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Biografia di Cimabue e la pittura gotica

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In Italia il mondo della pittura, fino a circa la metà del XIII secolo, è
condizionato da un carattere astratto nel quale non è possibile escluderne la
componente ​bizantino​–​romanica​, ma già incominciano ad emergere grandi
personaggi che riescono ad esprimere con nuovi linguaggi una più viva e
sentita umanità.

Cimabue (Cenni di Pepo, 1240-1302?), ha certamente una formazione


bizantina. Tanto alta è la sua fama che verrà ricordato anche dal Sommo
Poeta.

All'interno della solenne architettura romanica Fiorentina si viene formando


Cimabue. mosaico, occorre ricordarlo, è concepito per essere visto a distanza.
esige perciò non tanto lo studio accurato del piccolo dettaglio, quanto il senso
della sintesi.

E’ questo che Cimabue eredita dall'antica tradizione, non la ricerca


dell'astratto attraverso la bidimensionalità.

Anzi, inshaw Rivela la sua educazione Fiorentina, egli afferma la priorità del
volume. ciò, naturalmente, non significa che la sua cultura, come quella di
tutti i pittori della sua epoca, non si sia permeata di bizantinismi; significa
che è diverso il modo con cui questi sono 10pt. In altri termini sarebbe
antistorico giudicarlo privo di legami con i suoi antecedenti, quasi nato dal
niente.

Cimabue esce invece da quello stesso ambiente culturale Nel quale operano
Coppo di Marcovaldo è Giunta Pisano. evidente per esempio quale vicinanza
vi sia fra le croci dipinte da quest'ultima il crocifisso di San Domenico ad
Arezzo una delle prime opere mature di Cimabue. Ma più che le somiglianze,
anche troppo palese, È opportuno constatare le differenze, che rivelano
l'affermarsi di una nuova grande personalità. il corpo di Cristo si stacca dalla
croce con decisione, Facendoci percepire lo spazio vuoto se è il legno
retrostante. gli sbalzi anatomici sono ottenuti non soltanto con il Chiaroscuro
disposto intorno alle parti di levate, ma anche seguendo le curve con le
pennellate due. queste riconoscibili singolarmente sulla vicino si sintetizzano
nella nostra retina quando siamo collocati la distanza giusta, dando i volumi
compattezza e risalto possente.

il disegno al netto la linea incisiva, tesa. tutto esprime forza dolorosa: il viso,
con gli occhi serrati nella morte, defilato sulla spalla destra, egregiamente
drammatico i rialzi anatomici sono aggiunti completa decise. mi sono molte
caratteristiche bizantine, tramandate dall'uno all'altro pittore Giustina mi
Clementi stilistici, formule consuetudinarie, difficilmente eliminabili nella
pratica quotidiana della chiesa: per esempio gli occhi ad esse, la fossa come
una forcella della radice del naso, la tripartizione del ventre, la doratura del
perizoma delle vesti di Maria e Giovanni nei pannelli e lati del braccio
trasversale della Croce.

Sono però bizantinismi romanico gotici 2 punti non tengono a farci intuire
un'idea astratta ma renderci consapevoli di una realtà. per esempio la doratura
dei panneggi, pur essendo un simbolo, esprime un fenomeno naturale: la luce
che colpisce le pieghe sporgenti.

Bibliografia:

1240 ca Cenni di Pepo, soprannominato “Cimabue” a causa del suo carattere 
orgoglioso  e  ironico  (“cimabue” = “colui che scorna il bue”) nasce a 
Firenze  (Giorgio  Vasari  indica  come  anno  esatto  il  1240  nelle  sue 
Vite​). 

1250 Compie  la  sua  formazione  sotto  maestri  greci  giunti  a  Firenze  per 
-60  lavorare  in  Santa  Maria  Novella:  la  fonte  è  sempre  Vasari  ma  non  ci 
ca.  sono certezze. 

1270  Probabilmente  attorno  a  quest'anno  dipinge  i​l  ​Crocifisso  ​di  Arezzo​, 


ca.  la sua prima opera nota. 

1272  Il  3  giugno  di  quest'anno  è  la  data  del  primo  documento  che 
riguarda  il  pittore:  è  registrato  in  un  atto  notarile  a  Roma,  anche  se 
non sappiamo per quale motivo si trovasse nella città. 

1274 Dipinge  il  ​Crocifisso  ​di  Santa  Croce​,  che  purtroppo  è  stato 
-75  pesantemente  rovinato  durante  l'alluvione  di  Firenze  del  1966  e 
ca.  possiamo  conoscere  com'era  in  origine  solo  attraverso  le  fotografie 
d'epoca. 

1277 Secondo  molti  studiosi  è  in  questi  anni  (sotto  il  papato  di  Niccolò 
-80  III)  che  Cimabue  realizza  gli  ​affreschi  nella  Basilica  Superiore  di 
Assisi​.  Altri  invece  spostano  il  periodo  assisiate agli anni 1288-1292 
(sotto il pontificato di Niccolò IV). 

1280 In  questo  periodo,  Cimabue  dipinge le sue famose ​Maestà​: quella del 


-90  Louvre,  ​la  ​Maestà  di  Santa  Trinita  ​(Uffizi) e la ​Maestà ​di Santa Maria 
ca.  dei Servi a Bologna​. 

1301  Gli  viene  affidato  l'incarico  di  terminare  il  grande  mosaico  del 
catino  absidale  d​el  Duomo  di  Pis​a:  Cimabue  riuscirà  a  realizzare 
soltanto la figura del S
​ an Giovanni​. 
1302  Muore a Pisa. 

Opere principali: 

Crocifisso​ (1270 ca.; Arezzo, San Domenico) 


 
Crocifisso  di  Santa  Croce​,  prima  dell'alluvione  (1274-75  ca.;  Firenze,  Museo 
dell'Opera di Santa Croce) 
Maestà​ (1280 ca.; Parigi, Louvre) 
Maestà di Santa Trinita​ (1290 ca.; Firenze, Uffizi) 
Maestà​ (1290-1300 ca.; Bologna, Santa Maria dei Servi) 
Madonna  con  Bambino  in  trono  con  gli  angeli  e  san  Francesco  (1278  ca.; 
Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco) 
Crocifissione  (1278-80  ca.;  Assisi,  Basilica  Superiore  di  San  Francesco, 
transetto sinistro) 
Crocifissione  (1278-80  ca.;  Assisi,  Basilica  Superiore  di  San  Francesco, 
transetto destro) 
San Giovanni​ (1301-02; Pisa, Duomo)
Croce Chiesa di S domenico Arezzo

L’influsso bizantino è visibile nella ​Croce custodita nella Chiesa di San


Domenico ad Arezzo​, dove il Cristo è raffigurato con lo stesso schema di
adottato in precedenza da Giunta Pisano, tratto probabilmente dalla sua ​croce
nella basilica di San Domenico a Bologna o da un’altra croce, andata perduta,
realizzata dallo stesso Giunta Pisano per la basilica di San Francesco di
Assisi.

La croce è affine al ​Crocifisso Basilica San Domenico Bologna di Giunta


Pisano sia perché Giunta Pisano era stato l'artista più stimato e di riferimento
alla metà del secolo sia perché la chiesa domenicana aretina non poteva non
dipendere dalla chiesa principale dell'ordine, la basilica di San Domenico a
Bologna..

La croce riporta l'iconografia del Christus patiens, cioè un Cristo morente sulla
croce, con gli occhi chiusi, la testa appoggiata sulla spalla e il corpo inarcato a
sinistra. Il torace è segnato da una muscolatura tripartita, le mani appiattite sulla
croce e i colori preziosi, sia per l'uso dell'oro che del rosso.

Quest'opera di Cimabue è fortemente ispirata al Christus patiens di Giunta


Pisano nella basilica di san Domenico a Bologna. Il corpo di Cristo, il tipo di
panneggio e la decorazione della croce derivano da Giunta e la croce aretina
potrebbe apparire come una semplice imitazione se non fosse per la particolare
flessione, che si sforza di trovare un equilibrio fra realismo e intellettualismo,
con effetto più dinamico ed espressivo, ma anche di geometrica purezza. Giunta
infatti arcuò ancora maggiormente il corpo di Cristo, che ormai deborda
occupando tutta la fascia alla sinistra della croce.

Inoltre Cimabue riesce ad imprimere maggiore volumetria all'intera figura e alle


singole parti del corpo, dotando i muscoli di un vigore ed una possanza solo
parzialmente raggiunti prima. Ciò è conseguito grazie ad un pittoricismo che fa
uso di righe scure molto sottili, parallele e concentriche, tracciate con la punta
del pennello, la cui densità si fa più alta nelle zone scure e più rada nelle zone
chiare del corpo. Il corpo è diviso in aree circoscritte e ben distinte, quasi come i
pezzi di un'armatura scomponibile. Nelle zone di contatto tra zone diverse, per
esempio al confine tra i muscoli pettorali e il costato, si passa improvvisamente
da un'alta ad una bassa frequenza di righe sottili, mentre all'interno della stessa
area, per esempio entro il muscolo pettorale, si ha un gradiente, un passaggio
graduale che crea una modulazione chiaroscurale ben precisa e autonoma.

Questo pittoricismo crea una pittura densa e pastosa, un corpo bronzeo, come
una lamina a sbalzo su una superficie piana, raggiungendo una tensione
muscolare e una volumetria ancora più marcate rispetto alla croce di Giunta a
Bologna.

