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Prefazione

“Scritti sulla pittura del Seicento e Settecento napoletano” V tomo, raccoglie una serie di articoli
pubblicati dall’autore nel 2019 su riviste cartacee e telematiche. Si tratta in prevalenza di contributi
alla storia della pittura napoletana del Seicento e del Settecento, ma non è trascurato il mercato e so-
prattutto l’invito a scoprire, in egual misura, capolavori inediti ed autori poco noti.
Vi sono anche alcuni contributi cronologicamente fuori tema, ma meglio “abbundare quam defi-
cere”. Per abbattere i costi di stampa e di conseguenza di vendita del libro, esso esce con le numerose
foto in bianco e nero, però per poter ammirare sul computer le immagini a colori basta digitare in rete
il titolo del capitolo. Inoltre l’autore si impegna a fornire gratuitamente a chi lo desidera la facoltà di
pubblicare, citando la fonte, le riproduzioni ad alta definizione delle foto; basta richiederle a achille-
dellaragione@gmail.com.
Non mi resta, che augurarvi buona lettura.

Achille della Ragione

Napoli ottobre 2019

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L’ ipogeo della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, un tesoro restituito alla città

https://achillecontedilavian.blogspot.com/search?q=L’+ipogeo+della+chiesa+di+Sant’Anna+dei+

La chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, conosciuta anche come S. Maria di Monteoliveto è una
delle più ricche di arte e di storia della città. Costruita nel 1411, rappresenta una rara testimonianza
dello splendore del Rinascimento toscano a Napoli e presenta una navata unica lungo la quale si alli-
neano 5 cappelle per lato. La configurazione attuale è frutto di un rifacimento seicentesco, teso a dare
una veste barocca all’edificio. Tra le opere di maggior rilievo, qui conservate, si ricordano quelle degli
artisti toscani Antonio Rossellino e Benedetto da Maiano, le ceramiche robbiane e il celebre compianto
sul Cristo morto del modenese Guido Mazzoni. Gioiello del percorso museale è la sagrestia vecchia,
affrescata da Giorgio Vasari, che riprende i colori e le forme della maniera michelangiolesca.
Dal mese di dicembre ha riaperto al pubblico, dopo secoli di chiusura, l’ipogeo, denominato
Cripta degli Abati, un ambiente ellittico posto al di sotto del coro della chiesa, a cui si accede attra-
verso una bella scala a doppia rampa e dove colpisce il visitatore la presenza di teschi decorati da pa-
ramenti ecclesiastici . Un luogo misterioso da esplorare, che arricchisce la Napoli sotterranea, sacra e
ancora sconosciuta. Piena di tesori custoditi dal ventre dell’imponente patrimonio ecclesiastico e delle
Arciconfraternite della città.
A restituire alla città questo tesoro nascosto si è impegnato il Comitato di Gestione delle Arcicon-
fraternite Commissariate, presieduto dal Sacerdote Salvatore Fratellanza, il quale dichiara: “Il nostro
scopo è valorizzare gli oratori della città, con i relativi ipogei ove presenti, riaprendoli nel minor
tempo possibile, in modo da arrivare a costituire una rete tra le diverse realtà”.
La visita all’ipogeo di Sant’Anna dei Lombardi a Monteoliveto, chiesa famosa per la splendida
sagrestia affrescata da Giorgio Vasari, permette di ammirare il putridarium, la struttura in pietra un
tempo utilizzata per il pro-
cesso di scolatura dei li-
quidi corporali, da cui
deriva il celebre detto in
vernacolo“puozze sculà” .
Sopra i sedili sono state ri-
trovate anche teche con i
resti mortali di personaggi
illustri. Sulle volte sono
ancora visibili affascinanti
affreschi raffiguranti una
foresta sacra e la scena del
calvario. Ma l’attenzione
del visitatore è attirata su-
Fig. 1 - Sant Anna dei Lombardi, ingresso bito dalla visione delle 30

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Fig. 2 - Accesso all'ipogeo

nicchie dove venivano adagiati i cadaveri per lo più degli appartenenti all’ordine. Al contrario della
maggioranza delle nicchie per scolatoio, in queste i corpi dei defunti non venivano messi seduti, ma
in piedi e per mantenerli in posizione eretta venivano
ficcati nella nuca degli speroni metallici, ancora visi-
bili. Dopo alcuni mesi, a volte anni, il corpo risultava
perfettamente rinsecchito e mummificato con i liquidi
confluiti nel “cantaro”. A quel punto le ossa degli abati
e dei nobili venivano conservate in apposite teche: ne
rimangono 25, sistemate in bella vista, con i teschi a
volte decorati da paramenti ecclesiastici. Le targhette

Fig. 3 - Serie di teschi Fig. 4 - Uno dei teschi

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Fig. 5 - Ipogeo monumentale di Sant’Anna dei Lombardi

Fig. 6 - Bernardo Tanucci

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con i nomi dei defunti sono illeggibili, ad eccezione di quella centrale, la più addobbata di tutte ove
si legge “Zucca”. Ai lati di alcune nicchie sono visibili dei cunicoli utilizzati per collegare gli scolatoi
alle cappelle interne di proprietà delle famiglie nobili, così da facilitare il trasporto delle ossa.
Le ossa degli altri cadaveri venivano calate in una seconda cavità sotto l’ipogeo, un tempo acces-
sibile attraverso una scala di 15 metri. Chiamata “terra santa” è attualmente visibile attraverso una
grata centrale, da cui si scorgono delle tibie e degli omeri ed una cassa semiaperta dalla quale spuntano
i resti di un corpo.
L’ipogeo di Sant’Anna dei Lombardi racchiude infatti anche un mistero: sono diverse le fonti che
suggeriscono la presenza delle spoglie del marchese Bernardo Tanucci (fig. 6), uomo di fiducia del re
di Napoli Carlo di Borbone e di suo figlio Ferdinando IV, segretario di Stato della Giustizia e Ministro
degli Affari esteri e della Casa Reale dal 1754 al 1776, all’interno della terra santa, seconda cavità ac-
cessibile attraverso un pozzo profondo circa 15 metri e non ancora visitabile, posto al di sotto del
primo, che prende il nome dalla terra di Palestina sparsa anticamente.

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Un Recco ed un Vaccaro da ammirare

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Il 1656, l’anno fatidico della peste, fu fatale a Napoli per un’intera generazione di artisti, che
venne falcidiata dal morbo; stranamente gli specialisti di natura morta superarono quasi tutti indenni
questo evento luttuoso e continuarono a lavorare con identica lena senza particolari sussulti.
È dopo la metà del secolo che compare prepotentemente alla ribalta Giuseppe Recco (Napoli 1634
- Alicante 1695) la personalità più importante nel panorama della natura morta napoletana.
Egli fa parte di una grande dinastia di specialisti: suo padre Giacomo, tra i fondatori del genere,
suo zio Giovan Battista, ineguagliabile nei suoi caratteristici soggetti di cucina e selvaggina, i figli
Elena e Nicola Maria, che seguiranno degnamente le orme paterne.
A differenza degli artisti del settore, Giuseppe Recco spazia con abilità e padronanza tutti i soggetti,
dai fiori ai pesci, dagli interni di cucina alla frutta senza contare un lungo periodo della sua attività in
cui ritrae senza problemi squisiti dolciumi e preziosi broccati, vetri e tappeti, strumenti musicali e vasi
antichi, maioliche e preziosi ricami, con una tale abilità da provocare, secondo lo spiritoso racconto
del De Dominici un aborto per la «voglia» ad una donna gravida incantata alla vista dei suoi dolciumi
su una tela, riprodotti con tale perfezione da parer veri; né più né meno che un moderno caso di «ekph-
rasis», cioè di frutta dipinta così bene, che gli uccelli si mettono a svolazzare sul quadro tentando di
beccarla.
Il dipinto che vogliamo proporre all’attenzione dei lettori è una Natura morta di cacciagione (fig.1),
un soggetto raro nella produzione di Giuseppe, chiaramente firmata in basso a destra (fig.2), che espone
una serie di volatili di varie dimensioni dai colori sgargianti preda di un fucile che compare vittorioso
nella composizione su una lastra di
pietra dai bordi irregolari, mentre
sullo sfondo una serie di alberi di
alto fusto lascia intravedere uno
scorcio di paesaggio con una colli-
netta dominata da una imponente
costruzione.
L’altro dipinto che esaminiamo
è una santa in compagnia di un te-
schio (fig.3), che presenta tutti i ca-
ratteri che contraddistinguono la
produzione di Andrea Vaccaro dal
famoso “sottoinsù”, il dolce girar
degli occhi al cielo, derivato dalla
Fig. 1 - Giuseppe Recco - Natura morta di cacciagione -101 - 76 - firmata.
lezione di Guido Reni, alle labbra
Italia collezione privata carnose, dall’epidermide alaba-

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Fig. 2 - Giuseppe Recco - Natura morta di cacciagione -101 - 76 - Firma . Italia collezione privata

strina, all’accurata definizione delle dita affusolate, mentre il corpo è castamente ricoperto da una
veste elegante dalle pieghe curate in ogni dettaglio.
Il quadro fa parte di quella produzione per una clientela laica sia napoletana sia spagnola che il
Vaccaro, in una tavolozza monotona con facili accordi di bruni e di rossicci, creava con scene bibliche
e mitologiche e le sue celebri mezze figure di donne nelle quali persegue un’ideale femminile di sen-
sualità latente; diviene così il pittore della “quotidianità appagante, tranquilla, a volte accattivante, in
grado di soddisfare le esigenze di una classe paga della propria condizione, attenta al decoro, poco in-
cline a lasciarsi coinvolgere in stilemi, filosofici letterari, o mode repentine, misurato nel disegno,
consolante nell’illustrazione; Andrea ottenne il suo indice di gradimento in quella fascia della società
spagnola più austera e di consolidate opinioni e per converso in quelle napoletane di pari stato ed in-
clinazione” (De Vito).
Tra i suoi dipinti “laici”, alcuni, di elevata qualità, sembrano animati da un’agitazione barocca
che raggiunge talune volte un coro da melodramma.
Le sue sante, martiri o non, in sofferenza o in estasi che siano, sono donne vive, senza odore di
sacrestia, a volte perfino provocanti nel turgore delle forme e nell’espressione di attesa non solo di
sposalizio mistico, «col bel girare degli occhi al cielo» (De Dominici) e con le splendide mani dalle
dita affusolate a ricoprire i ridondanti seni. Il Vaccaro fu artista abile nel dipingere donne, sante che
fossero, pervase da una vena di sottile erotismo, d’epidermide dorata, dai capelli bruni o biondi, di

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una carnalità desiderabile sulle cui forme egli in-
dugiò spesso compiaciuto col suo pennello, a
stuzzicare e lusingare il gusto dei committenti, più
sensibili a piacevolezze di soggetto, che a recepire
il messaggio devozionale che ne era alla base.
Egli si ripeté spesso su due o tre modelli femmi-
nili ben scelti, che gli servirono a fornire mezze
figure di sante martiri a dovizia tutte piacevoli da
guardare, percepite con un’affettuosa partecipa-
zione terrena, velata da una punta di erotismo, con
i loro capelli d’oro luccicanti, con le morbide
mani carnose e affusolate nelle dita. I volti velati
da una sottile malinconia e con un caldo languore
nei grandi occhi umidi e bruni, che aggiungono
qualcosa di più acuto alla sensazione visiva delle
carni plasmate con amore e compiacimento. Le
sue sante, tutte espressioni di una terrena beatitu-
dine. L’idea del martirio e della penitenza è sot-
Fig. 3 - Andrea Vaccaro - Santa in estasi - 75 - 61 - Italia tintesa ad un malizioso compiacimento e venata
collezione privata
da una appena percettibile punta di erotismo. Que-
ste eterne bellezze mediterranee dal volto sensuale
ed accattivante fanno mostra del loro martirio con indifferenza e con lo sguardo trasognato, incuranti
degli affanni terreni e con gli occhi che, pur fissando lo spettatore, sembrano proiettati fuori dal tempo
e dallo spazio. Dalle tele promana una dolcezza languida, serena, rassicurante, che ci fa comprendere
con quanta calma queste sante, avvolte nelle sete rare delle loro vesti acconciatissime, abbiano affron-
tato il martirio, sicure della bontà delle loro decisioni, placando e spegnendo ogni sentimento e sen-
sazione negativa quali il dolore, la sofferenza, lo sdegno ed esaltando la calma serafica, la serenità
dell’animo, la certezza di una scelta adamantina. La pittura in queste immagini dolcissime e sdolcinate
cede il passo alla poesia, che si fa canto soave ed incanta l’osservatore.

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Una replica autografa del Giacobbe del Ribera

https://achillecontedilavian.blogspot.com/search?q=Una+replica+autografa+del+Giacobbe+d
el+Ribera

Prima di esaminare l’inedito, che presentiamo in questo contributo, appartenente ad una importante
collezione italiana, riteniamo parlare, anche se brevemente dell’autore, uno dei più grandi artisti del
Seicento europeo.
Nel 1616 giunge a Napoli Jusepe Ribera che rappresenterà una delle figure più importanti del Sei-
cento europeo; valenzano di nascita, ma napoletano a tutti gli effetti per scelta culturale, interessi fa-
miliari, affinità di sentimenti. A Napoli avrà residenza, affetti, lavoro, protezione e per alcuni anni
sarà protagonista assoluto e punto di riferimento indiscusso.
La sua bottega che forgerà alcuni dei maggiori pittori del secolo dal Maestro degli Annunci ai due
Fracanzano, dal Falcone a Salvator Rosa, allo stesso Giordano, sarà un punto di riferimento e di scam-
bio culturale anche verso la Spagna, ove giungerà gran parte della sua produzione, mentre dal Murillo

Fig. 1 - Jusepe De Ribera - Giacobbe e il gregge - 174 - 219 - firmato e datato 1632 -
El Escorial (Madrid) monastero di San Lorenzo

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allo Zurbaran, fino allo stesso Velazquez, ospite del Ribera per alcuni mesi nel 1630, perverrà a Napoli
l’eco della migliore pittura spagnola, il cui influsso possiamo cogliere agevolmente da un’attenta
lettura di molte opere del Finoglia, del Falcone, del Vaccaro, del Guarino e di tanti altri ancora.
Le sue opere ebbero una notevole diffusione anche per la sua abilità di incisore, grazie alla quale
egli riproduceva e moltiplicava le sue opere più significative.
Giunto nel maggio del 1616 a Napoli egli sposerà la figlia del pittore Giovan Bernardo Azzolino
ed entrerà nelle grazie del viceré, il duca di Osuna, che diventerà il suo protettore, come lo saranno in
seguito tutti i potenti di Spagna, presso i quali il suo prestigio sarà illimitato.
Egli del luminismo diede una sua personale interpretazione: il realismo caravaggesco fu infatti
profondamente drammatico e sintetico, quello di Ribera fu analitico, caricaturale fino al grottesco.

Fig. 2 - Ribera - Giacobbe e il gregge(replica autografa) - Alessandria collezione Marasini

Il Ribera si abbandona ad un verismo esasperato al di là di ogni limite convenzionale col suo pen-
nello intriso di una densa materia cromatica, con un vigore di impasto che ricorda l’accesa policromia
delle più crude immagini sacre della pittura spagnola coeva, segno indefettibile della sua mai tradita
hispanidad, ignara dei risultati della pittura rinascimentale italiana.
Ed ecco rappresentato un infinito campionario di umanità disperata e dolente, ripresa dalla realtà
dei vicoli bui della Napoli vicereale con un’aspra e compiaciuta ostentazione del dato naturale.

