che frequentavano la biblioteca
dell’INEA e che non esitavano a bussare alla sua porta
per un consiglio o per uno scambio di vedute.

Molti di essi sono poi entrati nei ranghi dell’università


e sono forse ancora grati a Vito Saccomandi per gli
insegnamenti di quegli anni. Ma ricordo anche la
straordinaria capacità di lavoro di Vito Saccomandi,
il suo impegno civile, e, perché no, anche i suoi
momenti di collera, quando si rendeva conto che la
ricerca non aveva in seno all'INEA quella
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considerazione da parte dei vertici dell’Istituto che
essa meritava.

A questo riguardo, bisogna riconoscere che i suoi


sforzi per dotare l'Istituto Nazionale di
Economia Agraria di una struttura interna di
ricerca, agile ma autorevole, capace di contribuire
non soltanto all’analisi dei problemi
dell’agricoltura italiana, ma anche all’elaborazione
delle misure di politica agricola più adeguate, non
furono purtroppo coronati da successo.

Si può anzi dire che questo obiettivo, per il quale ci


eravamo battuti insieme in tante occasioni, fu di
fatto totalmente mancato, tant'è che nessuno dei
componenti di quel piccolo nucleo di ricercatori
che si era allora formato intorno a Vito
Saccomandi restò a lungo nell’Istituto dopo la sua
partenza dall'INEA.

Una delle principali ragioni di questo insuccesso è


costituito dal fatto che, in quel periodo, l'INEA non
aveva ancora risolto quello che ha costituito per
molto tempo il vero dilemma che avrebbe
condizionato il suo avvenire: se limitarsi, cioè, a
gestire, per conto della Comunità Europea, la rete
contabile agricola, affidando all'esterno la quasi
totalità delle attività di ricerca, oppure cercare di
dotarsi anche di una propria autonoma struttura di
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ricerca e di analisi che le permettesse di realizzare in
proprio una gran parte delle ricerche che le venivano
affidate e che le consentissero al tempo stesso di
accumulare un prezioso patrimonio di conoscenze e di
esperienze.

Per la verità, quanto meno agli occhi di Vito


Saccomandi e dei ricercatori che lavoravano con lui,
questo dilemma appariva di fatto risolto nel senso che
era evidente che, anche per carenza di finanziamenti,
venivano di fatto privilegiate pressoché
esclusivamente le attività inerenti alla raccolta delle
informazioni contabili sulle aziende agricole e che
veniva perciò lasciato completamente sguarnito il
fronte della ricerca e dell’analisi economica
all’interno dell’Istituto.

E’ vero che l’arrivo di Saccomandi all’INEA


sembrava dover segnare un profondo
cambiamento rispetto al passato. In realtà, lo
squilibrio tra le risorse consacrate all’attività di
ricerca e quelle destinate alla rete contabile
agricola era troppo macroscopico perché si
creassero le condizioni per trattenere i pochi
ricercatori che vi lavoravano, e fra questi lo
stesso Saccomandi, o per attirarne di nuovi. A ciò
si aggiunga anche il fatto che, mentre le risorse di
cui la RICA disponeva erano abbastanza regolari
e prevedibili, quelle destinate alla ricerca erano
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del tutto aleatorie, in quanto erano pressoché
esclusivamente il frutto di convenzioni
sporadiche con il Ministero dell’Agricoltura.

Malgrado queste difficoltà, nei suoi tre anni e


mezzo di permanenza presso l'INEA, Vito
Saccomandi portò a termine una serie di ricerche e
di analisi economiche, spesso molto impegnative ma
il più delle volte avvalendosi soltanto delle sue
relazioni personali e dei pochi mezzi a sua
disposizione.

E' i l caso, ad esempio, dei Rapporti Trimestrali


sulla Congiuntura Agricola, pubblicati dall 'INEA tra
l 'autunno 1969 e l'autunno 1970, e che dovevano
preludere, nelle intenzioni dell 'autore, alla creazione,
in seno all 'INEA, di un servizio di rilevazione ed
analisi congiunturali. Servizio che in realtà non fu
mai creato, anche perché venne a mancare il
finanziamento ministeriale, ma la cui assenza non gli
aveva impedito di realizzare ben quattro indagini
congiunturali, tra cui un paio di indagini sul terreno.

E' di quel periodo anche un altro lavoro che ci


aveva entrambi mobilitati, con grande entusiasmo,
per alcuni mesi: la realizzazione di una serie di
analisi e di indagini sul mercato degli affitti in
Italia, che il senatore Manlio Rossi Doria aveva
chiesto all'INEA in preparazione della sua proposta
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di legge sulla riforma della legislazione sugli affitti
in agricoltura.

Dell’affitto dei fondi rustici, Saccomandi diventò


allora un profondo conoscitore. Ma la sua vera
passione di quegli anni fu lo studio della
cooperazione agricola, sia dal punto di vista teorico
che da quello empirico, con ricerche s u l terreno
che, ancora una volta, riuscì a realizzare con i
propri mezzi e senza alcun supporto delle strutture
dell 'INEA, e le cui conclusioni, raccolte in un volume,
sono ancora oggi un valido punto di riferimento per
gli studiosi di questa materia2.

2 Vito Saccomandi – Danilo Agostini, Cooperazione agricola e


modernizzazione dell’agricoltura, Cedam, Padova, 1970.

15
Alla scoperta del pianeta Europa

Vito Saccomandi lasciò l 'INEA nel marzo del 1973


per lanciarsi in una nuova avventura, professionale
ed umana, in quella che a quell'epoca appariva
ancora come un pianeta pressoché sconosciuto:
l'eurocrazia, ossia la burocrazia comunitaria di
Bruxelles.

A Bruxelles, Vito Saccomandi arrivò con un


drappello di una decina di connazionali, battezzato
«gruppo di riequilibrio», in quanto esso era stato
concepito proprio per accrescere e qualificare la
presenza italiana in seno alla Direzione Generale
Agricoltura, che risultava all’epoca troppo carente a
livello di funzionari della carriera direttiva.

Oggi un'operazione del genere sarebbe del tutto


inconcepibile. Ma allora essa consentì effettivamente
di immettere nella principale fra le Direzioni
Generali della Commissione europea la
professionalità e l'esperienza di tanti bravi
connazionali, spesso profondi conoscitori della
realtà agricola italiana.

