Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Questo volume raccoglie una serie di miei articoli pubblicati negli ultimi due anni su riviste cartacee e telematiche.
Si tratta in prevalenza di contributi alla conoscenza della pittura napoletana del Seicento e del Settecento, ma non trascurata la grafica e soprattutto linvito a scoprire, in egual misura, vecchie chiese
e nuovi musei, come nel caso della Cattedrale di Pozzuoli o della chiesa della Consolazione a Villanova, o del nuovo museo etrusco del Denza e di Palazzo Caracciolo di San Teodoro.
Un articolo dedicato alla scultura lignea, un argomento trascurato dagli studiosi e che viceversa
merita di essere conosciuto.
Per abbattere i costi di stampa e di conseguenza di vendita del libro, esso esce con le numerose
foto in bianco e nero, per ogni capitolo indica il link di collegamento per poter ammirare sul computer le immagini a colori.
Inoltre lautore si impegna a fornire gratuitamente a chi lo desidera e la facolt di pubblicarle, citando la fonte, le riproduzioni ad alta definizione delle foto; basta richiederle a a.dellaragione@tin.it
Non mi resta che auguravi buona lettura.
Achille della Ragione
Napoli 3 febbraio 2016
Il Seicento secolo di sfrenate passioni, che trovano spesso nel seno un emozionante baricentro,
catalizzatore di emozioni le pi diverse dallodio allamore, dal premio al castigo.
Napoli un centro figurativo di grande respiro e la pittura pi importante si svolge a Bologna, a
Roma ed allombra del Vesuvio, dove una committenza laico borghese, dai gusti raffinati, si affianca
alla Chiesa e richiede per la gioia degli occhi e per adornare interminabili saloni, natura morta, paesaggi, scene di battaglia e se pure deve fare capolino
un soggetto devozionale o unimmagine di santa, che
sia bella, giovane ed ampiamente scollata e se deve
raggiungere lestasi, che questo stato divino sia simile
alle vette dellorgasmo.
Stanzione fu assieme ad Artemisia Gentileschi il
campione riconosciuto di questa pittura dolce ed ammaliante e tra i suoi allievi molti si distinsero con composizioni di alto livello, che facevano la felicit visiva
di nobili e ricchi borghesi. Tra questi ricordiamo in
particolare Bernardo Cavallino, Andrea Vaccaro e Pacecco de Rosa. Nel 1607 Caravaggio, giunto da poco
a Napoli, dove in pochi mesi rivoluzioner le arti figurative, ritorna sullepisodio di Cimone e Pero, che incastra in quello spettacolare squarcio dal vero costituito dalla pala daltare per la chiesa del Pio Monte della
Misericordia (fig. 1).
Sul lato destro della composizione una giovane
puerpera offre allanziano genitore il seno per sfamarlo, raffigurando ad un tempo due opere di misericordia: visitare i carcerati e dar da mangiare agli affamati.
La modella presa dai vicoli napoletani ed esercita il
pi antico mestiere del mondo, ma il seno caritatevole,
rigoglioso di salute, che con slancio ed amore filiale
offre al padre, pregno di amore pi che di nutrimento; da esso sgorga un latte dolcissimo, che oltre al corpo panacea per lo spirito. un seno salvifico, universo simbolico per eccellenza dove lerotismo si unisce al nutrimento e dove lamore e la vita riescono a
vincere leterna battaglia contro lodio e la morte.
Fig. 1
La lezione caravaggesca di crudo realismo fu ripresa da molti seguaci e tra questi va annoverato Jusepe Ribera, spagnolo di nascita, ma a tutti gli effetti napoletano doc, perch, giunto giovanissimo in
citt, vi rimase per otre 40 anni fino alla morte nel 1652. Lartista amava raffigurare la caducit della
carne, a tal punto che Byron afferm che amasse intingere il pennello nel sangue dei martiri. Nella
2
gorante esaltazione delle sue nudit, delle sue forme procaci e provocanti, che avevano fatto perdere
la testa ai potenti della terra, con la mano complice che sembra voler accarezzare laspide, prima che
le imprima il morso mortale sul capezzolo. Sembrano voler sfidare nella loro soda e prorompente vitalit linsulto della morte. Cleopatra si appresta a morire con il volto voluttuoso e le labbra appena
dischiuse, quasi in estasi e sembra godere della sua fine come una santa che, attraverso la morte,
certa di raggiungere la felicit e la pace dei sensi.
I seni partoriti dal fertile pennello di Artemisia, di un incarnato alabastrino, sono carichi di energia, sia che appartengano a Lucrezia che vi infigge vigorosa il pugnale o siano di Betsabea, che li cura
e li profuma in interminabili toelette, o della Maddalena che arde di macerarli nella penitenza, o di
Ester, di Galatea, di Corisca, di Clio o di tante altre eroine senza paura, pronte ad offrire in olocausto
il bene pi prezioso di una donna.
La fuga nel monastero durante la peste e lamicizia coi geni del suo tempo
Scartabellando tra antiche carte ingiallite ho scovato una pagina di un quotidiano napoletano nella
quale avevo recensito la mostra su Micco Spadaro (fig. 1) tenutasi nel 2002 alla Certosa di San Martino. Ho ritenuto che, tolto lincipit, riguardante le opere esposte nella rassegna, si possa trattare di
materiale interessante per meglio inquadrare questo pittore ancora poco noto, ma impareggiabile descrittore di cronaca cittadina, per cui la trascrivo per i lettori.
In un panorama ricco di personalit di rilievo internazionale, dal Caravaggio a Luca Giordano,
dal Ribera a Solimena, quale quello rappresentato dal Seicento napoletano, la figura di Domenico
Gargiulo non assurge certo al ruolo di protagonista assoluto, ma il suo percorso artistico quanto mai interessante abbracciando pi filoni iconografici, in alcuni
dei quali da considerare pi che un innovatore un vero e proprio caposcuola, la cui attivit trover epigoni
ed imitatori ben oltre i limiti temporali del XVII secolo, come nel caso delle scene di martirio (fig. 2) o dei
quadri di storia e cronaca cittadina, oltre che nella pittura di paesaggio. Inoltre Domenico Gargiulo un napoletano doc, nato e morto nella nostra citt, dalla
quale non si mai allontanato
Egli amava ritrarre i tumultuosi avvenimenti della
Napoli vicereale: eruzioni, epidemie e rivolte (03 04
05), indagati con locchio attento al pi piccolo dettaglio ed alle stesse fisionomie dei personaggi; inoltre
paesaggi intricati e misteriosi, rappresentati con rara
maestria, angoli suggestivi di rocce marine brulicanti
di barche di pescatori.
Seppure da collocare tra i minori, in un secolo cos
ricco di superstar, bisogna concedergli almeno il privilegio di essere considerato il maggiore dei minori.
I grandi napoletanisti lo hanno infatti sempre apprezFig. 1
zato, tra questi il compianto professor Raffaello Causa,
leggendario re della nostra sovrintendenza, il quale da
giovane amava firmare le sue collaborazioni a quotidiani e riviste con lo pseudonimo di Micco Spadaro.
Il nomignolo gli deriv dal lavoro dal padre, fabbricante di spade, nella cui bottega lartista lavor
alcuni anni, dilettandosi nel tempo libero a disegnare originali impugnature ed eleganti spadoni, fino
a quando il genitore, contrario a queste sue inclinazioni, non lo mise alla porta, facendolo precipitare
in un periodo di fame e disperazione, da cui si sollev con lingresso, allet di 18 anni nella famosa
bottega di Aniello Falcone, ove conobbe Salvator Rosa col quale si cre una profonda emulazione,
dedicandosi entrambi agli stessi generi, allora molto richiesti da una committenza laica. Quadri di paesaggio, scorci di marine, calca di popolo.
6
Fig. 2
Fig. 3
Fig. 4
Fig. 5
Il Nostro fu attento osservatore delle stampe di Callot e di Stefano Della Bella, dai quali prese
ispirazione per le sue caratteristiche figurine allungate con la testa piccola e per il modo di assemblare
i personaggi nelle composizioni pi affollate.
Dal 1635 al 1647 Il Gargiulo collabor col
Codazzi, bergamasco, specialista in architetture
fantastiche (fig. 6), che Domenico animer con figurine vivacissime; un sodalizio durato quasi
quindici anni cementato da una fraterna amicizia,
che riscosse un enorme successo tra una folta
clientela di collezionisti privati stanchi di soggetti
devozionali e bramosi di adornare le proprie dimore con quadri di argomento profano.
Nello stesso periodo un vicendevole scambio
culturale si ebbe tra Gargiulo e lo Schonfeld, un
pittore tedesco che soggiorn a Napoli per un decennio, specializzato in soggetti biblici e scene di
Fig. 6
martirio.
7
Un lungo rapporto di lavoro documentato tra lo Spadaro e i frati della Certosa di San Martino:
nel 1638 affresca il Coro dei Conversi con finti arazzi, in preda ad un immaginario vento (fig. 7). Dal
1642 al 1647 incaricato di affrescare il Quarto del Priore con una serie di paesaggi in cui palpabile
linflusso della pittura nordica. Il Gargiulo continuer ad avere un legame preferenziale con i monaci
della Certosa ove trover rifugio e salvezza durante la terribile peste del 1656, che decim la popolazione napoletana e spazz via unintera generazione di pittori. Al termine del calamitoso morbo volle
rappresentare lo scampato pericolo in un gigantesco ex voto Rendimento di Grazia (fig. 8), ricco di
sessantotto personaggi tutti rappresentati con precisione fisionomica, dal cardinale Filomarino allo
stesso pittore, che ci fornisce in questa tela il suo unico autoritratto, ai monaci dai volti rubizzi e giocondi e dallo sguardo stralunato.
Fig. 7
Fig. 9
Fig. 8
Partecip con altri artisti della cerchia falconiana allimportante commissione per adornare il palazzo del Buen
Retiro di Filippo IV a Madrid con soggetti di storia dellantica Roma: committenza avvenuta nel 1635 per volere del
conte di Monterey, vicer spagnolo a Napoli.
Nelle pale daltare a figure grandi non si espresse ad alto livello ed in questo campo da considerare semplicemente un minore stanzionesco (fig. 9).
Ben altra qualit il Gargiulo raggiunse nei quadri di
storia e cronaca napoletana, popolata da santi, eroi e gente
della plebe, prelevati dalla coloratissima realt dei vicoli
napoletani. In tutte queste tele lo Spadaro ebbe modo di
manifestare le sue doti di brillante illustratore di episodi di
cronaca ufficiale e popolare di alto contenuto drammatico
ed emozionale, rilevando un interesse agli avvenimenti pi
significativi della vita civile cittadina ed una partecipazione
sincera ai destini di Napoli e dei napoletani; il tutto attraverso un uso raffinatissimo e personale di macchie cromatiche, dal denso impasto con una pennellata libera ed estrosa, efficace nel descrivere i tempestosi sentimenti dellanimo umano e lo scorrere ineluttabile degli avvenimenti.
8
Scampato alla peste, come ci racconta il De Dominici, celebre biografo settecentesco al quale siamo debitori di tutte le notizie sullartista, frequent la bottega di un commerciante di quadri, un tal
Aniello Mele, dove ebbe modo di conoscere i pochi pittori sopravvissuti dopo la terribile peste, tra
questi Andrea Vaccaro, Giovan Battista Ruoppolo e soprattutto Luca Giordano, da cui trasse alcuni
elementi neoveneti che ingentilirono la sua pittura, la quale acquis colori pi luminosi e pi caldi.
Le opere dellultimo periodo non sono numerose
e tra queste la pi famosa la Circoncisione della
collezione Molinari Pradelli.
Egli prosegu la sua attivit fino agli ultimi
ani della sua vita come testimoniato da una polizza di pagamento del 1670, reperita nellarchivio del Banco di Napoli, nella quale il pittore riceve trenta ducati per un quadro raffigurante il
Martirio di san Gennaro (fig. 10), di palmi quattro
per cinque (cm 100-125 circa), forse quello oggi
in collezione della Ragione a Napoli.
Discepoli ed imitatori il Gargiulo ne ebbe tanFig. 10
ti, a giudicare anche dallenorme numero di quadri che di continuo, e spesso erroneamente, gli
vengono attribuiti. Tra gli allievi pi significativi ricordiamo Ignazio Oliva, Giuseppe Piscopo e Pietro
Pesce, questultimo risorto di recente da un oblio secolare con alcune tele firmate comparse sul mercato antiquariale.
Ed infine vogliamo cogliere loccasione per correggere lanno della morte dellartista, fino ad oggi indicato su tutti i libri al 1675, come si evince da una lettera informativa sullo stato delle arti a Napoli, fatta conoscere dal Ceci, che Pietro Andreini invi al cardinale Leopoldo De Medici, in cui dichiarava che Micco Spadaro, pittore di figurine e di paesi, mor che sono tre anni. Il Ceci riteneva
che tale nota fosse stata inviata nel 1678, ma grazie alle diligenti ricerche del Ruotolo, pubblicate nel
1982, si identificato il giorno esatto nel 20 dicembre 1675, per cui la data della morte lapalissiano
che debba retrocedere al 1672, come da noi gi suggerito da alcuni anni a pagina 100 della nostra opera Il secolo doro della pittura napoletana.
Antonio De Bellis , tra gli allievi di Stanzione, una figura fino a trenta anni fa quasi sconosciuta
alla critica e della quale non possediamo alcun dato biografico certo, essendosi dimostrato mendace il referto dedominiciano della data di morte. Egli si staglia prepotentemente
tra i pi alti pittori del Seicento non solo nostro ma italiano. Un altro dei grandi del nuovo naturalismo napoletano, che medita ed opera, inizialmente, tra il Maestro degli
annunci e Guarino, per poi virare verso Stanzione ed il Cavallino pittoricista.