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La sua pittura è carica di materia da poter essere paragonata ad un bassorilievo cromatico, in grado
di trasformare il potente chiaroscuro caravaggesco in un’esperienza percettiva tattile. I bagliori della
sua tavolozza fanno risaltare la ruvida pelle dei suoi martiri ed in egual misura lo splendore cangiante
delle vesti, che a partire dagli anni Trenta segnano il recupero della lezione coloristica della pittura
veneta.
Con una tavolozza accesa vengono rappresentati con enfasi appassionata e senza alcuna pietà santi
ed eremiti penitenti, sadicamente indagati nella smagrita decadenza dei corpi consunti, dalla epider-
mide incartapecorita e grinzosa, dagli occhi lucidi e brillanti, martirii efferati e spettacolari, giganti

Fig. 3 - Ribera - Giacobbe e il gregge (replica autografa) - particolare - Alessandria collezione Marasini

contorti in esasperazioni anatomiche, repellenti esempi di curiosità naturali: donne barbute e bambini
storpi dal sorriso ebete; tipizzazioni mitologiche spinte fino all’osceno, come la ripugnante figura del
Sileno nella dilagante rotondità dell’enorme ventre pendulo; il tutto con un tono superbo e crudele e
con accenti di grottesca ironia e di cupa drammaticità.
Lentamente la brutalità delle sue prime composizioni che fece esclamare al Byron che il Ribera
“imbeveva il suo pennello con il sangue di tutti i santi” cedette ad una maggiore ricerca di introspezione
psicologica dei personaggi e ad un lento allontanamento dal tenebrismo per approdare, sotto l’influsso

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Fig. 4 - Ribera - Giacobbe e il gregge (replica autografa) - particolare - Alessandria collezione Marasini

della grande pittura veneziana e dal contatto con la pittura fiamminga di radice rubensiana e vandy-
chiana, a nuove soluzioni di chiarezza pittorica e di rinnovata cordialità espressiva.
Tra i capolavori del Ribera occupa un posto di rilievo Giacobbe ed il gregge (fig.1), firmato e da-
tato 1632 e conservato in Spagna nell’Escorial vicino Madrid.
Della tela si conoscono varie copie di bottega, come quella transitata ad una vendita Christie’s
nel 1972 o quella della pinacoteca di Cosenza, ma nel caso del dipinto in esame (fig. 2), possiamo,
per l’altissima qualità della composizione, parlare con ragionevole certezza di replica autografa.
L’inedito che presentiamo ai lettori appartiene alla collezione Marasini di Alessandria, della quale
abbiamo già illustrato in passato interessanti dipinti di Marullo, Novelli e Cavallino e per chi volesse
ammirarli basta digitare il link
Il dipinto rappresenta Giacobbe in mezzo al suo gregge accanto ad una sorgente d’acqua e costi-
tuisce un momento cruciale nel percorso stilistico dell’artista, infatti si nota un cambiamento nell’uso
della luce, che risente dell’influsso del Grechetto, mentre la materia pittorica, imbevuta di luce, è im-
preziosita da riflessi argentati eseguiti con particolare maestria.
Nella replica che presentiamo alcuni dettagli (fig. 3 - 4) sono di una qualità talmente alta da rico-
noscere la mano del maestro, che avrà lasciato alla sua bottega l’esecuzione di parti secondarie del di-
pinto.

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Una sensuale Lucrezia di Andrea Vaccaro

https://achillecontedilavian.blogspot.com/search?q=Una+sensuale+Lucrezia+di+Andrea+Vaccaro

Da un collezionista ligure mi è stato richiesto di dare una paternità ad un dipinto su rame (fig. 1)
chiaramente derivato dalla tela di Guido Reni raffigurante il Suicidio di Lucrezia (fig. 2) ubicata presso
il RISD Museum a Rhode Island.
Il proprietario del quadro si era rivolto per un parere a due studiosi, il professor Benati, che aveva
dichiarato:”...il dipinto di cui m’invia le foto è una derivazione, forse di epoca già settecentesca, da
un dipinto di Guido Reni raffigurante Lucrezia. Stante il carattere di copia, è impossibile stabilirne
una precisa paternità.” ed il celebre Vittorio Sgarbi, la cui segretaria prontamente rispose: “Il professore

Fig. 1 - Lucrezia - 65 - 45 - olio su rame - Liguria collezione privata

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ha analizzato il materiale da lei inviato e ritiene l’opera importante, con molta probabilità di Francesco
Gessi, allievo di Guido Reni ed è disponibile a redigere l’expertise.”
Entrambi non avevano riconosciuto la paternità lampante di Andrea Vaccaro e la straordinaria so-
miglianza con un dipinto, sito in Uruguay e da me pubblicato tempo fa, identico nella luminosità degli
occhi e l’acconciatura dei capelli.

Fig. 2 - Guido Reni - Suicidio di Lucrezia - Rhode Island, RISD Museum

Sul retro del dipinto, che ricordiamo è un rame, compare un sigillo in ceralacca (fig. 3) che non
appartiene a famiglia nobile, seguendo il parere di Luca Becchetti esperto sfragista pontificio di Roma
il quale afferma: “La prassi di apporre sigilli in ceralacca sul retro dei dipinti è circostanza abbastanza
frequente e - date le motivazioni delle prerogative sfragistiche – può rappresentare significati diversi;
principalmente segno di appartenenza o pertinenza, ma anche certifica la bontà di provenienza di una
tela, avvenuti passaggi doganali dei quadri e molto altro. Tutti questi interrogativi potrebbero essere
soddisfatti solo in seguito alla possibilità di capire a chi o a cosa riconduce il leone (o il grifone?), ac-

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compagnato dal Capo d’Angiò, pezza araldica che raffigura gigli separati da un lambello, che l’im-
pronta mostra, esercizio che in realtà risulta assai difficile, poichè tale titologia è abbastanza frequente
in araldica. Risulta dunque molto complicato, dati gli elementi assai generici che mostra ilblasone,
effettuare attribuzioni certe”.
Soffermiamoci ora su alcuni dettagli del quadro in esame per sottolineare la dolcezza del volto
(fig. 4), l’elegante orecchino (fig. 5) ed il caratteristico girar degli occhi al cielo (fig. 6), il famoso
“sottoinsù”, oltre alle labbra carnose e l’epidermide alabastrina.
Il dipinto in esame fa parte di quella produzione per una clientela laica sia napoletana sia spagnola
che il Vaccaro, in una tavolozza monotona con facili accordi di bruni e di rossicci, creava con scene

Fig. 3 - Sigillo sul retro del dipinto

bibliche e mitologiche e le sue celebri mezze figure di donne nelle quali persegue un’ideale femminile
di sensualità latente; diviene così il pittore della “quotidianità appagante, tranquilla, a volte accatti-
vante, in grado di soddisfare le esigenze di una classe paga della propria condizione, attenta al decoro,
poco incline a lasciarsi coinvolgere in stilemi, filosofici letterari, o mode repentine, misurato nel di-
segno, consolante nell’illustrazione; Andrea ottenne il suo indice di gradimento in quella fascia della

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società spagnola più austera e di consolidate opinioni e per converso in quelle napoletane di pari stato
ed inclinazione” (De Vito).
Tra i suoi dipinti “laici”, alcuni, di elevata qualità, sembrano animati da un’agitazione barocca
che raggiunge talune volte un coro da melodramma.
Egli si ripeté spesso su due o tre modelli femminili ben scelti, che gli servirono a fornire mezze fi-
gure dai volti velati da una sottile malinconia e con un caldo languore nei grandi occhi umidi e bruni.
Queste eterne bellezze mediterranee dal volto sensuale ed accattivante fanno mostra del loro pensiero
con indifferenza e con lo sguardo trasognato, incuranti degli affanni terreni e con gli occhi che sembrano

Fig. 4 - Dolcezza del volto

proiettato fuori dal tempo e dallo spazio. Dalle tele promana una dolcezza languida, serena, rassicurante,
che ci fa comprendere con quanta calma queste sante, avvolte nelle sete rare delle loro vesti acconcia-
tissime, abbiano affrontato il martirio, sicure della bontà delle loro decisioni, placando e spegnendo
ogni sentimento e sensazione negativa quali il dolore, la sofferenza, lo sdegno ed esaltando la calma
serafica, la serenità dell’animo, la certezza di una scelta adamantina. La pittura in queste immagini dol-
cissime e sdolcinate cede il passo alla poesia, che si fa canto soave ed incanta l’osservatore.

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Fig. 5 - Elegante orecchino

Fig. 6 - Caratteristico girar degli occhi al cielo

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Bozzetti del barocco napoletano
Massimo Stanzione, Giovanni Lanfranco, Luca Giordano,
Francesco Solimena e Giacinto Diano

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Una mostra intima e preziosa, tra bellezza e memoria. Nove importanti bozzetti, dipinti da alcuni
tra i più celebri artisti vissuti nel XVII e XVIII secolo. Tracciati in velocità o pensati e ripensati per
essere definiti con esattezza, da alcuni sono considerati la rappresentazione più fedele dell’ispirazione.
C’è tanta arte autentica nei “modelletti” degli artisti, frammenti di un tempo per fortuna fermato,
contro l’ingiuria dei terremoti, delle guerre e dell’incuria.
Ciascuno dei nove studi presentati è riferito, come si chiarisce in ogni testo di accompagnamento,
ad una relativa opera pubblica, ancora visibile nei luoghi per cui era stata realizzata oppure sventura-
tamente scomparsa. In quest’ultimo caso, il bozzetto diventa uno straordinario documento storico-ar-
tistico.

Fig. 1 - Massimo Stanzione (Napoli, circa 1585 -1656), San Paolo morso da una vipera olio su tela, cm 49×75

Questo prezioso dipinto racconta un episodio tratto dagli Atti degli apostoli quando San Paolo,
raggiunta la spiaggia di Malta dopo un drammatico naufragio durante il viaggio per Roma, è morso
da una vipera spaventata dal falò acceso dagli abitanti del luogo per riscaldare gli sventurati; uscendone
illeso appare a tutti come un dio. L’opera, con una vecchia attribuzione a Bernar- do Cavallino giusti-
ficata dalla sua cromia preziose dall’elevata qualità, è il modelletto per uno dei riquadri affrescati sul
soffitto della basilica di San Paolo Maggiore a Napoli.
Il vasto ciclo, realizzato da Massimo Stanzione tra la fine del 1642 e il 1644, è dedicato ai santi
Pietro e Paolo, che sostituivano gli eroici gemelli Castore e Polluce, cui era dedicato l’antico tempio
pagano romano sui cui resti era sorta la chiesa.

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I documenti attestano che il lavoro piacque così tanto ai committenti da riconoscere all’artista, il
frescante napoletano più richiesto del suo tempo, un premio aggiuntivo rispetto al compenso pattuito.
Una foto Alinari degli scorsi anni Venti, che riprende purtroppo solo i due terzi del soffitto, ci consente
di avere un’idea dello stato dell’epoca oggi irrimediabilmente compromesso in seguito a cattivi restauri
eseguiti tra Ottocento e Novecento e ai danni causati dalla guerra e dall’incuria.
La scena in questione ripresa nell’affresco risulta quasi completamente perduta, rendendo questo
bozzetto un documento visivo indispensabile per la memoria del lavoro dell’artista.

Fig. 2 - Giovanni Lanfranco (Parma 1582 - Roma 1647) Paradiso olio su tela, cm 60x75

Quest’opera, dipinta velocemente e ricchissima di ripensamenti, costituisce un importante docu-


mento storico-artistico relativo alla fase napoletana del pittore emiliano Giovanni Lanfranco.
Un suo disegno conservato al Museo di Capodimonte, raffigurante una testa di Cristo molto so-
migliante alla testa di Cristo di questo bozzetto, è stato recentemente ricondotto alla decorazione della
cupola del Gesù Nuovo. Pertanto, è largamente verosimile che siamo di fronte ad uno studio prepara-
torio per quell’affresco.
Lanfranco vi lavorò dal 1633 al 1636 ma purtroppo la cupola andò irrimediabilmente perduta in
seguito al terremoto del 5 giugno 1688. Il pittore, del resto, era uno specialista del genere avendo rea-
lizzato in città anche la cupola della celebre cappella del Tesoro di San Gennaro.
Il dipinto rappresenta il prodigioso intervento dei Santi Benedetto e Pietro durante il temporale
che scongiurò l’attracco delle navi saracene dirette a Montecassino, reduci dalla distruzione di Fondi.
Il pittore, impegnato per la decorazione della chiesa dell’Abbazia di Montecassino nel 1677 e poi
nuovamente nel 1691, realizzò questo bozzetto per una delle tele laterali della terza cappella a sinistra,
intitolata a Sant’Apollinare abate.

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Esso rappresenta un raro documento delle numerose opere eseguite dall’artista per l’abbazia be-
nedettina di Montecassino, perdute nel terribile bombardamento aereo allato del 15 febbraio 1944, il
cui nucleo più cospicuo raffigurava miracoli della vita di San Benedetto. Nel Museo della ricostruita
Abbazia è conservata una modesta copia della perduta tela.
Il dipinto raffigura uno dei più noti prodigi di Sant’Antonio di Padova, quando per rispondere al-
l’incredula indifferenza dei riminesi, il santo rivolge la sua predicazione ai pesci che accorrono ad
ascoltarlo.
A incorniciare la scena con fluide e sapienti pennellate è presente in alto una cortina retta da un

Fig. 3 - Luca Giordano (Napoli, 1634 -1704) I Santi Benedetto e Pietro su una barca intercettano i Saraceni
olio su tela, cm 49,5 × 39,5

angelo, mentre sulla parte bassa è rappresentata la personificazione della Carità, riconoscibile dalla
veste rossa e dal cuore ardente stretto nelle mani.
L’opera è il modelletto preparatorio per uno degli otto riquadri affrescati lungo il registro superiore
della parete ellittica della chiesa di Sant’Antonio dei Tedeschi (già dei Portoghesi) a Madrid, eseguiti
su commissione reale da Luca Giordano tra la fine del 1698 ed il 1701, durante il fecondo decennio
spagnolo in seguito alle insistenti richieste del re Carlo II di Spagna.

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Fig. 4 - Luca Giordano (Napoli, 1634 -1704) Sant’Antonio di Padova predica ai pesci
olio su tela, cm 80 × 54

La sveltezza pittorica e le evidenti variazioni del dipinto rispetto all’opera finale, si notino le dif-
ferenti posture dei volti del Santo e della Carità, ci restituiscono tutto il fascino della prima idea, do-
cumentando un elemento di una più ampia serie, di cui un altro esemplare è conservato presso la
National Gallery di Londra.
Questi due bozzetti di angeli furono certamente eseguiti da Francesco Solimena durante la fase di
studio per l’affresco della controfacciata del Gesù Nuovo con La cacciata di Eliodoro dal tempio,
datati 1725.
Il tema, per il messaggio esplicito, rispondeva alla volontà dei Gesuiti come monito per i fedeli
che entravano in chiesa.
Eliodoro, ministro del re di Siria Seleuco IV, tentò di profanare il tempio di Gerusalemme impa-
dronendosi del tesoro. Ma improvvisamente, dopo le preghiere del sacerdote Onia, apparvero un ca-
valiere e due angeli che riuscirono a cacciare Eliodoro.
Solimena raccoglie l’attenzione nel centro della scena, mentre il profanatore è rovinosamente a
terra allontanato con la forza. In particolare, il bozzetto raffigurante l’angelo in piedi, per la precisa
postura del braccio e delle gambe, mette a fuoco inequivocabilmente la figura del maestoso angelo

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ammantato di bianco che sta colpendo al centro della scena Elio-
doro con una verga. Il secondo studio, invece, raffigurante un
angelo accomodato su una nuvola mentre stringe tra le mani un
tempietto, è una prima idea per l’angelo in cielo, seduto in con-
troparte su una nuvola.
Il dipinto è il modelletto per uno degli affreschi realizzati da
Francesco Solimena, tra il 1682 e il 1685, su una delle pareti la-
terali del coro della chiesa di Santa Maria Donnaregina Nuova.
Negli anni Trenta del ‘900, però, quando si decise di recuperare
la vecchia abside della precedente chiesa trecentesca, una parte
del ciclo fu strappata e trasferita in alcuni ambienti dell’annesso
omonimo convento.
La piccola tela rappresenta un prezioso reperto storico-arti-
stico a causa del cattivo stato di conservazione degli affreschi
staccati e si fa testimonianza della prima idea del pittore. Inte-
Fig. 5 - Francesco Solimena
(Canale di Serino 1657 - Barra di Napoli
ressante è notare a riguardo le differenze apportate sul volto di
1747) Sant’Agostino, che inizialmente pensato molto giovane si tra-
Due studi di angeli sforma poi nell’affresco, forse per una richiesta esplicita delle
coppia di oli su tela, cm 37x24,5
stesse mona- che francescane committenti dell’opera, in un più
anziano uomo barbuto.
Sul piano stilistico, il bozzetto, insieme ad altre tele note e poste in relazione con lo stesso ciclo
pittorico, testimonia in questa fase iniziale di una lunga e brillante
carriera il significativo volgersi del giovane pittore in direzione
barocca, sugli esempi prodotti in città dai più anziani Giovanni
Lanfranco e Luca Giordano.
Giacinto Diano, detto ‘o puzzulaniell, abitò nella sua città
fino al 1752, quando si trasferì a Napoli per cominciare il suo ap-
prendistato presso la bottega del celebre Francesco De Mura (Na-
poli 1696-1782).
Questa piccola tela centinata rappresenta il modelletto, con
qualche piccola variante, per una pala d’altare conservata nella
chiesa di Sant’Antonio Abate a Procida.
L’evidente legame con i modelli del maestro, che si evince
chiaramente da un disegno di De Mura con lo stesso soggetto con-
servato presso lo Staatliche Museen di Berlino, insieme ad una
preziosità cromatica conquistata in seguito alla conoscenza del
pittore Corrado Giaquinto, suggerisce una datazione intorno al
settimo decennio del secolo XVIII. Fig. 6 - Francesco Solimena
Questa tela è il modelletto per la pala dell’altare maggiore (Canale di Serino 1657 - Barra di Napoli
1747)
realizzata da Giacinto Diano nel 1775 per la chiesa della Pietà dei Due studi di angeli
Turchini. Il peculiare nome ricorda il colore dell’abito indossato coppia di oli su tela, cm 37x24,5

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Fig. 6 - Francesco Solimena (Canale di Serino 1657 - Barra di Napoli 1747)
Dialogo tra i Santi Andrea e Agostino
olio su tela, cm 76x63

Fig. 6 - Francesco Solimena (Canale di Serino 1657 - Barra di Napoli 1747)


Dialogo tra i Santi Andrea e Agostino
olio su tela, cm 76x63

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Fig. 6 - Giacinto Diano (Pozzuoli 1731 - Napoli 1803)
Deposizione dalla croce
olio su tela, cm 90x54

dagli orfani accolti nell’istituto annesso, dove venivano iniziati alla musica dando vita al famoso Con-
servatorio della Pietà dei Turchini.
La Deposizione dalla croce è l’episodio finale della passione di Gesù culminata con la sua morte,
quando dopo essere stato tirato giù dalla croce è sul punto di essere sepolto.
L’artista ormai maturo, resosi stilisticamente indipendente dal maestro De Mura, si presenta con
le sue caratteristiche cromie lievi dai colori quasi pastello, pur mostrando una corposità materica pro-
pria della pittura ad olio.