Del resto, è anche per questo che la loro nomina al di


fuori delle normali procedure di assunzione nella
Commissione europea, all’epoca contestata da
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qualche collega, venne invece convalidata anche da
una apposita sentenza della Corte di giustizia europea.

Nella Direzione Generale Agricoltura Vito


Saccomandi entrò immediatamente nel team degli
economisti più influenti e più direttamente implicati
nell’analisi dell’agricoltura europea e
nell’elaborazione delle proposte di politica agricola
comune che proprio in quegli anni era in grande
subbuglio.

L’anno prima erano state infatti adottate le tre direttive


comunitarie che avevano sancito l’avvio di una
politica socio-strutturale comunitaria in agricoltura, di
cui avrebbe dovuto giovarsi soprattutto l’agricoltura
dei paesi del sud Europa. Essa avrebbe dovuto
affiancarsi alla politica dei prezzi e dei mercati
agricoli, già in atto da alcuni anni, e che già allora
aveva apportato grandi benefici soprattutto alle più
competitive agricolture del nord Europa, acuendo però
i problemi delle eccedenze produttive per molti dei
prodotti continentali3.

D’altra parte, il secondo semestre del 1972 era stato


praticamente dominato dalle preoccupazioni per le
conseguenze negative sull’unicità dei prezzi e del

3Rosemary Galli, Saverio Torcasio, La partecipazione italiana alla Politica


agricola comunitaria, Istituto Affari Internazionali, Società Editrice Il
Mulino, Bologna, 1976.
17
mercato agricolo derivanti dalla fluttuazione dei tassi
di cambio delle monete comunitarie e
dell’inadeguatezza delle misure adottate fino ad allora
per rimediarvi, attraverso i cosiddetti “importi
compensativi monetari”.

Anche i negoziati sulla fissazione dei prezzi agricoli


per la nuova campagna durante i primi mesi del 1973
avevano duramente messo alla prova la solidità delle
strutture non solo del mercato comune agricolo, ma
anche dell’intero edificio comunitario e avevano
suscitato il bisogno di una riflessione approfondita sul
funzionamento della politica agricola comune e sugli
adattamenti che si rendevano necessari.

E’ proprio nel fuoco di questo dibattito che Vito


Saccomandi era approdato nei servizi della
Commissione incaricati di preparare un memorandum
sull’adattamento della politica agricola comune, e che,
dal nome del nuovo Commissario all’Agricoltura,
sarebbe poi stato chiamato “Memorandum Lardinois”.

Anche l’anno successivo fu un anno di crisi profonda


per l’Europa e di intenso travaglio per la politica
agricola comune soprattutto per le conseguenze, non
ancora adeguatamente governate, del ciclone
monetario e dell’esplosione delle eccedenze
produttive e della spesa agricola.

18
In questa fase, Vito Saccomandi aveva avuto modo di
allargare le sue conoscenze in merito al
funzionamento delle varie organizzazioni comuni di
mercato ed aveva contribuito in maniera determinante
all’elaborazione di quello che sarebbe stato da allora
in poi chiamato “metodo obiettivo” per la fissazione
annuale dei prezzi agricoli, la cui utilizzazione
permanente era stata auspicata nel già menzionato
“Memorandum Lardinois” ed è stata effettivamente
messa in atto per oltre un decennio.

Un altro campo in cui Vito Saccomandi ha potuto


mostrare il suo talento in questa fase iniziale della sua
attività in Commissione, è stato quello della
complessa problematica che ruota intorno alla
concezione, al funzionamento e all’applicazione dei
cosiddetti “importi compensativi monetari”, introdotti
proprio in quegli anni per tentare di ricostruire
artificialmente quell’unicità dei prezzi e dei mercati
che era stata messa a dura prova dalle fluttuazione dei
tassi di cambio delle varie monete. Non riteniamo di
esagerare dicendo, anzi, che in questo ambito Vito
Saccomandi era diventato uno dei più agguerriti
esperti in materia non solo fra gli economisti agrari
ma anche fra gli stessi funzionari ministeriali
competenti in materia.

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Dal sesto al tredicesimo piano del Berlaymont

Come è noto, il Berlaymont è un edificio di tredici


piani con la ben nota struttura a croce in cui ha sede a
Bruxelles il nucleo centrale della Commissione
europea. Esso è stato costruito nel corso degli anni
Sessanta del secolo scorso sull’area di un ex-convento
nel quale, si dice, Erasmo da Rotterdam scrisse gran
parte del suo “Elogio della Pazzia”. È al sesto piano di
questo edificio che Vito Saccomandi aveva il suo
ufficio quando lavorava nella Direzione Generale
Agricoltura, la mitica DG VI.

Nel corso del 1976, ad appena tre anni dal suo


approdo alla Commissione, Vito Saccomandi fa uno di
quei salti professionali a cui molti fra i suoi colleghi
avrebbero ambito ma che era invece perfettamente
tagliato per la sua formazione e per la sua personalità:
il passaggio dal sesto al tredicesimo piano del
Berlaymont.

Fuori di metafora, il trasferimento dai servizi tecnici


ed amministrativi della Commissione al gabinetto del
Vice Presidente della Commissione, che era all’epoca
Carlo Scarascia Mugnozza e, dall’anno successivo,
l’ex-ministro italiano dell’Agricoltura, Lorenzo Natali
e che, come tutti gli altri Commissari, occupavano il
tredicesimo piano del palazzo Berlaymont. Pare che
sia stato lo stesso commissario olandese
20
all’agricoltura Lardinois a segnalarlo al collega
Scarascia Mugnozza, il quale lo volle effettivamente
nel proprio gabinetto.

Inizia allora una nuova fase del percorso professionale


di Vito Saccomandi. Una fase caratterizzata da una
quotidiana contiguità non solo con il proprio
Commissario ma anche con gli altri vertici politici
della Commissione, dalla preoccupazione di
contribuire in maniera adeguata, per quanto il suo
ruolo lo consentisse, al processo decisionale della
Commissione, dall’ambizione di promuovere
iniziative ed elaborare proposte che rispondessero ai
bisogni della nostra agricoltura in un quadro
comunitario.

