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Homo sum, humani nihil a me alienum puto

In stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, Publio Terenzio Afro apprese
l’uso del latino alto e si tenne aggiornato sulle ultime tendenze artistiche di
Roma. La frase che abbiamo citato, in lingua latina, significa letteralmente:
«Sono un essere umano, niente di ciò ch'è umano ritengo estraneo a me», usata
nella sua commedia Heautontimorùmenos (Il punitore di sé stesso, verso 77) del
165 a.C., dove il personaggio Cremète, invitato da Menedemo a non impicciarsi
in affari che non lo riguardano, risponde all'esortazione con questa frase, che nel
contesto della commedia si può tradurre come "Sono un essere umano, tutto ciò
ch'è umano mi riguarda". Tuttavia, esistono varie versioni della frase, in alcune
viene omessa la parte iniziale Homo sum, in altre vi è l'ellissi del verbo puto
(spesso omesso anche nelle traduzioni), ma vi è anche la variante arcaica nil al
posto di nihil.
Nei contesti moderni, la frase aggiunge al suo significato originale quello di
"non voglio lasciare da parte nulla, tutto quello che riguarda l'umanità e le sue
realizzazioni è in grado di destare interesse in me".
Come altre citazioni e opere terenziane, la frase ebbe grande successo e ampia
valutazione nei secoli dopo la fine di Terenzio, ed un ruolo, seppur minore, lo
ebbe in epoca cristiana (quando, osservando la delicatezza dei sentimenti,
l'indulgenza e la comprensione dell'animo umano, si interpretarono i suoi scritti
come precursori dell'arte dell'amore per il prossimo) e nel Medioevo, epoca,
quest'ultima, in cui essi seguitarono a essere letti ed interpretati. Il principale
successo venne con l'Umanesimo e il Rinascimento in cui si sviluppò l'ideale
della dignità umana e la citazione divenne portavoce dell'humanitas.
Una celebre parafrasi del motto è stata adottata da Roman Jakobson, dai
molteplici interessi in ogni disciplina collegata con la linguistica: Linguista sum;
linguistici nihil a me alienum puto («sono un linguista, non considero a me
estraneo nulla di linguistico»). Altra parafrasi compare nel romanzo I fratelli
Karamazov di Fëdor Dostoevskij: "Satana sum et nihil humanum a me alienum
puto", intendendo qui che Satana, usando assumere sembianze umane, è
costretto a subirne anche gli acciacchi tra cui, ad esempio, i reumatismi, come
nel caso specifico del testo.
L’humanitas che ne emerge risulta indubbiamente attuale, utile, come tutta la
produzione dell’autore stesso.

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