Anche il volto e la capigliatura non sono risparmiati da questo pittoricismo


esasperato. I peli della barba, riuniti in tante ciocchettine sottili in Giunta, sono
qui così fini da essere dipinti singolarmente e fondersi con le linee dei
chiaroscuri degli zigomi. Le ciocche dei capelli si sfrangiano in ciocchettine
sempre più minute, un effetto ben più marcato rispetto alla precedente croce
giuntesca.

Più dolce è il volto di Cristo, anche se ottenuto con uno stile ancora asciutto,
quasi "calligrafico". La smorfia di dolore è più realistica, in ossequio alle
richieste degli ordini mendicanti. il colore è steso in un tratteggio sottile che
imprime al volto uno stacco dalla tavola.

Lo studio recente, rigoroso e dettagliato di Luciano Bellosi[1], ha permesso di


stabilire come il crocifisso sia da ricondurre alla fase giovanile del pittore, sia da
considerare la primissima opera tra quelle sopravvissute ed attribuite oggi a
Cimabue e databile quindi attorno al 1270. A rivelare una datazione così
precoce sono le crisografie bizantine presenti nel perizoma di Cristo e nelle vesti
dei due dolenti, motivi che Cimabue non adotterà più nelle opere successive, a
partire già dal crocifisso di Santa Croce che è considerata la sua seconda opera,
di poco anteriore al 1280.
Anche il pittoricismo summenzionato ereditato da Giunta Pisano diventa più
fluido nelle opere immediatamente successive, con passaggi chiaroscurali
sempre più morbidi. Questo già a partire dal Crocifisso di Santa Croce.

Sui volti di tutte le figure sono presenti una cavità profonda a forma di cuneo,
nel punto in cui il sopracciglio incontra la base del naso e sopra il labbro
superiore della Vergine è presente una striscia bianca che produce l'effetto di
uno sdoppiamento. Questi tratti bizantineggianti, che Cimabue ha ereditato dal
maestro o artista ispiratore Giunta Pisano, sono ancora presenti nel Crocifisso di
Santa Croce, ma scompariranno nelle opere successive. Ma è soprattutto il
profondo solco che dall'angolo dell'occhio attraversa tutta la guancia ad essere
rivelatore in questo senso: questo tratto arcaico è presente su tutti i volti di
questo crocifisso, solo accennato sul volto della Madonna dolente (ma assente
sugli altri volti) nel crocifisso fiorentino e del tutto assente a partire dalla
Maestà del Louvre, collocabile intorno al 1280.

I lati della croce sono decorati con figure geometriche che imitano una stoffa. Ai
lati del braccio orizzontale della croce sono presenti i due dolenti a mezzo busto
in posizione di compianto, che guardando lo spettatore piegano la testa e
l'appoggiano a una mano. Sono la Vergine e san Giovanni evangelista a sinistra
e destra rispettivamente, entrambi vestiti con l'agemina.

In alto è presente la scritta I.N.R.I. per esteso (Hic est Ihesus Nazarenus Rex
Iudeorum). Nel tondo in alto è raffigurato il Cristo benedicente.

Esistono tuttavia, rispetto all’opera del Giunta, delle differenze sostanziali sia
nelle forme, che risultano più incisive e forti, sia nel cromatismo che – pur
avendo minori effetti di lucentezza – è più vigoroso, potente e ben accordato
con le tonalità auree e rossastre della croce.
Cimabue (Cenni di Pepo, 1240-1302?), ha certamente una formazione
bizantina. Tanto alta è la sua fama che verrà ricordato anche dal Sommo
Poeta.

L’influsso bizantino è visibile nella ​Croce custodita nella Chiesa di San


Domenico ad Arezzo, dove il Cristo è raffigurato con lo stesso schema di
adottato in precedenza da Giunta Pisano, tratto probabilmente dalla sua ​croce
nella basilica di San Domenico a Bologna o da un’altra croce, andata perduta,
realizzata dallo stesso Giunta Pisano per la basilica di San Francesco di
Assisi.

Esistono tuttavia, rispetto all’opera del Giunta, delle differenze sostanziali sia
nelle forme, che risultano più incisive e forti, sia nel cromatismo che – pur
avendo minori effetti di lucentezza – è più vigoroso, potente e ben accordato
con le tonalità auree e rossastre della croce.

Questi atteggiamenti, ottenuti con l’ausilio di un disegno aspro ed incisivo


che esprime con così grande efficacia una buona dose di virile grandezza
morale, non si erano mai visti nella pittura con tendenze bizantine. Cimabue
si stacca da queste tendenze ricercando un disegno ed una coloristica atti alla
conquista di una più concreta raffigurazione plastica. L’artista collabora con i
mosaicisti al gigantesco rivestimento del Battistero nelle storie Lamento dei
Genitori di Giuseppe, in Giuseppe tolto dalla cisterna, nella Imposizione del
nome al Battista. Qui Cimabue entra in contatto diretto con le superfici da
decorare lavorando in posizione ravvicinata su figure gigantesche, che lo
abituano a concepire un suo modo di creare sempre più in grande ma senza
staccarsi dalla realtà. Con questo gli è più facile ad arrivare ad una
monumentalità mai vista prima, nelle zone della Toscana ed in particolare
nella stessa Firenze. La stessa Madonna della Trinità è di proporzioni
superiori a quelle del reale.
Crocifisso Santa Croce Firenze

Cimabue dipinse il Crocifisso di Santa Croce raffigurando Cristo sofferente e


morente sulla croce secondo il modello del Christus patiens.

Cimabue, Crocifisso, 1272-1280 circa, tempera su tavola, 448×390 cm.


Firenze, Chiesa di Santa Croc

Descrizione

Cristo è crocifisso sulla croce sagomata. Il corpo è arcuato verso sinistra e le


braccia sono completamente distese e formano una linea retta. I chiodi sono
infissi nel palmo della mano e dalle ferite fuoriescono dei rivoli di sangue. Il
volto è esanime, gli occhi sono chiusi e alla radice del naso, sulla fronte, si
forma una ruga di dolore. una folta barba copre il viso mentre i capelli
ricadono in ciocche ondulate sulle spalle. Una grande aureola circolare
incornicia la testa di Gesù morente. Il torace è magro e si intravede la cassa
toracica. Intorno ai fianchi è stretto un velo trasparente che ricade in
numerosi panneggi. I piedi sono, infine ancorati alla croce da chiodi che li
trapassano al centro.

Interpretazioni e simbologia

Il Crocifisso di Santa Croce di Cimabue fu realizzato secondo il modello del


Christus patiens. Secondo tale modello iconografico Cristo muore realmente
sulla croce. Gesù porta i segni della sofferenza come gli occhi chiusi, la testa
reclinata verso la spalla e il corpo contratto dal dolore che assume una forma
ad S. Il modello precedente era il Christus triumphans. Cristo è sulla croce,
vivo e invulnerabile alle ferite mortali.
La croce sagomata è formata, a partire dall’alto, dalla cimasa priva di
immagini. Sopra di essa non è presente la tradizionale clipse a forma ovale.
All’interno dei capicroce, laterali, vi sono la figura della Vergine dolente a
sinistra e di San Giovanni dolente a destra. La Vergine è rivolta verso destra,
indossa una veste ed un mantello che le ricopre il capo che è sostenuto dalla
mano sinistra. San Giovanni invece è rivolto verso sinistra e sostiene il capo
reclinato con la mano destra. Il tabellone presenta una decorazione
geometrica. Il suppedaneo, a livello dei piedi, è colorato con il tono di fondo
della croce. Gli storici non furono tutti d’accordo nell’attribuire il Crocifisso
di Santa Croce a Cimabue. Questa convinzione deriva anche dalla
complessità di stabilire delle precise caratteristiche dello stile del Maestro.
Secondo alcuni il Crocifisso fu realizzato da un altro artista. Secondo altri fu
dipinto da aiuti. Attualmente gli studiosi sono concordi nel ritenere il
Crocifisso un’opera di Cimabue. Probabilmente, l’artista lo realizzò in
seguito al viaggio a Roma, nel 1272.

Maestà del Louvre

Storia

Il dipinto, che si trovava nella chiesa di San Francesco a Pisa (dove lo videro
Antonio Billi, l'Anonimo Magliabechiano e Giorgio Vasari), venne
trasportato a Parigi nel 1812, durante l'occupazione napoleonica da Jean
Baptiste Henraux, su interessamento diretto dell'allora direttore del Museo
Napoleone, particolarmente desideroso di implementare le raccolte di pittura
"primitiva" italiana. Fu oggetto delle spoliazioni napoleoniche. Dal 1814 fu
esposta al Louvre.

Descrizione

Maria sta seduta in trono avvolta in un fasciante manto blu caratterizzato da


numerose pieghettine a sottosquadri. Poggia fiaccamente la mano destra sulla
gamba del bambino, mentre lo cinge con l'altra, infilando le lunghe dita
affusolate nella sua veste e alzando il ginocchio destro per sostenerne la
figura. Il volto di Maria pare estraneo a quel misto di serenità e dolcezza
delle successive Maestà di Cimabue.

Gesù Bambino è in grembo alla madre, raffigurato come un piccolo filosofo


vestito all'antica, con il rotolo delle sacre scritture saldamente in una mano
(un chiaro elemento di matrice orientale che rivela l'origine bizantina del
modello) e facendo il segno della benedizione con l'altro, come fosse un
adulto. Nella composizione ci sono sei angeli a figura piena ed ali dispiegate,
che accarezzano il trono e disposti uno sopra l'altro, dando il senso di
scansione spaziale. Sullo sfondo domina un fondo oro.