Un artista minore nel limbo dei provinciali orbitanti
nelluniverso stanzionesco? Troppo ricco il panorama
della pittura napoletana di questi anni per poter assurgere
ad una posizione di preminenza, ma per De Bellis, alla luce
delle recenti scoperte del De Vito e di Spinosa, si deve almeno parlare di un minore di lusso.
A conferma dellautografia e come guida per la collocazione cronologica, vi in molti dipinti il particolare curioso che lartista, al pari del Cavallino, ha la civetteria di
auto ritrarsi pi volte e nelle fogge pi disparate, con tratti
somatici che variano con lo scorrere implacabile degli anni.
Le stringenti affinit che intercorrono nella scelta delle
Fig. 1 - De Bellis - Angelo custode
soluzioni compositive e nella tipologia dei personaggi raffigurati, e le notevoli analogie con la Nativit firmata Bartolomeo Bassante del Prado, avevano indotto il Prohaska a trasferire a questo autore una grossa parte
della produzione del De Bellis.
Lidentificazione della sigla ADB su di una roccia nel dipinto Lot e le figlie, oggi a Milano
presso la Compagnia di Belle Arti, ha fugato ogni dubbio ed ha permesso di assegnare definitivamente
al nostro artista tutto quel gruppo di opere che il
Prohaska riteneva di Bartolomeo Bassante.
Un interessante inedito di grande qualit va ad
incrementare il catalogo di Antonio De Bellis: un
Angelo custode (fig. 1) conservato in una collezione privata di Modena, che richiama a viva voce la
sua autografia grazie a calzanti confronti con opere
certe dellartista.
Il primo termine di paragone costituito dal San
Sebastiano curato dalle pie donne (fig. 2) del muse
des Beaux Arts di Lione, con il quale condivide il
mantello, identico non solo nel colore, ma anche nelFig. 2 - De Bellis confronto 1
leleganza con cui sono definite le pieghe (fig. 3).
10
12
Giovan Battista Spinelli, attivo fra il 1630 ed il 1660 circa, viene citato dal De Dominici, che poco
lo conosceva, come lultimo dei sei discepoli dello Stanzione.
La sua personalit artistica ed il ricordo della sua opera si erano persi nel nulla, e solo negli ultimi
40 anni grazie alle felici intuizioni del Longhi, agli accaniti studi del Vitztuhm e, pi di recente, alla
puntuale ricostruzione dello Spinosa riemerso come una delle figure di spicco del Seicento napoletano, facilmente riconoscibile non solo per la sua marcata abilit di disegnatore, ma principalmente
per le caratteristiche fisiche e fisionomiche delle sue figure: personaggi in preda a torsioni disperate
ed alla completa disarticolazione delle forme, immersi in un impasto furente percorso di umori misteriosi, agitati da una elettrizzante energia interiore e gesticolanti come marionette impazzite.
Dopo essere stato per secoli ignorato dalla critica, lo Spinelli (del quale non conosciamo i dati
biografici, ad eccezione di notizie sulla sua famiglia, di origine bergamasca, ma residente a lungo
a Chieti) riapparso come unartista originale e
fuori dagli schemi convenzionali, suggestionato
da un mondo di immagini antiche, che gli pervenivano attraverso lo studio appassionato, anche se
disordinato, delle incisioni dei manieristi nordici,
da Luca Di Leyda a Goltius, da Matham ad Aldegrever.
Ad un certo punto del suo percorso artistico
vi un chiaro richiamo a modelli compositivi
stanzioneschi con una pittura ampia e rischiarata,
e questa ripresa di elementi napoletani possiamo
coglierla soprattutto nelle due tele degli Uffizi,
capolavori assoluti del Seicento europeo: il
Trionfo di David accolto dalle ragazze ebree e
David che placa Saul, in cui stringenti affinit
ispirative, come ben intu il Longhi, possono cogliersi con le tele stanzionesche con Storie del
Battista, oggi al Prado, ma anche in pale daltare
Fig. 1 - Giovan Battista Spinelli
per chiese abruzzesi e dipinti da cavalletto per
Madonna con Bambino
collezioni napoletane, come nel caso del dipinto
Roma collezione Lemme
di collezione Lemme a Roma.
Questo momento creativo per sempre
contraddistinto da marcati caratteri di autonomia culturale e da segni di energico vigore formale e di
accentuata sensualit come se lo Spinelli, in preda ad una eterna sovraeccitazione, desse luogo a stravolte tipizzazioni fisionomiche, caratteristiche di un pittore inquieto, bizzarro ed anticonvenzionale,
capace di recepire influssi diversi, ma di esprimere sempre una cifra stilistica personale originalissima. E questo aspetto della sua pittura sar sempre molto evidente anche negli ultimi anni della sua
13
attivit, quando pi marcati si faranno gli slittamenti verso soluzioni di temperato classicismo accademizzante.
La Madonna col Bambino della collezione Lemme, collocabile cronologicamente agli anni Quaranta, si ispira a dipinti prodotti in quel periodo da Massimo Stanzione, ma rispetto allo stile dellillustre collega, lo Spinelli si pone in una posizione di originale autonomia, accentuando sino alleccesso laspetto bizzarro e la cura della scenografia, prediligendo una gamma cromatica raffinata e selettiva, spesso virando verso tonalit fredde ed azzurrine, mentre il trattamento del chiaro scuro, richiama le esperienze del naturalismo napoletano di seconda generazione.
Il tema della Madonna col Bambino, a figura intera o di tre quarti, lo troviamo pi volte ripetuto
in una serie di disegni, conservato a Firenze nella raccolta degli Uffizi, nei quali, pi chiaramente che
nei dipinti, emerge lindole manierista del pittore e la sua passione per gli esempi della tradizione cinquecentesca flandro germanica.
In pi di un foglio tra quelli conservati nel Gabinetto dei disegni e delle stampe fiorentino (10959
10960 10963 F) sono rappresentati la figura di una Madonna col Bambino o forse di una semplice
donna con in braccio il figlioletto, che possono rappresentare studi preparatori per un dipinto molto
simile a quello in esame, pi che esercitazioni di un estro grafico fuori del comune.
14
Nel casale di Villanova vi la chiesa di Santa Maria della Consolazione (fig. 1) dalla spettacolare
pianta esagonale, realizzata nel 1737 da Ferdinando Sanfelice, regno incontrastato per oltre cinquanta
anni del leggendario parroco Giuseppe Capuano, morto in odore di santit.
Una chiesa di grande interesse, fuori dagli itinerari turistici e sconosciuta anche ai cultori del nostro patrimonio artistico, frequentata solo dai fedeli, tra i quali le mie zie: Giuseppina, da poco centenaria, Elena e Adele ed alla quale sono particolarmente affezionato, perch il parroco di cui sopra era
un mio pro zio e fra cento anni o poco
pi mi piacerebbe si celebrasse il mio
funerale.
Linterno (fig. 2) allegro, molto
luminoso e sembra sollecitare una preghiera di ringraziamento pi che una
supplica. Ha una storia alle spalle, ma
soprattutto un segreto da svelare.
La storia semplice e lineare:
Eleonora Piccolomini, principessa di
Bisignano, nel 1488 fece erigere nel
suo fondo una cappella. In seguito nel
1537, a seguito di lasciti e donazioni,
venne unita a due chiesette in rovina
poco distanti: San Giovanni Battista
fuori Porta Posillipo, gi propriet dei
Guindazzo, donata agli Agostiniani in- Fig. 1 - Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione a Villanova
(facciata)
torno al 1500 e San Pietro.
La chiesa attuale sorge dunque da
questo incontro e ne fa fede un pregevole bassorilievo di scuola del Donatello, conservato in sacrestia,
datato 1510, che raffigura la Madonna tra San Giovanni Battista e San Pietro.
La veste attuale prese corpo poi nel 1737, dopo i danni causati da un terremoto, ad opera del celebre architetto gi citato, il quale da tempo era impegnato con gli Agostiniani nella realizzazione del
convento di San Giovanni a Carbonara.
Il risultato entusiasm il De Dominici il quale afferm: che prospetto cos vago e accordato, pi
bello non si pu desiderare. Infatti il Sanfelice adott una soluzione rivoluzionaria per quellepoca,
collocando su sei pilastri, nellinterno esagonale con tre finestroni, ununica struttura di copertura con
tre capriate in legno, una finta volta incannucciata e tegole.
La facciata, col corpo centrale aggettante fra due rientranti, preannuncia landamento planimetrico
interno e sicuramente fu modificata nel corso del restauro cui segu la consacrazione nel 1853, per cui
dello stile dellarchitetto non conserva che il finestrone.
Linterno rappresenta invece un accattivante esempio di spazio, molto luminoso, modellato da
forme geometriche ossequiose della lezione del Borromini. Si pu osservare un alternarsi di pareti
piane e di pareti curve che sottolinea il dinamismo plastico accentuato dalla presenza della doppia pa15
rasta, in modo che lordine architettonico accompagni il disegno planimetrico delle pareti: anche la
trabeazione, allora, si incurva per accogliere la calotta che completa la piccola abside. Ampi finestroni
inondano di luce lambiente illuminando i delicati stucchi (fig. 3), di alta qualit e di gusto rococ,
che decorano la bella volta esagonale, il cui disegno geometrico accentuato dai bianchi costoloni
che si affiancano sulle vele grigie.
A completare linsieme concorreva il pavimento, in cotto e ceramica, non pi presente e laltare
maggiore (fig. 4) in lussureggianti marmi policromi, sovrastato da unopera proveniente dalla chiesa precedente: una tavola della prima met del Cinquecento, raffigurante la Madonna col Bambino (figg. 5-6).
Alla vecchia chiesa appartengono anche i bassorilievi marmorei del lavabo conservato in sacrestia, ricomposti nellattuale contesto nel 1575, ma risalenti ai primi anni di quel secolo.
Al momento della ricostruzione sanfeliciana risalgono i due spettacolari pendant eseguiti da Paolo
Di Majo, che accolgono gioiosamente il visitatore. Essi raffigurano la Nativit (fig. 7) e la Madonna
col Bambino con i santi Agostino, Monica, Gennaro ed Antonio. Ignorati nellunica monografia sul
pittore, scritta dallillustre studioso Mario Alberto Pavone, sono due autentici capolavori, eseguiti negli anni in cui lartista lavorava presso la bottega del Solimena, quando questi era intento ad approfondire la sua esperienza in senso classicista. Essi sono la testimonianza della predilezione del Di Majo
per formule geometrizzanti e la ripresa di elementi culturali neocinquecenteschi, in opposizione alle
contemporanee proposte di Domenico Antonio
Vaccaro. Ladesione del pittore alle direttive ecclesiastiche, volte a depurare le immagini sacre da
ogni pur minimo carattere di laicit e interessate
alla diffusione del culto mariano, si manifesta pienamente nei due dipinti in esame.
Del 1639 sono due pannelli ad olio conservati ai lati dellaltare, entrambi siglati ed uno datato. A grandezza naturale rappresentano SantAgostino (fig. 8) e San Giovanni Battista (fig. 9).
Di mediocre qualit, mostrano lartista suggestionato dalle coeve esperienze di ambito iberico, soprattutto il Battista ricorda in qualche aspetto le
Fig. 4 - Napoli, chiesa di S. Maria della Consolazione
affilate impostazioni disegnative di Zurbaran. Ina Villanova (Altare)
16
17
flusso della cultura spagnola che ritroveremo ancora in alcune delle tele del Marullo, come nella
Pesca miracolosa, nella quale tangibile lo stile
del Greco nella definizione delle figure allungate
e spigolose.
Dopo la storia e la descrizione dei dipinti
passiamo a rivelare il segreto che nasconde la
chiesa e che venne scoperto in occasione del terremoto del 1980, quando una parte del pavimento
croll, mettendo in mostra antiche mura, cos descritte in una relazione che abbiamo reperito tra
polverose carte nellarchivio della Soprintendenza: parte di una pavimentazione in cotto maiolicato e in marmo di et quattrocentesca, resti di
murazione intonacata, frammenti di lesene cinquecentesche scolpite e ancora decorazioni parietali che conservano il colore ed una lapide
marmorea con stemma e sedile di pietra (fig. 10).
Sulla tomba si legge chiaramente Ioannes neapolitanus 1545. Finalmente una data certa, oltre
al pavimento della cripta simile a quello cinqueFig. 9 - Giuseppe Marullo- S. Giovanni Battista
centesco della chiesa di San Giovanni a Carbonasiglato - Napoli chiesa di S. Maria
della Consolazione a Villanova
ra(entrambe dellordine degli Agostiniani), sappiamo che Giovanni Napolitano giace l dal 1545
e da una trentina danni in buona compagnia, perch quando nel 1982 i lavori di consolidamento
misero alla luce una ventina di scheletri provenienti da una fossa comune, il parroco di allora,
don Enrico, volle dar loro una pi onorata sepoltura, mettendoli nella tomba del napoletano privilegiato, una decisione misericordiosa in aperto
contrasto con le usanze secolari, che hanno sempre previsto un ossario comune per i poveri ed il
monumento funebre per il nobile o quanto meno
per il ricco.
