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(1633)-> William Prynne (avvocato) discusse l’inutilità del teatro definendo le donne “puttane”.

Venne severamente
punito e privato della sua carica legale e condannato all’ergastolo. Per dimostrare il contrario realizzarono uno
spettacolo che costò 21.000 sterline. Nonostante ciò, in 10 anni, vennero chiusi i teatri per via dei puritani, e la corona
aveva altro a cui pensare vista la vicinanza della guerra civile. Inizia il “silenzio teatrale”. Solo nel 1660, restaurata la
monarchia, i teatri riaprirono (anche se si praticava comunque in segreto sotto il nome di “intrattenimento musicale”
e grazie alla corruzione dei civili da parte delle compagnie).

(1673)-> La professione di attore, nonostante fosse protetta da re e regine, comportava la scomunica, poiché malvista
dalle istituzioni religiose. (es. Moliere quando morì non poté venire a contatto con la chiesa, o avere una cerimonia
funebre adeguata). Anche se per alcuni non era così in precedenza… Il teatro era sia un coinvolgimento della comunità
che un’attività marginale: inglobava in sé aspetti estremamente devianti, critici e spettacolari, in grado di giustificare
ogni sorta di sfrenatezza senza però eliminare la critica alla società. Il teatro può sovvertire i rapporti tra singolo e
comunità e la rappresentazione teatrale può apparire come “giudizio condiviso” ed essere estremamente pericolosa
per le istituzioni. È dunque “strumento di controllo” usato dalle autorità (per tenere a bada la plebe e riaffermare il
loro potere), o “strumento di legittimazione del peccato” (vizi e sfrenatezze si mostrano “accettate” creando un
territorio pericoloso). Lo spettacolo teatrale nasce dalla combinazione di più componenti: ma le arti comprese in esso
sono espresse al massimo o sottovalutate/approssimante da esso? La risposta a questa domanda è stata frutto di
ricerche interminabili tra 800 e 900, provocando un malessere teorico e un angoscioso sospetto sul carattere artistico
dell’attività teatrale. Il teatro agiva in uno spazio molto ridotto rispetto alle altre arti, importante era il rapporto con il
potere. Inoltre, rispetto alle altre discipline, lo spettacolo teatrale svanisce nel momento in cui termina la sua
rappresentazione. Nonostante la sua precarietà abbiamo comunque testimonianze da parte delle critiche e da varie
tracce lasciate da spettacoli passati (es. descrizione delle scene).

La storia del teatro non è altro che un continuo tentativo di mitigare le arti, sovvertendo la censura. È un paradosso
studiarne l’estetica poiché non può mantenere la sua presenza fisica nel tempo, poiché svanisce non appena
prodotto. (Claudio Vicentini, 1988)

ORIGINI DEL TEATRO

Per definire il teatro in senso stretto del termine dobbiamo prima distinguerlo dalla presenza di elementi teatrali nelle
varie forme di attività umana. Prendiamo dunque in considerazione il teatro come <<istituzione specializzata>>.
Esistono pochissime testimonianze materiali sulle quali fondare la ricostruzione delle origini del teatro… gli storici si
sono dovuti basare su teorie, ipotesi e supposizioni.

La teoria più diffusa è quella che origini dal rito religioso (sviluppata a fine 800).

Da essa distinguiamo tre scuole di pensiero:

- Darwinismo culturale: la scuola di pensiero di James Frazer affermava che l’uomo, dovendo rendere grazie a
forze sovrannaturali che gli fornivano cibo e acqua, realizzava per questo suo “pubblico” veri e propri
spettacoli teatrali, “i riti”. Da questi il teatro, in tutte le culture, cominciò a specializzarsi sempre di più e
cominciò a sostituire lo scopo utilitaristico/religioso del rito.
- Funzionalismo: la scuola di pensiero di Bronislaw Malinowski, rifiutò il metodo deduttivo di Frazer e
considerava ogni cultura come fenomeno altamente caratterizzato e dunque, le istituzioni culturali,
sarebbero nate e si sarebbero sviluppate attraverso processi diversi in ogni società.
- Strutturalismo: la scuola di pensiero di Levi-Strauss affermava che l’importanza del mito stesse nella sua
struttura più che nella storia. Il mito è un modo per classificare e organizzare la realtà, e in ciò risiederebbe la
sua vera funzione. E allo studioso interessano i miti in quanto indicatori di modi di pensiero.

Tutte le ipotesi furono oggetto di critiche da parte di altri studiosi, e vennero formulate costantemente nuove ipotesi
sull’origine del teatro come lo vediamo noi oggi. Ad accomunare tutte le teorie sono due fattori:

- Il rito e il mito sono elementi fondamentali in ogni società;


- Il teatro nasce dal rito primitivo;
- lo sviluppo del teatro non ha seguito lo stesso schema evolutivo in tutte le società (come diceva Frazer);
il rito nelle società primitive svolgeva diverse funzioni:

- forma di conoscenza: tendono di definire la condizione umana e descrivere l’universo che la circonda;
- funzione didattica: è un mezzo di trasmissione di tradizioni e conoscenze;
- influenza/determina avvenimenti esterni: imitare un avvenimento poteva realizzarlo (es. danza della pioggia);
- funzione celebrativa: di una forza sovrannaturale, di un eroe, di un animale ecc.;
- funzione ludica: il mito diverte e procura piacere;

Joseph Campbell cercò di fare una sintesi tra i vari tipi di riti/miti, arrivando alla conclusione che tutti erano
riconducibili ai seguenti temi: il piacere, il potere, il dovere.

Mito e teatro, dunque, potevano assolvere la stessa funzione, l’uso ella voce, i costumi… erano comuni per entrambe
le rappresentazioni. Anche se maschere ed accessori sono tipici del rito poiché si diceva che uno spirito fosse attirato a
stabilirsi dentro un’apparenza che gli somigli. Quindi erano utilizzate per attirare, consultare o propiziare la forza
sovrannaturale per alcune etnie.

In comune col teatro c’era il dover seguire norme precise da parte degli attori, e si svolgevano in un luogo preciso….
C’è chi utilizzava uno spazio circolare, chi un lungo spazio continuo. Per questo è difficile trovare una differenza
significativa tra mito e teatro. Sta a noi cogliere la differenza tra una funzione religiosa e un’opera teatrale, dunque è
soggettiva questa distinzione. Ogni cultura ha dunque percezione diversa di rito e teatro.

Si può dire però che entrambi assolvono la stessa funzione sociale: dare forma e consistenza alle idee così da creare
una sorta di equilibrio e una ragion d’esistere nel mondo.

La storia del teatro rappresenta la vittoria di un mutato atteggiamento dell’uomo verso se stesso e il mondo che, se
una volta il rito ed il teatro erano una cosa sola, nelle società avanzate assolvono funzioni diverse, anche se, confini
sottili separano le due pratiche.

Lo studio di Joseph Campbell conduceva anche un’analisi sulle differenze tra pensiero occidentale e orientale: i miti
occidentali si fondavano sulla relazione tra uomini e dei e i ruoli assegnati all’umano sono ben differenti da quelli del
divino. Nel mito orientale invece, la figura del sovrano, del faraone ad esempio, collimava con la divinità… quindi la
corrente dominante del pensiero orientale non riconosceva nessuna fondamentale separazione tra gli dèi e l’uomo.

Ecco perché come società è rimasta più conservatrice rispetto al progressismo dell’occidente. L’uomo non può
influenzare l’esistenza, può al massimo tentare di diventare una cosa sola con essa… di conseguenza, per la mentalità
tradizionale orientale, il cambiamento e il progresso sono mere illusioni, mentre per l’occidente costituiscono
l’essenza della verità e della realtà.

Tutto ciò aiuta a capire come le manifestazioni teatrali orientali fossero conservatrici rispetto a quelle occidentali
erano caratterizzate per lo più dal progresso e dal cambiamento.

Le origini del teatro sono dunque antichissime, i riti antichi più famosi erano quelli egiziani, e anche quelli che più si
avvicinavano al “dramma”. Uno dei riti che si pensa fosse fatto annualmente era il Dramma Memfitico del 2500 a.c.,
che raccontava morte e resurrezione di Osiride, e l’incoronazione di Horus, rigeneratore dell’anno, impersonato dal
faraone. Altro dramma famoso era quello di Abido, che parlava dell’assassinio di Osiride da parte di Seth, e si
concludeva con la vittoria di Horus, che vendicando il padre, riconquista il regno. In queste cerimonie per Osiride
sacerdoti, faraoni e popoli prendevano proprio quelle che noi definiamo “parti”. Era definito <<dramma sacro>>.

Quella egiziana, per quanto innovativa nel passato, rimane una società statica nei secoli seguenti… infatti per
proseguire il discorso sull’evoluzione della pratica teatrale dobbiamo spostarci in Grecia, dove sono le origini della
tradizione europea del teatro e dell’arte drammatica.

IL TEATRO GRECO

Le notizie più importanti dell’origine del teatro greco stanno nella Poetica di Aristotele (384-322 a.c.), dove si afferma
che tragedia e commedia fossero inizialmente improvvisazioni nate dai cantori del ditirambo (inno cantato e danzato
per Dionisio) e dei canti fallici.
La nascita della tragedia è spesso associata ad Arione, il quale, chiamava i suoi attori tragoidoi, e i loro canti tragikon
drama. Arione viveva a Corinto, dove erano le popolazioni doriche, essenziali per lo sviluppo del teatro poiché furono i
maturatori dell’aspetto artistico del ditirambo: canto e ballo erano essenziali nella tragedia. Non si sa però quanto
tempo servì per questa trasformazione… si attribuisce a Tepsi il merito di aver contribuito al processo con l’aggiunta di
prologhi e battute dette da attori che avevano il compito di impersonare dei personaggi. Quasi tutti gli studiosi
ritengono comunque che la tragedia si nata dal lento e graduale sviluppo dei riti preesistenti.

A contribuire ci furono anche poeti ateniesi, come solone, che scrivevano versi che davano voce ai personaggi. Intorno
al 534 a.c. Tepsi avrebbe riunito questi elementi associandoli al coro, così creando un dramma primogenio. Eschilo
introdusse poi il secondo attore.

Dunque, si può affermare che i riti a Dionisio (dio del vino e della fertilità) furono le prime forme di teatro e di
“lotte” tra teatri (ad esempio nelle feste celebrative in Attica, come la festa delle Grandi Dionisie, si faceva un
concorso all’inno migliore tra le diverse popolazioni).

La conoscenza della tragedia greca è attribuita alle figure di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Le tragedie iniziavano con un
prologos (che dava le info. Iniziali) se previsto, seguiva poi la parodos (dai venti ai duecento versi, dove si introduce il
coro e si narrano gli avvenimenti, stabilendo il tono della tragedia), di seguito una serie di episodi (da tre a sei),
separati dagli stasima (canti corali), per concludere con l’exodos (uscita dei personaggi e del coro, nonché conclusione
della tragedia).

Medesime narrazioni mitiche venivano rappresentate in modo differente dagli autori. Altre narrazioni erano
complementari tra loro, come ad esempio le trilogie realizzate da Eschilo, dove i suoi personaggi hanno dimensioni
eroiche e sono, dunque, molto lontane dalle persone della vita reale. Inoltre, esso usava frequentemente elementi
visivi spettacolari (costumi sfarzosi, danze corali insolite), di carattere simbolico.

Euripide invece, attraverso i personaggi, mette in dubbio la validità dei valori tradizionali, e critica il senso di giustizia
degli dèi, che a volte appaiono come la causa dell’ingiustizie e delle miserie umane. Euripide divenne sempre più
popolare e gli aspetti sentimentali e melodrammatici del suo lavoro vennero imitati con sempre maggior frequenza.
Delle centinaia di drammi satireschi scritti da Euripide, l’unico testo completo sopravvissuto fu Il Ciclope.

La struttura dei drammi satireschi era simile a quella della tragedia. Trattava temi connessi alla tragedia da parodiare,
ma con argomenti perlopiù indipendenti da essa. Dunque, nel dramma satiresco, v’era un trattamento
essenzialmente parodistico della mitologia, e spesso si metteva in ridicolo la divinità e l’eroe. Lingua e metro erano
molto diversi da quelli della tragedia, poiché più colloquiali, tendenti alla forma quotidiana.

La commedia fu l’ultima delle maggiori forme drammatiche a ricevere in Grecia il riconoscimento ufficiale (487-486
a.c.). Sono rimasti pochi nomi di commediografi dell’antichità, come Chionide e Magnete. Tutte le commedie esistenti
del quinto secolo erano di Aristofane, come ad esempio Lisistrata del 411 a.c., opere che denominano sole la
<<commedia antica>>.

Le commedie di Aristofane sono strutturate in modo semplice: il prologo spiega una situazione iniziale, la parabis
(dove erano discussi problemi sociali/politici) divide la prima parte della commedia dalla seconda (con scene che
mostrano i risultati della situazione iniziale), il komos (scena finale) dove avviene la riconciliazione dei personaggi.

Figura importante era il corego (la persona alla quale lo stato ateniese imponeva il tributo della coregia, il direttore del
coro) in tutte le rappresentazioni durante le grandi Dionisie.

ATTORI E RECITAZIONE (P.29) Inizialmente il drammaturgo era il solo interprete delle sue opere, durante gli anni
vennero introdotte seconde e terze parti… fino ad arrivare alla netta separazione dei ruoli tra drammaturgo e
interpretatore: l’attore. Dal 468 a.c. il numero degli attori era fissato a 3. A volte lo stesso attore interpretava più ruoli.
Con il complicarsi delle opere (es. Edipo di Sofocle) venne automatica l’introduzione di un numero maggiori di attori
per renderne fattibile la rappresentazione. Gli attori venivano scelti in base alla voce e alla sua espressività (la mimica
facciale passava in secondo piano per l’uso delle maschere). Importantissima era la gestualità (molto comunicativa
nelle tragedie) e i movimenti del corpo.

Però non era realistica la recitazione drammatica/tragica si discostava dall’espressività quotidiana:

- La drammatica puntava a idealizzare


- La comica a deformare

IL CORO Assolveva diverse funzioni:

- Dava consigli e opinioni


- Reagiva e interveniva attivamente alle azioni
- Definiva il contesto storico, etnico e sociale
- Conduceva il pubblico alle giuste emozioni

Ruolo importante era quello spettacolare: con canti e danze si aumentava il fattore di spettacolarità. Era scelto
inesperto (concorsi annuali) poiché più genuino, ma comunque guidato e gestito da un professionista che ne sceglieva
anche i costumi.

LA MUSICA L’elemento musicale era un unico flauto, il suonatore aveva collocazione sconosciuta. Sconosciuta era
anche la composizione dei brani, probabilmente o era a carico di quest’ultimo o del drammaturgo/commediante.
C’erano musiche universali, o specifiche per commedia o tragedia.

LA DANZA Qualsiasi gestualità/pantomimica, se ritmica, veniva considerata come danza.

- COMMEDIA: meno solenne e ridicola, o movimento degli animali;


- DRAMMA SATIRESCO: sikinìs, parodia delle danze tragiche;

LA SCENA Venivano rappresentate in luoghi vicini a spazi sacri agli dèi (es. ritrovamenti di sedili in pietra dagli scavi nei
palazzi minoici di Creta). Furono ritrovati molti spazi rettangolari di circa 12mx10m, utilizzati generalmente per danze
popolari o rituali/cerimonie. Si credeva che fossero anche utilizzati come teatri, ma questa ipotesi fu smentita da
ritrovamenti successivi come il teatro di Dioniso che presentava l’orchestra, vero e unico elemento strutturale dei
teatri greci antichi poiché il pubblico sedeva sui pendii della collina o stava in piedi per assistere agli spettacoli.
Conosciamo l’esistenza poi di un piano rialzato riservato alle “apparizioni” e dell’orchestra circolare.

Eschilo nel Prometeo incatenato accennava a una scenografia consona alla tragedia, come pannelli per rappresentare
un dirupo… altri pensavano che questa situazione di instabilità/distruzione del terremoto fosse semplicemente
suggerita dalle battute degli attori... altri ancora credevano ci fosse un’appropriata struttura scenica.

L’edificio scenico era chiamato “skenè” (tenda, spogliatoio degli attori, successivamente evoluto a scena), e poteva
soddisfare la scena delle varie rappresentazioni dei vari generi. Critici e storici si chiesero se fosse effettivamente così
e si svilupparono diverse teorie a riguardo:

- Pinakes, pannelli dipinti appesi alla skenè (la sua facciata serviva come sfondo convenzionale per tutti i tipi di
opere teatrali)
- Periaktoi, strutture a prisma che ruotavano ed ogni lato aveva una scenografia (poco probabile e non
verificato)
- Scena vuota (poco probabile poiché si sarebbe infranta la bellezza dell’illusione)

Altro elemento era la mechanè che serviva per far apparire personaggi in volo o sospesi a mezz’aria.

IL MIMO GRECO Era uno spettacolo di carattere popolare. Consisteva in brevi commediole, danze mimiche, imitazioni
animalesche, acrobazie e giochi. I mimi potevano essere considerati i primi attori professionisti e includevano anche le
donne.