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Domenico Gargiulo sponsor della convivialità

https://achillecontedilavian.blogspot.com/search?q=Domenico+Gargiulo+sponsor+della+con-
vivialità

Questo mio articolo potrebbe anche essere intitolato: Sacro e profano a cena da Baroq, dal nome
del nuovo locale aperto a Napoli in piazza Vittoria, nel quale, oltre a bere un buon bicchiere di vino o
addentare un gustoso panino, si può, anzi si deve, ammirare una serie di dipinti esposti alle pareti ed
illustrati da schede esaustive.
Ogni mese cambieranno i capolavori esposti.
Si comincia con 4 dipinti inediti di Domenico Gargiulo, alias Micco Spadaro e si proseguirà con
artisti di pari livello.
Nel 1839 Louis Daguerre presenta il dagherrotipo, una specie di specchio dotato di memoria. È
l’inizio della fotografia, che si svilupperà e perfezionerà lungo tutto il secolo.
Ma prima di allora come si faceva a fissare le immagini e a raccontare i fatti che accadevano?
Naturalmente era compito dei pittori, in particolare di alcuni, abilissimi a fermare il tempo con il
pennello per consegnare alla storia frammenti di vita.
Il pittore Domenico Gargiulo amatissimo dalle grandi famiglie dell’aristocrazia napoletana ed
anche dalla corte vicereale, può essere considerato un grande fotoreporter ante litteram.

Fig. 1 - Micco Spadaro, cronista e narratore nella Napoli del Seicento


7 dicembre 2018 - 7 febbraio 2019 - piazza vittoria, 6 Napoli 081 18671407
baroq.it

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Nato a Napoli (1609/1610-1675 [?]), venne soprannominato Micco Spadaro perché figlio di un
fabbricante di spade.
Le fonti raccontano che fin da ragazzo manifestasse questa sua predisposizione alla pittura e al
disegno, e ben presto, grazie al suo talento e non senza screzi con il padre, riuscì a realizzare questo
suo proposito.
Cominciò la sua carriera nella bottega del famoso Aniello Falcone, detto l’Oracolo delle battaglie
per la sua particolare inclinazione nel dipingerle, dove fu in contatto con numerosi altri significativi
artisti. Particolarmente importante fu il sodalizio stretto con il bergamasco Viviano Codazzi, uno spe-
cialista della scenografia con cui inventerà una formula professionale a quattro mani di ampio e rico-
nosciuto successo (di cui abbiamo qui un esempio visibile).
Micco non abbandonò mai la sua città, neppure durante lo scoppio della peste del 1656, che fal-
cidiò oltre i due quinti della popolazione napoletana tra cui molti suoi colleghi e dalla quale riuscì a
salvarsi, lavorando al riparo presso la Certosa di San Martino.
Proprio a lui, nel 1657, scongiurato il pericolo del morbo, i certosini commissionarono un grande
ex voto in omaggio alla Vergine e ai Santi protettori di Napoli.
Con occhi curiosi ed uno stile da narratore paziente ed attento, Micco Spadaro praticò tutti i generi.
Raccontò la Bibbia e i miti con quel suo facile linguaggio rigorosamente descrittivo, tra immagini e
argo- menti appropriati per le sue favole, in un connubio artisticoletterario denso di contenuti. Foto-
grafò fatti storici e di cronaca documentandoli, descrisse palazzi e luoghi del passato poi sventurata-
mente scomparsi, delineò ritratti, costumi sociali, squarci urbani ed appunti di vita cristallizzandoli e
donandoli alla storia dell’umanità.

OPERE IN MOSTRA

La Villa di Poggioreale, si-


tuata fuori le mura della città, fu
uno degli edifici più importanti
del Rinascimento napoletano.
Intorno al 1487, il Duca di Ca-
labria e futuro re Alfonso II d’A-
ragona decise di realizzare una
residenza reale extra moenia.
Il progetto venne affidato
all’architetto fiorentino Giu-
liano da Maiano, che diresse il
cantiere fino alla sua morte nel
1490; in breve la Villa fu poi
terminata, divenendo il luogo
Fig. 2 - Domenico Gargiulo e Viviano Codazzi
privilegiato per i ricevi- menti
Preparativi per una festa nella Villa di Poggioreale
della corte. olio su tela, cm 97 x 137

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La struttura era caratterizzata
da un impianto molto originale e
contaminato: appariva come una
villa antica circondata da un porti-
cato, protetta come un castello me-
dievale ed arricchita da giardini,
fontane e una grande peschiera
riempita d’acqua e di pesci guiz-
zanti.
Le cronache ricordano il fe-
stino organizzato dal duca Medina
de las Torres, quando la corte su
dieci barchette si dilettò a pescare
ed anche lo spettacolare convito
che il duca di Ossuna vi organizzò
Fig. 3 - Domenico Gargiulo - L’imprevisto
olio su tela, cm 37,5 x 48,5 siglato DG per diecimila persone, con i nobili
a pranzare nel casino ed i giardini
imbanditi per il popolo.
Entrambi i pittori frequentarono certamente la Villa (che ora non esiste più), fotografandola mentre
erano in atto i preparativi per una festa e lasciando scorgere sul fondo il profilo di Castel S. Elmo sulla
collina del Vomero.
Questo simpatico e raro dipinto, che ferma il momento preciso in cui una puledra bianca sta cal-
ciando le avances di un focoso cavallo spaventando e mettendo in difficoltà i presenti, rientra in quella
particolare rosa di dipinti tratti dalla realtà di tutti i giorni, di cui il pittore fu grande interprete.
In città, percorsa quotidiana-
mente da muli e cavalli indispen-
sabili all’epoca per gli spostamenti
ed i trasporti, scene del genere do-
vevano essere sotto gli occhi di
tutti, soprattutto nella stagione pri-
maverile della monta.
Infatti, anche nell’importante
dipinto raffigurante Il Largo del
Mercato, custodito presso il museo
del Hospital de Afuera a Toledo e
considerato un raro documento per
lo studio del costume e della vita
sociale dell’epoca, vi è rappresen-
tata la stessa scena, in una piazza
del Carmine gremita di persone in-
Fig. 4 - Domenico Gargiulo - Santa Maria Egiziaca
tente a mercanteggiare. olio su tela, cm 100 x 128 siglato DG

28
È verosimile che anche questa pruriginosa immagine dovette essere suggerita al pittore dal vero.
Questo suggestivo dipinto, di devozione privata, rappresenta Santa Maria Egiziaca, alla quale a
Napoli sono dedicate due chiese: Santa Maria Egiziaca a Forcella (anche detta Santa Maria Egiziaca
all’Olmo) e Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone.
Maria, di origine egiziana, sin da fanciulla aveva sentito stretti i vincoli della famiglia, della società
e della morale. Precoce ed avvenente, fuggì dalla casa paterna e si recò ad Alessandria, dove dette
sfogo al suo temperamento sensuale, vivendo per diciassette anni una vita di disordine e peccato.
Imbarcatasi con molti pellegrini, volle raggiungere Gerusalemme e la festa dell’Esaltazione della
Croce, ma appena giunta in prossimità di varcare la soglia del tempio fu come trattenuta da una forza
invisibile, che le ripeteva di non essere degna.
Convertitasi, andò a vivere solitaria nel deserto oltre il Giordano, dove restò per tantissimi anni.
La Santa è inginocchiata in preghiera, protetta in cielo da una nuvola di angioletti. Nuda e coperta
solo da un telo di iuta, secondo la tradizione, rimase lì a meditare. Alle sue spalle sono appoggiati il
teschio, simbolo della riflessione del-
l’uomo sulla brevità della vita terrena, e
dei tozzi di pane, che sarebbero miraco-
losamente bastati a sostenerla per tutto il
tempo di penitenza.
Lo spiccato sintetismo di Micco foto-
grafa l’ambiente con un velutato accordo
cromatico verde muschio e si concentra
sugli scarni oggetti del racconto e sull’e-
spressione ispirata e pentita della Santa.
Nata come “Biblia pauperum” (Bib-
bia dei poveri), la rappresentazione delle
pagine religiose diventa nel Seicento un
prezioso medium comunicativo con i fe-
deli di tutte le estrazioni sociali, soprat-
tutto con quelli che non potevano Fig. 5 - Domenico Gargiulo - Il Buon Samaritano
conoscere diversamente le Sacre Scrit- olio su tela, cm 102 x 123
ture perché analfabeti. E’ bene ricordare,
infatti, che anche le messe, celebrate esclusivamente in latino, non erano di facile comprensione.
Tutti gli inventari delle collezioni di quel secolo presentano dipinti e oggetti sacri, una preferenza
accordata per lanciare un messaggio ben preciso, sia in termini di autentico rapporto protettivo e spi-
rituale con la fede, sia come più opportunistico simbolo ideologico e sociale.
Con la sua tipica grafia veloce, da narratore che ha tanto da racco tare, Gargiulo affronta spesso
anche il tema sacro. Qui traduce la celebre parabola evangelica (Luca, 10:25-37) sulla fratellanza
umana.
«Un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la
vita eterna?». Gesù gli disse: […] «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti
che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote

29
scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita,
giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli ac-
canto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi,
caricatolo sopra il suo giumento, lo
portò a una locanda e si prese cura di
lui».
La tela coglie il cuore del rac-
conto, quando il Samaritano si avvi-
cina all’uomo per medicargli le
ferite, andando ad affiancarsi a tante
altre opere di iconografia religiosa
dipinte da Micco nel corso della ma-
turità.
Il dipinto raffigura la processione
svoltasi il 17 dicembre 1631, per im-
plorare la fine dell’eruzione del Ve-
suvio verificatasi la notte precedente.
Fig. 6 - Domenico Gargiulo - Eruzione del Vesuvio del 1631 Alcune testimonianze, riportate
olio su tela, cm 126 x 177, Napoli, Museo di San Martino
in letteratura, ricordano durante il tra-
gitto dal Duomo di Napoli fino a
Porta Capuana l’apparizione di San
Gennaro, che qui è rappresentato in cielo su una nuvola.
Insieme alla folla ammassata ma descritta nei particolari, sono ben visibili il busto reliquiario di
San Gennaro e le ampolle con il sangue trasportate sul baldacchino, mentre in corteo si riconoscono
le figure del viceré spagnolo, del cardinale Boncompagni e di tutti i rappresentanti dell’aristocrazia
napoletana.
Sui tetti dei palazzi la gente
guarda la scena e nel fondo il Vesu-
vio incombe ed appare ancora fu-
mante.
Il dipinto rappresenta uno dei
documenti figurativi più interessanti
della sommossa antispagnola verifi-
catasi a Napoli tra il luglio del 1647
e l’aprile del 1648.
La scena si svolge in piazza Mer-
cato, ripresa dalla chiesa di Sant’Eli-
gio. Sul lato destro, evidente è il
campanile della chiesa del Carmine,
preceduta dalla cappella del Re Cor-
Fig. 7 - Domenico Gargiulo - La rivolta di Masaniello
radino, poi abbattuta nel Sette- cento. olio su tela, cm 126 x 177, Napoli, Museo di San Martino

30
Al centro si erge, invece, il basamento
del monumento, mai completato e poi
distrutto, che Masaniello aveva ordi-
nato a Cosimo Fanzago, dove ap-
paiono come trofei le teste mozzate
dai rivoltosi.
Leggermente più in basso, Masa-
niello, in groppa al suo cavallo e con
un cappello rosso sul capo, accende la
rivolta.
La minuzia dei dettagli e delle
scene rappresentate suggerisce, anche
in questo caso, una partecipazione di-
retta agli avvenimenti.
Fig. 8 - Domenico Gargiulo - Punizione dei ladri ai tempi di Masaniello
olio su tela, cm 29 x 38, Napoli, Museo di San Martino L’opera è un documento storico
importante perché rappresenta la par-
ticolare modalità con cui venivano pu-
niti i ladri nella metà del Seicento. Il colpevole, dopo essere stato cinto sul capo con una corona di
cartone, veniva fatto girare per la città a cavalcioni su un mulo.
La scena è ambientata nel Largo del Mercatello, l’attuale piazza Dante, davanti alla scomparsa
porta dello Spirito Santo che apriva su via Toledo. Il dipinto è databile intorno al 1647 e fa parte di un
gruppo di quattro dipinti citati dal biografo Bernardo De Dominici e raffiguranti particolari episodi
della rivolta di Masaniello. Il piccolo formato ed il taglio moderno e trasversale rendono quest’imma-
gine, insieme alla successiva, un’anticipazione delle fotografie di reportage.
Anche in questo caso, l’imma-
gine attesta un documento storico i
portante perché vi è rappresentata la
crudele e spettacolare uccisione di
Don Giuseppe Carafa, fratello del
Duca di Maddaloni, Diomede, avve-
nuta il 10 luglio 1647 in piazza del
Carmine.
Il Duca aveva organizzato un
complotto ma viene smascherato e la
folla inferocita, non potendo raggiun-
gerlo, si accanisce contro il fratello.
La testa recisa ed infilzata viene
portata come un trofeo al cospetto di
Masaniello, che appare in piedi su un
podio sul lato sinistro della scena ad Fig. 9 - Domenico Gargiulo - Uccisione di Don Giuseppe Carafa
arringare la folla. olio su tela, cm 29 x 38, Napoli, Museo di San Martino

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Il Largo del Mercatello, posto
all’epoca fuori le mura della città, è
l’attuale Piazza Dante.
In alto, sul lato destro del di-
pinto compare la Porta dello Spirito
Santo, chiamata anche Porta Reale,
che dava l’accesso a via Toledo. Die-
tro alle mura si scorgono la cupola
della chiesa di San Sebastiano, crol-
lata nel 1939, ed il campanile della
chiesa del Gesù.
Nella piazza, proprio perché
esterna alla città, venivano raccolti i
Fig. 10 - Domenico Gargiulo
moribondi e i cadaveri provocati
Largo del Mercatello a Napoli durante la peste del 1656
olio su tela, cm 126 x 177, Napoli, Museo di San Martino dalla terribile peste che colpì la città
di Napoli nel 1656.
Mettendo a fuoco i particolari, la tradizione vuole ricondurre alcune figure ritratte a personaggi ben
noti. Tra tutti, dando ascolto ad una testimonianza dello storico Dalbono, sembra spiccare Massimo Stan-
zione, che moribondo appare sul margine basso a destra mentre gli viene offerta l’ultima eucaristia.
Questo scenografico e grande ex voto fu dipinto da Micco nel 1657, in ringraziamento alla Vergine
e ai Santi Bruno e Martino, patroni della Certosa, come si legge sulla ben evidente lapide marmorea.
Dinanzi ad una veduta spettacolare di Napoli, che è la stessa che ancora oggi si va ad ammirare
da lassù, una settantina di certosini sono accorpati nel centro della tela, ciascuno con la propria fisio-
nomia. Accanto, ben distinguibili appaiono il cardinale Filomarino, il Priore Cancelliere ed il pittore
con la sua tavolozza.
Svolazza in alto la Vergine,
circondata da quattro putti, e San
Bruno che le porge la Regola.
Sul margine sinistro, sopra una
grossa nuvola, compare Gesù Cri-
sto, affiancato da San Giuseppe, San
Giovanni Battista e i Santi Gennaro
e Martino in abiti vescovili.
Vestito di rosso ed armato di
spada, San Martino respinge la
peste, personificata in una vecchia
che ricorda le streghe dipinte in
quegli stessi anni da Salvator
Rosa.
Fig. 11 - Domenico Gargiulo
Rendimento di grazia dopo la peste del 1656
olio su tela, cm 207 x 305 Napoli, Museo di San Martino

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Due interessanti dipinti del ‘600 napoletano