E’ proprio per rispondere a quest’ultima esigenza che,


nella seconda metà del 1976, Vito Saccomandi
promuove di sua iniziativa e di concerto con altri
colleghi, tra cui soprattutto il comune amico Mario
Mioni, un altro dei più qualificati funzionari italiani in
seno alla Direzione Generale Agricoltura, la
preparazione di un memorandum su “Gli Accordi
Mediterranei e la Politica Agricola Comune – Analisi
e Proposte”, destinato ad essere presentato da Carlo
Scarascia Mugnozza in Commissione per una
discussione collegiale e per eventuali decisioni4.

4 Carlo Scarascia Mugnozza, Gli accordi mediterranei e la Politica


agricola comune – Analisi e proposte, Documento interno della
21
Anche se il successo dell’iniziativa non fu all’epoca
all’altezza delle aspettative di Vito Saccomandi,
tenuto conto del fatto che tutta la Commissione era in
scadenza da lì a qualche mese e che essa era a
quell’epoca piuttosto restia a lanciarsi in nuove
proposte in questo campo, vale la pena menzionare il
“Memorandum Scarascia” perché esso rappresenta il
primo tentativo di riequilibrare la politica agricola
comune e di difendere meglio l’agricoltura dei paesi
del sud dell’Europa dall’apertura dei mercati
derivante dagli accordi commerciali con i paesi del
bacino mediterraneo.

A mio avviso, non sarebbe quindi azzardato affermare


che è proprio nella continuità dell’analisi e delle
proposte avanzate nel “Memorandum Scarascia” che
vanno iscritti gli sviluppi che negli anni successivi
avrebbero condotto al varo del famoso “Pacchetto
Mediterraneo” su cui ritorneremo più in là e alla
messa in atto di una più articolata politica di sviluppo
dell’agricoltura mediterranea.

Quali erano, infatti, le considerazioni alla base del


“Memorandum Scarascia”?

Anzitutto, la disparità nei livelli di garanzia dei prezzi


e di stabilizzazione del mercato tra prodotti agricoli
Commissione europea, Bruxelles, 1976
22
del nord Europa e produzioni mediterranee, dovuta sia
alla natura dei prodotti che alle differenze nelle
diverse organizzazioni comuni di mercato.

In secondo luogo, le anomalie nel funzionamento dei


principi di base della politica agricola comune (e
soprattutto quelli della solidarietà finanziaria e della
preferenza comunitaria) generate dallo squilibrio della
protezione accordata ai diversi prodotti.

Infine, la necessità di prendere in considerazione la


maggiore sensibilità delle produzioni mediterranee
(vino, olio, prodotti ortofrutticoli, carne ovina, ecc.)
all’apertura dei mercati derivante dagli accordi con i
paesi del bacino mediterraneo.

Da qui la necessità di contemperare gli obiettivi più


generali dell’apertura ai Paesi mediterranei con quelli
più specifici, ma altrettanto fondamentali, delle
diverse politiche comunitarie di settore. “Questa
esigenza – affermava il Memorandum – va garantita
attraverso un insieme coordinato di azioni e di
politiche che attengono non soltanto alla politica
agricola comune, ma anche alle altre politiche
settoriali ed, in particolare, alla politica regionale,
industriale e dei trasporti”.

Sul piano strettamente agricolo, si legge ancora nel


Memorandum Scarascia, “due sono per il momento le
23
strade percorribili per ovviare, almeno in parte, agli
inconvenienti sopra lamentati:

 la prima, d’effetto più immediato, passa per un


riequilibrio del livello di preferenza
comunitaria accordata alle produzioni indigene;

 la seconda, ad esito più differito nel tempo,


passa per un rafforzamento e una maggiore
qualificazione della politica comunitaria di
ristrutturazione e modernizzazione delle
imprese agricole”.

Ovviamente, nel prosieguo del documento venivano


indicate con più precisione le misure sopra delineate.

Se ci siamo dilungati su questa iniziativa è perché essa


mostra in maniera esemplare non soltanto la lucidità
dell’analisi e la pertinenza delle proposte avanzate, ad
un’epoca in cui, sia in seno alla Commissione che in
seno al Consiglio dei ministri dell’Agricoltura, si era
ancora ben lontani dall’accordare qualunque
considerazione a questa problematica, ma anche la
capacità di Vito Saccomandi (e del nostro comune
amico Mario Mioni) di proiettarsi al di là dei propri
impegni quotidiani e di disegnare progetti e strategie a
vantaggio della nostra agricoltura e del nostro paese.

24
Questa passione di Vito Saccomandi per l’azione e per
l’impegno politico traspare anche dalla sua attività di
capo di gabinetto aggiunto del vice Presidente della
Commissione, Lorenzo Natali, e dalla sua assidua
frequentazione del ministro italiano dell’Agricoltura
dell’epoca, Giovanni Marcora.

Con il vicepresidente Natali Vito Saccomandi era


particolarmente impegnato nel condurre a termine
nella maniera più efficace e meno traumatica, per la
Comunità nel suo insieme e per la nostra agricoltura, i
negoziati di adesione con la Spagna e il Portogallo e
per rilanciare, in seno alla Commissione, le iniziative
ritenute necessarie per cercare di proteggere meglio
l’agricoltura mediterranea dalle nuove sfide
dell’allargamento e degli imminenti accordi
commerciali con la Turchia.

Non è sorprendente, a questo proposito, che sia il


rapporto inviato dalla Commissione al Consiglio
nell’aprile del 1977 “Problemi dell’agricoltura
Mediterranea”, sia il pacchetto di misure concrete
presentate alla fine dell’anno, ricalchino
sostanzialmente le linee direttrici enunciate l’anno
prima nel “Memorandum Scarascia”.
Anche i frequenti contatti informali con il nostro
ministro dell’Agricoltura, Giovanni Marcora,
soprattutto a Roma durante il week-end, riflettono la
volontà comune di mettere a punto una strategia
25
negoziale per l’adozione in seno al Consiglio dei
ministri dell’Agricoltura di un pacchetto di misure
ancora più ambizioso a vantaggio della nostra
agricoltura mediterranea, pacchetto che fu
effettivamente adottato nel maggio del 1978 (noto
come “Pacchetto Mediterraneo”) e che rappresenta, a
giudizio di molti, forse il risultato più rilevante
dell’iniziativa italiana in sede comunitaria di quegli
anni.