Nella pianta Carafa del 1775 sono gi ben visibili i villaggi di S. Strato, Portaposillipo e VillaFig. 10 - Napoli chiesa di S. Maria della Consolazione
nova ed il percorso dellattuale via del Marzano,
a Villanova (cripta)
allepoca chiamata Malefioccolo. Poco cambiato da allora, una certa atmosfera paesana sopravvive in queste stradine e nella piccola piazza antistante la chiesa di Villanova, mentre da sempre il
parroco, che conosce tutti, termina il suo ufficio con la frase: la Messa finita, andate in pace e buona
serata.
Consigliamo, dopo la visita alla chiesa, percorrendo alcune centinaia di metri, di fare la conoscenza di un luogo mitico: il Canalone, del quale molti napoletani hanno sentito parlare, pochi sanno localizzarlo, quasi nessuno lo ha mai percorso.
18
Per me esso era leggendario perch mia madre, da bambina, siamo negli anni Venti del secolo
scorso, lo scendeva e saliva ogni giorno per andare a scuola, cosa impensabile oggi che non facciamo
un passo per nessun motivo, condannandoci anzi tempo ad obesit ed arteriosclerosi.
Questo tortuoso tragitto (per il Tuttocitt Salita Villanova) mette in comunicazione via Manzoni
con via Posillipo, attraversando da sotto via Petrarca allaltezza della chiesa dei Gesuiti.
Il primo tratto (fig. 11) a gradoni, che dolcemente scendono a valle, costeggiando lussureggianti
giardini dove il tempo pare si sia fermato, il secondo (fig. 12) una serie di ripidi scalini che in un
battibaleno conducono allarrivo.
Per tutta la passeggiata, che dura non pi di quindici minuti, scorci di panorama mozzafiato ed
angoli bucolici inaspettati. Bisogna per tollerare un po di rovi ed un po di spazzatura portata dalla
pioggia, ma di monnezza, almeno in questi ultimi tempi, forse ne troviamo altrettanta nella elegante
e centralissima via dei Mille.
Questa originale passeggiata ha costituito lultimo appuntamento della stagione 2008 per gli Amici delle chiese napoletane, i quali, dopo lo scarpinetto si rifocillarono abbondantemente, a prezzo fisso, in un famoso ristorante, brindando alla cultura, osannando il presidente (il sottoscritto) e dandosi
appuntamento a settembre per un nuovo ciclo di visite delle bellezze napoletane; purtroppo hanno dovuto attendere 7 anni prima di godere di nuovo, apprendendo con gioia le bellezze della nostra amata
Napoli.
19
Abito da mezzo secolo a Posillipo, ma solo ieri sono riuscito a visitare il mausoleo Schilizzi,
loriginale monumento funebre in stile egizio, con
annesso parco, che, con piccoli lavori di manutenzione, potrebbe trasformarsi in una interessante attrazione turistica, oltre a costituire un corroborante
polmone di verde per la popolazione alla disperata
ricerca di giardini dove trascorrere ore liete.
Sul finir dellOttocento doveva essere la tomba di una ricca famiglia livornese, ansiosa di gareggiare con i pi potenti faraoni, divenuto poi
da decenni un sacrario in memoria dei tanti giovani che hanno sacrificato la vita per la patria nel
corso della 1 guerra mondiale. Il panorama
mozzafiato, con Capri in primo piano, gli alberi
maestosi, i prati numerosi, senza considerare la
calma serafica che emana da un luogo di memorie, che induce alla meditazione.
Cosa aspettano le istituzioni con una spesa
modesta a restituirlo degnamente alla fruizione di
indigeni e forestieri?
Fin qui abbiamo riportato il testo di una lettera che abbiamo inviato ai giornali napoletani con
la speranza di smuovere le torbide acque della burocrazia. Vogliamo ora aggiungere qualche notizia storica per gli appassionati delle ricchezze culturali ed artistiche napoletane.
La monumentale tomba inserita in uno splendido parco, dotata di una maestosa scalinata e di
uno scorcio di panorama indimenticabile, fu costruita alla fine dellOttocento per volere di Matteo Schilizzi, un banchiere livornese attivo in citt
quando Napoli era una capitale europea del commercio, il quale voleva una sontuosa sepoltura per
il fratello Marco, scomparso prematuramente e
per i suoi discendenti. Incaric dellopera lingegnere Alfonso Guerra, che si adoper alacremente
per circa 10 anni, ma dovette poi sospendere i lavori per il sopravvenuto disinteresse del committente.
20
In seguito, grazie allinteressamento della contessa Martinelli, sar il figlio dellingegnere Guerra, Camillo, a completare ledificio, che verr destinato a
partire dal 1929 ad ara votiva per i caduti della Patria.
Dopo quelli della Grande guerra, trasferiti da Poggioreale, arriveranno quelli della 2 guerra mondiale e
delle Quattro giornate di Napoli. A lungo e si vede ancora la nicchia, ma vuota, ha riposato in eterno Salvo DAcquisto, prima che i suoi resti mortali fossero
trasferiti nella chiesa di S. Chiara.
A sentire gli abitanti del luogo, ogni tanto al tramonto, sembra che il mausoleo si animi, si odono
passi ed altri rumori non identificati, molti credono
che sia il fantasma di Matteo Schilizzi che vaga inquieto nel parco alla disperata ricerca di una degna
sepoltura. Pi probabile che sia la voce della citt,
che richiama al dovere i suoi amministratori, impegnati unicamente a spartirsi fondi e ad accaparrarsi
biglietti omaggio per le partite del Napoli.
Fig. 3 - Chiesa interna
21
Dalluscita della mia monografia su Giuseppe Bonito, nel 2014, a cui hanno fatto seguito due nuove edizioni, con cadenza costante mi pervengono da parte di antiquari e collezionisti nuove segnalazioni di dipinti, alcuni di notevole qualit, che quanto prima conto di pubblicare.
Inoltre richieste di conferma per opere di cui si persa la memoria, come nel caso, alcuni mesi fa,
di un docente universitario di letteratura italiana a Firenze, il quale stava curando la traduzione ed il
commento del resoconto di un viaggiatore del Grand Tour, che, negli ultimi anni del Settecento, aveva
ammirato I giganti del Bonito nella Reggia di Portici, dipinto per il quale non si conoscono documenti e che in ogni caso non pi in sede.
Oppure, un caso simile, quando ho letto un articolo su Il Mattino, nel quale, parlando di Palazzo
Gravina, uno dei pochi edifici napoletani che posseggono una facciata a bugnato, attualmente sede
22
23
della facolt di architettura, ma a lungo ufficio centrale delle poste, si accennava a degli splendidi affreschi che ornavano i saloni, eseguiti, alcuni dal De Mura, altri dal Fischetti ed altri ancora dal Bonito. Anche questi non solo scomparsi, ma per i quali non esiste alcun documento di pagamento, nonostante alcuni testi sui palazzi napoletani ne segnalino lesistenza.
24
Infine la molla che mi ha spinto a scrivere sul pittore la visita di una collezione privata modenese,
che, tra altri capolavori, conserva uno splendido inedito dellartista, che potremmo chiamare: Una famiglia felice (fig. 1) e per le identiche misure potrebbe costituire il pendant di una tela (figg. 2-3) transitata tempo fa sul mercato antiquariale.
Alcuni particolari della tela in esame sono di notevole qualit e sono classici dello stile del pittore,
dal volto rubicondo della bimba che impugna una mela (fig. 4), mentre la sorella pi grande (fig. 5)
mostra una rosa, segno evidente per la simbologia dellepoca che in cerca di marito nonostante la
giovane et, il fratellino pi piccolo sta tra le braccia della mamma (fig. 6) e gli altri due, pi grandicelli, ostentano gi delle pompose parrucche (fig. 7).
Altri dettagli ci permettono di leggere i titoli dei volumi rilegati (fig. 8-9) sui quali si poggia orgoglioso il padrone di casa, libri di argomento colto, da Ippocrate a Socrate. Forse il nobile un medico erudito, sicuramente un blasonato e sapremo quanto prima anche il nome della sua casata, appena
sapremo identificare il suo blasone (fig. 10-11) con laiuto di Nicola Della Monica, esperto di araldica
e del presidente del Circolo dellUnione, che raduna nella sua storica sede, ospitata nei locali del Teatro San Carlo, ci che resta della gloriosa nobilt partenopea.
25
Laltro giorno ci ha lasciato, allet di 91 anni, Giuseppe De Vito, dopo decenni dedicati al collezionismo, allo studio ed alla diffusione della cultura sul Seicento napoletano. Era coetaneo di Ferdinando Bologna, ancora sulla breccia e del compiano Raffaello Causa, i due dioscuri della arti figurative allombra del Vesuvio.
In quaranta anni di riflessioni e trenta di scritti, confluiti principalmente nei volumi di Ricerche sul 600 napoletano da lui fondato nel 1982 e pubblicati con cadenza annuale, ha contribuito a riconoscere la personalit di alcuni anonimi o poco indagati artisti,
come il Maestro dellannuncio ai pastori, per il quale era certo di
averne identificato lidentit.
Nutriva una venerazione verso la pittura di Luca Giordano e particolare impegno ha dedicato alla Natura morta. Ha stimolato la ricerca archivistica di valenti specialisti, ha ospitato gli scritti di gioGiuseppe De Vito
vani studiosi, ha raccolto migliaia di documenti inediti e messo insieme una prestigiosa collezione di dipinti ed una consistente fototeca e biblioteca specializzata, tappa obbligata per chiunque voglia approfondire il Seicento napoletano.
Tutto ci che vado studiando ed accumulando intendo lasciarlo alle future generazioni che potrebbero trarne profitto, amava
ripetere, dimostrando le sue rare qualit di
napoletano generoso e disinteressato.
Egli nutriva un amore sviscerato verso la
cultura della sua citt dorigine, che ardeva
inesausto sotto laplomb anglosassone tipico
di certi Napoletani di un tempo, oggi sempre
pi rari ad incontrarsi.
La sua lunga vita divisa in due tronconi antitetici, prima ingegnere e brillante imprenditore fino allet di 50 anni, poi, divorato dalla passione per larte, studioso, mecenate e promotore di fondamentali pubblicazioni.
Oggi Napoli, orbata di uno dei suoi figli
migliori, dovrebbe piangere e ricordarlo, ma
purtroppo pochi napoletani lo conoscono, a
differenza della comunit internazionale degli storici dellarte, per la quale egli ha rappresentato una figura unica, irripetibile di
Ricerche sul 600 napoletano
studioso colto, operoso e cosmopolita.
26
Ancora oggi se digitiamo su Google Hendrick van Somer, compaiono oltre 10 000 citazioni e
la prima si riferisce ad un mio articolo del 2009: Hendrix van Somer due pittori in uno, nel quale sottolineavo la contemporanea presenza a Napoli di due artisti con uguale nome e cognome, uno, figlio
di Barent ed un secondo, figlio di Gil. Il primo nato nel 1615 e morto ad Amsterdam nel 1684, il secondo, nato nel 1607 e scomparso forse durante la peste del 1656, presente in citt dal 1624.
Per Hendrick van Somer o Enrico fiammingo, come spesso si firmava, la critica ha ricostruito un
percorso artistico articolato con dipinti che, dopo un periodo di stretta osservanza riberiana, sfociano
nel nuovo clima pittoricistico di matrice neoveneta che matur a Napoli intorno alla met degli anni Trenta, un momento in cui cominci a prevalere il cromatismo sul luminismo. La sua pittura,
che tradisce lorigine fiamminga e la dimestichezza con i caravaggisti nordici, caratterizzata dal
viraggio della luce verso una pacatezza dei colori
ed un contenuto iconografico severo.
Di recente Giuseppe Porzio ha pubblicato documenti e notizie sul pittore ed ha incrementato il
suo catalogo con dipinti di qualit eccelsa, che
forniscono oramai limmagine di un artista di
grande valore, anche se ancora poco noto.
In questo breve contributo intendiamo presentare uno splendido inedito, che abbiamo avuto
modo di visionare a Torre Canavese presso la
Galleria darte di Marco Datrino.
Si tratta di un Mercurio addormenta Argo suonando il flauto (Figg. 1-2-3-4), una tela di cospicue
dimensioni (160 220), transitata tempo fa sul mercato con unattribuzione a Pier Francesco Mola, un
artista ticinese altre volte confuso con il Nostro.
Lattribuzione al Van Somer pi che certa,
con la figura di Argo che ripropone una delle famose Teste di vecchio conservate nel museo di
Capodimonte.
27
Molto curato il paesaggio, al quale dedicata una particolare attenzione, per cui possiamo
accogliere lipotesi del Porzio che sia stato eseguito dal Vandeneynden, genero del pittore.
Concludiamo con una doverosa precisazione,
scaturita dallesame di alcuni documenti: la dizione precisa del cognome De Somer e non van Somer, come fino ad oggi indicato sui principali
contributi sullartista da Bologna a Spinosa.
28
Un celebre collezionista piemontese ci ha invitato a dare un nome allautore di una splendida scultura lignea (figg.1-2-3) conservata da generazioni nella sua raccolta. Senza ombra di dubbio si tratta
di uno degli esiti pi alti mai raggiunti da Nicola Fumo, di cui, per chi non lo conoscesse, brevemente
parleremo.
Nel vasto ed ancora poco studiato panorama della scultura in legno policromo nellItalia meridionale tra Seicento e Settecento, accanto a Giacomo Colombo, vero e proprio caposcuola di questarte
raffinata, ci sono una schiera di altri scultori altrettanto bravi e significativi, tra i quali spicca il
nome di Nicola Fumo.