TEATRO ELLENISTICO (e influenze sull’Italia meridionale) Coincideva con riti religiosi (a Dioniso). È danzato, parlato e
musicato in luoghi aperti. L’idea è di uno spazio sacro per un rito comunitario. Il pubblico sedeva in pendenza nel
theatron che inizialmente aveva sedili in legno e si associa al teatro di Dionisio, successivamente nel 338 a.c. si costruì
l’odeon, che aveva diversa pendenza e sedili in pietra. La presenza dei posti giustificava anche l’esistenza di una sorta
di biglietto… quindi il teatro cominciava ad essere un qualcosa di esclusivo e non più gratuito. A decidere il prezzo era
Pericle (450 a.c.), che si occupava anche di creare un fondo statale per il teatro in modo da mantenerlo accessibile ai
più. Il dramma satiresco declinò già nel quarto secolo avanti Cristo, e ciò si poteva notare dalle rappresentazioni nelle
Dionisie, in cui questi erano sempre meno frequenti. I nuovi temi delle commedie erano faccende private della
cittadinanza ateniese e delle classi medie. A differenza delle commedie antiche, le nuove ignoravano problemi politici
e sociali, concentrandosi sulle storie d’amore, i rapporti familiari e i problemi finanziari. Menandro è uno dei suoi
principali esponenti. La crescente popolarità della commedia nuova era testimoniata dalla presenza di nuove gare tra
attori comici nelle Dionisie, e da ciò ne deriviamo la crescente importanza della recitazione rispetto alla qualità del
testo, che era in precedenze quel che contava di più. Atene rimase il centro teatrale più importante della Grecia
durante tutto il quarto secolo. Grazie alle pitture vascolari ritrovate, possiamo affermare che le pratiche teatrali erano
ampiamente diffuse anche nell’Italia meridionale, dove i popoli entrarono maggiormente in contatto con la cultura
greca. Roma era il principale centro teatrale, e man mano la pratica fu estesa alle province. Molto diffusa era la farsa
fliacica, una ilarotragedia (parodia di miti tragici).

IL TEATRO A ROMA E NELL’IMPERO BIZANTINO

L’attività teatrale a Roma iniziò grazie all’influenza della cultura etrusca che dominava la città nei suoi primi secoli di
vita. Fu dalle feste religiose etrusche che i romani trassero gli elementi caratteristici delle proprie celebrazioni.
Secondo lo storico Tito Livio le prime rappresentazioni teatrali risalivano al 364 a.c. ad opera di attori etruschi che
danzavano e cantavano per placare gli dèi ed allontanare la peste che aveva colpito la città. Anche il nome dato agli
attori, histriones, derivava dall’etrusco “histeres”. Dalla città etrusca di Fescennium invece derivava il nome del
fescennino, una composizione dialogata, rozza e volgare, che fu una delle forme embrionali del dramma latino.

Influenze del teatro a Roma, furono anche le forme teatrali provenienti dall’Italia meridionale. Atella, una città
campana, dava il nome all’atellana (derivata forse dalla farsa fliacica), una farsa importata a Roma di breve lunghezza,
improvvisata e con personaggi fissi, ognuno con una maschera caratteristica e un proprio costume.

Roma espandendosi venne a contatto con la Grecia. I primi drammi assimilabili al modello artistico greco risalgono al
240 a.c., annata in cui si tenevano i Ludi Romani (le più antiche feste ufficiali che venivano celebrate in onore di Giove
nel mese di settembre), istituiti da Tarquinio Prisco. Infatti, come in Grecia, la maggior parte delle rappresentazioni
avveniva durante le feste di carattere religioso. La prima opera ad inaugurare l’entrata di commedia e tragedia nei
Ludi Romani fu di Livio Andronico (la pratica teatrale entrò già prima, nel 364 a.c.).

Altre feste ufficiali erano i Ludi Florales (in onore di Flora), i Ludi Plebei (a novembre, in onore di Giove), i Ludi
Apollinares (in luglio per il dio Apollo), i Ludi Megalenses (per la Magna Mater in aprile) ed infine i Ludi Cereales (per
Cerere).

Se ci fosse stata una qualsiasi irregolarità durante la festa, essa sarebbe stata ripetuta. Questa ripetizione veniva
chiamata instauratio (ad esempio i Ludi Plebei ebbero sette instauratio in un anno). Proprio per questo è difficile
stabilire la quantità di giorni dedicata da parte dei romani alla pratica teatrale. Sappiamo solo che la frequenza degli
spettacoli incrementò nel 240 a.c. con l’avvento di commedia e tragedia di stampo greco.

Oltre alle feste c’erano anche rappresentazioni private nelle ville patrizie, e spettacoli per un pubblico pagante
organizzati da compagnie girovaghe.

(commedia e tragedia) L’inizio della letteratura latina era attribuito a Livio Andronico poiché primo
scrittore, adattatore e traduttore delle commedie e tragedie greche. Queste costituivano le prime
importanti opere letterarie in lingua latina. Sappiamo poco poi del commediografo Gneo Nevio. Gli unici
autori di cui sono state pervenute le opere furono i commediografi Plauto e Terenzio. Tra tutti, Plauto fu il
più popolare, e gli vennero attribuite ben 130 commedie (es. Asinaria e Aulularia) dopo la sua morte. Molte
di esse erano probabilmente ispirate a testi greci non pervenuti, per questo considerate sue originali…
inoltre le arricchiva di costumi e riferimenti di vita romani. Terenzio scrisse 6 opere, tutte pervenute, ed
erano incentrate sulla costruzione del personaggio e la creazione di contrasti, più che sullo sviluppo della trama.
Accanto queste commedie di modello greco c’erano poi le commedie togate (differenti, e non derivanti dalle palliate),
le quali trattavano argomenti e descrivevano ambienti tipicamente romani. Non ne sopravvisse nessuna, ma
conosciamo tre nomi che le rappresentavano: Titinio, Afranio e Atta.
La vita della commedia cessò nel 100 a.c. ma continuatrici della sua fama, anche dopo la caduta di Roma, furono le
opere di Plauto e Terenzio.
Nelle tragedie romane vi erano differenze sostanziali: non c’era il coro e nemmeno una suddivisione in episodi, e i
dialoghi erano accompagnati da un accompagnamento musicale. La tragedia romana era molto apprezzata dalla
critica, nonostante ciò, conosciamo solo tre nomi che ne facevano le veci: Pacuvio, Accio ed Ennio. Le uniche tragedie
romane sopravvissute erano di un periodo più tardo, ed erano quai tutte opera di Lucio Anneo Seneca. Di lui ci sono
rimaste nove tragedie, e divenne una delle personalità più influenti di Roma quando il suo discepolo, Nerone, nel
54d.c. fu incoronato imperatore. Il teatro fu molto importante e principale pozzo a cui attingere da parte dei posteri.
Le sue tragedie erano divise in cinque episodi (i 5 atti divenuti regola nel rinascimento), il coro era ridotto a una sola
persona che commentava la vicenda, il linguaggio era erudito e il tono declamatorio assimilabile alle arringhe forensi
(imitato dai successivi), le scene violente e sanguinose (prese a modello dai rinascimentali), la costruzione dei
personaggi dominati da un’unica passione (come la vendetta) che li conduce alla distruzione finale (modello per il
dramma rinascimentale). Dunque, erano molti gli espedienti drammaturgici senechiani che vennero ripresi dagli autori
successivi.
Durante il primo secolo a.c. erano in voga la fabula atellana, il mimo e il pantomimo, tre forme drammatiche minori.

La fabula atellana era breva e fungeva perlopiù da exodia (pezzo di chiusura di una rappresentazione). Trattava di
temi campestri e veniva usato un linguaggio rozzo e contadino. Aveva 4 personaggi fissi: Pappus (un vecchio stupido e
avaro e libidinoso), Maccus (lo scemo picchiato e canzonato), Dossenus (un gobbo furbo e imbroglione) e Bucco (il
mangione).

Il mimo era il più popolare, soprattutto durante i Ludi Florales. Poteva trattare qualsiasi tema e aveva un numero
variabile di interpreti. I mimi riflettevano il gusto del periodo, e comprendevano dunque scene di ostentata violenza.
Ai tempi si impose su tutte le altre forme di rappresentazioni. Faceva parte del mimo anche il mondo del circo
odierno. A distinguerlo nel costume era un fazzoletto per celare l’identità, il ricinium.

Il pantomimo, assimilabile al balletto moderno, era uno spettacolo che tramite la danza raccontava una storia. In
Grecia coinvolgeva più ballerini, mentre a Roma era un assolo di danza. Il solista interpretava tutti i ruoli,
inframmezzando anche monologhi lirici. Era un genere serio, talvolta comico… ma il serio conquistò il posto della
tragedia e cominciò a rivolgersi a un pubblico più sofisticato.

Il teatro però non era la celebrazione più spettacolare dei tempi. Vi erano infatti corse dei carri (istituite da Tarquinio
Prisco), circhi (con corse di cavalli e animali feroci dominati) e battaglie simulate durante le feste religiose.
Altri rivali del teatro, esclusi però dalle feste religiose, erano: i combattimenti tra gladiatori (vi erano scuole specifiche
che li preparavano allo “spettacolo”), le venerationes (combattimenti con animali feroci, spettacolo elaborato che
crebbe di successo con la costruzione del Colosseo nell’80 d.c.) e le naumachie (battaglie navali a cui partecipavano e
morivano moltissime persone, erano realizzati in laghi artificiali, o fiumi, per inaugurare ad esempio un acquedotto).
Il teatro acquisterà la sua spettacolarità gradualmente con l’introduzione di anfiteatri allestiti di macchinari complessi
per la realizzazione di “effetti speciali” alla scenografia. Gli spettacoli teatrali durante le feste religiose (ludi scaenici)
erano finanziati dai magistrati, poiché la spettacolarità di questi, poteva contribuire al prestigio della propria
reputazione. Erano spettacoli senza interruzioni, e se esse fossero state presenti, sarebbero state riempite di altre
forme di intrattenimento. L’ingresso era libero e accessibile a tutte le classi sociali.
Il primo teatro permanente fu istituito nel 55 a.c., 200 anni dopo la nascita di tragedia e commedia a Roma. Prima vi
erano teatri mobili, che ruotavano talvolta attorno alla platea per formare una sorta di anfiteatro.
Tutti i teatri erano simili in struttura: erano in piano (e non sui pendii), avevano corridoi (vomitoria) che portavano la
platea fino all’aria a lei riservata (cavea)divisa in settori, un palcoscenico di grandezza variabile (pulpitum) la cui parte
posteriore (scaenae frons) era dipinta, dorata, decorata da statue e conteneva cinque porte. L’orchestra era un
semicerchio per gli ospiti più importanti. Talvolta c’era anche un telone per proteggere gli spettatori dal sole (velum).
La scaenae frons, era la scenografia. Essa era fissa: case che davano sulla strada per la commedia, palazzi o tempi per
la tragedia. Dunque, il pubblico, doveva ricavare le informazioni riguardo il luogo e il contesto sociale dalle parole degli
attori. Le cinque porte erano importanti poiché i personaggi ne facevano spesso riferimento e ognuna di esse poteva
rappresentare un’ambientazione. Talvolta vi erano delle strutture rotanti, ogni lato aveva una propria scenografia,
dipinta su dei pannelli appesi (periaktoi).
Altri elementi utili ad incrementare la spettacolarità erano dei tendaggi, che potevano svelare nuove scene, cadendo
all’improvviso (auleum), dare termine alla rappresentazione o ad una scena (siparium).
Oltre ai teatri vennero realizzate altre strutture per gli spettacoli, come il Circo Massimo per le corse dei carri, che
poteva contenere circa 60.000 persone, e il Colosseo (50.000 persone). Interessante era lo spazio scavato sotto l’arena
che, con dei montacarichi, poteva far apparire dal terreno elementi scenografici.
Gli attori erano generalmente chiamati histriones (che facevano parte del collegium poetarum, un’associazione di
artisti), mentre quelli del mimo anche mimus o saltator. Erano uomini, solo nel mimo comparivano anche le donne.
Portavano maschere (in tela e con un’apertura a megafono per far uscire la voce), come in Grecia, per poter
interpretare più ruoli durante la rappresentazione. Gesti e voce erano ridotti ai loro tratti essenziali. Facevano parte di
compagnie pubbliche per la maggior parte, le compagnie private esistevano, ma era perlopiù di schiavi, e occorrevano
al divertimento delle famiglie patrizie. I costumi erano ateniesi per le fabule palliate e romani per le togate. Ogni
personaggio aveva il suo accompagnamento musicale. Nel mimo e nel pantomimo esso era più complesso rispetto al
semplice flauto di tragedia e commedia.
Il declino del teatro avvenne con l’avvento della fede cristiana nel quarto secolo. Questo perché era associato a feste
pagane e i mimi offendevano il senso morale ecclesiastico, spesso mettendo in ridicolo cerimonie come il battesimo e
la comunione. La chiesa non fu il principale motivo di questo declino. Pian piano la pratica teatrale a cui il popolo era
abituato 900 anni prima, cominciò a tornare nell’oscurità da cui era lentamente riaffiorato.

(impero bizantino e islam)

Costantinopoli era il centro degli spettacoli più importanti e le rappresentazioni teatrali erano varie. Vi erano anche
corse di cavalli assimilabili a quelle nel Circo Massimo grazie alla presenza dell’Ippodromo, che era lo spettacolo più in
voga. Personaggi politici venivano torturati nelle venerationes o costretti a combattere con i gladiatori. Vi erano poi
sermoni (con parti dialogate) di carattere religioso. Oltre a questi non ci sono altre fonti riguardo la presenza di veri e
propri drammi religiosi.
Altra cultura che contribuì al soffocamento del teatro era quella islamica. Infatti, l’impero bizantino, conservatore
principale delle opere greche classiche, venne man mano sottoposto sempre di più alla pressione politica e militare da
parte della cultura Islamica. Essa era stata innovativa in arte e scienze, ma la proibizione religiosa mise a repentaglio
qualsiasi forma d’arte rappresentativa. Era permesso però in Turchia, India e Indonesia il teatro d’ombre, poiché non
metteva in luce una figura materiale. In Turchia divenne la forma d’arte più famosa (Karagoz) nel XIV secolo, dopo la
caduta di Bisanzio.