Ma la collaborazione informale con Marcora, che


Saccomandi aveva conosciuto a Milano all’inizio
della sua carriera, andava molto al di là della sola
dimensione comunitaria della politica agricola. Con
lui e con gli altri professorini - come vennero chiamati
i giovani tecnici che collaboravano all’epoca con
Marcora - infatti, Vito Saccomandi si era molto speso
nell’elaborazione di una nuova politica agricola
italiana e nel rilancio dell’intervento pubblico in
agricoltura. Questo impegno si tradusse, tra l’altro,
nell’adozione della famosa Legge Quadrifoglio del
1977 che comportava una radicale opera di riforma e
di rinnovamento della politica agricola italiana anche
alla luce della recente regionalizzazione delle strutture
amministrative dello Stato italiano.

Un altro aspetto della personalità di Vito Saccomandi


che vorrei qui mettere in rilievo è la sua ben nota
resistenza alla fatica intellettuale e la facilità con cui
26
redigeva commenti, articoli, saggi, discorsi e persino
testi universitari. Pochi sanno, tuttavia, che molti dei
più impegnativi lavori di Vito Saccomandi prodotti a
quell’epoca sono stati scritti di notte, al ritorno da una
lunga giornata di lavoro, oppure prima dell’alba,
quando il resto della famiglia era ancora a letto e dopo
aver svuotato qualche caffettiera appena ritirata dal
fuoco.

È il caso, ad esempio, del suo volume “Agricoltura ed


integrazione europea”, scritto in sei mesi, tra le cinque
e le otto del mattino, quando iniziava la sua giornata
lavorativa di funzionario comunitario, ligio al dovere
e con la mente per nulla offuscata dalle ore di sonno
perdute.

Questo volume5, pubblicato dalle Edagricole nel 1978,


aveva anzitutto l’ambizione di fornire al lettore una
sorta di bussola per una conoscenza approfondita
dell’impostazione e del funzionamento della politica
agraria comune (Pac). Da questo punto di vista, esso
ha fornito ad una generazione di studenti e di
funzionari uno strumento di conoscenza senza eguali
per orientarsi nei meandri della Pac e dei tortuosi
processi decisionali comunitari.

5 Vito Saccomandi, Politica Agraria Comune e Integrazione Europea,


Edagricole, Bologna, 1978
27
Ma sarebbe assai riduttivo limitarsi a considerare
questo volume come un classico manuale sul
funzionamento della politica agraria comune
destinato al solo scopo didattico. In realtà, con
questo volume Vito Saccomandi ha voluto anche
avviare una riflessione critica sul contributo che
questa politica dovrebbe o avrebbe dovuto
apportare al processo di integrazione europea, sui
limiti degli sviluppi conseguiti fino ad allora sia in
questa che nelle altre politiche comuni, sulle
difficoltà e gli scogli sul cammino
dell’integrazione dopo gli slanci iniziali, sulla
necessità di superare un approccio troppo
tecnicistico ai problemi comunitari e di mettere in
campo una più ambiziosa visione politica che
mirasse alla costruzione di un’Europa federale.

28
Al servizio dell’Europa e del proprio paese

Alla luce di quanto ho ricordato fin qui e degli


sviluppi successivi, non c'è dubbio che Vito
Saccomandi ha rappresentato, nei circa s e t t e
anni di permanenza a Bruxelles, un esponente fra i
più qualificati della rappresentanza italiana non solo
in seno alla Direzione Generale Agricoltura, ma
anche in seno alla stessa Commissione europea.

Direi di più: per il suo impegno senza riserve in


favore della costruzione di un'Europa federale, in un
periodo di incertezze e di dubbi sul futuro politico
dell'Europa comunitaria, per il contributo che egli ha
dato alla conoscenza e ai progressi del processo di
integrazione europea, ma anche per i successi
politici conseguiti in difesa dell 'agricoltura
mediterranea, primo fra tutti il famoso « Pacchetto
Mediterraneo », Vito Saccomandi è certamente un
personaggio di spicco della storia della
partecipazione italiana alla costruzione europea.

Di questa storia Vito Saccomandi ha certamente


scritto alcune fra le pagine più belle, e non solo in
senso figurato, anche se il suo ruolo è rimasto
spesso in ombra. E’ vero che egli amava
definirsi “un tecnico che cerca di
29
interpretare in maniera giusta il suo ruolo”.
Tuttavia, non credo di forzare la realtà
affermando che alcuni dei successi politici più
significativi di Giovanni Marcora, in qualità di
ministro dell'agricoltura, e di Lorenzo Natali, in
qualità di vice presidente della Commissione
europea, sono stati conseguiti anche grazie al
concorso determinante di Vito Saccomandi.

Quest'ultimo ha certamente avuto la fortuna di


incontrare spesso, nella sua vita, uomini di grande
statura che gli hanno consentito di esprimere tutte
le sue potenzialità e di valorizzarne le capacità.
Ma credo che sarebbe più corretto dire che sono
stati soprattutto questi ultimi ad avere avuto la
fortuna di potersi avvalere del talento e delle
straordinarie doti professionali ed umane di un
uomo come Vito Saccomandi.

Anch'io, come ho già r i c o r d a t o , ho goduto di


questo privilegio. Per anni, dopo l'esperienza in
comune all 'INEA, ho condiviso con l'amico Vito
Saccomandi l 'appassionante avventura in seno alla
Commissione europea, ed in particolare come
membri del gabinetto del vicepresidente Lorenzo
Natali, di cui Vito Saccomandi è stato per anni
il più autorevole consigliere, e questo non soltanto
per quanto riguarda le questioni agricole.

30
Vito Saccomandi era, infatti, molto più che uno
specialista di questioni agricole e un profondo
conoscitore della politica agricola comune. A
queste conoscenze professionali egli univa infatti
una vasta cultura, una spiccata capacità di
giudizio e di valutazione, una rara padronanza
delle politiche comunitarie, oltre che un profondo
attaccamento al proprio lavoro senza che tuttavia
ciò significasse sacrificare la propria famiglia.

Un'altra dote di Vito Saccomandi che mi ha più volte


impressionato e che mi ha fatto perdere più di una
scommessa, proprio quando il suo giudizio mi
pareva più azzardato e il rischio che prendevo
minore, era il suo intuito straordinario
nell’interpretare le vicende comunitarie,
nell’anticiparne gli sviluppi possibili, nel prevedere
i comportamenti dei diversi attori in presenza.