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letano

In un panorama ricco di personalità di rilievo internazionale, dal Caravaggio a Luca Giordano,


dal Ribera a Solimena, quale è quello rappresentato dal Seicento napoletano, la figura di Domenico
Gargiulo, detto Micco Spadaro, non assurge certo al ruolo di protagonista assoluto, ma il suo percorso
artistico è quanto mai interessante abbracciando più filoni iconografici, in alcuni dei quali è da consi-
derare più che un innovatore un vero e proprio caposcuola, la cui attività troverà epigoni ed imitatori
ben oltre i limiti temporali del XVII secolo, come nel caso delle scene di martirio o dei quadri di storia
e cronaca cittadina, oltre che nella pittura di paesaggio, come nel caso del dipinto (fig. 1) che illu-
striamo in questo articolo, che riporta sul retro
della tela un’antica attribuzione (fig.2). Inoltre
Domenico Gargiulo è un napoletano “doc”,
nato e morto nella nostra città, dalla quale non
si è mai allontanato.
Con occhi curiosi ed uno stile da narratore
paziente ed attento, Micco Spadaro praticò
tutti i generi. Raccontò la Bibbia e i miti con
quel suo facile linguaggio rigorosamente de-
scrittivo, tra immagini e argomenti appropriati
per le sue favole, in un connubio artistico let-
terario denso di contenuti. Fotografò fatti sto-
rici e di cronaca documentandoli, descrisse
palazzi e luoghi del passato poi sventurata-
mente scomparsi, delineò ritratti, costumi so-
Fig. 1 - Domenico Gargiulo - Pastorello -
ciali, squarci urbani ed appunti di vita Napoli, collezione privata
cristallizzandoli e donandoli alla storia dell’u-
manità. Oltre a questo genere di tele, egli ha
eseguito notevoli paesaggi, sull’onda dell’insegnamento di Salvato Rosa e per venire incontro alle ri-
chieste di una committenza laica e borghese, che non amava i soggetti devozionali.
Quasi sempre nei suoi dipinti appaiono figurine di piccolo formato, ma talune volte, come nel pa-
storello (fig.3) che compare nel nostro quadro, la figura predominante assume dimensioni adeguate,
mentre all’orizzonte si intravedono le patognomoniche nuvole bianche orlate di rosa ed una montagna
in lontananza. La definizione del fogliame, che copre tutte le tonalità del verde, è di ottima fattura, un
altro dettaglio che rinvia al pennello di Micco Spadaro.
Il secondo dipinto che esaminiamo, di grandi dimensioni e di altissima qualità, raffigurante San
Bonaventura che riceve il cappello cardinalizio (fig.4–5) in un primo momento non irradiava quell’a-

33
Fig. 2 - Domenico Gargiulo - Pastorello -Retro del quadro -
Napoli, collezione privata

frore caratteristico di “napoletanità” che riescono a cogliere gli spe-


cialisti di quel periodo, tra cui il sottoscritto ed il motivo mi è stato
chiaro dopo che il celebre studioso di pittura bolognese, il professor
Pietro Di Loreto, lo ha attribuito al Domenichino, durante gli anni
trascorsi all’ombra del Vesuvio, quando, pur impegnato nella Cap-
pella del tesoro di San Gennaro, trovava il tempo per soddisfare
delle committenze private di prestigio. Domenico Zampieri detto
il Domenichino, è infatti presente a Napoli per 10 anni, dal 1631
fino alla morte, avvenuta il 6 aprile del 1641.
Fig. 3 - Domenico Gargiulo
Egli fu, assieme ad Annibale Carracci e Guido Reni, uno dei Pastorello - (particolare)
grandi pittori bolognesi del Seicento appartenente a quella scuola Napoli, collezione privata
pittorica che rinnovò il linguaggio artistico del XVII secolo.
Tutta la sua carriera è dedicata alla rievocazione della luminosa stagione del pieno Rinascimento,
rivisitato alla luce di una consapevolezza critica e intellettuale aggiornata e tutto comincia nel clima
della Galleria Farnese, palestra ed esempio imperituro per generazioni di pittori, saturo di cultura clas-
sica e ammirazione per Raffaello, ma anche di inquietudine e di sensualità, ove maturava il seme da
cui sarebbe sbocciato lo stile, significativamente aborrito dai classicisti, che in pochi decenni avrebbe
guadagnato l’intera arte europea, ossia il Barocco.
La sua fama ha oscillato per tre secoli tra l’ammirazione e il disprezzo: osannato dai contempo-
ranei, che lo ritennero secondo solo al Raffaello, nel Settecento ebbe un momento di oblio, per ritornare
in auge con la critica moderna, che è pervenuta ad una più chiara valutazione dell’età barocca e del
suo primo momento classico.
Egli tese a fissare in immagini di statuaria evidenza le passioni fondamentali dell’uomo, piegando
a volte le regole del più puro classicismo ed accostando i modelli di bellezza idealizzati alle corde più
impalpabili degli umani sentimenti. Dopo tanti anni di successo, il Domenichino, quando giunse a
Napoli si impegnerà per il resto dei suoi anni nei lavori per la decorazione della Cappella del Tesoro
nel Duomo di Napoli.
Il compenso stabilito fu da record: 18.000 scudi che riuscirono a stemperare gli indugi e le per-
plessità del Domenichino, timoroso di lavorare nella difficile realtà napoletana, dove gli artisti stranieri
non erano ben accolti dall’entourage dei pittori locali, come testimoniavano l’agguato a Guido Reni
e le storie di avvelenamenti, associate alle minacce, più o meno sottili, che venivano propinate ad ogni
occasione. Ma infine, l’ambizione per l’esecuzione di un’impresa che si annunciava colossale prevalse

34
sulle paure e sulle riluttanze ed il pit-
tore giunse a Napoli dove visse anni
difficili per la rivalità dei colleghi e
per un senso di solitudine ed isola-
mento che aumentarono nel tempo.
Egli si buttò anima e corpo
nell’esecuzione degli affreschi e
delle pale d’altare, certo di divenire
l’artefice di una grande impresa:
l’intera opera consisterà di quattro
pennacchi, tre lunette, dodici riqua-
dri nei sottarchi e cinque pale d’al-
tare, una delle quali non completa,
Fig. 4 - Domenichino (e bottega) - mentre la cupola, che egli riuscì ap-
San Bonaventura che riceve il cappello cardinalizio -
Napoli collezione privata pena a cominciare, fu lasciata in-
compiuta e quel poco che aveva fatto
a tempo a dipingere fu «buttato a terra» come ci ricorda il
biografo Giovan Battista Passeri e la decorazione ricreata
interamente dal suo acerrimo antagonista Giovanni Lan-
franco.
Costretto a lavorare senza sosta dai suoi committenti
che gli vietano di assumere qualsiasi altro incarico, tentò
per qualche tempo la fuga, rifugiandosi presso la famiglia
degli Aldobrandini, suoi antichi protettori, a Roma. Ma
dopo poco fece ritorno, anche se di malavoglia, a Napoli,
dove, sempre sotto le forti minacce fattegli dai suoi colle-
ghi continuò pigramente a lavorare fino al 1641, quando
morì, forse avvelenato, lasciando incompiuta la sua im-
presa, che fu proseguita dal Lanfranco, al quale si deve la
realizzazione della splendida cupola e, per le pale d’altare,
a Massimo Stanzione, cui spetta il vigoroso e drammatico Fig. 5 - Domenichino (e bottega)
- San Bonaventura che riceve il cappello
Miracolo dell’Ossessa ed a Ribera artefice del celebre e cardinalizio - (particolare) -
spettacolare San Gennaro che esce illeso dal fuoco della Napoli collezione privata
fornace, un immenso rame che, restaurato per l’occasione,
fu il gioiello della mostra sulla Civiltà del Seicento ed il cui dramma miracoloso si compie sotto un
cielo azzurro come da sempre è quello napoletano.

35
Uno spettacolare pendant di Adriaen Van Utrech

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Van+Utrech

Adriaen Van Utrech è un celebre


pittore di nature morte e tra le sue
opere più famose va annoverato il
Banquet still life (fig.1), conservato
nel Riyksmuseum di Amsterdam, del
quale rendiamo ora noto il suo pen-
dant: Scena di cucina (fig.2), apparte-
nente ad una celebre collezione
napoletana.
Dopo la descrizione del dipinto
in esame forniremo alcune notizie bio-
grafiche sul suo autore, del quale mo-
streremo anche il suo ritratto (fig.3)
Passiamo ora a parlare del dipinto Fig. 1 - Banquet still life - 185x242 - databile al 1644 -
raffigurante una Scena di cucina, ap- Amsterdam Riyksmuseum di
partenuta fino al 1984 ad una colle-
zione privata milanese, per passare
poi in collezione della Ragione a Napoli.
Questa pregevole opera di Van Utrech, siglata in basso a destra sulla base dell'anfora con le iniziali
del pittore e nella quale è certa la collaborazione di Thomas Willeboirts, detto Bosschaert, potrebbe,
con grande probabilità, essere un quadro scomparso da secoli e di cui ci danno notizia alcuni documenti
da poco tempo scoperti. Da tali documenti veniamo a conoscenza che su richiesta del principe Frederic
Herni da Nassau il Van Utrecht eseguì in collaborazione con Thomas Willeboirt Bosschaert una im-
portante composizione dal soggetto non ben precisato. Questa opera sarebbe dovuta essere destinata
alla residenza dell'Aja, che rappresentava allora il domicilio estivo della Casa Orange.
La partecipazione del nostro pittore fu largamente ricompensata nel 1648 con una somma di 400
fiorini, che all'epoca costituivano il prezzo di un'opera molto importante.
Ad ogni modo un altro paragone è d'obbligo tra la nostra opera e la famosa «Kuechenstuck» o
«Kitchen Piece» della Staatlichen Gemaldegalerie di Kassel, firmata per esteso e datata 1629, nella
quale compare lo stesso timballo di cigno sontuosamente decorato presente nella nostra tela e che pos-
siamo osservare identico in un'opera analoga del 1644, eseguita da David Theniers il Giovane e con-
servata nel Museo dell'Aja.
In particolare nel dipinto del Teniers il cigno, il timballo e le decorazioni alludono ai rapporti po-
litici del tempo: infatti la crosta del timballo è decorata con l'aquila bicipite della casata degli Asburgo,

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mentre al collo del cigno è appeso un
emblema con mani giunte e un cuore
in fiamme, simbolo della fede.
Tali emblematiche e fastose deco-
razioni erano ideate per accompagnare
le colte conversazioni dei cortigiani
nell'ambito di un pranzo che soddisfa-
cesse oltre che il palato anche la vista.
E ciò faceva parte del cerimoniale da
tavola delle feste celebrate dall'ari-
stocrazia nel XVII secolo nelle quali
facevano spesse parte invenzioni pla-
stico-artistiche realizzate con galatine
Fig. 2 - Scena di cucina o timballi che risultavano «pietanze da
(in collaborazione con Willeboirts Thomas, detto Bosschaert) - 240x175 guardare» le quali evidentemente
- firmata - Napoli, collezione della Ragione
erano pensate per soddisfare più l'oc-
chio che la gola, o almeno l'uno e l'al-
tra. Queste decorazioni erano costituite da una base commestibile tipo timballo, il quale certamente
non aveva per ingrediente la sgradevole carne di cigno e da parti di cigno impagliate che formavano
l'artistica alzata, ornata al culmine da una corona.
La scena di cucina del museo di Kassel, pur presentando notevoli similitudini sia nel soggetto che nei
dettagli con la nostra tela non può essere però considerata un suo pendant, perché ha dimensioni, anche
se di poco, diverse. Nel quadro in esame il Van Utrecht, al posto di
un sontuoso disordine, pone gli elementi. della composizione con una
netta distinzione in carni, vegetali e dolci. Il cigno sul lato sinistro è
poggiato su un elaborato timballo molto decorato ed è impreziosito
da un nitido mazzolino di fiori derivato dallo stile di Jan Brueghel.
La figura della cuciniera (fig.4), di mano del Bosschaert, che
ricorda i volti dolcissimi del Rubens, rifulge al centro della tela con
la sua prorompente bellezza, che ben si esprime negli occhi lucenti
e nel seno prosperoso che fa capolino maliziosamente dalla scolla-
tura e spezza in due la composizione; mentre la scena viene a svol-
gersi su due piani orizzontali: uno costituito dal gruppo di
selvaggina e volatili appesi al muro o posti sulla tavola, mentre al
suolo si contrappongono i grandi cavoli, i carciofi. e gli altri legumi.
Il pittore, per spezzare la verticalità e la crudezza degli animali
appesi ai crocchi, fa comparire lunghi gambi di verdura dal tracciato
Fig. 2 - Coenraet Waumans
sinuoso, che fuoriescono dal tavolo o dalla grossa anfora posta sulla Ritratto di Adriaen van Utrecht
destra della scena. Questo artifizio di composizione compare nella
maggior parte delle nature morte del Van Utrecht, in particolare nelle opere di grande formato, ove
l'artista si sforza di rendere sensibile la profondità dello spazio.

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Fig. 4 - Scena di cucina (particolare) Fig. 5 - Scena di cucina (particolare patognomonico)

Tra i colori adoperati nella composizione


caratteristico è il verde dei cavoli che vira
verso il grigio, il che può essere considerato
come «patognomonico» della firma del pittore
(fig. 5).
Il tappeto della tavola è reso con un grigio
spento per favorire la riaccensione dei colori
delle vivande.
Altri elementi presenti nel dipinto e che
spesso troviamo nei lavori di Van Utrecht
sono il bel pezzo di argenteria cesellata ed il
bicchiere di cristallo trasparente (fig.6). In
particolare il pezzo di argenteria compare
identico (fig.7) nel dipinto conservato nel
Fig. 6 - Scena di cucina (particolare )
museo di Amsterdam.
In definitiva questa opera costituisce un ul-
teriore arricchimento del catalogo di Van Utrecht, il quale si riscopre come artista di altissimo livello,
dotato di una tecnica raffinata ed in grado di gareggiare con l'opera di un Franz Snyders o di un Jan Fyt.

Passiamo ora alla biografia dell’autore

Adriaen van Utrecht (Anversa, 12 gennaio 1599-1652) era un pittore fiammingo noto soprattutto
per i suoi sontuosi banchetti di nature morte, selvaggina e frutta, ghirlande di frutta, scene di mercato
e cucina e raffigurazioni di pollame vivo nei cortili. I suoi dipinti, in particolare i pezzi di caccia e di
giochi, mostrano l'influenza di Frans Snyders . I due artisti sono considerati i principali inventori del
genere dei pronkstillevens, vale a dire nature morte che hanno enfatizzato l'abbondanza rappresentando

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una varietà di oggetti, frutti, fiori e giochi
morti, spesso insieme a persone viventi e ani-
mali. Era un collaboratore abituale con i prin-
cipali pittori di Anversa che erano stati alunni
o assistenti di Peter Paul Rubens, come Jacob
Jordaens, David Teniers il Giovane, Erasmus
Quellinus II, Gerard Seghers, Theodoor Rom-
bouts, Abraham van Diepenbeeck e Thomas
Willeboirts Bosschaert.
La maggior parte delle notizie riguardanti
la sua biografia le ricaviamo dalla leggenda
posta sotto il suo ritratto, eseguito da Jan
Meyssens. Van Utrecht nacque ad Anversa il
12 gennaio 1599 e nel 1614 divenne appren-
dista presso la bottega di Herman De Ryt. Tra
il 1620 e il 1625 compì un lungo viaggio di
istruzione in Francia. Germania e Italia. Dal
testamento di suo padre veniamo a cono-
scenza che il 1° giugno del 1624 si trovava an-
cora lontano da casa, mentre dal 1625 alcuni
documenti di archivio testimoniano la sua pre-
senza costante nella sua città natale. Il 14 ago-
Fig. 8 - Banquet still life -(particolare)-
sto 1625 diventa maestro della corporazione
Amsterdam Riyksmuseum di San Luca,

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Due pregevoli dipinti del Seicento napoletano

https://achillecontedilavian.blogspot.com/search?q=Due+pregevoli+dipinti+del+Seicento+na-
poletano

In questo articolo portiamo a conoscenza


dei nostri lettori due pregevoli dipinti appar-
tenenti ad una collezione romana, una delle
più importanti d’Italia.
Il primo, raffigurante I Quattro evangelisti
(fig.1) è stato visionato in passato dal com-
pianto Maurizio Marini, che lo assegnò ad un
fiammingo attivo a Napoli nei primi decenni
del Seicento, parere confermato da Vittorio
Sgarbi, che ha ammirato il quadro di recente.
Senza ombra di dubbio l’opera appartiene
alla produzione di Hendrick Van Somer, un
Fig. 1 - Hendrick Van Somer - I quattro Evangelisti -
pittore al quale in passato ho dedicato più di Roma collezione privata
uno scritto, a tal punto che se digitiamo su
Google “Hendrick van Somer”, compaiono oltre 10 000 citazioni e la prima si riferisce ad un mio ar-
ticolo del 2009: Hendrix van Somer due pittori in uno, nel quale sottolineavo la contemporanea pre-
senza a Napoli di due artisti con uguale nome e cognome, uno, figlio di Barent ed un secondo, figlio
di Gil. Il primo nato nel 1615 e morto ad Amsterdam nel 1684, il secondo, nato nel 1607 e scomparso
forse durante la peste del 1656, presente in città dal 1624.
Al primo la critica assegna il Battesimo di Cristo, eseguito per la chiesa della Sapienza nel 1641
ed un Martirio di San Bartolomeo, gia in collezione Astarita a Napoli.
Per il secondo Bologna e Spinosa hanno ricostruito un percorso artistico più articolato con dipinti
che, dopo un periodo di osservanza riberiana, sfociano nel nuovo clima pittoricistico di matrice neo-
veneta che maturò a Napoli intorno alla metà degli anni Trenta, un momento in cui cominciò a preva-
lere il cromatismo sul luminismo. La sua pittura, che tradisce l’origine fiamminga e la dimestichezza
con i caravaggisti nordici, è caratterizzata dal viraggio della luce verso una pacatezza dei colori ed un
contenuto iconografico severo.
Le opere che possono essergli attribuite sono oramai numerose dal Sant’Onofrio della collezione
Cicogna di Milano alla Guarigione di Tobia del museo del Banco di Napoli, dall’Estasi sul tamburo,
già presso l’antiquario Lucano di Roma alla Decollazione del Battista della collezione Bernardini di
Padova.
In seguito il Van Somer impreziosisce la sua tavolozza alla ricerca di esiti sempre più spinti di
raffinatezza formale ed è il periodo del Sansone e Dalila già nella raccolta dei principi Firrao, del Loth
e le figlie già presso Heim a Londra, del David con la testa di Golia, siglato di una raccolta romana e