IL TEATRO NEL MEDIOEVO

Anche se nell’Europa occidentale la pratica teatrale venne progressivamente a cessare, alcune forme teatrali
riuscirono a sopravvivere grazie alla presenza di intrattenitori, cantastorie... vi erano gruppi di attori girovaghi che
recitavano ovunque ci fosse del pubblico ad ascoltarli e compensarli con qualche cosa. Questi erano diffusi soprattutto
nell’Europa meridionale, e venivano costantemente osteggiati e condannati dalla chiesa. Come testimonianza
abbiamo i numerosi editti emanati contro i mimi, gli histriones e i ioculatores. Nell’Europa settentrionale invece, quella
con meno influenza da parte del popolo romano, nacque la figura dello scop, un cantore e narratore di storie. Le sue
esibizioni erano essenziali nelle feste e nelle celebrazioni. Questi finirono per essere trattati con la stessa stregua di
mimi e cantori dell’Europa meridionale. La chiesa, dunque, teneva il controllo su tutte le rappresentazioni, e per
distogliere l’attenzione dalle vecchie feste pagane, ne furono instituite delle altre, nei giorni in cui avrebbero dovuto
essere celebrate le preesistenti (es. la Pasqua era lo stesso giorno della festa della fertilità). La chiesa, operando una
conversione dell’Europa occidentale, non eliminò/vietò le feste esistenti, ma molto semplicemente le aveva
<<riorientate>>.
Ciononostante, alcuni riti pagani sopravvissero, poiché scomparì il loro significato religioso (es. danza delle spade). Col
passare del tempo le cerimonie rituali della chiesa cristiana divennero sempre più complesse e la forma drammatica
rinacque dallo sviluppo del cerimoniale religioso nel corso del X secolo.
Il calendario liturgico della chiesa commemora particolari eventi biblici in giorni prescritti, ogni giorno aveva una
particolare celebrazione. La Domenica delle Palme, ad esempio, era celebrata con una lunga processione. Nelle
cerimonie ecclesiastiche particolari simboli cominciarono ad essere attribuiti a figure del mondo biblico (es. la
colomba rappresentava la vergine Maria), così da rendere la visione di un oggetto, un qualcosa di universale e
comprensibile a tutti, anche per gli analfabeti che al tempo erano numerosi. Il dialogo ancora non compariva, però
c’erano molti canti articolati nei quali furono inseriti dei testi liturgici di carattere vario, i tropi. Le composizioni
poetiche e musicali divennero sempre più complesse.
Una delle prime forme dialogate tratta da un tropo era il Quem quaeretis, che trattava dell’incontro di Cristo con le tre
Marie. Fu il dramma liturgico a generare le più importanti realizzazioni teatrali nei secoli successivi, che cominciarono
anche ad uscire dalle chiese e i luoghi sacri. Il dramma religioso, intanto, si era diffuso in Oriente fino in Russia, dalla
Scandinavia all’Italia. La lunghezza del dramma liturgico e la sua complessità variavano notevolmente a seconda della
zona in cui venivano rappresentati. I più antichi e numerosi erano appunto quelli delle tre Marie in visita alla tomba di
Cristo. Raramente era rappresentata la crocifissione, e uno dei temi ispiratori era la nascita di Gesù bambino,
rappresentato tutto in modo molto semplice. A parte i drammi religiosi c’era il Dramma dei profeti (processio
prophetarum) che comprendeva non un testo liturgico come il tropo, ma un sermone, una testimonianza
dell’esistenza di Cristo.
L’a scenografia era pressoché inesistente. Ciò che occorreva erano solo delle piccole strutture chiamate sedes, loci o
mansions. Ci potevano essere anche più mansions disposte in varie parti della chiesa. Esse erano raramente arricchite
da oggetti di scena, o provviste di tende per rivelazioni o uscite di personaggi/oggetti di scena alla conclusione di un
episodio.
Gran parte della nostra conoscenza sulla messa in scena dei drammi liturgici proviene da disposizione dettagliate nei
manuali liturgici. Le battute venivano più cantate che recitate, e la recitazione era più di carattere convenzionale che
realistico.
Un’altra festa era la festa dei folli, diretta da un Vescovo folle. Erano le poche rappresentazioni che contenevano
elementi comici e grotteschi. Erano istituite rappresentazioni da parte del clero minore che molto spesso andavano a
parodizzare i propri superiori e la routine ecclesiastica. Ai celebranti era permesso suonare le campane della chiesa
impropriamente. Fecero scalpore ma i tentativi di sopprimerla non sortirono alcun effetto per lungo tempo. Anche le
celebrazioni dei ragazzi del coro, dette feste dei ragazzi del vescovo, incontrarono solo lievi opposizioni.
Per quanto riguarda il dramma volgare, esso si sarebbe formato attraverso un processo graduale in cui, una serie di
drammi liturgici brevi, sarebbero stati accorpati per dare forma a lunghi drammi, i quali tradotti, sarebbero poi stati
messi in scena da laici. Dunque, il dramma religioso, diffondendosi, stava anche subendo un’evoluzione. Convertendo
alcune parti cantate in dialoghi, si rendeva più comprensibile la rappresentazione, e la recitazione fu espansa anche ai
laici, mentre prima era riservata ai soli membri del clero. Nei due secoli successivi, i drammi religiosi in volgare furono
rappresentati in tutta l’Europa occidentale. In Italia se ne sviluppo uno specifico, le Ludi, una forma drammatica in
Umbria dove venivano rappresentate varie ricorrenze del calendario liturgico.
I drammi religiosi medievali, anche se vari di lunghezza e temi, erano molto comuni tra di loro. Erano racconti ad
episodi, senza alcuna attenzione all’attendibilità cronologica della storia, mas con particolare cura nella
rappresentazione di eventi importanti nella chiesa, come ad esempio i miracoli. Vi erano poi inseriti episodi burleschi
che mostravano l’errore umano e venivano usati come insegnamento morale.
Il finanziamento di questi spettacoli sfuggi di mano alla chiesa, e passò in mani laiche. E così anche le rappresentazioni
stesse scivolarono in mani estranee al clero. Queste corporazioni comprendevano un numero elevato di persone che
lavoravano insieme. La chiesa si riservava solo il diritto di approvare il testo. Ad ogni corporazione era affidata una
rappresentazione. A volte esse si finanziavano da sole. In altri casi veniva messo un prezzo di ingresso o si chiedeva un
aiuto economico al pubblico per l’acquisto dei costumi di scena ad esempio. Il direttore era una figura importantissima
perché seguiva la rappresentazione teatrale minuziosamente in tutta la sua produzione. A volte si assumeva per tutto
ciò un professionista, il pageant master. Se la realizzazione poi fosse stata affidata a una sola persona all’interno della
corporazione, essa avrebbe dovuto dimostrare delle capacità veramente eccezionali.
Jean Bouchet, infatti, elencava i numerosi ruoli del direttore: egli stabiliva il prezzo d’ingresso, trovava la forza lavoro
per realizzare la scenografia, talvolta recitava più parti nello spettacolo, introduceva la rappresentazione, e riassumeva
i vari episodi al pubblico dopo la loro chiusura. Controllava praticamente ogni aspetto della produzione teatrale.
Il numero degli attori era limitato a 5 o 10, e talvolta essi interpretavano più ruoli. Essi erano presi dalla popolazione
locale. Se erano bravi e graditi, mantenevano il ruolo nelle repliche negli anni e potevano anche diventare insegnanti.
Erano perlopiù uomini e ragazzi. Per le scene di violenza venivano usati fantocci molto realistici. Gli attori erano
sempre visibili, si facevano avanti solo durante la loro parte, si facevano indietro quando non dovevano contribuire
allo spettacolo, ma comunque dovevano rimanere in scena (giuravano di non abbandonare il palcoscenico). Non erano
generalmente pagati, giusto i più bravi ricevevano grandi compensi per recitare. Si dovevano procurare il vestiario da
soli (a Lucerna il direttore dava ad ogni personaggio una descrizione di come sarebbe dovuto essere il suo costume),
ecco perché veniva richiesto al pubblico una somma per permettere ai meno abbienti di comperare un costume di
scena.
I palcoscenici potevano essere sia fissi che mobili. Quelli mobili venivano utilizzati per esempio nelle rappresentazioni
che facevano parte di un ciclo, poiché venivano spostasti come fossero tappe nella città. Per questo venivano molto
usati in Inghilterra i pageants, palchi mobili, caratteristici del dramma religioso inglese. I palchi erano perlopiù
all’aperto, piattaforme rettangolari addossate a una schiera di casa o la centro di una piazza. Se vi era un anfiteatro, il
palco era fatto in modo da permettere al pubblico di vedere lo spettacolo da tutte le angolazioni.
I due luoghi maggiormente rappresentati erano l’inferno e il paradiso. L’ingresso nell’inferno era rappresentato come
l’entrata nella bocca di un grande e terrificante mostro/bestia. Il paradiso era sopraelevato rispetto al resto del
palcoscenico. Sul retro del palco veniva appeso un telo col sole per il giorno, con la luna per la notte. Altri effetti
scenici erano le botole, molto utilizzare per la sostituzione attore-fantoccio durante le scene di violenza. Gli animali a
volte erano veri, a volte erano interpretati da attori mascherati o da fantocci realistici. Durante la rappresentazione un
coro di angeli (interpretato da ragazzi) cantava gli inni sacri. La musica strumentale era di solito suonata da
professionisti.
È difficile dire quanta affluenza di pubblico prendesse parte agli spettacoli, ma le presenze erano di sicuro altissime
visti gli annunci che venivano fatti prima dello spettacolo nelle città circostanti alla sede di esso. Le produzioni
finanziate dalla comunità per giunta avevano anche l’ingresso gratuito, elemento che convalida l’ipotesi di una grande
affluenza. I posti non erano prenotabili, vi erano solo dei posti riservati a elementi del potere o del clero. Per evitare
che il pubblico si addossasse troppo al palcoscenico, tra di lui ed esso, erano posti sbarramenti di civili, fossi o canali
d’acqua.
Accanto alle rappresentazioni di carattere religioso comparirono forme teatrali meno elaborate. Un dramma di
carattere non religioso non comparve prima del 13 secolo. V’era la farsa che era di argomento profano, questa si
diffuse ampiamente in tutta Europa, soprattutto in Francia, dove infatti ve ne erano due varianti: le sottie (satire
politiche, religiose e sociali in costume) e i sermons joyeux (sermoni comici). In Germania la farsa nasceva dai
divertimenti delle feste popolari a Norimberga. In Inghilterra si sviluppo all’interno dei drammi religiosi ed emerse
come forma indipendente solo nel sedicesimo secolo.
C’era poi la moralità, il genere teatrale profano che più di avvicinava al dramma sacro. La più interessante fu la messa
in scena inglese “the Castle of Perseverance” con cinque mansion e ambientata in un castello. In Francia le moralità
rimanevano vicine ai drammi ciclici religiosi. Le moralità nel sedicesimo secolo furono in generale usate come armi
polemiche nei confronti delle controversie religiose che lacerarono l’Europa (es. King John di John Bale). Alle moralità
sono strettamente connesse le camere di retorica dei Paesi bassi dove le rappresentazioni non erano altro che
risposte inscenate a problemi posti nei circoli di intellettuali formati da borghesi e artigiani. Esse venivano
rappresentate per la maggior parte al chiuso su un palcoscenico che più si avvicinava al postero teatro pubblico
elisabettiano. Presentava tre aperture funzionali allo spettacolo, con dei siparietti, e un trono, destinato alla figura
allegorica, come ad esempio la Saggezza. Per evitare la censura, gli autori si rivolsero a temi sempre più profani.
L’interlude fu un genere che fiorì in Inghilterra tra XIV e XV secolo ed è associato allo sviluppo e alla diffusione
dell’attore professionista. Prima, infatti, era considerato un giullare (jongleurs, minstrels). Nel corso del XV secolo la
recitazione cominciò ad essere riconosciuta come attività a sé ben distinta da quella che praticavano i giullari. Per un
attore il mezzo di sussistenza più sicuro era l’entrare a far parte della corte di un nobile. Quando le compagnie erano
in tourneè le compagnie, per poter organizzare il loro spettacolo in città per un pubblico pagante, dovevano farselo
approvare e valutare dal sindaco di essa. Il luogo dove venivano messi gli interludes erano le sale dei banchetti dei
palazzi… lo sfondo scenico era la parete che separava la sala dalla cucina. Se non ci fosse stato un banchetto, i tavoli
sarebbero stati sostituiti da sedili per il pubblico. Lo spazio per recitare era esiguo.
Altre forme di intrattenimento erano i mummings, una sorta di odierno coro natalizio porta a porta. Da essi
derivarono intrattenimenti di corte danzati e cantati in cortei: i masques in Inghilterra, gli intermezzi in Italia e i ballets
de cour in Francia.
Nel corso del XVI secolo i generi teatrali caratteristici del medioevo scomparvero anche se erano molto diffusi e
popolari. Il motivo più significante fu l’indebolimento della chiesa attaccata dalla riforma protestante. Per tentare di
sedare i conflitti esistenti Elisabetta I con un editto proibì le rappresentazioni teatrali, in particolare quelle dei drammi
ciclici, dopo il 1570. Avvenimenti paralleli vi furono in Paesi Bassi, Francia e Italia. In Germania continuavano alcuni
drammi religiosi, ma si può affermare che essi vennero abbandonati in tutta Europa intorno al 1600. La chiesa non
revocò mai la condanna agli attori professionisti, e la censura nei loro confronti venne continuamente ribadita.
In questo periodo il rapporto tra il teatro e la società subì dunque un mutamento drastico. Nell’antica Grecia, a Roma
e nel Medioevo il teatro era pienamente appoggiato dal potere politico e religioso, ma a partire dal XVI secolo fu
privato delle sue funzioni civili e religiose e fu così costretto a intraprendere una battaglia per essere riconosciuto
come attività artistica indipendente. Fu sostenuto da nobili e governanti, e grazie a questo aiuto il teatro professionale
crebbe gradualmente consolidandosi in tutta Europa più o meno rapidamente a seconda del paese.