Ma Vito Saccomandi aveva anche una grande


abilità nel disegnare strategie e costruire efficaci
alleanze in seno alla Commissione. La stima che si
era conquistato nella sua funzione di vice-capo di
gabinetto di Lorenzo Natali gli ha peraltro
consentito di mantenere relazioni privilegiate
negli ambienti della Commissione anche dopo la
sua partenza da Bruxelles.

31
Mi è capitato più di una volta, a distanza di anni
dalla sua partenza, di riflettere su quello che
avrebbe potuto essere il percorso professionale di
Vito Saccomandi in seno alla Commissione se
avesse deciso si rimanere a Bruxelles.

Ebbene, nonostante la brillante carriera fino ai più


alti gradi della gerarchia a cui avrebbe potuto
tranquillamente ambire, sono convinto che la sua
permanenza nei ranghi delle istituzioni comunitarie
non avrebbe potuto dargli le soddisfazioni morali e
professionali che ha invece ottenuto in Italia con
l’insegnamento, anche facendo astrazione dalla sua
successiva nomina a ministro dell’Agricoltura.

Per rendersene conto basta considerare la


macchinosità del processo decisionale comunitario,
l’angustia del margine di manovra entro cui ci si
trova spesso ad operare in ambito comunitario, la
necessità di dover spesso rinunciare alle proprie
opinioni dovendo perseguire obiettivi e percorrere
sentieri non sempre condivisibili.

A mio avviso, Vito Saccomandi era troppo geloso


della sua libertà di pensiero, troppo rigoroso
nell’affermare e nel difendere il proprio punto di
vista, troppo attratto dall’insegnamento e dalla
ricerca, troppo proiettato sul mondo esterno, per
potersi acconciare senza fatica a qualunque
32
incarico, sia pure direttivo, in seno ai servizi della
Commissione, fosse anche stata la Direzione
Generale Agricoltura.

Direi di più: alla luce degli sviluppi della politica


agricola comune a partire dagli anni Ottanta, delle
continue ristrutturazioni dei servizi della
Commissione e delle revisioni delle sue regole di
funzionamento interno, che sono state messe in atto
negli ultimi trent’anni, sono sicuro che Vito
Saccomandi avrebbe mal sopportato, o comunque
sopportato con molta sofferenza, un tale
scombussolamento e la perdita di autonomia che ne
è derivata, in particolare per i quadri dirigenziali
della Commissione. Ecco perché, in definitiva, e al
di là delle altre considerazioni che ho già fatto, la
sua decisione di rientrare in Italia mi è parsa a-
posteriori la più saggia.

33
Il richiamo della foresta ovvero l’amore per
l’insegnamento

Vito Saccomandi lasciò Bruxelles e la Commissione


europea a metà del 1980, e cioè dopo solo sette anni
di permanenza nelle istituzioni europee, per assumere
da lì a poco l’incarico di titolare della cattedra di
Economia dei mercati agricoli presso la Facoltà di
Agraria dell’Università degli Studi di Perugia.

A molti di noi suoi colleghi questa decisione poteva


apparire del tutto incomprensibile dal momento che
essa implicava non solo una notevole contrazione del
suo reddito salariale, ma anche la rinuncia ad una
carriera ancora più allettante che, come abbiamo già
osservato, gli si sarebbe indubbiamente prospettata
per il futuro nei servizi della Commissione.

In realtà, questa decisione non mi sorprese più di


tanto, avendo saputo fin dall’inizio che Vito
Saccomandi aveva sempre considerato quella di
Bruxelles un’esperienza “a tempo”. Del resto, lui
stesso una volta aveva pubblicamente confessato:
“Sono venuto a Bruxelles solo per fare un’esperienza
professionale. Qui è facile stare, per il lavoro che puoi
fare. E’ difficile però andare via, per i soldi che
34
prendi”6. Eppure non esitò a lasciare un
inquadramento di grande rilievo in seno alla
Commissione per salire a quaranta anni su una delle
cattedre che probabilmente aveva sempre sognato fin
dagli anni più giovanili.

E’ qui che entra in gioco quello che ho chiamato,


senza alcuno sforzo di immaginazione, “il richiamo
della foresta”. Perché, se è vero che Vito Saccomandi
ha intrapreso relativamente tardi la carriera
universitaria, è anche vero che – come ho già avuto
modo di osservare – egli aveva una naturale
predisposizione all’insegnamento e una straordinaria
facilità di contatto con i giovani, oltre beninteso una
spiccata capacità di analisi delle questioni agricole, sia
sul piano teorico che su quello empirico. Se è vero
quindi che quella di Vito Saccomandi docente
universitario è stata una vocazione realizzatasi solo
tardivamente, è anche vero che essa non è apparsa del
tutto inaspettatamente.

Essendo però io rimasto a Bruxelles, è da questo


punto di vista che vorrei fare qualche commento sulla
sua partenza. Come succede spesso, è proprio dopo
che Vito Saccomandi ha lasciato Bruxelles che ho
realizzato con più chiarezza cosa egli avesse
rappresentato non solo per me ma anche per tutta la

6Giampiero Gramaglia, Tutti gli italiani che contano a Bruxelles,


Espansione, settembre 1980, n. 125.
35
comunità italiana in stanza a Bruxelles, e in
particolare per quella che, nelle istituzioni comunitarie
o al di fuori di esse, seguiva professionalmente le
vicende della politica agricola comune e, più in
generale, le questioni comunitarie.

E ciò, non soltanto perché, come è ovvio, dopo anni di


quotidiana frequentazione, ne ho avvertito con più
rammarico la mancanza, sia sul piano professionale
che personale, ma anche perché la partenza di Vito
Saccomandi da Bruxelles ha realmente lasciato, negli
ambienti comunitari, un vuoto che non è stato più
colmato.

Di Vito Saccomandi ci è soprattutto mancato, per


molti di noi che sono rimasti a Bruxelles, la sua
vivacità intellettuale, la passione di fare insieme
qualcosa di utile per il nostro Paese, la sua
capacità di mobilitare tutte le sinergie possibili
intorno ad un progetto comune, il suo stimolo e la
sua guida. Ecco perché credo che con la sua
partenza da Bruxelles si sia chiusa realmente
un'epoca non solo della nostra vicenda personale,
ma anche della presenza italiana in seno alle
istituzioni comunitarie.