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dello stupendo Venere ed Adone di una colle-
zione napoletana. Del 1635 è la Carità già
nella collezione Bosco, siglata, mentre le sue
ultime opere sono il San Girolamo della Tra-
falgar Galleries di Londra e della Galleria
Borghese di Roma, rispettivamente siglato
1651 e firmato 1652.
Di recente Giuseppe Porzio ha pubblicato
documenti e notizie sul pittore ed ha incre-
mentato il suo catalogo con dipinti di qualità
eccelsa, che forniscono oramai l’immagine di
un artista di grande valore, anche se ancora
Fig. 2 - Hendrick Van Somer - Loth e le figlie - poco noto.
Londra, giá galleria Heim
In questo breve contributo intendiamo
presentare una tela per la quale l’attribuzione
al Van Somer è più che certa, con alcune figure che ripropongono fisionomie presenti in altre opere
documentate dell’artista, mentre l’elegante tappeto rosso, presente al centro della composizione, è lo
stesso che compare nel Loth e le figlie (fig. 2), già presso la galleria Heim di Londra. Ben rappresentati
i simboli iconografici degli evangesti, in particolare il bovino in primo piano, dalle corna eloquenti,
per passare poi all’aquila ed al leone.
Concludiamo con una doverosa precisazione, scaturita dal-
l’esame di alcuni documenti: la dizione precisa del cognome è De
Somer e non van Somer, come fino ad oggi indicato sui principali
contributi sull’artista da Bologna a Spinosa.
Il secondo dipinto che presentiamo raffigura le tre Marie (fig.
3) una iconografia nella quale si rappresentano le tre donne che
seguirono Gesù durante il triduo pasquale; tradizionalmente iden-
tificate come: Maria (madre di Gesù), Maria Maddalena e Maria
di Cleofa.
La tela va attribuita a nostro parere al virtuoso pennello di
Luca Giordano in collaborazione con uno dei suoi allievi più
bravi: Giuseppe Simonelli e va collocata cronologicamente agli
ultimi decenni del Seicento.
Il problema delle ampie collaborazioni nelle opere giordane- Fig. 3 - Luca Giordano e Giuseppe
sche è delicato argomento che la critica ha esaminato più volte Simonelli - Le 3 Marie -
Roma collezione privata
sotto varie angolazioni. È impresa ardua infatti riconoscere una o
più mani nelle tele autografe, ancor più nei vasti cicli decorativi.
Oggi, riusciamo a discernere alcuni allievi più famosi, a lungo sommersi nella sterminata produzione
di Luca e presto, agli occhi più smaliziati, sarà possibile distinguere il pennello di un collaboratore
nel rifinire dettagli, più o meno secondari, in un’opera sicuramente attribuibile al Giordano.
Parlare di Giordano è un’offesa ai nostri colti lettori, che ben conoscono l’opera del grande pittore

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per cui ci limiteremo a fornire notizie sul suo collaboratore: Giuseppe Simonelli (? 1650 - 1710), che
il De Dominici ricorda come imitatore del colorito scuro del maestro e del quale molti forestieri com-
pravano le opere scambiandole per autografi giordaneschi.
Il suo spazio vitale crebbe, come per altri allievi della bottega, con il trasferimento in Spagna di
Luca, perché fu incaricato di completare alcuni lavori di un certo prestigio come la cupola di Donna-
romita e gli affreschi della sacrestia di Santa Brigida. In queste imprese egli seguì pedissequamente
lo stile del maestro, servendosi talune volte di bozzetti da lui lasciati.
Nei dipinti autonomi da lui firmati egli mette in mostra la tendenza a perseguire le tonalità scure
del maestro, trascurando la produzione più chiara del decennio precedente; viene ritenuto dal De Do-
minici di qualità ben più alta del Miglionico, rispetto al quale possiede una dote di «miglior disegno».
Spesso anche nella sua produzione da cavalletto si serve di prototipi e di disegni del Giordano.
Tra le sue opere degne di nota ricordiamo: Ecce homo di collezione privata romana e la Predica
del Battista della Galleria Nazionale d’Irlanda; le Storie di Santa Cecilia nella chiesa di Santa Maria
di Montesanto; il Passaggio del mar Rosso nella controfacciata della chiesa dei SS. Marcellino e Festo
e gli affreschi nella cappella di San Giacomo della Chiesa di Santa Caterina a Formiello.
Alcune fonti riferiscono che il Simonelli si recò in Spagna al seguito del Giordano ed a conferma
di tale ipotesi il Perez Sanchez ha da tempo elencato un gruppo di tele, alcune firmate, conservate
presso collezioni private iberiche ab antico. Inoltre molti dipinti spagnoli assegnati al Giordano po-
trebbero, per evidenti motivi stilistici, essere trasferiti nel catalogo dell’allievo. Nello stesso tempo
numerosi lavori dell’artista sono documentati a Napoli negli anni del soggiorno a Madrid di Luca, per
cui è più ragionevole supporre che la notorietà del pittore era notevole tanto da avere estimatori che
gli chiedevano quadri da spedire, piuttosto che ipotizzare un viaggio in Spagna, anche se limitato nel
tempo, del Simonelli.
Quanto più la critica riesce a ricostruirne il profilo artistico, attraverso il rinvenimento di quadri
firmati o dallo stile inequivocabile, tanto più il catalogo del Giordano si alleggerisce di dubbie asse-
gnazioni. Questo turnover attributivo si è attuato nel campo del disegno grazie al Chiarini, che iden-
tificando per la prima volta alcuni fogli certi del Simonelli, conservati agli Uffizi, ha permesso di
sfoltire il corpus grafico del Giordano di tanti esemplari connotati dai chiari caratteri distintivi del-
l’allievo.

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Un inedito pendant di Giacinto Diano

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/05/un-inedito-pendant-di-giacinto-diano.html

La coppia di dipinti in esame, entrambi di soggetto sacro e di notevoli dimensioni, raffigurano il


primo una Natività (fig. 1) ed il secondo un’Adorazione dei Magi (fig.2) ed appartengono da tempo
ad una importante collezione napoletana.
I due quadri rappresentano a nostro parere un’opera giovanile dell’artista e vanno collocati cro-
nologicamente in quella fase della sua attività legata alla rigida osservanza dei moduli demuriani, con-
trassegnata da una grazia lineare e da un’eleganza formale che, fuse armonicamente, permisero
all’artista di realizzare un felice compromesso tra le esperienze locali e le più recenti innovazioni in
chiave neoclassica.
Nelle due tele si può apprezzare un am-
pliamento dell’orizzonte spaziale e prospet-
tico, accoppiato a stesure calde e rassicuranti.
Lo schema compositivo si ispira alla lezione
del Solimena ed anche del De Mura, con non
sopiti echi dello scintillante barocco giorda-
nesco, ben leggibili nelle gamme chiare di co-
lore, che danno luogo ad un gradevole effetto
pittorico di atmosfera quieta e serena, nel
pieno rispetto delle inderogabili esigenze di
grazia e di devozione.
Dopo aver descritto, anche se brevemente
Fig. 1 - Giacinto Diano - Natività - 152 x230 -
le due opere vogliamo ora fornire al lettore Napoli collezione privata
qualche notizia sull’autore: Giacinto Diano
(Pozzuoli 1731 – Napoli 1804) che abitò nella
città natale fino al maggio dei 1752 quando iniziò il suo discepolato presso la bottega di Francesco
De Mura (Napoli 1696-1782), che influenzò le sue opere giovanili, come attestano molti suoi lavori.
Napoli allora viveva un periodo di grande splendore artistico e culturale per la presenza dell'illu-
minato re Carlo III di Borbone.
Negli anni Sessanta, dopo un probabile soggiorno a Roma e i contatti con il classicismo di Pompeo
Batoni, il suo linguaggio si arricchisce di una preziosità materica sui modi di Corrado Giaquinto. So-
prannominato o' Puzzulaniello, riuscì in breve tempo a conquistarsi un posto di rilievo nel panorama
artistico del suo tempo, infatti, nel 1773 ottenne la nomina di professore di Disegno e maestro di
Pittura nella Reale Accademia di Belle Arti, rimanendovi fino al 1782.
Diano, considerato da Raffaello Causa «la maggiore delle personalità napoletane della seconda
metà del secolo», vanta una ricca produzione artistica, sparsa in diverse località del meridione d'Italia
e a Napoli in molte chiese.

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Ha lasciato numerose opere anche nella sua città natale: nel Duomo, nella cappella del Seminario
vescovile, in Santa Maria delle Grazie. Quelle più importanti sono le tele eseguite tra il 1758 e il 1760,
per la settecentesca chiesa di San Raffaele Arcangelo, trasportate a Napoli, con altre sue opere, durante
il bradisismo del 1983-84 ed oggi ritornate in loco.
Lavora anche ad Ischia, che apparteneva alla diocesi di Pozzuoli, dove realizza uno spettacolare
dipinto conservato ad Ischia Porto nella Cat-
tedrale.
Gli ultimi anni della sua attività furono
caratterizzati dalla definizione di impianti
compositivi caratterizzati da una fluida lumi-
nosità ed una saggia disposizione delle figure.
E facendo nostre le parole di Nicola Spinosa,
massimo esperto dell’artista, potremmo con-
tinuare affermando che a questo momento di
felice contemperamento dei modi derivati in
gioventù da esempi del De Mura con istanze
espresse dall’architettura vanvitelliana, che ol-
Fig. 2 - Giacinto Diano - Adorazione dei Magi - 152 x230 -
tretutto si arricchiva dall’uso proprio del Gia-
Napoli collezione privata
quinto di materie cromatiche preziose e
brillanti, appartengono quelle opere che sono
il risultato più interessante di un singolare tentativo di conciliare le esigenze decorative del primo Set-
tecento con le tendenze recenti della cultura figurativa d’ambiente romano.

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Dipinti del Seicento napoletano in asta a Vienna

https://achillecontedilavian.blogspot.com/search?q=Dipinti+del+Seicento+napoletano+in+asta
+a+Vienna

Da pochi giorni si è tenuta a Vienna


presso la Dorotheum una importante seduta
d’asta, nel corso della quale sono stati presen-
tati numerosi dipinti del Seicento napoletano,
degni di essere commentati per i nostri affe-
zionati lettori.
Partiamo la nostra carrellata da una sen-
suale Maria Maddalena in estasi (fig.1), capo-
lavoro di Artemisia Gentileschi, specialista del
nudo femminile, che è stata aggiudicata per
oltre mezzo milione di euro ad un collezionista
Fig. 1 -Artemisia-Gentileschi - Maria Maddalena in estasi -
dai gusti raffinati, che potrà contemplare nel 129 x180
suo salotto il volto smarrito della fanciulla, ma
soprattutto il suo seno, piccolo ma accattivante.
Il dipinto va collocato tra il 1630 ed il 1640 e come sostiene Riccardo Lattuada si può ipotizzare
una collaborazione di Micco Spadaro per il paesaggio.
Rimanendo tra i capolavori esaminiamo ora una inedita pala
d’altare, raffigurante la Sacra famiglia con S. Anna e San Gioac-
chino (fig.2) che va ad incrementare il già cospicuo catalogo di
Luca Giordano. Il dipinto va collocato al periodo della piena ma-
turità dell’artista, intorno al 1680, quando le sue composizioni,
di classica eleganza formale, sono animate da un vivo cromati-
smo dai colori brillanti, mentre le figure conservano e trasmet-
tono all’osservatore una calma serafica.
Passiamo ora ad uno struggente paesaggio di Salvator Rosa,
una Marina con barche (fig.3), che ebbe l’onore di essere esposto
alla memorabile mostra Civiltà del Seicento a Napoli, tenutasi
nel 1984. Come già sottolineò il Salerno nella scheda del cata-
logo il dipinto rappresenta un saggio notevole della sua origina-
ria formazione naturalistica, per cui la sua datazione va posta
prima delle sue spettacolari Marine eseguite durante il soggiorno
a Firenze.
Fig. 2 - Luca Giordano -
La Sacra famiglia con S. Anna e San
Vi è poi un Ribera raffigurante S.Onofrio (fig.4) che costi-
Gioacchino - 209 x147 tuisce l’antitesi del dipinto della Gentileschi, dove vi è un trionfo

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Fig. 3 - Salvator Rosa- Marina con barche - 73x163

della bellezza, mentre nella tela dello Spagnoletto si esal-


tano rughe e vecchiaia, flaccidità della pelle e trascorrere
inesorabile del tempo, con un teschio che sembra ram-
mentarci: polvere sei e polvere ritornerai ad essere. Aveva
ragione Lord Byron quando affermava che il valenzano
Fig. 4 - Jusepe de Ribera - S. Onofrio - 120 x91
non usava i colori degli altri pittori, ma intingeva orgo-
glioso il pennello nel sangue di tutti i santi
Molto bello è il quadro di Nicola Vaccaro, raffigurante Adamo ed Eva con Abele e Caino pargoletti
(fig. 5). Le epidermidi dei personaggi, realizzate con grande dolcezza, risaltano sul paesaggio retro-
stante dominato da colori scuri, mentre dai volti si irradia gioia di vivere e voglia di pace e serenità.
Passando ad autori meno noti, segnaliamo una Basilica di Costantino con l’adorazione dei Magi
(fig. 6) di Niccolo Codazzi con figure eseguita da Michelangelo Cerquozzi. Un dipinto già pubblicato
nel 1993 da Marshall nella sua monografia dedicata all’artista.
Vi è poi da ammirare un Tributo della moneta (fig. 7) di Giovan Battista Beinaschi, nel quale il
timbro scuro risulta vivacizzato
attraverso l’inserimento di alcune
figure ben definite nelle fisiono-
mie, così che la composizione
evidenzia una corretta definizione
delle forme ed una equilibrata di-
sciplina formale.
Un dipinto che mette in evi-
denza il tentativo di raggiungere
in diversa maniera la levità di
tocco del barocco, ottenuta in ge-
nere per mezzo della luce e del co-
lore. Modesta e di attribuzione
border line è la Predica di San
Giovanni (fig. 8) assegnata ad An-
Fig. 5 - Nicola Vaccaro - Adamo ed Eva con Abele e Caino pargoletti -
drea De Lione, artista in grado di
133x178 esprimersi a livelli ben più alti.

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Fig. 6 - Niccolo Codazzi - La Basilica di Fig. 7 - Giovanni Battista Beinaschi - Pagamento del tributo
costantino con l'adorazione dei Magi -
96 x73

Esaminiamo ora tre nature morte, partendo da uno straordinario lavoro di Giovan Battista Recco,
un Agnello legato come allegoria della Pasqua (fig. 9), dall’emozionante impatto visivo, presentato
nella esaustiva scheda come inedito, nonostante figurasse nella mia monografia: La natura morta na-
poletana dei Recco e dei Ruoppolo (tav. 30), pubblicata nel 2009, nella quale commentavo il dipinto,
transitato presso Semenzato a Roma nell’ottobre del 1989.
Passiamo poi ad uno smagliante Vaso di fiori (fig. 10) di Abraham Brueghel, ispirato alla lezione
di Mario Nuzzi ed eseguito durante il soggiorno romano dell’artista, per concludere con un Vaso or-
namentale di fiori (fig. 11) assegnato senza ragionevoli motivi a Giacomo Recco.