IL TEATRO ITALIANO DALL’UMANESIMO AL SEICENTO

Con lo sviluppo della cultura umanistica, sorta in Italia nel XIV secolo, che promuoveva il recupero degli ideali della
civiltà classica antica, avvenne un rinnovo di tutta l’attività artistica. Le nuove forme drammatiche che si svilupparono
sostituirono i modelli di spettacolo medioevale. Nella pittura con Giotto, nella poesia con Dante, Petrarca e Boccaccio
e nel campo teatrale il primo cambiamento significativo è la nuova coscienza della forma drammatica che nasce dallo
studio delle commedie e tragedie classiche: i testi teatrali dell’antichità andavano considerati e imitati. La prima
tragedia frutto di questa imitazione fu l’Ecerinis, di Albertino Mussato del 1315, la quale riprendeva lo stile di Seneca
pur trattando temi di storia recente. Successivamente Antonio Loschi ampliò la ripresa dello stile senechiano anche
alla scelta del soggetto, realizzando l’Achilles, considerato il primo vero esempio di tragedia rinascimentale.
L’iniziatore della commedia umanistica invece fu Petrarca. Altri umanisti che cercarono di riprendere il modello del
dramma latino furono Leon Battista Alberti ed Enea Silvio Piccolomini. Insomma, in questo periodo l’interesse per il
teatro classico si diffuse in tutte le corti italiane. Crebbe l’esigenza di rendere le opere accessibili a tutti, dunque, i testi
teatralli antichi cominciarono ad essere tradotti in italiano e successivamente furono realizzate commedie e tragedie
in volgare. La prima commedia scritta a imitazione dei modelli classici in italiano fu La Cassaria di Ludovico Ariosto,
inscenata a Ferrara nel 1508: riprendeva nella trama il modello classico della coppia innamorata ostacolata, era divisa
in cinque atti e venne scritta prima in prosa, poi in versi. Altra commedia celebre era La Calandria del cardinale
Bernardo Dovizi, ispirata alla Casina di Plauto e ai menecmi: giocava sugli equivoci e le burle che nascevano dalla
somiglianza dei due gemelli protagonisti. Commedia che imitava solo la forma dei modelli classici era La Mandragola,
di Niccolò Machiavelli, che era però svincolata dai contenuti della classica: in essa lo svolgimento dell’azione è
semplice e lineare. Intorno alla metà del 500 la commedia italiana si era ormai completamente sviluppata e diffusa: gli
autori si mostravano capaci di padroneggiare le tecniche delle commedie latine adattandoli a situazioni e tematiche
contemporanee. Un importante innovatore che seguiva i modelli senechiani e aristotelici fu Gianbattista Giraldi Cinzio:
introdusse il lieto fine, sostituì i personaggi illustri e storici, con personaggi immaginari ed intrecci favolosi. Oltre alla
tragedia e alla commedia si svilupparono anche drammi pastorali che si rifacevano ai drammi satireschi; progenitore
del dramma pastorale era l’Orfeo di Poliziano, di cui famosissimo rimase il coro delle baccanti che chiuse il dramma. I
due drammi pastorali più celebri erano di Tasso e Guarini (Arminta, Pastor Fido). Accanto alla produzione colta ispirata
ai classici, nel 500, si svilupparono composizioni più rozze e antiletterarie, le farse cavolaie, per un pubblico più ampio
e popolare.
Nella seconda metà del 500 l’Italia entrò in una nuova fase artistica, anche se depressa economicamente e censurata
dall’indice dei libri proibiti, realizzato dalla chiesa: si formarono i primi elementi della cultura barocca che si sarebbe
sviluppata nel 600. L’occhio si spostò sull’estetica dell’opera classica e, in nome della sua autorità, si tentò di elaborare
delle normative estetiche precise da applicare a tutte le forme dell’attività artistica. Il testo punto di riferimento
fondamentale per questo processo era la Poetica di Aristotele. La principale esigenza era la verosimiglianza (soggetti,
luoghi e avvenimenti dovevano essere plausibili), dunque doveva essere escluso il soprannaturale non giustificato e gli
interventi del coro, che non avrebbero avuto senso poiché un personaggio realistico non avrebbe mai discusso dei
suoi problemi in presenza di ascoltatori. Altra esigenza era l’insegnamento morale: la realtà andava imitata mettendo
in luce i fondamenti etici per cui, la malvagità veniva sempre punita, mentre la bontà premiata. L’opera d’arte doveva
cogliere i caratteri universali della realtà. Le forme fondamentali del dramma furono ridotte a due: tragedia e
commedia. Le altre varianti erano considerate forme <<miste>> e dunque non pure (ogni mescolanza era
condannata). La commedia aveva personaggi di ceto basso-medio e trattava di faccende private/domestice con un
lieto fine, le tragedie avevano personaggi di ceto alto e trattava di mitologia e storia usando uno stile poetico ed
elevato. La funzione di entrambe era <<insegnare dilettando>>. Questo fu il pensiero critico che dominò l’opera
drammatica fino alla fine del XVIII secolo.
Nel corso del XVI secolo fu formulato il principio delle tre unità: di azione, di tempo e di luogo (’azione deve essere
unica, coerente e compiuta in se stessa. Il luogo non doveva cangiare. Tutto doveva svolgersi nell’arco di una
giornata). Questi tre fattori assicuravano la verosimiglianza della rappresentazione. Il rispetto dell’unità di tempo fu
proposto nel 1543 da Giraldi Cinzio nello scritto Intorno al comporre delle commedie e delle tragedie. Infine, fu
Castelvetro nel 1570 che stabilì le tre unità come regole fondamentali: dopo questa data era dunque decretato che
un dramma per essere considerato valido, e non di genere inferiore/indegno, doveva rispettare le tre unità. La
tragedia era più apprezzata nelle cerchie di intellettuali mentre la commedia divenne più popolare anche grazie alla
presenza degli intermezzi.
Le festi delle corti italiane ripresero le forme spettacolari dell’epoca romana con i trionfi rinascimentali: essi
costituivano una manifestazione di potere e ricchezza. Vi erano anche naumachie, come il trionfo degli Argonauti,
rappresentato sull’Arno a Firenze nel 1608. Dalle mascherate e i cortei, trassero il loro carattere gli intermezzi, che
venivano inseriti nelle commedie come spettacoli vivaci e ricchi di natura spettacolare. Nella commedia erano
generalmente quattro e dividevano dunque i 5 atti. Questo tipo di intrattenimento divenne più popolare delle
commedie stesse. Originalmente non avevano nulla a che fare con la commedia rappresentata, gradualmente tesero a
ricollegarsi al tema da essa rappresentato.
L’opera lirica invece nacque dagli sperimentalisti della Camera Fiorentina, una delle accademie fiorite durante il
Rinascimento. Da questo semplice inizio l’opera si sviluppo come una delle maggiori forme artistiche del periodo
barocco. Fino al 1673 rimase l’intrattenimento delle corti e delle accademie. Il primo grande compositore fu Claudio
Monteverdi il cui Orfeo esaltò appieno i valori specificatamente musicali. I cantati aumentavano inversamente ai
recitati e i passaggi corali erano sempre meno. I veri e propri divi della musica lirica erano i cantanti e il lieto fine
divenne caratteristico di questo genere.
I teatri dove si svolgevano queste nuove produzioni di dramma classico imitavano quelli romani, i quali, influenzarono
quelli di tutta Europa. La scenografia era ispirata a quella descritta da Terenzio. Con scena piatta o tridimensionale, in
cui si apre una serie di porte coperte da tendaggi. La maggiore innovazione in campo scenografico si verificò grazie alla
pittura prospettica (presa dagli scritti di Vitruvio). Teorizzata per la prima volta da Leon Battista Alberti nel trattato
Della Pittura (1435). La prima scena prospettica fu quella realizzata da Pellegrino da San Daniele per la Cassaria di
Ariosto a Ferrara nel 1508. Altra nozione tratta da Vitruvio era la <<città ideale>>, gli artisti rinascimentali cercarono
sempre di rappresentarla, disegnando sui fondali palazzi suntuosi per le scene tragiche, e case comuni per le comiche.
Le pratiche sceniche del primo 500 vennero descritte nel secondo dei sette libri dell’architettura di Sebastiano Serlio,
dedicato all’allestimento scenico. Il libro di Serlio circolò in tutta Europa diffondendo gli ideali scenografici italiani
all’estero. Si tentava di imitare il teatro romano: Serlio adatto lo spazio semicircolare della vecchia cavea inserendolo
in una sala rettangolare dei palazzi, il pubblico sedeva su gradinate che scendevano fin file semicircolari verso il
centro, il palcoscenico poggiava su una piattaforma rialzata dal suolo, e la sua parte anteriore era inclinata per
accentuare l’illusione prospettica. Serlio riteneva occorressero tre scene, come diceva Vitruvio, ognuna con la stessa
struttura fondamentale, consistente in quattro file di quinte (tre angolari e una piatta) e un fondale. Le quinte più
vicine al pubblico erano decorate con elementi architettonici tridimensionali (arcate/gallerie). Le scene di Serlio erano
concepite come strutture fisse e non prevedevano la possibilità di rapidi cambi di scena. La soluzione a ciò era
l’introduzione dei periaktoi, i prismi triangolari del teatro antico, che recavano una scena dipinta su ogni lato e
potevano ruotare su un perno centrale. Il primo ad usarli nel rinascimento fu Bastiano da Sangallo. Successivamente
Giacomo Barozzi da Vignola raccomandava l’uso di congegni che avessero diverse scene dipinte su più lati nel suo
trattato Due regole della prospettiva pratica. Niccolò Sabbatini elencò nella sua Pratica di fabricar scene e macchine
ne’ teatri, tre metodi per cambiare rapidamente le scene a vista. Per questi cambi di scena le quinte venivano
semplificate molto, scomparirono gli elementi tridimensionali, sostituiti da effetti pittorici. Utilizzando solo quinte
piatte, infatti, si potevano realizzare rapidamente innumerevoli cambi di scena. Ogni quinta era formata da tanti telai,
posti uno dietro l’altro, quante erano le scene. I cambi si realizzavano facendo scivolare via la superficie visibile per
mostrare la successiva.
Intorno all’inizio del XVII secolo i tre elementi fondamentali di ogni scenografia erano: le quinte laterali, i fondali
scorrevoli e le <<arie>>, che potevano essere cambiate simultaneamente. Per re3alizzare i cambi di scena si
utilizzavano dei macchinisti, ma la sincronia non era sempre impeccabile… la soluzione fu trovata da Giacomo Torelli,
chiamato <<il gran stregone>>, che perfezionò un sistema di fessure nel pavimento del palcoscenico per far
scomparire i telai facendoli scorrere verso il basso. I sostegni erano fissati su dei carrelli che correvano su dei binari
parallelamente al lato anteriore del palcoscenico. Quando i carrelli scorrevano verso il centro, le quinte entrarono in
scena. Questo congegno, all’epoca visto come miracoloso e veloce, fu adottato in tutta Europa.
Di seguitò aumento il gusto barocco del monumentalismo, le scene comprendevano veri e propri elementi
architettonici, con una conseguente ampliazione della dimensione delle scenografie teatrali. Il disegno scenografico
era affidato ai migliori pittori e architetti italiani. Un buon esempio lo vediamo nei lavori di Bernardo Buontalenti che
lavorò per la corte dei Medici a Firenze. A lui seguì Giulio Parigi (da cui apprese anche Indigo Jones per le masques
inglesi). Con l’apertura dei teatri d’opera veneziani lo splendore degli allestimenti teatrali fu accessibile al grande
pubblico. Verso fine XVII secolo le pratiche sceniche italiane erano ormai state adottate in tutta Europa.
Nonostante l’interesse per gli spettacoli teatrali, i drammi venivano messi in scena a corte e nelle accademie solo in
particolari occasioni. Nelle sale dei banchetti veniva disposto l’ambiente secondo lo schema di Serlio. Il più antico
esempio sopravvissuto di teatro rinascimentale era il Teatro Olimpico di Vicenza: sedute disposte a semiellisse
attorno a una piccola orchestra, palcoscenico rettangolare delimitato da facciate architettoniche, facciata con arco
centrale e due porte piccole, altre due porte sormontate da palchetti sulle pareti laterali. Si voleva realizzare un teatro
romani in miniatura trasferito in un interno. Il palco doveva dare l’impressione di essere un’ipotetica piazza dove
convergevano un certo numero di strade, in modo tale che, da qualsiasi lato fossero stati gli spettatori, essi riuscissero
a vederne la profondità di almeno una. Il teatro fu inaugurato nel 1585 con l’Edipo re di Sofocle. Esso però non era in
linea con la linea di sviluppo dell’architettura teatrale del tempo, pur seguendo lo schema serliano all’interno.
Il prototipo del palcoscenico moderno era considerato quello del Teatro Farnese di Parma, la prima struttura
sopravvissuta ad avere un arco di proscenio (origini oscure, allestito secondo i modelli descritti da Terenzio) fisso.
Quest’incorniciatura del palcoscenico, ispirata alla pittura e ai quadri prospettici, serviva a limitare la vista del pubblico
dando un’illusione di realtà e allo stesso tempo nascondere i congegni meccanici per manovrare le scene. Questo
teatro aveva altri due archi nella parte posteriore, caratteristica che incoraggiò l’uso di scenografie di varie profondità
(le aperture aumentavano/diminuivano lo spazio visibile del palcoscenico. Lo spazio per il pubblico era quello
convenzionale del teatro di corte.
Il teatro pubblico convenzionale cominciò a sorgere in Italia nella seconda metà nel XVI secolo. Il primo esempio risale
al 1565 a Venezia. Le principali innovazioni architettoniche furono introdotte solo dopo il 1637, quando l’opera lirica
cominciò ad essere rappresentata da compagnie di professionisti. C’era grande affluenza di pubblico conservando
l’intimità, esempio ne è il San Cassian. Ebbe così tanto successo che in seguito furono aperti, intorno al 1641, altri tre
teatri, e l’opera lirica si espanse nel resto d’Europa. L’unica pianta che abbiamo di questo modello di teatro è quella
del teatro dei Santi Giovanni e Paolo, del 1638 in legno e poi in pietra nel 1654. Per il pubblico c’erano cinque file di
gallerie con 29 palchetti l’una. La suddivisione delle balconate conferiva un senso d’intimità.
Musica e danza erano parti integranti nel teatro italiano: si usava suonarlo durante i cambi di scena per riempire gli
intervalli e coprire il rumore delle macchine. Con l’opera lirica la musica assunse un ruolo sempre più importante. La
stessa cosa vale per la danza: è in questo periodo che si gettano le basi del balletto, uno spettacolo che trovò la sua
massima espressione del ballet de cour, la variante francese degli intermezzi italiani).
Proseguendo e migliorando le pratiche medievali, i macchinisti rinascimentali erano in grado di realizzare
trasformazioni meravigliose e suggestive. Ciò rispecchiava la Poetica Aristotelica, dove l’elemento spettacolare è
indicato come una delle sei parti fondamentali del dramma. Per questi elementi di spettacolo venivano impiegati fino
a 50 pannelli, leve, carrucole, botole sul palco, alberi e montagne realistici, fuoco e fiamme, fumo… altra scena
popolare era quella marina, che alludeva al movimento delle onde del mare con il movimento di un telo dipinto, dove
nuotavano balene e navigavano navi in miniatura (es. Buontalenti rappresenta Anfitrite, una delle Nereidi, che
galleggia sulle onde a Firenze nel 1589).
Anche gli effetti sonori erano importanti: il vento era simulato facendo turbinare listelli di legno nell’aria.
Il sipario occorreva per nascondere i congegni scenici e aumentare la sorpresa quando venivano improvvisamente
rivelati. Nei primi tempi si faceva cadere a terra, ma successivamente si arrotò (sicuro).
Cominciò uno studio per l’illuminazione della sala e del palcoscenico. Venivano usati candelabri, lampade e lumi della
ribalta (parte più vicina al pubblico). Per aumentare la potenza delle luci venivano messi pannelli di materiale
riflettente, lucido o brillante. Con altri metodi si riuscivano ad illuminare solo alcune porzioni di palco. Per avere più
luce, venivano poste lampade dietro elementi di scena, Bastiano Sangallo realizzò il sole illuminando una boccia
d’acqua con delle candele. Leone de Sommi sosteneva che per accentuare l’illuminazione del palco, andava resa
scurissima la platea.
(commedia dell’arte)
Lo sviluppo di un autentico teatro professionale in Italia e in Europa lo si deve alla commedia dell’arte (recitata da
attori professionisti). Era detta commedia all’improvviso, basata sull’improvvisazione, e commedia a soggetto
(sviluppata su un canovaccio), e si distingueva dagli spettacoli realizzati da attori dilettanti in corti e accademie
(commedia erudita).
Secondo certe ipotesi discende dalla fabula atellana tramandata dai mimi del medioevo. L’elemento di somiglianza
erano i personaggi fissi. Altri ipotesi la dicono discendente delle commedie di Plauto e Terenzio. Altre credono si sia
sviluppata dalla farsa italiana di inizio 500, la quale mostrava affinità con i personaggi fissi della commedia dell’arte
(es. Ruzzante di Beolco). Dunque, numerose furono le influenze che portarono alla sua formazione: già prima del 1600
era diffusa in tutta Europa.
Le due caratteristiche principali erano l’improvvisazione e i personaggi fissi. Gli storici non credono attendibile
l’improvvisazione, anche perché avendo ruoli fissi, gli attori avevano ormai sviluppato una sorta di copione innato, un
ruolo e una serie di gesti caratteristici particolarmente efficaci sul pubblico. La maggior parte dei copioni era comica,
ve ne era qualcuno di carattere serio, ma ciò che contava in questa commedia era il personaggio, più che il testo. Ogni
compagnia aveva il suo bagaglio di personaggi fissi, ma erano tutti simili tra di loro, benché le varianti fossero
numerose.
I caratteri fissi erano: gli innamorati (arguti e belli, o, ingenui e stupidi), i vecchi e i servitori. Trama ricorrente era
quella della ragazza corteggiata da un giovane e un vecchio pretendente. Un personaggio popolare e diffuso era il
Capitano (uno spaccone codardo, il corteggiatore non gradito dalla fanciulla). A parte gli innamorati, gli attori
portavano una maschera che copriva metà del viso. Tra i personaggi mascherati più celebri vi erano due tipi di vecchi:
Pantalone (mercante anziano, avaro e conservatore, portava pantaloni rossi e una zimarra), appassionato di proverbi,
e Dottore (amico/rivale di Pantalone, avvocato o medico, parlava in dialetto bolognese intercalato da parole latine),
marito gelosissimo e cornuto.
I servi, o zanni, erano vari: uno furbo e ingegnoso, uno rozzo e sempliciotto, delle servette al servizio dell’innamorata.
Tra gli zanni il più famoso era Arlecchino, la maschera più famosa del XVII secolo, un misto di furberia e stupidità. Il
suo costume cambiò molte volte, elementi principali erano: un cappello in feltro, una maschera nera, una spatola di
legno (per fare a bastonate) al posto della spada. Sue variazioni erano Truffaldino e Trivellino. Il suo compagno più
frequente era Brighella, vestito di bianco con una giubba a strisce verdi. Sue varianti erano Buffetto, Flautino e
Scapino.
Pulcinella poteva essere oste o mercante, ed era un miscuglio di astuzia, scelleratezza, buoni sentimenti, ingegno e
ottusità. Era l’antenato del burattino inglese Punch.
Ogni compagnia aveva il suo sviluppo dei personaggi fissi tradizionali. Erano formate da dieci o dodici membri e
generalmente aveva: due innamorati, un capitano, due zanni e due vecchi. Il capo della compagnia dirigeva il gruppo e
doveva spiegare l’azione e procurare gli oggetti di scena. Le compagnie viaggiavano molto e in ogni città nuova
dovevano chiedere il permesso di esibirsi. Avevano un grande spirito di adattamento, che fu la chiave del loro
successo.
La commedia dell’arte fu particolarmente fiorente tra metà XVI e XVII secolo e la prima compagnia ufficiale fu quella di
Alberto Naselli (Zan Ganassa). Essa fu eclissata dalla famosissima compagnia dei Gelosi (Francesco Andreini), che si
sciolse dopo la morte di Isabella nel 1604, moglie del capo della compagnia.
Altra famosa era la compagnia degli Accesi, che fu al servizio del duca di Mantova che si esibì anche per Enrico IV in
Francia.
Infine, la compagnia dei Fedeli fu attiva fino al 1652 e viaggio per le maggiori città d’Europa, tra cui Vienna e Praga.
La commedia dell’arte trovò successo in Spagna, Germania, Austria, Inghilterra e altri paesi Europei: ovunque andasse
influenzava attori e scrittori locali. Le forme drammatiche italiane dominarono il teatro Europeo per i centocinquanta
anni successivi. Con il declino politico ed economico, il primato culturale della pratica teatrale passò alla Francia.
IL TEATRO INGLESE DAL MEDIOEVO AL 1642
La cultura rinascimentale cominciò a diffondersi in Inghilterra quando, sotto i Tudor, e dopo la Guerra dei cent’anni e
delle due rose (York e Lancaster), si raggiunse una stabilità politica. Questo accadde grazie all’influenza di alcuni
umanisti italiani, invitati da Enrico VII, che promossero lo studio dei classici. Sentiamo l’influsso della cultura
umanistica dal più antico interlude inglese rimasto: Flugens Lucrece di Henry Medwall. L’umanesimo esercitò la sua
influenza soprattutto attraverso scuole e università. Una figura chiave fu John Colet che fondò la St. Paul’s School nel
1512: divenne abituale in scuole e università come Cambridge e Oxford, rappresentare drammi classici e antichi,
oppure imitarli. Le opere erano scritte in inglese ma seguivano la tecnica compositiva della commedia latina. La
commedia si sviluppava generalmente intorno a una serie di equivoci, di faide tra famiglie e con la presenza di un fool.
Al di là dell’influenza dei classici, pratica e convenzioni medievali predominarono il teatro inglese per quasi tutto il XVI
secolo. Infatti, molti degli interludes prodotti nelle scuole, avevano tono e spirito assimilabile al dramma medioevale.
Per cercare di attirare gli spettatori si sceglievano argomenti di intrattenimento popolare con storie tratte da diverse
fonti. I racconti biblici, ad esempio, venivano scelti per la loro avventurosità e sentimentalità. Altre fonti importanti
erano le storie cavalleresche e i romanzi stranieri. Nei miti, invece, venivano introdotti personaggi della commedia
popolare inglese. Opera cardine dell’intera tradizione popolare era A Lamentable Tragedy Mixed Full of Pleasent
Mirth, Containing the life of Cambises, King of Persia, from the Beginning of his Kingdom, Unto his Death di Thomas
Preston.
Sullo sviluppo del dramma inglese nell’ultima parte del 500, influirono le controversie politiche e religiose che furono
scaturite dalla rottura nel 1534 di Enrico VIII con la chiesa di Roma. I puritani si proponevano di eliminare qualsiasi
rimasuglio o allusione al culto cattolico o alla sua dottrina/organizzazione. I puritani si opponevano anche allo sviluppo
del teatro professionale. Anche se non ci riuscirono del tutto, c’era comunque un clima di ostilità verso le compagnie
teatrali, e gli spettacoli erano controllati severamente dalle autorità locali delle cittadine inglesi.
Gli spettacoli erano realizzati soprattutto nelle 4 settimane del periodo natalizio, o per avvenimenti importanti, come
la visita della regina.
Durante il regno di Elisabetta I l’attenzione delle università si spostò gradualmente dai drammi ispirati alla cultura
classica, a quelli ispirati alla storia inglese o ai drammi italiani recenti.
Un’epoca di grande grandezza del teatro inglese si sviluppo solo quando scrittori colti e istruiti cominciarono a
lavorare per le compagnie di professionisti.
Nel 1580 nacque l’University Wits, un gruppo di letterati che scrivevano per il teatro pubblico. In questo gruppo