Nicola Fumo nacque a Saragnano di Baronissi, a pochi chilometri da Salerno, nel 1647, mor a
Napoli nel 1725. Grande fu la sua fama di scultore. Fu il vero rivale di Giacomo Colombo. La loro
attivit fu pressoch parallela. Si contesero la
clientela a colpi di maestria scultorea. Fu una gran
gara quotidiana a chi riusciva a piazzare pi
opere tra i grandi e piccoli committenti darte sacra. Di fatto inondarono di loro opere, devozionali
e a volte anche seriali, tutto il Sud dItalia fino a
esportare alcuni grandi capolavori in Spagna. I loro nomi erano conosciutissimi tra i grandi committenti. Si ricorreva spesso a loro per le statue in
legno policromo pi prestigiose per chiese e cattedrali. Il catalogo completo delle loro opere ancora non esiste perch spesso emergono opere poco conosciute o inedite che lo arricchiscono. Non
esistono libri monografici su questi due personaggi: prematuro scrivere la parola fine in merito
alla loro produzione artistica, perch vi ancora Fig. 1 - Una splendida scultura inedita di Nicola Fumo
tanto da scoprire.
I Fumo furono una dinastia di artisti, altri
esponenti della famiglia furono Matteo, autore di una croce lignea nella Chiesa di San Giuseppe Maggiore a Napoli e tre statue raffiguranti S. Tecla, S. Archelaa e S. Susanna. Antonio fu un illustre pittore
discepolo di Francesco Solimena. Di Gaetano, argentiere e ceramista, rimangono numerose opere per
la Cappella del Tesoro di San Gennaro ed un piccolo San Michele in argento esposto al Metropolitan
Museum di New York.
La figura di Nicola Fumo stata studiata, tra gli altri, soprattutto da Raffaele Casciaro e Gian
Giotto Borrelli, che ne hanno individuato numerose opere e dato uninterpretazione critica del suo stile. Non chiara la formazione dellartista, forse nellambito dello scultore Gaetano Patalano, certamente non stato allievo del Fanzago come riferisce il De Dominici.
29
Poco prima o intorno al 1675 lartista si trasfer a Napoli. Tra le opere notevoli degli anni 80 e
90 del Seicento vi sono sicuramente la nota Assunta per il Duomo di Lecce e il S. Francesco di
Paola nella chiesa del Salvatore a Baronissi.
Nellultimo decennio del Seicento la produzione artistica di Nicola Fumo divenne particolarmente
importante, al punto che alcune sue opere furono inviate in Spagna alla corte di Filippo V.
Lartista invi nel 1698 in Spagna una eccellentissima statua di Cristo Portacroce (fig. 4),
conservata a Madrid nella chiesa di S. Gins, diverse statue della Immacolata (ad Almeida, nel
1697; a Antequera nel 1705) e la Virgen de las
Maravillas di Cehegn (prima del 1725). La
Madonna delle Meraviglie sicuramente una
delle opere pi belle dello scultore. Definita da
molto critici come lemblema della bellezza femminile, fu trasportata su una nave che affond nei
pressi del porto della cittadina spagnola. Lunica
cassa sopravvissuta al naufragio fu quella contenente lopera di Fumo. Gli abitanti subito approfittarono dellevento per appropriarsi di una scultura che da allora tanto lustro ha dato alla loro comunit, incant generazioni di visitatori: la bellezza di un viso giovane e aggraziato con lo
straordinario panneggio tipico del Fumo ha letteFig. 4 - Cristo caduto portando la croce
Madrid chiesa di san Genesio
ralmente estasiato tanti critici darte giunti appo30
31
Segue poi, sempre in collezione Marasini ad Alessandria, unAssunzione (fig. 2), che mi sembrava opera di un ignoto stanzionesco, fino a quando scorrendo una monografia su Pietro Novelli, ho trovato lo stesso volto, riprodotto in alcuni dipinti del pittore siciliano, attivo a Napoli e fautore dellintroduzione del pittoricismo in area partenopea.
Infine una Nativit (fig. 3), da alcuni studiosi attribuita a Battistello Caracciolo e che a me viceversa, dopo un restauro, sembra da assegnare alla fase caravaggesca di Bernardo Cavallino.
32
Pi semplice attribuire a Giovan Battista Spinelli una splendida Madonna col Bambino (fig. 4)
di recente entrata nella prestigiosa collezione
Lemme a Roma.
Concludiamo con una serie di tele notevoli
della collezione Badeschi di Modena.
Alle prime due: un Sacrificio di Isacco (fig.
5) ed una Lucrezia (fig. 6) abbiamo dedicato due
articoli che vi consigliamo di consultare in rete di33
gitandone il titolo, rispettivamente: un Sacrificio di Isacco di Agostino Beltrano e una Lucrezia di Andrea Vaccaro di prorompente sensualit.
Segnaliamo poi ai nostri lettori una Maddalena (fig. 7) di Artemisia Gentileschi dai colori squillanti
e dal mantello elegantemente rifinito; una Estasi celeste (fig. 8), un bozzetto preparatorio per un affresco
eseguito da Mattia Preti durante il suo soggiorno modenese; un dipinto del Benaschi (fig. 9) e per concludere una tela (fig. 10) sulla cui attribuzione da decenni gli studiosi provano a fare un nome e che a
mio parere opera di un ignoto caravaggesco nordico attivo a Roma nei primi decenni del Seicento
34
Abbiamo avuto la fortuna di poter visionare una conturbante Lucrezia(fig. 1) della collezione Badeschi di Modena, assegnata dalla critica a scuola bolognese, che viceversa presenta tutti gli attributi
del malizioso pennello dellindiscusso specialista del decolt: Andrea Vaccaro, dal famoso sottoins, il dolce girar degli occhi al cielo, alle labbra carnose, dallepidermide alabastrina allaccurata definizione del seno, sodo e prorompente.
Godere della bellezza di un seno, anche se raffigurato dal pennello di un pittore lesercizio pi
nobile che distingue luomo dalla bestia, la civilt dalla barbarie, la sintesi di una condizione umana
immutabile, sospesa tra lesaltazione dellamore
ed il terrore della solitudine, tra la gioia di vivere
e la paura di morire e ci aiuta ad affrontare pi serenamente langoscia dellesistenza, a coglierne
la bellezza e la fragilit.
Che cos veramente larte se non una guerra,
una lotta contro la materia, un corpo a corpo con
la forma e con lidea. Perdersi nellarmonia delle
forme e dei colori permette di addentrarsi in un
mondo senza frontiere e ci d la possibilit di essere felici nelleternit della bellezza e dellarte.
Quale viaggio pi avventuroso della serena contemplazione dei severi seni della Lucrezia bianchissimi e luccicanti che irradiano una luce abbagliante, che sembra stregare ed avvincere losservatore, il quale, rapito dalla bellezza del volto corrucciato e dalla vista degli splendidi seni non pu
guardarla troppo a lungo senza desiderarla. I seni
della Lucrezia sono fatti con una pennellata carnosa, ricca, trasparente; essi sono eterni, sostenuti
dalla rigidit della materia impassibile. Non si
deformano, n avvizziscono, archetipo immobile
della femminile bellezza. Rappresentano il porto
Fig. 6 - Andrea Vaccaro - Lucrezia
Modena collezione Badeschi
sicuro verso cui ogni uomo anela di fermarsi e riposare per sempre, preziosi come una boccetta di
rare essenze, prorompenti, ma nello stesso tempo fragili, come se costituiti da sottile cristallo, che a
rompersi si disperdono come polvere di talco. Alla vista di questi seni immortali inevitabile per losservatore cadere vittima della sindrome di Sthendal: una vertigine intensa ed interminabile, che procura un sottile piacere dello spirito.
Per la clientela laica sia napoletana che spagnola il Vaccaro, in una tavolozza monotona con facili
accordi di bruni e di rossicci, crea scene bibliche e mitologiche e le sue celebri mezze figure di donne
nelle quali persegue unideale femminile di sensualit latente; diviene cos il pittore della quotidianit appagante, tranquilla, a volte accattivante, in grado di soddisfare le esigenze di una classe paga
35
della propria condizione, attenta al decoro, poco incline a lasciarsi coinvolgere in stilemi, filosofici
letterari, o mode repentine, misurato nel disegno, intonato nei colori, consolante nellillustrazione;
Andrea ottenne il suo maggior indice di gradimento in quella fascia della societ spagnola pi austera
e di consolidate opinioni e per converso in quelle napoletane di pari stato ed inclinazione (De Vito).
Tra i suoi dipinti laici, alcuni, di elevata qualit, sembrano animati da unagitazione barocca
che raggiunge talune volte un coro da melodramma.
Le sue sante, martiri o non, in sofferenza o in estasi che siano, sono donne vive, senza odore di
sacrestia, a volte perfino provocanti nel turgore delle forme e nellespressione di attesa non solo di
sposalizio mistico, col bel girare degli occhi al cielo (De Dominici) e con le splendide mani dalle
dita affusolate a ricoprire i ridondanti seni.Il Vaccaro fu artista abile nel dipingere donne, sante che
fossero, pervase da una vena di sottile erotismo, depidermide dorata, dai capelli bruni o biondi, di
una carnalit desiderabile sulle cui forme egli indugi spesso compiaciuto col suo pennello, a stuzzicare e lusingare il gusto dei committenti, pi sensibili a piacevolezze di soggetto, che a recepire il
messaggio devozionale che ne era alla base.Egli si ripet spesso su due o tre modelli femminili ben
scelti, di lusinghiere nudit, che gli servirono a fornire mezze figure di sante martiri a dovizia tutte
piacevoli da guardare, percepite con unaffettuosa partecipazione terrena, velata da una punta di erotismo, con i loro capelli doro luccicanti, con le morbide mani carnose e affusolate nelle dita, con le
loro vesti blu scollate, tanto da mostrare le grazie di una spalla pallida, ma desiderabile. I volti velati
da una sottile malinconia e con un caldo languore nei grandi occhi umidi e bruni, che aggiungono
qualcosa di pi acuto alla sensazione visiva delle carni plasmate con amore e compiacimento.Le sue
sante, tutte espressioni di una terrena beatitudine.Lidea del martirio e della penitenza sottintesa ad
un malizioso compiacimento e venata da una appena percettibile punta di erotismo. Queste eterne bellezze mediterranee dal volto sensuale ed accattivante fanno mostra del loro martirio con indifferenza
e con lo sguardo trasognato, incuranti degli affanni terreni e con gli occhi che, pur fissando lo spettatore, sembrano proiettati fuori dal tempo e dallo spazio. Dalle tele promana una dolcezza languida,
serena, rassicurante, che ci fa comprendere con quanta calma queste sante, avvolte nelle sete rare delle
loro vesti acconciatissime, abbiano affrontato il martirio, sicure della bont delle loro decisioni, placando e spegnendo ogni sentimento e sensazione negativa quali il dolore, la sofferenza, lo sdegno ed
esaltando la calma serafica, la serenit dellanimo, la certezza di una scelta adamantina.La pittura in
queste immagini dolcissime e sdolcinate cede il passo alla poesia, che si fa canto soave ed incanta
lossevatore.
36
Liconografia in oggetto la troviamo in altre tele dellartista, a partire da quella (fig. 2) conservata
nei depositi di Capodimonte, attribuita al Beltrano da Bologna, che rientra tra gli esempi di ispirazione
falconiana, addolcita da vigorosi effetti cromatici, mentre luci nette sono adoperate per scandire il severo modellato.
Lo stesso soggetto stato trattato altre volte dal Beltrano, con un registro per stanzionesco, sia
nel dipinto (fig. 3) di collezione De Lorenzo a Napoli, nel quale, oltre a riconoscere il caratteristico
angelo incontrato in precedenza in tante tele dellautore, apprezziamo un paesaggio definito con grande cura e con una chiara influenza delle coeve esperienze maturate dal Gargiulo, che incontriamo anche nella splendida tela (fig. 4) conservata a Salisburgo, firmata per esteso e datata 16.9., gi segnalata
dal Rolfs nel 1910.
Concludiamo mostrando un dipinto (fig. 5), conservato nei depositi della Gemaldegalerie di Dresda, probabilmente copia di un originale perduto.
37
38
Questo disegno settecentesco di scuola napoletana, che raffigura un episodio della vita di Alessandro Magno, riprende con una variazione iconografica un tema gi rappresentato in un dipinto del
Fischetti oggi appartenente alla collezione della Ragione a Napoli. Lo stesso tema ricollegabile al
ciclo decorativo realizzato per il Palazzo napoletano dei duchi di Casacalenda.
Il disegno (fig. 1) si riferisce ad un episodio della vita di Alessandro Magno riportato da Plutarco,
quando il condottiero, ammalatosi per essersi bagnato nelle acque di un fiume gelato, si affida con fiducia alla cura del medico Filippo sino a mettere la propria vita nelle sue mani, bench una lettera segreta inviatagli da Parmenione accusi lo stesso Filippo di essersi accordato con Dario per avvelenarlo.
noto un dipinto del medesimo soggetto attribuito a Fedele Fischetti che oggi fa parte della collezione della Ragione ( fig. 2 )
Questo disegno, che appare come opera finita piuttosto che come studio o bozzetto, potrebbe essere preparatorio per una stampa o per lillustrazione di un libro, ma non pu neppure escludersi una
sua funzione di presentazione al committente di un progetto decorativo.
Del Fischetti si conservano anche alcuni disegni specificamente riferibili alle decorazioni del Palazzo Casacalenda tra cui, nel Museo Hangier, un bozzetto per lepisodio del Sogno di Alessandro e
unAllegoria di Giove in Olimpo con ai lati quattro Geni alati.
Un altro gruppo di disegni del Fischetti posseduto dalla Societ Napoletana di Storia Patria e
qui sarebbe utile un esame comparativo.
