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Lezione di filologia Italiana, Accame.

4-10-22

Il manoscritto della scrittura antica dei 1’ secoli.

Manoscritto: costituito da un insieme di fogli o carte di materiale diverso; i materiali più diffusi
erano: - la membrana (la pergamena) di origine animale (solitamente pelle di animali giovani
trattate) si usava per i codici più pregiati; - la carta, materiale più diffuso di origine vegetale (fu
importata dai cinesi), era utilizzata per manoscritti, codici normali, non particolarmente pregiati.

Lo studio degli spetti materiali ed ornamentali del manoscritto è riservato ad una disciplina ossia
la codicologia, disciplina che studia il codice, gli aspetti esterni ad esso quindi il materiale,
formato, fascicolatura (fascicolo unità che può essere di una o più carte, unità da cui è costituito il
manoscritto. Quindi un libro è costituito da più fascicoli).

Le prime difficoltà che sorgono per un filologo è quella di interpretare le scritture, ecco perché lo
studioso di filologia deve avere una base anche di paleografia.

Le lettere hanno assunto nel tempo stili molto diversi, le parole sono state accorciate o
compendiate.

Per affrontare i primi ostacoli nella lettura di un testo ci vogliono alcune nozioni di base di
paleografia.

L’impatto del filologo soprattutto nell’età medievale italiana comporta il contatto con:

• Grafie standardizzate : che assumono una forte denominazione dalla tipologia e dall’ambiente
che le ha prodotte (es la gotica tedesca). Ci sono maiuscole, minuscole , corsive e non.

Altre forme es:

• cancelleresca: possiamo trovare un esempio di cancelleresca nel canzoniere di Nicolò de rossi;


prende il nome dalle cancellerie, nasce nelle cancellerie. Caratteristiche: lettere presentano
svolazzi a bandiera che si possono attenuare o diventare più forti . Nella commedia di Barberino
troviamo la minuscola cancelleresca che presenta svolazzi più attenuati.

• Poi abbiamo scritture proprio proprie dei copisti, ad esempio la scrittura di Petrarca: che usava
un tipo particolare di graffa o una punteggiatura particolare.

Ogni manoscritto presenta una propria storia.

La prima scrittura è portata con tre esempi di : gotica francese, tedesca, italiana . Come possiamo
vedere ha un disegno angoloso, un aspetto stretto e sterrato, le parole sono molto accostate l’una
alle altre; tratti sovrapposti.

11’ / 12’ secolo ci fu il passaggio da un tratteggio tondeggiante (minuscola Carolina) ad un


tratteggio spigoloso (es 1 slide) fatto da linee verticali grosse e orizzontali sottili.

Gotica usata soprattutto per i libri e coesistette insieme alla minuscola cancelleresca tipica dell’
ambiente notarile , dei documenti.

La cancelleresca proseguiva la Carolina in forme stilizzate, artificiose, rotondità del corpo delle
lettere, uso degli svolazzi, bandiere a forma triangolare a completamento delle aste.

La minuscola cancelleresca usata da dante nella commedia.

Petrarca usava sia la cancelleresca sia la gotica. Proboscide

Minuscola cancelleresca massima espansione 12/14 secolo, usare anche nell’ambiente librario,
usata anche da Boccaccio. Elegante e raffinata. Proviene non solo dalla Toscana .

Minuscola Carolina : lettere staccate l una dall’altra , non c’è sovrapposizione di tratti.

Scrittura mercantesca: la scrittura dei mercanti, presenta caratteri diversi dalla cancelleresca:
rotondità, schiacciamento del corpo delle lettere, scarso slancio delle aste.

Le abbreviazioni non sono solo dei manoscritti ma anche delle stampe.

File abbreviazioni:

-que con punto e virgola è enclitico , viene aggiunto alla


fine della parola (e ). ;

-Quando troviamo un d con l’asta che va a sinistra ,


tondeggiante è un “d onciale “ caratteristico della scrittura
gotica.

-Nota tironiana: prende il nome da tirone; è a forma di un 7


che però ha il braccio che scende posto oltre la riga.

— Le abbreviazioni posso essere per troncamento e per


contrazione.

A volte si hanno incertezze su come svolgere


un’abbreviazione, un’abbreviazione che apparentemente è banale. Si deve tenere conto dell’usus
scribendi dell’autore ossia l’abitudine di scrivere dell’autore. (Es Petrarca usa molto latinismi
grafici)

Esempio la parola sembra abbiamo un usus scribendi dell’autore che la scrive con la “n”

Poi abbiamo i “nomi” chiamati: nomina sacra che vengono talvolta abbreviati tramite dell’e
contrazioni grammaticali, il che porta a delle sequenze di lettere greche come IH (iota-eta), IC
(iota-sigma) o IHC (iota-eta-sigma) per Gesù (greco Iēsous) e XC (chi-sigma), XP (chi-ro) e XPC
(chi-rho-sigma) per cristo (greco Christos).

La punteggiatura :

Il punto di partenza nell’allestimento di un manoscritto è il foglio: i fogli che vengono piegati a


metà ed inserirti l’uno nell’altro formando dei fascicoli. Possono essere in carta o membrana.

I fascicoli hanno varia consistenza.

Il termine carta originariamente designava la superficie sottile dalla quale si scriveva a prescindere
dal materiale.

A Fabriano sorge un importante cartiera.

—la pasta di carta è ottenuta da stracci macerati, viene poi distesa su un telaio che all’interno ha
dei fili orizzontali e verticali che si chiamano “vergelle ”e “filoni”, le prime sono i fili paralleli al lato
più lungo, i secondi sono quelli paralleli al lato più corto. Si crea quindi una griglia che lascia
filtrare l’acqua, l’acqua scende e la pasta si asciuga.

Nella tradizione più antica si usava imprimere nel foglio di carta la “filigrana” : è un disegno che
rappresenta quella cartiera di Fabriano, può avere varie forme; viene impressa con filo metallico ,
può essere una stella, un cerchio, un rombo ecc , questo particolare disegno indica la cartiera è
da questo si può ricostruire anche gli anni in cui questa carta (supponiamo con segno della stella)
in quella cartiera veniva prodotta.

La data in cui è stato scritto un documento può essere di molto posteriore all’anno di
fabbricazione di quella carta. Quindi la carta non ci aiuta a datare il testo.

La carta è molto più convenite della pergamena , la pergamena era riservata a testi biblici , la
prima Bibbia era in pergamena.

La pergamena poi veniva usata anche per confezionare le rilegature, le copertine o fogli di guardia
che si mette prima o alla fine del testo, all’interno di essi era conservato il testo, veniva utilizzata la
pergamena perché più robusta.

Capitava che alcuni codici di pergamena venivano raschiati e riutilizzati: codici di preghiere o libri
di santi che non suscitavano più grande interesse venivano raschiati e sopra veniva trascritto
Virgilio oppure Ovidio ad esempio. Più raro è il riuso di carta già scritta ( es una lettera autografa
di Boccaccio era stata utilizzata come rinforzo di una copertina in pergamena più debole).

Strumento con cui si scriveva:

Di rado si usava il palamo, ossia la cannuccia aguzza che usavano gli antichi, di solito usavano la
penna di volatile (la penna d’oca , la penna d’uccello) e gradualmente fu sostituita da strumenti
metallici.

-inchiostro: ci può aiutare a capire la datazione di una scrittura, ed: Petrarca di lui abbiamo una
scrittura giovanile, una di età media è una di età anziana. Anche l’inchiostro ci aiuta a capire la
forma delle lettere. Era di solito nero o bruno, quello in altri colori veniva usato dai copisti per
mettere in evidenza qualche parola o ad esempio i capilettera : essi venivano lasciati all inizio in
bianco e poi scritta in colore, veniva poi riempita o da un amanuense o dallo stesso copista ma in
colore diverso. Ma capita spesso che questa venga tralasciata, una mancanza presente in tutte la
traduzione potrebbe costituire un errore di archetipo (un errore di archetipo ha come concetto il
fatto che è assente in tutta la tradizione).

FILOLOGIA ITALIANA 11-10.

(Eravamo arrivati a parlare delle varie scritture: gotica, cancelleresca, ultima la mercantesca. )

La mercantesca: proviene dall’ambiente dei mercanti, ma non è soltanto utilizzata per documenti
di commercio, gli atti notarili ma anche libraria, anche alcuni libri (specie manoscritti o raccolte di
carte che formano un manoscritto) sono scritti in mercantesca; viene usata anche per libri che
contengono memorie, ricordi di mercanti anche preghiere e vite di santi. Puo essere utilizzata
anche per testi che hanno avuto molta diffusione, non solo in ambienti colti come la commedia , o
canzonieri.

È una scrittura schiacciata, ci sono varie abbreviature, caratterizzata da uno schiacciamento del
corpo delle lettere, le aste della “l” o “d” hanno uno scarso slancio.

Intano all’interno di alcuni ambienti di grammatici notai (che avevano in comune una precisa
specializzazione letteraria), vanno sorgendo i primi tentativi di imitazione di modelli grafici vecchi
di secoli e cioè cercavano di imitare la “carolina”: (sorge nell’età carolingia, quindi nel IX sec) ha
caratteri molto tondeggianti; questo tipo di scrittura sorge in ambienti che sono particolarmente
sensibili a una cultura pre-umanistica (pensiamo all’ambiente dei notai padovani in cui vi erano
giuristi che erano interessati anche a problemi di letteratura).

Alla base di queste tendenze loro imitavano la “carta carolina” come scrittura. Alla base di queste
tendenze d’imitazione di scrittura ci sono ragioni dovute all’affermarsi di un diverso mondo
culturale che si rivolgeva all’imitazione dei modelli artistici dell’antichità (umanesimo). (Ma questo
spirito si scorge gia in alcuni ambienti precedenti).

— il Petrarca (300’)—> è un umanista anche se alcuni l’hanno definito pre-umanista. Il primo


umanista colui che sente nel mondo antico classico (latino in particolare) la più alta espressione
del suo modo di vivere la letteratura e non solo dal punto di vista letterario anche come tipo di
vita, come ambiente, politicamente, socialmente come istituzioni; c’era un’ammirazione per
quest’epoca.

(In un testo/lettera dice: “io purtroppo vivo in quest’età, sarei potuto vivere in un’altra epoca”
riferimento all’età antica).

Un atteggiamento critico verso quello che noi chiamiamo medioevo grande e un rimpianto per
quest’età antica che è finita.

Come diceva Petrucci (studioso di paleografia): la scrittura è collegata anche ai sentimenti, alle
idee. Anche per ciò che riguarda l’aspetto grafico sviluppò una precisa polemica contro le
scritture scolastiche, in particolare quelle di tipo gotico che erano adottate nella scuola,
nell’università, soprattutto negli ambienti di diritto ( i codici giuridici erano scritti in gotica su due
colonne, a volte scritti perchè bisognava farli circolare negli ambienti scolastici universitari senza
interesse culturale per quello che vi era scritto).

-in una lettera delle familiari la 23,19.8, inviata a boccaccio dice: le mie lettere familiari che tu
(parla boccaccio) vedrai trascritte da lui (un collaboratore di boccaccio) non con quella scrittura
adorna e corposa (rif alla gotica) quale quella degli scrittori o meglio pittori del nostro tempo la
quale da lontano piace all’occhio ma da vicino lo confonde e a fatica come se lettera non
significasse lettura (come dicono in primis i grammatici, qui rif a prisciano) ma con altra scrittura è
diversa e corretta, più chiara che attrae l’occhio a cui non manca ne una virgola ne altro segno
ortografico. —Dice che il suo allievo, sotto suo consiglio scrive i testi non in gotica ma in un’altra
scrittura che potrebbe essere: la semigotica e anche la cancelleresca (ambiente notai) .

-In un’altra lettera: Petrarca loda la “maestà della lettera più antica”, il riferimento è alla carolina, la
loda in un codice del 10’ secolo.

Giudizi del Petrarca sulla scrittura:

1. Giudizio positivo sulla minuscola carolina ;

2. Giudizio negativo sulla gotica libraria, soprattutto in quella d’oltre Alpe (quella tedesca, quella
più rigida, con sovrapposizione dei tratti, non ci sono curve;

3. Enunciazione dei principi teorici su cui deve uniformarsi la nuova libraria—questi principi
teorici che deve somigliare il più possibile alla carolina, più rotondeggiante è quella che
secondo Petrarca e i suoi successori umanisti si avvicinava di più alla scrittura degli antichi.

Questi tre principi furono quelli sui quali Petrarca uniformò la sua nuova scrittura libraria, che uno
studioso di paleografia la definisce “semigotica” : una gotica con elementi rotondeggianti,
elementi con distinzione tra le lettere quindi senza sovrapposizione dei tratti.

Scrittura di Glossa (vuol dire commento, nota) : era un genere letterario ereditato fin dall’epoca
tardo antica, (anche Girolamo scriveva a margine con osservazioni) . Doveva essere di modulo
ridotto, doveva avere qualche elemento ad esempio caratteri con un certo slancio delle aste (d
onciale, con asta volta a sinistra); è una minuscola posata, piccola ed elegante con tratteggio
uniforme. È chiamata “scrittura modularis” che appare nei documenti del Petrarca gia prima del
1340. Nel tempo la scrittura cambia soprattuto nel Petrarca ci sono note di scrittura giovanile ed
altre di età avanzata.

-A volte ci sono delle postille a grappolo, cioè dopo un rigo vengono ad esempio due o tre lettere
a forma di grappolo con una punta in basso.

Troviamo per esempio per la morte di Laura (1348) codice “Virgilio Ambrosiano”: una postilla,
dove Petrucci nota un’accentuata sinuosità delle aste, presenta filetti ornamentali; c’è
corrispondenza tra scrittura e contenuto. La sua modularis, scrittura di glossa di postilla è più
sottile, sinuosa del solito, secondo Petrucci riprende lo stato d’animo del Petrarca, c’è una
compartecipazione di sentimento a ciò che scrive. Questa scrittura di glossa del Virgilio
Ambrosiano, uno dei codici più postillati del Petrarca, compare anche in un codice di Orazio
conservato in un manoscritto della laurenziana. (Manoscritto Laura non c’è su e-learning).

A Firenze la semigotica petrarchesca fu assunta per imitazione diretta e partecipe da amici e


discepoli del Petrarca ad esempio Giovanni boccaccio, anche lui scriveva in semigotica
petrarchesca.

Riassumendo: gotica italiana: caratteri più tondeggianti delle altre, le lettere iniziano a staccarsi le
une dalle altre; minuscola cancelleresca: usata anche come scrittura libraria, dove assume
maggiore raffinatezza, caratteristica sono le aste salgono sopra la riga , riccioli a bandiera che
puo anche essere posto sotto la riga chiamato proboscide d’elefante.

Semigotica: ha qualche caratteristica della gotica, ad esempio la d onciale, le lettere sono


distenete l’une dalle altre, non c’è sovrapposizione dei tratti, le aste salgono sopra la riga.

Essa insieme alla minuscola carolina è più diffusa nell’ambiente fiorentino del tempo del Petrarca
e post Petrarca quindi fine 300’ inizi 400’.

Abbiamo anche un’esempio di minuscola cancelleresca co aste molto moderate, ricci molto
moderati di un manoscritto (trascrizione nell’ultimo foglio di questo insieme) della commedia ossia
paradiso 33 vv136-145 è un codice della laurenziana (tra parentesi c’è l’antica segnatura non
quella attuale) (sulla destra c’è un explicit= parte finale di un testo).

-esempio 9 è una minuscola carolina: una del 9 secolo, una delle prime, ed è molto
rotondeggiante, ben distinte le lettere, alcuni piccoli ingrossamenti delle lettere ma sempre dritte,
caratteristica importante della carolina originaria è la “A” : non chiude in alto è come una “u” che
ha i tratti che vanno verso destra, girano leggermente verso destra; quella presa come esempio
dagli umanisti.

La gotica veniva chiamata littera moderna ;

littera antiqua sarebbe il modello della carolina, si sente in un umanista poggio Bracciolini,
scrive strozziano 96, vive a cavallo tra la fine del 300’ inizio del 400’.

—Il manoscritto laurenziano insieme ad altri codici costituisce il primo esempio di minuscola
umanistica, imita la carolina del 10 secolo, caratteristiche : tratteggio un po rigido, impaccio nel
tracciato dei legamenti, non ci sono sempre legamenti tra le lettere caratteristici delle corsive, una
meccanica imitazione dei modelli.

Con il tempo poggio giungerà ad una minuscola dal tratteggio meno rigido, dalle migliori
proporzioni, le aste si fanno più sinuose, forme più rotondeggianti, tratto non scende molto sotto
la riga, le aste all’estremità hanno dei rigonfiamenti sulla punta soprattutto quelle che vanno sopra
la riga.

Altri caratteri di questo manoscritto sono la “d” onciale, la “s” rotonda è usata solo a fine riga o
scritta sopra per guadagnare spazio, lettere rotonde sono distinte, fusione di due lettere, tratto
sovrapposto che avveniva nella gotica è rara quasi assente; poi ci sono alcuni comportamenti
personali di poggio come l’uso del dittongo ae/oe e a volte al posto del dittongo usa la e
semplice, l’utilizzo della e semplice o la cediglia è un uso frequente. Altre caratteristiche è scrivere
nicchi in latino con “c” anziché con la “h”.

Un testo importante per la scrittura umanistica è quello dell’autore pullman “l’origine e lo sviluppo
della scrittura umanistica”1960.

Esempi in e-learning:

Minuscola cancelleresca: non era solo scrittura di ambienti notarili e giuridici ma era usata anche
come scrittura libraria. Qui abbiamo come esempio alcuni versi presenti nel codice degli abbozzi
di Petrarca che è un’autografo ed anche biografo (testo dell’autore scritto da un altra persona
rivisto dall’autore stesso), questo è stato scritto in gran parte da Giovanni maffaghini sotto il
controllo del Petrarca. Svolazzi a bandiera molto evidenti, proboscide d’elefante presente nella
colonna di sinistra nella 5 riga.

Presente nella tavola quarta è un’esempio di umanistica corsiva, siamo nel pieno umanesimo, con
degli appunti chiamati dictata- dettati, degli appunti che gli alunni prendevano a lezione, siamo nel
1484. Questo è il vaticano latino 3415 è un dictatum originale, sono appunti presi direttamente a
lezione, poi esistenza appunti che gli alunni copiavano dai loro compagni. Scrittura
corsiveggianle, tende a destra, e troviamo svolazzo a sinistra, ci sono abbreviazioni per
contrazione (magr).

—ora cambiamo discorso:

ci soffermeremo su nozioni relative alla critica del testo che possiamo chiamare ecdotica.

Il termine filologia deriva dal greco, nel senso specialistico e moderno questo termine indica la
disciplina che mediante la critica testuale si propone di riprodurre e costruire e interpretare
correttamente i testi, documenti letterari. In senso più ampio è stata intesa come studio di una
civiltà in tutte le manifestazioni della sua vita culturale.

Nella linea della tradizione storico-filologica si colloca Giorgio Pasquali, egli intese la filologia
come una disciplina storica, però ne rifiutava la definizione di scienza in quanto essa era riservata
solo alle scienze esatte ed alle scienze della natura.

-primo compito della filologia è quello di verificare che un testo sia trasmesso nella forma in cui
l’autore l’ha concepito.

•una domanda che faccio sempre agli esami è la distinzione tra filologia detta di traduzione ossia
di copia e quella d’autore.

Filologia di tradizione: è quell’ambito, quella situazione della filologia in cui l’originale dell’autore
è andato perduto (siamo di fronte a tutti i casi della filologia classica). Il compito del filologo è
attraverso le copie chiamate anche apografi ricostruire questo testo. Attraverso queste copie
ricostruire uno stemma: uno strumento che può aiutare a ricostruire il testo, non è la finalità dello
studioso, la finalità dello studioso è ricostruire il testo corretto. Lo stemma è basato sul concetto
della classificazione e la creazione di classi ci aiuta a capire meglio quale è la verità, la realtà che
noi abbiamo tangibilmente perduto.

Filologia d’autore: nei testi è conservato l’autografo e l’idiografo (testo scritto da un altro ma
rivisto dall’autore) oppure gli abbozzi, le minute che l’autore aveva fatto prima di approdare al
testo definitivo. Mira a ricostruire il percorso psicologico poetico letterario dell’autore, com
spensava all’inizio e come questo pensiero è cambiato evoluto nel tempo fino a giungere la dove
è possibile all’ultima volontà dell’autore.

Quindi essenzialmente registra quelle che vengono chiamate “varianti d’autore”, ossia i
cambiamenti che l’autore fa nel percorso del tempo ad alcune parole , espressioni. Cambiamenti
che denotano uno stato d’animo, un evoluzione del suo pensiero ed anche la formazione del suo
pensiero.

Quindi tornando al compio della filologia, il primo compito è curare edizioni corrette, il secondo è
comprendere che cosa l’autore ha veramente voluto dire.

Filologia italiana lezione del 12-10

Filologia di tradizione o copia, filologia d’autore


Due situazioni diverse che richiedono applicazioni diverse ed anche lo studioso che si occupa
della ricostruzioni del testo in questa situazioni ha finalità diverse.

- Filologia di tradizione o copia: chiamata di copia perché non abbiamo in mano l’originale, il
compito del filologo in questo caso è ricostruire attraverso le copie il modello perduto,
l’originale, ci si avvicina per approssimazione. Questa implica più lavoro, è una creazione della
mente dello studioso. Per gli autori classici essa viene usata, in quanto non abbiamo nulla di
autografo, riprendiamo da testimoni che sono lontani, separati dagli originali perduti da molti
secoli; spesso questi originali non sono in età tardoantico (4-5 secolo) ma in età carolingia
saltarono fuori testi che portavano autori antichi.

- Filologia d’autore: abbiamo l’autografo o più autografi, abbiamo testi ma anche edizioni
stampe riviste dall’autore ed anche abbozzi. Il lavoro è diverso: è ricostruire la storia di questi
abbozzi o autografi, come si evolve il pensiero dell’autore nel tempo, quindi studiare
l’evoluzione del suo pensiero, qual’è la probabile ultima volontà. Essa è rivolta di più al
moderno perchè i testi d’autori moderni sono più facilmente conservati (eccezione Petrarca) ,
esempio di testi d’autore che abbiamo sono: Proust, Morante, Pasolini. (Di Manzoni abbiamo
autografi dei promessi sposi, con le varie edizioni: fermo e Lucia, sposi promessi ; Manzoni
lasciava [e qui si vede la filologia d’autore] una colonna libera bianca per poter intervenire con
correzioni, divideva il foglio in due colonne: in un ascriveva il testo nell’altra ripensamenti ,
correzioni.

Filologia di tradizione o copia


Intorno a metà dell’800 uno studioso tedesco Lachmann—> ha messo insieme un metodo che si
proponeva essere scientifico cioè matematico. Non erano solo idee sue quelle che fanno parte di
questo metodo, ma anche di altri studiosi, lui ha avuto l’arte, la capacità di metterli insieme
secondo determinati temi. Questo metodo è chiamato metodo stemmatico, sulla base di questo
metodo sono poi sorte degli aggiustamenti ad esempio da parte di uno studioso filologo Maas, il
quale ha revisionato questa proposta stemmatica di lachmann, e dopo Maas ce ne sono stati altri
tra cui Pasquali.

Quali sono i criteri, fasi principali su cui si basa questo metodo stemmatico:

1. Recensio: comprende varie tipologie di interventi; come primo intervento è accertarsi la mole
della tradizione, cioè quanti testimoni ci sono di quell’opera. Come si procede:andare a vedere
i cataloghi o di tipo generale o specifici che si trovano nelle biblioteche di conservazione.
(Raccolta di testimoni).

2. Collatio, collazione: confronto tra i testimoni, si sceglie il testimone che sembra riportare
meno errori, il meno corrotto cioè il più affidabile; sceglierlo come testo base, trascriverlo ed
accanto registrare le varianti cioè l’edizioni che differiscono presenti in tutti gli latri testimoni.
Se il testo è molto lungo dopo aver revisionato alcuni di questi testimoni si scelgono punti da
guardare, si prendono loci critici, non tutto l’intero testo e si lavora solo su questi loci critici
(confronto dei testimoni, costituita a sua volta da: examinatio: esame parola per parola;
emendatio: correzione degli eventuali errori occorsi nei passaggi di copia).

Una volta selezionate le varianti ed errori si creano le famiglie .

Stemma bipartito
Situazione della tradizione con due rami.

Nel primo tra o ed “a” e “b” che discendono da “o” c’è un intermediario che è indicato con “x” =
intermediario detto Archetipo : è la copia che si avvicina di più all’originale che è perduto ed
anche l’archetipo quasi sempre è perduto. In quanto copia rispetto all’originale contiene almeno
un’errore perchè il copista introduce degli errori rispetto al modello rispetto all’antigrafo, quindi ci
sarà almeno un errore rispetto ad “0=originale”.

Testimoni indicati con le maiuscole “A” e”B” (essi sono tangibili ancora possiamo vederli, leggerli)
dipendono da “o” attraverso l’intermediario “x” che è l’archetipo.

Nella seconda la situazione è diversa: da “o” discende direttamente “a” e discende direttamente
“b”; qui è più difficile ricostruire il testo giusto perché non c’è l’intermediario “x” che ci aiuta a
stabilire la versione giusta, qui deve intervenire la soggettività dello studioso che deve scegliere
magari in base all’usus scribendi dell’autore quindi c’è meno probabilità di approssimarsi al vero
testo.