Fig. 8 - Andrea De Lione - Predica di San Giovanni - Fig. 9 - Giovan-Battista-Recco- Agnello legato come allegoria
tondo diametro 58 della Pasqua - 50 x 63

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Fig. 10 - Abraham Brueghel- Vaso di fiori - 98 x74 Fig. 11 - Giacomo Recco- Vaso ornamentale con fiori -
72x 51

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Un inedito di Beinaschi di argomento biblico

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/05/un-inedito-di-beinaschi-di-argomento.html

Il dipinto in esame (fig.1), raffigurante David


che placa Saul con il suono dell’arpa, appartenente
ad una collezione torinese, è stato in passato attri-
buito da parte della critica a Solimena; viceversa è
opera certa del pennello del Beinaschi, piemontese
di nascita (Fossano 1636 - Napoli 1688), uno dei
protagonisti nella temperie artistica napoletana
della seconda metà del secolo, che trascorre due
lunghi soggiorni all’ombra del Vesuvio, intento so-
prattutto ad affrescare le cupole delle chiese dei più
importanti ordini religiosi. Egli a Napoli riveste
una certa importanza per la formazione di France- Fig. 1 - Beinaschi - David che placa Saul con il suono
sco Solimena, che per suo tramite risale al neocor- dell'arpa - 102 x127 - Torino, collezione privata
regismo di Lanfranco ed ai fondamenti della pittura
classicistica del secolo.
Da alcuni studiosi è ritenuto modesto come pittore di cavalletto, ove pure dimostra di aver appreso
la lezione di Mattia Preti, dei cui motivi più specificamente barocchi si appropria, per cui le sue tele
sono abbastanza rare ed è perciò particolarmente importante questo dipinto di notevole qualità che
viene ad accrescere il suo catalogoDei paragoni stilistici e cromatici particolarmente significativi si
possono instaurare tra il dipinto in esame ed altre sue opere di sicura attribuzione, quali l’Allegoria
della Fortezza (fig.2) della collezione Pellegrini di Cosenza, da me pubblicata nel 1998, in occasione
della stesura della monografia sulla importante raccolta calabrese ed Il pagamento del tributo (fig.3),
transitato di recente in asta a Vienna. Sono opere sicuramente realizzate nella fase matura del Beinaschi
relativa al secondo soggiorno napoletano, nel quale si avvale spesso della collaborazione di aiuti, quali
Giovanni della Torre, Orazio Frezza e Giuseppe Fattorusso.
Fa sicuramente parte di un ciclo di tele raffiguranti episodi biblici, che dovettero ispirarsi a quelle
realizzate per la chiesa di Santa Maria di Loreto (detta delle Grazie) dei padri Teatini, nella strada To-
ledo, ricordate dal De Dominici” in quanto di scurcio si bello che furono molto lodate dal nostro
celebre Luca Giordano, il quale non saziavasi di mirare adattata in si picciol sito una figura al naturale
con tanta proprietà; e quest’opera è dipinta con bellezza di colore operato con dolcezza”. Pur conser-
vando in questo dipinto il timbro scuro (valutato negativamente dal De Dominici) vivacizzato attra-
verso l’inserimento di alcune figure ben definite nelle fisionomie, la composizione evidenzia una
corretta definizione delle forme ed una equilibrata disciplina formale.
Sono opere che mettono in evidenza il tentativo di raggiungere in diversa maniera la levità di
tocco del barocco, ottenuta in genere per mezzo della luce e del colore.

49
Fig. 2 - Beinaschi-Allegoria della fortezza - Fig. 3 - Beinaschi - Pagamento del tributo -
Cosenza collezione Pellegrin Vienna mercato antiquariale

Al pittore piemontese spetta il merito di aver introdotto in area napoletana le soluzioni del Cor-
reggio, che precedono le aperture barocche viste alla luce delle più moderne soluzioni cromatiche lan-
franchiane.
«I toni schiariti e i colori più caldi, la composizione aperta e mossa, le forme di respiro monu-
mentale, la luce dorata che irrompe dal fondo unendo più intimamente cielo e terra» (Navarro) dimo-
strano in ogni caso gli sforzi di aggiornamento compiuti dal pittore.
Il suo ultimo lavoro è nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli, ove è impegnato dal
1681 al 1686 nell’affrescare l’abside con una Madonna delle Grazie in gloria e nel transetto con Storie
della vita di Maria.
Oramai è stanco e malato: il 28 settembre 1688 muore ed è sepolto nello stesso convento dei padri
Gerolomitani.
La sua opera, nella quale risale vorticosamente fino al neocorreggismo del Lanfranco, avrà grande
importanza nel panorama artistico napoletano di fine secolo e su di essa si forgerà in parte lo stesso
Francesco Solimena.

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Percorsi divini

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/07/percorsi-divini.html

Alla scoperta del sacro fuoco dell’Arte, le visite del Prof. Achille Della Ragione tra le chiese del
centro di Forio.

A grande richiesta sarà ripetuta sabato 3 agosto alle ore 10.30 con par-
tenza dalla Basilica di Santa Maria di Loreto, al centro di Forio il percorso
culturale tra le opere sacre custodite nelle chiese di Forio. Il Prof. Achille
Della Ragione, luminare nel campo della medicina, critico d’arte, scrittore e
maestro di scacchi, ripeterà sempre gratuitamente, il percorso iniziato sabato
6 luglio, a beneficio dei tanti instanti che non sono riusciti ad essere presenti
la prima volta. L’esplorazione attraverso le tantissime opere d’arte custodite
nelle chiese foriane, è tesa ad espandere la conoscenza del prodotto “Ischia”
non solo come acque termali, spiagge ecc. ma anche come bene del patrimo-
nio culturale da valorizzare e preservare. Le opere di affermati artisti come
Caesar Calensis pingebat, come si firmava Cesare Calise, o di Alfonso Di
Spigna sono spesso sconosciute al grande pubblico, o addirittura celate, come
ci racconta Achille: “la chicca più preziosa della chiesa di San Francesco è
custodita in sacrestia, visitabile a richiesta, grazie alla
gentile disponibilità di padre Armando, un colto france-
scano, che sogna di allestire alle spalle dell'altare mag-
giore una piccola pinacoteca. Parliamo di una
spettacolare Pietà dai colori lividi e cianotici, da asse-

Fig. 1 - Il Dispari 2 agosto 2019 pag.13 Fig. 2 - Il Golfo 1° agosto 2019 pag.10

51
gnare senza ombra di dubbio alla mano vir-
tuosa di un gigante del secolo d'oro della pit-
tura napoletana: Mattia Preti”
Si partirà quindi dalla basilica di S.
Maria di Loreto, poi l'Arciconfraternita di Vi-
sitapoveri, dove si rifletterà su una splendida
bara intarsiata, adoperata dai soci per l'ultimo
viaggio, quindi la chiesa di San Francesco,
dove grazie all'intervento della avvocatessa
Marianna Verde, si è potrà finalmente ammi-
rare lo splendido quanto ignoto Mattia Preti,
Fig. 3 - Mattia Preti - figliuol prodigo per concludere con la chiesa del Soccorso,
dalla quale si può ammirare uno spettacolare
panorama.

Il Prof Achille Della Ragione consiglia inoltre di


consultare il suo libro Ischia sacra guida alle chiese
anche su google, oppure seguire la ripresa televisiva
della edizione del percorso avvenuto lo scorso 6 luglio
al link https://www.ischiareporter.it/?p=18412
Altre notizie alla pagina http://www.iltorrio-
neforio.it/il-torrione-forio/percorsi-divini/
Per i gentili ospiti delle strutture turistiche e an-
cora più caldamente per gli isolani, il consiglio è
quello di raggiungere Forio centro sabato prossimo,
per godere, gratuitamente, una giornata indimenti-
cabile.
Fig. 4 - Serena Autieri ed Achille della Ragione

Luigi Castaldi

52
Un sensuale capolavoro di Luca Giordano

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/07/un-sensuale-capolavoro-di-luca-
giordano.html

Continuamente antiquari e collezionisti mi


inviano foto di dipinti di scuola napoletana, chie-
dendomi un parere sull’attribuzione e questa cir-
costanza mi permette di visionare una cospicua
mole di inediti, alcuni di notevole qualità, ma ra-
ramente capita di poter ammirare un vero e pro-
prio capolavoro, come nel caso di questo superbo
dipinto di Luca Giordano (fig.1) per anni appar-
tenente ad una famosa collezione straniera e da
poco ritornato all’ombra del Vesuvio.
Nel caso in questione si tratta di un evento
eccezionale, infatti da decenni, quasi al soffio Fig. 1 - Luca Giordano - Venere Cupido e satiro -
di un’incontenibile tempesta, centinaia di qua- 134x185 - Scafati , collezione privata
dri, già in importanti collezioni napoletane,
sono volati via all’estero nel patrimonio di musei europei ed americani e di collezionisti stranieri. Una
diaspora rovinosa che ha rappresentato inequivocabilmente il triste destino della città.
Ritorniamo al dipinto in esame, dotato di una spettacolare cornice (fig. 2), nella quale troneggia
uno stemma nobiliare (fig. 3), oggetto attualmente di studio e ricerche da parte di un famoso esperto
di araldica. Alcuni dettagli sono particolarmente maliziosi, come la zona pubica della fanciulla (fig.4),
mentre altri mettono in risalto l’elegante inserto di natura morta (fig. 5–6).

Fig. 2 - Luca Giordano - Venere Cupido e satiro - Fig. 3 - Luca Giordano - Venere Cupido e satiro -
134 x185 (cornice) Scafati , collezione privata 134 x185 (Stemma nobiliare) - Scafati , collezione privata

53
Fig. 4 - Luca Giordano - Venere Cupido e satiro - Fig. 5 - Luca Giordano - Venere Cupido e satiro -
134 x185 (particolare del pube) - 134 x185 - (particolare fiori) -
Scafati , collezione privata Scafati , collezione privata

Se paragoniamo l’esemplare in questione con quello conservato nel Palazzo reale di Napoli (fig.7),
notiamo che sono identici, a parte le misure, maggiori per il quadro di proprietà pubblica e possiamo
fare alcune acute osservazioni, riportando il parere degli studiosi più importanti che nel tempo si sono
espressi sui due dipinti.
Premettiamo che nel quadro in esame si tratta di Venere in persona, ma l’iconografia si rifà al rac-
conto della ninfa dormiente, che viene risvegliata al piacere dei sensi da un voglioso satiro, un tema
che ha incontrato grande successo in pittura a partire dalla sua redazione xilografica presente nella
Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, che vide la luce a Venezia nel 1499. In seguito nu-
merosi pittori si sono impadroniti dell’iconografia, che permette di dipingere una giovane donna com-
pletamente nuda, senza tenere alcun conto del simbolismo neoplatonico, che ha interpretato l’incontro
ravvicinato come metafora della rivelazione divina di fronte alla potenza dell’amore.

Fig. 6 - Luca Giordano - Venere Cupido e satiro - Fig. 7 - Luca Giordano - Venere Cupido e satiro -
134 x185 - (particolare piede e fiori) -Scafati, 163 x211 - Napoli, Palazzo reale
collezione privata

54
La ninfa dormiente è un prelievo letterale
dalla figura posta sulla destra degli Andrii di Ti-
ziano, Arianna, ebbra di vino, dormiente nella sua
nudità spudoratamente offerta all’ammirazione,
che intende trasmettere la eccitante sensazione
dell’attesa, immagine radiosa alla quale si ispira-
rono molteplici artisti napoletani da Luca Gior-
dano a Pacecco De Rosa.
Riferendosi alle due versioni Ferrari e Sca-
vizzi, nella loro monumentale monografia, sotto-
lineavano l’impasto cromatico chiaro e sgranato
Fig. 8 - Luca Giordano - Venere dormiente e satiro -
136 x190 - firmato Jordanus F 1663 - e ritenevano che l’originale era quello di cui par-
Napoli, museo Capodimonte liamo in questo articolo, mentre la copia oggi a
Pallazzo reale fosse una derivazione autografa.
Raffaello Causa invece invertiva il rapporto cronologico tra le due versioni, ritenendo quella oggi nel
museo più “arcaica e giovanile”. Anche un altro studioso, Milkovich, ha rilevato le strette affinità tra
i due dipinti, che datava ad un momento immediatamente precedente il soggiorno in Spagna.
Concludiamo affermando che, a nostro parere, la modella è la stessa utilizzata nel celebre Venere
dormiente e satiro (fig.8) che si può ammirare nel museo di Capodimonte. In tal caso potremmo ap-
prezzare le splendide fattezze della moglie del pittore, Margherita Dardi, che posò più volte nuda per
il marito. La tela, a lungo esposta nella solenne aula di Montecitorio, promana tangibilmente una vi-
gorosa “voluptas”, che scatenò le ire della neo presidentessa del sacro consesso Irene Pivetti, la quale
fece allontanare il quadro scandaloso, per non turbare le caste menti dei deputati.
In seguito l’opera del Giordano non è piaciuta, “ la butterei” ha esclamato stizzita, anche una
nostra first Lady, in visita ufficiale col marito a Capodimonte, facendoci intuire quante difficoltà po-
teva incontrare un quadro del genere nel Seicento, un’epoca che forse però era meno bacchettona
della nostra.

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L’ultimo libro di Achille della Ragione

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/07/lultimo-libro-di-achille-della-ragione.html

Dopo una sosta di alcuni mesi esce finalmente un nuovo libro


di Achille della Ragione, il 121° per la precisione, che da settem-
bre sarà in commercio e potrete, anzi dovrete, acquistarlo per soli
15 euro.
Nelle more vi presentiamo copertina e prefazione e la possi-
bilità di consultarlo in rete gratuitamente.

Le ragioni di Achille della Ragione

Prefazione

Questo libro segue le precedenti raccolte di lettere pubblicate


dai giornali: la prima nel 2005, contenente 80 lettere a partire dal
2002 ed una ventina di relazioni congressuali e la seconda, pom- In copertina Achille della Ragione
relatore nel 2003 al Rotary di Sorrento
posamente intitolata: Lettere al direttore un genere letterario,
uscita nel 2015 con oltre 300 missive su cui meditare.
Questo volume, oltre ad un centinaio di lettere, che coprono un intervallo di 5 anni, espone una
serie di interviste a me medesimo, pubblicate su giornali cartacei e telematici.
Le missive sono tutte mie ad eccezione di una di mio nipote Leonardo, che mi ha battuto come
precocità, perché si è visto pubblicare un suo scritto quando aveva solo 12 anni, due di mio figlio Gian
Filippo di argomento giuridico, una di mia figlia Marina sul delicato problema della depressione ed
infine compare anche mio genero Soufiane, che ebbe l’onore di vedere una sua meditazione comparire
come editoriale sulle prestigiose pagine del Corriere del Mezzogiorno.
Tutte le epistole sono corredate da immagini, spesso la pagina dei giornali che hanno dato risalto
alla comunicazione.
Non mi resta che augurarvi buona lettura e soprattutto spargete la notizia ai quattro venti.
Napoli luglio 2019

Achille della Ragione

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Una prorompente battaglia di Aniello Falcone

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/07/una-prorompente-battaglia-di-aniello.html

Un genere che incontrò larga affermazione nella


pittura napoletana e lusinghiero successo tra i colle-
zionisti fu la battaglia.
La nobiltà amava molto adornare le pareti dei
propri saloni con scene raffiguranti singoli atti di eroi-
smo o complessi combattimenti che esaltavano il pa-
triottismo e l’abilità bellica, virtù nelle quali gli stessi
nobili amavano identificarsi.
A Napoli fu molto diffuso il sottile piacere della
contemplazione della battaglia presso masochistici
voyeurs, che prediligevano circondarsi, non di pro-
Fig. 1 - Aniello Falcone - Scontro all'arma bianca -
caci nudi femminili dalle forme aggraziate ed accat- 111x142 - Brescia, collezione privata
tivanti o di tranquilli paesaggi, né di severi ritratti o
di languide nature morte, bensì di gente che si azzuffava a piedi o a cavallo, usando spade sguainate
ed appuntiti pugnali, dando a destra e manca terribili fendenti in ariosi o fumosi, sereni o temporaleschi,
pianeggianti o collinari scenari, ideali comunque per tali bisogne.
Anche la Chiesa fu in prima fila nelle committenze, incaricando gli artisti di raffigurare gli spetta-
colari trionfi della Cristianità sugli infedeli, come la memorabile battaglia navale di Lepanto del 1571,
che segnò una svolta storica con la grande vittoria sui musulmani, divenendo ripetuto motivo iconografico
pregno di valenza devozionale, replicato più volte per interessamento dell’ordine domenicano, legatis-
simo alla Madonna del Rosario, la quale seguiva benevolmente le vicende terrene dall’alto dei cieli.
Altri temi cari alla Chiesa nell’ambito del genere furono ricavati dall’Antico e dal Nuovo Testa-
mento, quali la Vittoria di Costantino a ponte Milvio o il San Giacomo alla battaglia di Clavijo, argo-
menti trattati magistralmente e più volte dal
Falcone, che fu il più preclaro interprete dell’ar-
gomento. Sulle sue battaglie ha scritto pagine in-
superate il Saxl nella sua celebre opera Battle
scene without a hero, un’acuta ricerca che non ha
trovato l’eguale nell’analisi di altri grandi batta-
glisti del Seicento quali Salvator Rosa e Jacques
Courtois, detto il Borgognone.
Nel Seicento le guerre erano purtroppo molto
frequenti ed i pittori le potevano osservare da vicino,
vedendo sfilare soldati di molti paesi con le loro
Fig. 2 - Aniello Falcone - Scontro tra cavalieri
Monaco di Baviera, museo uniformi e spesso lo stesso svolgersi degli scontri.