I sei angeli hanno disposizioni e colorazioni simmetriche ed ali dispiegate,


con penne brune sulle parti superiori delle ali e colorate nella parte inferiore.
I loro volti sono scuri, seriosi, quasi imbronciati, facendo eco alla stessa aria
mesta del volto della Vergine.

Il trono ligneo ha una decorazione complessa che lo fa apparire come


assemblato da vimini piuttosto che da assi solide. È pieno di intagli, torniture,
ageminature, trafori, sagomature, piroli, che nel loro sovrapposri e
moltiplicarsi creano un congegno di un'eccezionale complessità .Inoltre ha
una prospettiva latero-frontale per fare in modo che la parte anteriore sia
vista lateralmente

Appaiono curati tutti i dettagli, non solo la decorazione del trono, ma anche
la pieghettatura della veste di Maria, del bambino, degli angeli e perfino le
penne delle loro ali. I chiaroscuri degli incarnati sono modulati.

La pala è incorniciata da un nastro di fitte decorazioni fitomorfe, intervallato


da ventisei tondi bordati d'oro, con busti di Cristo (in cima), di quattro angeli
(nella cimasa), dei quattro evangelisti (nei quattro angoli) dei dodici apostoli
(ai lati) e di cinque santi (nel bordo inferiore).

Il trono ligneo in tralice è intenzionalmente collocato nelle tre dimensioni,


secondo i canoni della prospettiva inversa (dove le linee divergono anziché
convergere verso l'infinito). Gli angeli, benché più piccoli della Vergine al
centro, hanno dimensioni congrue con le due figure centrali. Pur con questi
accorgimenti, la profondità prospettica rimane comunque limitata. Il trono è
poco profondo. I gradini in primo piano seguono una prospettiva frontale
ribaltata, che suscita un certo senso di instabilità e piattezza.

Inoltre si ha come l'impressione che gli angeli siano impilati uno sopra l'altro
piuttosto che uno dietro l'altro. Permane anche il problema della simmetria
ripetitiva degli angeli e della monotonia delle loro posture, con le teste reclinate
talvolta a destra, talvolta a sinistra, talvolta diritte, ma con una rappresentazione
invariabilmente “a tre quarti”. Appaiono disposti ritmicamente attorno alla
divinità secondo precisi schemi di simmetria, senza un interesse verso la loro
disposizione illusoria nello spazio: levitano infatti l'uno sopra l'altro (non l'uno
"dietro" l'altro).

I volti appaiono realistici per un'opera di quegli anni, anche se i lineamenti


rimangono ancora spigolosi (vedi ad esempio i due spigoli a delimitare la canna
del naso e la forcella nel punto in cui questa si salda alla fronte, entrambi retaggi
bizantini). Spicca la straordinaria qualità dei chiaroscuri: il carnato è dipinto con
una serie di filamenti, paralleli e concentrici, che appaiono larghi e sfumati e
sembrano sovente intersecarsi tra di loro, come a realizzare una sottile ed
appena percettibile peluria. Questa trama di pennellate sottili e sfumate ha la
capacità di modulare i chiaroscuri lungo il volto, di modulare il passaggio dalle
zone di luce a quelle di ombra in maniera graduale e sfumata, anziché brusca.
Molto fine è il modo con cui i panneggi avvolgono il corpo delle figure,
soprattutto della Madonna, che crea un realistico volume fisico. Non vi è usata
l'​agemina​ (le striature dorate).

Cimabue con quest'opera stabilì un nuovo canone per l'iconografia tradizionale


della ​Madonna col Bambino,​ con il quale si dovettero confrontare i pittori
successivi: la ​Maestà è il modello più diretto per la ​Madonna Rucellai ​di ​Duccio
di Buoninsegna​, già in ​Santa Maria Novella e oggi agli ​Uffizi (con un trono
analogo, e con una cornice con testine di santi quasi identica), che i documenti
ci dicono essere realizzata pochi anni dopo, nel ​1285​.

Maestà di Santa Trinita

La Maestà di Santa Trìnita (oppure Madonna di Santa Trìnita) è un'opera di


Cimabue dipinta su tavola, databile tra il 1280 e il 1300, conservata agli
Uffizi di Firenze. Raffigura la Madonna in trono con il Bambino, contornata
da nove angeli, e presenta in basso, quattro profeti a mezzo busto. Si tratta di
una tempera su tavola e misura 385x223 cm.

Descrizione e stile

L’opera è conosciuta anche con il titolo di “Madonna di santa Trinità”.

La stilizzata Madonna ha una stesura cromatica tenue e delicata in un


articolato ma, allo stesso tempo, gradevole disegno. I panneggi hanno
un’efficacissima brillantezza aurea alla maniera ​bizantina che ne
affievoliscono il modellato.

L’espressione è soave ed armoniosa, ed i suoi occhi, sempre rivolti verso i


fedeli, hanno uno sguardo tenero ed affettuoso. Sia la Madonna che il
Bambino, in atto di benedire, esprimono grande forza e vitalità. Il trono è
spazioso e maestoso e gli angeli che l’attorniano conferiscono all’insieme
un’atmosfera solenne, ma alcuni di essi – soprattutto quelli al lato sinistro
della Vergine – lasciano trasparire dal volto segnali di angoscia e di asprezza,
come pure due dei profeti in basso (quelli centrali).

L'iconografia è quella bizantina della Madonna ​Odigitria​, cioè in ​greco "che


indica la via", perché mostra la Vergine (che secondo la tradizione può essere in
piedi o in trono) che indica il Bambino: la Madonna simboleggia la ​Chiesa e il
Bambino la Via, la Verità e la Vita. La Madonna è dipinta in 3/4.
Il trono è raffigurato secondo una visione frontale innovativa, con una grande
cavità al centro e visto in una ​prospettiva intuitiva secondo un inedito senso
tridimensionale (le precedenti Maestà cimabuesche presentano ancora un trono
in assonometria). Lo scranno assume così una possanza nuova, di vera massa
architettonica, impreziosita dai decori ​cosmateschi e calligrafici. Questa
prospettiva centralizzata, traguardo di Cimabue maturo, venne ripresa di lì a
poco da ​Giotto​, ​Duccio di Buoninsegna​ e poi dagli artisti trecenteschi.
Il Trono crea un vero e proprio palcoscenico dove sono inquadrati, al di
sotto di ​archi​, quattro profeti, affacciati di busto in uno spazio realisticamente
definito. L'oro dietro di loro, anziché generare la consueta piattezza, sembra
suscitare la sensazione di vuoto, facendo sì che paiano affacciarsi da delle
finestre/grotte piuttosto che stare schiacciati contro una parete.

Essi sono riconoscibili dal cartiglio che recano in mano, contenenti versi del
Vecchio Testamento allusivi a Maria e all'​Incarnazione di Cristo: appaiono
come testimoni che certificano l'evento prodigioso con le loro profezie, ed
evocano la discendenza del Salvatore dalla loro stirpe. Il primo, con il cartiglio
"​Creavit Dominus Novum super terram foemina circundavit viro​" è ​Geremia​, a
cui seguono al centro ​Abramo (​"In semine tuo benedicentur omnes gentes​") e
David (​"De fructu ventris tuo ponam super sedem tuam",​ e infine a destra ​Isaia
("​Ecce virgo concipet et pariet")​ .
I due profeti centrali sono composti e solenni, quasi ripresi a discutere i misteri
della ​concezione e della ​verginità​. Quelli laterali si torcono a guardare verso
l'alto, con una caratterizzazione assolutamente nuova; coi loro sguardi creano un
triangolo che ha il vertice alla base del trono di Maria. Può darsi che il
complesso delle quattro figure abbia una precisa spiegazione dottrinale: i
patriarchi al centro rappresentano la capacità raziocinate dell'uomo, che si
interroga sui misteri dell'incarnazione, mentre i profeti ai lati hanno sciolto ogni
dubbio avendola potuta contemplare nella sua pienezza, e ne sono rapiti
misticamente.
Le teste degli angeli sono inclinate ritmicamente verso l'esterno o l'interno,
evitando la rappresentazione di profilo, riservata allora solo alle figure
secondarie o negative (di lì a poco Giotto abbatterà questo principio). Ricordano
da vicino gli angeli della ​Maestà di Cimabue affrescata nella ​Basilica inferiore
di ​Assisi​. I loro corpi sono solidi, modellati da un chiaroscuro delicatamente
sfumato e fluido (altra novità introdotta da Cimabue) nei panneggi delle vesti. I
colori rosso e blu delle loro vesti indicano la loro sostanza, ossia la fusione di
fuoco ed aria.
La tavola mostra lo stile maturo di Cimabue, in cui l'artista mostrò il
superamento più spinto della rigidità bizantina verso formule più sciolte e
umanizzate, che fecero di Cimabue secondo Vasari il primo a superare la
"scabrosa, goffa e ordinaria [...] maniera greca". La visione frontale del trono, il
volto della Vergine disteso e sereno, i dettagli del volto smussati e i chiaroscuri
sfumati pongono l'opera lontana dai canoni bizantini da cui Cimabue seppe
gradualmente affrancarsi.