Stemma tripartito
Abbiamo sempre “o” l’originale, “x” che è l’archetipo, ma in questo caso dall’archetipo derivano 3
testimonianze; “a” e “b” minuscole costituiscono due famiglie (con minuscola si indica una
famiglia , non un singolo codice) invece “C” che discende da “x” è un codice vero e proprio
tangibile non fa parte di una famiglia.

Il valore della famiglia “a” del codice “C” discendente diretto e di “b” è lo stesso, tutti hanno lo
stesso valore , la testimonianza di “a” ha lo stesso valore di “C” lo stesso valore di “b”.

Famiglia= classificazione, gruppo, classe. Cioè riuscire a raggruppare più testimoni in una classe,
in un gruppo .

Quali sono gli elementi per cui noi possiamo creare un gruppo? Lo si fa secondo un metodo
stemmatico attraverso gli errori, lo stesso errore presente in due testimoni ci fa capire che questi
due testimoni sono parenti, hanno un rapporto tra loro e probabilmente uno derivava
dall’antigrafo, c’era gia nel modello e si riversa nei discendenti. Quindi noi in base agli errori
comuni stabilire che esiste una certa famiglia (esiste la famiglia “a piccolo” poi “C dipende da x” e
poi abbiamo la famiglia “b piccolo” dalla quale deriva un codice B e poi una sottofamiglia
chiamata “c piccolo” dalla quale discendono due testimoni chiamati E ed F (codici, c sottofamiglia
dipendente da B). Ad esempio se “a” e “C” hanno fanciulla contro “b” che ha giovinetta , noi per
criterio della maggioranza contro la minoranza dovremmo scegliere la versione che ha “fanciulla”
anche se lo studioso potrebbe avere qualche preferenza per giovinetta. Conta la maggioranza
contro la minoranza.

Differenza tra variante ed errore


- Variante: è una lezione divergente che è possibile, entrambe hanno senso. Variante è una
possibilità alternativa del testo, che non ne turba il senso quand’anche fosse poco consona
con lo stile dell’autore o stilisticamente inferiore alla lezione concorrente. Non determinano
nulla, non servono a creare classi o famiglie.

- Errore: è una lezione linguisticamente inaccettabile o contraria alla logica e al senso che deve
essere corretta. Si corregge o sulla base dello stemma facendosi comandare da esso che ci
conduce nella correzione giusta sulla base dei testimoni; oppure si corregge per congettura,
correzione attraverso l’ingegno, attraverso il ragionamento dello studioso.

Abbiamo parlato della differenza tra errori e varianti: la variante è la lezione possibile; l’errore
sconvolge il senso.

Poi ci sono le varianti chiamate “Formali” o “Grafiche” : non contano, non sono importanti per
scrivere.

Poi abbiamo anche un’errore chiamato polare

Regola di comportamento sempre per la scelta delle varianti: difronte a varianti formali, una scelta
editoriale puo essere quella di seguire un testimone che presenta una fisionomia simile
all’originale , seguire il testimone che ha delle lezioni che in base ai nostri ragionamenti possono
avvicinarsi all’originale.

•Secondo caso riguarda sempre lo stemma tripartito. La linea tratteggiata tra la famiglia “a” e
l’esemplare “C”, perchè è consuetudine indicare con la linea tratteggiata una contaminazione tra
due testimoni (c’è contaminazione tra la famiglia “a” e questo testimone che fa parte di un’altra
famiglia). Allora “C” porta lezioni di “a” e lezioni di “b” quindi è un codice contaminato. La
contaminazione si verifica quando i copisti copiavano anche da un manoscritto nuovo che
sembrava riportasse una buona lezione, copiavano e la inserivano nel testo che stavano
costruendo senza aver classificato, fatto le famiglie. I testi contaminati di solito sono quelli molto
vecchi (es commedia).

•Lo stemma= è uno strumento che serve al fine ultimo , per ricostruire il testo.

Dopo la ricostruzione dello stemma che fa parte della cosiddetta “recensio” c’è un altro: creato il
testo va corretto nei punti che presentano errori, viene corretto o con: la congettura o con dei
testimoni con delle testimonianze. Laddove lo studioso non riesce proprio a correggere, c’è una
lacuna, una parola che non riesce a ricostruire con sicurezza si mette un segno di “croce latina” è
chiamata nella tradizione “crucis desperationis”

Un tipo d’errore d’archetipo ad esempio è un’errore che gia c’è nell’archetipo e che è migrato in
tutta la tradizione in tutti i suoi discendenti.

Esempio: è quello del verso 178 della canzone 33 di Guittone d’Arezzo—> tutti i testimoni iniziano
con queste parole “capitano d’Arezzo Tarlato “ qui si può ipotizzare che la versione originaria
fosse “o capitano d’Arezzo tarlato” sia su modello dei versi precedenti di Guittone (motivo
dell’usus scribendi, l’abitudine di scrivere “o”) e poi si era anche ben consapevoli dell’abitudine
dei copisti di lasciare il vuoto all’inizio di un gruppo di versi proprio perchè un copista che potesse
ricorrere a una normalizzazione scrivesse “o” in modo più importante, più grande magari con dei
disegnini e quindi lascivano libera questa frase dall’inizio di “o” vocativo.

In tutti i testimoni questo “o” manca.

-quando l’errore è presente in tutta la tradizione allora si puo ritenere un’errore di archetipo, errore
che ci fa ipotizzare l’esistenza di un’archetipo.

Gli errori sono lezioni che vanno corrette e possono dividersi in sperativi e congiuntivi, sono
chiamati errori guida che quando dobbiamo creare le famiglie ci guidano nell’avvicinare un
testimone a un altro o nell’allontanarlo:

• Errori congiuntivi: ha caratteristiche tali da far ritenere improbabile che diversi copisti lo
abbiamo prodotto ciascuno indipendentemente, cioè l’hanno prodotto perchè lo trovavano nel
modello non l’hanno prodotto di loro testa. I testimoni di questo errore sono in rapporto fra loro,
creano un gruppetto, una famiglia. (Errori commessi dai copisti perchè gia presenti nel modello)

• Errori separativi: ha caratteristiche tali che un copista non avrebbe potuto correggere per
congettura. Il testimone che non presenta questa lacuna non può essere copia di uno che ha la
lacuna. Appartiene ad una famiglia diversa dove avevano un modello che non aveva la lacuna,
perchè è un’errore separativo che separa A da B se “a” ha il testo apposto e “b” ha la lacuna; a
non può dipendere da b, non può essere suo parente ma fa parte di un’altra famiglia.

• Errori poligenetici: quello che può essere prodotto indipendentemente presso copisti diversi,
commesso in maniera indipendente, non ha molto valore.

• Errori monogenetici: presenta caratteristiche tali da credere inverosimile l’ipotesi che il copista
lo abbia compiuto indipendentemente , errore difficile che il copista lo abba commesso in modo
indipendente, l’ha commesso perchè dipende da un modello che è gia corrotto. Questo errore
determina parentela tra i testimoni.

Eliminatio codicum despriptorum - eliminazione codici copiati


Fatta prima di distinguere gli errori poligenetici e monogenetici.

[ noi abbiamo per quanto riguarda le varianti : l’usus scribendi : la sua consuetudine nello scrivere;
e la lectio difficilior: cioè la lezione più difficile, più rara. ]

—Se il codice “B” esiste ed è derivato esclusivamente da A, differirà da A solo nell’essere più
corrotto, perchè una copia contiene almeno un’errore rispetto al modello da cui discende. Il primo
passo quindi è eliminare “B” (eliminazione codici copiati).

—Il testo di gamma piumò essere dedotto dall’accordo di C e D, gamma è una sottofamiglia,
quindi l’accordo di C e D (accordo in errore) ci da gamma; dall’accordo di uno di loro con
testimonio estraneo (concetto che ha molta forza in alcuni stemmi bipartiti).(Gamma non esiste
perchè è una sottofamiglia di beta creata dal lavoro dello studioso).

Ad esempio giacomo da lentini ha due rami, uno di questi rami ha due testimoni ( “A” e “B”) e
l’altro ramo ha il testimone che discende direttamente dall’archetipo.Noi di fronte a uno stemma
bipartito abbiamo l’intervento delle varianti da parte dello studioso, non sempre è cosi, perchè ci
sono casi in cui prendiamo la prima famiglia (alfa) da cui dipendono A e B—> se A o B si accorda
con testimone esterno (che non fa parte della stessa famiglia) quella variante ha molta probabilità
di essere quella giusta. Anche lo stemma bipartito in alcuni casi in cui il testimone si accorda con
uno esterno impone la scelta della variante.

– Il testo beta può essere riparato dall’accordo di A+C+D; o di AC contro D (il testimone di un
ramo che si accorda con quello di un altro ramo); AD contro C, sempre nell’ambito della stessa
famiglia beta.

-testimone A con la sottofamiglia gamma;

-il rapporto di A addirittura con alfa che è un’altra famiglia.

Quindi nell’ambito di una medesima famiglia vale anche qui l’accordo di un testimone di un ramo
con quello di un ramo diverso (per varianti non per errori , dove la scelta potrebbe essere sia l una
che l’altra).

-il testo di alfa si può ricavare dall’ accordo di x, y, z (sono discendenti di alfa) o di due di essi
(maggioranza contro minoranza); se gli altri due sono in disaccordo tra loro di uno di essi con
testimone esterno (concetto con l’accordo di un testimone la lezione di un estimò con quella di un
testimone esterno, famiglia diversa).

Quando i testi di due subarchetipi (principali alfa e beta) alfa e beta sono stati ricostruiti non
occorre andare a vedere le lezioni dei discendenti (eliminazione delle lezioni singole)

Se alfa e beta sono in accordo possiamo ritenere che diano il testo dell’archetipo, se vanno
d’accordo nella variante ci va nel testo di omega, se non sono d’accordo tanto di una quanto
l’altra lezione può rappresentare il testo dell’archetipo.

Compito dell’examinatio: è decidere quale delle due è autentica.

Se in alcuni punti del testo (“e la su in alto, slide, discende da omega”) disponiamo della
testimonianza di un terzo ramo della tradizione (e) allora può agire il principio dei due contro uno ,
sul testo dell’archetipo ci saranno dubbi solo se tutti e tre sono in disaccordo (alfa beta ed e sono
in disaccordo) o se è verosimile che due di essi siano caduti nello stesso errore in modo
indipendente. Ci sono dubbi sulla lezione di omega dell’archetipo solo se tutti e tre non vanno
d’accordo.

Esempi di problemi stemmatici, lo stemma è uno strumento che serve a ricostruire il testo, il testo
che con varie lezioni ed elementi sembra avvicinarsi di più all’originale perduto.

Come si indica un codice:


•Nome della città (es Berlino), biblioteca che lo conserva, intestazione del fondo (Hamilton) ,
numero del codice ( es boccaccio è 50) , queste rientrano in quella che è chiamata—> Segnatura,
che è il nome del manoscritto; poi abbiamo anche altri manoscritti come (città del vaticano,
biblioteca apostolica vaticana, il fondo non c’entra latino o greco, numero del codice es 22; poi
abbiamo la denominazione che il manoscritto occupa nel fondo; sigla del codice).

Esempi:

Canzone di Guittone d'Arezzo canzone 32 (codice PLVR)- variante formale

Codice P: O kari frati miei ke malamente.

La lezione “mei” invece di “miei”: è una variante formale non è una variante d’importanza; “con”
ha valore di “ke”, hanno lo stesso valore.

Codice V: Oj (no o) variante formale , chari variante formale, che ha valore di come “ke
malamente” .

Codice R: non ripete la “o” vuol dire che è uguale a quella di “p”, chari, mei invece di miei, con.

Sono tutte varianti formali, non vengono mai inserite negli apparti critici—> detti sincronici ,
devono essere più sintetici, riportano varianti sostanziali (es tradizione e traduzione, simili ma
cambia la sostanza).

Lettera di Francesco De Sanctis “salto dallo stesso allo stesso”


“Se vi sono professori hanno diritto ai sei decimi del soldo…”. Originale “se vi sono professori da
giubilare e da ritirare proponetelo. Gli altri professori hanno diritto ai sei decimi del soldo.

•l’occhio del copista è andato sul secondo “professori”, manca un pezzo di frase a breve distanza

Franco sacchetti, le sposizioni di vangeli XIV errore polare


“L’uomo non conosce ed ha ignoranza di tutto il tempo che dee venire, che è infinito; e la
ignoranza nostra è nel tempo futuro ancora”.

Qui ha parlato del tempo che deve venire cioè il futuro, il pensiero rivolto al tempo del futuro gli ha
fatto lasciare il tempo futuro ancora.

Invece il futuro sta per passato ed ha origine dal tempo che dee venire che ha fatto scrivere
all’autore futuro (errore polare).

Tradizione indiretta—> noi abbiamo testimonianza di un autore portata da un altro autore:

Machiavelli, in una lettera guicciardini, cita un passo di dante del paradiso VI, e lo cita in modo
errato, trasformando il senso.

(Testo slide) una delle due è errata, evidentemente non ricordava bene il passo.

In alcuni casi questa tradizione indiretta può essere utile perchè noi non abbiamo certezza del
testo, del passo che abbiamo davanti e ci può aiutare a ricostruire quello che era il testo giusto di
quell’autore menzionato dal secondo autore.

Esempio di errore d’archetipo: errore presente in tutta la tradizione, in ogni testimone.

Jacopone da Todi, donna de paradiso


Errori: Dura morte per d’una morte;

Abbracciato per impiccato.

Filologia italiana, lezione del 18.10

Gli apparati
Ci sono i giudizi di due filologi importanti Fraenkel e La Penna : due classicisti e parlano della
tipologia degli apparati: apparato positivo, apparato negativo.

- L’apparato nella filologia di tradizione o copia, dove non abbiamo l’originale, è un ‘apparato
sincronico: registra le lezioni non nel corso del tempo, ma come le ritrova nei vari testimoni,
(accoglie varianti che non rappresentano alternative dello scrittore relative alla storia interna del
testo, ma indicano invece gli interventi postumi dei trascrittori). E quindi questo presuppone
che non sono frequenti, sono molto rare i casi di varianti d’autore. Questo apparato a sua volta
si divide in due tipologie.

1. Apparato positivo;
2. Apparato negativo.

Ora riassumendo ciò che dice fraenkel in questa prima pagina ed anche nella seconda:

1. Apparato negativo: registra soltanto le lezioni che sono rifiutate dallo studioso, non quelle
che sono state scelte ma quelle rifiutate (supponiamo fanciulla, giovinetta, fanciulla scelta a
testo, giovinetta anche se variante è rifiutata, si mette giovinetta con accanto le sigle dei
testimoni che la reggono), accanto ad ogni lezione rifiutata si trovano le sigle dei testimoni che
le recano;

2. Apparato positivo: non è che non si lasciano le varianti rifiutate (esempio giovinetta rifiutato
rimane) però si fa anticipare dalla lezione scelta a testo (abbiamo detto fanciulla, non da sola
con quadra e due punti ma fanciulla a cui seguono le sigle o la sigla del testimone che la
presenta; a volte si usa mettere fanciulla con un segno di quadra o con due punti e poi la
lezione rifiutata—> questo per aiutare gli attori a capire quel giovinetta a quale fanciulla (metti
che sia ripetuto due/tre volte) del testo si riferisce; ma non rende solo con la quadra, solo con i
due punti dopo la lezione scelta a testo non rende l’apparato positivo, ma rimane sempre
negativo). Per essere positivo la lezione scelta a testo (fanciulla es) deve avere le sigle dei
testimoni che la regga. (In alcuni casi le lezioni scelte a testo vengono indicate nell’apparato
con le parentesi quadre o con i due punti seguite dalle lezioni rifiutate, se però solo queste
ultime hanno la sigla si parla comunque di apparato negativo. La lezione accettata viene
trascritta solo per aiutare il lettore nella comprensione.)

—Questo dice fraenkel, egli si lancia a favore del positivo perchè mentre con il negativo noi
abbiamo tutti i testimoni che sono tutti non i migliori, per rintracciare i testimoni cioè manoscritti o
stampe che reggano la lezione giusta bisogna andarsi a vedere l’introduzione di tutta l’edizione
critica per vedere quali sono. Invece con il positivo ecco che la risposta al lettore viene subito
perché gia in apparato vede le lezioni scelte a testo da quali testimone sono riportate e dopo vede
quelle rifiutate.

Nella sua edizione delle argonautiche di Apollonio rodio del 1964: egli mette un’apparato positivo
cioè che ha sia le lezioni scelte a testo sia quelle rifiutate.

-poi sempre sul file (varianti ed errori) troviamo osservazioni anche di La Penna: che dice “io non
sarei a favore ne dell’uno ne dell’altro positivo o negativo, ma vorrei un apparato che si può
chiamare “misto”nel senso che viene messa la lezione positiva laddove sembra necessario
metterla per aiutare il lettore a comprendere ma non in tutti i casi, solo in quei casi particolari, più
difficili per la comprensione, quindi può capitare che venga messa sia la lezione scelta a testo sia
quella rifiutata, quindi per un piccolo segmento l’apparato diventa positivo ma non è sempre
positivo laddove soggettivamente lo studioso ritiene che non serve mette soltanto la lezione
positiva.

L’apparato accompagna tutte le edizioni critiche, un’edizione non si può chiamare critica se non
ha un’apparato o a piè di pagina o puo anche essere messo in fondo all’edizione.

Un esempio di variante d’autore si trova nella Vita Nova di Dante, XXXIV, dove vengono proposti due inizi. È
lo stesso Dante che propone una variante al suo stesso testo. Ci troviamo di fronte a due cominciamenti,
due varianti all’intento di un testo rivisto dall’autore; spesso le varianti non sono rese esplicite nel testo
dall’autore, ma vengono scoperte dopo all’interno di appunti o correzioni

Altra volta aggiunta: abbiamo visto le varianti formali, grafiche, alcuni tipi di errori. Invece all’inizio c’è una
variante d’autore che troviamo proprio nella vita nova di dante, lui mette nella vita nova prosa ma anche
poesie che lui commenta dal punto di vista strutturale. Qui ci fa vedere che propone due inizi:

Primo cominciamento

Era venuta ne la mente mia

La gentil donna che per suo valore

Fu posta da l’altissimo signore

Nel ciel de l’umiltade, ov’è Maria

Secondo cominciamento

Era venuta ne la mente mia

Quella donna gentil cui piange amore

Entro’n quel punto che lo suo valore

Vi trasse a riguardar quel ch’io facia

Lo stesso autore propone una variante di alcuni versi. Due cominciamenti quindi varianti d’autore
all’interno dello stesso testo rivisto dall’autore.

Spesso le varianti d’autore non sono rese esplicite all’interno dello stesso testo, cioè dopo alcuni anni
escono fuori. Qui abbiamo una variante all’interno della stessa opera.

Esempio apparato critico

Edizione Maffio Venier


Esempio di edizione, un’edizione molto semplice. Ha due testimoni siglati “BU,BAS” ed ha
un’apparato critico fatto sulla base di indicazioni dello studioso di questo scrittore Maffio Venier
del ‘500, è un petrarchista.

I testimoni sono due: BU,BAS;

La sigla: l’autore può metterla un po come vuole, qui mette “BU” perchè spesso si ricorre alla
sigla richiamando le iniziali della biblioteca (b per Bologna, u per università = quindi biblioteca
universitaria bu; però l’editore poteva mettere anche “a e b” cioè a in luogo di bu e mettere b in
luogo di as). La sigla può variare, non si è necessariamente tenuti a richiamare le iniziali della
biblioteca o del fondo che sono all’interno di ciò che viene dopo.

BU= indicazione della città “Bologna”, biblioteca universitaria ed indicare il codice 1288, il
secolo l’ha aggiunto la prof ma non è necessario che si indichi il secolo, l’anno all’interno della
denominazione del manoscritto.

Queste tre parti: città, biblioteca, posizione del codice all’intento della biblioteca—> costituiscono
quella che viene chiamata: segnatura (di segnatura si parla solo per i manoscritti).

BAS= è bassano del grappa (ancora più piccola probabilmente come biblioteca) è la biblioteca
civica, (richiama l’iniziale della biblioteca ma non è necessario che la sigla richiami il nome del
luogo e della biblioteca) e la posizione che occupa questo manoscritto: è più complessa dell’altra,
codice 29 .B. 8 questa è la posizione che occupa il manoscritto all’interno della biblioteca.

Poi abbiamo un’osservazione: testimoni tra loro indipendenti, le corruttele presenti in BU sono
spesso sanabili attraverso BAS. Cosa vuol dire tra loro indipendenti? Cioè discendono
indipendentemente dall’originale perduto, se avessero un’elemento in comune (cioè un’archetipo)
tra l’originale e loro stessi non sarebbero più indipendenti perché confluirebbero in base agli errori
comuni nell’archetipo, questo intermediario che si interpone tra l’originale e loro (spesso indicato
con x, omega) si interpone tra l’originale e le testimonianze viventi. Questi sono gli indipendenti,
non hanno archetipo alle spalle.

-le corruttele di BU sono spesso sanabili attraverso BAS: il codice BAS che è il più recente reca
delle lezioni più esatte, è meno corrotto (di solito si tende a pensare anche sulla linea dei filologi
come poliziano che il codice più antico rechi la lezione giusta)—> però c’è questa osservazione
che il codice più giovane, recente potrebbe aver avuto un modello che è più antico del codice
antico che noi possediamo e quindi ci potrebbe trasmettere le lezioni più antiche del
vetustissimus che noi abbiamo. Per questo forse un BAS conserva spesso lezioni più corrette,
mentre BU presenta degli errori.

Questo fenomeno del codice più recente che è più affidabile è formulato nei manuali come
“raecentiones non deteriores” cioè i codici più recenti non sono i peggiori, non è detto che siano i
peggiori, perché possono derivare da un esemplare più antico di quello che abbiamo che è
andato perduto.

Poi abbiamo una poesia e componimento di 4 strofe e sotto la linea lunga (nel file) si svolge
l’apparato critico:
Abbiamo lezioni che sono errori-varianti: vediamo subito il componimento al verso 4 (quando si
tratta di prosa si usa dividere il testo in paragrafi, paragrafarlo).

In passato, alcuni anni fa, sulla base della tradizione classica si usava dividere il testo in righe,
ogni cinque righe si metteva un numero a margine adesso si usa di più la paragrafatura.

-Su ognuna di queste lezioni dobbiamo fare un ragionamento ( ed anche all’esame vi viene
chiesto di spiegare è lezione, variante e perchè)

L’apparato è negativo perché le lezioni positive, cioè quelle scelte a testo, vengono sì trascritte
ma non recano in apparato le sigle dei testimoni.


Vediamo: carco BAS: per vedere se è errore o variante andiamo a leggere il testo:

-Intanto bisogna capire il contenuto di questo


O solitario, et a me grato monte,
componimento: il poeta parla con il monte, lui rivolge
lasso, quant'è conforme il nostro stato!
osservazioni ed anche dice di sentire se stesso simile
Tu sei d'alpestri boschi circondato,
con i problemi che ha il monte.

et io d'aspri pensier carca ho la fronte;


-Verso 4: et io d'aspri pensier carca ho la fronte;—> ed io

di aspri pensieri ho carica la fronte. Carco (carico) invece
tu solitario sei quanto può monte,
di Carca (carica). Se scelgo “carca”, il carca lo attribuisco
io difforme animal son diventato;
come aggettivo che concorda con fronte. Carca sarebbe
tu distilli acque chiare in ogni lato,
negativo perchè non è messo “BU” il manoscritto che la
et io col pianto ho già formato un fonte;
regga, fosse stato positivo l’apparato avremmo avuto
“carca” BU, poi alcuni spazi, battute e “carco” BAS. —>
tu d'Eolo senti il crudo empio furore,
quindi l’apparato è negativo perchè viene messa la
et io per sospirar nel mondo vivo;
lezione respinta.

tu percosso da Giove, et io d'Amore;


“Carca ho la fronte” ha un po più di senso “ed io ho la
fronte carica di aspri pensieri”; quindi sarebbe un’ errore
tu senza frondi, et io del cor son privo.
anche molto banale tra “a ed o” basta omettere una
In questo sol t'avanzo di dolore:
gambetta ed esce fuori che il copista non segue molto il
che tu insensibil se', io sensitivo.
senso ed è uscito “carco”. Quindi carco è da ritenere
errore che compare proprio in BAS che sarebbe il codice
più affidabile, quello che ha meno errori.

-Verso 5: tu più selvaggio sei è in BU, è ritenuto errore “ tu


solitario sei” > “tu più selvaggio sei” quanto più monte; è ipermetrico cioè ha una sillaba in più.
Bu poi ha “più monte “ cioè ha un’anticipazione del “più”, “più selvaggio sei quanto più monte”,
ora due “più” così ravvicinati con ipermetria guastano il testo per cui questo dI BU è un errore,
questa prima lezione di BU. Il 5 regge però anche un’altra lezione da prendere in
considerazione cioè può monte : (mette due punti perchè nessun testimone lo reca, non è che
lo renda positivo) ( o anche [ possiamo mettere) più monte in BU BAS ; la differenza sta ne
“può” e nel “più”, il “può monte” lo propone lo studioso perchè evidentemente “più monte” per
lui non suonava bene ed allora l’ha voluto correggere intervenendo attraverso un’ emendatio di
tipo ope ingenii ( in italiano chiamata attraverso una congettura) perchè entrambi i codici hanno
una lezione da respingere.