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Le battaglie dei pittori napoletani sono esal-
tate spesso da un cromatismo virile con una pen-
nellata vivida e marcata, con dei rossi e degli
azzurri molto forti, che danno la sensazione che
si sia voluta ricalcare l’asprezza dei combatti-
menti e l’animosità dei contendenti.
I combattimenti vengono rappresentati con
grande accanimento, con le urla di dolore e di rab-
bia dei contendenti che sembrano travalicare dalla
superficie della tela, per farci sentire il gemito dei
Fig. 3 - Aniello Falcone - Battaglia di Lutzen feriti e dei moribondi.
Milano, collezione privata Mischie furiose con l’odio che sgorga dai
volti corrucciati, cavalieri che si inseguono, bar-
dati guerrieri in groppa a focosi destrieri, morti e feriti, bestemmie e gemiti e spesso anche le nuvole
grigio scure e cariche di pioggia, che annunciano tempesta e sembrano partecipare dell’aria funesta
che ovunque si respira.
Il dipinto che poniamo all’attenzione dei lettori è un interessante inedito, che rappresenta uno Scon-
tro all’arma bianca (fig.1) che richiama altri quadri eseguiti dall’Oracolo delle battaglie, in particolare
una tela (fig.2) conservata alla Bayer Staatsgemäldesammlungen di Schleissheim a Monaco di Baviera,
con la quale condivide la parte sinistra della com-
posizione, come sottolineò già nel 1976 il profes-
sor Ferdinando Arisi, in un expertise rilasciato alla
famiglia che da decenni è proprietaria dell’opera.
Palpabili somiglianze, come lo stesso cavallo ram-
pante, possono apprezzarsi in un quadro eseguito
dall’artista nel 1646: Il re Gustavo Adolfo di Sve-
zia alla battaglia di Lutzen (fig.3), di collezione
privata milanese, pubblicato dal De Vito ed infine
lo stesso cavallo lo incontriamo anche nella Bat-
taglia di fanti e cavalieri (fig.4), conservato nella Fig. 4 - Aniello Falcone - Battaglia di fanti e cavalieri -
Brescia, pinacoteca Tosio Martinengo
pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia.
Questi dipinti sono una galleria di stati d’a-
nimo e di espressioni: “Un mondo di guerrieri e cavalli, spade e scudi, elmi e turbanti. Lo scopo della
pittura falconiana è quello di rappresentare il corpo umano e quello dei cavalli in azione, evidenziare
aspetti violenti della vita ed insieme l’agonia e la morte di uomini e cavalli contorti nella sconfitta. Egli
dedica particolare attenzione alla distorsione dei muscoli della faccia causati dal terrore, dalla rabbia e
dal terrore e studia la faccia dell’aggressore che spara al proprio nemico” (Saxl). Tutte le composizioni
sono caratterizzate da una cura meticolosa nella definizione delle fisionomie dei protagonisti principali
della pugna e dall’elegante cavallo bianco impennato in primo piano, presente costantemente.
Possiamo concludere questo breve articolo affermando che ci troviamo di fronte ad una importante
aggiunta al catalogo del celebre battaglista napoletano.

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Mostra sul Vesuvio al museo di San Martino

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/07/mostra-sul-vesuvio-al-museo-di-san.html

Fino a settembre a Napoli, al museo di San Martino, sarà possibile visionare, ammirare sarebbe
eccessivo, una intrigante mostra, dotata di oltre cento dipinti, sul Vesuvio, il più famoso vulcano del
mondo, per conoscere il quale rinvio il lettore al capitolo “Il mito del Vesuvio”, contenuto nel IV tomo
del mio libro Napoletanità, arte, miti e riti a Napoli, consultabile digitando il link:
http://achillecontedilavian.blogspot.com/search?q=il+mito+del+vesuvio
Ritornando alla mostra possiamo affermare
trattarsi di un felice connubio tra sacro e profano,
tra antico e moderno, anche se al fianco di capo-
lavori di Warhol (fig.1) e Micco Spadaro (fig.2),
bisogna tollerare la vista di opere di artisti con-
temporanei, in grado di far mettere le mani tra i
capelli anche ad un calvo. Tra i comprimari se-

Fig. 1 - Warhol - Vesuvius

gnaliamo interessanti quadri di Tommaso Ruiz


(fig.3) e di Paolo De Matteis (fig.4).
La mostra è allestita in ambienti chiusi da
tempo immemorabile al pubblico ed è una vera
gioia per il visitatore poter finalmente rivedere al-
cuni sommi capolavori del Gargiulo, quali la ce-
lebre Peste del 1656 (fig.5) e la non meno nota
Rendimento di Grazie (fig.6), oltre ad altri ecce- Fig. 2 - Domenico Gargiulo - Eruzione del 1631
zionali dipinti del sommo artista.

Fig. 3 - Tommaso Ruiz - Veduta con il Vesuvio

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Fig. 4 - Paolo De Matteis - Allegoria della prosperità e delle arti

Fig. 5 - Micco Spadaro - Largo Mercatello durante la Fig. 6 - Micco Spadaro -Rendimento di Grazie
peste a Napoli del 1656 dopo la peste

A questo si aggiungono i continui scorci di panorama mozzafiato, che accompagnano il visitatore


lungo tutto il percorso e che giustificano i 6 euro spesi per il biglietto.
Poiché l’esposizione è ospitata nel museo di San Martino non possiamo concludere senza sotto-
lineare per l’ennesima volta lo scandalo di una Certosa visitabile in minima parte, della chiusura sine
die della sezione grafica, del Seicento, del Settecento e dell’Ottocento, della collezione Alisio e dei
sotterranei gotici. Una vergogna che grida vendetta e richiederebbe un interessamento del ministro
dei Beni culturali, ma in Italia la cultura oramai è una parola morta e priva di senso.

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Memorabile visita guidata delle chiese di Forio d'Ischia

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/07/memorabile-visita-guidata-delle-chiese.html

Sabato 6 luglio, guidata dal


celebre studioso Achille della Ra-
gione, si è svolta una memorabile
visita alle chiese di Forio d'I-
schia, un tesoro d'arte poco cono-
sciuto, che potrebbe costituire
una irresistibile attrazione per i
turisti.
Si è partita da San Gaetano
per proseguire poi con la basilica
di S. Maria di Loreto, poscia l'Ar-
ciconfraternita di Visitapoveri,
dove si è meditato a lungo su una
splendida bara intarsiata, adope-
rata dai soci per l'ultimo viaggio,
quindi la chiesa di San Francesco, dove grazie all'intervento della avvocatessa Marianna Verde, si è
potuto ammirare lo splendido quanto ignoto Mattia Preti, rigorosamente chiuso nella sacrestia e negato
ignominosamente alla fruizione pubblica, per concludere degnamente con la chiesa del Soccorso, dalla
quale si può ammirare uno spettacolare panorama.
Il pubblico era formato da circa 80 tra appassionati e curiosi, italiani e stranieri, tra cui numerose
eleganti quanto belle signore, che hanno fatto a gare per immortalarsi al fianco del conduttore (fig.1-
2), il cui ascendente sul sesso debole è noto e sperimentato.

Popputa ammiratrice di Bolzano La mitica presidentessa del Clubino

61
Per chi volesse approfondire i capolavori am-
mirati consiglio di consultare il mio libro Ischia
sacra guida alle chiese digitando su google il titolo
del volume, chi viceversa vuole seguire la ripresa
televisiva delle due ore di spettacolo deve portarsi
sul sito di Ischia report, nella sezione eventi e
potrà deliziarsi.

Il Dispari - 9 luglio 2019 pag.12

62
Mostra su Paolo De Matteis a Castellabate

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/08/mostra-su-paolo-de-matteis-
castellabate.html

Il mio esimio amico Vittorio Sgarbi, oltre alla sua inesausta, dovremmo dire indefessa, attività di
personaggio televisivo, politico part time e studioso a 360 gradi, ha trovato il tempo di organizzare a
Castellabate una intrigante mostra su Paolo De Matteis, ricca di 20 dipinti, in gran parte inediti, ma
tutti rigorosamente autografi.

Fig. 1 - De Matteis - Visione di Sant'Eustachio


36x135 - Ro Ferrarese, collezione Cavallini Sgarbi

Il celebre critico ha prestato alcune opere della sua collezione, in primis una coperta raffigurante
La visione di Sant’Eustachio (fig.1), che in passato copriva una cassa contenente archibugi e che fa
da copertina al catalogo della mostra. Del soggetto esiste una notevole replica autografa (fig.2), che
riprende una parte della composizione, transitata anni fa sul mercato antiquariale. Inoltre Sgarbi ha
prestato un vero capolavoro di dolcezza: Una Madonna con Bambino (fig.3), eseguita nel 1728 dal
De Matteis, di cui si può ammirare un inedito autoritratto (fig.4), davanti al quale non si può non escla-
mare: tanto bravo, tanto brutto.
Prima di esaminare le altre opere esposte pos-
siamo affermare senza ombra di dubbio che il di-
pinto più importante è quello prestato
dall’antiquario napoletano Michele Gargiulo, con
bottega in via Poerio, raffigurante una scena ero-
tica (fig.5) e che fu tra le opere più ammirate alla
grande mostra Metamorfosi del mito, tenutasi
anni fa a Salerno, meticolosamente organizzata
dal mitico professor Mario Alberto Pavone.
I dipinti esposti oscillano liberamente come
Fig. 2 - Visione di Sant'Eustachio
due anime uguali e contrarie, fra sacro e profano,
Italia mercato antiquariale tra vivacità barocche e controlli classicisti, fra sto-

63
Fig. 4 - De Matteis - Autoritratto
49 x39 - Napoli, collezione privata

rielle impudiche e narrazioni ad edificante conte-


Fig. 3 - De Matteis - Madonna col Bambino - datato 1728
nuto morale.
151x100 - Ro Ferrarese, collezione Cavallini Sgarbi
Tante belle Madonne, tante scene religiose :
Adorazioni, Sante Caterine scampate al supplizio, Visioni e Martiri, Addolorate con i simboli della Pas-
sione (figg.6–7–8–9–10) e altrettante allegorie: Venere e Diana dormienti, il Trionfo di Galatea, Olindo
e Sofronia e la Fucina di Vulcano (figg.11–12–13–14–15) messe in scena da De Matteis (originario del
Cilento proprio come l’ispettore Ricciardi di Maurizio de Giovanni) con uno stile personalissimo, che

Fig. 5 - De Matteis - Vulcano scopre l'adulterio tra Marte e Venere


37x 98 - Napoli Antiquario Michele Gargiulo

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Fig. 6 - De Matteis - Adorazione dei pastori 102 x 154 - Napoli , collezione Gino Liguori

gli permetterà di conquistarsi una posizione auto-


noma di rilievo tra i due grandi interpreti del mo-
mento: Luca Giordano e Francesco Solimena.Una
posizione che più volte lo porterà, tra l’altro, a
Roma e a Parigi, dove riceverà commissioni im-
portanti per nobili e porporati. Le sue numerose

Fig. 7 - De Matteis - S. Caterina scampata al supplizio Fig. 8 - De Matteis - Visione di San Nicola
97x126 - Napoli, collezione Vincenzo De Notaris 146 x119 - Agropoli, Fondazione Gian Battista Vico

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Fig. 9 - De Matteis -Martirio di San Vitale
218 x 140 - Napoli, collezione Vincenzo De Notaris
Fig. 10 - De Matteis - Addolorata con i simboli
della passione - datata 1727
180 x 127 - Napoli, collezione Vincenzo De Notaris

opere si ritrovano oggi, oltre che nella Certosa di


San Martino a Napoli (dove a lungo soggiornò),
anche negli Usa, nei musei di Houston (che ospita
uno delle opere più celebri e significative di De
Matteis, l’Allegoria delle Paci di Utrecht e Rastadt,
1714), Saint Louis, e a Milano, alla Pinacoteca di
Brera: questo anche perché (ed è sempre il bio-
grafo ufficiale a raccontarlo, non si sa se con am-
mirazione oppure fastidio) de Matteis amava
inviare opere ai collezionisti di tutt’Europa.

Concludiamo con qualche notizia biografica.

L’allievo più importante partorito dalla costola


del Giordano è Paolo De Matteis, che seppe evol-
vere il Barocco del suo maestro in una lieta e dia-
fana visione, arcadica e classicistica; a lui il De
Fig. 11 - De Matteis - Venere dormiente
Dominici, riconoscendone la statura, dedicò una
84x64 - Napoli collezione Alberto Del Genio trattazione a parte nelle sue celebri “Vite”. La cri-

66
Fig. 12 - De Matteis - Diana addormentata Fig. 13 - De Matteis - Trionfo di Galatea - olio su tavola
123 x 174 - Napoli, collezione Vincenzo De Notaris 50 x 75 - Napoli, collezione Vincenzo De Notaris

tica negli ultimi decenni ne ha scandagliato più a fondo lo stile e la personalità e l’artista oramai è
emerso come il più esemplare precorritore dei tempi moderni e come il più significativo battistrada
della nuova pittura napoletana prima dello scadere del secolo. Oggi il De Matteis occupa un posto di
primo piano nel panorama delle arti figurative partenopee di fine secolo ed ha superato in bellezza il
giudizio poco lusinghiero che ebbe nei suoi riguardi la Lorenzetti, la quale, nello stilare il catalogo della
mostra su tre secoli di pittura napoletana nel 1938, lo definì stanco ripetitore dei modi del Giordano ed

Fig. 14 - De Matteis - Olindo e Sofronia salvati Fig. 15 - De Matteis - Fucina di Vulcano


da Clorinda 128 x 182 - Napoli, collezione Giulio Liguori 100 x 130 - Napoli, collezione privata

emulo impari del Solimena. Gli studi più recenti collocano la sua figura in maniera originale ed indi-
pendente a confronto dei due «campioni» della cultura figurativa napoletana tra Seicento e Settecento;
anzi, riguardo ai suoi rapporti col Solimena, gli studiosi riconoscono unanimemente che il De Matteis
con grande anticipo avviò un discorso di classicizzazione dell’esperienza barocca. Il Solimena infatti
accrebbe, con lo studio dei modi pittorici del De Matteis, l’interesse verso quei canoni proposti dal Ma-
ratta, cui aveva spiritualmente già aderito, attraverso la frequentazione di circoli letterari napoletani.
Per chi volesse approfondire l’autore ed ammirare centinaia di foto a colori dei suoi dipinti con-
sigliamo di consultare la mia monografia sull’artista digitando il link
http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo15c/index.htm

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La scuola di Posillipo, una mostra da non perdere

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/08/la-scuola-di-posillipo-una-mostra-da.html

Nella Cappella Palatina del Maschio An-


gioino fino al 2 ottobre si potrà ammirare, gratui-
tamente, La scuola di Posillipo. La luce di Napoli
che conquistò il mondo, la più grande mostra
sull’argomento del III millennio. Per ritrovare una
mostra di analoga importanza bisognerebbe tor-
nare nel 1936 o nel 1945.
Oltre settanta sono le opere pittoriche prove-
nienti da raccolte private che offrono allo spetta-
tore un viaggio nel tempo e nello spazio, oggi
trasformato e quasi irriconoscibile, se non per
quell’atmosfera che dal paesaggio naturale, che
ancora offre la città di Napoli e l’intera Campania,
è trasmigrata nell’opera pittorica.
Pitloo, Gigante, Fergola, Scedrin, Vervloet,
Dahl, sono solo alcuni dei nomi riuniti in questa
operazione straordinaria che da sola basterebbe a Fig. 1 - Anton Sminck van Pitloo,
Tramonto a Castellammare,
caratterizzare l'estate a Napoli.
1828, collezione privata
Siamo grati alla dott.ssa Fedela Procaccini per
averci fornito informazioni e foto del memorabile
evento.
La pittura di paesaggio co-
nosce, tra la fine del XVIII e l’i-
nizio del XIX secolo, un
importante sviluppo, imponen-
dosi come genere autonomo e
superando la precedente idea di
mera pittura di svago e di deco-
razione.
A Napoli, a partire dalla
metà degli anni Dieci dell'Otto-
cento, grazie alla presenza dei
pittori stranieri e a una forte
Fig. 2 - Federico Rossano, Ischia, spiaggia di Lacco Ameno,
scuola locale, si genera una
collezione privata vera e propria rivoluzione. Il