36
L’ a t t i v i t à a c c a d e m i c a e d i r i c e r c a

Anche se io sono rimasto a Bruxelles dopo la sua


partenza, ho seguito con partecipazione ed
ammirazione le varie tappe del percorso di docente di
Vito Saccomandi e i molteplici sviluppi professionali
legati alla sua attività di studioso dell’economia
agraria e di profondo conoscitore della realtà agricola
italiana.

Non è stato quindi sorprendente per me scoprire che


già un anno dopo il suo ingresso nella Facoltà di
Agraria dell’Università di Perugia sia stato nominato
Direttore dell’Istituto di Estimo Rurale e Contabilità
di questa Facoltà o che due anni dopo (nel 1983)
abbia fondato, insieme ad alcuni collaboratori, il
Ce.S.A.R. ossia il Centro per lo Sviluppo Agricolo e
Rurale, che ha anche diretto – con una breve
interruzione - fino al suo decesso e che è ancora oggi
in piena attività.

Né mi ha stupito che nel 1991 abbia dato alle stampe


uno dei trattati più innovativi e più approfonditi sul
piano teorico in materia di “Economia del Mercato dei
Prodotti Agricoli” e che questo volume sia stato

37
successivamente tradotto anche in inglese ed adottato
in alcune università straniere.

Ma questi non sono che alcuni esempi delle


realizzazioni di Vito Saccomandi nei circa quindici
anni di attività accademica e di ricerca presso
l’Ateneo perugino. Un bilancio più completo della sua
produzione scientifica e del suo impatto sull’assetto
teorico e sugli sviluppi dell’economia agraria italiana
è stato presentato nel Convegno “Vito Saccomandi e
l’Economia agraria italiana nel decennale della sua
scomparsa” organizzato dal Ce.S.A.R. e tenutosi
presso la Facoltà di Agraria di Perugia nell’ottobre del
2005 e nel volume che ne raccoglie gli Atti7.

“Gli scritti di Vito Saccomandi – sottolinea


nell’introduzione a questo volume il prof. Mario
Prestamburgo, Presidente della Società Italiana di
Economia Agraria (SIDEA) – per numerosità, qualità,
apporto innovativo e interesse suscitato nel mondo
accademico e politico rappresentano una risorsa
importante, un bagaglio di conoscenze fondamentale,
un punto di riferimento notevole per la nostra
comunità scientifica”8.

7Fosco Valorosi, Biancamaria Torquati (a cura di) « L’economia agraria


italiana e gli scritti di Vito Saccomandi », Il Mulino, Bologna, 2008.
8
Id.
.
8
38
Anche il fatto che tanti economisti agrari, seppure di
estrazione e di scuole differenti, fossero presenti in
questa circostanza e avessero contribuito con proprie
riflessioni alla presentazione di questa tematica
dimostra la qualità e l’interesse scientifico della
produzione accademica di Vito Saccomandi. Una
produzione che riflette gli interessi variegati
dell’autore e che spazia dall’economia dei mercati
agricoli alla cooperazione, dal sistema di agri-
marketing alla politica agricola comunitaria, dal
sindacalismo agricolo allo sviluppo rurale.

“In ambito scientifico – scrive ancora Mario


Prestamburgo nella sua introduzione – [Vito
Saccomandi] ricercò nuovi approcci metodologici che
gli permisero di analizzare adeguatamente i problemi
reali dell’economia, ed ebbe la grande capacità di
mantenere la ricerca teorica ancorata alle esigenze
conoscitive di carattere empirico richieste dalla
continua evoluzione del settore agricolo, in generale, e
dei mercati agricoli, in particolare”9.

Vito Saccomandi non si accontentava, infatti, di


approfondire con metodo analitico le tematiche
teoriche più impegnative dell’economia agraria, ma
amava anche applicare le sue conoscenze e i suoi
strumenti di analisi alle questioni concrete più cruciali
per la produzione, la trasformazione e la
99Id.
39
commercializzazione dei prodotti agricoli. Ciò spiega
forse perché avesse mantenuto da sempre uno stretto
rapporto con questo mondo e con le stesse
organizzazioni professionali agricole. Insomma, anche
in questo, Vito Saccomandi dimostra, a mio avviso, la
sua singolarità di accademico di valore ma alieno
dalle tendenze più “alla moda” di tanti suoi colleghi di
focalizzarsi troppo spesso su questioni più teoriche
che di reale impatto sul mondo agricolo.

40
La breve stagione da ministro dell’agricoltura

Vorrei dedicare quest’ultimo paragrafo della mia


amichevole rievocazione della vicenda umana e
professionale di Vito Saccomandi a quella che è stata
forse la sua più impegnativa fatica di tutta la sua lunga
carriera professionale. Mi riferisco alla sua attività di
Ministro dell’Agricoltura e di Presidente del
Consiglio Agricoltura delle Comunità Europee
durante una delle fasi più cruciali del negoziato
multilaterale dell’Uruguay Round.

Vito Saccomandi era approdato al Ministero


dell’Agricoltura e Foreste all’inizio di ottobre del
1988 in qualità di direttore della Direzione generale
della tutela economica dei prodotti agricoli, su
sollecitazione dell’allora Ministro dell’Agricoltura e
Foreste Calogero Mannino, con cui Saccomandi aveva
già avuto modo di collaborare.

Calogero Mannino era all’epoca un esponente della


corrente di sinistra della Democrazia Cristiana ed era
stato confermato ministro dell’agricoltura nel luglio
del 1989 quando era nato il VI Governo Andreotti. Un
anno dopo, però, nel luglio del 1990, insieme agli altri
quattro ministri compagni di corrente, si era dimesso
41
dal governo dopo che quest’ultimo aveva deciso di
porre la questione di fiducia su un disegno di legge di
riforma dell’emittenza televisiva che loro non
condividevano (la famosa “Legge Mammì”).

Ne seguì una crisi di governo che venne risolta con la


sostituzione dei ministri dimissionari mediante la
procedura cosiddetta di “rimpasto”, vale a dire senza
l’apertura di una crisi parlamentare e le dimissioni
dell’intero gabinetto. In questo frangente, Vito
Saccomandi fu scelto per ricoprire la carica di
Ministro dell’Agricoltura e Foreste.

Saccomandi non ebbe molto tempo per adattarsi alla


nuova carica, anche se da responsabile della Direzione
generale della tutela economica aveva già frequentato
assiduamente le riunioni dei ministri dell’Agricoltura
della Ce.