c’erano autori quali: Thomas Kyd (The Spanish Tragedy, trattava di delitti e vendette, usava espedienti del dramma
senechiano come soliloqui, coro, fantasmi ecc. con libertà di movimento nello spazio e nel tempo), Christoper
Marlowe (trattava di eventi storici, rivisitandoli e accorpandoli in modo casuale, introdusse l’uso del blank verse
Shakespeariano), John Lyly (scriveva per le compagnie giovani rivolte all’aristocrazia) e Robert Greene (scriveva
commedie pastorali più ricche di quelle Lyly). Grazie a questi autori venne colmata la distanza tra il gusto del pubblico
colto e quello popolare. Fusione tra teatro classico e medioevale stabilì le fondamenta su cui Shakespeare e i suoi
contemporanei costruirono il nuovo dramma.
(Shakespeare e i suoi contemporanei)
William Shakespeare era il terzo figlio di un piccolo proprietario terrieri che studiava alla King’s New School di
Stanford, una scuola che comprendeva la grammatica e la letteratura latina. Nel 1592 era già attore e autore
drammatico. Mentre i teatri erano chiusi per la peste, scrisse due poemi, Venus e The Rape of Lucrece. Nel 1594
divenne con Richard Burbage divo dei palcoscenici londinesi, azionista dei Lord Chamberlain’s Men, che dopo la peste,
presero il nome di King’s Men. Nei diciotto anni successivi Shakespeare scrisse e recitò solo per questa compagnia. Nel
1599 costrì il proprio teatro, il Globe, del quale era comproprietario. Morì dopo aver raggiunto ormai la condizione
dell ricco gentiluomo.
Cominciò a scrivere per il teatro circa nel 1590, e alcuni della compagnia dei King’s Men pubblicarono nel volume
<<primo in folio>> le sue 36 opere nella versione corretta. Erano suddivise in tre generi: le commedie (A midsummer
night’s dream, 1595-1599), i drammi storici (Richard III, 1593) e le tragedie (Romeo and Juliet, Othello, Amleto, 1601-
1604). Le fonti delle sue trame sono diversissime: mitologia, storia, leggende narrative, letteratura drammatica. Quasi
tutti i drammi associano parti in prosa e parti in versi sciolti e in rima. Non c’è la suddivisione in atti, ma in episodi:
l’azione si muove liberamente senza rispettare le unità di tempo e luogo. I personaggi erano numerosissimi, ma
altrettanto caratterizzati, principalmente maschi (vi erano solo due o tre figure femminili rilevanti). Il ricorso alla
narrazione è pressoché inesistente, la storia si svolge direttamente sotto gli occhi dello spettatore durante la
rappresentazione teatrale. Era ritenuto un autore eccellentissimo tanto nel genere comico quanto nel tragico. La sua
fama crebbe con i giudizi dei più grandi letterati, come Ben Jonson, per tutto il corso del Seicento.
Dopo Shakespeare; Ben Jonson è considerato il più grande drammaturgo elisabettiano. Nel 1600 era principale
esponente della tendenza che sosteneva l’esigenza della <<consapevolezza>> come componente essenziale
dell’attività artistica. Più di chiunque altro era legato ai precetti classicisti, ricorreva alle tecniche degli antichi per
temperare gli eccessi degli autori del tempo. Aveva il favore della corte e del re, scrisse numerosissime masques, e
contribuì a cambiare la visione del teatro, che prima era mero intrattenimento. Fu quindi, per diversi aspetti, il
drammaturgo più influente del suo tempo. Nelle sue opere mette a fuoco le debolezze di tipi di comportamento
umano, cercando di correggerli. Le sue opere per questo vengono definite <<realistiche>> e <<correttive>>: i
personaggi che compaiono nascono dall’osservazione diretta della realtà e finiscono sempre per essere puniti per i
loro difetti. Jonson fece diventare famosa la commedia degli umori (il sangue, la flemma, la bile gialla e la bile nera).
Jonson attribuiva le stranezze e le eccentricità del comportamento all’alterazione del rapporto dei quattro umori. Una
delle sue opere più famose era Catiline, del 1611.
A Shakespeare e Jonson si affiancava una lunga lista di autori e scrittori meno celebri: Chapman, Dekker, Middelton
erano tra i più importanti. I drammi di Shakespeare e dei suoi contemporanei avevano caratteristiche molto comuni:
la libertà dell’azione nel luogo e del tempo (il quale era suggerito dal dialogo degli attori più che dalla scenografia), il
tono variante tra comico e tragico, l’accenno a un sistema morale in cui l’uomo è libero di volere e di agire ma allo
stesso tempo subire personalmente le conseguenze dei suoi misfatti. Questo atteggiamento morale era riconoscibile
dall’uso di un linguaggio poetico ricco di riferimenti, metafore e allusioni. Solo i poeti minori facevano riferimenti
espliciti alla moralità, realizzando opere didascaliche.
Gli autori teatrali della prima metà del Seicento avevano spostato l’interesse sulla natura dell’uomo e il suo rapporto
con la storia a quello per il piacere della narrazione per il solo divertimento del pubblico. Il lieto fine venne introdotto
anche nei drammi seri, mentre toni patetici sostituivano progressivamente le emozioni schiettamente tragiche.
Contemporaneamente cresceva l’abilità tecnica degli scrittori. Le azioni erano contenute in un numero minore di
episodi, e la trama veniva sempre più complicata, per tenere alta la tensione.
Lo scrittore drammatico di maggio successo era Francis Beaumont, con la sua The Maid’s Tragedy. Nella seconda metà
del Seicento le sue opere furono rappresentate più di quelle shakespeariane.
Altri nomi: Philip Massinger, John Webster, John Ford (i suoi drammi sono citati per dimostrare la decadenza del
dramma durante il regno di Carlo I), James Shirley. Questi sono solo alcuni dei moltissimi autori attivi tra 1590 e
1642… secondo una stima fatta da Gerald Bentley furono prodotti 200 drammi da 250 autori diversi durante queste
annate. Inoltre, la necessità di rinnovare la popolarità di alcune opere, erano molte le revisioni e le reiscrizioni dei testi
teatrali.
(controllo governativo del teatro)
Lo sviluppo della professione di autore drammatico fu reso possibile dalla presenza del teatro pubblico che aveva
sempre richiesta di nuovi drammi. Quando Elisabetta I salì al trono ogni nobile poteva possedere una compagnia di
attori e spesso né le compagnie stese né i testi teatrali subivano un severo controllo governativo. Però le commedie
molto spesso contribuivano ad accendere gli animi aggravando le controversie religiose. Per questo motivo Elisabetta I
prese una serie di misure per mettere ordine nella situazione caotica che si era venuta a creare. Nel 1559 proibì
drammi di sfondo politico e religioso e stabilì che per la rappresentazione occorreva ottenere un’apposita licenza dalle
autorità locali. I gruppi privi di protezione nobiliare potevano recitare solo se con la licenza ottenuta da due giudici di
pace, ma questo permesso valeva solo per la località in cui veniva richiesto; quindi, per ogni città che la compagnia
toccava, andava richiesta una nuova licenza. L’autorità della corona sull’attività teatrale si estese ulteriormente nel
1574 quando furono eletti dei funzionari specifici: i Masters of Revels. La corona aveva il totale controllo del teatro.
Gli Stuart, che successero i Tudor, ribadirono questa autorità sulla pratica, e le rappresentazioni teatrali, nonché i
teatri, erano come “esiliati” dalla città, dalla vita cittadina. Le compagnie, dunque, cominciarono a trasferirsi e a
praticare la loro arte limitata fuori dai centri cittadini.
(le compagnie)
Prima del 1570 in Inghilterra esistevano numerosissime compagnie che avevano compenso annuo fisso e avevano il
permesso di fare spettacoli pubblici straordinari per incrementare il guadagno. La più importante fu quella dei
Queen’s Men, considerata per decenni la migliore di Inghilterra. Altre importanti erano i Lord Admiral’s Men e i Lord
Chamberlain’s Men. Tra il 1603 e il 1611 a Londra operavano tre compagnie di attori professionisti adulti. Il
sostentamento di esse derivava dai proventi degli spettacoli. La figura che guadagnava di più nella compagnia era
l’azionista, un attore che doveva per altro impegnare una notevole somma, rimborsata una volta ritirato. I membri
non azionisti erano i salariati e non avevano vita facile, erano anche pressoché esclusi dalla protezione nobiliare,
poiché erano considerati dipendenti dell’attore azionista. Nella compagnia c’erano anche tre/quattro apprendisti, con
un periodo di apprendistato dai 3 ai 12 anni, e l’età variava dai 6 ai 14 anni. Pochi degli apprendisti divenivano attori
professionisti, molti mollavano per svolgere impieghi diversi da quello teatrale. Pochi attori raggiunsero una fama
durevole. Il primo vero grand’attore di Inghilterra fu Edward Alleyn. Oltre alle compagnie di adulti vi erano quelle dei
ragazzi, particolarmente famose tra 1576 e 1584 e poi dal 1600 fino al 1610. La migliore fu quella dei Chapel Boys,
successivamente chiamati Queen’s Revels (erano ragazzi che facevano parte del coro delle cappelle reali). Avevano
uno stile convenzionale/realistico e si rivolgevano a un pubblico colto e sofisticato rispetto a quello delle compagnie di
adulti.
(teatri pubblici e privati)
A Londra c’erano due categorie di teatri: il pubblico, all’aperto per un pubblico più ampio, e il privato, al chiuso per un
pubblico più aristocratico. Entrambi entrarono in uso dopo il 1570 e il 1610. Le compagnie operavano in entrambi i tipi
di teatro. Spettacoli come i misteri ciclici religiosi, gli street pageants, i tornei e le moralità venivano svolti all’aperto.
Masques, interludes e altre forme particolari, al chiuso. I teatri pubblici all’aperto derivavano dai teatri allestiti nelle
locande e le arene. La disposizione delle gallerie per il pubblico era sempre la stessa, esse giravano sulle pareti del
luogo di allestimento mostrando al pubblico tre dei quattro lati del palcoscenico rialzato. Gli altri spettatori vedevano
gli spettacoli in piedi nel cortile. I primi teatri fissi sono dovuti a Burbage (The Theatre) e Brayne (Red Lion), molto
vicini tra di loro, a nord-est della città. Prima del 1642 furono costruiti circa 12 teatri pubblici, tra cui il Globe: essi
avevano forme diverse ma una unica funzione, ovvero, circondare l’area della recitazione in modo da poter accogliere
il maggior numero di persone possibile. Le gallerie circondavano un’aria scoperta ampia, detta yard (cortile), la quale
aveva una certa pendenza verso il palcoscenico per facilitare la visione degli spettatori. La grandezza delle costruzioni
era variabile. Il palcoscenico (main stage) si protendeva nel cortile ed era visibile da tre lati. Era sollevato (per le
botole) e coperto da un tetto chiamato shadow o heavens. Il teatro era dotato anche di uno o più inner stage, con uso
discusso da molti, ma di funzione prevalentemente scenografica. Quasi tutti gli studiosi sono d’accordo sull’esistenza
di un piano superiore per realizzare scene come quella del balcone in Romeo and Juliet. Esso era chiamato upper
stage. Ci poteva essere anche un terzo piano sul fondo del palcoscenico chiamato (galleria dei musicisti) musician’s
gallery. La compagnia dei King’s Men era l’unica a possedere un proprio teatro, gli altri li affittavano e subaffittavano.
Le altre entrate si riscuotevano con la vendita di articoli di vario genere durante le rappresentazioni.
I teatri privati avevano una contraddizione insita nel termine <<privato>> poiché erano comunque accessibili a
chiunque pagasse un prezzo più caro dei teatri pubblici. Erano coperti, illuminati con delle candele, e avevano una
capienza che era circa meno della metà di un teatro pubblico. Erano inizialmente situati in aree particolari di Londra, le
liberties, che, pur trovandosi nel cuore della città, erano sottratte al controllo municipale. La maggior parte di queste
aree fu successivamente venduta a privati dal 1608 circa. Autori sofisticati come Chapman, Lyly e Jonson preferivano
scrivere per le compagnie di ragazzi poiché andavano in scena in questi teatri che erano di gran lunga più raffinati ed
esclusivi dei teatri pubblici all’aperto. Forme e dimensioni di questi teatri potevano variare ma avevano caratteristiche
comuni: palcoscenico alto un metro, non c’era l’arco di proscenio e il sipario, la platea era provvista di sedili e lungo le
pareti correvano una serie di gallerie con palchetti privati.
(scenografia, costumi, musica, pubblico e masques)
Secondo alcuni la scenografia era essenzialmente “raccontata”, i luoghi venivano menzionati nei dialoghi solo se
rilevanti dal punto di vista drammatico. Tutti gli studiosi concordano sul fatto che il teatro inglese utilizzasse elementi
scenografici semplici, molto simili alle mansions medioevali che ai sofisticati allestimenti pittorici all’italiana.
L’allestimento delle sale e il fornimento degli accessori che occorrevano alle compagnie che dovevano esibirsi per la
regina, era affidato al Revels Office. L’importanza della scenografia crebbe dal 1603 quando cominciò ad imporsi il
gusto della corte, che apprezzava molto gli allestimenti all’italiana dei masques (con danze di apertura, centrale e di
chiusura, storie allegoriche, personaggi o episodi mitologici, musica con ruolo fondamentale).
L’elemento visivo più rilevante nel teatro elisabettiano erano i costumi. I più usati erano i vestiti uguali a quelli delle
persone nella vita di tutti i giorni poi c’erano gli antiquati, gli antichi, i fantasiosi, i tradizionali e quelli caratteristici di
alcune razze ed etnie. I più particolari erano fastosi e costosi. E compagnie li comperavano da soli oppure gli venivano
regalati da nobili, o venduti dai loro servi.
L’orchestra nei teatri permanenti era composta di almeno sei strumenti, e delle volte le rappresentazioni erano
precedute da veri e propri concerti che potevano durare anche un’ora.
La danza era usata prima per compiacere le platee popolari, poi con il gusto aristocratico, divenne un elemento
particolarmente elaborato e sofisticato.
Si tenevano spettacoli circa 214 giorni l’anno, equivalenti a 7 mesi di attività. Il pubblico era numeroso, e i teatri
pubblici e privati consentivano una capienza di rispettivamente, 3000 e 500 persone. Per mantenere la frequenza degli
spettatori le compagnie fornivano sempre drammi nuovi e si facevano circa dieci rappresentazioni per ogni dramma.
Non c’erano botteghini o biglietti d’ingresso, i soldi venivano ritirati all’interno della struttura da inservienti. Ogni
settore aveva il suo costo, i palchetti privati erano quelli che costavano di più. I prezzi salivano in determinati/e
spettacoli/occasioni.
Per quanto riguarda i masques, scenografia, effetti speciali e costumi li dobbiamo a Indigo Jones, il più celebre
scenografo inglese del tempo. Aveva ottima conoscenza dell’arte italiana e studiava le opere di Giulio Parigi e di certo
si ispirava ai suoi intermezzi per la realizzazione delle sue opere. Oltre alle scene dei masques realizzo quelle di 12
drammi presentati a corte dopo il 1626. Alla sua morte lasciò le sue carte all’allievo e assistente John Webb, il quale
divenne uno dei migliori architetti e scenografi durante la restaurazione.
Con la guerra civile, che vide opporsi monarchia e puritani, si riaccese l’avversione per il teatro, che era stato
protetto dalla famiglia reale che dava loro licenze. I teatri chiusero dal 1642 al 1647. Finito anche questo periodo i
puritani avevano ormai il controllo del governo e dichiararono la chiusura permanente. Termina così uno dei periodi
più ricchi e fecondi della storia teatrale europea.
TEATRO SPAGNOLO DAL MEDIOEVO AL SEICENTO
Come in Inghilterra, il sedicesimo secolo fu importante per lo sviluppo del teatro, tanto che, gli anni compresi tra il
1580 e il 1680 furono chiamati secolo d’oro del dramma spagnolo. Lo sviluppo è dovuto all’occupazione araba. La lotta
conto gli arabi fu infatti accompagnata da una campagna di cristianizzazione: nel 1492 vennero espulsi gli ebrei e la
chiesa riuscì a mantenere una rigorosa ortodossia in tutta la Spagna. Proprio per l’assenza di conflitti di carattere
religioso, nel 15 e 16 secolo si affermò il dramma religioso, proprio nel periodo in cui negli altri paesi veniva abolito.
Esso era chiamato auto sacramental e aveva le caratteristiche delle moralità e dei drammi ciclici. Accanto a personaggi
umani e religiosi, infatti, vi erano figure allegoriche come il Peccato e la Bellezza. Il rapporto tra teatro religioso e
professionale, dunque, era molto stretto e quasi tutte le opere rappresentate a Madrid (maggior centro teatrale
assieme a Siviglia) erano inedite e scritte da un solo autore Calderon. Gli spettacoli erano allestiti su uno o più carros,
carri di legno a due ruote (trasportati da una meta all’altra da buoi con le corna dorate) con palcoscenici inizialmente
mobili, poi allestiti fissi nelle varie tappe poiché di insufficiente grandezza. Avevano più piani e svolgevano diverse
funzioni, come camerini per gli attori ad esempio. Oltre agli autos venivano rappresentate danze e intermezzi
farseschi. Quando gli autos furono proibiti nel 1765, infatti, come giustificazione venne data l’influenza di queste
rappresentazioni farsesche di tipo profano. Gli autos dal 1705 vennero rappresentati solo nei teatri pubblici, dove
autori come Calderon (anche Zorrilla e Moreto) incarnavano il dogma cattolico trasfigurandolo in limpide simbologie
raccontate con un dialogo lirico di grande suggestione.
Tra fine 400 e metà 500 nacque l’interesse per la cultura classica nei circoli di intellettuali spagnoli: si sviluppa il
dramma profano. Tra le prime opere abbiamo Calisto y Melibea di Fernando de Rojas.
Juan del Encina è considerato il fondatore del dramma spagnolo e si ispirava allo stile del dramma pastorale già prima
del Calisto y Melibea. I primi drammi secolari spagnoli si rivolgevano al pubblico aristocratico e quindi ebbero poca
influenza sul teatro professionale, però gettavano le basi ai posteri sviluppi della produzione drammatica.
Prima figura importante del teatro professionale spagnolo era Lope de Rueda: attore, autore e capocomico, rese
famosi personaggi come i pazzi e gli imbroglioni, che interpretava personalmente. Ai suoi tempi non esistevano ancora
teatri permanenti, gli attori recitavano in sale o cortili allestiti oppure a corte, insomma, come i loro contemporanei
italiani e inglesi, avevano grande spirito di adattamento. Solo negli ultimi trenta anni del secolo la popolarità del teatro
crebbe abbastanza da realizzare la costruzione dei primi teatri permanenti.
Dopo la morte di Rueda successe Lope de Vega, il quale cominciò a scrivere con regolarità per il teatro. Egli fu lo
scrittore più prolifico spagnolo: aveva l’abilità di condurre le vicende in modo da suscitare e tenere costantemente
alta la tensione. I drammi si concludevano perlopiù con dei “lieto fine” e spesso l’azione era sviluppata secondo le
esigenze dell’amore e dell’onore. Introdusse il gracioso, un personaggio semplicione, ricorrente nelle opere del
tempo. I suoi personaggi erano di tutti i ceti e condizioni sociali, il linguaggio naturale e vivace.
La richiesta di drammi era aumentata rapidamente e venne istituita la figura del direttore come autor de comedias.
Fino al 1615 ogni rappresentazione cominciava con una loa (lode), un monologo/prologo/breve dialogo drammatico.
Tra gli atti c’erano degli entremese (cantati e danzati) successivamente denominati sainete (farse brevi) poiché non
mescolavano le varie arti e si distinguevano dagli intermezzi. La produzione teatrale del secolo d’oro fu enorme, conta
circa dalle 15000 alle 30000 opere.
(corrales)
Dopo il 1625 molti autori lavoravano per la corte, ma i testi teatrali venivano rappresentati per un pubblico più esteso
nei teatri pubblici, detti corrales: essi avevano luogo nei cortili dei palazzi oppure negli ospedali pubblici). La gestione
dei corrales era in mani a tre organizzazioni di carità: la Confradia de la Pasion, la Confradia de la Soledad e l’ospedale
pubblico. Nel 1638 i teatri pubblici passarono in mano all’amministrazione municipale che continuò ad affittarli a
impresari privati: due commissari ne sorvegliavano il funzionamento e si assicuravano che il ricavato andasse in
beneficienza. Inizialmente i corrales erano spazi provvisori; il primo teatro stabile fu il Corral de la Cruz a Madrid, del
1579. Questi non avevano struttura uniforme ma presentavano gli stessi elementi: il cortile era di forma
quadrata/rettangolare, era all’aperto (eccezionalmente coperto da un tetto). Il centro del cortile (patio) era per gli
spettatori in piedi, poi furono introdotte delle fila di sgabelli /panche (taburetes) sollevate rispetto al patio e da esso
divise per mezzo di una ringhiera. Lungo i due lati maggiori del patio vi erano delle gradinate (gradas) protette da un
tetto e prolungate fino al palcoscenico. Sopra stava la galleria destinata alle donne (cazuela) a sua volta sovrastata da
altre due gallerie; la prima divisa in palchi per gli enti municipali, l’altra (tertulia) divisa in sezioni per gli enti clericali e
intellettuali. Le finestre dei piani superiori delle case erano utilizzate come palchetti privati, gli aposentos, a volte
sostituiti da gallerie divise in palchi secondo lo schema usato poi nei teatri d’opera italiani. Ogni entrata era sorvegliata
da addetti alla riscossione del prezzo d’ingresso. Gradas, taburetas e aposentos prevedevano supplementi. Fino al
1580 gli spettacoli si tenevano solo nei giorni festivi, dopo l’affitto dei teatri a compagnie come quella di Naselli in
giorni feriali, questo permesso venne accordato anche alle compagnie spagnole. la stagione teatrale cominciava a
settembre e continuava fino la quaresima; dal Mercoledì delle Ceneri fino a Pasqua tutti i teatri rimanevano chiusi. Un
corral poteva contenere fino a 2000 persone. I mosqueteros (spettatori in piedi nel patio) erano molto turbolenti e
con le donne erano molto ostili se non gli piaceva lo spettacolo, lanciando frutta marcia e fischiando agli attori.
(compagnie, attori, costumi, scenografie)
Esistevano due tipi di compagnie: di azionisti (compañas de parte) e di attori salariati. Il numero di attori variava tra i
16 e i 20 e comprendevano sia uomini che donne. Poteva esibirsi qualsiasi compagnia avesse ottenuto una copia della
rappresentazione e una licenza, non esistevano leggi i diritti d’autore. Non conosciamo i nomi delle compagnie ma è
nota l’identità di alcuni direttori: Alonso Riquelme, Christobal Ortiz, Roque de Figueroa. L’opposizione della chiesa al
teatro profano era dovuta soprattutto per la presenza di attrici donne. Nel 1634 gli attori ebbero il permesso di riunirsi
in una corporazione tutt’oggi esistente, chiamata Confradian de la Virgen de Novena, alla quale poteva e può
iscriversi chiunque lavori nel teatro. Costumi e scenografie erano simili a quelli/e inglesi: il direttore era responsabile
del guardaroba degli apprendisti. Le pratiche sceniche erano molto semplici e rudimentali, c’erano quasi sempre tre
scene, ma a volte bastava la facciata come unico sfondo per l’azione. A volte venivano montate ai lati della
piattaforma mansions di stampo medioevale. Non esisteva una vera e propria consapevolezza della pratica scenica e
in rari casi vediamo l’uso della scenografia prospettica. Le poche trasformazioni delle pratiche sceniche avvennero nel
secolo d’oro.
(intrattenimenti di corte)
Avvenivano nel palazzo del Buen Retiro a Madrid, dove venne costruito nel 1640 il Coliseo, un teatro che ricordava i
corrales pubblici (per la presenza di apoentos, cazuela e patio) aperto al pubblico pagante. Restò chiuso dal 43 al 51,
quando, dopo il miglioramento della situazione politica (dopo la ribellione del Portogallo e della Catalogna), il re
accordò il permesso per la sua riapertura.