- Verso 6: io difforme animal son diventato;—> io sono diventato un’animale strano, senza forma
cioè nella mia solitudine. Abbiamo “difforme” che è scelto a testo ed un’altra lezione che è
diversa ma non è che non avrebbe senso ossia “deforme” in BU, deforme è un’altra forma della
parola, hanno lo stesso senso. Ora perchè lo studioso si è trovato difronte al problema di dover
scegliere tra le due? Non ha agito qui il fatto che BAS di solito sia più corretto e si è tuffato a
scegliere la lezione di BAS; ma ha osservato l’usus scribendi di Venier, il quale anche in altri
luoghi ha l’uso di scrivere questa parola ed anche altrove nelle sue opere e in questo sonetto
ricorre la forma “difforme” non “deforme”. Poi c’è un’altra osservazione che ha fatto Maffio
Venier che per la lingua, anzi soprattutto sulle espressioni che facevano parte di poesia seguiva
soprattutto Petrarca ed in Petrarca ricorre molto spesso l’aggettivo “difforme”; quindi con molta
probabilità la lezione da scegliere è “difforme” ma “deforme” non è un’errore rimane una
variante possibile. L’apparato non è positivo.

- Verso 7: tu distilli acque chiare in ogni lato. Qui abbiamo l’altra lezione di BU “fredd’acque stilli
tu per ogni lato” (volevo farvi notare una consuetudine di chi crea apparati critici: quando si ha
un verso intero da riportare per non appesantire l’apparato, invece di scrivere tutte le parole si
scrive solo la prima e l’ultima con i tre puntini in mezzo) tu…lato : siamo in un’apparato
negativo (non è seguito dalla sigla BAS) e l’altra lezione che sia come senso che come numero
di fila poteva andar bene “fredd’acque stilli tu per ogni lato” è rivolto al monte. Perchè sceglie la
prima lezione? Sceglie la prima per mantenere nella struttura della poesia l’alternanza tra “tu”
ed “io” quindi per mantenere questa alternanza nei versi 7-10-11 conserva la lezione che per
lui permette il mantenimento dell’alternanza tu ed io.

- Verso 14: c’è un’errore evidente e cioè “che tu…sensitivo” (che sta per poiché tu sei un
insensibile, io sensitivo) : insensibil sei tu, ch’io sensitivo non ha senso quindi è un errore
evidente di BU che va corretto con la lezione che invece è corretta in BAS poiché tu sei
insensibile io sono sensibile ì, un ‘essere umano, vivente.

Poi ho messo qui queste lezioni che sono chiamate Adiafore: le lezioni che sono equipollenti:
l’una vale come l’latra, estratte dall’apparato:

La scelta di Balduino si orienta in questo caso in BAS perchè di solito è il meno corrotto.

Esempio di una studiosa L. Cesarini Martinelli


Filologa scomparsa prematuramente, porta un’esempio per far capire cos’è la banalizzazione—>
è la scelta della lectio facilior rispetto alla difficilior, cioè un rendere più comune la parola,
presentarla nella forma più comune che tutti comprendono, più semplice.

Lei ha preso una poesia di montale ed offre una possibile


ricostruzione in base a banalizzazioni, per far capire quali
Poesia di montale:
sono le possibili banalizzazioni.

Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d'orto


-Meriggio per pomeriggio;

ascoltare fra i pruni e gli sterpi


-Frusci per fruscii;

schiocchi di merli, frusci di serpi


-Veccia potrebbe sembrare una parola dialettale
Nelle crepe del suolo o su la veccia
settentrionale (veneta) che vuol dire vecchia, ma in realtà
spiar le file di rosse formiche
è un termine agreste, indica una pianta leguminosa;

ch'ora si rompono e ora s' intrecciano


-Ha banalizzato lo spiar in spiaggia;

a sommo di minuscole biche

Osservare fra frondi il palpitare

lontano di scaglie di mare

Mentre si levano tremuli scricchi

di cicale dai calvi picchi.

Banalizzazioni

Pomeriggio pallido e assorto

presso un rovente muro d'orto

ascoltare fra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, fruscii di serpi

Nelle crepe del suolo o sulla vecchia

spiaggia le file di rosse formiche

ch'ora si rompono e ora s'intrecciano

al sommo di minuscole miche

Osservare tra le fronde il palpitare

lontano di scogli di mare

Mentre si levano tremuli scricchi

di cicale dai caldi picchi.

- Biche per covoni di paglia che viene banalizzato in miche;

- Frondi per fronde;

- Scaglie per scogli;

- Calvi per caldi.

Osservazione della Cesarini martinelli: Lo stile di Montale verrebbe qui tradito: egli ama in modo
particolare parole di origine agreste. Forme comuni nell'italiano del XX secolo sono usate da lui
continuamente. Per stile si intende la maniera del tutto specifica e personale con cui l'autore si
serve del linguaggio nella sua arte.

Edizione di Petrocchi:

inferno II 60
C’è questa famosa variante in cui si parla della fama di Virgilio:

"O anima cortese mantoana,

di cui la fama ancor nel mondo dura,

e durerà quanto 'I mondo lontana”

• La discussione è sul secondo “mondo” che è “mondo” moto e li ci sono varie teorie: chi
propende per “mondo” come Petrocchi, chi per “moto”, movimento.

• Moto non può essere la lectio difficilior perché essendo diffuso lo scambio tra d e t è più
probabile che modo (mondo) sia stato letto moto. Infatti è più facile che si verifichi il dileguo o il
non avvertimento del segno abbreviativo, piuttosto che la comparsa accidentale di
abbreviazione su mot(do). Un motivo a favore del passaggio di moto in mondo potrebbe essere
la presenza di mondo al verso precedente.

Edizione di Petrocchi sulla commedia di Dante:


La commedia secondo l’antica vulgata a cura di G.Petrocchi, introduzione 1966

Inferno I
Divisa in diverse sezioni:

1. nella prima troviamo quest’osservazione messa in parentesi quadra (perchè nella nota a
testo spiega che in quadra non ci sono parole di dante ma di copisti): [Incomincia la Comedia
di Dante Alleghieri di Fiorenza, ne la quale tratta de le pene e punimenti de' vizi e de' meriti e
premi de le virtù. Comincia il canto primo de la prima parte la quale si chiama Inferno, nel qual
l'auttore fa proemio a tutta l’opera.]—> questa è una notazione di inquadramento del canto e
dell’opera fatta da alcuni copisti che viene da lui messa in quadra per far capire che non è
dante a dire queste cose.

2. Nella seconda sezione abbiamo i versi:

Nel mezzo del cammin di nostra vita


mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
(È in caratteri un poco più grandi perchè è il testo).

3. Nella terza sezione, scritta in caratteri più piccoli, la terza sezione è cosiddetta: apparato
critico dove vengono registrate le varianti ed eventuali errori.

Vediamo qualcuna di queste varianti:

(l’edizione di Petrocchi non prende in considerazione tutti i codici della commedia, ma solo quelli
che risalgono a prima della vulgata del Boccaccio, Petrocchi si è fermato ai primi ventisette
manoscritti che precedono la cosiddetta vulgata del boccaccio)

• Verso 1: meggio Urb non è un errore, è una forma padana dialettale, conservata in un solo
testimone Urb (testimone mutilato autorevole); dil Mad invece di del è un errore molto banale
presente in mad; osserviamo questa lezione di cammin<o> invece di cammin , con la “o”
messa in parentesi aguzze presente in Eg, questo copista di Eg si è reso conto che l’eterno
cammino di nostra vita è un verso ipermetro (aveva una sillaba in più) e non va bene perchè di
solito dante rispettava il numero delle sillabe e quindi ha espunto la “o”. (Come lo indica questo
Petrocchi, nella pagina precedente da un elenco di abbreviazioni e mette alcuni segni ad
esempio: le parentesi aguzze (terzultima riga) vuol dire scrittura espunta o abrasa; di solito le
aguzze indicano integrazione e le quadre indicano espunzione; qui lui usa un criterio diverso
ossia che le quadre possono indicare una lacuna, lettere mancanti non espunzione. Questo per
dire che non solo con l’edizione Petrocchi ma con tutte le edizioni bisogna vedere in che modo
vengono usati questi segni convenzionali, non tutti li usano allo stesso modo), cammino Tz
questo copista ha lasciato la “o”testo ipermetro.

• Verso 2: ritrova Cha La (poi agg. -i) Si Vat, che potrebbe esserci come forma invece di ritrovai, si
usava nell’italiano antico; oscura Eg (rev scura, rev vuol dire revisore, è stato revisionato in
scura), nel codice La (idem), invece nel codice Fi il copista mette direttamente scura ma anche
in altri 7 manoscritti. Il timore era di creare un verso ipermetro.

Ora anche se andiamo avanti questo apparato si presenta come un’apparato negativo, pero se si
procede vediamo che in alcuni casi diventa misto ha anche la lezione scelta a testo seguita dai
testimoni.

4. Nella quarta sezione, abbiamo una sorta di apparato di commento dentro il quale possono
essere anche comunicate fonti implicite, possono essere inserite in questa sezione di
commento.

Lui inizia dicendo che: il che: congiunzione causale ‘poiché’ vuol dire; non modale che, ‘talmente
che’’nel modo che’ ‘nella condizione di chi’ (come in Pagliaro nuovi saggi 256; più diffusamente in
altri saggi 197-199; poi nel commento di Chimenz).Si respinge il valore causale ritenendo che
soltanto dal v. 10 il poeta spieghi la causa del suo smarrimento: e invece ché consente subito
secondo Petrocchi , in forma di compendio e di piana presentazione nell'esordio gravido
d'allegorismo e di riferimenti morali (tutt'altro che banalmente, come pensa il Pagliaro), di indicare
la causa del viaggio, e quindi l'evento motore dell'itinerario dantesco nei regni dell'oltretomba.
Altrove peraltro (ad es. Inf. VIII 64; vIlI III; XII 7, cfr. anche xxv 16) la soluzione presentata dal
Pagliaro mi sembra accettabile.

Variante tarda ed erronea avia smarrita: Florio, Cass.,Ol. ecc. (Ricc. 1029 in che).

Andando avanti troviamo la famosa lezione mondo/moto


"O anima cortese mantoana,

di cui la fama ancor nel mondo dura,

e durerà quanto 'I mondo lontana”

Nel verso 60: se guardiamo l’apparato, (apparte motto che è nel codice Ash ed è un banale errore
per moto) noi troviamo la lezione moto , e la troviamo in molti codici anche in quelli importanti:Cha
Eg Fi La Lau Lo Mart Parm Pr ecc..

Come giustifica Petrocchi la scelta di mondo invece che moto?—> questo è un caso di lezione
adiafora come quelle che aveva presentato la Cesarini martinelli.

Per la scelta di mondo in luogo di moto vedi. Introduzio-ne (messa nella pagina a seguire nel file)
I66 s.; conforta l'adozione la presenza di mondo nel testimone principale della famiglia beta. Non
sembra plausibile l'attribuzione di lectio dificilior a moto, giacché, ritenendosi assai diffuso lo
scambio tra t e d, specie nel corpo della parola, è più probabile che un modo (scritto con il trattino
sulla o) sia stato letto moto, che viceversa. Il calcolo delle probabilità in genere favorisce il dileguo
o il non avvertimento del segno d'abbrevia-tura, piuttosto che la comparsa accidentale o
l'aggiunta arbitraria del trattino sopra la vocale;

Quindi il ragionamento che fa lui è che un mondo sia stato scritto modo con il trattino sulla “o”che
indica la nasale e che il modo dato lo scambio frequente tra t e d (che il copista era solito
tralasciare anziché aggiungere) si trovava modo e che poi lo abbia corretto in moto, quindi per lui
moto è una variante. (La ripetizione di termini vicini era ammessa in dante).

A seguire vi è la pagina tratta dall’introduzione di Petrocchi

È importante il fatto che viene considerato: << mobilitate viget>> che è tra parentesi (eneide IV
175), in questo verso dell’eneide parlando proprio della fama si dice che ha valore della mobilitas,
del movimento e questo è un motivo abbastanza importante per cui si può pensare che dante
frequentando tanto Virgilio avesse presente questo verso e influenzato da mobilitas per la fama di
Virgilio in particolare abbia scelto moto, che è la mobilitas, il movimento; quindi la fonte di Virgilio
potrebbe aver influenzato la scelta di moto. Poi c’è la posizione di Foscolo che non è chiara,
pagliaro che è lo studioso a cui fa riferimento spesosi petrocchi sembra essere più favorevole a
moto e Petrocchi contesta questo moto a favore del mondo. Questo verso ha dato adito a tante
discussioni.

(Qui vi ho voluto sottolineare come nella sezione commento la quarta gia ricompare questa
discussione, come lui riporta notizie sulla discussione di questo passo).

• Non tutte le edizioni critiche soprattutto alcune uscite anni fa avevano il principio di non
dividere in sezioni di commento, il commento veniva messo alla fine ma davano
semplicemente tutto il testo subito. L’edizione di Petrocchi ha aderito molto a diffondere la
sezione di commento.

Pdf il manoscritto e la scrittura


L’editore critico nell’introduzione alla sua edizione critica deve riportare la descrizione del
manoscritto o dei testimoni che vengono utilizzati.

DESCRIZIONE ESTERNA

• Segnatura: es.: Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, Banco Rari 240 (cioè il fondo). Dalla segnatura

si estrae di norma una sigla con la quale il manoscritto, nel corso dell'edizione critica, sarà

sempre citato.

• Materia scrittoria: se il manoscritto è membranaceo o cartaceo.

• Età: es.: 1369 / Metà del xv sec. / 1510 ca. / xiv sec. in [eunte], ex[eunte), cioè attribuibile agli
anni iniziali o finali del secolo.

• Dimensioni: espressa in millimetri, altezza x larghezza. Es.: mm 270 X 215.

• Legatura: se antica o moderna, si nota ad occhio; il materiale di cui è fatta, pergamena, cuoio, 

cartone, legno ecc.; la presenza eventuale di fregi, fermagli ecc.

• Numero delle carte: es.: come 72 numerate + 2 bianche oppure non possono avere numero

• Costituzione dei fascicoli: ad esempio i fascicoli sono tutti duerni (due fogli piegati), tranne il 

primo che è terno (tre fogli piegati). Ogni fascicolo è composto da un certo numero di fogli 

ripiegati, ogni foglio ha un retto e un verso.

• Disposizione della scrittura per carta: si dà notizia della presenza eventuale di testo in colonna, 

del numero delle linee di scrittura per carta, eventualmente della rigatura a secco o con il 

pennino (segno che aiuta a scrivere in modo regolare) ecc.

• Tipo di scrittura: mercantesca, cancelleresca, semigotica; un'unica mano, mani diverse.

• Ornamentazione: segnalazione di eventuali rubriche, miniature, iniziali, segni di paragrafo ecc.

• Storia del manoscritto: segnalazione di eventuali note di possesso, aggiunte, inter-polazioni, 



correzioni successive, notizie esterne ecc.

DESCRIZIONE INTERNA
• Autore: es. Dante Alighieri.

• Titolo dell'opera o delle opere: Vita Nuova.

• Contenuto: si può dare se necessario l'incipit e l'explicit, la distribuzioni delle parti o dei capitoli
nelle carte, i capoversi nel caso di antologie di rime ecc.

• Notizie bibliografiche: vengono indicati coloro che hanno parlato e hanno studiato il
manoscritto.


19.10.22 - pdf Il manoscritto e la scrittura
Lo studioso all’inizio della sua edizione critica deve inserire la descrizione dei testimoni su cui si è
basato, sia se sono manoscritti sia che sono stampe.
ESEMPIO di descrizione
Segnatura: Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, Landau Finaly, 64
Contenuto: è un codice miscellaneo, cioè comprende opere di più autori. S. Bernardino da Siena,
Trattato della confessione «Renovamini»; S. Antonino, Confessionale «Omnis mortalium cura»;
Nicolaus de Auximo, Quadriga spirituale.
Datazione: Sec. XV (1451, carta 78v); Origine: Toscana; Materiale: Membranaceo; Dimensioni
del manoscritto chiuso: mm 160 x u115; Numero carte e distinzione fascicoli: cc. I, 175, I (i
numeri romani indicano le carte di guardia, cioè le carte che precedono e concludono il
manoscritto, servono a proteggerlo) anticamente numerate a penna nell'angolo superiore destro;
fascicoli 17 (i fascicoli sono formati da fogli piegati e cuciti tra loro, anticamente venivano indicati
con le lettere dell’alfabeto) con richiami posti a metà del margine inferiore (quando finiva un
fascicolo veniva richiamata l’ultima parola di questo nel fascicolo successivo): I-VII (cc. 1-70)
quinterni, cioè fascicoli composti da cinque fogli piegati, VIII (cc. 71-82) sesterno, IX-XIII (cc.
83-132) quinterni, XIV (cc. 133-145) setterno a cui è stata tagliata la carta tredicesima senza lacuna
nel testo, XV-XVII (cc. 146-175) quinterni (non è indispensabile dare la descrizione dei fascicoli dei
manoscritti nelle edizioni critiche, pochi studiosi lo fanno); Rigatura: a inchiostro (riga che aiuta
colui che copia, può essere realizzata a inchiostro o a secco, cioè incisa); Linee: 35/37, cioè
numero di ride in una pagina; Specchio di scrittura: mm 115/120 x 80/85, ovvero la parte della
pagina occupata dalla scrittura; Tipo di scrittura: bastarda in massima parte di mano di frate
Angelo dei Minori (c. 33r); Inchiostro: nero (in base al colore dell’inchiostro si può ricostruire la
cronologia del manoscritto); rubriche anche in margine (di solito le rubriche o i titoli dei paragrafi
venivano scritte in rosso o in altri colori); lettere iniziali e segni paragrafali rubricati, in rosso la
tavola a cc. 78-81v; tocchi di minio nelle maiuscole in funzione paragrafale; titolo corrente.
Legatura: sec. XX, posteriore al 1934, lo si deduce grazie allo studioso Pacetti (la legatura può
cambiare nel tempo, viene rifatta più volte), in assi e dorso in pelle marrone (la legatura può
essere di pelle, ma anche di cartone e di legno); Stato di conservazione: buono, leggere macchie
ad alcune carte, caduta di inchiostro a molte cc., il codice è stato rifilato (quando i bordi dei fogli
erano rovinanti veniva ritagliata una piccola parte del lato lungo e del lato corto della base,
spesso però nella rifilatura vengono tagliate lettere o parole).
Note di possesso: [I manoscritti Landau Finaly della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
Catalogo di G. Lazzi e M. Rolib Scarlino, Giunta regionale toscana - Editrice Bibliogra-fica, Milano
1994, pp. 151-2.], (la bibliografia reca i nomi di coloro che hanno parlato di tale manoscritto, sia
antichi che moderni).

SECONDO ESEMPIO di descrizione: è più discorsivo del precedente, più sintetico


Parma, Bibl. Palatina, Palatino 19.
Cartaceo, sec. XV (1468), mm 290 X 195, cc. 92 numerate anticamente sul margine superiore a
destra, più 8 cc. non numerate, bianche; un foglio di guardia in principio e uno in fine. Sul verso
del foglio di guardia anteriore, di mano del sec. XVIII: «N° 155» è l'indicazione sommaria del
contenuto e l'annotazione che il codice «fu di Pier del Nero» (nota di possesso); alla c. 81v, della
stessa mano del resto (è importante identificare se il codice è stato scritto da una sola mano o da
più mani): «finis deo gracias / per an-drea demedici nelle stinche adi p(r)imo dottobre (l’articolo
veniva scritto attaccato alla parola successiva, senza apostrofo) Mcccc°Lxiij (incoerenza riguardo al
periodo, qui c’è scritto anno 1463 mentre all’inizio troviamo 1468)».
Scrittura umanistica a due colonne e 36 righe per colonna; rigatura molto visibile.
L'iniziale di c. 2r è miniata e un fregio orna il margine superiore e quello sinistro; sul margine
inferiore uno stemma sorretto da due figure. Le altre iniziali sono ornate con disegni a penna.
Un errore nella legatura ha spostato alcune carte, che vanno riordinate come segue: 52, 54, 53,
55; 56, 58, 57, 59 (chi allestisce i fascicoli può sbagliare e inserire le carte in modo errato,
producendo incomprensioni nella lettura del testo); una mano tarda ha corretto poi i numeri come
se le carte si succedessero regolarmente.
Legature in cartone ricoperto, di colore marrone con fregi in oro. Sul dorso: «Dante / Il Convivio /
Dati / La sfera / Cod. / del sec. / xv (la barra significa a capo)». Contiene: 17-81v Convivio;
821-83v Volgarizzamento di un'e-pistola di San Bernardo; 844-92v La Sfera di Goro Dati.
[Dante Alighieri, Convivio, a cura di F. Brambilla Ageno, 1. Introduzione, Casa Editrice Le Lettere,
Firenze 1995, pp. 25-26.]

TERZO ESEMPIO di descrizione - Codice 1087


È tratto da un codice della Biblioteca Riccardiana di Firenze.
Cartaceo, Secolo XV, mm. 280 X 200. Carte 100: bianche le cc. 77, 78 e l'ultima; le altre
contengono circa 48 righe per faccia. Dalla rubrica che riportiamo qui sotto al num. IV si dovrebbe
concludere che tutto il cod. fu scritto da Piero di Antonio da Padova, ma bisogna avvertire che
codesta didascalia non pare della stessa mano che vergò il resto.
Legatura in pelle.
• Francesco Petrarca, DUE CANZONI E QUINDICI SONETTI (2a e 3b, cioè scritti dal foglio 2 retto
al 3 verso). Adespato (non ha l’indicazione dell’autore), anepigrafo (non ha il titolo),
corrispondono nell'ordine del Canzoniere autografo ai nn. 50, 129, 364,357,342, 327, 328,
333-36, 339, 341, 344, 221, 222, 227.
• UNA BALLATA E DUE SONETTI (1a, 20b, 4a). Adespato, anepigrafo. La ballata è fra le rime del
Petrarca, e più precisamente dopo la canzone 129.
1. Io moro in mare sentendo l'onde movere (1°). S.
2. Se ttu pensassi al torto che mi fai (2°), B.
3. Fior di virtù si è gientil choraggio (4°). S.
• Dante Alighieri, RIME. (446). Adespoto, anepigrafo.
Contiene: 1. Ciò che m'inchontra; 2. Amore e '| chor gientile; 3. Tutti li mie' pensier; 4. Negli
occhi porta; 5. Duo donne; 6. Quantunche volte, lasso; 7. O voi che per la via; 8. Morte villana;
9. Piangiete amanti, 10. Spesse fiate.
• Domenico da Monticchiello, VERSIONE POETICA DELLE EPISTOLE DI OVIDIO (5a-76b).
“Incominciano le pistole del poeta Ovidio, volgarizzate per lo savio et discreto homo Piero di
Antonio da Padoa (ha scritto solo le epistole o tutto il manoscritto? Ad un esame approfondito
però le mani sembrano due diverse), di cui mano sarà tutto questo libro scripto”: ma questa
dichiarazione non si può riferire che all'opera del copista.
La parafrasi poetica (cioè la traduzione) comincia dalla Il ottava dell'introduzione: «Se volete
chonprender chon effetto», e finisce, perché la copia non venne compiuta, con l'ott. xxxii
dell'Epistola di Ero e Leandro: «E d'Altiona si sprendente chosa».
• Francesco Petrarca, I TRIONFI (85a-99b; 79a-84b): questa trasposizione, inversioni delle carte è
originale, e fu avvertita già dallo stesso copista. “Questi sono i XIII Trionfi di messere Francesco
Petrarcha fiorentino e poeta”. I tredici capitoli si seguono in quest'ordine (teniamo a confronto
l'ediz. di C. Pasqualigo, Venezia, 1874): VII, VIII, IV, I-III, V, VI, IX-XIII; il cap. V è secondo la
redazione in 33 terzine, che fin.: «e d'ongni suo baldanza ingnudo e scarco».
SPIEGAZIONE
La prima indicazione riguarda la consistenza materiale del codice, che è cartaceo, ha certe misure
(altezza per larghezza), un certo spessore (cento carte, ciascuna delle quali, tranne tre bianche,
contiene 48 righe di scrittura sia sul recto che sul verso), ed è, in mancanza di indicazioni
contrarie, integro. Si noti (a parte l'uso di a e di b per recto e verso) che i componimenti della
prima e terza sezione sono forniti di una attribuzione ad opera del Morpurgo; nel ms. i testi di
Petrarca e di Dante sono infatti adespati (cioè senza il nome dell'autore) e anepigrafi (senza titolo).
Tali restano invece la ballata e i due sonetti di Il, come è normale in un catalogo di manoscritti
quando l'accertamento non si possa eseguire con rapida ricerca tramite i più comuni strumenti di
consultazione (non è facile in questi casi scoprire l’identità dell’autore).
Con analoghi criteri, anzi talvolta più stringati, è condotta anche l'imponente serie degli Inventari
dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia (in sigla: IMBI); iniziata nel 1890 da Giuseppe Mazzatinti (e
peticiò citata spesso come «il Mazzatinti»), è arrivata nel 2013 al vol. 116.[…]