Notevole anche laffinit, nelluso dellacquerello e nella definizione dei volti, tra questo disegno
ed il foglio settecentesco conservato presso la Fondazione Pagliara a Napoli, attribuito ad un non meglio precisato artista solimenesco. (fig. 3 ).
39
LArtista
Fedele Fischetti (Napoli 1732 1792) si
form in ambito solimenesco nella bottega del
Borrello ed ader al classicismo romano di indirizzo batoniano.Lavor tra il 1759 ed il 1766 nelle
Fig. 3 - Ignoto solimenesco - Le 4 parti del mondo
chiese napoletane eseguendo tele di qualit non
Napoli collezione Pagliara
eccelsa.Questo interessante esponente del barocco
napoletano si fa notare con le sue opere giovanili
dal Vanvitell, di cui rimarr per tutta la vita un protg impegnato come decoratore in numerosi palazz
nobiliar della citt e delle principali residenze reali fuori della capitale del Regno. In queste vaste decorazion a fresco, la tendenza a contemperare caratter della locale tradizione figurativa, legata agli
esempi del Solimena, del De Matteis, e del De Mura, con le nuove istanze classiciste e accademizzanti
trov gli esiti pi brillanti.Tra le moltissime commissioni ricevute grazie al Vanvitelli spicca nel 1770
lincarico della decorazione a fresco di vari ambienti del palazzo napoletano della famiglia dei duchi
di Casacalenda, al tempo in ristrutturazione dallo stesso Vanvitelli.Qui il Fischetti raffigur, su precise
indicazioni dello stesso architetto, alcune Storie di Alessandro Magno; gli affreschi staccati nel 1922 e
nel 1956 dai saloni originari sono ora esposti nel Museo di Capodimonte. Nel 1771 lo stesso Vanvitelli
aveva espresso parere favorevole alla sua ammissione tra i pittori che avrebbero decorato il palazzo
reale di Caserta, e qui, tra il 1777-78 e il 1781, il Fischetti fu uno dei maggiori artefici accanto allanziano Bonito.La ricerca di un linguaggio artistico pi aderente alle nuove esigenze neoclassiche, libero
dai legami con la tradizione, presente con la stessa intensit cos nella pittura come nella grafica.
Bibliografia
Fiengo G. Documenti per la storia dellarchitettura e dellurbanistica napoletana del Settecento
Napoli 1977
Pisani M. I Fischetti, in Napoli nobilissima, XXVII, pag. 112 -121 Napoli 1988
Spinosa N. La pittura napoletana del Settecento. Dal rococ al classicismo, fig. 271, scheda 206
Napoli 1993
della Ragione A. Collezione della Ragione, pag. 44 45 Napoli 1997
40
Il tema dellAdorazione dei magi, spesso in pendant con lAnnuncio ai pastori, tra i pi trattati dal
Nostro artista ed abbiamo numerosi esempi da segnalare, riferibili cronologicamente a vari periodi.
Il dipinto da cui partiamo per la nostra carrellata quello (tav. 1) conservato a Napoli a palazzo
Zevallos, gi della collezione del Banco di Napoli, il quale, prima di essere acquistato nel 1985, fu
presentato nel 1981, in pendant con un Annuncio ai pastori oggi in collezione Johnson, ad una importante mostra antiquariale organizzata dalla Matthiesen Gallery e tenutasi a Londra nel 1981.
La monumentalit dellimpianto compositivo, ma soprattutto la tavolozza pi ricca e vivace, oltre
alla intensa luminosit della scena, inducono ad ipotizzare una datazione dopo il 1635, quando la rivoluzione cromatica, che interess la pittura non solo napoletana, ma anche romana, genovese e siciliana, si instaur sulla scorta degli esempi del Rubens e del Van Dyck.
41
Agli stessi anni appartengono anche le due versioni di Madrid (fig. 1) e Valencia (tav. 2) pubblicate nel 1985 dal Perez Sanchez, le quali presentano lo stesso schema compositivo riproposto con minime varianti.
La stessa scena ruotata con il Bambinello sulla destra caratterizza una versione (tav. 3 - fig. 2)
conservata in una collezione privata a Barcellona ed una (tav.4) presso lantiquario Febbraio a Napoli,
che fu esposta alla mostra Ritorno al Barocco.
Infine segnaliamo una tela (fig. 3), gi presso la collezione Ruffo della Scaletta a Roma, dalla quale in epoca imprecisata fu ritagliata fa figura del re mago a sinistra (fig. 4) e residu parte della composizione originaria, che diede luogo ad un autonomo dipinto (fig. 5).
Da espungere con certezza la tela (fig. 6) di propriet dellUniversit di S. Barbara in California,
eseguita da un ignoto stanzionesco.
Anche del tema dellAdorazione dei pastori
ci sono pervenuti diversi esemplari.
Tra questi uno dei pi studiati quello (tav. 5)
conservato a Rimini nel museo della Citt, al quale fu donato nel 1934 dalla nobildonna Elena des
Vergers de Touloungeen.
42
Longhi riteneva che esso costituisse uno dei migliori modelli preparatori per la grande composizione che anticamente ornava la controfacciata della chiesa napoletana di San Giacomo degli Spagnoli. Citata dal Celano come opera di Bartolomeo Bassante e dal De Dominici, che ne sottolineava lispirazione ai modi del Ribera, la composizione scomparve agli inizi dellOttocento, quando furono
eseguiti lavori di trasformazione delledificio che comprendeva la chiesa in palazzo dei ministeri, divenuto oggi sede del municipio napoletano.
Esistono numerose altre versioni del dipinto: una presso Maitre Kohm a Bourg en Bresse, una seconda (fig.7), pi famosa e senza varianti rispetto alla precedente, a Firenze presso la Fondazione Roberto Longhi, una terza, pi piccola e con molte varianti, conservata a Valenza nella cappella della
Comunione della chiesa di San Tommaso, dove fa da pendant ad una Adorazione dei magi.
Alla tela di Rimini si potrebbe associare come pendant, avendo misure analoghe, lAdorazione
dei magi (tav. 3) di una collezione privata a Barcellona.
Tenendo conto delle dimensioni cospicue della tela in esame e delle altre prima citate, sarebbe pi
opportuno considerarle tele autonome e non bozzetti preparatori.
43
tario, ha avanzato lipotesi che possa trattarsi del dipinto presente nel 1698 nella raccolta napoletana
di Francesco Montecorvino.
Unaltra notevole Adorazione quella (fig.7tav.9) della collezione Neapolis di Ginevra, che fu
esposta nel 1999 presso la Walpole Gallery di Londra, collocabile cronologicamente verso la fine del
terzo decennio.
Unaltra versione (tav.8) di notevole qualit conservata a Gerusalemme, dove si trova da quando
nel 1849 fu regalata dalla Spagna. Di recente stata esposta ad una importante mostra organizzata
dalla Galleria Canesso tenutasi a Lugano.
45
Un genere che incontr larga affermazione nella pittura napoletana del Seicento e lusinghiero successo tra i collezionisti fu la battaglia.
La nobilt amava adornare le pareti dei propri saloni con delle battaglie raffiguranti singoli atti di
eroismo o complessi combattimenti che esaltavano il patriottismo e labilit bellica, virt nelle quali
i nobili amavano identificarsi.
Anche la Chiesa fu in prima fila nelle committenze, incaricando gli artisti di raffigurare gli spettacolari trionfi della cristianit sugli infedeli, come la memorabile battaglia navale di Lepanto del 1571,
che segn una svolta storica con la grande vittoria sui Turchi, divenendo ripetuto motivo iconografico
pregno di valenza devozionale, replicato pi volte per interessamento dellordine domenicano, devotissimo alla Madonna del Rosario, la quale seguiva benevolmente le vicende terrene dallalto dei cieli.
Altri temi cari alla Chiesa nellambito del genere furono ricavati dallAntico e dal Nuovo Testamento, quali la Vittoria di Costantino a ponte Milvio o il San Giacomo alla battaglia di Clodio, argomenti trattati magistralmente da Aniello Falcone, che fu il pi preclaro interprete della specialit,
Oracolo riconosciuto ed apprezzato, sul quale ha scritto pagine insuperate il Saxl nella sua opera
Battle scene without a hero, una acuta ricerca che non ha trovato leguale nellanalisi di altri grandi
battaglisti del Seicento, quali Salvator Rosa o Jacques Courtois, detto il Borgognone.
A Napoli fu molto diffuso il sottile piacere della contemplazione delle battaglie presso masochistici voyeurs, che prediligevano circondarsi, non di procaci nudi femminili dalle forme aggraziate ed
accattivanti o di tranquilli paesaggi, n di severi ritratti o di languide nature morte, bens di gente che
si azzuffava a piedi o a cavallo, usando spade sguainate ed appuntiti pugnali, dando a destra e a manca
terribili fendenti in ariosi e fumosi, sereni o temporaleschi, pianeggianti o collinari scenari, ideali comunque per tali bisogne (Bertolucci).
Francesco Graziani, detto Ciccio Napoletano, un battaglista minore attivo tra Napoli e Roma
nella seconda met del XVII secolo.
48
Egli probabilmente originario di Capua perch in alcune fonti ricordato come Ciccio da Capua.
E poco noto al De Dominici, il quale non certo se egli fosse il padre o un parente di Pietro Graziani,
battaglista attivo nei primi decenni del XVIII secolo. Filippo Titi in una sua guida delle chiese romane
cita due suoi quadri, ma oggi visibile solo quello conservato nella cappella Cimini di SantAntonio
dei Portoghesi, databile al 1683.
Gli inventari della quadreria Barberini, redatti nel 1686, accennano a suoi quadri di battaglia e di
marine, ma oggi non sono pi identificabili.
Il Salerno, studioso dellartista ed estensore della scheda nel catalogo della mostra sulla Civilt
del Seicento a Napoli, gli assegna poche opere certe: due battaglie nel museo civico di Pistoia e quattro nel museo civico di Deruta, una delle quali porta sul retro della tela lattribuzione del Pascoli del
Graziani eccellente pittore.
Alla mostra furono presentati come autografi due paesaggi della Galleria Doria Pamphily, in precedenza assegnati ad un ignoto seguace del Dughet.
Tra gli antiquari napoletani facile trovare delle tele, spesso di piccolo formato, ed a volte dipinti
su rame, che possono ragionevolmente essere assegnati al Graziani, ma purtroppo la critica fa ancora
molta confusione rispetto allopera di Pietro Graziani e di un altro pittore, stilisticamente vicino ed
ancora da identificare.
Lo stile di Francesco Graziani tagliente, con le figure dei soldati e dei cavalieri appena abbozzate; il cielo sovrasta le battaglie, incombendo pesantemente con un cromatismo plumbeo di un rosso
caliginoso, che sembra partecipe dello svolgersi tumultuoso degli avvenimenti.
Pietro Graziani, probabilmente figlio di Francesco, attivo tra la fine del XVII secolo e gli inizi
del XVIII. La sua pittura mostra un brio ed una scioltezza di tocco che caratteristica gi del Settecento. Gli si possono assegnare un gruppetto di opere che si differenziano in senso pi moderno dalla
produzione di Francesco.
Il Chiarini si impegnato nel 1989 nella ricostruzione del suo catalogo; in particolare gli ha attribuito quattro battaglie di cavalieri, oggi nel museo civico di Prato, provenienti dalla galleria Martini
dellospedale della Misericordia e Dolce, che in precedenza il Papini aveva ritenuto opera di Ercole
Graziani (1688 - 1765), un altro congiunto della dinastia del quale al momento sappiamo molto poco.
Dopo questo breve preambolo presentiamo due dipinti inediti di propriet dellantiquario Febbraio di Napoli, (fig. 1-2) eseguiti da Ciccio Graziani, nei quali si possono apprezzare i caratteri stili49
stici del pittore, dalle figure dei protagonisti appena accennate con pennellate nervose senza particolare cura dei particolari, ai colori terrei della tavolozza, in grado di produrre nellosservatore una
partecipazione emotiva alla cruenta battaglia rappresentata.
Pittore ancora poco conosciuto nellampio
panorama figurativo napoletano attivo intorno alla met del secolo XVII, Carlo Coppola fa parte
della variegata bottega di Aniello Falcone, nella
quale occupava certamente una posizione di rilievo ed era benvoluto da tutti, come si evince dalle
Fig. 5 - Carlo Coppola - Battaglia di ponte Milvio
80 - 100 - Roma collezione privata
parole del De Dominici, che dellartista ci tramanda poche notizie a margine delle pagine dedicate al celebre maestro.
Oltre che notevole battaglista, egli fu abile anche nelle scene di martirio ed in quadri storici e di
vedute. Impregnato della cultura tardo manierista di Belisario Corenzio, ebbe due sfere di attrazione:
il Falcone ed il Gargiulo.
Dal primo prende ispirazione per i quadri di battaglia e gli esempi del suo maestro sono utilizzati
come repertorio di immagini stereotipate, rese con toni caldi e colori scuri, mentre nei martiri e nei
quadri storici le soluzioni di maggiore libert pittorica e chiaroscurale, prelevate da Micco, sono molto
marcate.
Altri debiti culturali sono contratti con Callot,
con il Tempesta, con Scipione Compagno e con
Andrea Di Lione.
Egli fu attivo per oltre venti anni, dal 1640 al
1665 ed il suo catalogo, interessante perch testimonianza di un particolare momento storico e dei
gusti della committenza privata, ancora da definire, anche se molti suoi lavori sono siglati.