TEATRO FRANCESE NEL 500 E NEL 600


Alla fine del 400 la Francia si aprì all’influenza della cultura rinascimentale italiana volta al recupero del dramma
classico, solo successivamente vennero creati drammi in lingua francese: i primi scritti secondo i modelli classici sono
dovuti a Etienne Jodelle. Le commedie erano classiche nella forma e richiamavano le farse medioevali nei contenuti,
mentre le tragedie trattavano soggetti biblici o classici. Le regole classiche erano rispettate sporadicamente però;
questo perché quel che contava era piacere al pubblico piuttosto che aderire strettamente agli ideali classici. La
maggior parte delle commedie erano esibite a corte o nei collegi, le forme principali di intrattenimento erano le feste
di corte dove parteciparono sia Francesco I che Enrico II; quest’ultimo vi trovò perfino la morte, in un torneo. Dopo la
sua morte salì al trono Caterina de’ Medici, la sua posizione al potere continuò con i suoi tre figli. Caterina organizzava
grandi feste a Chenonceaux, progettate da Antonie Caron, dove l’intrattenimento più prestigioso era un pageant
acquatico di vascelli galleggianti sull’acqua. Da questo tipo di spettacoli si sviluppò il ballet de cour
(intermezzi/masques), nei quali l’azione era intesa come battaglia morale tra vizio e virtù, e il re era rappresentato
come il liberatore. L’entrees di varie figure allegoriche finiva con il trionfo della ragione e l’elogio della saggezza del re
di Francia.
Il Ballet Comique de la Reyne viene considerato il primo ballet de cour, ripreso poi nel XVII secolo.
(teatro pubblico fino al 1629)
Il teatro pubblico francese si trovava sotto la Confrerie de la Passion. Non esistendo più la principale giustificazione
alla base della realizzazione del dramma religioso, questa organizzazione controllava tutta la produzione dei drammi
laici. Pochi riuscivano a portare i propri drammi nella capitale, dove la Confrerie aveva il monopolio assoluto. Dopo il
1570 il teatro pubblico e quello di corte erano influenzati dai disordini politici creati dalla lotta tra cattolici e ugonotti.
Le rappresentazioni ripresero regolarmente solo dal 1595 ed erano incnsistenti. La situazione cambiò con la messa da
parte della Confrerie che permise l’avanzata dal 1597 di compagnie valide e abili drammaturghi. Importante e primo
drammaturgo professionale fu Alexandre Hardy, che preferiva narrare una bella storia con episodi cruenti piuttosto
che essere legato strettamente alle tre unità aristoteliche e al decoro, basi del gusto classico. Durante il XVII secolo le
compagnie erano diventate 400: formate dagli otto ai dodici componenti, compresero le attrici solo dal 1607. Le
rappresentazioni in questi anni avvenivano usualmente nell’Hotel de Bourgogne, l’unico teatro stabile a Parigi. Il
pubblico stava in piedi nel parterre (platea) o sedeva su panche poste lungo le pareti. Gallerie e gradinate digradanti
ricordavano la struttura di un anfiteatro. Il palco era innalzato due metri rispetto alla platea e aveva profondità dai 6 ai
10 metri, occupando in larghezza la totalità del teatro. Probabilmente erano usate le mansions, soprattutto per le
rappresentazioni delle opere di Hardy, che prevedevano più scene in contemporanea. Il pubblico era misto e poteva
essere di 1600 persone.
(trionfo del classicismo)
Con la stabilizzazione politica, negli anni venti, a corte riprese l’interesse per gli spettacoli teatrali e la letteratura.
Vent’anni dopo ancora il gusto si spostò sui principi classicisti. Drammaturghi importanti furono de Mariet e Corneille.
Quest’ultimo con il suo Cid segnò una svolta fondamentale nella storia del dramma francese, poiché scatenò una
violenta polemica destinata a chiarire il conflitto tra vecchi e nuovi ideali stilistici. Rispettò l’unità di tempo ma non la
verosimiglianza, inoltre infranse il decoro mettendo in scena il matrimonio di una ragazza con l’assassino di suo padre
(tutto ciò in 24 ore era irrealistico e indecoroso). Da questo dibattito Richelieu spinse l’Accademie Francaise a porre al
centro dell’attenzione i principi classici. La Cid fu apprezzata da Jean Chapelain (nel Les sentiments de l’academie sur le
cid) per gli aspetti in sintonia con la dottrina classicista, e censurata per ciò che se ne discostava. Corneille influì anche
sulla commedia; la mescolanza di farsa e commedia a intreccio spianò la strada a Moliere.
Il vigore negli anni 40 del dramma francese ebbe rapido declino a partire dagli anni 50; una decadenza attribuita
perlopiù a disordini politici.
(compagnie teatrali dal 1629 al 1660)
Lo sviluppo della drammaturgia portò con sé la stabilità delle compagnie. Nel 1629 riuscì a stabilirsi all’Hotel de
Bourgogne una compagnia, rimanendo fino al 1680. Verso il 1634 si stabilì a Parigi una seconda compagnia nel Theatre
de Marais: i due teatri furono in perenne competizione tra di loro. Attore noto di questo periodo era Bellerose, ottimo
nel genere comico quanto nel classico. La figura dell’attore stava acquisendo dignità, e intorno al 1630, cominciò una
sensibilizzazione sul problema della dignità del mestiere d’attore. Scudery contribuì alla realizzazione del
cambiamento dell’opinione pubblica, confrontando il mestiere dell’attore agli altri impieghi esistenti. Luigi XIII cercò di
contribuire per cancellare il marchio infamante che bellava l’arte dell’attore. Nonostante i suoi decreti, a parte le
abolizioni delle sanzioni legali, non si modificò l’opinione della chiesa, che escludeva chiunque praticasse quest’arte
dai sacramenti (battessimo, matrimonio, estrema unzione), anche se molto dipendeva anche dal rapporto che gli
attori avevano con la loro parrocchia e col parroco.
(teatri pubblici e pratiche sceniche dal 1629 al 1660)
La platea occupata dagli spettatori in piedi era di 18x11 metri. Sulle pareti laterali correvano tre gallerie, due suddivise
in palchi, mentre la terza indivisa era chiamata paradis, il nostro loggione. Sul fondo della sala, di fronte al palco,
c’erano due file di gallerie divise in palchi. La struttura poteva ospitare circa 1500 persone. C’era inoltre un theatre
superieur, un secondo palcoscenico semicircolare sorretto da dieci colonne di impiego sconosciuto. Le pratiche
sceniche utilizzate sono documentate nei ricordi di Mahelot Laurent e di altri scenografi all’Hotel de Bourgogne, il
documento più importante relativo al teatro del XVII secolo: le pratiche sceniche erano simile a quelle medioevali,
l’unità di luogo non era obbligatoria/diffusa, si usavano diverse mansios per realizzare diverse ambientazioni e poterle
riutilizzare in diverse scene. In questo scritto si menziona l’uso di macchine per l’apparizione e il pavimento di oggetti
e attori. Spugne di sangue, fuoco e fumo venivano riprodotti come effetti speciali. Ci sono anche informazioni circa i
costumi, che gli attori dovevano procurarsi da soli, tranne quando erano necessari una serie di costumi identici.
(assimilazione delle pratiche sceniche italiane)
la scena italiana non ebbe fortuna fino al 1640, quando Richelieu incitò alla sua realizzazione con la costruzione del
Palais-Cardinal, e fornendo dunque un modello. Esso aveva un arco di proscenio ed un palcoscenico predisposto
all’uso delle quinte piatte, balconate lungo le pareti e pianterreno occupato da un anfiteatro che da una piccola platea
saliva in larghe gradinate. Fu inaugurato nel 1641 con Mirame di Desmarets, e scenografie/effetti speciali di
Buffequin. Dopo Richelieu venne Mazzarino, amante dell’opera lirica, la quale trionfò con l’arrivo in Francia di Torelli,
che riadatto il Palais-Cardinal per rappresentare l’Orphèe, che costò moltissimo alle casse dello stato di Mazzarino.
Verso la fine degli anni 40 il balletto tornò in voga, anni d’oro furono dai 51 ai 69, e venivano chiamati ballets a entrèe
(vi partecipò anche Luigi XIV, non richiedevano la tecnicità del balletto moderno). Nel 1654 Mazzarino, cercando
ancora una volta di adattare l’opera lirica al gusto francese, chiese a Benserade di realizzare un’opera con molti
balletti negli atti: Le Meriage de Pelèe et Thetis. Nel 1682, con Luigi XIV e la sede del governo a Versailles, stile e
pratiche sceniche italiani erano stati completamente assimilati e la Francia aveva ormai sostituito l’Italia come centro
culturale d’Europa.
(Racine e Moliere)
Il teatro francese raggiunse i vertici dell’opera tragica con le tragedie di Jean Racine. La prima, La Tebaide, fu messa in
scena da Moliere 1664. Opere come Ifigenia e Fedra, fecero crscere la sua reputazione sempre di più. Le Phedre è il
suo capolavoro. La genialità di Racine sta nello sviluppare l’azione drammatica dai conflitti interiori dei personaggi. In
contrasto con il metodo di Corneille di inserire personaggi semplici in trame complesse, Racine costruisce trame
semplici in cui si muovono personaggi complessi. Eroi ed eroine raciniani oscillano tra senso del dovere e desideri
incontrollabili, e l’interesse drammatico, è concentrato sul loro intimo tormento: gli eventi esterni sono importanti
solo se incrementano la crisi interiore dei personaggi.
La commedia raggiunse la sua massima espressione tra 1660 e 1680 con Moliere, che utilizzò la commedia d’intrigo di
Corneille, arricchendola con una ricca caratterizzazione dei personaggi. La commedia, grazie a lui, conquistò la stessa
dignità della tragedia. È a lui che deve la sua fama la compagnia del Palais-Cardinal. Oltre alle commedie realizzò farse
(il medico per forza), commedie di carattere e di costume (tartufo, malato immaginario, avaro). Moliere si atteneva
alle regole classiciste dei cinque atti e delle tre unità ma si distacca dai canoni classici nella scelta dei luoghi: le vicende
si svolgono nel chiuso dei salotti, e non all’aria aperta! Adattava la lingua ad ogni situazione, ad ogni personaggio.
Molte volte anch’egli diveniva un loro interprete (es. malato immaginario, l’ultima).
(fine Seicento: compagnie, teatri, pratiche sceniche)
Alla morte di Moliere c’erano cinque compagnie finanziate da parte del governo. Sopravvissero giusto la Comedie
Francaise e l’Operà. La compagnia dei comici italiani fu espulsa da Parigi per le satire offensive alle istituzioni francesi,
la Conferie si sciolse. I membri della Comedie Francaise erano quelli che godevano di maggiore stabilità, condizione
che li rendeva molto arroganti e autocompiacenti: due sentimenti che tendevano a fargli adottare un’inclinazione
conservatrice più che rinnovatrice. I teatri pubblici rimasero immutati in struttura, a parte il rinnovo del Palaise-
Cardinal per l’opera lirica. Per via del sentimento conservatore Corneille e Racine dovevano sostituire i tragici greci per
la tragedia, e Moliere assumeva il ruolo di Plauto e Terenzio per la commedia: il tentativo di assumere i grandi autori
del 600 come modelli della produzione drammatica successiva fu improduttivo e portò al declino del più grande
periodo del teatro drammatico francese.