Rispetto alle precedenti Maestà di ​Cimabue è presente una profondità


prospettica maggiore: nel trono sono presenti tre piani verticali a profondità
crescenti, contro i due piani delle opere precedenti. Il piedistallo e i gradini del
trono hanno anche un design concavo e scavato in profondità nella loro parte
frontale. Il trono ha una visione frontale e rivela entrambi i lati interni e non è
più in tralice. È cambiata anche la disposizione degli angeli, non più
semplicemente uno sopra l'altro, ma adesso intorno al trono, disposizione che fa
percepire una profondità maggiore.

Le figure sono dilatate rispetto a prima, verso un maggiore realismo. Le pieghe


delle vesti non sono più tese e fascianti come nella ​Maestà del Louvre del ​1280
circa, ma si adagiano ampie e cadenti, come quelle tra le gambe di Maria,
oppure appaiono meno arcuate, come nel manto blu che copre la sua testa.
Ricompaiono le crisografie bizantine sul manto blu, ma stavolta solo a scopi
decorativi, inserendosi tra le ampie pieghe volumetriche. Le lumeggiature
dorate dell'​agemina suggeriscono i tocchi della luce sul manto della Madonna e
la veste del Bambino, di grande fluidità e ricchezza inventiva.
Anche i chiaroscuri facciali sono più efficaci ed aumentano il contrasto. C'è
anche una maggiore caratterizzazione anatomica dei volti a smussare gli spigoli
e particolareggiarne i tratti (si noti ad esempio il taglio a livello della narice che
si insinua entro la pinna del naso o l'accenno di sorriso, finora assenti in
Cimabue).
Pur con questi miglioramenti, si nota una certa refrattarietà alle innovazioni
stilistiche e tecniche di ​Duccio di Buoninsegna e ​Giotto​. Questa Maestà non ha
la raffinatezza figurativa delle due opere degli anni '80 di Duccio, ovvero la
Madonna di Crevole e la ​Madonna Rucellai​, né la decoratività della seconda di
queste. Anche le novità dell'allievo Giotto, già manifeste a partire dal 1290,
fanno fatica a comparire. I contrasti raggiunti qui da Cimabue, ad esempio, non
sono resi secondo i principi dell'unica fonte luminosa. Né sembrano le pieghe
trovare la loro migliore adagiatezza sopra i corpi. Gli sguardi rimangono vaghi.
Limitata è anche la gamma cromatica nel complesso, soprattutto se confrontata
con gli immediati sviluppi della nascente ​scuola senese o con la tavolozza di
Giotto​.
Cimabue di fatto sembra arroccarsi dietro ai suoi stessi stereotipi, quelli che lo
avevano reso celebre e che però adesso cominciavano a farlo apparire antiquato.

Lo stato di conservazione e il restauro

Lo stato di conservazione del dipinto non è buono ed il cromatismo è


alquanto spento, mentre l’ultimo profeta a destra risulta molto danneggiato.
L’oro è in più parti visibilmente ritoccato. In un antico restauro al supporto
ligneo fu dato la forma quadrangolare anche nella parte superiore, a cui
corrispondeva l’aggiunta di due angeli. La pregiata tavola fu riportata
all’originaria forma intorno alla fine del XIX secolo e sottoposta a un severo
restauro nell’ultimo dopoguerra.

La storia

Dalle ​Vite del ​Vasari (1568) si ricava che committenti furono i monaci di
Vallombrosa che la chiesero per l’altare maggiore della Chiesa di Santa
Trinità. Nel XV secolo (intorno al 1469-70, o forse poco dopo), per essere
sostituita dalla Trinità di Alessio Baldovinetti (Firenze, 1425 – Firenze,
1499), venne spostata su un altare laterale, e quindi trasferita nell’infermeria
del monastero di Santa Trinità. Ad inizio Ottocento l’opera si trovava presso
l’Accademia, ove vi rimase fino al 1919, anno in cui pervenne alla Galleria
degli Uffizi di Firenze.

Per quanto riguarda l’autografia di Cimabue, generalmente gli studiosi della


storia dell’arte sono concordi nell’assegnarla all’artista, a partire dal Billi e
dal Vasari.

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Esiste documentazione della presenza di Cimabue a Roma nel 1272. Qui


probabilmente il pittore sviluppa il senso della volumetria ed il gusto per le
vaste simmetrie dalle quali hanno origine le sue esagitate ed angosciose
figure. Queste sue nuove ricerche vengono presto messe in pratica
nell’affresco della chiesa Inferiore di Assisi (conservato in originale fino al
XIX secolo poi restaurato con parziale trasformazione) con la
rappresentazione della Madonna col Bambino fra gli angeli e San Francesco
e negli affreschi degli Evangelisti, le quattro storie della Vergine, le cinque
scene apocalittiche e una Crocifissione.

Nella vasta stesura parietale di segni calligrafici, con una elegante simmetria
nella composizione, le immagini ancora corrispondenti alle rigide regole
bizantine, ma apprensive e drasticamente lumeggiate, assumono una
drammaticità superiore. Risulta chiaro che la ricerca di un compromesso tra
spazio, movimento e plasticismo porta generalmente l’artista verso
l’insoddisfazione – che può tradursi in irrequietudine – oppure verso
l’esuberanza, quasi a riflettere la sua indole burbera e irascibile.

Cimabue: ​Crocifissione Transetto Sinistro(Assisi​)

Sull’opera: “Crocifissione” è un affresco autografo di Cimabue realizzato nel


1280-83, misura 350 x 690 cm. ed è custodito nel transetto sinistro della
Chiesa superiore di S. Francesco ad Assisi. L’affresco in esame si trova sulla
parete sinistra del transetto, proprio di fronte all’altra ​Crocifissione dello
stesso Cimabue (cm. 350 x 300 circa, molto danneggiata).

Lo stato di conservazione della presente opera è molto brutto, sia per le


innumerevoli abrasioni sia per le ossidazioni delle biacche e – più in generale
– dei pigmenti chiari.

Dell’armonia cromatica originale non resta pressoché nulla. Rimangono


tuttavia – ed anche ancora ben leggibili – i tratti dell’intera struttura
compositiva, dove le forme dei volti e delle vesti si presentano più come una
sinopia che come un dipinto su cui un tempo si vi si è lavorato. Alcuni chiari,
purtroppo hanno subito un processo di annerimento che addirittura ha
superato i contigui scuri, dando origine ad un’inversione di luminosità.
Tuttavia in buona parte della zona inferiore compare ancora qualche traccia
di colorazione originale.

Sull’autografia di Cimabue per questo dipinto, sempre enfatizzata dagli


studiosi di ogni tempo, salvo rarissime eccezioni (alcuni negarono addirittura
l’intervento dell’artista nella Basilica Superiore), non sono mai stati avanzati
dubbi di nessun genere.

Si tratta di un vero capolavoro che agita intensamente lo spirito


dell’osservatore: una composizione drammatica ed allo stesso tempo solenne,
creativa e geniale, colma di severi contrappunti, carica di animata
espressività nonostante il ​classicismo che vi si respira, conservatrice ma allo
stesso tempo innovatrice, teatrale ma concreta.

È questa una forte denuncia di Cimabue ove non affiora il minimo sintomo di
rassegnazione, in cui il dramma, già appena narrato dall’artista, si carica di
una problematica che rimarrà sempre attuale.

storia:

La datazione degli affreschi di Cimabue è piuttosto discorde, sebbene negli


studi più recenti si sia assestata a un periodo tra il ​1277​, anno dell'elezione al
soglio pontificio di ​Niccolò III e il ​1283 circa. La zona del transetto sinistro è
decorata dalle ​Storie apocalittiche.​
Per questa scena, forse la più notevole dell'intero ciclo, non è mai stata messa in
dubbio l'autografia del maestro​[1]​.
Gli affreschi di Cimabue sono in generale in condizioni mediocri o pessime.
Non fa eccezione questa Crocifissione, che dovette essere una delle scene più
importanti dell'intero ciclo, e che oggi si presenta sfigurata da abrasioni (in parte
colmate dall'ultimo restauro) e con i colori quasi invertiti in negativo.
L'iscurimento della ​biacca presente nelle mescolanze dei colori chiari è dovuto
alla formazione di ​solfuro di piombo (PbS), di colore nero, a seguito della
reazione del piombo con l'​acido solfidrico presente in atmosfera e
all'ossidazione del piombo, con la formazione di ​diossido di piombo (PbO​2​), di
colore marrone scuro. Nella zona inferiore esistono tuttavia alcuni brani coi
colori originali ancora visibili.
Descrizione e stile

Il Cristo​[​modifica​ | ​modifica wikitesto​]


Cristo sulla Croce si erge al centro del dipinto, vistosamente inarcato verso
sinistra, come nelle note croci lignee sagomate di Cimabue. La metà superiore,
celeste, è affollata d'angeli che manifestano tutto il loro dolore, volando in
cerchio attorno al braccio breve della croce, coprendosi il viso piangente,
alzando le mani al cielo, e raccogliendo pietosamente il sangue di Gesù con
delle ciotole. Questi angeli saranno tenuti ben presenti da Giotto nella sua
celebre ​Crocifissione della ​Cappella degli Scrovegni​. Il capo del Cristo è
particolarmente dolente, proteso in avanti anziché adagiato del tutto sulla spalla
come nelle croci ​di Arezzo e ​di Firenze​. Le braccia non sono parallele alla
croce, ma se ne distaccano significando tutto il peso del martirio in corso.