Ritorniamo alle parole del De Dominici: Fece assai bene di battaglie, e tanto che molte volte
le opere sue si cambiano con quelle dello stesso
Maestro, ma tanto i soldati, quanto i cavalli del
Coppola hanno una certa pienezza pi di quelli
del Falcone, e massimamente le groppe de cavalli sono assai rotonde, il che a cavalli da guerra non
molto conviene.
Come sempre il celebre biografo riesce acutamente a definire lo stile di un autore ed a mettere in risalto un aspetto importante della sua attivit, che ha contribuito a confondere parte della
sua produzione migliore con lopera del maestro.
Infatti, nonostante labitudine di siglare le sue
opere, la disonest dei mercanti, abili col raschietFig. 6 - Aniello Falcone - Battaglia (particolare)
to, ha spesso, non solo ai tempi del De Dominici,
Inghilterra collezione privata
50
fatto passare per Falcone battaglie del Nostro, mentre pi di una scena di paese, viene assegnata dalla
critica al Gargiulo, compagno di bottega, che negli ultimi anni ha incontrato, grazie ad unesaustiva
monografia e ad una mostra molto curata, un cospicuo successo commerciale.
Un modo per riconoscere il pennello del Coppola nei dipinti non firmati quello di osservare attentamente le terga e la coda dei suoi cavalli, presenti non solo nelle battaglie, ma anche nelle scene
di martirio.
Le prime sono sempre imponenti, poderose e di evidenza scultorea, mentre la coda costantemente vaporosa e ricchissima di crini, che arrivano fino a terra. Un dettaglio che, per la sua originalit,
costituisce una sorta di sigla nascosta e che possiamo osservare nel Martirio di SantAndrea, di collezione romana, nella Lapidazione di Santo Stefano, passata nel 1994 sul mercato antiquariale, nella
Crocefissione di San Pietro, in asta presso Semenzato, Milano 1991, nei Cavalieri con armatura a cavallo (fig. 3), passato come De Lione in unasta Semenzato del 2003 ed in opere forse di bottega, come
la Scena di Battaglia, della raccolta de Bellis di Roma.
I suoi cavalieri indossano elmi piumati ed i destrieri si stagliano imponenti in primo piano, mentre
sullo sfondo la scena del combattimento dominata da castelli turriti e paesaggi collinari.
Pienamente rispettati i caratteri distintivi patognomonici nei due inediti
che segnaliamo.
Il primo (fig. 4), una Battaglia
dellantiquario Febbraio di Napoli, presenta in primo piano un cavallo dalla
groppa poderosa e dalla coda vaporosa
che tocca quasi terra oltre al castello
turrito sulla sinistra.
Il secondo (fig. 5), di una privata
raccolta romana, raffigurante la Battaglia di ponte Milvio, deve la certezza
dellautografia, pi che al cavallo rampante, ripreso di lato, al torrione sulla siFig. 10 - Battaglia - Napoli museo di Capodimonte
51
52
Una importante aggiunta al catalogo di Nicola Malinconico costituita da una splendida quanto
misconosciuta pala daltare, firmata, conservata ad Avella nella Colleggiata di San Giovanni dei fustiganti, raffigurante la Sacra Famiglia in gloria con i santi Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e
Sebastiano (fig. 1).
Prima di descrivere il dipinto accenniamo brevemente allattivit del pittore, attivo sia sul finir del
Seicento che nel Settecento, rinviando chi volesse approfondire la sua conoscenza ai nostri scritti(tutti
consultabili sul web, digitandone il titolo), partendo da Nicola Malinconico pitture entro il Seicento,
proseguendo poi con Nicola Malinconico un generista da rivalutare, Nicola Malinconico pittore settecentesco ed infine alle pagine a lui dedicate nel
Secolo doro della pittura napoletana: vol. V, pag.
360, vol. VIII, IX, X, pag. 497 498 499.
Un allievo di Giordano che raggiunge notevole autonomia e che gli studi recenti del Ravelli
e del Pavone hanno messo nella giusta luce Nicola Malinconico (Napoli 1663-1727), figlio di
Andrea, un modesto stanzionesco e fratello di
Oronzo, artista di minore talento.
Nicola fu versato sia nella natura morta che come pittore di Istorie, cui si dedic maggiormente.
Egli segu il nuovo orientamento giordanesco, tutto
giocato sui toni chiari e si avvalse della sua freschezza di colore, la onde dipinse opere cos vive, e
belle che da taluno fu stimato il suo colorito pi vago di quello dello stesso maestro (De Dominici).
La sua biografia viene presentata nelle Vite
in maniera confusa sia nellambito dei discepoli
dello Stanzione, tra i quali vi era il padre, sia tra i
discepoli del Giordano. Il De Dominici non teFig. 1
nero con lartista per via del suo antagonismo con
il Solimena ritenuto, giustamente, pittore di prima
riga. In seguito altri biografi ne hanno valorizzato lopera, come il Dalbono, che lo isola, assieme al
De Matteis, dal seguito giordanesco per porlo in bella prospettiva.
Per il suo percorso di generista sono da ricordare il suo apprendistato presso il Belvedere e la sua
prima fatica di rilievo, la famosa Natura morta con pavone del museo di Vienna, firmata, che nella
sua esuberanza compositiva, nellimpasto ricco di colore e soprattutto negli sfondi con figure appena
accennate e orlate di luce, si rif direttamente ad una sensibilit per le forme opulente di timbro giordanesco (Scavizzi).
In seguito la critica, per stringenti affinit stilistiche, gli ha associato altre tele come le due della
Walters Art Gallery di Baltimora ed un Giardino con fiori ed un putto pubblicato dal Salerno.
53
54
Napoli citt ricca di musei prestigiosi con punte di diamante quali Capodimonte, San Martino
ed il museo nazionale archeologico. A questo gi vistoso patrimonio si aggiunge ora un piccolo museo
etrusco grazie al Padre provinciale dei Barnabiti di Napoli, Pasquale Riillo, circa 800 reperti antichi
sono infatti visibili da marzo presso la sede dellIstituto Denza a Posillipo. Allestito a cura dellarcheologa dottoressa Fiorenza Grasso, il museo ospita reperti che appartengono al periodo collocabile
tra let del bronzo e lepoca imperiale e provengono dalla collezione di Leopoldo De Feis, databile
verso la seconda met dell800, quando il padre barnabita li raccolse con la volont di dotare il collegio fiorentino barnabita Alle Querce di un museo didattico dedicato a questa antica popolazione.
Purtroppo per mancanza di fondi il collegio fu chiuso nel 2003 e la collezione fu conservata nei depositi della sede barnabita di Firenze. Dopo un lungo periodo, con il trasferimento a Napoli del padre
provinciale dei Barnabiti, oggi i reperti sono esposti al pubblico e fruibili dallintera citt.
Una straordinaria occasione per conoscere le tracce di un ampio dominio, arrivato fino in Campania.
Linsediamento etrusco Caudium rappresenta, infatti, una delle pi importanti testimonianze degli
Etruschi in Campania. Una realt che coinvolge una vasta area, a partire dalle zone di Montesarchio
fino alle terre dellAgro Picentino dove sorgono Nola, Nocera, Ercolano, Pompei e tante altre importanti citt tra le quali Capua, che risulta essere una dei principali capoluoghi etruschi del territorio.
Un prezioso patrimonio storico e culturale che racconta dei Napoletani, della loro storia e delle
radici da cui provengono. Una realt che varr la pena conoscere.
Gli Etruschi erano un popolo stanziatosi tra lalto Lazio e lattuale Toscana agli albori del VIII
secolo a.C. LEtruria, secondo Strabone, si estendeva sino al salernitano Agro Picentino, dove nacquero le citt di Nola, Nocera, Ercolano, Pompei, Marcina, Velcha, Velsu, Irnthi, Uri Hyria, Capua,
tra cui questultima era quella egemone.
55
Vivevano di unarte propria, senza alcun influsso esterno, e prima dellarrivo dellimperialismo
romano la presa di Veio avviene nel 396 a.C. ci hanno lasciato ceramiche, urne funerarie, pitture,
tombe e altre testimonianze della loro cultura.
Ottocentoventicinque reperti, per gli amanti della precisione, che vanno dal 7 al 3 secolo avanti
Cristo. Di questi, 250 sono stati ritrovati nella zona di Orvieto e sono proprio depoca etrusca. Altri
47, invece, sono reperti di origine sannitica provenienti dalla zona di Montesarchio. Questi ultimi sono
passati per mani di proprietari illustri come la reale famiglia DAvalos dAragona. Coppe e brocche
con pregiati mascheroni decorativi con cinghiali e cavalli alati nei tipici colori nero lucente.
Tra i pezzi di maggior pregio larcheologa Fiorenza Grasso, che si occupa della struttura, cita dei
calici con decorazioni a cilindretto e delle brocche con decorazioni a rilievo di stile orientalizzante e
ribadisce limportanza del fatto che gran parte degli oggetti esposti siano in ceramica di bucchero, elemento tipico dellepoca trattata. La caratteristica di questo materiale, quella di essere di un nero lucente allesterno, in superficie, cos come mantiene lo stesso colore anche al suo stesso interno, al suo
spessore, o in frattura cos tecnicamente si indica. Altro pezzo da non perdere un sarcofago in terracotta databile tra la fine del 3 e linizio del 2 secolo avanti Cristo, con una splendida raffigurazione
di una figura femminile riccamente ingioiellata.
Il museo suddiviso in quattro sale che sono state anche attrezzate con appositi pannelli esplicativi e le visite gratuite avvengono tramite prenotazione.
56
Il primo e pi consistente nucleo della collezione comprende reperti delle necropoli etrusche
orvietane di Crocifisso del Tufo e della Cannicella, che in quel periodo erano in fase di scavo. Tra
i materiali di provenienza orvietana si segnala un
gruppo di ceramiche di bucchero decorate a rilievo con soggetti orientalizzanti, ceramica proto corinzia e unampia selezione di graffiti etruschi su
oggetti di bronzo e ceramica. Di eccezionale livello artistico il sarcofago in terracotta con imFig. 7 - Ceramica a figure rosse
magine muliebre distesa su letto funebre, di cui
abbiamo prima accennato.
Il secondo pi consistente nucleo della raccolta esito della donazione della famiglia DAvalos, feudataria di Montesarchio, citt sorta sullantica Caudium, indagata da sporadiche esplorazione gi nel corso del Settecento. I materiali provengono dalle necropoli cittadine del periodo arcaico; sono esemplificative le ceramiche di produzione campana a figure rosse e fibule di bronzo di varie tipologie.
Il terzo nucleo pi consistente rappresentato dalle iscrizioni di epoca imperiale donate dal barnabita Luigi Bruzza e provenienti dal territorio romano. Tra gli altri materiali notevoli si indicano: una
statuina raffigurante la dea Minerva, dono della famiglia Strozzi, un gruppo di ex voto provenienti dal
territorio di Tivoli, unurna cineraria di vetro e strigili di bronzo.
57
massa pittorica appare pi levigata, pi morbidamente plasmata e meno vibrante di vita. Qualche
indulgenza ad un gusto manieristico pi abboccato, un certo compiacimento formalistico, un senso morale pi allentato e molte concessioni di indole pietistica e devozionale che suggeriscono il
nome di Cesare come collaboratore, qui impressionato dalla prepotente personalit del fratello
(DElia).
Si tratta di poderosi personaggi vestiti di rudi
panni, con attributi iconografici irrilevanti che solo con lausilio della fantasia ne permettono lidentificazione con San Bartolomeo, San Simone
o San Matteo. Pi facile riconoscere S. Andrea o
il Redentore.
Sotto lapparenza di santi scorre una galleria
di ritratti dal vero di rudi contadini e di fieri pastori, personaggi che vivono e lavorano ancor oggi con fatica tra le pietraie delle Murgie e gli oliveti del Salento.
59
60
morale, senza indulgere ad un formalismo decorativo: un fondo scuro dal quale campeggia una figura,
severa e bonaria allo stesso tempo, realizzata con una pennellata generosa, grassa e pastosa, quella
che sar definita tremendo impasto, piena di impeto e pregna di una luce rigorosa che penetra nelle
pieghe della fronte e nelle mani, forti e nodose.
Sono certamente tra le prime prove di Francesco, come si evince chiaramente nel San Bartolomeo
con la sua intatta monumentalit, la sua dirittura morale, la sua ridondante materia pittorica che richiama, e forse precede, le austere figure presenti nelle Storie di San Gregorio Armeno e in egual misura il San Paolo che scrive lepistola a Filomene, gi nel coro del duomo di Pozzuoli, che Zeri credeva di Cesare, ma che, come gi affermava lOrtolani, uno degli esiti pi coerenti di Francesco.
Il De Dominici accenna allattivit del Fracanzano nella bottega del Ribera:il maestro molto lo
adoperava nelle molte richieste di sue pitture... mezze figure di santi e di filosofi.
Nessuno di questi quadri, attribuibili con un buon margine di certezza alla sua mano, firmato o
datato, probabilmente perch spesso dovevano passare per autografi del maestro e ad avvalorare questa ipotesi ci soccorrono di nuovo le parole del biografo il Maestro molto lo adoperava nelle molte
richieste di sue pitture e massimamente per quelle che dovevano essere mandate altrove, ed in paesi
stranieri... egli cos simile allopera del Ribera che bisogna sia molto pratico di lor maniera chi vuol
conoscerlo... nellesprimere la languidezza delle membra, nella decrepit dei suo vecchi.
Il San Pietro in esame rientra pienamente in quella produzione di alta qualit che poteva tranquillamente reggere lattribuzione al maestro.