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Fig. 3 - Gabriele Smargiassi, Veduta di Monte Nuovo a Fig. 4 - Giacinto Gigante, Napoli dalla Conocchia, 1844,
Pozzuoli, collezione privata Collezione privata

paesaggio viene, infatti, dipinto esclusivamente dal vero, superando i confini del solo studio. Il plein
air, consapevole e totale,non è più destinato alla fase di mezzo per giungere ai grandi quadri di com-
posizione, ma diviene la vera chiave di svolta, che infine avrebbe condotto al più maturo realismo.
Anche l'impegnativo "paesaggio di composizione", inclusivo di un episodio narrativo, storico o d'in-
venzione, si trasforma fondandosi sulla ripresa dal vero.
Con la Scuola di Posillipo si superano il genere vedutistico e la conseguente riproduzione minu-
ziosa della natura,secondo un’idea ancora illuminista di documentazione che pervade il paesaggio eu-
ropeo del Grand Tour,a favore del sentimento della natura che avrebbe presto condotto alla "macchia".
Ad avviare tale rinnovamento fu il pittore olandese Anton Sminck van Pitloo, che si stabilisce a
Napoli nel 1816. I supporti privilegiati, per costo e maneggevolezza,sono ora i fogli di carta, in genere
applicati in un secondo momento su tavolette e tele, mentre fra le tecniche praticate, oltre all'olio su
tela, s'impongono la grafite, il lapis, la china, l'olio su carta, l’acquerello e la tempera, per giungere al
completamento del dipinto en plein aire senza ripensamenti, in modo da carpire la mutevolezza della
luce.
Accanto ai soggetti riprodotti innumerevoli volte, per gli artisti è motivo di studio, e di orgoglio,
fissare l’impressione d'inconsueti paesaggi, mostrando una nuova sensibilità e una modernità di visione
fuori dal comune.
Il 1824 rappresenta l’anno di consacrazione
di Pitloo che vince la cattedra di paesaggio alla
Reale Accademia di Belle Arti. È questo il periodo
in cui gli artisti collaborano alle illustrazioni delle
numerose guide che fioriscono in città, comeil-
Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie,
dato alle stampe fra il 1829 e il 1832.I sovrani non
restano indifferenti al fascino di questa rinnovata
visione, stringendo legami con alcuni di tali arti-
sti, tra i quali don Giacinto Gigante e Salvatore
Fergola. Quest'ultimo creò addirittura un genere
Fig. 5 - Giacinto Gigante, Sorrento, 1845, Pescara,
nuovo, una sorta di "paesaggio di cronaca", 'foto- collezione Venceslao Di Persio

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Fig. 6 - Quintilio Michetti, Mergellina, colleizone privata

grafando' sulla tela le grandi imprese borboniche, come l'inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici,
la prima d'Italia.
Ma, il più importante interprete della Scuola di Posillipo è stato Giacinto Gigante, che con poche
libere macchie d'acquerello o di olio riusciva a fermare l'impressione luminosa della natura. Napoli,
Sorrento, le isole del golfo, i Campi Flegrei, divengono attraverso il pennello di Gigante i luoghi della
nuova narrazione.
I pittori stranieri giunti a Napoli per il Grand Tour - il viaggio intellettuale, quasi iniziatico, alla
ricerca della luce, della natura e dell'antico - furono molti. Non si può non menzionare il gallese Tho-
mas Jones, che ha lasciato di Napoli un'immagine fantastica in piccole inquadrature oggi a Londra e
a Cardiff, i norvegesi Johan Christian Clausen Dahl e Thomas Fearnley, l’inglese William Collins, il
belga Frans Vervloet, i francesi Karl Girardet e Jean-Charles-Joseph Rémond, il russo Sil'vestr Feo-
dosievič Ščedrine tanti altri.
Dopo la grande esperienza della Scuola di Posillipo, la riforma della pittura di paesaggio approdò
al verismo sostenuto da Filippo
Palizzi e infine alla Scuola di Re-
sina, nata all'inizio degli anni
Sessanta dal simposio di una cer-
chia di artisti riuniti nella casa-
studio di Marco de Gregorio
nella Reggia di Portici. Con lui,
lavorarono Giuseppe De Nittis,
Federico Rossano, Adriano Ce-
cioni e lo scultore Raffaele Bel-
liazzi, creando un nuovo
prototipo pittorico che contem-
plava la pittura di "macchia". La
Fig. 7 - Quintilio Michetti, Mergellina, colleizone privata presenza del catalano Mariano

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Fortuny a Portici nel 1874 condusse, infine, i napoletani a una pittura luminosissima, fatta di bagliori
e di piccoli tocchi di luce, di cui è un esempio il delizioso olio di Rubens Santoro.
Dei 74 dipinti esposti, un piccolo nucleo mostra come si sia evoluta la ricerca della pittura di pae-
saggio dopo l'esperienza di Posillipo, con una nuova generazione di artisti che fu protagonista della
seconda metà del secolo e del mercato italiano ed europeo.
Vi proponiamo ora le foto di alcuni dipinti (figg.da1a7)
Per chi volesse approfondire l’argomento consiglio di leggere il mio breve saggio:
La scuola di Posillipo ed il mito dell’armonia perduta digitando il link:
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2012/04/la-scuola-di-posillipo-ed-il-mito.html
Ma soprattutto correte tutti a visionare la mostra, che vi ricordo è gratuita!

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Un inedito del Seicento napoletano

http://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/01/unaggiunta-al-catalogo-di-agostino.html

Ho una simpatia particolare per Beltrano, del quale posseggo uno dei suoi capolavori ed a cui
ho dedicato una monografia: Agostino Beltrano uno stanzionesco falconiano, per cui ho subito ri-
conosciuto il suo pennello da alcuni dettagli patogomonici, quando un collezionista napoletano mi
ha mostrato un suo dipinto (fig. 1) per il quale i più celebri napoletanisti avevano avanzato varie at-
tribuzioni.
Prima di esaminare il quadro in questione voglio fornire al lettore alcune notizie sul pittore, rin-
viando chi volesse approfondire l’argomento a consultare alcuni miei scritti digitando i link
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2018/11/uno-splendido-martirio-di-san.html
http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo43/articolo.htm
http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo2/articolo.htm
Agostino Beltrano nacque a Napoli il 25 febbraio 1607, da Francesco, di professione indoratore,
e da Vittoria De Grauso, zia di Andrea Vaccaro.
La sua prima formazione artistica avvenne
presso la bottega di Gaspare De Populo,un pit-
tore quasi sconosciuto, del quale si ricorda solo
il suo stretto legame d'amicizia con Massimo
Stanzione, del quale fu allievo, in seguito, lo
stesso Beltrano insieme a Falcone e Pacecco
De Rosa, dei quali è soprattutto con il primo
che presenta evidenti affinità.
Per Beltrano fu però molto importante, per
la sua maturazione stilistica, la vicinanza, in
occasione dei lavori nella cattedrale di Poz-
zuoli, con altri celebri pittori dell'epoca, quali
Giovanni Lanfranco, Artemisia Gentileschi e Fig. 1 - Dipinto di Agostino Beltrano
Napoli collezione privata
lo stesso Massimo Stanzione.
Sposerà la pittrice Annella di Massimo, so-
rella di Pacecco De Rosa.
Gli studiosi hanno distinto, analizzando le opere del maestro, una fase naturalista, contigua ai
modi falconiani e un secondo periodo più propriamente stanzionesco, contrassegnato da un imprezio-
simento cromatico e da un ingentilimento delle fisionomie e dei sentimenti, culminante nella spetta-
colare tela raffigurante "Lot e le figlie" della collezione Molinari Pradelli.
L'attività di Agostino Beltrano è documentata a Napoli nelle chiese di S. Maria degli Angeli a Piz-
zofalcone (1644–1645), di S. Agostino degli Scalzi (1649), di S. Maria della Sanità (1654-1656) e di
S. Maria Donnaregina Nuova (1655).

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Fig. 2 - Scena centrale, Gesù davanti a Pilato

Fig. 3 - Spettatori dall'alto

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Fig. 4 - Spettatori dal basso

Fig. 5 - Vari tipi di architettura

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Questi suoi interessi lo guideranno,
in maniera più o meno costante fino a
qualche anno prima della metà del se-
colo, in efficaci composizioni sia di de-
stinazione religiosa (tele per il duomo
di Pozzuoli, affreschi in S. Maria degli
Angeli a Pizzofalcone) che profana (Ri-
tratto di Carlo Tocco, Pio Monte della
Misericordia).
Dal 1649 circa, anno in cui sono
documentate le due tele per la Cappella
Schipani in S. Agostino degli Scalzi (S.
Fig. 6 - In basso a destra il classico fantolino Girolamo e S. Nicola da Tolentino) il
suo stile sembra avviarsi verso solu-
zioni di accademia stanzionesca e tale si manterrà ancora
nell'ultima produzione documentata.
Ritorniamo ora al quadro che vogliamo proporre all’at-
tenzione di studiosi ed appassionati, partendo dalla difficoltà
di assegnargli un titolo, che dovrebbe essere, dall’esame
della scena centrale (fig. 2) Gesù davanti a Pilato. Intorno a
questo episodio si volgono gli sguardi di spettatori incurio-
siti (fig. 3-4), che sembrano indicare l’insolito avvenimento,
mentre sullo sfondo giganteggiano originali architetture (fig.
5), che aveva indotto qualche critico d’arte a proporre il
nome di Francois de Nomè come autore della tela. Altri
esperti avevano pensato a Domenico Gargiulo in collabora-
zione con Viviano Codazzi, ma le classiche figurine di
Micco sono diverse da quelle che appaiono in questa opera.
La soluzione definitiva dell’enigma si è avuta dall’attento
esame del fantolino che compare in basso nella scena (fig.
6), una sorta di firma criptata del Beltrano che compare in
molti suoi dipinti autografi (fig. 7), in primis nel Miracolo
di S. Alessandro conservato nella Cattedrale di Pozzuoli, fir- Fig. 7 - Fantolino a braccia protese
mato e datato.

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Capolavori di una nobile famiglia napoletana

https://achillecontedilavian.blogspot.com/2019/09/capolavori-di-una-nobile-famiglia.html

Abbiamo avuto l’onore di visitare un’an-


tica dimora di una nobile famiglia napoletana
e soprattutto abbiamo avuto il raro privilegio
di poter esprimere un parere sulla paternità dei
numerosi quadri ivi conservati.
Vogliamo cominciare la nostra carrellata
da una splendida quanto languida S. Maria Egi-
ziaca (fig.1), che nel corso delle operazioni di
rifodero e pulitura, eseguite nel 2001, fece
emergere la firma dell’autore sul fronte del
poggio che sostiene il braccio destro della
santa: Caracciolo. Abbiamo chiesto un parere
sull’autografia della tela al massimo esperto
del settore, autore di una monografia sull’arti-
sta ed è stato positivo.
Passiamo ora ad esaminare una Beata Ver-
gine dei sette dolori (fig.2), che in passato, da
autorevoli studiosi è stata assegnata sia a Guido
Reni che ad Andrea Vaccaro, mentre il dipinto,
di notevole qualità, è a nostro parere opera del Fig. 1 - Caracciolo G.B. - S.M.Egiziaca - 100x127
virtuoso pennello di Paolo De Matteis.
Riportiamo una puntuale descrizione dell’opera da parte di uno studioso che la assegnava a Guido
Reni:”La Madonna e seduta con le mani incrociate sulle ginocchia. Ha il manto azzurro e la veste rosa
gialliccio. Dalla scollatura sporge l’accenno bianco di una sottoveste. Il capo aureolato e coperto da
un velo giallo scuro. Una spada le e confitta nel petto. Il volto atteggiato a profonda mestizia piange
senza lacrime. Lo sguardo di chi la mira e involontariamente attratto dalle mani con le dita intrecciate
e contratte. L’artista ha voluto con questa contrazione straziante esprimere l’ineffabile dolore che per-
vade l’anima di una madre orbata del figlio. Tutte queste considerazioni avvalorano la tesi dell’attri-
buzione del quadro alla scuola reniana e finche non verranno alla luce testimonianze più attendibili la
questione rimarrà sub-iudice. La cornice di legno dorato svolge una modanatura baroccamente arcuata
agli angoli, ma l’arco leggermente ribassato nella parte superiore farebbe pensare a un adattamento
del quadro alla preesistente modanatura marmorea o viceversa, per dare maggiore spicco alla delicata
composizione della tela.”
Vi è stato poi chi ha attribuito il quadro al pennello di Andrea Vaccaro, che subì molto l’influsso
del Caravaggio, ma le sue “Maddalene penitenti” e le sue “Madonne” sanno più della dolcezza e della

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soavità che caratterizzano lo stile dei pittori
partenopei di quel tempo.
Opera certa, anche se modesta, del Vaccaro
è viceversa Un putto dormiente (fig.3), siglato
con il classico monogramma “AV”.
Rimanendo nell’ambito della bottega di
Massimo Stanzione descriviamo ora Una Ma-
donna con Bambino e S. Anna (fig.4), eseguita
da Pacecco De Rosa, della quale riportiamo
una acuta descrizione del 1968 da parte del
prof. Angelo Santaniello: “La Madonna, che
nel viso si richiama ai moduli del Sarnelli e del
Diano, e seduta. Ha in grembo il Bambino che
le circonda il collo col braccino destro, mentre
appoggia la mano sinistra alla mammella della
madre, come se avesse or ora smesso di suc-
chiare. Il Bambino e avvolto in un velo bian-
castro. La mano destra della Madonna stringe
amorevolmente il piede destro del Bambino.
Fig. 2 - De Matteis Paolo - La beata Vergine dei sette dolori -
Sotto i piedi del Bambino e spiegazzato il velo
117x176
che in parte lo avvolge. La Madonna e in
manto bluastro e veste rossa con largo movi-
mento di pieghe che ne accentua la luce tangente dei bordi. Dietro la Madonna una vecchia, Sant’Anna,
dal volto pieno, un po’ volgare nelle linee somatiche. Ha la mano destra dietro le spalle della Madonna
e la sinistra dietro le spalle del Bambino. Ha il capo velato dal manto sotto il quale dalla tempia sinistra
sporge il bordo di un velo bianco: L’ombra avvolge tutta la scena e fa pensare alla scuola del Mattia
Preti che ne praticava la consuetudine, nella se-
conda meta del seicento. Il volto della Ma-
donna tuttavia e bello, di un ovale virginale e
perfetto.”
Nel 2003 il compianto prof. Vincenzo Pa-
celli scrive: “La Sant’Anna e quasi totalmente
rifatta, cosi pure la figura del bambino. La ri-
mozione delle vaste ridipinture per tentare
un’operazione di recupero delle parti originali
e operazione economica di costo elevato, spe-
cie in previsione della successiva fase che pre-
vede un’integrazione pittorica per la quale
occorre un notevole tempo (omissis). Si com-
prende senza fraintendimenti che si tratta di un Fig. 3 - Andrea Vaccaro- Putto dormiente - siglato AV -
dipinto napoletano di grande presa naturalistica 91x70

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eseguito tra gli allievi di Massimo Stanzione.
L’artista che più degli altri mostra di possedere
quei requisiti stilistici che ancora si riescono a
leggere nella tela in questione, nonostante tutto
quanto si e detto, e Francesco De Rosa, detto
Pacecco De Rosa (Napoli 1607-1656). I rossi
delle vesti e l’incarnato della Madonna, la dol-
cezza del modellato e l’impostazione della fi-
gura all’interno della composizione sono
elementi del tutto tipici della produzione del
Pacecco, quale si venne affermando nel decen-
nio tra il 1640 e il 1650”.
Rimaniamo sempre nella bottega del cele-
bre cavaliere Massimo con il prossimo quadro:
Un San Francesco in estasi (fig.5) da attribuire
a Giuseppe Marullo e della quale riportiamo
descrizioni di precedenti studiosi.
La tela, che versava in un cattivo stato di
conservazione, venne visionata nel 2002 dal
Fig. 4 - Pacecco De Rosa - Madonna con Bambino e S. Anna
- 90x120
prof. Vincenzo Pacelli: “L’opera e di difficile
attribuzione soprattutto a causa del cattivo stato
di conservazione in cui attualmente versa. A parte il
fondo del tutto illeggibile, anche parte della figura ha
perduto rilievo plastico ed emergono solo le parti chiare
(omissis). La parte visibile lascia, però, comprendere che
si tratta di un’opera di buona qualità artistica. Partico-
larmente ispirato il volto del Santo colto nel suo intimo
colloquio con il Cristo. Le mani sono eleganti nella posa,
ben definite nella resa, naturalisticamente efficaci sotto
l’aspetto stilistico. L’umiltà e il forte sentimento reli-
gioso che precede l’estasi conferiscono alla figura una
dolcezza spirituale che si comunica al riguardante.
(omissis). Allo stato attuale si può affermare che l’autore
vada cercato tra quei pittori attivi nel corso della prima
meta del Seicento e sicuramente in ambito naturalistico,
quale si venne affermando a Napoli e in Italia meridio-
nale dopo la venuta del Caravaggio sul finire del primo
decennio del ‘600.”
Il prof. Angelo Santaniello ne da una interessante
descrizione: “L’ombra nella quale il Santo è avvolto e Fig. 5 - Giuseppe Marullo - Estasi
l’espressione del volto dai lineamenti artisticamente di- di San Francesco d'Assisi 128x181

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Fig. 6 - La Madonna del Divino Amore, tela XVIII sec. - 128x100

stinti e perfetti, ne fa supporre l’appartenenza alla scuola di Mattia Preti. Il Santo e in ginocchio; i
piedi e le mani, schiuse in atteggiamento di fervida preghiera, evidenziano le sanguinanti stimmate.
Il viso bellissimo, lo sguardo rivolto al cielo nuvoloso e scuro, il capo, disegnato con meditata arte e
precisione, leggermente riverso.”
E concludiamo proponendo al lettore, senza dilungarci, un dipinto di scuola napoletana, raffigu-
rante La Madonna del divino amore (fig.6), che si ispira ad archetipi classici precedenti e che ci lascia
con l’animo sereno e con la gioia per aver potuto ammirare tanti capolavori.w

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