Gli astanti​[​modifica​ | ​modifica wikitesto​]

Nella metà inferiore, terrestre, il ritmo è reso altamente tragico dal triangolo di
linee di forza, dato dalle pose drammatiche delle due figure ai lati della croce, la
Maddalena a sinistra che distende le braccia e un ebreo che allunga il braccio
quasi a toccare il perizoma prolungato di Cristo, che simboleggia il
riconoscimento della figura divina di Cristo da parte di alcuni astanti.
Addirittura la Maddalena solleva anche un ginocchio, come se volesse lanciarsi
sulla croce accanto a Gesù. Scrisse ​Adolfo Venturi​: «non è più il crocifisso con
ai lati le figure simmetriche del portaspugna e del portalancia, né quello con le
istorie del suo martirio su un cartellone! Nuova è la scena in cui il dolore e
l'odio irrompono da anime forti, le grida contrastano roboanti, i sentimenti si
urtano nella tempesta del cielo e della terra». Nella lunga coda del perizoma,
una novità iconografica, si moltiplicano le pieghe e le scanalature, con una
tendenza al realismo senza schematizzazioni, verso un recupero del
classicismo​[1]​.
Ai lati si distendono due gruppi di figure. Quello di sinistra mostra Maria con la
mano al petto, nel gesto tipico del dolente, mentre Giovanni le prende la mano
per prendersene cura da allora in poi, secondo un episodio narrato solo nel
Vangelo di Giovanni​. Seguono le ​tre Marie e una folla di personaggi in secondo
piano, tra cui si riconoscono numerosi uomini col capo coperto, gli Ebrei.
A destra invece si mischiano soldati romani ed ebrei, nelle loro espressioni di
perplessità (c'è chi si tocca la barba) e di scherno, ma qualcuno accenna a un
ripensamento, portando un dito alla bocca in segno di dubbio, e afferrandosi il
polso per indicare l'impotenza. Uno addirittura si batte il petto in segno di
pentimento, seguendo un passo del ​Vangelo di Luca (23, 47). Tra queste figure,
il volto giovanile dietro al centurione è pressoché identico a un personaggio
nell'​Imposizione del nome al Battista nei ​mosaici del Battistero di Firenze (che
per questo fu attribuita a Cimabue). L'ultimo volto a destra in prima fila è molto
caratterizzato fisiognomicamente, a differenza degli altri, ed è stato ipotizzato
che si tratti di un ​autoritratto​ del pittore.
Il pittore mise i personaggi uno dietro l'altro per dare idea di profondità, ma non
seppe risolvere il conflitto di come essi poggiassero al suolo: ecco che i pochi
piedi dipinti (solo per le figure in primo piano), si pestano uno sull'altro, come
nei mosaici bizantini di ​San Vitale a ​Ravenna​. I pochi colori originari superstiti,
sopravvissuti proprio in questa zona, dimostrano una grande raffinatezza, che
doveva da un effetto di delicata magnificenza: rosa, ocra, verde marcio,
marrone. Qui dopotutto era in corso la realizzazione della "più straordinaria
visione di forme e di splendori che artisti siano mai riusciti ad attuare" fino ad
allora​[1]​.

San Francesco ​Alla base di questo triangolo sta rannicchiato san Francesco,
che è riconoscibile dalle ​stimmate e che si bagna col sangue di Cristo che scorre
sulla montagnola del Golgota fino al teschio nascosto di ​Adamo​. Francesco
appare qui come intermediario tra l'evento sacro e il fedele​[2]​. La sua presenza è
stata interpretata anche come simbolo delle tribolazioni dell'ordine francescano
secondo le dottrine apocalittiche di ​Pietro Olivi e ​Gioacchino da Fiore​, come a
dire che far soffrire Francesco e i suoi seguaci è come crocifiggere il Cristo una
seconda volta​[1]​.

Alcuni spiegano così la doppia presenza della Crocifissione nella basilica


superiore​[3]​.
La questione di Longino​L'uomo che riconosce Cristo, col capo velato (quindi
ebreo) impugna il bastone del comando ed ha già il nimbo di santo: difficile è
capire se è per Cimabue ​san Longino​, oppure se il fiorentino tenga distaccate le
figure del centurione illuminato (per quanto ebreo) e di colui che trafisse Gesù
con la lancia; dopotutto la raffigurazione esplicita del soldato con la lancia nella
Crocifissione del transetto destro è priva di nimbo. Un uomo con la lancia
compare però dietro di lui, e gli fa eco tenendo una posizione analoga col
braccio disteso: è forse lui Longino o è un inserviente? Le altre due figure ai lati
l'uomo con l'aureola, in un elegante contrapposto simmetrico, inoltre impugnano
scudo e lancia: sembra che Cimabue abbia voluto disarmare quella figura per
sottolinearne agiograficamente la virtù senza impacci guerreschi​[4]​. Secondo
Chiara Frugoni l'uomo in primo piano è ​san Longino (che non è infrequente
trovare rappresentato ora come ebreo ora come romano), mentre l'uomo che gli
fa eco è un altro ebreo che illustra il passo del Vangelo di Luca, in cui si
descrive il pentimento di una parte degli Ebrei​[5]​.

In ogni caso, ammettere un santo tra i giudei che furono responsabili della
crocifissione di Cristo (secondo la tradizione antigiudaica da san Giovanni in
poi) rappresenta un'apertura verso il mondo giudaico fino ad allora senza
precedenti, spiegabile forse con l'opera di redenzione ed evangelizzazione
universale portata avanti dai Francescani​[6]​. ​Duccio di Buoninsegna ad esempio,
nella ​Crocifissione della ​Maestà del Duomo di Siena​, copiò la figura del
riconoscitore di Cristo da Cimabue, ma ne omise il nimbo, facendolo
ripriombare nell'anonimato della folla tumultuante​[6]​. A tale ipotesi di
accoglienza francescana può legarsi anche scelta di includere la preminenza
della figura della Maddalena, la prostituta pentita​[5]​. Il messaggio di Cristo
sembra così dare i suoi primi frutti già appena dopo la Crocifissione, con le
prime conversioni spontanee, allargandosi poi idealmente nell'espansione della
comunità credente attuata tramite gli Evangelisti, poi tramite la Chiesa e infine
arrivando a Francesco, il "nuovo evangelista"​[7]​, raffigurato ai piedi della
croce​[8]​.
Appare quindi un messaggio di speranza, che può riscattare anche chi ha errato,
invece di condannarlo insindacabilmente​[9]​.

Nella ​Crocifissione​ della Chiesa superiore di San Francesco ad Assisi


(transetto sinistro) incalza il drammatico il Cristo agonizzante. Gli angeli gli
roteano nelle immediate vicinanze, sopra gli astanti collocati in basso ai lati
della scena centrale in due tristi raggruppamenti: in quello con la Maddalena
a braccia levate verso il Cristo morente, vi regna la calma, mentre nell’altro si
respira un’atmosfera agitata. I gesti straziati dei presenti portano a far
convergere le linee del disegno verso il crocifisso. Qui la drammaticità della
rappresentazione raggiunge il patetico e viene considerata come punto di
arrivo del Cimabue, con gli energici ed aspri tratti del disegno associati al
chiaroscurale con grandi effetti di contrasto uniti ad una altrettanto concreta
plasticità.

Crocifissione del transetto destro

La ​Crocifissione del transetto destro​ è un affresco (circa 350x300 cm) di


Cimabue​ e aiuti, databile attorno al ​1277​-​1283​ circa e conservato nella ​basilica
superiore di San Francesco​ di ​Assisi​. La scena è accoppiata simmetricamente
alla ​Crocifissione del transetto sinistro​, dall'altro lato​.
La datazione degli affreschi di Cimabue è piuttosto discorde, sebbene negli
studi più recenti si sia assestata a un periodo tra il ​1277​, anno dell'elezione al
soglio pontificio di ​Niccolò III​ e il ​1283​ circa. La zona del transetto sinistro è
decorata dalle ​Storie apocalittiche.​
Gli affreschi di Cimabue sono in generale in condizioni mediocri o pessime.
Non fa eccezione questa Crocifissione, che oggi si presenta con la zona inferiore
quasi del tutto scomparsa e con i colori spesso invertiti in negativo, per
l'ossidazione della ​biacca​ dei colori chiari, diventati oggi scuri. Analogamente
all'altra crocifissione, Cristo si erge sulla croce al centro del dipinto, inarcato
verso sinistra, con il perizoma che anche in questo caso vola verso destra con
una lunga coda. La metà superiore, celeste, è affollata d'angeli che manifestano
tutto il loro dolore, volando in cerchio attorno al braccio breve della croce,
coprendosi il viso piangente, alzando le mani al cielo, e raccogliendo
pietosamente il sangue di Gesù con delle ciotole. Cristo appare qui giù morto o
nell'ultimo sussulto, con la testa ormai reclinata sulla spalla, lo sguardo rude e
amaro.
Nella metà inferiore, terrestre, si ripete la triangolazione delle figure attorno alla
croce, ma è più statica dell'altra scena. I lati sono costituiti dai due soldati che lo
stanno per trafiggere con la lancia (​Longino​) e che gli offrono la spugna
imbevuta di aceto ("​Stefanon​").
A sinistra, al vertice di una piramide di astanti, la scena dello svenimento di
Maria, sorretta dalle ​pie donne​ (o da un illeggibile ​Giovanni​), che non può
resistere alla visione del dispezzo mostrato verso il figlio morto o moribondo; a
destra altri astanti, tra cui un uomo che leva un braccio verso Cristo: egli è la
figura che secondo Matteo esclamò: "​vere iste Filius Dei erat​" ("veramente
costui era Figlio di Dio", Mt 27, 54).