61
Cominciamo questa carrellata tra sederi ben esposti e poppe al vento nei dipinti con soggetto mitologico del De Matteis con uno splendido nudo eseguito prima del viaggio del pittore a Parigi: una
Leda e il cigno (tav. 1) che comparve alla vendita del giugno 1991 presso la Sothebys a Montecarlo,
la quale, in qualche modo, anticipando per il soggetto illustrato e per la ripresa delle Veneri e di altri
modelli affini di Luca Giordano, altre composizioni con il mito di Danae del Museo di Detroit (tav.
2), del museo di Bahia (tav. 3) e di una raccolta privata inglese (tav. 4), permette di cogliere le varianti
di resa pittorica riscontrabili nella sua produzione prima e dopo il soggiorno parigino.
Questa ultima composizione fu probabilmente a conoscenza del Solimena, che la replic con varianti nella piccola tela gi presso la collezione Harris a New York.
Alla Leda ed il cigno, o probabilmente subito dopo, sembra appartenere, nel giro di pochi anni e
comunque prima del 1710, un nucleo numericamente consistente di prestigiose composizioni, come
62
una Galatea in coppia con unAnfitrite gi presso Corsini a Montecarlo (tav. 5 - 6), un Apollo e Dafne
di una privata raccolta a Berkley, California, lAurora con il carro del Sole (tav. 7) e il Trionfo di Galatea del castello di Pommersfelden, gi assegnati variamente al Trevisani, al Marchesini o allAmigoni, prima che Schleier nel 1979 li restituisse al napoletano, la Venere dormiente (fig. 3), firmata, di
una raccolta romana, il Bacco e Arianna, firmato e datato 1709, di una collezione milanese, di cui (
sempre Spinosa a ricordarlo) al muse di Poitiers dai depositi del Louvre si conserva una tela di minori
dimensioni, ma con lo stesso soggetto, anche se diversamente illustrato, la tela sempre con Bacco e
Arianna, firmata e datata 1709, presso Zecchini a
Milano (tav. 8) e, infine, lAndromeda nelle versioni della collezione Stanley Goulde a Londra e
del Museum of Art di Bridgeport.
Prima di proseguire il discorso, esaminando
altre iconografie, approfondiamo lesame delle
versioni della Danae precedentemente citate partendo da quella (tav. 4) di collezione privata inglese.
Il dipinto, firmato e datato 1704 sulla base
della colonna a destra, illustra un celebre mito, di
origine greca, ma raccontato anche da Ovidio nelle Metamorfosi (IV,611) e rappresentato pi volte,
in versioni con varianti, da Tiziano, in particolare,
e da altri pittori del Cinquecento come Correggio
o Tintoretto.
Danae, figlia di Acrisio, re di Argo, era stata
rinchiusa dal padre in una torre o in una camera
sotterranea in bronzo, affinch non restasse gravida e partorisse un figlio che, secondo la profezia
delloracolo di Delfi, da grande lo avrebbe ucciso.
Ma Giove, invaghitosi della bellissima giovane,
Tav. 7 - Aurora e trionfo di Apollo sul carro del sole trasformatosi in una pioggia di monete doro, riu151 - 125 - Pommersfelden
collezione Conte von Schonborn
sc ugualmente a possederla, penetrando nella ca63
mera blindata attraverso una fessura nel tetto. Dalla unione sarebbe poi nato Perseo, che involontariamente, anni dopo, avrebbe effettivamente ucciso il nonno Acrisio.
Nel Seicento il tema fu riproposto da esponenti di scuole e tendenze pittoriche diverse, sia italiane
che straniere (tra gli stranieri una citazione particolare spetta, ovviamente, a Rubens e a Rembrandt).
Nellambito della scuola napoletana, per la trattazione di questo stesso
soggetto dalle evidenti allusioni erotiche, ma non solo, per la tela qui in esame il riferimento pi pertinente , agli
inizi del secondo Seicento e in ormai
avviata stagione barocca, a Luca Giordano. Del quale, anche se finora conosciamo, con la illustrazione del mito di
Danae, solo un disegno a penna e acquerello firmato, nelle raccolte grafiche
della Galleria Estense di Modena, mentre ancora non stato rintracciato il dipinto di palmi 2 per 2, segnalato nel
1688 nella raccolta di Ignazio Provenzale duca di Collecorvino, sono ben note, per evidenti riferimenti ai celebri
prototipi di Tiziano con raffigurazioni
sia del mito in argomento che di Venere
dormiente, le varie rappresentazioni di
Tav. 10 - Galatea - 125 - 127 - firmato e datato 1692
Venere con satiro e Cupido o di LucreMilano pinacoteca di Brera
64
secondo decennio del 700, la scena concentrata sulla Galatea. La ninfa, date anche le piccole dimensioni del supporto, avanza sola varcando il mare sul suo carro di conchiglia trascinata dai delfini
e dalla ingegnosa ruota a pale di raffaellesca memoria. La levigatezza della materia e degli incarnati
risente della classicit marattesca, con cui lartista si confrontato a Roma, e la sua poetica ha ormai
impreziosito la morbidezza ariosa del Giordano e virato il suo linguaggio verso una spiccata classicit
che avr larga eco in Europa.
Ricordiamo infine con diverse iconografie un Loth e le figlie (tav. 11), un Trionfo di Nettuno ed
Anfitrite (tav.12) ed una Fanciulla sdraiata con Cupido, tutti in collezione privata.
65
Fin dal II secolo a.C. lo sperone tufaceo del Rione Terra, la rocca dellantica Puteoli, era dominata
dal Capitolium, il tempio dedicato alla triade celeste Giove, Giunone e Minerva venerata dai Romani sul Campidoglio.
Questo complesso di epoca molto antica e sorse probabilmente in epoca greca o sannitica come
Capitolium della citt. Fu radicalmente ristrutturato in et repubblicana sino ad essere completemente
riedificato in et augustea. Fu fatto erigere dal ricco mercante Lucio Calpurnio in onore dellimperatore Ottaviano Augusto, come riferisce uniscrizione con dedica: L. Calpurnius L.f. templum Aug.
cum ornamentis d.s.f. (Lucio Calpurnio, figlio di Lucio, dedic a sue spese questo tempio ed il suo
arredo ad Augusto), e fu costruito dallarchitetto Lucio Cocceio Aucto sui resti di un precedente tempio di et repubblicana risalente al 194 a.C., che gi era stato fatto restaurare da Silla nel 78 a.C. La
planimetria delledificio puteolano corrisponde quasi perfettamente alla definizione di tempio pseudoperiptero data dal celebre storico dellarchitettura Marco Vitruvio Pollione nel suo trattato De Architectura e ne rappresenta uno dei migliori esempi, insieme alla Maison Carre di Nimes e al tempio
di Apollo sul Palatino. I ritrovamenti archeologici compiuti in questi ultimi cinquantanni nellintera
area hanno indotto Fausto Zevi a ritenere che sul
Rione Terra abbiano operato maestranze sceltissime, formatesi direttamente sugli insegnamenti dei
grandi cantieri augustei di Roma.
Si pu quindi sostenere che se Puteoli nel II
secolo a.C. poteva essere definita Delus minor
per la straordinaria ricchezza dei suoi traffici, al
tempo di Augusto essa divenne una parva Roma, per la magnificenza e leleganza dei suoi
edifici.
Tra la fine del V e gli inizi del VI secolo i puFig. 1 - La cattedrale dopo lincendio del 1964
teolani decisero di dedicare, come chiesa, questo
edificio di et augustea al loro santo patrono Procolo. Il cristianesimo, del resto, era penetrato nei Campi Flegrei assai per tempo. Nel 61, quando lapostolo Paolo sbarc a Pozzuoli nel suo viaggio verso Roma, vi trov gi una comunit di fratelli, secondo lautorevole testimonianza degli Atti degli Apostoli (28, 13-15)
Nel 1538 sub gravi danni a sguito dello sprofondamento di Tripergole e della conseguente nascita del Monte Nuovo. Il vescovo Gian Matteo Castaldo lo restaur, e per far fronte alla spesa occorrente, ottenne dal pontefice Paolo III, con un decreto del 16 giugno 1544, la facolt di vendere i beni
stabili della mensa vescovile fino al prezzo di 200 ducati doro.
Progressivamente il tempio perse la sua fisionomia finendo per essere quasi interamente inglobato
in fabbriche successive, spesso disorganiche, dettate unicamente dalle esigenze del culto.
Agli inizi del XVII secolo la diocesi puteolana fu governata da un vescovo spagnolo proveniente
dallordine agostiniano, assai ben introdotto a corte: monsignor Martin de Len y Crdenas. Uomo
colto e raffinato, il de Len aveva viaggiato fin nel Nuovo Mondo ed aveva vissuto per diverso tempo
a Roma. Amico intimo del vicer di Napoli, Emanuel de Fonseca y Zunica, conte di Monterey, grazie
66
drale e dal 1995 la moderna chiesa di San Paolo, nel quartiere di Monterusciello, quelle di concattedrale.
Il Rione Terra, entro il quale sorge la cattedrale puteolana, fu sgomberato nel 1970 per i danni subiti a seguito di una crisi bradisismica, sebbene lo sgombero fosse richiesto anche per le pessime condizioni igieniche che vi albergavano. Rimase solo il Vescovo per salvaguardare lo svolgimento dei lavori di restauro, iniziati nel 1968 e guidati dal noto museografo Ezio De Felice, ma gli intoppi burocratici e le difficolt di reperimento dei finanziamenti, ritardarono enormemente lesecuzione, portando, il 10 maggio 1979,alla definitiva interruzione delle opere.Il terremoto del 23 novembre 1980, con
il forzato allontanamento del Vescovo, e laccentuazione del bradisismo del 1983-84 poi, determinarono il totale abbandono del monumento, che fu sottoposto ad atti vandalici e saccheggi. I lavori ripresero nel 1994, dopo una interruzione di circa due anni, grazie alla costituzione di un consorzio, denominato Rione Terra. Infine, nel luglio 2003, la Regione Campania band un Concorso internazionale di progettazione per il Restauro del monumento, vinto dal progetto del gruppo guidato dallarchitetto Marco Dezzi Bardeschi.
Oggi, a seguito dei restauri non ancora ultimati che prevedono ancora la costruzione di un nuovo
campanile, la cattedrale si presenta come lunione di due realt apparentemente opposte: il tempio
classico e la chiesa tardo barocca, da qui lidentificazione del monumento con il nome di Tempio Duomo.
Lingresso avviene attraverso i resti della facciata e delle prime due cappelle della cattedrale barocca, il cui insieme oggi si presenta come un nartece scoperto che precede la nuova facciata in cristallo strutturale sulla quale sono state
rappresentate in serigrafia le colonne
frontali del pronao andate distrutte.
La cattedrale presenta ununica navata, allestita nella cella e nel pronao, i
cui intercolunni laterali sono stati richiusi con alte pareti in cristallo strutturale, dellantico Tempio romano;
stato riportato il pavimento del Tempio
alla sua quota originaria ed stato scavato al suo interno il piano dello stilobate realizzando un piano inclinato
Fig. 4 - Interno con sullo sfondo laltar maggiore
(con le panche) di raccordo con lo spazio del presbiterio posto ad una quota
pi bassa, in modo da valorizzare il percorso archeologico sottostante, nel quale sono conservati i resti
del Podio di et repubblicana identificato con il Capitolium della colonia romana del 194 a.C.
Nel presbiterio stato allestito un nuovo altare rivolto verso i fedeli, una sede posta in luogo dellantico altare maggiore, andato perduto e un ambone artistico in marmo, nel coro invece sono stati
recuperati gli affreschi dellinizio del XX secolo e sono state ricollocate le 13 tele barocche rimosse
dopo lincendio.
Lantica Sagrestia e la cappella del SS. Sacramento, nella quale stato costruito un nuovo altare
per la custodia del SS. Sacramento e sono state ricollocate alcune delle tele presenti prima della chiusura della cattedrale, hanno riassunto le loro destinazioni dorigine.
Il tempio di et augustea inglobato nella chiesa barocca esistito fino al 1964. Nella notte tra il
16 e il 17 maggio di quellanno, infatti, un violento incendio lo ha devastato, distruggendo molte insigni opere darte. Negli anni successivi i resti del tempio sono stati oggetto di un intervento di re68
stauro e parziale anastilosi ad opera di Ezio De Felice, uno dei pi noti museografi italiani, ma purtroppo questa azione di recupero stata interrotta dalla recrudescenza del bradisismo agli inizi degli
anni Settanta. Dopo oltre trentanni di incuria e di indiscriminato saccheggio, nel luglio del 2003, la
Regione Campania ha bandito un concorso internazionale per il restauro del tempio-duomo, al quale
hanno partecipato ben dodici quipes accreditate. Giusto un anno dopo, nel luglio 2004, stato proclamato vincitore il gruppo diretto dal prof. Marco Dezzi Bardeschi con il progetto Elogio del palinsesto.
Il titolo scelto per lintervento assai significativo: i progettisti hanno proposto di conservare tutte
le parti storiche superstiti del monumento, compresi gli interventi strutturali contemporanei rimasti
incompiuti in modo che tutti possano essere letti, proprio come si fa su un palinsesto che raccoglie
brani di opere di secoli diversi.
Malgrado la conclusione dei lavori fosse previste per il 2008, le vicissitudini del monumento sono
terminate soltanto l11 maggio 2014, a cinquantanni esatti dallincendio, quando il vescovo di Pozzuoli, mons. Gennaro Pascarella ha potuto riaprire la basilica cattedrale al culto, accogliendo le statue
dei Santi patroni e riconsegnando ledificio allintera comunit civile.