Fin dal primo giorno, infatti, il neo-ministro si trovò a


gestire, tra gli altri, uno dei dossier più scottanti della
scena comunitaria ed internazionale di quegli anni: il
volet agricolo della trattativa multilaterale
dell’Uruguay Round, che, secondo gli auspici di tutti,
avrebbe dovuto concludersi proprio entro la fine del
1990.

Senza entrare in questa sede in troppi dettagli tecnici,


vale la pena di ricordare che fin dal suo varo in
42
Uruguay, nel settembre 1986, era apparso chiaro che
l’agricoltura e la liberalizzazione degli scambi agricoli
a livello mondiale avrebbero costituito il piatto forte
del nuovo round di negoziati multilaterali in sede Gatt
ed uno dei nodi principali da sciogliere per pervenire
ad un accordo globale tra tutti i partecipanti.

A questo proposito, è il caso di aggiungere che


l’agricoltura europea e la politica agricola comune
dovevano fronteggiare in questa circostanza due
offensive particolarmente agguerrite:

 una esterna, incarnata dagli Stati Uniti e da


numerosi altri paesi esportatori di prodotti
agricoli che rivendicavano una riduzione del
sostegno all’agricoltura europea e un
abbassamento della protezione alle frontiere
nelle importazioni comunitarie;
 una interna alla Comunità, rappresentata dagli
interessi del settore industriale e dei servizi, che
spingevano per una celere conclusione di un
accordo che, grazie alla liberalizzazione degli
scambi che ne sarebbe conseguita, li avrebbe
avvantaggiati su scala mondiale anche a costo
di qualche sacrificio per l’agricoltura europea.

Che la Comunità europea dovesse cedere a qualche


compromesso sul volet agricolo in cambio di qualche
contropartita per le esportazioni comunitarie era dato
43
per scontato un po’ da tutti, ad eccezione ovviamente
delle organizzazioni agricole europee, anche se, al
momento in cui Vito Saccomandi era diventato
ministro dell’agricoltura, non era ancora chiaro come
procedere sul piano negoziale.

E’ quindi comprensibile che il dibattito sul contributo


che la Comunità intendeva apportare al negoziato
agricolo per favorire un accordo globale tra tutte le
parti contraenti al Gatt si riaccendesse proprio in quei
mesi in seno al Consiglio dei ministri della Ce, sia tra
i ministri dell’agricoltura che tra i ministri del
Commercio estero, responsabili, questi ultimi, in
prima linea della strategia della Comunità
sull’insieme del negoziato10.

Vale la pena, peraltro, di rilevare che questa fase


cruciale dell’Uruguay Round, che, come abbiamo
detto, secondo tutte le attese avrebbe dovuto sfociare
in un accordo complessivo entro la fine dell’anno, ha
coinciso con il semestre di Presidenza italiana del
Consiglio dei ministri della Ce e con l’assunzione dei
due dicasteri-chiave del negoziato in seno al Governo
italiano da parte di due ministri cosiddetti “tecnici”:
rispettivamente, Renato Ruggiero al Commercio
estero e Vito Saccomandi all’Agricoltura.

10Saverio Torcasio, La Politica Agricola, in «L’Italia nella politica


internazionale», Anno Diciannovesimo : 1990- 1991, Franco Angeli
Editore, Milano, 1992.
44
Questi due ministri non solo hanno potuto usufruire
della lunga esperienza maturata in ambito
comunitario, ma hanno potuto anche giovarsi della
reciproca intesa sul piano negoziale, evitando fratture
insanabili sul fronte comunitario, nonostante fossero
portatori di istanze in parte contrapposte. Ciò ha
consentito che, nella fase finale della trattativa, la
Comunità mantenesse la sua compattezza e che gli
interessi settoriali - pro o contro il negoziato – non
finissero col prevalere sull’interesse generale della
Comunità.

Anche se, contrariamente alle previsioni, non è stato


possibile raggiungere entro la fine del 1990 un
accordo complessivo che chiudesse positivamente
l’Uruguay Round, resta il fatto che, almeno per
quanto riguarda la Comunità, l’accoppiata Ruggiero-
Saccomandi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
della Ce nella fase cruciale del negoziato ha
certamente contribuito ad evitare cedimenti o
spaccature pregiudizievoli agli interessi della
Comunità nel suo insieme.

La chiave di volta di questo risultato sta forse nel fatto


che, fin da quando è stato investito di questa
responsabilità, Ruggiero ha optato per una completa e
stretta associazione ai negoziati dei ministri
dell’Agricoltura della Ce, rendendo così possibile che
45
questi ultimi assumessero autonomamente le proprie
responsabilità di fronte al negoziato, ma assicurando
al tempo stesso la coerenza d’insieme della
piattaforma negoziale della Comunità.

D’altra parte, anche Saccomandi e i suoi colleghi in


seno al Consiglio dei ministri dell’Agricoltura della
Ce hanno tenuto ad appropriarsi del dossier agricolo e
a conservare una stretta sorveglianza sui suoi sviluppi
in fase negoziale, rifiutando che le decisioni
fondamentali al riguardo fossero assunte da altre
istanze politiche ed istituzionali, rischio tutt’altro che
teorico in quelle circostanze.

Sono state, tuttavia, necessarie ben sette riunioni del


Consiglio dei ministri della Ce ed una moltitudine di
incontri bilaterali oltre alla minaccia che, in assenza di
un accordo fra i ministri dell’Agricoltura, sarebbero
stati i loro colleghi delle Relazioni esterne o del
Commercio estero ad adottare le posizioni negoziali
della Comunità in materia agricola, per pervenire ad
un accordo tra i Dodici su questo delicato dossier.

L’accordo è stato raggiunto a Bruxelles il 6 novembre


1990, in una riunione congiunta dei ministri
dell’Agricoltura e del Commercio estero, grazie, in
particolare, agli sforzi di mediazione del ministro
dell’Agricoltura, Saccomandi, e all’intensa attività
diplomatica svolta parallelamente dal ministro del
46
Commercio estero, Ruggiero, in qualità di Presidenti
del Consiglio della Ce. “Tenendo conto delle esigenze
di tutti i paesi della Ce, siamo riusciti a raggiungere
l’obiettivo minimo necessario per far procedere i
negoziati a Ginevra. Soprattutto abbiamo scongiurato
una crisi storica nei rapporti internazionali le cui
conseguenze, anche se imprevedibili, sarebbero
comunque state drammatiche”, aveva commentato
alla fine dei lavori Saccomandi.