Maestà di Assisi
Sull’opera: “​Madonna con il Bambino in trono, quattro angeli e San
Francesco​” è un affresco di Cimabue, realizzato nel 1278-80, misura 340 x
320 cm. ed è custodito nella chiesa Inferiore di San Francesco (transetto
destro), ad Assisi.

Descrizione​[

Situata nel ​transetto destro della basilica inferiore​, mostra la Madonna col
Bambino in ​Maestà​, cioè su un trono, tra quattro angeli e con una
rappresentazione di ​san Francesco​ in piedi a destra.
Il trono ligneo di Maria, elegantemente intagliato e un tempo abbellito da
dorature, è disposto in tralice come nella ​Maestà del Louvre,​ non ancora in
scorcio centrale come nella ​Maestà di Santa Trinita​. Sulla spalliera si trova una
cortina ricamata. Maria tiene il Bambino sulle ginocchia con una sciolta
posizione asimmetrica, poggiando il piede destro su un gradino basso e quello
sinistro più in alto, anche per facilitare la tenuta del figlio che siede su quel lato.
Gesù, dal volto evidentemente ridipinto (come quello di Maria), tende una mano
a afferra con naturalezza un lembo della veste della madre, mentre Maria, dalle
dita lunghe e affusolate, gli accarezza un piedino. La forma delle mani è in
special modo tipica dell'artista e della sua cerchia, come si vede in opere come
la ​Madonna di Castelfiorentino.​ Alle ridipinture vanno ascritti anche i panneggi.

Gli angeli, sorridenti e rivolti allo spettatore, si dispongono attorno al trono


accarezzandolo con eleganza e inclinando ritmicamente le teste, ora e destra, ora
a sinistra, ispirata a opere romane come la ​Maestà​ di ​Santa Maria Antiqua​ (V
secolo) o quella ​Theotokòs​ di ​Santa Maria in Trastevere​ (fine del VII secolo).
Essi sono scalati su due file: se la diversa profondità è ben suggerita dalla loro
fisica presenza esaltata dalla platicità dei loro volumi, non chiarito è invece il
punto di appoggio su cui stanno, facendo ipotizzare per gli ultimi due un
gradino invisibile o una soprannaturale levitazione. Tra gli angeli spicca
soprattutto il volto di quello in basso a destra, con le ali finemente sfumate come
si riscontra anche negli angeli tra le logge della ​basilica superiore​. Ha un volto
enigmaticamente atteggiato, quasi accennante un sorriso, percorso da profonde
ombre che danno rotondità.
Il ​San Francesco​ è simile a quello ritratto in ​una tavola​ conservata nel ​Museo di
Santa Maria degli Angeli​. Si tratta di una delle più antiche rappresentazioni del
santo, anche se le ridipintura successiva impedisce di trarne conclusioni sulla
reale fisionomia. È scalzo, indossa il saio, e ha un aspetto giovanile, con una
corta barba e con la ​chierica​. Fissando il fedele, mostra con evidenza i segni
delle ​stimmate​ sulle mani e sui piedi, nonché sul costato grazie a uno squarcio
all'altezza del petto. Egli aveva originariamente orecchie molto grandi, attenuate
dalle ridipinture successive, a cui si devono anche i numerosi ritocchi scuri. Al
petto tiene un libro.
I due gruppi figurativi si esaltano pacatamente nel contrasto della loro diversità:
così elegante e fastosa la ​Maestà,​ così sobrio e remissivo il santo. Tutta la
composizione poggia su un prato verde, oggi assai annerito per l'ossidazione del
color

Stile

L'analisi recente, accurata e rigorosa di ​Luciano Bellosi​ (2004) ha permesso di


stabilire che la Maestà ha anticipato gli ​affreschi della Basilica superiore di San
Francesco d'Assisi​ e seguito i ​mosaici del battistero di Firenze​ ed opere come il
​ aestà del Louvre​, databili al ​1280​ circa. Questi i
crocifisso di Santa Croce​ o la M
principali indizi che permettono di pre-datare la Maestà rispetto agli altri
affreschi di Assisi​[1]​:

● Le ​aureole​ non sono in rilievo e raggiate, come quelle più innovative


presenti nella basilica superiore ed adottate da tutti gli artisti in seguito
nei cicli di affreschi.
● La scena della ​Vergine seduta sul trono celeste insieme a Gesù Cristo
della basilica superiore riporta una raffigurazione frontale del trono,
con entrambi i fianchi aperti come le pagine di un libro. Una tale
rappresentazione del trono sarà usata da Cimabue solo nella tarda
Madonna di Santa Trinita​ (​1290​-​1300​ circa) e dagli allievi come
Duccio di Buoninsegna​ dopo il ​1290​, mentre la ​Maestà del Louvre
(​1280​ circa) e la ​Madonna di Bologna​ (​1281​-​1285​ circa) riportano un
trono in tralice.
Questi i principali indizi che permettono di post-datare la Maestà rispetto alle
opere del 1280 circa​[1]​:
● La narice nelle teste piegate a “tre quarti” non è più un semplice
ispessimento del bordo del naso come nelle opere di Cimabue del
1280​. Tutti gli affreschi assisiati, compresa la Maestà in questione,
riportano una sorta di incisione entro il naso, come nella ​Madonna di
​ osaico absidale del duomo pisano​, che sono le
Santa Trinita​ e nel m
opere più tarde a noi giunte di Cimabue.
● Le pieghe del manto della vergine sopra la testa cadono verticalmente
come nella ​Maestà di Santa Trinita​ e non sono disposte secondo
semicerchi concentrici come nella ​Maestà del Louvre​ (​1280​ circa),
nella ​Madonna di Bologna​ (​1281​-​1285​ circa) e nella madonna dolente
del ​crocifisso di Santa Croce​.
● Le pieghe del Manto della Vergine sono più sciolte ed hanno perso
l'attillatura e i sottosquadri della ​Maestà del Louvre​ (​1280​ circa) e
della ​Madonna di Bologna​ (​1281​-​1285​ circa).
● Il volto della Vergine e degli angeli hanno perso la seriosità della
Maestà del Louvre​ ed appaiono più distesi e sereni, quasi sorridenti,
come nella ​Maestà di Santa Trinita​.
● Gli angeli sono alternativamente rappresentati con i volti a destra e
sinistra, una rappresentazione che ricorda la ​Maestà di Santa Trinita​,
ma non ​quella del Louvre​.

I quattro evangelisti (Assisi) di Cimabue

La ​Volta dei quattro Evangelisti​ ​è un affresco (circa 900x900 cm) di ​Cimabue​,


databile attorno al ​1277​-​1283​ circa e conservata nella b​ asilica superiore di San
Francesco​ di ​Assisi​. Si tratta della volta al centro del presbiterio.
Sull’opera: “I quattro evangelisti” è una serie di affreschi autografi di
Cimabue, realizzata nel 1280-83, misura 450 x 900. cm. per ogni singola
raffigurazione, e si trova sulla volta centrale del transetto nella Chiesa
superiore di San Francesco ad Assisi.

Descrizione e stile

La volta degli Evangelisti è il nodo dell'intera decorazione della basilica, poiché


da ciascun Vangelo si dipana idealmente la rappresentazione delle varie scene
del transetto, dell'abside e della navata. Ogni vela è occupata da uno degli
evangelisti, rappresentati secondo uno schema fisso, in cui ciascuno è in atto di
scrivere, ispirato da un ​angelo​ che piove dall'alto. Il loro scranni occupano la
metà sinistra di ciascuna vela, mentre quella destra è decorata da una veduta
della regione evangelizzata: ​Matteo​, la ​Giudea​ (​Iudea)​ ; ​Giovanni​, l'​Asia​; ​Luca​,
la ​Grecia​ (​Ipnacchaia,​ cioè l'​Acaia​); ​Marco​, l'​Italia​ (​Ytalia​). Sia gli evangelisti
che le regioni geografiche sono identificate da scritte a chiare lettere. Le regioni
sono rappresentate da una sintetica rappresentazione architettonica delle loro
città principali, rispettivamente ​Gerusalemme​, ​Efeso​, ​Corinto​ e ​Roma​. Le città
possono essere anche considerate come una notazione spaziale precisa, legata al
luogo in cui ciascun Vangelo fu scritto, ed alludono inoltre alla dimensione
universale del messaggio cristiano in generale e francescano in particolare.
Lo sfondo delle vele era un tempo oro, oggi in larga parte perduto rendendo
visibile la preparazione bianca sottostante.
I modi bizantini delle figure, di grande eleganza ma ormai arrivati al capolinea
di uno sterile intellettualismo, sono qui aggiornati alla ricerca di forme più
piene, con un evidente mutamento d'indirizzo ispirato alle opere romaniche,
all'arte classica e al neoellenismo di alcune correnti bizantine più originali.
I buchi che forano qua e là la superficie furono anticamente usati per appendere
lucernar​i.

A ​San Matteo​ viene abbinata la Giudea, a ​San Giovanni ​l’Asia, a ​S. Marco
l’Italia e ​San Luca​ la Grecia: gli evangelisti vengono rappresentati, secondo
la tradizione, con le regioni da essi stessi evangelizzate.
Le opere – eccetto il ​S. Matteo che andò in frantumi con il terremoto del
1997 ma che poi fu ricomposto in maniera certosina – si trovano in un
discreto stato di conservazione, soprattutto per ciò che concerne il valore
chiaroscurale, che qui conserva in parte il rapporto ritmico originale.