TEATRO INGLESE DAL 1642 ALLA FINE DEL 700


L’attività teatrale proibita dal 1642 dal parlamento per 5 anni, e definitivamente bandita dai puritani nel 49 riprese in
Inghilterra solo nel 1660, col ritorno al trono degli Stuart. Naturalmente fino al 1660 il teatro non scomparve del tutto,
le rappresentazioni continuavano in modo clandestino/tollerato, anche se i King’s Men dovettero vendere tutti i
costumi di scena e il Globe Theatre fu abbattuto. Passato il periodo di proibizione nel 1647, gli spettacoli ripresero
immediatamente in maniera ufficiale. Gli attori continuarono a recitare sempre, persuasi che l’attività teatrale
sarebbe stata prima o poi legalizzata. Quando Carlo II riconquistò il trono si accesero subito le dispute per ottenere le
licenze reali necessarie a fondare le compagnie e allestire spettacoli. Avevano il monopolio delle rappresentazioni
nella città di Londra Davenant e Killigrew, e nella città di Dublino, Ogibly. Quest’ultimo aprì il primo teatro (Smock
Alley, 1662) costruito in Inghilterra dopo il ritorno degli Stuart.
Uno dei principali problemi era il possedimento di un valido repertorio da mettere in scena: inizialmente si mettevano
in scena vecchi testi, i quali però, ritenuti inattuali e antiquati, vennero scartati non appena se ne produssero di nuovi.
La moda dominante fu la tragedia eroica svolta in luoghi esotici, poi venne abbandonata per tornare alla tragedia
costituita sulle tre unità e scritta in versi liberi. Il genere di Shakespeare rimase quello dominante fino a fine
settecento. L’unità di luogo si considerava convenientemente rispettata anche se l’azione si svolgeva in luoghi
differenti, purché fossero vicini tra di loro abbastanza da essere raggiunti nelle ventiquattro ore stabilite dall’unità di
tempo. Anche l’opera lirica durante la restaurazione ebbe un periodo di grande fioritura, si distaccava da quella
italiana per la sostituzione di brani parlati al recitativo. Vennero adattate a questo genere opere quali Macbeth e
Sogno di una notte di mezza estate. Popolare era anche la commedia, sotto le influenze francesi di Corneille e degli
autori spagnoli. Ma il periodo della restaurazione è ricordato soprattutto per le commedie in costume, genere nato
grazie al commediografo più versatile del tempo: John Dryden. La commedia di costume raggiunse la sua massima
espressione con William Congrade (Love for love,1695), le sue opere sono considerate ancora oggi capolavori per le
scene brillanti, le nitide caratterizzazioni e il dialogo scintillante.
(1689, Guielmo III d’Orange al trono, nuovo clima politico e culturale)
La pacifica rivoluzione che portò d’Orange al trono stabilì i principi della monarchia costituzionale. La borghesia
mercantile era più influente e c’era un atteggiamento morale di carattere conservatore con simpatie per il rigorismo
dei puritani. Questo nuovo atteggiamento attento alla morale lo vediamo nelle opere e nei personaggi del tempo,
libertini e dissoluti ai limiti della censura, in modo da non incorrere in nessun ostacolo di tipo morale. Cominciò una
tendenza del genere comico a colorirsi di un maggiore sentimentalismo e a introdurre più frequentemente nelle
rappresentazioni personaggi tratti dalla classe media (es. The conscious lover,1722, Richard Steele). Le tragedie erano
sempre basate su argomenti storici o mitologici, e i personaggi, erano delle classi dominanti.
Altri intrattenimenti teatrali in voga erano il pantomime e il burlesque. Quest’ultimo era di carattere satiresco, l’autore
più raffinato era Henry Fielding, il quale si dedicava alla satira sociale prendendo di mira e parodizzando le figure più
eminenti dei tempi, e i fatti di cronaca. Tanto il burlesque quanto la ballad opera declinarono con il Licence Act del
1737, il quale pose fine a qualsiasi controversia teatrale o satira politica. Venneri in pratica ribadite le proibizioni delle
opere <<a scopo di lucro>> ai danni delle istituzioni politico/religiose. Qualsiasi testo doveva essere approvato e
autorizzato dal Lord Cancelliere: riconosceva legittimi solo due teatri; il Drury Lane e il Covent Garden. Il decreto
ovviamente fu aggirato con diversi espedienti. Il pantomime per altro non fu nemmeno toccato dal Licence Act, ma
nonostante la sua popolarità, smise di essere praticato, come perse la sua popolarità la tragedia, in favore della
commedia sentimentale (Hugh Kelly). Il repertorio delle opere seguiva quello segnato già nel periodo della
restaurazione, un terzo era preso da Shakespeare e altri autori del passato, un terzo da opere della restaurazione, un
terzo da novità. I diritti di stampa cominciarono ad essere venduti dagli autori, anche se continuavano a ricevere
esigue percentuali dagli incassi degli spettacoli messi in scena. Essendo perfezionato in tutto e per tutto, il teatro
produceva spese sempre in aumento, che furono compensate con l’aumento della capienza dei teatri e la maggiore
affluenza di pubblico grazie al miglioramento economico. I teatri inglesi per accogliere il pubblico avevano platee,
gallerie e palchi, la capienza era comunque limitata a massimo 600/700 persone. Per quanto riguarda gli effetti
speciali, dietro l’arco di proscenio venivano poste botole e macchine di diverso genere per lo scorrimento di quinte e
fondali. I costumi si fecero sempre più fastosi e particolari, solo alcuni mantenevano quelli convenzionali: i
guardarobieri annotavano i costumi presi dagli attori, poiché a loro piena disposizione da parte della compagnia, in
modo tale da assicurarsi che tornassero nel guardaroba. Il livello di specializzazione degli attori dipendeva dalla loro
versatilità e dalla grandezza della compagnia, e l’assegnazione di un ruolo non dipendeva assolutamente dall’età, ma
dalla qualità recitativa (es. Garrick recitò Amleto fino a 59 anni). Fino al 1750 dominava uno stile di recitazione
declamatorio, ma grazie a Garrick e Macklin si promosse la tendenza <<realistica>> seguita per il resto del secolo e
ben più apprezzata. Nonostante le innovazioni si mantennero alcune convenzioni, come il non dare le spalle al
pubblico e il recitare in avanscena. Il ritmo del verso e la modulazione del suono e della rima vennero perfezionati da
Garrick in modo da sembrare il più naturali possibile. Il programma delle serate durante la restaurazione era
complesso, e comprendeva balletti e canti negli intervalli tra gli atti. Attori e pubblico avevano un rapporto stretto,
spesso gli attori si lamentavano dei torti subiti col pubblico, il quale protestava vigorosamente. Nel corso del 700 la
popolarità del teatro crebbe con la prosperità economica che faceva aumentare il pubblico potenziale. Londra e
Dublino (non era soggetta al Licence Act) erano i principali centri teatrali, le altre compagnie, anche se non godevano
di licenze apposite, si esibivano per tutto il paese annunciandosi come interpreti di balli, danze o scenette
drammatiche. Le compagnie migliori furono quelle di Edimburgo, York, Liverpool, Newcastle, Brighton, Manchester,
Norwich e Bath.

IL TEATRO DEL 700 IN ITALIA E IN FRANCIA


(sviluppo della scenografia italiana)
A inizio 700 le pratiche teatrali italiane erano ormai diffuse in tutta Europa (arco di proscenio, scena prospettica,
cambi rapidi di scena, effetti spettacolari) e i centri più all’avanguardia erano Venezia, Firenze, Milano, Roma e Napoli.
C’era richiesta degli scenografi italiani anche in altri paesi, come a Vienna, dove Giovanni Burnacini e suo figlio
Ludovico Ottavio realizzarono gli allestimenti teatrali più fastosi d’Europa e guadagnarono fama internazionale. Il più
complesso fu il Pomo d’oro (1668), opera lirica di Marco Antonio Cesti, essa comprendeva: 33 scene, 35 macchine,
nella scena finale c’erano tre gruppi di ballerini (cielo, terra, mare) che ballavano simultaneamente. Una famiglia
molto influente all’epoca era quella dei Bibiena: furono richiesti ovunque si sviluppasse la passione per l’opera lirica
(es. Parigi, Dresda, Stoccolma) e furono anche tra i migliori architetti del 700 (progettarono teatri in Italia, Francia,
Austria e Germania). Portarono diverse innovazioni, la più importante fu la realizzazione della <<scena per angolo>>:
mentre scenografi precedenti privilegiavano la prospettiva ad asse centrale, con un unico punto di fuga, i Bibiena
sistemavano gli elementi scenografici, e regolava scorci prospettici, secondo due o più punti di fuga. Bibiena cambio
anche le proporzioni delle raffigurazioni sceniche: mentre la scena poteva essere dipinta da più punti di vista, le quinte
più vicine rispetto alla parte anteriore del palcoscenico venivano spesso trattate come fossero semplicemente una
sezione di un edificio troppo grande per essere contenuto. Grazie a questo trucco, combinato agli scorci prospettici, la
scena per angolo dava un’illusione di ampiezza e imponenza ben maggiore della prospettiva ad asse centrale. Nella
sezione posteriore delle scenografie dei Bibiena, venivano allestite delle quinte che raffiguravano uno sfondo
prolungato, e davano l’impressione di continuare all’infinito. Anche questo fu uno dei maggiori apporti della famiglia
allo sviluppo della scenografia. L’unica pecca di questo elemento era la difficoltà a realizzare veloci cambi di scena,
poiché troppo in fondo per essere spostate dalle carrucole, venivano trasportate a mano. A volte erano anche
praticabili (es. qualche scalino), ma erano perlopiù dipinte. Tutte queste innovazioni seguivano il nascente gusto
barocco in Italia, il quale a simmetrie e linee rette preferiva curve e asimmetrie, con disposizioni spaziali complesse.
Elementi architettonici principali rimasero comunque colonne, archi e frontoni.
La scena per angolo fu usata anche da Filippo Juvarra, il quale creò anche scenografie interamente costituite da
drappeggi ed altre ricche di elementi esotici o elementi orientali.
Oltre ai Bibiena c’erano altre famiglie di scenografi: i Mauro (Venezia, Torino, Parma, Monaco, Dresda, Vienna ecc.), i
Quaglia (Austria, Germania), i Galliari.
Lo stile scenografico sviluppatosi durante la parte finale del 700 subì numerose trasformazioni e cominciò a farsi
strada il nuovo gusto teatrale: crebbe la popolarità dell’opera buffa, genere nato dagli intermezzi che
accompagnavano spesso le opere serie. La prima opera buffa italiana fu probabilmente la Cilla di Michelangelo
Faggioli, eseguita a Napoli nel 1707. Ma la prima che raggiunse un’ampia notorietà fu la Serva Padrona (1733) di
Giambattista Pergolesi. L’opera buffa rese comuni ambienti domestici e rustici: molto probabilmente suggerì a Paolo
Landriani, che alla fine del 700 lavorò alla Scala di Milano, l’introduzione delle scene <<parapettate>> e
<<plafonate>>, ossia chiuse da tre pareti continue e da un soffitto intero (che sostituivano quinte laterali e <<arie>>).
L’innovazione più importante fu l’inserimento del disegno scenografico dalle tonalità psicologiche e ambientali. Nella
seconda metà del 700 gli scenografi incominciarono a enfatizzare i valori del chiaroscuro. La figura più rappresentativa
di questa tendenza fu Gian Battista Piranesi: utilizzò numerose concessioni scenografiche nelle più di mille incisioni di
rovine romane e di prigioni contemporanee che pubblico tra 1775 e 1778. Crebbe l’interesse per l’antichità con la
scoperta di Ercolano, ma con le sue prigioni, realizzate con un sapiente uso del chiaroscuro, sollecitò molti pittori e
scenografi a realizzare fondali pittoreschi vagamente svelati dal chiarore di luna o da deboli raggi solari. La tonalità
ambientale era ottenuta grazie alla giustapposizione di masse di luce e ombra. Le numerose innovazioni e la crescente
attenzione per l’atmosfera furono indicative dell’insofferenza per le limitazioni imposte dalla teoria classicista. Il nuovo
gusto precorse il romanticismo, che a breve avrebbe imposto il suo stile.
(dramma italiano nel 700)
Mentre la scenografia italiana dominava la scema europea, la produzione drammatica esercitava un’influenza assai
minore. I testi che ebbero più fortuna furono quelli del Metastasio, furono rappresentati in tutta l’Europa e anche
fuori nel nuovo mondo, in Cile e Brasile. Tra le sue opere più celebri Didone abbandonata (1723) e L’eroe cinese
(1725). Nome prevalente nel mondo della tragedia fu quello di Scipione Maffei, con la Merope (1713, Modena,
recitata da Luigi Riccoboni), di argomento mitologico. Ma la produzione tragica in Italia era dominata da Vittorio
Alfieri, alcune delle sue opere più famose furono: Mirra (1784), Saul (1782), Oreste (1776) e Antigone (1777). La
polemica contro la tirannia che percorre l’intera opera dell’Alfieri, animata dalla profonda esigenza di libertà
individuale e dal rifiuto di ogni compromesso con il potere, rese la sua figura particolarmente importante per la
cultura risorgimentale italiana, di cui fu uno dei modelli principali.
Nel campo della commedia invece spiccava Carlo Goldoni, il quale operò una vera e propria riforma. Si dedicò
solamente al teatro dopo aver lasciato l’avvocatura nel 1747, e nel 1761 fu invitato a Parigi come autore della
Comedie Italienne, scrisse, per congedarsi dal pubblico veneziano; Una delle ultime sere di carnovale, commedia dai
toni commoventi e autobiografici. La riforma compiuta da Goldoni era diretta alla creazione di un nuovo monello
drammaturgico che sostituisse i meccanismi della commedia dell’arte, ormai usurati e involgariti, e quelli della
commedia lacrimosa e sentimentale, la quale non rispondeva ai gusti del tempo. Goldoni iniziò con la composizione di
scenari por i personaggi della commedia dell’arte e integrò al semplice canovaccio, parti scritte per gli attori, che
dovevano imparare a memoria. Le maschere della commedia dell’arte che continuarono a comparire in molti testi di
Goldoni, furono modificate e trasformate in personaggi più sfumati e psicologicamente complessi, perdendo le
caratteristiche immediatamente ridicole e di tipo convenzionale (la locandiera, il padre di famiglia, vedova scaltra).
La riforma sollevò polemiche violente sia nel pubblico che negli altri autori. Oppositori principali furono Pietro Chiari
(oppose al realismo goldoniano commedie di tendenza sentimentale e in diretta risposta a quelle di goldoni, come ad
esempio la scuola delle vedove del 1749) e Carlo Gozzi (autore delle fiabe teatrali). Quest’ultimo ebbe molta fama a
Venezia e anche fuori l’Italia, principalmente in Francia, Germania e Russia, dove ispirò diversi esperimenti
dell’avanguardia teatrale.
(dramma francese del 700)
Nonostante la difficile situazione politica, la Francia nel 700 rimase una delle maggiori potenze mondiali e continuò ad
essere il centro della vita culturale europea. Molti attori tragici settecenteschi cercarono di seguire le orme di Racine,
sostituendo però ai conflitti interiori, trame intricate e rapporti complessi tra i caratteri dei personaggi. Questo nuovo
gusto emerge in autori come Lagrange-Chanel (scrittore di tragedie come l’Amasis, 1701), Crèbillon (maggiore
avversario di Voltaire, fu celebre per le trame complesse volte a provocare nello spettatore la pietà attraverso l’orrore
delle scelleratezze crudelmente rappresentate, es. Radamisto e Zenobia, 1711) e Voltaire. Quest’ultimo fu uno dei
maggiori esponenti della letteratura e del pensiero filosofico dell’epoca. Una delle sue migliori opere fu Zaira, del
1732, che narrava di una serva amata dal suo padrone, un sultano. Dopo aver soggiornato in Inghilterra dal 1726 al
1729, Voltaire cominciò a considerare troppe ristrettive le regole imposte dall’ideale classicista, e tento di renderle più
flessibili. Riuscì poco nel suo intento, si integrò nelle opere giusto qualche scena di violenza e apparizioni di fantasmi,
per incrementare l’elemento spettacolare. Grazie all’influenza di Voltaire nel 1759 si procedette a rimuove gli
spettatori sul palcoscenico, in favore di un utilizzo maggiore delle macchine scenografiche.
La commedia, a causa del suo minor prestigio, conobbe maggiori cambiamenti rispetto alla tragedia. L’influenza di
Moliere traspare nelle opere di Dancourt (descrive lo sviluppo di un’ambiziosa classe mercantile alla ricerca di potere
e prestigio), Regnard (scrisse per la commedia dell’arte allora residente a Parigi, realizzava farse incentrate sulla figura
di scalatori sociali, es: l’erede universale, 1708) e Lesage (realizzo le prime grandi commedie francesi in costume), i più
importanti attori comici dell’inizio del XVIII secolo. il gusto per le opere di carattere sentimentale si sviluppò; come in
Inghilterra, intorno al 1720, affiorando soprattutto nelle commedie di Marivaux (molte opere parlavano della nascita
di un amore tra due innamorati, ostacolato non da elementi esterni, ma dai loro conflitti interiori, es. Il gioco
dell’amore e del caso del 1730) e Le Chaussèe (iniziò il successo della comedie larmoyante, o commedia lacrimosa.
Nelle sue opere i personaggi virtuosi sono costretti ad affrontare sventure e ostacoli arricchiti per suscitare simpatia e
compassione nel pubblico, es. Pregiudizio alla moda, nel 1735). La riforma dei generi drammatici fu sollecitata nella
seconda metà del secolo da alcuni autori teatrali, fra cui Diderot; che, come direttore dell’Encyclopèdie, contribuì
ampiamente al rinnovamento della cultura francese ed europea del secondo 700. Diderot si opponeva alla rigida
distinzione tra genere drammatico e comico, e sosteneva l’esigenza di generi <<intermedi>>, il cui linguaggi e temi
toccassero da vicino l’uomo medio e la sua reale condizione sociale. Sostenne poi la necessità di una serie di
innovazione in campo di allestimento scenico, ritenendo che un dramma avrebbe attirato il pubblico solo se fosse
riuscito a creare una totale illusione della realtà. Le idee di Diderot, precorritrici del futuro realismo, non riuscirono
comunque a imporsi fino alla fine dell’Ottocento.
(compagnie, attori, recitazione, architettura teatrale, scenografia, costumi)
Nel 1700 esistevano due compagnie autorizzate a Parigi: la Comèdie Francaise e l’Operà. Nonostante la notevole
concorrenza che dovettero affrontare, rimasero comunque le due compagnie più importanti. L’attacco principale al
loro monopolio proveniva da parte dei teatri senza licenza, che operavano nelle fiere, in particolare a quelle di Saint
Germain e di Sant Laurent. Operà e Comèdie Francaise cercarono in tutti i modi di ostacolare l’attività (basata sulla
commedia dell’arte) di queste compagnie non autorizzate, ma con scarso successo.
La prima forma drammatica minore che fiorì in questo periodo fu l’operà comique (che esponeva versi su dei cartelli
dati in mano ad attori sospesi vestiti da Cupido, essendo proibito il dialogo), che molto si avvicinava alla ballad opera
inglese. Dando largo spazio alla commedia dell’arte, questi brevi spettacoli parodiavano tragedie e opere liriche e
satireggiavano fatti e mode del momento. Queste compagnie delle fiere avevano sempre gran pubblico e
contrastavano di molto le sobrie rappresentazioni di Operà e Comèdie Francaise. Le attrazioni del teatro parigino
aumentarono con il duca d’Orlèans, che invitò una compagnia della commedia dell’arte, guidata da Luigi Riccoboni
che si installò all’Hotel de Bourgogne, e accorgendosi del declino della commedia dell’arte, cercò di rinnovare le sue
opere. Creò ed entrò a far parte della Comèdiens ordinaries du Roi (ancora chiamata però Comèdie Italienne).
Compagnie delle fiere, soppresse ufficialmente nel 1718, ricominciarono ad esibirsi liberamente nel 1723, dopo che
Luigi XV assiste a una loro rappresentazione. Verso metà secolo il gusto per le storie sentimentali cominciò a
influenzare anche l’operà comique, sostituendo progressivamente le tradizionali tematiche farsesche e satiriche. Tra
1745 e 1751, per riempire il vuoto creato dal decreto, venne introdotto il pantomime inglese, che ebbe accoglienza
calorosa nei minori teatri parigini che rimase per tutto il resto del secolo. L’Operà comique e la commedia di Goldoni
ottennero un tale successo che tra 1769 e 1780 le commedie francesi sparirono dal repertorio della Comèdie
Italienne. Nel 1780, fu introdotto il dialogo alla pantomima, la quale prima era muta, e questi nuovi spettacoli vennero
chiamati pantomime dialoguées et parlées. Dopo il 1769, abbandonato il dramma francese dalla Comédie Italienne, le
compagnie minori mettevano in scena drammi e commedie (teatro boulevardier), sollecitati dalle esigenze degli autori
francesi, a cui era rimasto come unico sbocco per le loro opere, il palcoscenico della Comédie Francaise. La popolarità
della Comédie Italienne declinò con il ritiro di Goldoni nel 1773.
La Comédie Francaise, nonostante tutte le controversie sorte nel diciottesimo secolo, mantenne il suo monopolio
sulle rappresentazioni di commedie e tragedie <<regolari>>.
L’Opéra godette del maggior prestigio (compagnia preferita del ceto aristocratico) tra tutte le compagnie esistenti. A
differenza delle altre compagnie, basate su un sistema azionario di compartecipazione, essa era diretta da un
impresario: successivamente la situazione era diventata così caotica che l’Opèra torno in mano del re, che ne diede in
mano la gestione a un funzionario di corte. Ogni organizzazione non ufficiale aveva il pieno dei rischi e dei profitti,
quelle ufficiali ricevevano un sussidio dai nuovi societares e dai proventi dell’affitto annuale dei palchi.
Nel XVIII secolo il pagamento degli autori era regolato da disposizioni governative, nonostante ciò, le compagnie
utilizzavano diversi espedienti per diminuire il compenso all’autore.
Ogni teatro aveva un programma specifico (es. Opèra presentava una sola opera arricchita da danze e balletti, o la
Comèdie Francaise presentava un dramma regolare e uno spettacolo di chiusura) che presentava in anticipo; cambiava
ogni giorno, tranne per particolari spettacoli che avevano successo e andavano così replicati. Il balletto divenne
sempre più importante con l’Opèra.
Il XVIII fu testimone del primo tentativo riuscito di dare vita ad un sistema ordinato e regolare per la preparazione
degli attori: essere ammessi nelle compagnie di Parigi era molto difficile, e gli aspiranti attori, dovevano essere
approvati da un comitato di attori esperti, e dovevano prima aver già riscosso successo in qualche rappresentazione
pubblica, se fossero riusciti sarebbero stati trasformati in pensionnaires finché non si creava un nuovo posto tra i
sociètares. Tra gli attori famosi il nome la Dumesnil, la Clairon e Lekain. Qualcuno raggiunse fama tale da riuscire a
recitare nella Comédie Italienne che vide nomi come Riccoboni e Marivaux. Con la rivoluzione, l’attore francese
ottenne i pieni diritti civili e religiosi. L’Assemblea Nazionale proibì qualunque tipo di discriminazione verso gli attori e,
benché non potesse renderli ovunque socialmente graditi, rimosse almeno i fondamenti legali che avevano
incoraggiato i pregiudizi nei loro confronti.
Per quanto riguarda gli edifici teatrali a Parigi rimasero immutati fino al 1750, quando cominciò a crescere l’interesse
per l’architettura teatrale. Per evitare di diminuire lo spazio per il pubblico in piedi, fu ridotta la grandezza
dell’anfiteatro le cui file di posti digradavano in platea. Poteva contenere circa 650 persone. L’espulsione del pubblico
dal palcoscenico fu motivata dalla necessità di usare scenografie sempre più elaborate e complesse. (L’orfano della
Cina, 1755, Voltaire): lo spettacolo diventò più famoso per i suoi nuovi e dettagliati costumi e per le scenografie
orientaleggianti. Fu comunque soprattutto l’Opèra a sfruttare, negli allestimenti, l’elemento spettacolare: dopo Jean
Bèrain, lo scenografo più famoso fu Giovanni Niccolò Servandoni, che contribuì alla scenografia francese con la scena
per angolo e la monumentalità dello stile ereditata dai Bibiena.
I costumi erano analoghi a quelli inglesi. La maggior parte degli abiti erano di taglio contemporaneo, abiti alla moda
furono usati nei drammi comici e tragici fino al 1727, quando Adrienne Lecouvreur adottò per la tragedia l’abito di
corte, una consuetudine adottata e rispettata da tutte le eroine tragiche successive. Nei ruoli classici fu mantenuta la
tradizione di indossare l’habit à la romaine, reso particolarmente pomposo e convenzionale. I personaggi comici di
Moliere mantennero il loro costume seicentesco, ossia quello in linea con la moda del loro tempo. I costumi
provenivano dal magazzino della compagnia, un guardaroba molto ampio e fornito al quale potevano mettere mano
tutti gli attori della compagnia. Gli attori più famosi invece si impegnavano in costose e aspre competizioni per
superare i colleghi nell’eleganza e nella ricchezza dei vestiti di scena. Il gusto per i costumi fastosi cominciò a declinare
dopo il 1750.
Il Tancredi di Voltaire (1760) introdusse i costumi medioevali sulla scena. La crescente attenzione per gli abiti di scena
raggiunse il suo culmine con Beaumarchais, che descriveva nei minimi dettagli il vestito di ogni personaggio anche
quando le commedie si tenevano in luoghi conosciuti e tempi contemporanei.
Molti attori rifiutarono di accettare i cambiamenti, mentre altri li adottarono in un modo del tutto superficiale.
Nel 1790 le riforme accettate si ridussero ad un timido abbandono e si finì per mantenere l’adozione di abiti
cinquecenteschi per tutti i periodi storici che non fossero quelli classici e contemporanei.