DEFINIZIONI - FASCICOLAZIONE
- Bifolio o bifoglio è un foglio con misura standard piegato in due (1 recto, 1 verso, 2 recto, 2
verso);
- Duerno, terno o ternione, quaderno o quaternione, quinterno o quinione, etc... in base al
numero di bifogli che contengono-
Nella stampe si usano termini diversi:
- infolio: foglio piegato in due (cm 44x28 ca)
- in quarto: piegato in quattro, il foglio è diviso in quattro parti (cm 28x22 ca)
- in ottavo: piegato in otto (cm 22x14 ca)
- in sedicesimo: piegato in sedici (cm 14x11 ca)

I fogli, pergamenacei o cartacei, vengon piegati a metà e inseriti l'uno nell'altro


- bifolio (4 facciate)
- duerno, due piegature, 4 carte, 8 facciate
- ternione, tre piegature, 8 carte, 16 facciate
- quaternione o quaterno, quattro piegature, 16 carte, 32 facc.
- quinterno, cinque piegature, 32 carte, 64 facciate
- sesterno, sei piegature, 64 carte, 128 facciate

Pdf Dal manoscritto alla stampa


È avvenuto a fine ‘400, in Italia negli anni ’60. Inizialmente, come nota anche Petrocci, il libro, o
meglio le prime stampe erano molto simili al manoscritto.
Il libro a stampa non ha sostituito il manoscritto (il manoscritto ha avuto una grandiosa importanza
per secoli quindi non poteva scomparire), ma gli si è affiancato, convivevano, al punto che è
frequente, ancora alla fine del Quattrocento, il caso di manoscritti copiati da stampe e queste
ultime sono spesso oggetto di aristocratico disdegno. Come racconta, con qualche esagerazione,
Vespasiano da Bisticci, tale era l'atteggiamento di Federico da Montefeltro nella cui libreria «i libri
tutti sono belli in superlativo grado, tutti iscritti a penna e non ve n'è ignuno a stampa, ché se ne
sarebe vergognato, tutti miniati elegantissimamente, e non v'è ignuno che non sia iscritto in
cavretto».
Si chiamano incunaboli i libri stampati entro il 1500 compreso, il termine deriva dal latina
incurabula, -orum «fasce dei neonati» e quindi «infanzia, principio, origine».
In Italia la stampa era stata introdotta, poco dopo il 1460 a Subiaco, dai tedeschi Conrad
Sweynheym e Arnold Pannartz, la prima opera datata che si conservi è stata il De Oratore di
Cicerone (1465). Solo a partire dal 1470 la stampa inizia la conquista della letteratura volgare e
del suo pubblico. Il volgare stenta ad affermarsi fino al ‘500, molto importante è stato il lavoro di
Bembo. Un altro tedesco, Vindelino da Spira, fa uscire a Venezia il Canzoniere petrarchesco.
Aldo Manunzio, uno dei più importanti tipografi del Cinquecento, aveva la sua tipografia proprio
a Venezia. È stato artefice, a partire dal 1501, di una collana di testi latini e volgari (Virgilio, Dante,
Petrarca) sgombri d'ogni commento e per ciò stesso di piccolo formato, enchiridia (dal greco «che
si tiene in mano»), godibili senza bisogno di un leggio, dovunque, anche camminando. Nuova era
la scrittura, quel corsivo aldino, ispirato a rari e raffinati codicetti umanistici, che manteneva,
nonostante il procedimento meccanico, una stretta affinità con la scrittura corsiva manuale,
legamenti compresi. Si osservi infatti la grande somiglianza tra questo esempio di scrittura
dell'amanuense Bartolomeo Sanvito (che probabilmente fu proprio il modello di Aldo Manuzio) in
un codice contenente le Satire di Giovenale.
—> Le prime stampe avevano una grande somiglianza con i manoscritti della stessa epoca, anche
dal punto di vista della scrittura: il cosiddetto corsivo aldino ad esempio riproduceva la scrittura
dei copisti, riprende gli stessi legamenti.
Anche le stampe popolari, in volgare, furono fondamentali: si tratta di libri dal formato molto
piccolo che potevano essere portate nelle bisacce dai sacerdoti, dai mercanti, dai girovaghi ecc.
Erano molto economici, prodotti quindi in carta. Erano molto diffuse in centri, quali Venezia e
Firenze, tant’è vero che le rispettive biblioteche di queste città sono molto ricche di queste
stampe per le quali sono stati pubblicati anche cataloghi specifici.
Questo filone è composto solo da testi in volgare, in dialetti diversi, e meritano una particolare
attenzione dal punto di vista fisiologico per lo studio dello sviluppo della lingua. I temi trattati
erano molto leggere, come i contrasti. Erano libri che dovevano dilettare.

Non è detto che una stampa sia meno importante di un manoscritto solo perché più recente, allo
stesso tempo non è detto che la stampa abbia un testo più corrotto perché può dipendere da un
modello più antico di quelli che abbiamo, e quindi tramandare una versione del testo più antica.
La prima stampa di un’opera è chiamata editio princeps, soprattutto queste prime edizioni
riproducono manoscritti antichi che non si sono conservati. La prima stampa fonda la Vulgata del
testo, cioè la versione più diffusa e corrente di un testo.
Il filologo editore incontra alcuni problemi quando ha a che fare con le stampe, problemi che
vengono studiati da specialisti della bibliografia testuale (nasce con lo studio dei testi di
Shakespeare):
- intervento conscio o inconscio dei tipografi, che a volte tradivano l’originalità del testo per
adattare alcune parole alla lingua più comune, a volte si tratta invece di correzioni inserite
direttamente dall’autore. Quindi per lo studioso è difficile stabilire ciò che deve essere
attribuito alla manomissione dell’editore e quali sono invece le varianti dall’autore;
- cambiamento del frontespizio, i tipografi spesso lo cambiavano per inserire uno che potesse
attirare maggiori lettori, compratori (il libro a stampa con un fronte spazio nuovo si chiama
emissione) e quindi vendere con maggiore facilità.
Un’edizione critica svolta solo su stampe deve accertare se in diversi esemplari ci siano parole
differenti, bisogna tenere presente che ogni tiratura produceva decine e decine di esemplari che
in teoria dovrebbero essere tutti confrontati.
Varianti di stato: esemplari a stampa che contengono correzioni apportate dall’autore.
Lo studio sistematico dei libri a stampa ha avuto successo tra gli studiosi anglosassoni, la filologia
dei testi a stampa nasce proprio in Inghilterra. Uno dei più importanti studiosi, autore di Saggi di
bibliografia testuale, è stato Conor Fahy, molto noto nel campo della bibliografia testuale.
Importante è anche lo studio per i problemi di testi volgari a stampa della Brambilla, Edizione
critica di testi volgari.
La filigrana è un disegno impresso in alcuni fogli di carta, realizzato con un filo di metallo, ed ogni
cartiera aveva la propria filigrana che la rappresentava (manuale Briquet, contiene l’elenco in
ordine alfabetico di tutte queste filigrane > è presente in ogni Biblioteca di conservazione).
La descrizione delle stampe è leggermente diversa da quella dei manoscritti.

Rapporto tra manoscritto e stampa rispetto alla società


La produzione di manoscritti era libera e mal controllabile, ogni manoscritto era un esemplare
unico. La stampa invece era più controllabile dalla censura, e soggetta al controllo del potere
politico e religioso. La stampa aveva bisogno di ampi locali dove aprire le tipografie, di
macchinari costosi e attrezzatura varia. In realtà anche una bottega di copisti era una attività
dispendiosa.
Molti libri a stampa di autori importanti furono soggetti alle critiche della censura, come
Boccaccio (alcuni passi del Decameron considerati immorali o oscuri furono corretti), ma anche
Leopardi (nelle Operette morali il passo “non rimane altro che il ferro” fu criticato perché istigava
al suicidio, e quindi venne modificato dall’autore in “non rimane altro che il pianto”).
Il meccanismo di produzione e di mercato della stampa portò ad un processo di selezione e
standardizzazione della lingua, si cercò di uniformare la lingua a discapito delle forme dialettali e
questo accadde soprattutto nel ‘500 dopo le Prose di Bembo.
Molti editori modificano i testi riconducendo alcune parole a forme più comuni. Talvolta si tratta
soltanto di una revisione di superficie che riguarda le maiuscole, gli a capo, qualche segno di
interpunzione; spesso però l'intervento è più incisivo e comporta un adeguamento linguistico, di
solito al toscano letterario, i cui modi e tempi sono testimoniati proprio da quelle edizioni,
altrimenti poco interessanti”. Questi cambiamenti però tradiscono la vera lingua dell’autore, sono
quindi documenti inaffidabili per la ricostruzione del testo originario, ma comunque importanti
perché attestano l’affermarsi di una lingua unitaria.

Sono stati pubblicati cataloghi generali dei libri a stampa di poche e ben organizzate biblioteche
che aiutano nella ricerca nel campo delle stampe, come il “Breve catalogo per titoli dei libri
stampati”, il “Catalogo complessivo delle stampe in culla”.
Molto importante è il ISTC (Incunabula Short Title Catalogue) cui si accede all'indirizzo http://
www.bl.uk/ catalogues/istc/index.html/. È ormai completo anche di un sesto volume di aggiunte,
correzioni e indici, l'Indice Generale degli Incunaboli delle Biblioteche d'Italia, Roma, Ist. Poligr.
dello Stato, 1943-81, 6 voll. (citabile con l’acronimo IGI).
25.10.22
Pdf Esempi di edizioni critiche - Meravigliosamente di Giacomo da Lentini
Canzonetta di Giacomo da Lentini, uno dei capi della scuola siciliana, formata
da sette stanze di nove versi settenari ciascuna, con schema della rima
ABCABCDDC (l'ultima funge da congedo). Le stanze 1-2 e 4-5 sono capfinidas
(porto / porti; guardo a voi / guardo 'nver voi).
Le rime siciliane sono ai vv. 3-6-9 (-ora/-ura), 10-13 (-orti/-orte), 30-33-36
(-uso/-oso), 48-51-54 (-ete/-ite).
—> Testimoni: Vaticano Latino 3793, Laurenziano 9,58 (V e L hanno un
antigrafo in comune, y, che deriva dall’archetipo X, copia dell’originale O),
Palatino 217.
Esistono errori comuni a tutti i testimoni, errori che hanno permesso l’ipotesi
dell’esistenza di un archetipo X.
Meravigliosamente e non pò stare incluso. 33
un amor mi distringe Similemente eo ardo,
e soven ad ogn’ora. 3 quando passo, e non guardo
Com'om che tene mente a voi, viso amoroso. 36
in altro exemplo, e pinge S'eo guardo, quando passo,
la simile pintura, 6 inver' voi, no mi giro,
cosí, bella, facc'eo, bella, per risguardare. 39
che 'nfra lo core meo Andando, ad ogni passo
porto la tua figura. 9 getto uno gran sospiro
In cor par ch'eo vi porti che facemi ancosciare. 42
pinta como parete, E certo bene ancoscio,
e non pare di fore. 12 ch'a pena mi conoscio,
O Deo, co' mi par forte! tanto bella mi pare. 45
Non so se lo sapete Assai v'aggio laudato,
con’ v’amo di bon core. 15 madonna, in tutte parti
Ch’eo son sí vergognoso, di bellezze ch’avete. 48
ca pur vi guardo ascoso Non so se v'è contato
e non vi mostro amore. 18 ch'eo lo faccia per arti,
Avendo gran disio, che voi pur v’ascondete. 51
dipinsi una pintura, Sacciatelo per singa,
bella, voi simigliante, 21 zo ch'eo no dico a linga,
e quando voi non vio, quando voi mi vedrite. 54
guardo in quella figura Canzonetta novella,
e par ch'eo v'aggia avante: 24 va canta nova cosa,
como quello che crede lavati da maitino 57
salvarsi per sua fede, davanti a la piú bella,
ancor non veggia inante. 27 fiore d'ogni amorosa,
Al cor m'arde una doglia, bionda piú ch'auro fino: 60
com'om che ten lo foco «Lo vostro amot, ch'è caro,
a lo suo seno ascoso, 30 donatelo al Notaro
e quando piú lo 'nvoglia, ch'è nato da Lentino». 63
allora arde più loco

Parafrasi
Un amore mi stringe e mi tiene in modo meraviglioso ogni momento. Come uno che osserva un
esempio e dipinge una pittura simile ad esso, così, bella, faccio anch'io che porto la tua figura
dipinta nel mio cuore.
Sembra che io vi porti nel cuore, dipinta così come apparite, e la cosa non traspare all'esterno
[non lo do a vedere]. O Dio, come mi sembra duro [da sopportare]. Non so se sapete come vi
amo lealmente; infatti io mio vergogno a tal punto che vi guardo sempre di nascosto e non vi
dimostro io mio amore.
Avendo un grande desiderio ho dipinto un quadro, bella, che somiglia a voi, e quando non vi
vedo guardo in quella figura e sembra che vi abbia davanti: proprio come colui che crede di
salvarsi per la sua fede, anche se non vede nulla di fronte a sé.
Nel cuore mi arde un dolore come uno che tiene il fuoco nascosto nel suo petto, e quanto più lo
soffoca tanto più forte esso lì arde e non può stare racchiuso: io ardo in modo simile quando
passo [per strada] e non guardo verso di voi, viso che ispirate l'amore.
Se quando passo guardo verso di voi, bella, non mi giro per guardarvi di nuovo. Mentre
cammino, ad ogni passo getto un gran sospiro che mi fa angosciare; e certo mi angoscio a tal
punto che mi riconosco a malapena [sono stravolto], tanto bella tu mi appari.
O mia signora, vi ho molto lodato in tutti gli aspetti della vostra bellezza. Non so se vi hanno
raccontato che io lo faccio ad arte [in modo fittizio], dato che vi nascondete sempre. Sappiatelo
attraverso i miei gesti quello che non dico a parole, quando voi mi vedrete.
O canzonetta appena composta, va' a cantare una cosa nuova; alzati al mattino presto [e
presentati] davanti alla donna più bella, fiore di ogni donna amante, più bionda dell'oro zecchino
[e dille]: «Il vostro amore, che è cosa preziosa, donatelo al Notaio [Giacomo] che è nato a
Lentini».

Apparato critico
L’apparato è negativo perché riporta solo le varianti rifiutate.
v.2 distringne V., forma esistente, con inversione di -ng; noi abbiamo distringe scelto a testo.
I motivi sono due: innanzitutto bisognava rispettare la rima con il verso 5, e poi perché L, ramo
esterno rispetto a y, contiene la stessa lezione.
v.3 esovenemi V, emi tene P, sono entrambe lezioni possibili; è stata scelta e soven, cioè la lezione
di L, sia perché ha l’appoggio di V sia perché rispetta il numero corretto di sillabe.
v.4 comomo chetene V, Comomo cheten L, Komom ke pone P., la lezione a testo nasce da una
congettura che si basa sulla vicinanza tra V e L.
v.5 inaltra parte VL, è una lezione banale rispetto alla lezione di P, poiché è più probabile la
caduta di una lettera che la sua casuale aggiunta; omissione di e P.,
v.6 pintora L. v.8 che 'nfra lo], queste sono le parole scelte a testo, non hanno però
l’indicazione del testimone che le reca, quindi non è un apparato positivo, viene scelta questa
lezione perché più complessa rispetto alle due rifiutate più semplici, dentro alo V, dentra lo L.
I versi 26 e 27 sono ripresi dal Vangelo di Giovanni 20.29
v.25 sicomomo chesi crede V Sicomom chessicrede L., la versione presa a testo deriva dal codice
P. La lezione è stata ricostruita grazie ad un testimone esterno, una poesia di Rinaldo d’Aquino
(“In un gravoso affanno”), in cui i versi 35-36 costituiscono una citazione di Giacomo da Lentini. Si
è attinto quindi all’usus scribendi non dell’autore in sé, ma di altri autori del tempo.
v.26 salvare L. v.27 nona davante V, nonuadauante L. P presenta la disposizione 37-45, 28-36;
la lezione scelta a testo deriva da V, scelta sulla base del testo di Giovanni che usa il verbo vedere.
v.28 Al cor] Cosí V, marduna L. v.20 comomo chetene lo V, comom che tene il L.
v.30 indelsuo seno P. v.31 chequanto V, E quanto L., a testo viene scelta la lezione di P.
v.32 tanto prende pio loco L, piu in loco P., nella versione scelta a testo più loco, loco ha una
funziona avverbiale, caratteristica della poesia meridionale; nelle versioni respinte loco è
sostantivo.
v.33 stare inchiuso V star rinchiozo L. v.34 eo] j/o] svanito V om. L. v.35 passe non L.
v.36 uizamoroso L. V presenta l'inversione 46-54, 37-45.
v.37 Seuoi siete quando V (verso che creerebbe ipermetria), sicolpo quando L.: sia L che V
cercano di integrare una lacuna, ma lo hanno fatto in modo errato.
La disposizione delle stanze che cominciano Al cor m'arde una doglia (quarta del nostro testo, vv.
28-36) e S'eo guardo, quando passo (quinta del nostro testo, vv. 37-45) è invertita in P,
indubbiamente esatta in L, come dimostra (non secondo L, e neppure secondo V, ma secondo lo
stesso P) il richiamo dei verbi passare e guardare dalla fine dell'una al principio dell'altra stanza.
Per la stessa ragione è da considerare alterato l'ordine delle stanze in V, che inverte la quinta (vv.
37-45) e la sesta (vv. 46-54).
v.41 gittone uno sospiro V, sigitto uno sospiro L., sia -ne che -si sono due integrazioni sostituite
con getto uno gran.
—> L’apparato ci fa capire che esiste una parentela più stretta tra V e L, rispetto a P, errori
che hanno fatto ipotizzare l’antigrafo y comune a V e L, distinto da P che ha errori separativi
cioè che lo distinguono dalla famiglia y. Quando y e P divergono il testo di X è incerto, quindi
la scelta tra i due codici, o meglio tra varianti dette adiafore è soggettiva o viene fatta
attraverso dei criteri interi (lectio deficilior, usus scribendi, testimoni esterni, ovvero opere di
contemporanei che usano le stesse parole ed espressioni).
v.42 che mi facie ancosciare V, chemifaciangosciare L o facemi angosciare P., viene preferita a
testa la forma desonorizzata con la c;
v.43 angoscio L, ben cognosco P.
Al verso 43 P commette un errore di anticipo, sostituendo ad angoscio (ancoscio) il verbo con cui
termina il v. 44; e da conoscio, che è certo la forma esatta di 44, in rima con ancoscio di 43, si
passa a cognosco nell'uno e nell'altro verso.
v.44 mi cognosco P. v.45 tanto forte mi L., viene scelta la lezione di P, sia per accordo con un
testimone esterno, sia perché pare è forma non siciliana, e neppure fiorentina, ma è una forma
senese, che forse già l'archetipo X aveva introdotto per conservare la rima con gli infiniti, che
avevano -are invece di -ari nel travestimento toscano.
v.48 le bellezze P., mettere tale lezione come complemento oggetto sembrerebbe una forzatura,
quindi viene rifiutata; v.49 contata V., la lezione in V serve a mantenere intatta la rima, al
contrario L e P hanno contato; v.50 chedilfaccia V, chio lo faccia L.; per arte L., la forma
inserita a testo è tipica siciliana;
v.51 chenoi uene dolete VL., viene scelta a testo la lezione di P che è meno banale;
v.52 aggiatelo per singua L, saciatel per insegna P., solo V conserva singa: linga, mentre L muta
singa in un inammissibile singua, per metterlo in rima con la forma lingua, e P ha addirittura
insegna; v.54 vedete V, vedite L, medrete P., la scelta a testo è un pò personale, è una
congettura;
Versi 55-63. Il congedo viene tramandato da V e L, mentre è assente in P.
v.55 Mia chansonetta fina L., l'alterazione di 55 è conseguenza della caduta di novella nel primo
verso della stanza, con l'introduzione di fina, è occorso il supplemento iniziale Mia, e quindi la
sostituzione di un secondo fina, per la rima, a bella di 58. Questa è un’ipotesi.
v.56 va ecanta V., nella lezione a testo la congiunzione e viene omessa, perché era frequente nella
sintassi siciliana l’accostamento di due elementi senza congiunzioni;
v.57 moveti lamaitina L. (maitino è un gallicismo), questa lezione è poco attendibile perché in altro
componimento di Giacomo da Lentini, Dolce cominciamento v.7, troviamo la stessa espressione
con il verbo levare;
v.58 davante alapiu fina L., la lezione scelta a testa serve a conservare la rima;
v.60 chauro fina L., la lezione scelta con fino serve a mantenere la rima;

Errori di archetipo
Gli errori di archetipo sono due:
- v.46 laudata VLP, è un errore presente in tutti e tre i testimoni. Di solito Giacomo da Lentini
rispetta la rima, il verso 46 quindi deve essere in rima con il verso 49 che finisce in contato.
- v.53 zo chi vidiro linga V, cio cheuoi dire alingua L, cio keo ui dico allingua P., tutti i codici
contengono un errore, che in questo caso è una mancanza. Tutti e tre hanno un senso positivo,
manca la negazione che è necessaria. Questo è un errore molto forte, che conferma in
particolare l’esistenza dell’archetipo.

Aldo Manunzio
Dal 1467 al 1475 Aldo studiò il latino a Roma, con Gasparino da Verona e Domizio Calderini,
proprio negli anni in cui Sweynheym e Pannartz vi impiantarono la loro officina tipografica, e poi il
greco a Ferrara, con Battista Guarino, che nel 1460 era subentrato al padre Guarino da Verona.
Nel 1482 fu a Mirandola assieme al suo amico e compagno di studi Giovanni Pico della
Mirandola. Quando questi si trasferì a Firenze, procurò a Manuzio il posto di precettore dei suoi
due nipoti Alberto III Pio e Lionello Pio, principi di Carpi. Alberto Pio, molto probabilmente,
divenne poi il finanziatore delle prime stampe di Aldo (forse i 5 volumi delle opere di Aristotele),
al quale donò anche delle terre nei pressi di Carpi. Il legame con Alberto Pio si mantenne tutta la
vita, tanto che il principe concesse ad Aldo di aggiungere al suo il nome gentilizio della famiglia
Pio.
In questo periodo devono essere maturati in Aldo dei piani molto precisi su quello che sarebbe
diventato il suo progetto editoriale. La sua ambizione principale era quella di preservare la
letteratura e la filosofia greca da ulteriore oblio, nonché il grande patrimonio della letteratura
latina, diffondendone i capolavori in edizioni stampate. Scelse infine Venezia, la Serenissima, nel
momento del suo massimo fulgore, come sede più idonea per la sua tipografia e vi si insediò
attorno al 1490. I manoscritti e codici greci della Biblioteca nazionale Marciana (il cui nucleo
originario fu costituito dal lascito del cardinale Bessarione dell'intera sua collezione di libri nel
1468) proprio in questo periodo stavano rendendo la città lagunare il centro più importante per lo
studio dei classici. Lì Manuzio allacciò rapporti di collaborazione e di amicizia con letterati e artisti
del tempo, e con molti studiosi greci fuggiti da Costantinopoli e rifugiatisi a Venezia dopo la
caduta dell'Impero romano d'Oriente (1453). Ebbe de collaboratori fondamentali per l'editoria in
lingua greca. Questi intensi rapporti intellettuali portarono infine (1502) alla fondazione
dell'Accademia Aldina, istituto dedicato agli studi ellenistici che poté annoverare fra i suoi membri
alcuni dei più grandi studiosi dell'epoca: Erasmo da Rotterdam, Pietro Bembo e Thomas Linacre.
L'Accademia, di cui conosciamo lo statuto, si prefiggeva di dare impulso allo studio dei classici
greci in Italia e in Europa. I suoi membri si impegnavano a parlare fra di loro soltanto in greco e, in
caso di trasgressioni o errori, a versare una piccola multa a un fondo comune che sarebbe poi
servito per organizzare festosi banchetti.

La diffusione della lingua e della filosofia greca sembra essere stata l'ambizione prioritaria rispetto
al profitto economico nell'operato di Aldo. La sua principale preoccupazione fu di mantenere
altissima la qualità delle sue edizioni (che sono infatti considerate degli autentici tesori dai
bibliofili) e non quella di renderle accessibili economicamente alla cerchia più vasta possibile di
lettori. Tra il 1 novembre 1495 e il 1498 pubblicò l'opera omnia di Aristotele in 5 massicci volumi
(nel primo volume si legge la promessa che all’opera di Aristotele sarebbe seguita la
pubblicazione dei suoi commentatori). Nel luglio del 1498 inizia a pubblicare un altro testo
fondamentale della letteratura greca, la prima edizione di Aristofane, più grande autore della
Commedia antica. Nella presentazione di questo testo Manunzio parla della lingua, fa un
paragone tra l’importanza di Terenzio e quella di Aristofane. Ribadisce poi la necessità di ricorrere
a forme greche in discipline come la medicina, la filosofia e matematica, per migliorare gli studi
scientifici. Il fatto che pubblica le opere di Aristotele significa che Manzunzio non si era avvicinato
alla filosofia neoplatonica di Pico della Mirandola (nel 1497 aveva pubblicato delle opere
platoniche tradotte in latino da Ficino, questa pubblicazione era senza Prefazione, ristringe il suo
interesse al solo campo editoriale e non filosofico). Poi nel 1513 pubblica la prima edizione di
Platone.
Filologia italiana, lezione del 26-10
Edizione delle epistole di S. Caterina, curata da Aldo Manuzio

Questa è l’immagine di Santa Caterina che vi troviamo all’interno


dell’edizione curata da Aldo Manuzio, uscita a Venezia nel ‘1500, è la
prima attestazione del corsivo aldino, trasportato dai manoscritti (es: da
Bartolomeo di san vito soprattutto) nella stampa ed è quasi identico alle
forme dei manoscritti.