Secondo gli esperti si tratta certamente del primo ciclo pittorico dopo le
“storie” mariane, cui il Cimabue dava mano con articolata bellezza, e quello
ove egli ostenta – ancor più apertamente – il suo caratteristico linguaggio
pittorico e la sua più vasta vena poetica, che qui prende toni piuttosto irruenti
ma, allo stesso tempo, rigorosi.

Il lavoro affidato all’artista in questa sezione della Chiesa Superiore generò


un caso assai clamoroso in un periodo piuttosto critico, sicuramente con il
pieno accordo delle gerarchie commissionarie che, nell’affidargli l’altissimo
compito, sapevano con certezza quale fosse il calibro e la natura di Cimabue.
Unico e grande problema da superare era il fragile rapporto tra Assisi e Roma
in quel delicatissimo e particolare momento, derivato da alcuni avvenimenti
politici che l’avevano fortemente messo a dura prova. Soltanto la statura
artistica di Cimabue poteva indurre Roma ad un’eccezionale apertura.

L’artista lanciava dalla Chiesa di S. Francesco la propria dottrina, dando


plasticità e consistenza alle forme, razionalizzando in modo evidente i
costrutti, conferendo a tutti i personaggi – compresi dannati – forti credibilità.

Dal lato più specificamente politico-contingente, l’artista metteva in atto le


sue ben chiare idee creando forti polemiche: è nelle vele per l’appunto, che
egli iniziava una dura requisitoria contro il più alto idolo esistente, contro
cioè la corte romana di papa Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini: Roma,
1216 circa – Soriano nel Cimino, 1280; papa dal 1277 alla morte). Tale
invettiva raggiungeva poi il culmine nel successivo ciclo apocalittico.

San Giovanni Evangelista (Duomo di Pisa) di


Cimabue

Sull’opera: “​San Giovanni Evangelist​a” è un particolare autografo di


Cimabue appartenente al grande mosaico “Cristo in trono fra la Vergine e san
Giovanni”, realizzato intorno al 1301-2. L’intera composizione si trova nel
catino absidale del Duomo di Pisa.

Quello in esame è soltanto un particolare del grande mosaico del “Cristo in


trono fra la Vergine e san Giovanni” raffigurato nel catino absidale del
Duomo di Pisa.

Trattasi dell’unica opera documentata di Cimabue (fonte: Trenta, “I musaici


del duomo di Pisa e i loro autori”, ed. nel 1396), per la quale furono emesse
rimunerazioni a partire dal 2 settembre 1301 fino al 19 febbraio dell’anno
successivo, e che succedette nella realizzazione della grande opera musiva a
un maestro Francesco con il compito di inserire altre immagini accanto alla
Maestà: “pro operando ipsum ad illas figuras que noviter fìunt circa
Magiestatem inceptam in majori Ecclesie S. Marie”.

L’intera composizione venne portata a termine intorno al 1321 (certamente


prima e non dopo tale data) dal giovanissimo Vincino di Vanni da Pistoia
(1299-1321?/1330?).

Benché il mosaico fosse stato ripetute volte sottoposto a restauri – se ne


contano quattro in tempi remoti – che ne hanno certamente alterato, anche se
solo in parte, l’aspetto originale, una delle figure che parrebbe la meno
snaturata è proprio quella in esame, unanimemente assegnata a Cimabue per
due evidentissimi motivi: conserva il suo caratteristico linguaggio e viene
indicata come sua opera in un documento datato 19 febbraio 1302 (“de
summa libr decem quas dictus habere debebat de figura S. Johannis quas tecit
juxta Magiestatem”).

Cristo in trono tra la Vergine e san Giovanni è il mosaico (385x223 cm) del
catino absidale del ​Duomo di Pisa​. Si tratta dell'unica opera documentata di
Cimabue​, che vi lavorò dal ​1301​, prima di morire l'anno successivo; lo
seguirono ​Francesco da Pisa e ​Vincino da Pistoia​, che lo completarono nel
1320​.

Descrizione e stile

Cristo sta assiso su un trono con un grande cuscino cilindrico, mentre benedice
e tiene aperto sulle ginocchia un libro su cui si legge "​Ego sum Lux Mundi"​ ("Io
sono la luce del mondo"). La rigida frontalità ieratica del volto è contrapposta
alle complesse pieghettature del mantello azzurro che gli copre le gambe,
ravvivata dall'​agemina​, priva di schematismi che appiattiscono, ma anzi dalla
notevole resa volumetrica. L'orlo della veste rossa sottostante invece è più
piatto, e blocca il movimento e lo spessore del drappo soprastante. Anche qui
corre un'iscrizione. Il trono, a prospettiva inversa, mostra i bordi come se fosse
di forma trapezoidale, decorati da drappeggi sgargianti. Qui poggiano due
leoncini e due dragoni accovacciati. Un serpente e un ​basilisco si trovano invece
schiacciati sotto i piedi nudi di Cristo.
Ai lati si trovano la Vergine, con l'aureola gemmata e con la mano sinistra
sollevata e girata verso lo spettatore quasi a richiamare la sua attenzione, e san
Giovanni, che regge il libro e inclina dolcemente la testa, anche per assecondare
l'andamento dell'arcone. Questa figura è l'unica ritenuta interamente autografa di
Cimabue, Essendo l'unica opera documentata di Cimabue, la critica ha
ricostruito l'intero corpus delle opere dell'artista a partire da questo mosaico.
Abbastanza statico, è considerata da una parte della critica: una figura "fiacca e
stanca"​[1]​, mentre un'altra parte parte vi legge influssi classicisti della ​scuola
romana​, esaltandone la grazia (Supino, Chiappelli, ​Salmi​, Battisti, Bologna.
Altri ancora vi vedono una figura malinconica ma senza imbronciature​[2]​.
La figura del san Giovanni ha un'ampia dilatazione, una capigliatura gonfia,
un'aria malinconica quasi accennante al sorriso, regge il libro con entrambe le
mani, ha le dita massicce, il naso dritto, tutte caratteristiche che ritroviamo nel
Cimabue maturo, dagli ​affreschi di Assisi (1288-1292 circa) in poi e, in primis,
nella ​Maestà di Santa Trinita​ (1290-1300 circa).
In generale il mosaico intero evoca i mosaici delle chiese bizantine e normanne,
come ​Cefalù e ​Monreale in ​Sicilia​, con una certa ampiezza nei panneggi
(sebbene discontinua), derivata dall'esempio dell'arte classica, mentre ancora
bizantine sono le schematizzazioni geometriche dei volti, delle mani e dei piedi,
con influssi neoellenici (cioè delle tendenze ultime nell'arte bizantina orientale)
nella delicatezza espressiva.

Mosaici del battistero di Firenze


I ​mosaici del ​battistero di Firenze ricoprono la cupola interna e la volta
dell'abside dell'edificio e rappresentano uno dei più importanti cicli musivi del
medioevo italiano. Creati a partire dal ​1225​, vennero completati verso il ​1330​,
​ imabue​, ​Coppo di
utilizzando i cartoni di grandi pittori fiorentini, tra i quali C
Marcovaldo​, ​Meliore e il ​Maestro della Maddalena​, ad opera di mosaicisti
probabilmente veneziani.

La decorazione musiva ebbe inizio nell'abside, ad opera del frate francescano


Jacopo, che ​Vasari​ confuse poi con ​Jacopo Torriti​. Un'iscrizione distribuita nei
quattro peducci ricorda la data di inizio dei lavori​[1]​.
Il rivestimento a mosaico della cupola fu impresa difficile e dispendiosa. Nel
1271​ l'​Arte di Calimala​, responsabile dell'abbellimento e manutenzione del
Battistero, siglò un accordo con i canonici per l'inizio della decorazione della
cupola, anche se oggi si ritiene che la porzione più vicina alla lanterna fosse già
stata avviata nel ​1228​ dallo stesso Jacopo, subito dopo aver terminato la
scarsella. I lavori si protrassero fino all'inizio del nuovo secolo, entro il ​1330​,
come riporta in un passo ​Giovanni Villani​. Secondo Vasari la parte più antica
dei mosaici è da riferire ad ​Andrea Tafi​, figura semileggendaria, che avrebbe
eseguito le gerarchie angeliche e il Pantocratore aiutato dal greco Apollonio,
incontrato a Venezia. Il resto sarebbe stato eseguito da ​Gaddo Gaddi​.
Nell'impossibilità di verificare le affermazioni vasariane, si è comunque
registrato come le zone più antiche siano anche quelle più simili ai mosaici di
Venezia (​San Marco​ e ​Torcello​), nonché a quelli di ​San Paolo fuori le Mura​ a
Roma​ (dove lavorarono infatti maestranze veneziane, chiamate nel ​1218​ da
​ .
papa Onorio III​)[2]​
Oggi la critica è orientata soprattutto sui nomi di vari artisti toscani,
ammettendo però nella realizzazione materiale l'intervento di maestranze venete
o, tutt'al più, orientali. Sulla base di analogie stilistiche con opere pittoriche,
sono stati tirati in ballo i nomi dei migliori maestri del Duecento e dei loro
collaboratori, fino a Giotto e i protogiotteschi, come il cosiddetto Ultimo
Maestro del Battistero, evidenziato da ​Roberto Longhi​[2]​.
I restauri si susseguirono praticamente senza sosta dalla fine del Trecento in poi.
Sono ricordati quelli del ​1402​, del ​1481​ e del ​1483​-​1499​, questi ultimi
sovrintesi da ​Alesso Baldovinetti​ nominato appositamente restauratore ufficiale
della decorazione musiva; di nuovo altri lavori nel ​1781​-​1782​ (ripulitura
generale), nel ​1821​-​1823​ (per far fronte a una grave danno nella zona delle
Storie di Noè​) e nel ​1898​-​1907​ (vasti reintegri)​[2]​.
La cupola​[​modifica​ | ​modifica wikitesto​]