(consiglio a tutti di consultare in rete il mio articolo: Dopo mezzo secolo riapre la cattedrale di
Pozzuoli - Ammiriamo i big del Seicento napoletano)
69
La pi antica opera viene attribuita al Beltrano ed la grande pala daltare (fig. 4) raffigurante il
Martirio dei SS. Gennaro, Filippo e Procolo (fig.5), eseguita per la Cattedrale di Pozzuoli intorno al
1635 su committenza di Martino Leon y Cardenas, vescovo della diocesi flegrea per circa venti anni
dal 1631 al 1650.
Per datare i dipinti di vari autori che facevano della Cattedrale di Pozzuoli una vera e propria pinacoteca ci si attiene a quanto riferito nelle quattro Relationes, visite che venivano fatte al patrimonio artistico periodicamente, i cui risultati sono conservati presso lArchivio Segreto Vaticano
e sono state studiati su microfilm e parzialmente
pubblicati dalla Novelli Radice. Esse si sono svolte nel 1635, nel 1640, nel 1646 e nel 1649.
Gi nella prima il dipinto in esame viene citato, per cui a quella data era gi in sede, in seguito nel 1646 si avanza come autore il nome di Guido bolognese SS. Titularium Proculi et Ianuariy
episcopi tabulam a Guidone Bononiense dipinta,
un ipotetico allievo del Lanfranco, che sappiamo Fig. 3 - Coro, volta ed altare maggiore della cattedrale
70
Unaltra tela eseguita per il Duomo di Pozzuoli e purtroppo perduta nel rovinoso incendio del
1964 il San Martino che taglia il mantello per il povero (fig. 9), di cui ci rimane tristemente solo una
foto, nella quale possiamo apprezzare un significativo brano di paesaggio con un frondoso albero che
domina la scena.
Il quadro dovette probabilmente sostituire unopera precedente, poich citata nella Relationes
del 1649 la quale afferma: altra pi elegante e nellaspetto bellissima del beato Martino qui stando a
cavallo, aggiungemmo.
Il santo appare nelle vesti di un raffinatissimo giovane con largo cappello piumato, concreto ritratto della classe privilegiata del tempo.
Il San Martino di Pozzuoli, inopinatamente sfuggito allesame degli storici dellarte, sembra essere ancora lontano da altri pi illustri modelli e mostra una viva personalit, un impianto ancora libero ed arioso, a differenza del compassato Carlo di Tocco, conservato nella quadreria del Pio Monte
della Misericordia, gi pienamente ingabbiato dal modello stanzionesco.
Un altro dipinto molto antico quello eseguito da Paolo Finoglio (fig. 8), firmato P.o Finoglio,
raffigurante San Pietro consacra S. Aspreno e non San Celso vescovo di Pozzuoli, come erroneamente
indicato nello scarno foglietto distribuito in loco ai numerosi visitatori. Il soggetto iconografico era
trattato in molte biografie dedicate al santo e diffuse a Napoli tra Cinquecento e Seicento.
Lopera ricordata nelle Relatio ad limina del 1640 e non nella precedente del 1635, per cui dovrebbe essere stata eseguita in quel lasso di tempo, una delle ultime fatiche napoletane dellartista
73
prima del suo definitivo trasferimento in Puglia, come gi sostenuto in passato dal DOrsi e dal DElia, il quale sottolineava anche unimpostazione battistelliana, pi arcaica rispetto alle tele di Conversano.
Il cromatismo del quadro, nonostante un recente restauro, in gran parte perduto anche se si possono ancora apprezzare la tunica azzurro verde indossata da Pietro ed il manto ocra scuro, mentre S.
Aspreno avvolto da un piviale color porpora con i bordi e parte delle spalle giallo intenso. Il naturalismo delle ruvide mani e le aspre e straniate fisionomie dei protagonisti, contrastano con lelegante
esecuzione delle tre pale eseguite da Artemisia Gentileschi, le uniche note agli appassionati, perch
negli ultimi anni si trovavano nelle sale di Palazzo Reale.
Il San Patroba che predica al popolo di Pozzuoli (fig. 10) di Massimo Stanzione, una volta firmato,
come riferiva Ortolani, citato per la prima volta nella Relatio del 1640 e nonostante un restauro eseguito nel 1965 risulta molto danneggiato e secondo Sebastian Schutze difficilmente valutabile dal punto
di vista stilistico. Esso raffigura San Patroba, primo vescovo di Pozzuoli su un basamento a tre gradini
leggermente rialzato mentre predica al popolo della sua diocesi, indicando con la mano destra la croce.
In ottimo stato di conservazione viceversa lo Sbarco di San Paolo a Pozzuoli (fig. 11) del Lanfranco, firmato ed eseguito tra il 1636 ed il 1640. Il soggetto, alquanto raro, raccontato negli Atti degli Apostoli (XX VIII, 13 14).
La pala stata unanimemente giudicata dalla critica come una delle opere pi innovative del periodo napoletano. Entusiastico il commento dellOrtolani sulle pagine del catalogo della grande mo-
74
stra tenutasi a Napoli nel 1938:per loriginale effetto scenico del luminismo abbagliante e contrastato nel primo piano, la pittoresca fantasia del
fondale con la nave che ammaina le vele, e nelle
figure di contorno qualche accenno a soluzioni
pittoriche della sua foga di freschista.
Le proporzioni delle figure, i corpi allungati,
il tipo di volto degli uomini, la tavolozza calda,
con prevalenza di rossi, gialli e bianchi, alternati
a marroni e verdi, gli sfondi ed il chiaroscuro, sono tutti elementi che richiamano i quadri di storia
romana, dipinti tra il 1634 ed il 1639, per il vicer
conte di Monterrey.
La violenza drammatica delle storie romane
viene in questo dipinto moderata dal carattere solenne della scena(Schleier).
Vicino sulla parete destra del coro si trova La
cattura di S. Artema, che per quanto firmato,
certamente opera della bottega, alla pari del Martirio dei SS. Onesimo, Erasmo, Filadelfio, Cirino
(fig. 12).
Prima di concludere con i dipinti di Artemisia, trattiamo di due pale, legate vagamente alla
lepistola a Filomene (fig. 15), che la critica ha assegnato ora a Francesco, ora a Cesare, riscontrando i caratteri ora delluno ora dellaltro e che noi
pensiamo possa essere il prodotto di una collaborazione familiare.
Prima di concludere con la descrizione delle
tre tele di Artemisia, vogliamo accennare ad una
presenza spuria sulla parete sinistra del coro, dove figura un S. Ignazio di Loyola con San Francesco Saverio, assegnato al Ribera sul foglietto
delle visite guidate; la notevole distanza non ci
permette di escludere con certezza la paternit
del dipinto, che appare di qualit scadente, ma la
sua presenza sicuramente anomala, perch in
nessuna delle Relationes figura mai un quadro
del valenzano.
Il San Gennaro nellanfiteatro (fig. 16) figura
gi nella Relatio ad limina del 1640, che descrive
in sede 11 quadri, e probabilmente, assieme agli
altri due stato eseguito entro il 1638, quando la
76
pittrice si trasfer in Inghilterra per assistere il padre ammalato. Nella pala il santo gettato in pasto
alle belve nellanfiteatro Flavio di Pozzuoli, ma esse, due mastini napoletani (e non leoni) ed un orso,
si chinano ammansiti al suo passaggio.
La Gentileschi manifesta una maggiore tenerezza di tocco e di sfumature rispetto alle altre due
opere, in San Procolo, diacono della cittadina flegrea, inginocchiato con le mani al cielo ad impetrare
un intervento divino e nelle figure poste a sinistra della composizione, mentre nello sfondo di architettura in rovina si pu ipotizzare la collaborazione dello specialista Viviano Codazzi, a Napoli dal
1634 e nel cielo baluginoso in alto sulla sinistra il pennello di Micco Spadaro.
Nellopera, pervasa da un aspro realismo, vi un richiamo al Falcone ed alla fase naturalista del
Beltrano e dello Stanzione, mentre nei bianchi splendenti delle cotte sacerdotali vi limprinting della
splendida cromia del padre Orazio. Nella rappresentazione dei mastini vi infine un collegamento ai
modi di Francesco Fracanzano, a dimostrazione che i pittori napoletani o napoletanizzati amavano copiarsi nei dettagli di maggior impatto visivo.
NellAdorazione dei magi (fig. 17) compariva una firma che si rivelata apocrifa ed anche in questo quadro si pu ipotizzare la collaborazione del Codazzi e del Gargiulo. Alcuni studiosi hanno pensato allaiuto o quanto meno allispirazione per la realizzazione di alcune parti dellopera: Roberto
Longhi dava per scontato un intervento dello Stanzione nella realizzazione del volto della Vergine,
mentre pi di recente Stefano Causa ha pensato al pennello di Onofrio Palumbo.
77
(per un quadro storico archeologico della cattedrale consiglio di consultare in rete il mio articolo: Da un tempio greco romano alla cattedrale
di Pozzuoli)
78
Continuamente antiquari e collezionisti mi inviano foto di dipinti di scuola napoletana, chiedendomi un parere sullattribuzione e questa circostanza mi permette di visionare una cospicua mole di
inediti, alcuni di notevole qualit, come nel caso di questo superbo San Pietro (fig. 1) di Francesco
Fracanzano appartenente ad una famosa collezione straniera.
Il dipinto trasuda un inconfondibile
afrore napoletano, per cui siamo certi
che sia stato realizzato in quella straordinaria officina di talenti che per anni
fu costituita dalla bottega di Ribera e
per quel che riguarda la tela in esame
riteniamo di trovarci davanti ad uno dei
massimi raggiungimenti di Francesco
Fracanzano, uno dei suoi allievi pi dotati.
La rappresentazione di mezze figure di santi e filosofi, investigati con
crudo realismo, fu una moda nata nella
bottega del valenzano a Napoli ed afFig. 1 - Francesco Fracanzano - San Pietro - collezione straniera
fermatasi poi anche in provincia grazie
ai suoi discepoli, tra i quali si distingue
Francesco Fracanzano, che nel 1622, dalla natia Monopoli, si trasferisce con la famiglia nella capitale,
entrando giovanissimo nellambiente artistico partenopeo, grazie anche al matrimonio, celebrato nel
1632, con la sorella di Salvator Rosa.
Lavorando con il Ribera ne recep la stessa predilezione per la corposit della materia pittorica e
ripropose spesso i soggetti pi richiesti dalla committenza: studi di teste e mezze figure di filosofi e
profeti.
Si tratta di poderosi personaggi vestiti di rudi panni, a volte distinguibili grazie agli attributi iconografici, come nella tela in esame (fig. 2)
San Pietro assume laspetto di un filosofo e dalla tela trasuda una profonda
umanit che comunica allo spettatore un
messaggio di poderosa forza morale,
senza indulgere ad un formalismo decorativo: una figura, severa e bonaria allo
stesso tempo, realizzata con una pennellata generosa, grassa e pastosa, quella
che sar definita tremendo impasto, piena di impeto e pregna di una luce rigorosa che penetra nelle pieghe della fronFig. 2 - Particolare delle chiavi
te e nelle mani, forti e nodose (fig. 3).
79
80
81
Un libro alla cui stesura partecipano i direttori dei pi importanti musei del mondo ed i pi prestigiosi studiosi a livello internazionale. E per il sottoscritto stato un onore incommensurabile partecipare a questo aureo consesso, compilando una scheda per un dipinto di Giovan Battista Spinelli.
La seconda tela, dal soggetto originale: una Esposizione del Bambino, (fig. 9) della collezione
Murena di Napoli fa da copertina allultima edizione della mia monografia sul pittore: Paolo De Matteis opera completa.
Nella composizione possibile riscontrare, oltre al sostrato giordanesco, una forte ispirazione dallo stile del Maratta, anche se il De Matteis tende ad equilibrare le due componenti, raggiungendo un
equilibrio nella rappresentazione della scena, con il Bambinello in primo piano, immerso nella luce,
che fa da protagonista della narrazione.
83
Da dicembre Napoli ha un museo in pi: Palazzo Caracciolo di San Teodoro, sulla Riviera di
Chiaia, a due passi da Piazza Vittoria, diventa infatti un luogo darte visitabile attraverso un intreccio
tra affreschi depoca e realt digitali realizzato da un gruppo di artisti e designers napoletani e denominato appunto San Teodoro Experience.
La storia di Palazzo San Teodoro, antica residenza gentilizia situata allinizio della Riviera di
Chiaia, la zona residenziale a ridosso del lungomare di Napoli, cammina di pari passo con levoluzione che la citt ebbe sotto la spinta dei Borbone.
Verso la fine del 700, infatti, il borgo di Chiaia, oggi il pi prestigioso quartiere cittadino, era ancora periferia fuori dalle mura cittadine.
Fu re Ferdinando IV nel 1778 a farne uno dei dodici quartieri della citt ed a dare incarico al Vanvitelli di realizzarvi la Real Villa, il bel polmone di verde che ancora oggi caratterizza questa parte
della citt. Assurto ai fasti della corte, il borgo di Chiaia divenne cos sede ambita per famiglie aristocratiche e alto borghesi, che acquistarono le palazzine sulla riviera ristrutturandole secondo il gusto
imperante in quel periodo: il neoclassico.
84
nel gran salone con colonne ed affreschi in cui la protagonista la musica, rigorosamente depoca e
puntando con gli occhialoni i musici si pu ascoltare il suono dei loro strumenti, incluso un originale
doppio flauto.
La visita dura poco meno di unora e ad illustrarla due guide in carne ed ossa, Chiara e Monica,
molto preparate e, particolare non trascurabile, bellissime.
86