-(immagine) nella sua mano destra troviamo scritto “iesu dolce” e “iesu
amore”—> scritto in corsivo; l’altra scritta nella mano sinistra invece è
romano tondo (forse perchè è in latino e la lingua latina tende di più a
conservare il roman tondo).

Aldo Manuzio—> è stato uno dei primi editori a stampare edizioni di


formazione classica greco-latina (nell’ultima lezione abbiamo parlato del
suo interesse verso i testi greci in particolare di filosofia e di scienza meno
quelli letterari).

Libro di Dionisotti, “Gli umanisti ed il volgare”

Un libro importante per il rapporto tra il volgare e il latino nel ‘300/400.

- Il primo capitolo inizia con Manuzio, perchè egli non è soltanto un tipografo-editore ma anche
un letterato dotto, ha tendenze filologiche sulla linea di poliziano.

In questo capitoletto inquadra la figura di Manuzio tra i problemi del latino ed il volgare, come
vengono accolti anche gli scritti in volgare del ‘300 (tre corone : dante, Petrarca e boccaccio) nel
‘400 (inizialmente non molto bene, poi c’è un cambiamento di rotta e vengono apprezzati);
Manuzio contribuì a questo pubblicando nel 1501 e 1502 Petrarca “le rime , il canzoniere” e Dante
“la commedia”.

- L’edizione di Petrarca e Dante è curata alla collaborazione del Bembo (è da pensare che vi sia
dietro bembo e che lo avesse spinto a pubblicare i testi di questi due autori importanti nella
tradizione volgare italiana).

Queste edizioni comparvero nello stesso formato del libro e nel carattere delle opere classiche di
Aldo iniziate nel 1501 con l’edizione di Virgilio, (lui pubblica dei testi classici in contemporanea nel
1501 ed usa gli stessi caratteri per il Petrarca e Dante).

- Sono importanti alcune notizie che egli da nella sua prefazione ad una sua opera chiamata
“Thesaurus cornucopiae et horti Adonidis” , è una raccolta di scritti grammaticali greci; in
questa prefazione mette a confronto il greco con il latino ed insiste sulla superiorità del greco,
superiorità per la ricchezza e varietà di forme.

E dice: “Utinam tantam copiam Latine haberemus”: longe antecelleremus Graecos.( trad: o
avessimo tanta ricchezza di parole/espressioni in latino: di gran lunga noi saremmo superiori ai
greci. Imitiamo dunque questa varietà e ricchezza bilingue). Ed elenca le varie forme del volgare,
c’era il precedente nel greco dei vari dialetti ad esempio attico o ionico e lui diceva: su imitazione
del greco dovremmo avere anche noi scritti in diversi dialetti infatti c’è il fiorentino, il veneziano,
lombardo, napoletano ecc. Quindi fa questo confronto non solo con il latino ma anche con il
volgare e greco. Il volgare che più cita nelle sue opere a cui dava più rilievo è il fiorentino, i dialetti
dell’area toscana poi in altre opere si esprime come se tutti i dialetti fossero uguali.

- Prima di stampare il Petrarca (1501), stampò nel 1499 “Hypnerotomachia Poliphili”, testo dal
titolo e contenuto strano, l’autore è incerto: c’è chi pensa ad un Colonna che sia stato un frate
domenicano chiamato Giovanni Colonna; e chi ritiene che invece sia stato sempre un Colonna
ma non di ambiente veneto ma del Lazio, di Palestrina.

Questo testo (strano) descrive la storia di questa figura immaginaria chiamata Poliphilo che con la
sua amata fa un giro in un giardino meraviglioso ( sono descritte le piante, i fiori , fontane), in
questo viaggio va alla ricerca dell’amore, amore che incontra poi nella statua di venere. Manuzio
non aveva molto interesse per quest’opera sia per la lingua che non è un vero volgare non
rappresenta nessun dialetto ma è un insieme di forme (latineggianti, grecizzanti, francesizzanti) ,
quindi era una lingua artificiosa non tangibile nella realtà. Importanti sono le incisioni all’interno di
questo libro (incisioni di fontane, edicole, piante). È la prima stampa di un testo in volgare seppure
strano. L’unica cosa che interessava Aldo era la ricchezza di fonti.

Epistole di S. Caterina
- Sono del 1500, opera completamente diversa. La sua corresponsabilità per le epistole di S.
Caterina è espressamente dichiarata nella prefazione, nella lettera che invia al cardinale
Francesco Piccolomini, in cui spiega perchè è interessato a queste lettere.

Santa Caterina era una donna molto semplice non sapeva ne leggere ne scrivere, ricorreva ad
amici copisti che scrivevano per lei che dettava.

- Erano epistole ricche di contenuto, Aldo non le valutava come espressione letteraria e retorica
ma per i loro contenuti ed è mosso a stampare queste lettere da preoccupazioni religiose, morali e
politiche in quanto S. Caterina aveva molto insistito per il ritorno dei papi in Italia a Roma dalla
Francia. È morta a 33 anni per una malattia che deformava il volto con croste; era riuscita ad
entrare nelle suore domenicane cosa a cui ispirava molto. Era interessata soprattutto al carattere
religioso e morale delle sue lettere, si tratta di abbreviare l’antica letteratura religiosa diffusa nelle
stampe del tempo (geografie su vite dei santi, scritti devozionali, preghiere). Non veniva
riconosciuto a questo tipo di opere un valore letterario.

– Pubblicando queste epistole Manuzio non vuole spezzare una lancia in favore del volgare, lo fa
perchè scritto in volgare ma era interessato al loro contenuto ed anche per mostrare come la sua
produzione non era rivolta soltanto a cerchi ristretti ma era aperta a più opere.

Vi voglio leggere in traduzione la prefazione di Manuzio al “Thesaurus cornucopiae” e dice:

“Imitiamo dunque la cosi grande varietà e ricchezza delle lingue nella lingua volgare (pecche
rappresenti i vari dialetti greci) , non è la stessa lingua tra i romani, i partenopei, i siculi (pensa
popolazioni antiche) diversamente parlano i fiorentini, i genovesi, i veneti per la lingua e la
pronuncia sono molto diversi dai milanesi, diverso è il discorso dei bresciani, bergamaschi
(all’interno della zona Lombardia come anche per la toscana c’è il senese, fiorentino ci sono vari
dialetti nelle zone) ciò che in latino chiamiamo caput i romani nel parlare dicono capo, i veneti
con la sottrazione dalla p dicono cao e coloro che abitano presso il Po facendo una crasi
dicono co.”

Epistole di S. Caterina
La loro pubblicazione sorprende per la lingua scritta e per il carattere non letterario dell’opera. È
una collaborazione, collaborò Margherita vedova del socio ed esecutore testamentario dal nome
Nicholas jenson, uomo ricco e faceva decorare i suoi manoscritti ed anche gli incunaboli dagli
artisti più qualificati.

– Riguardo le epistole di Caterina nel 1492 (prima dell’edizione di manuzio) era uscita un’edizione
a cura di Jacopo Fontanesi, stampata in caratteri gotici e comprendeva soltanto 31 lettere cosa
che fa notare manuzio in quanto la sua edizione contiene 368 lettere. I manoscritti su cui doveva
essere condotta l’edizione provenivano da un monastero domenicano di Venezia.

Aldo presentò una richiesta di privilegio per la stampa (privilegio da parte dello stato di Venezia) in
cui sottolineava la santità di questi scritti e la cura che era stata necessaria per accoglierli.

La dedica con prefazione in volgare fu indirizzata al cardinale Francesco Piccolomini (Pio III).

Questa lettera la prof l’ha tratta da una tesi di laurea su manuzio: vengono elencati i vizi del
tempo, sottolineando come scritti del genere potessero condurre la cristianità sulla linea migliore.

• L’edizione del 1500 ha avuto tre ristampe; hanno dovuto affrontare il problema della
trasmissione orale del testo, nella tradizione orale escono fuori particolari errori ( nei manuali di
filologia si parla spesso di tradizione scritta, manoscritti di copie; è diverso il tramandare per
iscritto e il tramandare oralmente. Si parla di tradizione orale per testi letti nelle scuole o
prediche recitate in chiesa dove qualcuno annota ciò che sente, in questo caso si parla di errori
d’udito che possono stravolgere completamente il senso).

Nell’ pubblicare, nello stampare, curare la stampa di queste lettere dovevano stare attenti al
rischio di errori d’udito trasmessi oralmente.

Dionisotti osserva e sottolinea molto nel suo libro “gli umanisti ed il volgare”, che Aldo non
intendeva con la pubblicazione di queste epistole fare una dichiarazione a favore del volgare, a lui
interessava il loro contenuto morale.

• Nella parte iniziale Aldo lamenta la durezza, immoralità dei tempi (rimanda in modo implicito a
governale, sallustio e cicerone); poi ricorda l’immagine di Caterina che tiene le due scritte una a
destra e una a sinistra in carattere corsivo (destra) ed in carattere tondo, romani chiamati anche
capitali (sinistra).

Di questo tipo di corsiva (anche dionisotti la ricorda nei suoi manuali) entrata nell’icografia con
Manuzio, si conoscono alcuni copisti (ad esempio Antonio Toffio e Bartolomeo sanvito, di
quest’ultimo abbiamo visto la sua scrittura in un codice contenente le satire di giovenale); il
corsivo aldino è stato ripreso da Bartolomeo sanvito e Antonio Toffio, esponenti del campo dei
manoscritti di questa scrittura.

Il libretto da mano è stato introdotto nella stampa da manuzio nel 1501. Iniziamo una serie di
pubblicazioni di classici latini con questo nuovo carattere preparato da uno dei più noti incisori del
tempo Francesco Griffo da Bologna. Aldo richiese al governo veneziano il privilegio per questo
tipo di carattere, per il corsivo, bisognava avere privilegi, sicurezze che non venisse adoperato da
altri sia per il carattere sia per il tipo di opera.

Questi suoi libri nel nuovo carattere erano spesso libri di formato di ottavo (formato tascabile), che
potevano essere letti dappertutto e non solo in biblioteca. Questa particolarità del formato più
piccolo e del carattere corsivo per i classici latini è importante nell’attività di manuzio.

Il formato piccolo era caratteristico delle opere devozionali, dei libri liturgici, di preghiera, lui lo
trasporta ad alcuni classici(Virgilio, giovenale, persio); anche il Dante e il Petrarca uscirono su
questo formato privi di commento, con margini non molto ampi perchè era un tipo di testo,
formato che non richiedeva commenti.

—> questa è un’ipotesi di Dionisotti: Manuzio potrebbe aver attinto quest’idea del piccolo formato
vedendo la collezione libraria sia di Pietro Bembo che di suo padre Bernardo bembo.

Poi Dionisotti conclude il suo primo capitoletto osservando che riguardo in particolare alle
epistole di S.Caterina vi era un interesse morale e non letterario ad attirare l’attenzione di
manunzio.

Articolo dI Petrucci
"Alle origini del libro moderno libri da banco, da bisaccia e libretti da mano”
Nella storia del libro stampa, assume un rilievo del tutto particolare l’introduzione del corsivo nel
libro a stampa, dove venivano stampati testi anche in italiano; ed è il corsivo per antonomasia.

Quello che sottolinea Petrucci è la storia del corsivo, di una scrittura non è soltanto tipografica ma
soprattutto legata alla storia del manoscritto e poi della stampa (non c’è tanta distanza tra il
manoscritto e la stampa).

Negli ultimi decenni del ‘400 e nei primi anni del secolo seguente, in alcuni codici e nei documenti
emanati dalle maggiori cancellerie italiane compare un nuovo tipo di “corsivo” , è una corsiva che
ha dei caratteri che assomigliano un po a quella scrittura che viene chiamata “cancelleresca”;
questa nuova corsiva è chiamata “italica” ma anche “cancelleresca italica”—> questo tipo di
corsiva come abbiamo visto con manuzio passa poi nella stampa.

Poi Petrucci si sofferma sulle caratteristiche di questa scrittura: l’uso della “s” finale di tipo
maiuscolo; i puntini sulle “i”; trattini complementari obliqui aggiunti al termine delle aste
discendenti (aste della “p”).

Anche Petrucci cita come copisti che usano questa scrittura: Antonio Toffio e Bartolomeo Sanvito.

Petrucci si pone come studioso tra coloro che vedono la storia della stampa del ‘400 strettamente
collegata con la storia del manoscritto contemporaneo (vede un legame stretto tra storia del
manoscritto e storia della stampa, non solo per la scrittura ma anche per il formato).

Poi propone una classificazione del tipo di libro:

• Il libro scolastico: prodotto in ambiente universitario, di formato grande, disposizione del


testo su due colonne in una facciata di carta, la presenza di margini grandi esterni ed inferiori
di destra o sinistra che possono servire per il commento; ornamentazione quando c’è di gusto
gotico, scrittura è gotica o semigotica con iniziali di inchiostro rosso, filettature in rosso
turchino, le rubriche in inchiostro rosso. Questo tipo di manoscritto è nato in ambiente
universitario fra XII XIII secolo e sopravvissuto nello stesso ambiente sino a tutto il ‘400.
Definisce questo tipo di libro come “libro da banco”.
• Il libro umanistico : di formato medio o piccolo (in folio o in quarto) di scrittura e
ornamentazione ispirate a modelli tardocarolini (carolina: scrittura tondeggiante, pochi
legamenti), con il testo disposto a piena pagina, con margini più ridotti rispetto al libro da
banco', con capitali di tipo rustico o (nella seconda metà del secolo) lapidario per titoli e
rubriche, ecc. il libro umanistico, non è destinato a biblioteche di dotti o di signori protettori di
dotti e non era legato a una ininterrotta tradizione di carattere artigianale, ma si rifaceva a
modelli diversi, antichi (del XII, dell'XI, del IX secolo) o moderni, liberamente scelti di volta in
volta dai singoli scribi e miniatori; per cui il suo aspetto esterno, specialmente per quanto
riguarda il formato, risultava poco uniforme. Accanto ai libri umanistici da biblioteca,
esistevano in gran numero gli esemplari di studio prodotti dai singoli letterati per sé o vergati
nelle scuole e adoperati come libri di testo. Erano distinti in esemplari di lusso in pergamena e
carta che lo studioso compilava per se stesso.

• Il libro popolare: prodotto in ambiente privato, da scribi non professionisti, ma occasionali, o


in centri scrittori religiosi culturalmente arretrati, e contengono opere volgari di diletto, di
edificazione, di carattere tecnico-professionale, poesiole, vite di santi. Si tratta in genere di un
libro di formato piccolo, per lo più cartaceo, di aspetto trascurato, di ornamentazione
antiquata e rozza; ha il testo disposto spesso a doppia colonna; è quasi sempre privo di
margini, in quanto non ha bisogno di commento; può essere illustrato con disegni anche
colorati, ma non sono vere e proprie miniature. È quello che Petrucci definisce “libro da
bisaccia”, ove per bisaccia si intende la sacca del frate predicatore, del mercante, del
pellegrino, del girovago, dell’artigiano ambulante.

Ognuno di questi tre tipi di manoscritti ha avuto una sua costituzione nella stampa; i libri prodotti
dai primi prototipografi: Sweynheym e Pannartz (primi ad essere venuti in Italia, hanno operato a
Subiaco e poi a Roma), stampavano libri spesso classici in formato massiccio, sulla tipologia del
libro universitario non tanto a quello umanistico; producevano soprattutto opere classiche (es de
oratore di cicerone). Sono protetti da un’ecclesiastico dotto Giovanni Andrea Bussi che operava a
Roma ed era in stretto contatto con la curia e li prese sotto la sua protezione e li introdusse
presso la casa dei principi massimo e poterono aprire la loro tipografia all’interno del loro palazzo.
Inizialmente non ebbero molto successo, la gente non li acquistava, poi a partire dal ’75 in poi si
rafforza nei maggiori centri italiani (Roma, Venezia e Firenze), si affermò una collaborazione tra
grammatici umanisti e tipografi che portò automaticamente al trasferimento nella stampa delle
caratteristiche esterne del libro umanistico (cioè si imitava di più il libro umanistico, lo volevano di
più rispetto ai libri fatti dai prototipografi): quindi, d’ora in poi, il libro contenete opere di classici o
opere moderne di umanisti (e questa è una novità), sarà piuttosto mezzano/medio di formato che
non grande, recherà il testo disposto a piena pagina, sarà ormai stampato sempre in « romano » e
circondato di margini ampi, ma non esagerati.

Poi per il libro da bisaccia i prototipografi si rivolsero piuttosto tardi a questa tipologia di libro; ma
in questo settore riuscirono ad affermarsi con maggiore facilita che in altri, poiché non si trovarono
di fronte come concorrente una produzione manoscritta organizzata, ma soltanto un vasto, anche
se incolto e a volte misero, pubblico, desideroso di letture e di immagini.

Il libro popolare a stampa ha una forma particolarmente tipica si affermò proprio a Firenze, dove
c’era una certa tradizione culturale a base popolare e volgare e non è mai venuta meno questa
tradizione culturale a base popolare soprattutto in Firenze e verso la fine del secolo fu alimentata
dal movimento di savonarola infatti forse legato a questo movimento sorge una stamperia di una
tipografia aperta presso il convento di Ripoli, vicino Firenze aperta da un domenicano, dove si
pubblicavano opere di piacere e di diletto come il Decameron e il Morgante, che escono nel
1482), che erano opere richieste dalla massa, dal popolo desideroso di letture, così come
vengono pubblicati romanzi, poesie cavalleresche, vite di devozione, libri di preghiere che le
persone portavano con se per recitare le preghiere. Questa produzione di libri popolari fu favorita
da tre fattori tipicamente locali, di Firenze e delle località intorno alla città:

• l’alta alfabetizzazione, anche la popolazione sapeva leggere e scrivere o per lo meno leggere,
soprattutto quella urbana più che quella delle campagne;

• la tradizione manoscritta volgare e popolare, questa tradizione non si afferma solo con la
stampa ma c’era già al tempo in cui il manoscritto imperava;

• rinnovata spinta religiosa, che proveniva sia dal movimento di Savonarola che dal convento di
Ripoli, attivo come stampa di libri popolari.

La storia della filologia


All’inizio della storia della filologia italiana figurano i testimoni che ci hanno tramandato i primi
componimenti della poesia italiana, sono testimoni di documenti del 1200, cioè le opere delle
scuole che hanno operato all’interno del secolo XIII, da quella siciliana, quella siculo-toscana (i
copisti toscani toscanizzavano alcune forme meridionali, forme peculiari della Sicilia), allo stilnovo.
I primi canzonieri o codici da ricordare sono tre, sono tra i più antichi, importantissimi:

• Palatino 418, Banco Rari 217 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (siglato P), è stato
edito diplomaticamente da Adolfo Bartoli e Tommaso Casini alla fine dell’800. Oggi questo
codice insieme agli altri due, si trova in edizione interpretativa CLPIO, cioè Concordanze della
lingua poetica italiana delle origini (CLPIO), curata da d'Arco Silvio Avalle nel 1992, studioso di
filologia italiana, ha espresso dei giudizi sulle tipologie di apparati, diacronici, sincronici ecc.. Ha
edito pubblicamente il testo di P. Il codice P è uno dei più antichi canzonieri delle origini, di
ascendenza toscano-occidentale, forse pistoiese per essere più precisi. È ornato di miniature,
conserva 180 componimenti. Avalle ha condotto anche uno studio particolare sulle tipologie dei
diversi canzonieri, dal titolo “Canzonieri definizione di genere e problema di edizione”, cioè
spiega che cos’ un canzoniere.

• Rediano 9, della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (siglato L), Redi 9.58 più
precisamente. Contiene 430 componimenti, compilato forse in epoca pretendete alla fine del
secolo XIII, è stato copiato da due amanuensi uno pisano e l’altro fiorentino.

• Vaticano Latino 3793 della Biblioteca Apostolica Vaticana (siglato V); alquanto più tardo (fine
XIII-metà del XIV secolo) è, della stessa Vaticana, il codice Chigiano L. VIlI. 305 (siglato Ch).

Questi tre manoscritti costituiscono delle vere e proprie edizioni che selezionano e ordinano il
materiale che presentano seguendo dei criteri ben precisi, sono edizioni manoscritti, hanno una
ufficialità. Ad esempio L è una vera e propria silloge delle poesie di Guittone d’Arezzo, che
raccoglie oltre alle liriche anche le lettere in volgare, presenta anche una serie di componimenti di
seguaci di Guittone, sono presenti quindi anche altri poeti della scuola di qui faceva parte. Nel
codice V si trova una antologia molto ricca di Giacomo da Lentini e si giunge fino agli esordi di
dante. In questi due codici c’è una spiccata attenzione alla qualità del testo, anche se ci sono
alcuni studiosi come Contini che ritengono che la qualità del testo sia migliore in P. In questi due
codici una non comune attenzione alla qualità del testo è provata da una decisa propensione
all'intervento congetturale (intervento che in parte dipende dalla soggettività dei copisti) , ma più
importante è osservare che i manoscritti toscani sono, se non diretti responsabili, testimoni
essenziali di quel processo di omogeneizzazione linguistica (la lingua diventa omogenea) che
cancella quasi completamente dalle poesie siciliane i tratti del dialetto originario, di fatto livellando
sui più tardi esiti toscani la lingua dei primi maestri. Copisti proveniente da varie zone della
Toscana davanti a parole siciliane, anche in rima, a forme particolari cercano di ricondurle al
proprio dialetto, cioè cercano di rendere uniforme la lingua volgare con cui si scriveva, livellando
la lingua dei nostri primi poeti, i siciliani. È questa la prima delle ricorrenti operazioni di
travestimento linguistico che hanno coinvolto i testi non toscani della nostra tradizione letteraria,
ed è senz'altro la più importante, anche perché, nella quasi totale perdita di testimonianze
conservatrici della fisionomia linguistica originale, presenta già operante fin dal Duecento quella
scelta del toscano come lingua letteraria nazionale che sarà invece acquisizione' assai più
tarda. Questo processo è stato accelerato dal fatto che i più importanti scrittori del ‘300 sono
toscani o comunque scrivono usando toscano e ciò ha contribuito all’affermazione del toscano
come lingua ufficiale.

Dante occupa tuttavia una posizione di assoluta preminenza nella filologia italiana. A sancire tale
primato si potrà osservare che i momenti cruciali nella storia della nostra filologia hanno spesso
coinciso con l'allestimento di edizioni dantesche, a partire da quelle curate dal Boccaccio (si pone
non solo come studioso, ammiratore e copista di Dante ma anche come editore perchè fa delle
scelte precise su come disporre il testo), che a quella storia hanno dato ufficialmente inizio, fino
alle edizioni, allestite intorno alla fine dell'Ottocento da Pio Rajna (De vulgari eloquentia) e da
Michele Barbi (Vita Nuova), che segue il metodo stemmatico. Queste edizioni sono state definite
Edizioni critiche di opere di Dante. L’interesse dei filologi per Dante è stato stimolato anche dalla
condizioni in cui ci sono state tramandate le sue opere. Non abbiamo autografi di Dante, né della
Commedia né delle altre sue opere. Ciò significa che problemi, più o meno complessi, di restauro
testuale si pongono per tutte le opere del corpus dantesco e che persistono margini di incertezza
non sempre minimi proprio sull'uso linguistico del padre della nostra lingua (quale era la vera
lingua di Dante? Quali sono stati gli interventi dei copisti?). Il filologo si ritrova in una filologia di
tradizione, di copia, dove non c’è autografo, originale o abbozzo. Non si sono conservati neanche
copie che si avvicinano all’originale perduto, quindi la filologia dantesca è filologia di copia.

Per la Commedia sono stati tramandati più di 800 codici, alcuni conservano tutte e tre le cantiche,
altri solo alcune. La tradizione della vita Nova, del Convivio e della Monarchia è assai meno ricca.
(una quarantina di codici per le prime due opere, diciotto per la terza). Ben più ridotta la tradizione
del De vulgari eloquentia, di cui sopravvivono tre sole copie, mentre del Fiore e del Detto
d'Amore, di certe rime e di certe epistole non resta che un solo testimone; l'opera dantesca ha
offerto alla filologia attributiva diverse questioni complesse e stimolanti, alcune delle quali tuttora
assai dibattute, come nel caso del Fiore (vedi Esempio Dante, Fiore). Gli studiosi quindi si
chiedono se il Fiore e l’Epistola a Cangrande siano da attribuire o meno a Dante.