Qual è la differenza tra tragedia di Racine e di Shakespeare?


Dal punto di vista formale v’è differenza nel rispetto delle unità, bienseance (buona educazione; è un ideale di
comportamento a metà strada tra morale ed estetica), vraisamblance (verosimiglianza), il linguaggio poetico… poi
Shakespeare predilige i precetti aristotelici e crea più situazioni che si vanno a intrecciare tra di loro; invece, Racine è
più per una tragedia erudita e la sua visione giansenista trapela dalla sua scrittura.
Qual è il filo conduttore nelle opere di Shakespeare?
In tutte le sue opere c’è il tema del dubbio. Ad esempio, in Otello, anche se è di per sé la tragedia della gelosia, il
protagonista ha il dubbio se quello che gli dice Iago sia vero o no. In generale è il dubitare umano sull’agire o il non.

(Lepore, 1° capitolo)

Scena teatrale parigina al tempo di Legrand (parte della Comèdie-Francaise nel 1702, prima recitava in compagnie
teatrali di Lione)

Il pubblico era visto come un’entità fluttuante la cui importanza era data dall’identità dei suoi partecipanti e non dalle
sue opinioni nei confronti dell’arte. Il pubblico giusto poteva influenzare moltissimo l’opinione sociale.
I comediens francais cercarono di evitare i gusti del pubblico basso, ma andarono incontro a una repentina
disaffezione da parte di quest’ultimo. Infatti, la Comèdie-Francaise dovrà affrontare, visto il contesto culturale
parigino, lo stesso cammino dell’Acadèmie Royale de Peinture et Sculpture, ovvero introdurre un genere minore, o
meglio un “autore minore”: Legrand.
Legrand (nel Theatre Francaise) appare come un originale, sperimentando un nuovo modo di comportamento
autoriale che consiste, precisamente, nella trasmutazione di forme letterarie basse, o illegittime, nell’arena pubblica di
un teatro regolato e legittimo. Opera in questo spazio ibrido che non appartiene né alla chiesa né al re.

Legrand tenta di far appello allo spettatore reale, destinatario della sua scrittura, ed è lui che vuole soddisfare… non il
principio di conformità tra uno stile e il suo linguaggio (estetica burlesque). Si rifiuta di sottomettersi alle regole
classiche.
Non v’è più un pubblico esclusivamente di corte, ma nemmeno quello borghese della città. Era necessario adattare
uno spettacolo ibrido.
Di qui nasce una strategia commerciale: il raggiungimento di una “comunità di interessi” tra affermazione dell’autore
e comunicazione col pubblico, dando vita a uno spettacolo che punta sempre di più a coinvolgere quest’ultimo nel
processo che lo legittima.
Il teatro agli inizi del 700 aveva come attore, ultimo giudice e garante della qualità dello spettacolo, proprio il
pubblico… un pubblico dotato di poteri normativi e critici.
La comparsa di quello che Crown definisce “nuovo forum”, dà vita alla lotta per la rappresentazione, per il linguaggio e
per i simboli, che ha lo scopo di decidere chi può servirsene.
Lagrand attacca dunque l’ambiguità dello stile abbondante di Rapaille e denuncia lo sperpero di quel gran verbiage
barocco, senza nascondere le sue intenzioni caricaturali verso lo stile laconico e geometrico di Zacorin.
Il burlesque è una mèlange (mescolanza) di stili e generi, ma esige le distinzioni poiché i suoi elementi verbali esistono
in funzione di un modello, non di una situazione. Lagrand avrebbe potuto darsi alla marginalità trattando di temi
volgari amati dal pubblico come Plaisantinet, seguite la tradizione come La Fariniere, o cercare “la via di mezzo” come
Geniot miscelando alto e basso. È proprio Geniot (con Roi de Cocagne, appropriazione della poetica del burlesque) il
restauratore del genere comico, facendogli riguadagnare il fascino perso.
Il burlesco ha come caratteristica peculiare quella di dover confondere tutti gli stili e allo stesso tempo il tentativo di
critica al principio della divisione dei generi (estetica classica).
Vi sono tre profili con diverse strategie di composizione:
Plaisantinet; degradato e caricaturale, sottomesso alla logica mercantile
La Fariniere; il poeta glorioso con la postura del dilettante, dell’amatore
Geniot; l’avatar di Legrand
C’è una distinzione di composizione tra l’elogio della mediocrità del primo e l’elogio della perfezione (impossibile da
raggiungere) dell’ultimo. La Fariniere insolentemente aspira a rilanciare un teatro ormai massacrato criticando
ridicolmente i colleghi e sostenendo che la mediocrità non potrà mai accontentare il pubblico.
Con una sorta di “giustificazione poetica” (prologo del Roi de Cocagne) Lagrand mette in scena una querelle tra diversi
autori che sii presentano a Thalie, Musa della commedia, per offrirle “la loro piuma”. Per mezzo di questa finzione
Lagrand passa in rassegna ed esamina minuziosamente le diverse possibilità di scrittura.
Importante fattore era l’anonimato poiché permetteva agli autori di non macchiare la propria reputazione senza
rinunciare ai profitti economici (che i teatri commerciali garantivano). Inoltre, l’anonimato, era una sorta di strategia
commerciale, poiché, stimolava la curiosità del pubblico. Lagrand usa molto spesso l’anonimato nella sua esperienza
italiana per non andare a gravare sulla sua troupe.
L’anonimato è un patto di lettura col pubblico e una pratica polemica, sfruttata dagli autori per far emergere la gravità
della censura e il peso delle restrizioni. Molti autori minori usavano la censura per criticare il teatro regolare senza
essere vittima dei pregiudizi legati alla sua persona (es. Fuzelier, Momus Fabuliste).
Ma come si poteva rivendicare una proprietà letteraria ai tempi poiché la legittimità non esisteva ancora in termini
legali ai tempi? Con la presa di parola, poiché la parola è il primo potere; in essa gioca il contratto interlocutorio che
conferisce ai protagonisti un minimo di riconoscibilità.
I conflitti nati dal gioco della concorrenza colpiscono il rapporto tra gli autori, tra gli autori e le istituzioni e tra gli
autori e il proprio pubblico.
La concorrenza per le istituzioni teatrali sta nell’accaparrarsi l’autore di maggior successo (poiché saltavano da una
compagnia all’altra). Per gli autori si tratta di rivendicare il proprio posso nel campo della produzione legittima, ovvero
sancire con autorità chi è autorizzato a dire.
Beck diceva che rivendicare è dire e ridire la propria forza cosicché sia riconosciuta anche dagli altri.
La legittimità simbolica è assicurata dal pubblico che ne riconosce la posizione.
Si può parlare di legittimità interna nel momento in cui produttori hanno per clienti altri produttori che sono al
contempo loro concorrenti, e quindi v’è un riconoscimento tra “pari”.
Questa differenza è assimilabile alla distinzione tra teatro ufficiale (basato sul sostentamento ricevuto dal pubblico
che lo rende indipendente dal mercato) e il teatro non ufficiale (sottomesso dalla logica commerciale).
Non è del tutto vero però, poiché sono due realtà diverse del teatro francese del 700 che partecipano
indipendentemente alle realtà storico-economiche dello spettacolo.
La lotta tra i teatri è una lotta per il monopolio della legittimità letteraria, in cui ciascuno di propone di imporre
restrizioni all’altro in modo da favorire la conservazione dei propri interessi e di uno status quo acquisito.
Ecco perché gli attori forains erano costretti a reinventarsi ogni volta, in termini di produzione, per giustificare la loro
esistenza e per opporre resistenza.
La lotta tra teatri ufficiali e non si conclude con un duplice percorso, di trasformazione e conservazione, attorno tra
l’opposizione tra fenomeni di inclusione/esclusione, tra principi di autonomia/eteronomia.
Per l’autore si tratta di stabilire un rapporto di tolleranza e complicità con il suo pubblico (Lagrand). Se vuol davvero
vincere la sua causa è costretto a esercitare una costante pressione sul suo pubblico così da ricavarne un discorso che
possa orientare il suo giudizio, concentrarlo sugli aspetti rilevanti e dunque far prevalere le proprie idee ottenendo il
suo consenso.
L’essere contemporaneamente attore e autore consente a Legrand di fondare la sua esperienza teatrale sugli esiti
della rappresentazione, sulle reazioni del pubblico e su altri criteri più specifici.
La Comedie Francaise preferiva dunque gli spettacoli di Legrand, meno amati dagli spettatori più acculturati, poiché
garantivano molte entrate… i comici francesi cominciarono ad adattare il repertorio “minore” in funzione delle loro
strategie di programmazione: preferire autori minori che poco aspiravano alla gloria a pieno vantaggio della
compagnia.
Il repertorio di Legrand all’interno della Comedie Francaise è definito come un repertorio parallelo, che espone la sua
natura “eccezionale”. Un altro elemento che assicurava un pubblico consistente era la continua introduzione di novità,
poiché ne appagava l’appetito.
Sotto certi aspetti però i comediens fraincais cercavano di acquisire il monopolio del genere tragico e mantenere la
tradizione Molieriana che era stata ridotta a un unico e sterile genere in favore della grande commedia di carattere.
Si andava vcerso un gusto nuovo fondato sull’ibridazione dei generi.
È sul campo della commedia, dunque, che si attua la battaglia tra la Comedie Francaise e gli altri teatri parigini; per
batterli i comediens francaise, a cui capo c’era Legrand, erano spinti ad adottare nuove strategie e a comporre nuove
commedie (imperativo della novità).
Anche La Harpe, molto severa nei confronti degli autori, riconosce il talento di Legrand nel comporre “buoni prodotti”
e allo stesso tempo intercettare i gusti del pubblico, interpretarli e infine soddisfarli.
Questo comèdien-poète aveva una facilità estrema di scrittura, una risorsa indispensabile per la reputazione della sua
troupe e per se stesso.
Autori-attori come Legrand e Dancourt avevano una logica commerciale e si impegnavano di più nella rivalità tra i
teatri, per creare un teatro “lucrativo” e “diconsumo” motivato dal profitto immediato, per rendersi utili alla troupe.
Durante la Reggenza, la protezione reale, che fino a quel momento aveva delimitato i confini tra le istituzioni teatrali,
s’indebolisce. Il controllo delle autorità pubbliche sulle imprese teatrali si attenua in favore di un liberalismo più
marcato e i privilegi delle grandi istituzioni perdono progressivamente di consistenza e di ragion d’essere. La Comedie
Francaise spreca le sue forze in una lotta aggressiva contro i suoi concorrenti, senza essere in brado di trovare una via
alternativa tra i limiti imposti dalla politica protezionistica dell’Ancien Regime e le opportunità derivanti da questo
disordine istituzionale, che lentamente e innegabilmente aveva portato a un aumento della produzione teatrale e
all’espansione del pubblico. Durante la Reggenza Parigi offriva al suo pubblico un’infinita varietà di spettacoli. Philippe
d’Orleans (politica liberale) si occupava della protezione di molte compagnie teatrali.
((La libertà teatrale in quell’epoca non esiste.))
Tra la tutela reale e il favore del pubblico, i teatri si trovavano a decidere per quest’ultimo. Il teatro nasceva dunque
come luogo di consumo legato alla nascente cultura borghese.
Questione principale della lotta tra teatri (Operà, Comedie Francaise, teatri delle Fiere, Comedie Italienne) era il voler
monopolizzare il pubblico, ormai considerato come un’entità unica dal carattere polivalente.

Teatro italiano> Fiorirà sulle ceneri di Moliere, approfittando della crisi della comedie francaise, poiché i commediens
du roi non furono in grado di avvicinarsi al suo talento. Di fatto il legislatore del Parnaso dichiarò che dopo Moliere
non ci furono buone opere teatrali sul teatro francese: solo opere pietose e mediocri. Mentre quelle che gli erano
arrivate dal Teatro italiano erano buone cose.

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