Schema della disposizione delle scene sui mosaici della cupola

Presenta otto spicchi ed è rivestita da mosaico su fondo dorato. Su una fascia


superiore sono raffigurate le ​gerarchie angeliche​ (2 nello schema) Su tre degli
spicchi (1 nello schema) è raffigurato il Giudizio Universale, dominato dalla
grande figura del Cristo: sotto i suoi piedi avviene la resurrezione dei morti, alla
sua destra i giusti sono accolti in cielo dai patriarchi biblici, mentre alla sua
sinistra si trova l'inferno con i suoi diavoli.
Gli altri cinque spicchi sono suddivisi in altri quattro registri orizzontali, dove
sono raffigurate a partire dall'alto: storie della Genesi (3), storie di ​Giuseppe​ (4),
storie di Maria e di Cristo (5) e storie di san Giovanni Battista (6).
Furono impiegate, secondo alcuni, maestranze veneziane, coadiuvate
sicuramente da importanti artisti locali che fornirono i cartoni, come ​Coppo di
Marcovaldo​, autore dell'​Inferno,​ ​Meliore​ per alcune parti del ​Paradiso​, il
Maestro della Maddalena​ e ​Cimabue​, cui sono attribuite le prime ​storie del
Battista.​
Gerarchie angeliche​[modifica | modifica wikitesto​]

Gerarchie angeliche

La parte più vicina alla cupola mostra una serie di cornici con vivaci
decorazioni fitomorfe, alle quali segue una fascia con girali e rappresentazioni
figurate ritmate che somigliano a quelle della ruota nell'abside: una sorta di vaso
composto da elementi vegetali di fantasia corrisponde a ogni spigolo (allineati
nei registri più bassi si trovano le colonnine), dal quale escono due racemi che
creano grandi volute e un tralcio centrale. Dove si uniscono le volute
simmetriche e sopra agli elementi centrali si trovano testine entro clipei; sotto le
volute si trovano fontane elaborate alle quali si abbeverano copie di animali
derivate dalla simbologia paleocristiana: i cervi, i pavoni, gli arieti, gli aironi e
altri. Sotto questa fascia corre una cornice in cui si riconosce il motivo della
conchiglia.
L'anello successivo è occupato dalla rappresentazione, secondo lo
Pseudo-Dionigi​, delle ​gerarchie angeliche​, la cui identificazione è aiutata dalle
didascalie: al centro Cristo benedicente, col libro aperto in mano, è affiancato da
serafini​ (rossi) e ​cherubini​ (blu), i più prossimi a lui e gli unici con tre paia di
ali, ai quali seguono alternativamente a sinistra e a destra, separate da colonnine,
due coppie dei vari tipi di angeli, tutte identiche tranne quelle in asse con Gesù
che sono speculari:
● I ​Troni​ (da ora in poi a due ali), incaricati di trasportare con in
paradiso il trono di Dio e raffigurati con ​mandorle​ luminose nelle
mani, che secondo la convenzione bizantina simboleggiano proprio il
trono divino
● Le ​Dominazioni,​ da cui dipende l'ordine universale, rappresentate con
un lungo scettro sormontato dal trifoglio, simbolo della ​Trinità
● Le ​Virtù​, che dispensano la grazia divina, infatti sono accanto a piccoli
uomini indemoniati che, seduti su blocchi, a esse si rivolgono
guardando in alto e stendendo le braccia, ricevendone la messa in fuga
dei diavoli che escono dalle loro bocche
● Le ​Podestà,​ che indossano corazze ed elmi crestati, incaricate di
sorvegliare la distribuzione dei poteri all'umanità
● I ​Principati,​ che vigilano sulle nazioni e stringono un vessillo crociato
● Gli ​Arcangeli,​ i grandi consiglieri inviati dal cielo, sono elegantemente
vestiti e recano cartigli, simboleggianti il messaggio divino.
● Gli ​Angeli,​ che sono i più vicini agli uomini e si prendono cura delle
loro preoccupazioni​[3]
L'autore del primo registro, secondo ​Toesca​, è lo stesso fra' Jacopo che lavorò
alla scarsella, coadiuvato da maestranze venete​[2]​. Le gerarchie celesti
spetterebbero invece, secondo la tradizione, ad ​Andrea Tafi​ e Apollonio, mentre
Ragghianti assegnò il Cristo al disegno di ​Coppo di Marcovaldo​ e le Potenze al
Maestro della Maddalena​[2]​.

Giudizio universale​[​modifica​ | ​modifica wikitesto​]


Cristo giudice

I tre spicchi sopra l'altare sono occupati dalla scena del ​Giudizio Universale​.
Quello centrale è occupato quasi per intero dalla grande figure del​ ​Cristo
Giudice​, che domina l'intera cupola da sopra l'altare. È seduto sui ​cerchi del
Paradiso​ e distende le mani, una rivolta all'alto, una al basso, a dirigere la
separazione tra giusti e dannati, mostrando con evidenza i segni della
crocifissione. La posizione delle gambe in tralice e la posa sfasata dei grandi
piedi evitando un effetto di rigida frontalità, grazie anche alla complessa
pieghettature della veste, resa straordinariamente dalle lumeggiature di tessere
dorate. Nell'aureola, col tipico motivo cruciforme, sono inseriti smalti simili a
specchietti, che compaiono anche nella decorazione del bordo della ​mandorla​.
Ai suoi lati, organizzati su tre registri paralleli, si trovano in alto due schiere
angeliche quasi simmetriche, che portano i simboli della Passione e il necessario
per i giudizio, mentre due suonano le trombe dell'Apocalisse che sveglia, ai
piedi di Cristo, i mortali dai sepolcro.
Nel secondo registro si trovano due lunghi scranni addobbati come troni, su cui
sono seduti la Madonna (a destra di Cristo, con le mani levate), Giovanni
Battista (a sinistra, con un rotolo in mano) e i dodici Apostoli, ciascuno reggente
un libro aperto scritto coi più disparati alfabeti a ricordare la loro opera di
evangelizzazione del mondo dopo la ​discesa dello Spirito Santo​. Tra i santi si
trovano teste d'angelo, affacciati da dietro gli schienali, ritmate gradevolmente
ora inclinandole verso destra ora verso sinistra. Ragghianti (1957) assegnò
queste scene a ​Meliore​, in particolare confrontando san Pietro con il ​Dossale del
Redentore​ agli ​Uffizi​.
Il registro inferiore mostra le rappresentazioni del Paradiso, a destra, e
dell'Inferno a sinistra. Le anime risorte sono subito prese da angeli o diavoli. Gli
Eletti sono sospinti verso un gruppo che, riconoscente a Dio, è accompagnato da
un grande angelo che tiene un cartiglio ("Venite Beneditti Patris Mei / Ossidete
Preparatum")​[4]​ verso la ​Gerusalemme celeste​. Qui un altro angelo, dalla veste
gemmata, apre la porta a un piccolo uomo trascinandolo per la mano; nella città
tre grandi patriarchi seduti tengono le animelle in grembo. Nella città celeste
crescono straordinarie piante variopinte e il terreno, simboleggiato da una
fascia, è un verde praticello punteggiato da fiorellini. Tra gli eletti, in prima fila,
si riconoscono un re e un frate domenicano, seguiti da tre vergini, alcuni
vescovi, e in fondo, un monaco con la ​chierica​.
Orrendi diavoli con ali nere di pipistrello spingono invece i dannati verso destra
(sinistra di Cristo), dove essi si accalcano l'uno sull'altro calpestandosi,
tappandosi gli occhi e la bocca per il disgusto. La rappresentazione dell'Inferno
è dominata dal grande ​Satana​ cornuto, su un trono infiammato, che sgranocchia
un uomo mentre dalle orecchie gli escono due serpenti che addentano altrettanti
dannati. Mostri a forma di serpente, di rana o di lucertola escono dal suo corpo e
infieriscono sui dannati, che il diavolo calpesta. Gli animali che divorano i
dannati sono utilizzati per accentuare la natura insaziabile di Satana. Satana
viene spesso rappresentato nell'atto di inghiottire i dannati in quanto il motivo
infernale della "bocca divorante" riflette un'antica concezione della divinità
come principio creatore e distruttore. Le orecchie asinine sottolineano la natura
ferina e malvagia del demonio e sono l'attributo di ​Lucifero​ e dell'​Anticristo​. Le
corna derivano dalla rappresentazione del dio ​celtico​ ​Cernunnos​ e sono il
simbolo della sconfitta del paganesimo operata dalla Chiesa.​[5]
I dannati sono gettati in voragini dai numerosi diavoli, impiccati, mutilati, arsi
allo spiedo, sbattuti o obbligati a bere oro fuso; un gruppo di dannate è avvolto
dalle fiamme. La scena infernale è attribuita concordemente a ​Coppo di
Marcovaldo​, con alcune zone di minore irruenza assegnate da alcuni ad altri​[2]​.

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