A Petrarca spetta il titolo di iniziatore della filologia umanistica. L’umanesimo nasce a fine ‘300-
inizio ‘400, ma Petrarca, anche se muore nel 1374, può essere considerato il primo umanista.
Aveva interessi filologici rivolti soprattutto alla letteratura latina antica, quella classica e quella
cristiana, più tardi. La letteratura volgare non ricevette da lui particolari attenzioni, anche se ha
scritto le rime del Canzoniere, a cui dedicò grande attenzione, ci sono componimenti visti e rivisti.
Conosce il latino, ma anche la lingua d’oc e d’oil, ha vissuto a lungo in Provenza. Conobbe Dante,
anche se fa riferimento a lui in una sola famigliare 31.15, in cui dice di non aver voluto leggere
dante per non rimanerne influenzato, per rimanere incontaminato dall’influenza di Dante come
poeta volgare. Tributa omaggi ai predecessori, sia rimatori provenzali e italiani quando descrive il
carro trionfale d'Amore (Tr. Cup. IV 28-60) e rimpiange la morte dei defunti il vecchio Cino da
Pistoia e l'amico Sennuccio del Bene di Guittone, Dante, Franceschino degli Albizzi. Ammirava
dante anche se non lo ammetteva, alcuni studiosi hanno ipotizzato una certa rivalità nei confronti
di Dante, soprattutto per i componimenti in volgare, non di certo per lo studio dei classici.
Fra i molti libri della sua straordinaria biblioteca (era una delle biblioteche più ricche del tempo,
biblioteca studiata dal francese De Nolach, nell’opera Petrarca e l’Umanesimo, che è una
ricostruzione della sua biblioteca. Molti studiosi, come Augusto Campana, ritengono che per
conoscere la cultura di un umanista bisogna ricostruire la sua biblioteca) che ancora possediamo
o di cui abbiamo notizia non figura che un solo codice volgare: quel bell'esemplare della
Commedia (Vat. Lat. 3199) che gli donò il Boccaccio (non scritto da lui). Petrarca lo ringrazia, ma
non fu il manoscritto più letto da Petrarca perché in più di 20 anni vi appose una sola notazione.
Nella stessa famigliare, Petrarca ammette di non essersi curato molto di leggere la Commedie,
quindi lo dice esplicitamente. Il suo metodo filologico emerge nella cura che appose nel curare la
pubblicazione del suo Canzoniere. Nella filologia d’autore troviamo due manoscritti autografi di
Petrarca, il Vaticano latino 3195, scritto sia da Petrarca che dal suo aiutante Giovanni Malpaghini,
e il Vaticano latino 3196, ovvero il cosiddetto codice degli Abbozzi.
Filologia italiana, lezione del 2-11

Edizione Dantesca della commedia, basata su scritto di Bellomo


(Bellomo, esamina la tradizione della commedia ed il suo carattere).

Bellomo illustra i caratteri della tradizione di questo importante testo della filologia italiana;
riguardo a Dante non esistono autografi forse qualche autografo potrebbe averlo visto: Leonardo
bruni aretino, un’umanista che ha operato nella prima metà del ‘400.

La mancanza di autografi e testimonianze dirette che risalgano alla vita di dante rende difficile la
ricostruzione del processo temporale di composizione della commedia (vi sono state fatte molte
ipotesi: sulle date di composizione ed anche sul tipo di lingua in cui era scritta se era toscano o
una lingua padana).

Per quanto concerne la cronologia (la datazione) vi sono innumerevoli ipotesi e ce le illustra
bellomo: secondo alcuni studiosi l’inizio della composizione dovrebbe risalire al 1304 (dante
muore nel ’21); secondo altri (questa è la tesi più condivisa) tra il 1306 e il 1307.

Non abbiamo notizie certe sulla modalità di diffusione delle cantiche—> a riguardo è interessante
un racconto del boccaccio, che fa parte del Trattarello nella seconda redazione, in cui dante
avrebbe avuto l’abitudine di inviare gruppi di canti (6 o 8) a Cangrande della Scala (signore di
Verona, stimato da dante che lo riteneva il suo mecenate) affinché li leggesse prima di divulgarli
(come consiglio, voleva la revisione di qualcuno); a causa della morte non avrebbe potuto
sottoporre a revisione gli ultimi tredici canti del paradiso. Boccaccio racconta poi del sogno che
avrebbe avuto il figlio Jacopo avvenuto dopo la morte di dante: in cui il poeta avrebbe indicato il
luogo dove si trovavano questi canti non ultimati; il luogo era un a stanza dove lui aveva passato
vari anni e secondo il sogno sarebbero stati nascosti in una nicchia sul muro (Poi Jacopo e un suo
amico sono andati a cercarli e avrebbero trovato questi ultimi 13 canti del paradiso).

– I manoscritti sopravvissuti della commedia (quelli tangibili), sono posteriori di almeno un


decennio alla morte di dante (risalgono a 10 anni dopo la sua morte, cioè dopo il ’31).

Le caratteristiche dell’opera (analisi di bellomo)

• Un numero altissimo di esemplari, i manoscritti assommano a più di 800 (all’interno di questo


numero sono compresi anche i manoscritti che contengono una sola cantica), dei quali 600 di
manoscritti contengono almeno una cantica intera;

• Compattezza strutturale del testo, la struttura è molto compatta, favorisce la lettura; la struttura
è favorita dall’uso della terzina;

• Diffusione in tutti gli starti sociali e culturali, ha avuto una grande diffusione, non solo in cerchie
dotte, ha avuto una grande fortuna e la testimoniamo dai numerosi commenti che vi sono stati
(7 o 8 di questi commenti sono stati composti prima del 1337, testimonia che la diffusione è
iniziata molto presto). Il successo crebbe sempre di più fino all’epoca della stampa, della
cosiddetta editio princeps uscita a Foligno nel 1472 presso un tipografo tedesco Giovanni
Numeister. Il centro iniziale di diffusione è l’area emiliano-romagnola; però l’esplosione del
numero di copie avviene soprattuto in toscana in particolare modo a Firenze;

✦Esamina i fenomeni che rendono difficile la ricostruzione del testo, quali sono i processi che
rendono difficile la ricostruzione del testo:

• Ampissima contaminazione che è estesa a molti manoscritti. La contaminazione= è quando


alcune lezioni presenti in rami diversi, perduti della tradizione, si inseriscono nella tradizione che
si è tentato di ricostruire; i copisti vanno alla ricerca della lezione autentica attraverso il controllo
delle lezioni su più manoscritti, senza porsi il problema della loro classificazione; sono lezioni
extra-stemmatiche.

Ad esempio sappiamo che un copista: Forese Donati, dichiara nel 1330 di aver corretto il testo
della commedia ricorrendo a diversi manoscritti e scegliendo di volta in volta la lezione che gli
sembrava migliore.

Il manoscritto di forese è perduto però si sono conservate le varianti della sua postillatura e sono
conservate in un esemplare a stampa (stampa fatta da aldo manuzio nel 1515), denominazione di
questa stampa “Milano, biblioteca braidense, fondo aldino, AP 16 25.

Nell’elenco dei testimoni usati da Petrocchi nella sua edizione vediamo che questa stampa è
chiamata Mart: perchè le annotazioni presenti nel manoscritto dove era stata fatta la postillatura
da forese donati, sono state trasferite da luca martini in questa edizione. Questa stampa anche se
del 1515, finisce con l’avere importanza che trasmette le lezioni, varianti presenti nel codice
postillato da forese donati. “Non si tratta propriamente di un manoscritto, ma di un esemplare
della stampa veneziana dell'editore Aldo Manuzio del 1515 postillata dal filologo Luca Martini (dal
nome del quale deriva la sigla) attorno alla metà del Cinquecento. Tali postille consistono nelle
varianti derivate da una collazione con un manoscritto perduto datato 1330-1331, e che dunque è
il più antico conosciuto, di mano di Forese Donati, pievano di S. Stefano in Botena.”

(Tornando ai motivi della contaminazione)

- Una prima causa della precoce contaminazione, potrebbe essere stata la diffusione per cantica.
I primi copisti per ottenere il poema per intero dovevano ricorre a più di un esemplare ed
ognuno di essi aveva una tradizione diversa; nelle botteghe scrittorie, i copisti potevano copiare
da diversi esemplari che circolavano nella bottega stessa, e correggere sulla base di collazioni
(per ope ingenii) tra i vari esemplari.

- Sul fenomeno della contaminazione puo avere anche influito la “tradizione di memoria”, quando
un testo era molto conosciuto, i copisti conoscevano a memoria i passi e mescolavano le
lezioni che trovavano nel modello da cui copiavano e le lezioni che avevano in mente.

• Rarità di errori evidenti, i copisti, trascrivendo in una lingua familiare, tendono a correggere per
congettura, fornendo così una variante in sé accettabile, ma che comunque non proviene dall'
esemplare da cui copiano: in tal modo si offuscano i rapporti tra i manoscritti. (La classificazione
in famiglie serve a giungere alla verità del testo).

• Frequenza di errori poligenetici, un errore in cui due copisti incorrono in modo indipendente
l’uno dall’altro in luoghi diversi. Ad esempio errori che nascono da un’errato svolgimento delle
abbreviazioni; un’altro errore è il salto dallo stesso allo stesso; le banalizzazioni ad esempio dei
nomi come a esempio Alano, per e Lino, scritto elino (il mitico poeta di If IV 141), da una lezione
intermedia alino;

Nonostante i vari accidenti tradizionali, bisogna ammettere che il testo tramandato non presenta
guasti troppo gravi, probabilmente perché la salda struttura della terzina incatenata impedisce
innovazioni troppo marcate: abbiamo infatti pochi esempi di interpolazione, per altro
evidentissimi, e relativamente poche varianti tali da stravolgere il senso. Infine è da notare che non
sono mai riconoscibili varianti d'autore.

Edizione Petrocchi
In questa edizione la collazione, il confronto che lui ha fatto tra testimoni è limitata ai soli
manoscritti che precedono la data del 1355, data in cui si diffonde la vulgata del boccaccio, cioè i
testi che sono sorti dalla redazione del boccaccio; questo l’ha fatto per fornire un testo base da
cui partire per prendere poi in esame la tradizione successiva.

La data del 1355 corrisponde a quella della stesura di un manoscritto To: Toledo, Biblioteca del
Cabildo, 104.6.—> questo manoscritto era del Boccaccio (scritto da lui con i suoi interventi), da
questo codice To di Toledo sono discesi altri manoscritti che hanno dato origine alla cosiddetta
“vulgata”.

L’edizione di Petrocchi si è basata su 27 manoscritti, tra questi rientra anche l’unica edizione
chiamata Mart (perchè è una copia di un manoscritto del 1330). La lezione trasmessa dai
testimoni più recenti non può essere considerata vicina all’originale; la tradizione più recente
sembra copia dell’antica (concetto di eliminatio codicum descriptorum, eliminazione dei codici
copiati).

Il testo base è ricostruito con il ricorso a questi 27 testimoni antichi prima dell’avvento della
redazione del boccaccio. Il testo che lui ricostruisce non corrisponde all’originale, la “o” che
troviamo nello stemma non corrisponde all’originale ma al testo della vulgata più antica diffusa
dopo la morte di Dante.

Petrocchi cerca di ricostruire la vulgata diffusa subito dopo la morte di Dante, non l’originale.

La costituzione dello stemma:


È molto difficile e non è sicura a causa della
contaminazione, dei vari errori evidenti e della frequenza
di errori poligenetici. Non è uno stemma rigidamente
lachmaniano ma è un tentativo da parte dello studioso
di razionalizzare i dati offerti dalla tradizione e chiarire al
lettore i criteri seguiti nella costruzione del testo.

-Le linee che congiungono tra di loro i manoscritti, non


indicano una relazione di copia ma soltanto una
relazione di parentela che può essere più o meno
stretta; quelle tratteggiate indicano contaminazione—>
(ad esempio il codice La che discrede da d che è un
manoscritto della famiglia beta, all’interno ha qualcosa
che mostra un’influenza della famiglia alfa infatti
troviamo la linea tratteggiata).

- Infondo prima della discendenza dal vaticano abbiamo il gruppo del Cento che discende da
Ga, ma non è detto che i codici del Cento che discendono da Ga siano copie ma c’è un
rapporto di parentela.

- O, posto all’apice dello stemma, non indica l’originale e neanche l’archetipo. O rappresenta
l’antica vulgata, il testo che si è diffuso subito dopo la morte di Dante.

Da O si dipartano due tradizioni: la traduzione toscana, rappresentata dalla famiglia alfa; la


tradizione settentrionale, rappresentata dalla famiglia beta, composta da solo tre testimoni che
dipendono da e (sottofamiglia che discende da beta ossia dalla famiglia principale); l’altra
sottofamiglia è rappresentata da d, da cui discende il Ladiano (La) uno dei più antichi 1336.

Bellomo si sofferma anche su alcune obiezioni che possono rivolgersi all’edizione Petrocchi
(anche l’edizioni successive: Lanza, Giorgio Inglese ecc). Elenca alcune obiezioni rivolte
all’edizione di Petrocchi:

1. Le lezioni sulle quali si stabiliscono i rapporti fra i testimoni spesso sono basate su varianti e
non su errori; in molti casi sono di natura poligenetica.

2. Lo stemma è incerto, non abbiamo l’originale ma una vulgata che si avvicini all’originale; uno
stemma basato su rapporti tra testimoni che sono sorti tenendo presenti varianti e non errori,
quindi di conseguenza c’è una certa incertezza nello stemma e questo concede molta libertà
all’editore di operare con scelte soggettive (entriamo in un campo dove lo studioso può
scegliere liberamente di fronte a varianti possibili.

3. In base a studi recenti sono stati individuati altri codici anteriori all’intervento di Boccaccio,
che dunque, andrebbero presi in considerazione.

4. Dalla seconda metà del Trecento, dovremmo parlare di una vulgata che dipende dal gruppo
dei Cento, da questo gruppo derivano circa 60 manoscritti .

Bellomo conclude: È una tradizione molto contaminata, all’interno della quale rimane abbastanza
chiara la tradizione settentrionale, quella di beta. Infatti lui da molta fiducia alla tradizione beta e in
particolare ad un codice che discende dalla sottofamiglia e: Urb (urbinate), proprio la
testimonianza di Urb, Mad e Rb potrebbe portare luce su alcuni punti incerti del testo e ricostruire
cosi il testo.

Tavola 27, commento di Bellomo


Prima pagina vediamo le 4 sezioni: prima in parentesi quadre che è una sintesi del contenuto del
canto; la seconda sezione abbiamo il testo in versi (1-6); nella terza abbiamo l’apparato critico che
è per lo più negativo; quarta parte abbiamo il commento dove Petrocchi registra non solo le
varianti ma fa anche un commento ad alcune di esse rinviando a volte anche ad altri autori.

Tavola 27, commenta l’edizione:

Sotto l'indicazione del numero del canto compare, tra parentesi quadrata, la “rubrica". Era
frequente abitudine dei copisti far precedere i canti ciascuno da una intitolazione, più o meno
lunga, che poteva costituire anche un breve riassunto come in questo caso. Tali rubriche possono
avere varie formulazioni. L'edizione Petrocchi accoglie il tipo più antico nella forma testimoniata
da Triv e tra parentesi quadre per segnalare che sicuramente tali intitolazioni non appartengono
all'autore, ma sono comunque una testimonianza dell'antica “vulgata", cioè della forma nella
quale circolava il testo nel quindicennio successivo alla morte di Dante.

Dopo il testo, pulitissimo e senza segni di integrazione come potrebbero essere le parentesi
uncinate o quadre, seguono due fasce, l'una dell'apparato critico, e l'altra, come di consueto,
volta a spiegare, ove necessario, le ragioni di una scelta tra varianti, o a riferire lezioni di un certo
interesse di testimoni al di fuori del canone.

L'apparato critico contiene tutte le varianti, non solo di sostanza, ma anche formali (variante
formale è quando cambia la forma della parola, esse non sono importanti per stabilire rapporti tra
i testimoni), dei ventisette manoscritti presi in considerazione. Tale scelta (che invero ha tolto
dall'imbarazzo l'editore nei casi in cui non era facile discriminare se si trattava di forma o di
sostanza) risulta di grande utilità per valutare il comportamento e la patina linguistica dei
testimoni, ma rende difficoltoso cogliere le varianti di sostanza in concorrenza con quelle accolte
a testo (ci sono varianti sostanziali che possono essere scambiate per formali). Tale difficoltà è
accentuata dall'essere l'apparato rigidamente negativo (quando sono registrate tutte le lezioni non
accolte, rifiutate), costringendo il lettore, quando la lezione accettata è portata da uno o pochi
testimoni, a ricavarli per sottrazione. Vero è che le sigle (elencate nell'Introduzione alla pp. 57
sgg.) sono poste sempre in ordine alfabetico, agevolando tale operazione, ma obliterando
completamente il valore stemmatico dei testimoni: e anche questo particolare è un indizio di
quanto poco efficace e vincolante sia lo stemma per l’editore.

Successivamente spiega l’apparato come è fatto soffermandosi su alcune lezioni, commentando


lezione per lezione:

v. 1. Con la sigla Bo sono indicati alcuni Memoriali bolognesi che contengono solo alcuni
frammenti della Commedia troppo esigui per poterli collocare nello stemma, ove infatti non
compaiono; sono tuttavia tra le prime testimonianze della diffusione del poema. La lezione corra è
probabilmente una forma settentrionale di correre (quindi è una variante formale non è errore).

Pr ha la medesima lezione, ma è stata aggiunta in un secondo tempo come indicano le parentesi


uncinate a rovescio; altri segni diacritici dell'apparato sono le parentesi uncinate che delimitano
una lezione espunta e le quadre che indicano una lezione omessa, una lacuna nel testimone che
segue (efr. Introduzione p. XLVII e 473-474).

migliore di Eg e Ham, al di là del fatto che si tratta di una scriptio plena, che non influisce però
sulla metrica, è al singolare perché concorda con il sostantivo acqua, come si può vedere di
seguito.

Un cospicuo numero di manoscritti reca quest'ultima lezione (acqua), pur trascritta anche nella
forma latineggiante aqua; in questo caso ci si rende conto della difficoltà di individuare quali sono
i testimoni che portano la lezione a testo. Da una non molto agevole sottrazione dall'elenco
completo dei testimoni si apprende che sono: Lo, Ricc, Tz, le cui testimonianze si risolvono in una
sola, appartenendo tutti al gruppo del Cento, e Urb, l'unico che secondo il canone di Petrocchi
abbia forte autorità (manca la testimonianza di Cha, Ga, Pa e Sa perché privi di questa parte del
testo). Tuttavia, la lezione non è supportata da Mart e Triv, sicché l'editore può scegliere acque,
ma si sente in dovere di dare ulteriori motivazioni di ordine linguistico, come appare nella seconda
fascia.

La forma aigua è un tipico bolognesismo di Bo.

La lezione alcai (alzai) (una lezione formale) è erronea e poligenetica, come spiega Petrocchi nella
terza fascia, ma è stata corretta da tre testimoni dei quattro che la recano. La trascrizione, come
di prammatica, è diplomatica e mantiene pertanto la c cedigliata, il cui valore comunque equivale
a z. La i è Conservata solo da Bo.

v. 2. oma, solo in un codice Vat è forma con elisione normalissima, da rendere oma’ (variante di
forma non sostanza).

Forme sono altresì engegno e inçegno, l'una e l'altra di origine settentrionale (varianti di forma):
infatti Eg. come apprendiamo dalla descrizione del manoscritto (Introduzione, p. 65), pare
settentrionale e Mad è ligure.

v. 3. Anche lassa (per lascia è una variante di forma) è forma familiare al bolognese Rb (il
manoscritto di maestro Galvano),ma non estranea al toscano occidentale: e infatti compare nel
pisano Ash.

-Et lascia (variante sostanziale), Ham reca una lezione di sostanza, et per che, ma del tutto isolata
oltre che facilior.

La lezione retro (al posto di dietro) è sostenuta da Co mentre in Vat compare in un secondo tempo
come correzione dello stesso copista o di altri (cfr. i segni convenzionali in Introduzione, pp. 473-

474).

-ad per a di Co è una mera grafia che si impiegava per indicare la preposizione.

v. 4. Da segnalare segondo in cui la sonorizzazione ribadisce la settentrionalità di Eg.

v. 5. Compare in trascrizione diplomatica oue, che naturalmente sta per ove, e lomano che sta per
l’umano, scrizione continua da svolgere in l’omano, che è una forma del marchigiano Laur (cfr. la
descrizione del manoscritto: Introduzione, p. 73).

-spirto è lezione sicuramente erronea perché rende il verso ipometro (è errore).

v. 6. del rende sostantivato l’infinito (salire) e, se non fosse una variante così isolata, potrebbe
essere accettabile.

-cielo è un'altra scriptio plena, ma in questo caso l'ultima vocale deve essere espunta per ragioni
metriche, come hanno fatto Eg e La.

Filologia 8 novembre

Edizione Lanza
(Scorsa lezione)
Edizione Petrocchi: Secondo l’antica vulgata, perchè sceglie tutti i testimoni che precedono
l’avvento della vulgata del boccaccio (che è intervenuto molto, creando anche alcuni problemi
nella tradizione), quindi i testimoni sono ridotti a 27, prima della vulgata boccaccesca.

Abbiamo poi accennato all’edizione di Antonio Lanza, il quale sulla linea di Bedier (filologo
romanzo, che critica e rivede il metodo di lachmann applicato ai testi italiani e in generale
romanzi: secondo lui il metodo di lachmann va bene per i testi antichi classici, greci latini e anche
per i testi tardo-antichi, ma non più per i testi romanzi, moderni del 1200-‘300).

Lanza fa una scelta bederiana e si basa su un testimone solo, il codice trivulziano, indicato con
TRIV, uno dei migliori testimoni, in francese è diffusa la denominazione bon manuscrit (buono
manoscritto) , cioè è il manoscritto più affidabile che comunque presenta degli errori, ma meno
rispetto agli latri. Il trivulziano veniva considerato non solo da Lanza ma anche da altri studiosi
uno dei migliori codici della tradizione della commedia. Non è il più antico, in quanto il più antico è
il Laniano di Piacenza, ma è abbastanza antico; è stato copiato da un fiorentino e secondo lui
rappresenterebbe uno stadio molto vicino all’archetipo (perduto ma che lui postula a differenza di
Petrocchi). Ipotizza l’esistenza di un’archetipo ed elenca degli errori d’archetipo che devono
essere comuni a tutta la tradizione.

Nella sua edizione del 1995, la lezione del trivulziano è difesa sino al limite del possibile (dice
bellomo), cioè in tutti i casi lui cerca di difendere e scegliere la lezione del trivulziano.

Poi avanza delle critiche all’edizione di Petrocchi: soprattutto le questioni paleografiche, non
avrebbe forse scelto interpretato bene alcuni abbreviazioni; la sua tendenza a favorire la tradizione
settentrionale e non la toscana; e poi problemi sugli argomenti linguistici.

Una delle contestazioni di maggior rilievo al metodo di Petrocchi riguarda l’applicazione del
metodo stemmatico senza aver visto tutti i testimoni, senza aver controllato se gli errori sono in
tutti i testimoni. (Questo codice della biblioteca trivulziana di Milano 1080).

Lanza presta molta attenzione ai fattori linguistici, dove è stato necessario correggere ricorre ad
altri due testimoni in particolare: Mart l’edizione martini che ha riportato le postille di un
manoscritto non lontano alla morte di dante; e si è basato anche sul Gaddiano 90 meno affidabile
del trivulziano. Poi è ricorso ad altri codici che cita nell’introduzione ma il suo codice base è uno
solo il trivulziano, tra i codici a cui è ricorso cita in introduzione il landiano land, (il codice più
antico, conservato nella biblioteca di Piacenza 1336, un anno più antico del trivulziano).

Citazione di Lanza dalla sua introduzione


“I testi dei miei predecessori Vandelli, Casella, Guerri e Petrocchi, sono testi compositi (cioè testi
che si sono basati su vari testimoni e che il testo restituito è una creazione della mente dello
studioso, è un testo virtuale non reale tangibile, il suo ha il vantaggio di essere un testo vero, cioè
quello contenuto nel codice trivulziano)”

Si sofferma sulle forme, sono molto importanti quelle grafiche e le varianti formali, le varianti
fonomorfologiche (che danno importanza al suono,, pronuncia della parola).

E poi sull’interpunzione, sempre importante anche per i testi classici antichi perchè da
l’interpretazione del testo.

Poi ha cercato di recuperare l’aspetto, la veste linguistica fiorentina sulla base del codice da lui
scelto. Nel titolo ha messo “commedia” senza l’epiteto “divina”.

Secondo Lanza la lingua della sua edizione riflette molto da vicino il fiorentino parlato e
probabilmente scritto da Dante.

Però Lanza ribadisce “il testo che io do anche se non riproduce forse la vera grafia o la lingua che
avrebbe dante, è sempre un testo che si distingue dalle ricostruzioni stemmatiche dove il testo è
virtuale non è tangibile”.

Apparato di Lanza
Nel suo apparato ci sono due fasce:

1. Rappresentata da un’apparato negativo (sono registrate le lezioni rifiutate) ed utilizza le sigle di


Petrocchi cosicché il lettore non si confonde tra i testimoni;

2. Rappresentata da un’apparato positivo, è riportata la lezione scelta nel testo seguita dai
testimoni che la recano.

Lanza è l’unico degli editori moderni ad aver compiuto una scelta bederiana, perchè segue il
criterio di bedier—> che voleva un testo reale, tangibile non creato dalla mente dello studioso.

Articolo: Obiezioni al metodo del Lachmann di bedier


Bedier spiega come è nata in lui l’idea di rivedere e correggere (rifiutare) il metodo stemmatico,
per i testi moderni.

Bedier, francese pubblica nel 1889 “il Lai de l’Ombre” —> è il canto dell’immagine che è riflessa
nell’acqua, attraverso questo riflettersi dell’immagine dell’amante nell’acqua i due amanti si
riconciliano. È in versi ed è un componimento di un rimatore vissuto nel secolo dodicesimo e
tredicesimo.

Bedier, seguendo il metodo stemmatico che aveva appreso alla scuola del maestro che era il
Paris, crea uno stemma bipartito e rimane fedele a questo metodo per una 20ina di anni, fino a
quando preso da dubbi (nel senso che la sua ricostruzione con uno stemma bipartito non sarebbe
stata corretta).