In realtà, quello che molti avevano temuto ed altri


auspicato ma che pochi avevano considerato
realmente possibile si è invece prodotto proprio
durante quella che doveva essere la sessione finale del
negoziato, tenuta a Bruxelles dal 3 al 7 dicembre
1990: certo, non una rottura fragorosa, come si poteva
temere, ma molto di più che un semplice
aggiornamento dei lavori in vista di condizioni e
disponibilità di spirito più propizie ad un’intesa
globale, come si voleva ufficialmente fare intendere.
Condizioni e disponibilità che avrebbero però
richiesto ben altri tre anni di negoziati per potersi
concretizzare, a Marrakech, nel dicembre del 1993.

Nel frattempo Vito Saccomandi era ritornato dai suoi


studenti, di cui – aveva confessato in un’intervista
quando era ancora Direttore generale della Produzione
agricola – sentiva maggiormente la mancanza
lavorando a Roma. Da ministro dell’Agricoltura,
47
aveva scritto una nota commentatrice, ha “vissuto
come un’apoteosi il semestre di Presidenza italiana
della Ce, ha trattato con gli americani gli accordi Gatt
sulle tariffe commerciali, ha stretto un ottimo rapporto
con Giulio Andreotti”11.

Io però aggiungerei: “Ha fronteggiato con grande


fermezza e convinzione lo scontento e le vive
preoccupazioni delle organizzazioni professionali
agricole a livello nazionale e comunitario, per le
concessioni fatte in materia di riduzione del sostegno
all’agricoltura e di fronte alla possibilità che in sede di
negoziato finale la Comunità fosse indotta a fare
ulteriori concessioni ai paesi terzi pur di concludere
positivamente l’Uruguay Round”.

Anche in Italia il vento della protesta era stato


particolarmente burrascoso, pur essendo stato
Saccomandi molto vicino alle principali
organizzazioni agricole nel nostro Paese, al punto da
fargli dichiarare sorridendo “Dopo Maradona sono
l’uomo più fischiato d’Italia”, costretto com’era a fare
da parafulmine per le scelte di politica agricola a
livello comunitario e per una serie di decisioni che
esulavano dalla politica del suo ministero, come i tagli
alla spesa agricola decisi in quel periodo per ragioni di
equilibrio di bilancio a livello nazionale.

11Barbara Palombelli, Andreotti VII, Chi scende e chi sale, La Repubblica,


19 marzo 1991
48
Pur opponendosi, infatti, all’arroganza degli Stati
Uniti e pur considerando inammissibili le loro
minacce, Vito Saccomandi era convinto che fosse
importantissimo raggiungere un’intesa, sia pure a
metà strada tra le varie piattaforme negoziali in sede
Gatt. E ciò per una ragione essenziale: “Perché dal
1955 ad oggi – aveva dottamente spiegato in
un’intervista – il Gatt ha permesso di sviluppare il
commercio mondiale di tre volte, favorendo la
crescita del Pil di tutte le economie occidentali.
Questo ha poi permesso di aumentare il gettito fiscale
e quindi la redistribuzione del reddito tra gli individui.
Lo sviluppo del commercio tra le nazioni ha infatti
favorito la crescita del benessere generale”. “Se il Gatt
fallisse – concludeva preoccupato – si rischierebbe di
fermare il multilateralismo economico e questo
potrebbe far tornare il mondo alle economie
protezionistiche degli anni 20 e 30 che poi, con
l’avvento dei nazionalismi più spinti e l’autarchia, ha
portato alla seconda Guerra Mondiale”12.

La breve stagione di Vito Saccomandi da ministro


dell’Agricoltura si chiuse nel marzo del 1991 per
ragioni che nulla hanno a che vedere con la qualità del
suo operato in questa veste ma che si spiegano invece

12 Fabio Massimo Signoretti, Inammissibili le minacce USA, La


Repubblica, 22 novembre 1990.

49
esclusivamente con l’estrema fragilità politica del
governo di cui era stato chiamato a far parte e con le
tensioni, anche tra gli stessi cinque partner di governo,
che caratterizzò quella stagione politica. Da una parte,
infatti, Craxi ritirò la fiducia al governo Andreotti.
Dall’altra, quest’ultimo aveva fretta di recuperare il
sostegno della componente dimissionaria del suo
partito, vale a dire quello della sinistra democristiana.

Nacque così il VII governo Andreotti: i primi a farne


le spese furono ovviamente i due ministri “tecnici”
Renato Ruggiero e Vito Saccomandi. “Sono stato
pronto a venire, anche se non mi aspettavo di fare il
ministro – aveva commentato qualche giorno prima
quest’ultimo, forse con una punta di amarezza ma
anche con un certo sarcasmo – Sono pronto ad
andarmene anche subito. Io posso tornare a fare il
professore, e potrei magari dare ripetizioni gratis a
qualcuno….”13.

E proprio così, infatti, si chiuse la breve esperienza di


“tecnico prestato alla politica” che Vito Saccomandi
aveva così intensamente vissuto in prima persona solo
pochi anni prima della sua prematura scomparsa,
nell’ottobre del 1995.

13Barbara Palombelli, cit.

50
Vale la pena, per concludere, riportare uno stralcio
della lettera che, a chiusura del suo mandato, gli spedì
il Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, per aver
assicurato alla nostra agricoltura “una guida politica
competente ed un punto di riferimento sicuro”: “Penso
che le categorie direttamente interessate dovranno
esserti grati per il consiglio e l’aiuto che non hai
mancato loro di offrire sulla difficile via della tutela
delle nostre produzioni e dell’adattamento delle nostre
strutture alle esigenze del mercato unico”.

In definitiva, anche alla luce di quanto sopra, mi


sembra assai pertinente anche il commento che fece,
nel pieno del negoziato agricolo, l’on. Mario
Campagnoli, Presidente della Commissione
Agricoltura della Camera dei Deputati, a proposito
della nomina di Vito Saccomandi a ministro
dell’Agricoltura: “Ritengo...che l’averlo nominato
ministro sia stato collocare l’uomo giusto al posto
giusto”. Visto quello che sarebbe accaduto da lì a poco
sul piano della tenuta del governo, io credo che
sarebbe giustificato aggiungere “fortunatamente,
anche al momento giusto”.

51
52

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