Lo stemma bipartito creato da lui :

-c’è un “O”= originale;

-Abbiamo due famiglie: omega e zeta

-Poi sotto le sottofamiglie: x e y; l:

-Poi i testimoni: E, A,B,C,G, D, F.

Sotto il segno del lachmann. Intervento di G. Paris


A questo metodo naturalmente 'indirizzai quando volli studiare la tradizione manoscritta del Lai de
l'Ombre. Al termine di questo studio mi credetti autorizzato a disegnare la figura di p. 67 (la
chiamo SCHEMA N. 1 e darò un numero a partire da questo N. 1 ad una certa quantità di schemi
che mi capiterà di disegnare in séguito).

Come si vede, mi ero persuaso che i nostri manoscritti si dividevano in due famiglie, derivate da
due copie perdute, contraddistinte da errori diversi, w e z. Sulla base di questa persuasione
costituii e pubblicai, a Friburgo (Svizzera), un testo detto «critico» del Lai de l'Ombre: per il fatto di
essere fondato sull’impiego ragionato di tutti i manoscritti, questo testo pretendeva di essere se
non proprio definitivo (infatti avevo dovuto scegliere secondo il mio criterio nei punti dove una
lezione A B C G si oppone ad una lezione D E F), per lo meno quasi definitivo, più rassomigliante
di ogni altro a quello che Jean Renart aveva congedato abbandonandolo alle deformazionI degli
scribi w, z, x e tutti quanti.

—La storia dello studio critico di questo testo è pubblicata da Bedier in un articolo la tradition
manuscrite du lai de l’ombre: Réflexions sur l'art d'éditer les anciens textes in Romania, che è una
rivista del 1928.

Osserva bedier: La meccanica del procedimento lachmaniano è illusoria perché essendo bipartita
la grande maggioranza degli stemmi, le scelte decisive dipendono dalla volontà del filologo che
finisce nel mettere insieme le lezioni di provenienza diversa creando un testo nuovo appunto
virtuale mai esistito nella realtà.

Quindi egli dopo anni di studi giunge alla conclusione secondo cui conviene scegliere un buon
manoscritto, possibilmente il migliore e limitarsi a produrlo introducendo solo correzioni
indispensabili laddove è necessario cosi leggeremo qualcosa che ha consistenza storica,
qualcosa che realmente esiste.

-la sua prima edizione c’è nel 1889 del “Lai de l’Ombre”, poi lo ripubblica nel 1913 seguendo il
criterio del manoscritto migliore (scegliendone solo uno).

Questo testo è stato conservato in sette manoscritti tutti conservati nella biblioteca nazionale di
Parigi nel fondo francese. A ciascuno di loro è stata assegnata una sigla, A,B,C ecc.

Probabile età di composizione di questo componimento di Renart sarebbe tra il 1217 e 1219,
questo autore era un menestrello. Tra i manoscritti che abbiamo e il momento della composizione
originale, cioè questi anni 1217 e 1219 sono trascorsi circa 60 o 80 anni.

Il componimento è costituito da un migliaio di versi di circa 8 sillabe, sorprende che ci siano 1700
varianti: una variante ogni tre parole.

Nel 1890 bedier prima di fare la sua edizione basata su un solo manoscritto si chiede se sia
possibile trovare un mezzo sicuro che ci possa guidare nel ricostruire tra tante varianti il testo
originale di Renart.

Questo racconto il lai era gia stato edito nel 1836 da Francisque Michel, che aveva basato la sua
edizione soltanto su tre manoscritti facendo la collazione, il confronto con il testo completo, non
per loci critici (è uno dei metodi, usato per i testi molto lunghi quando ci sono molti testimoni, si
tratta di scegliere ad esempio 80 loci critici per un testo molto lungo; loci critici: testi che
presentano un particolare problema, esempio la lacuna, oppure una forma sostanziale
particolare).

Tra le numerose varianti Michel sceglie (come facevano gli umanisti del 400’) seguendo il suo
intuito, sceglie per ope ingenii, seguendo la sua intuizione, contando sul suo gusto.

È un metodo pericoloso osserva bedier perchè c’entra la soggettività, il gusto dello studioso e ciò
può portare a fare delle scelte di lezioni errate, scelte di errori.

Bedier osserva che in Germania nel 1830 era stato messo a punto un metodo (quello di
lachmann) che si proponeva di rendere più oggettiva la ricostruzione di un testo trasmesso da
copie (filologia di tradizione o copia); il metodo di lachmann si applica a tradizioni in cui ci sono
solo copie.

Nel 1866, il maestro di bedier G. Paris aveva raccomandato questo metodo ai suoi allievi.
Successivamente tutti gli editori di antichi testi francesi fecero ricorso al metodo stemmatico di
lachmann tenendo presente il modo di lavorare degli studiosi di testi classici.

Proprio sulla base di questo metodo è sorta l’abitudine di classificare i testimoni, i manoscritti,
l’idea della classificazione applicata ai testi scritti.

Nella pagina 66 pdf: riporta l’esempio basato su un testo astratto di uno stemma ricostruito
secondo il metodo stemmatico lachmaniano e lo commenta. Vediamo un manoscritto A isolato e
reca delle lezioni singolari che lo distinguono dalle altre famiglie omega, x ed y e quindi da solo
rappresenta una famiglia, è l’unico testimone di una quarta famiglia, l’unico ad essere
sopravvissuto.

Ragiona su questo stemma condotto secondo lo stretto metodo lachmaniano, la lezione autentica
sarà continuamente rivelata dall’accordo di tre famiglie contro la quarta, sia dall’accordo di due
famiglie contro le altre due, discordanti tra loro; la scelta è certamente soggettiva nel caso in cui le
quattro famiglie presentano ognuna una lezione diversa.

Nel caso in cui tutti e dieci i manoscritti offrono una lezione errata si potrà ipotizzare l’esistenza di
un’archetipo che bedier chiama O1 (1 ad esponente) cioè sarebbe una copia impura dell’originale,
un intermediario tra l’originale e la tradizione e bisogna ricorrere al metodo soggettivo (lectio
difficilior e usus scribendi).

Nel 1890 (prima edizione) ha curato l’edizione di Lai de l'Ombre e ne ha studiato la tradizione
manoscritta creando uno stemma (stemma 1). È uno stemma bipartito, omega e z sono le due
principali famiglie contraddistinte da famiglie con errori diversi.

Il testo da lui ricostruito (in base a come pensava in quegli anni di fine ‘800) si sarebbe dovuto
avvicinare a quello originario di Renart.

Recensione di Paris
Paris (maestro di bedier) fa una recensione alla prima edizione (1890) del suo allievo, egli ritiene
errata la ricostruzione del testo. Il maestro elabora sulla base dell’esame di cinque passi che
erano parsi guastati a bedier, conclude che non esiste una famiglia “zeta” cioè la famiglia da cui
discenderebbero: D,E,F; Paris sulla base di questi passi conclude dicendo che E rappresenta da
solo una famiglia, un rappresentante di una famiglia diversa da zeta.

Ci troviamo quindi di fronte a uno stemma tripartito (schema numero 2 pagina pdf ), abbiamo 3
rami: w, t,E (E era l’unico rappresentante della terza famiglia); in base a questo schema cambiano
le regole di costruzione del testo per mezzo dell’accordo di due famiglie contro la terza (se due
famiglie omega ed E o anche omega e t vanno d’accordo hanno la stessa lezione ed E ce l’ha
diversa vale l’accordo della maggioranza), si ricostruisce con una certa sicurezza il testo originale,
(anche se E e t avessero la stessa lezione e w una lezione diversa E rappresenta una terza
famiglia, l’accordo di due famiglie contro l’altra).

Poi bedier, dopo 23 anni nel 1913, allestirà una nuova edizione del lai de l’ombre, durante questi
anni si dedicò ad accurate riflessioni sul problema della corretta restituzione dei testi, non solo sul
testo che lui curava ma guardando anche altri esempi, stemmi.

- Prima constatazione: è fortunato l’editore che riesce a costruire uno stemma a tre rami (ha la
sicurezza da parte dello stemma non deve troppo congetturare), no incontrerà difficoltà nella
scelta delle varianti perché vale la legge della maggioranza (del due contro uno). Cita anche altri
studiosi: molti tra i migliori filologi hanno ricostruito stemmi tripartiti oppure anche quadripartiti
ad esempio cita “Edward schwan “ e “Victor Friedel” ed altri; le loro classificazioni sono state
solo lavori d’approccio, ossia loro hanno studiato la tradizione ma non hanno curato l’edizione
critica, hanno detto : la tradizione si presenta cosi, si potrebbe creare uno stemma fatto in
questo modo ecc però non hanno fatto le edizioni.

Come si sarebbero comportati loro di fronte a un’edizione critica, nel curarla ? Allora bedier si è
dedicato a studiare gli stemmi proposti nelle prefazioni delle edizioni critiche e nel pdf ce ne sono
alcuni: troviamo (pagina 105 a penna) un stemma bipartito con O1 che dovrebbe essere
un’intermediario (archetipo) tra l’originale e la tradizione; uno stemma a due rami con omega e
zeta e l’originale in alto; un altro stemma bipartito dove sembra esserci un intermediario O1 e due
famiglie w e z (zeta ricca di testimoni).

Bedier ha raccolto in base alle prefazioni delle edizioni degli studiosi l’esempio di 110 stemmi sia
per testi francesi (dove era particolarmente esperto) che per edizioni di testi latini, inglese ed
italiani ed è giunto alla conclusione che sono tutti stemmi a due rami.

Ed osserva: ogni filologo quando si applica all’allestimento di un edizione critica giunge alla
convinzione che queste copie anche se numerose derivano dall’originale attraverso la mediazione
di due copie perdute quindi di due rami.

Spesso quando uno studioso prepara un’edizione classifica: in un primo momento i testimoni in
più famiglie (tre o anche più di tre), quando però passa al momento di stabilire il testo arriva a
trovare ragioni per modificare lo stemma, semplificandolo sfrondandolo, trovare un motivo per
raggruppare alcuni testimoni in un’unica famiglia; in un certo modo lo studioso vuole liberarsi dal
vincolo di uno stemma, non obbedire ad uno stemma che impone lui la variante da scegliere
(nello stemma a tre rami per la maggioranza dei testimoni vale il due contro uno e li impone),
Anche nel caso di uno stemma bipartito può intervenire l’imposizione meccanica (cioè la recensio
chiusa) esempio schema 1 pagina 67, ci torna sopra dicendo: si dovrà scegliere per conto proprio
quando omega si oppone a zeta ma è l’automa del metodo ad imporre la scelta nel caso in cui le
lezioni di a e b vanno respinte perché in conflitto con le lezioni offerte da c, g e d (c’è l’accordo di
due testimoni c e g che fanno parte della famiglia omega con un testimone di una famiglia esterna
zeta cioè d —> il concetto è che anche in uno stemma bipartito a due rami come questo dove si
penserebbe che se si dovesse incontrare una completa autonomia rispetto agli ordini dello
stemma, nel caso di varianti, di lezioni possibili se c’è l’accordo di qualche testimone di una
famiglia con un testimone di una famiglia esterna ecco che è lo stemma ad imporre la lezione da
scegliere e lo studioso non è libero di operare una scelta soggettiva [caso della recensio chiusa].).

-Difronte all’esempio di uno schema come quello di Foerster, dove una famiglia è rappresentata
dal solo V che discende da alfa attraverso un mediatore alfa1; la linea tratteggiata dovrebbe
indicare che c’è una certa contaminazione con due testimoni A S(M) dell’altra famiglia beta. Lo
studioso in questo caso potrà effettuare scelte libere, forse anche perché V è contaminato con
testimoni della famiglia beta e quindi può agire liberamente.

“È di tipo banale, poiché è bipartito; ma si noterà che la famiglia alfa è scarsissimamente


rappresentata: da un solo membro, il manoscritto V. Quindi l'editore del Roman d'Yvain può agire
a modo suo perché ce ne è uno solo. Può mantenere con la frequenza che gli pare le lezioni del
manoscritto V e, se lo preferisce, respingerle quasi tutte per sostituirvi ad ogni frase le lezioni che
ricaverà dai manoscritti della famiglia beta, cioè (a certe condizioni) dai manoscritti delle
sottofamiglie gamma e delta; e poiché s'è preso la cura, suprema raffinatezza!, di scrivere in cima
allo schema O e O', può, con la frequenza che gli pare, dichiararsi insoddisfatto di tutte le lezioni
offerte dai manoscritti e introdurre nel «testo critico» lezioni congetturali in abbondanza. L'automa
è ridotto all'impotenza: tende verso l'editore di Yvain l'offerta delle sue braccia cariche di varianti,
ma immobilizzate. Si dirà forse che, tranne pochi ingenui, quattro o cinque, che in buona fede
hanno accettato la schiavitù (sottostare all’ordine dello stemma), tutti quanti gli editori di testi
francesi hanno saputo «arrangiarsi», gli uni, i semiabili, per indebolire l'automa, gli altri, gli abili,
per paralizzarlo completamente? Poi continua con un discorso ironico..”

Quindi in questo caso, in questo stemma ricostruito da foerster dove c’è un solo testimone V
discendente da omega e probabile contaminazione con due discendenti di beta, in questo caso
l’editore non sottosta all’accordo di un testimone con un testimone esterno, non sottosta
all’imposizione dello stemma ma può scegliere liberamente.

Bedier spiega psicologicamente il processo che porta lo studioso alla costituzione di uno stemma
bipartito (pag 75-76): nell’esame della critica delle varianti lo studioso prova l’ansia persistente di
non averla ancora spinta avanti in maniera sufficiente (torna sempre a fare l’esame delle varianti).
Una volta che ritiene di esser giunto a una classificazione in tre famiglie cioè in tre rami (di aver
creato stemma a tre rami: x,y,z ) è possibile che trovi alcune varianti che uniscono x e y contro z,
le quali varianti gli suggeriscono l’idea che esse possano rappresentare delle innovazioni, dunque
degli errori. Semplice possibilità, senza dubbio, ma che una sorta di necessità morale lo obbliga a
prendere in considerazione. Lo scrupolo l'ossessiona: non può liberarsene, non può trovare la
pace dello spirito se non quando si persuade che questa possibilità è altra cosa da una
possibilità, che alcune delle lezioni doppiamente attestate (da x e y contro z, ad esempio) sono in
effetti lezioni rifatte, quindi lezioni erronee. —> E con questo ragionamento bedier prepara una
terza edizione del lai de l’ombre ritenendo fragili gli argomenti e le interpretazioni delle varianti su
cui aveva basato la bipartizione dello stemma nella prima edizione.

[Di se stesso dice: io ho sbagliato a creare nella prima edizione due rami cioè uno stemma
bipartito].

Poi fa osservazioni anche filosofiche: plausibile era il suo stemma bipartito ma anche quello
tripartito del Paris ( che dice che E è indipendente, rappresenta l’unico discendente di una terza
famiglia indipendente dalle altre), però il suo era plausibile secondo lui poteva anche ipotizzarsi
quello bipartito però poteva anche quello tripartito di Paris era plausibile, essendo che i due sono
plausibili entrambi uno dei due deve essere falso, ma anche tutti e due possono essere falsi. Se
ne potrebbero costruire altri di stemmi con costellazioni diverse che potrebbero essere altrettanto
falsi in quanto è in gioco il giudizio (es se separare E dalla famiglia t (dove cè d f) o farla rientrare
nella famiglia zeta, dipende dal giudizio soggettivo dello studioso, se ritiene una lezione variante o
errore).

Il testo che lui restituisce nella seconda edizione (1913) è basato sul concetto, sull’idea del bon
manuscrit, cioè lui si basa su un codice, il codice A della biblioteca nazionale di Parigi 837 (ha
fatto questa scelta come Lanza farà quella del trivulziano).

Cito da lui: “ stampato quasi senza ritocchi e accompagnato da note che segnano un ritorno
verso la vecchia tecnica degli umanisti”.

Dopo vari anni nel 1928 bedier è tornato a considerare i raggruppamenti tra i codici di questo
testo per verificarne meglio il valore ed i limiti. (Vediamo schema 1 pagina 67):

– il raggruppamento x , la famiglia x è data dai testimoni A + B, li poniamo dentro la famiglia x


perché AB hanno molte lezioni in comune manifestamente erronee, dove non c’è dubbio di dire è
errore o variante e quindi sono imparentati, appartengono ad un’unica famiglia

Esempi:

-vv. 280-83. Lacuna in A e in B di quattro versi necessari per comprendere il testo.(lacuna è


sempre un’errore tra i più significativi, se si perde il senso del testo ancora più significativo, se due
testimoni ce l’hanno tra i vari versi di quel testo è indizio che avevano davanti un modello già
errato, che probabilmente hanno ereditato tutti e due quindi sono imparentati, si devono collocare
in una stessa famiglia).

- v. 591. A e B fanno dire scioccamente alla dama trascurata dal cavaliere: «Avrei creduto che un
anno intero passato vicino a me gli sarebbe parso mains corz d'un jon (meno corto di un
giorno)—>questo è un errore perché ciò che pensava era il contrario. È del contrario che è
persuasa ed è il contrario in effetti (mains lons d'un jor—più lungo di un giorno) che le fanno
dire gli altri manoscritti. Questo è un errore che accomuna se è presente in A e B conferma la
parentela di A e B che vanno messi in un’unica famiglia.

2. Realtà del raggruppamento, raggruppamento che fa parte della famiglia y=CG che hanno
spesso in comune una lezione erronea quindi dipendono da un modello gia corrotto. Esempio:

- vv. 457-58. Il cavaliere dice in C e in G che si è messo in mare su una barca senza albero, por
veoir ausi com Tristans. Gli altri manoscritti danno un senso a questa intenzione: por noier

- ausi com Tristans.

- VV. 796-99. In C e in G la dama, lamentandAsi dell'importunità del suo spasimante, che vuol
farle riprendere l'anello, dice:«Dont estes vous mout plus que sire, Se vostre aniaus a ce
m’esforce Oue vous le me vueilliez a force, Maugré mien, fere retenir».Secondo gli altri
manoscritti, dice invece vostre anuis («la vostra insistenza indiscreta»), ed è evidentemente la
lezione autentica. (Cfr. le varianti dei vv. 66, 85, 499-500, 546, 952, ecc.)

3. Realtà del raggruppamento t=rappresentato da DF. Il manoscritto F offre «un testo rifatto, non
senza abilità», sulla base di un manoscritto del tipo D. Revisore attento, le varianti di F non sono
illogiche o grossolanamente scorrette; però si oppongono D e F agli altri manoscritti (in tutto 5
con quelli di omega) non per errori ma per frasi costruite in modo particolare, cioè per lezioni
particolari. Per essere collocati in una sottofamiglia che è t debbono avere qualcosa in comune,
hanno delle lezioni particolari in comune che si oppongono a quelle presenti nello stesso passo in
tutti gli altri 5 ABCGE. Quello che è determinante per stabilire la parentela, unione fra D ed F è una
lacuna di 12 versi che mancano in entrambi e sono i versi 134-145, le lacune sono importanti
come errori per stabilire parentela, evidentemente nel modello che avevano quello che bedier
chiama t c’era gia questa lacuna perciò ha potuto creare una parentela più stretta tra DF. (Anche
Paris trova una stretta parentela tra DF).

4. Ci sono frequenti casi di conflitto tra ABCG e DEF: lui aveva riscontrato 65 casi di conflitto; se
si riscontra che in alcuni casi l’errore è in ABCG, nei quattro che fanno parte della famiglia omega
e negli altri DEF si ritorna alla classificazione bipartita, cioè se l’errore è in questi quattro e ci sono
errori diversi in DEF torniamo al suo schema quello dei due rami (perchè E avrebbe lezioni errate
affini ad DF), quindi lui deduce c’è la possibilità di tutti e due gli stemmi quello bipartito e quello
tripartito di Paris perché dipende dal come lo studioso giudica alcune lezioni se le ritiene errori o
varianti. Anche la tripartizione può essere considerata giusta (w, t ed E), se si riscontra che non
c’è mai errore in DEF comune allora E si isola, se E non ha l’errore comune con DF è isolato,
costituisce il rappresentante di una famiglia distinta; quindi lo schema due della tripartizione può
essere altrettanto valido; dipende dall’interpretazione che si da alle varianti: sono varianti o errori,
qui interviene lo studioso che giudica soggettivamente. Quindi non abbiamo un metodo sicuro
come voleva trovare bedier per ricostruire secondo il criterio stemmatico.

— questo schema: sono quattro rami, non definisce


non solo l’esistenza di un’archetipo (no archetipo,
intermediario con originale), ma non c’è neanche
l’indicazione di un originale.

Ci sono tre famiglie e un manoscritto autonomo (E),


non sappiamo in che modo questi rami convergono
in un originale: ci sono possibilità di varie
combinazioni tra i gruppi di manoscritti: abbiamo
visto quella proposta da bedier con lo stemma
bipartito, quello del Paris con lo stemma tripartito;
le numerosi ipotesi sempre con gli stessi manoscritti per la stessa tradizione è la condizione di
ogni studio sulla tradizione manoscritta; uno studio sulla tradizione manoscritta da adito a diverse
ipotesi: lo stemma della prima edizione di bedier può valere quanto lo stemma tripartito del Paris.
Importante è non giungere alla scelta di costruire uno stemma composito, cioè uno stemma nato
su vari rami, rami non sempre classificati, lui vuole scardinare il metodo stemmatico.

Aggiunge poi questa osservazione: si può ricostruire un testo sulla base della classificazione
stemmatica se si è sicuri che non esiste un’altro modo, cioè che non vi siano altre possibilità di
stemmi, nel caso del lai essendo possibili certamente due stemmi il suo e quello di Paris allora c’è
la possibilità che uno dei due sia sbagliato e l’altro giusto quindi c’è un’altra possibilità di stemma,
si può invece ricostruire sempre sulla base stemmatica se non c’è un’altra possibilità di
rappresentare le classi dei manoscritti.

E sottolinea che non si possono usare gli stessi criteri che valgono per i testi antici.

Spesso nelle tradizioni dei testi letterari vengono raggruppati in modo giusto i codici che si
trovano nella parte basse dello stemma (riprende come esempio il suo primo stemma pag 67 e
dice: “ sono spesso sospette le linee con le quali si collegano ad O i vari gruppi (w, x, z) oppure si
collegano ad A1 (archetipo) poiché è possibile quasi modificare la disposizione (lui fa queste
osservazioni per dimostrare che lo stemma 1 è possibile come lo stemma 2) —> allora si deve
agire come facevano gli umanisti ricorrendo al Gusto: la scelta soggettiva e intervenire il meno
possibile rispettando la lezione del testo base che si sceglie, lui ha scelto un testo A e rispettando
anche la grafia, scegliendo un solo testo che sembra il più affidabile, le osservazioni se ci sono le
relega nell’introduzione.

Leggiamo pagina 81 con lo stemma riportato sopra: “puo darsi infine che si trovi qualche altra
combinazione e che la si giudichi preferibile (si possono creare varie costellazioni di classi
testimoni). Per il momento quello che noi riteniamo sicuro puo essere espresso da queste quattro
piccole figure (figure di queste linee con 4 famiglie : x=AB; y=CG; z=DF; E). Una barriera (II— con
due rette parallele posta nel mezzo) separa AB + CG da DF + E, e una specie di stelo si alza sopra
ogni figura: sono quattro perpendicolari, parallele fra loro. Poiché Jean Renart ha composto non
due lais de l'Ombre, ma uno solo, so bene che queste linee dovrebbero convergere o tutte e
quattro direttamente verso l'originale, O, o le une verso le altre prima di congiungersi in O. Ma
come rappresentare i modi di questa convergenza? E questo O, dov'è? Fuori della nostra portata,
per Adesso, fuori di questa pagina, molto lontano e molto in alto forse, in quel luogo forse dove i
matematici assicurano che tutte le parallele finiscono per incontrarsi: all’infinito.

Questo è un’articolo importante perchè poi altri hanno seguito il suo criterio, lo vediamo in modo
manifesto in Lanza, che si dice che abbia edito secondo il metodo bederiano perchè ha scelto
solo un testimone, il trivulziano, uno dei più antichi in ambito fiorentino, però questo non ha
impedito a Lanza di segnalare a volte varianti di altri testimoni importanti, ma l ha fatto non
creando un’apparato stemma ma l’ha fatto nel commento o nell’introduzione.
Filologia lezione del 9 novembre

Edizione del “de principatibus” di G.Inglese

Stemma ricostruito da Giorgio inglese per l’edizione del


principe “de principatibus” con titolo in latino ma testo
scritto in volgare.

Vi parlo dei testimoni (di cui parla nell’introduzione) su


cui ha basato la ricostruzione di questo stemma che
non presenta un’archetipo (non siamo nella situazione
che aveva prospettato bedier con l’ultimo tipo di
stemma: 4 rette che vanno in alto).

- Bla = editio princeps, prima edizione uscita presso


Antonio Blado nel 1532: frutto di un’inteso lavoro
redazionale che ha investito le forme, la sintassi, il
lessico. È tra i testimoni ultimi, più recenti.

- Ancora più recenti sono QeT che sono dei manoscritti.

-L’altra che è vicina a Bla è la cosiddetta Giuntina “Giu”


= è una ristampa di Bla fatta da Bernardo Giunta. Molti manoscritti (ca 13) riproducono le
varianti di Bla.

Inglese ha preferito costituire il testo basandosi sulla sola tradizione manoscritta,


indipendentemente dalla princeps, e rinviare lo studio analitico delle testimonianze successive.

Rapporti tra i manoscritti

๏ I codici Q e T dipendono da U (= urbinate latino 975). Lo studioso fa molti ragionamenti sul fatto
se sono da considerare copia di U, ed in base alle varianti che ci sono, a lezioni di U che si
ripetono anche erronee alcune, lui pensa che possano essere una copia diretta di U ed allora lui
è esentato dal consultarli (infatti sappiamo che per quella regola del “eliminato codicum
descriptorum” che i codici descritti cioè copia vanno eliminati, non vanno considerati nella
restituzione del testo).lui da qualche notizia di questi due codici ma si astiene dal prenderli in
considerazione come manoscritti base, su cui ricostruire lo stemma.

๏ V dipende da B, non c’è la sicurezza che V sia del tutto copia di B, quindi viene preso in
considerazione anche se dei segni di dipendenza ci sono.

๏ Gli altri codici CFKNS dipendono da R.


✦Poi abbiamo Alfa (sottofamiglia), ne abbiamo due: alfa1 e alfa2, divisi in due in quanto il testo di
alfa è diviso in due parti: alfa1 contiene la dedica ed i primi 12 capitoli e l’indipendenza da beta
è dimostrabile alfa1 è parallelo a beta e beta1 (è indipendente da beta), mentre alfa2 dipende
dal gruppo beta e contiene gli altri capitoli rimanenti (da 13 a 26). C’è un rapporto di parentela
tra alfa2 e beta, non è dimostrabile la parentela tra alfa1 e beta. È una posizione diversa quella
di alfa1 e alfa2 anche se appartengono allo stesso sottogruppo chiamato alfa.

✦Poi abbiamo Beta, che è il presunto capostipite (sottofamiglia) di tutti i codici che discendono
da beta: CFKLNPRSW.
๏ M che è il discendente della famiglia y (beta e alfa sono sottofamiglie, la vera famiglia è y; i rami
sono tre: rappresentati dalla famiglia y (ha tutta la discendenza attraverso alfa e beta due
sottofamiglie e poi vari manoscritti), gli altri due rami hanno soltanto come rappresentate: uno
ha G e l’altro ha D, ci sono anche lezioni trasmesse dal solo G. Comunque essendoci una linea
tratteggiata nello stemma tra C e G sembrerebbe che tra questi e due ci sia stata una
contaminazione (G avrebbe ricevuto una contaminazione dal ramo y. -Ci sono lezioni originali
trasmesse dal solo G. C e D sono indipendenti e discendono alla pari di y dall’originale o da più
originali.

Non c’è l’archetipo (elemento intermedio tra l’originale e tutta la tradizione) , secondo lo studioso
non si potrebbe ipotizzare l’esistenza di un’archetipo perché non si riesce a trovare nella
tradizione un errore tale che non possa essere stato commesso dall’autore stesso, cioè un’errore
significativo comune a tutti i testimoni. Non possiamo neanche provare che D G e y risalgano ad
un solo originale, potrebbero esserci più originali.

Criteri seguiti dell’edizione di G.Inglese

Il testo si fonda sull'accordo, ove possibile di D e G (lui preferisce D perchè è di lingua fiorentina).
La lezione comune di D e G (salvo errori di poligenesi) rappresenta due rami della tradizione sui
tre individuati dallo stemma a. La scelta della lezione di DG si può estendere, per uniformità di
procedimento, anche alle varianti più esposte al rischio di poligenesi (cioè si può estendere alle
lezioni varianti nell'ordo verborum parola messa prima o dopo ma il senso è lo stesso, minime
varianti lessicali e sintattiche). Non ci sarebbe in questo caso motivo di preferire y (quindi anche le
varianti meno significative come quella dell’ordo verborum o lessicali grafiche, per questo si può
scegliere D e G non si deve necessariamente ricorrere ad y).

Se D e G divergono il testo si basa, ogni volta che sia possibile sull'accordo fra D e y o G e y
(regola dell’accordo di una famiglia con una famiglia esterna contro l’altra).

Quando la testimonianza si tripartisce, fra D G e y indifferenti, va a testo la lezione che ha le


maggiori possibilità di essere l'antecedente delle altre due (lectio media); se mancano elementi
per tale valutazione, si sceglie la lezione di D; nel caso in cui questa non si può accogliere, tra G e
y indifferenti, si sceglie G.

Apparato

La spiegazione particolareggiata dei criteri e delle indicazioni adottate nell'apparato critico


costituisce la prima nota a piè di pagina (particolarità di questa edizione invece di metterlo
nell’introduzione, lo mette come cappello quando ha gia iniziato il testo)pag 163 file: Cappello

Per le sigle dei testimoni confronta la tavola delle abbreviazioni, in apertura del volume. Con [alfa],
[beta] e [aß] si rinvia alle Tavole 10 e 11,14,15,19 e 20-21. Gli apici (per es: A’, A”) distinguono strati
di scrittura; le parentesi quadre racchiudono lettere cancellate o comunque soppresse (indicate con
puntini, se illeggibili); tra parentesi tonde: scioglimento di abbreviazioni (solo in casi particolari, o
dubbi); fra parentesi aguzze integrazioni editoriali (per es. a(n)tiquati) o lacune (in aggiunta a om
ossia omesso).Varianti della stessa riga sono separate con un quadratino; puntate le lezioni
congruenti con quelle a testo; contrassegnate con un asterisco le lezioni su cui si basa il testo di
Casella (in caso di divergenze sostanziali tra quel testo ed il nostro). Poi mette delle sigle: AUT e
AUT*, rinvia l’introduzione.

Uso diverso di AUT: AUT=Indica gli autografi in generale: AUT* = gruppo di autografi vicini
all'originale perduto del De principatibus sia per cronologia, sia per livello stilistico.

L'apparato critico è tendenzialmente negativo, non sono di solito indicati i testimoni della lezione
a testo quando questa si basa sul consenso (quando la lezione è condivisa da D e G secondo il
terzo ramo non viene indicata la lezione a testo) tra D e G contro y, D e y contro G, G e y contro D.

Assume forma positiva nei casi più problematici. È stato adottato come codice base (per le grafie,
i suoni, le altre forme) il fiorentino D = München, Universitätsbibliothek, 4° cod. ms. 787, sec. XVI.

Varianti 1’ sezione:

✦ 0. = (riferimento alla dedica) magnifico Laurentio Medici] GM (vuol dire che questa lezione con
queste parole, casi latini sono in G ed M); magnifico om. Omesso da D, ad magnifico
Laurentium medicem (presente in altri manoscritti:) L R B A*. La rubrica manca (quella che
chiamiamo dedica) in E U ed è volgarizzata in P (Niccolò Machiavelli al Magnifico Lorenzo de
Medici) e in Bla (Niccolò Macchiavelli al Magnifico Lorenzo di Piero di Medici); in W manca
l’intera Dedica. Poi mette il segno di quadra che indica una lezione che è presente sulla stessa
riga (quadratino) salutem] lezione scelta a testo è in GM, S(alutem) D(icit) in D, om. aß*
(asterisco cioè nell’edizione casella

✦ 1.1 el più] el om. In D 1.2 uno] G L RM Bla, (scelto per la regola della maggioranza), a uno
DPBAE, di un è in U 1.3 infra] lezione scelta a testo c’è soltanto in G. 1.3-4 più dilettarsi] D G
Bla, più om. y

✦ 2.3 la mia] D L P R M B E U Bla, le mie G A (mia) 2.4 existimi] extimi G (probabilmente è un


errore) 2-4.5 cognizione] cagione D 2.5 da me] D G Bla, om. y

✦ 4.1 [alfa] 4.2 [a] 4.3 et ornamento] D GM, o o. aß* 4.4 [a]. 4.5 [beta] —> lui rinvia ad alcune
lezioni che elenca nell’introduzione, in una parte in cui riporta molte tavole ed evidenzia quali
sono le lezioni proprie di una certa famiglia in questo caso della alfa che lui non accetta. 4.1 [a])
= alfa ripiena ne ornata; ornata né ripiena (+ A; manca W); 4.2 [a] = a et di qualunque; o di
qualunque (manca W) rifiuta la lezione di alfa d usa il criterio di rinviare alle lezioni nelle tavole
che si trovano nella sua introduzione;

✦ 5.7-8 (la lezione che va dalla riga sette alla otto), ‹la natura... bene> om. D e la integra in
parentesi uncinate; sceglie conoscere] e ritiene che il considerare presente in altri manoscritti
PMU (ripetizione poligenetica del considerare precedente della r. 6).

Grafia, suoni, forme

Possediamo molti autografi di Machiavelli (vd. P. Ghiglieri, La grafia del Machiavelli studiata negli
autografi, Firenze 1969). Inglese ha adottato come codice base per le grafie, i suoni e le altre
forme il fiorentino D. Adegua alla forma attuale tutte le grafie che risultano prive di riscontro
fonetico e di un apprezzabile valore culturale, delle restanti conserva solo quelle attestate negli
autografi (normalizza molte forme che non sono presenti negli autografi). Non ha attuato un vero e
proprio restauro delle presumibili forme originali, ha rinunciato per esempio a ripristinare
fiorentinismi costanti nel Machiavelli, ma già parzialmente italianizzati nel testimone U.

Viene per es. uniformata a uomo l'oscillazione del codice D uomo / omo (normalizza secondo il
criterio moderno perchè non è una variante formale grafica particolarmente significativa), ma non
vengono ricondotti a sanza i senza offerti da D. Non sono ritoccate le forme avesse (per avessi
orig.), furono (per furno orig.), poté (per possé orig.), avuto (per auto orig.), vedendo (per
veggendo orig.), trova (per truova orig). È un criterio improntato a un conservatorismo temperato,
sul piano fonomorfologico, che si accompagna a una temperata modernizzazione delle grafie.

Sono introdotti apostrofi e accenti, nei casi di raddoppiamento fonosintattico è utilizzato il punto
in alto (a 'llui, a ‘ppochi).

È distinta e (articolo plurale) da e' (= ei, egli pronome) e' (= et i).

Sono rimossi alcuni latinismi non caratterizzanti (e privi di ogni riscontro fonetico già nella
pronuncia latina medievale e umanistica).

Sono rese con -enzia / -anzia le grafie -entia / -antia (es. Numantia è stato reso con Numanzia) a
meno che non risulti costante e prevalente nel Machiavelli la forma con -tia, es. potentia,
prudentia.

Lo stesso codice D ha experienza scritto alla moderna (3.1).

La x etimologica viene di solito conservata in alcune parole: es. Alexandro, auxiliarie ecc.

La storia della filologia


Petrarca con i suoi esempi rientra nell’ambito della filologia d’autore che ha come base
l’autografo, idiografo o l’edizione rivista dall’autore (come accade per l’Ariosto).

Con boccaccio assistiamo ad uno dei primi progetti filologici consapevoli, un progetto rivolto
all’edizione, alla diffusione dell’opera di Dante; Boccaccio allestì un’edizione quasi completa delle
opere in versi di dante, solo alcune rime minori sono escluse da questa raccolta che contiene: il
trattatello in laude di Dante, poi segue la Vita nuova, poi una silloge di 15 canzoni e poi la
commedia.

La commedia trascritta dal boccaccio ci è pervenuta in tre manoscritti autografi: codice Toledano
il Toledo 104.6 ed il riccardiano 1035 della riccardiana di Firenze ed il chigiano della vaticana L VI
213.

Il testo che boccaccio ha tenuto presente per allestire questa raccolta di opere dantesche è quello
che aveva donato a Petrarca: il Vaticano Latino 3199, tiene presente questo codice per le opere
dantesche (commedia) che mette nella sua raccolta.

Vandelli, uno studioso inizio ‘900 aveva scritto un saggio dal titolo: il boccaccio editore di dante,
perchè egli si comporta in tanti casi più come un editore che come trascrittore, si mette ad
intervenire a ritoccare ciò è quello che danneggia la fortuna della commedia, i suoi continui
interventi non sempre pertinenti.

Il codice più antico tra quelli sopra citati è: il Toledano, risale agli anni ’50; quello meno antico è: il
Chigiano, risale agli anni ’60 se non addirittura all’anno 1373 quando boccaccio tenne una
pubblica lettura della commedia.

Negli ultimi anni della sua vita tende a molte trascrizioni anche dirette delle opere dantesche, da
creare un corpus dantesco che ha avuto una grande diffusione e ha generato per la commedia la
cosiddetta vulgata del boccaccio.

Come tutti dicono e hanno osservato gli studiosi: il boccaccio è intervenuto sull’opera di dante
con indebite correzioni congetturali e nel codice Chigiano ad esempio ha inserito delle lezioni che
ha ricavato da altre fonti, qui più che da copista si poneva come un editore.

Difronte al caso in cui esistevano più varianti lui cercando di recuperare la lezione corretta
introduce lezioni che sono attestate in altri rami della tradizione, quindi contribuiva alla cosiddetta
contaminazione che è il fenomeno che più rovina una tradizione che vuole avvicinarsi all’originale
dell’autore, crea una nuova vulgata.

I codici che derivano da quelli esemplati dal boccaccio finiscono con il costituire una nuova
vulgata, moderna del poema.

Questo testo vulgato, diffuso creato dal boccaccio verrà accolto nella tradizione a stampa ad
esempio viene accolta nell’edizione di Aldo Manuzio con cui collaborò Bembo e insieme curarono
nel 1502 l’edizione della commedia di dante e prima il canzoniere di Petrarca.

È da notare il trattamento che boccaccio riserva alla vita nuova, trascritta da lui in due codici: nel
toledano 104.6 e nel chigiano L V 176. Estrae dal testo e colloca ai margini le cosiddette
“divisioni” che dante fa seguire di solito alle poesie, in queste divisioni dante esamina la struttura
della poesia che inserisce all’interno dell’opera ed anche la rima, il numero di sillabe dei versi..
queste osservazioni che sono come un commento a se stesso, un commento sulla struttura e
sulla prosodia metrica delle poesie.

Poi fa un’intervento sul testo un pò arbitrario giustificandosi con una postilla in uno di questi due
codici dicendo di aver fatto questo intervento perchè quelle divisioni “piuttosto chiosa appaiono
dovere essere che testo” in questa postilla egli dichiara di aver appreso “da persone di fede
degne che lo stesso dante negli anni maturi si rammaricava d’avere inchiuse le divisioni del testo”.
—> allora in questo caso boccaccio sacrifica infondo il rispetto della volontà dell’autore, una
volontà che secondo lui per quanto dice in questa postilla sarebbe stata poi smentita dallo stesso
dante che non avrebbe più voluto mettere queste divisioni all’interno del testo però lo dice lui
affermando di aver avuto questa notizia da persone di fede degne (una notizia moralmente
diffusa).

Questa è una delle prime attestazioni relative ad uno dei principi editoriali fondamentali e cioè uno
studioso, filologo editore deve chiedersi: fino a che punto è lecito all’editore intervenire sul testo
alterandone le caratteristiche grafiche, linguistiche di struttura del testo per facilitare la lettura del
testo oppure l’editore deve rispettare il testo, la sua struttura anche se incomprensibile.—>
questo è uno dei problemi che si pone l’editore moderno.

(Importante testimonianza di carattere linguistico di boccaccio sono : i Zibaldoni, contenuti in tre


codici autografi).

- con il ‘400 passiamo agli propri della filologia umanistica che sulla scorta del Petrarca e del
boccaccio riscopre e mette in una posizione di rilievo lo studio dei classici.

Filologia 15 novembre

Interessi filologici degli umanisti


Il quattrocento
La filologia umanistica mette in una posizione di rilievo lo studio dei classici. È un fenomeno di
grande importanza, lo studio dei classici non è solo una riscoperta materiale ma è anche un modo
diverso di rapportarsi di vivere il loro spirito, di essere in unione con il loro spirito.

È un fenomeno di grande importanza che parte dall’Italia per espandersi in tutta l’Europa
(pensiamo ad Erasmo da Rotterdam fine ‘400 inizio prima metà del ‘500 e prendeva a modello gli
umanisti italiani che per lui erano una guida in ciò che scriveva nei suoi trattati di carattere
educativo).

Importante per gli studi classici umanistici è un libro di due autori Leighton D. Reynolds

e Nigel G. Wilson: copisti e filologi.

L’umanesimo può rimettere un attività soprattutto letteraria e fu strettamente connessa con lo


studio e imitazione dei classici, soprattutto dal punto di vista letterario.

Origine del termine Umanesimo va ricercata nella parola—> “Umanista”, sorta in ambiente
studentesco nelle università italiane, parola formata nel tardo 400; si è creata in analogia con i
nomi come “legista, giurista”.

Il termine umanista serviva ad indicare il professore di discipline classiche finalizzato allo studio e
all’apprendimento degli “studi umanitatis” studi dell’umanità, allora questi studi erano fissati in
discipline come la grammatica, la retorica, la storia, la poesia tutte discipline di umanità, la
filosofia morale.

L’originario utilizzo classico era finalizzato allo studio e all’approfondimento della letteratura antica
sia greca che latina.

I loro testi sono rivolti alla riscoperta dell’antichità, degli antichi autori classici, non solo materiale
ma anche riscoperta spirituale, un diverso approccio col testo, una visone diversa.

‣ In Italia intono al 1453 (caduta di Costantinopoli) vennero molti greci-bizantini e ci fu anche


l’afflusso di codici greci che venivano portati in occidente, successivamente anche dotti
bizantini che portarono ai nuovi studi un impulso decisivo.

‣ I testimoni manoscritti vengono interrogati con una nuova consapevolezza di metodo: si


discutono e si confrontano lezioni, si riflette sulla genesi degli errori e sui criteri con cui
emendarli, si affrontano senza pregiudizi, con le armi della linguistica, della storia e della
filologia questioni interpretative, attributive e di autenticità anche assai spinose (meritatamente
celebre il caso della presunta donazione di Costantino, smascherata da Lorenzo Valla) ,
caratteristiche degli umanisti sono le furibonde polemiche. Poi c’era negli umanisti un senso di
lotta nei confronti di tutto ciò che era medievale questo a partire d prima del 400 anche con
Petrarca abbiamo un’atteggiamento di sottovalutare opere medievali educative.

La filologia umanistica è, soprattutto nei primi decenni del secolo, rigorosamente latina e, in un
momento successivo dopo la caduta di Costantinopoli divenne anche greca, si interessavano
anche ai testi greci; la tradizione volgare è spesso ignorata, sottovalutata e considerata con
sufficienza (come se le rime di dante e Petrarca fossero poesie da piazza, messe alla stessa
posizione dei rimatori popolari).

Sul fenomeno della filologia in Italia è stato interessante un articolo di Vincenzo Fera dal titolo “la
filologia umanistica greca e latina nel secolo XX” come vengono studiati questi testi nel 900. Pera
osservava anche sulla base di osservazioni fatte da precedenti studiosi che fu significativo il
momento in cui usci l’edizione de le familiari di Petrarca curata da Rossi, uscirono nel 1933 e
furono un modello per le successive edizioni epistolari di altri autori del 300 e 400, addirittura
presero a imitazione la sua suddivisione di tre redazioni: gamma (più antica), beta, alfa (ultima
volontà dell’autore)—> questo sistema di chiamare con queste lettere le diverse redazioni di un
opera fu imitato da altri studiosi e tutt’ora il testo dell’edizione curato da rossi rimane
fondamentale per le famigliari di Petrarca è il punto di riferimento.

La filologia italiana in generale anche quella rivolta a testi in volgare acquisì dalla filologia
umanistica rivolta a testi scritti in latino il metodo scientifico ossia il metodo stemmatico di
lachmann; prima la filologia italiana non si serviva di questo metodo, invece con l’avvento
dell’umanesimo e con degli studi sull’umanesimo si acquisiscono i criteri del metodo
stemmatico.

Verso la fine del ‘400 ed inizio ‘500 i dotti del tempo finiranno con l’applicare alla letteratura
volgare il rigoroso lavoro svolto dagli umanisti sui testi latini e greci (cioè cominciarono ad imitare
il metodo di lavoro degli umanisti).

Tornando ai metodi della filologia umanistica, dell’ “ecdotica” (problemi di edizione dei testi)
abbiamo gia dei modelli che risalgono al ‘400 ad esempio: il Poliziano.

Timpanaro, studioso di filologia classica che come altri ha esteso i suoi interessi all’umanesimo e
al 400 non si è limitato alla filologia classica. In un suo scritto “la genesi del metodo del
lachmann” ricostruisce come è sorto questo metodo; in questo libro si sofferma in particolare su
Poliziano perchè il metodo da lui seguito nel ricostruire l’edizione di un testo è quello che sarà
proprio della filologia moderna, userà prima di tutti i principi moderni (ha avuto questa intuizione).
Timpanaro osserva che questo lo si nota nel “miscellanea”—>raccolta dove lui parla un po di
tutto e soprattutto si sofferma su problemi testuali di costruzione del testo, e nel suo metodo
ricorreva raramente alla congettura cioè all’” emendatio ope ingenii” ; spesso contrapponeva alla
lezione di alcuni codici recenti la lezione del codice vetustus (codice molto antico), ritenendo che
questo Codex vetustus potesse avvicinarsi di più al testo originale dell’autore (si parla di questo
quando il testo originale è perduto, quindi in filologia di copia). In lui sono ben distinte le
operazioni tra: emendatio ope codicum ed emendatio ope ingenii, che saranno affermate anche
dopo metà 400 e poi riprese nel 900. Un altro concetto che gia c’è in poliziano è il ricorso alla:
lectio difficilior (la lezione più rara è probabile che sia la più corretta perchè quella più semplice
facilior può essere frutto di una banalizzazione del copista). Altra considerazione: i codici più
recenti spesso sono copie di un codice più antico e se abbiamo il codice più antico è inutile
consultarli (concetto definito: eliminatio codicum descriptorum).

✤ La vitalità della tradizione volgare che va da Dante, Petrarca e Boccaccio (le tre corone) viene
per un certo periodo lasciata in disparte, ma non solo le tre corone ma anche rimatori minori o
prosatori; però c’è la testimonianza per questi autori (tre corone e quelli minori) della quantità di
manoscritti volgari che si conservano nelle biblioteche di tutto il mondo: i manoscritti in volgare
sono andati aumentando perchè erano aumentati i lettori, lettori non professionisti che
appartenevano a classi non particolarmente letterate; si scrivono libri di ogni genere dai codici
di lusso fino ai codici che raccolgono più scritti miscellanei che costituiscono gli “zibaldoni”
cioè manoscritti che raccolgono vari testi e circolano nell’ambiente piccolo-borghese, sono
definiti “libri da bisaccia” —> perché possono essere inseriti ovunque, nella borsa contengono
di tutto dai testi semplici alla commedia, al canzoniere di Petrarca o alcune novelle del
decamerone. Sono chiamati da “bisaccia” perchè potevano essere portati dietro dai mercanti,
predicatori. Nei zibaldoni non c’è l’ansia di correttezza testuale, di editare un testo corretto,
questi codici possono essere ritagliati e poi cuciti pezzi insieme, smembrati in fascicoli nella
convinzione che il lettore può rimodellare l’opera a suo gusto senza curarsi del rispetto
dell’autore la cui stessa identità era quasi vista superflua; a volte c’era l’abitudine di attribuire i
testi di vario genere a quei pochi maestri di cui si conosceva il nome.

๏ Nell’ambiente umanistico, soprattutto a Firenze la tradizione volgare fu difesa da alcuni senza


successo pensiamo a: Leon battista Alberti che ebbe l’iniziativa del “certame coronario”con il
quale mobilita i rimatori fiorentini per trattare in volgare un tema, l’amicizia , caro alla retorica
classica.

Nel 400 ci fu una battaglia contro i detrattori di Dante, sono caratteristiche degli umanisti le
polemiche, discussioni e dispute; ci furono appunto stati dei detrattori di dante ma anche di
Petrarca.

Nella battaglia contro i detrattori di Dante intervengono umanisti di prestigio come Coluccio
Salutati, il quale, seguace in questo più del Boccaccio che del Petrarca, loda la Commedia e ne
cerca esemplari corretti (come fa poi bembo che ricerca opere volgari corrette); come Leonardo
Bruni, che stende in volgare una biografia dantesca, e come Cristoforo Landino che, ormai
vecchio, dà alle stampe un nuovo e fortunatissimo commento del poema.

Un vero superamento di ogni pregiudizio nei confronti della letteratura in volgare due-trecentesca
si riscontra in un codice chiamato: la raccolta Aragonese, composta tra il 1476 e il 1477, è una
vasta antologia lirica inviata in dono a Federico D’Aragona ed è preceduta da una epistola
dedicatoria firmata da Lorenzo il magnifico ma scritta dal Poliziano. Formata: da una sezione
dantesca (contenente la biografia di dante del boccaccio, la vita nuova e le rime) e da un’ampia
scelta di poesie dei primi secoli e contiene anche poesie dello stesso Lorenzo il magnifico.

È stata studiata da Domenico de Robertis negli anni 70, egli ha dedicato uno studio di
approfondimento su questa raccolta. L’originale è andato perduto abbiamo diverse copie
superstiti: una della nazionale di Firenze, una della laurenziana ed una di Parigi. Questa raccolta
da un input notevole all’affermazione del volgare. Per la parte dantesca si risale alla raccolta del
boccaccio.

Il libro a stampa
• Dalle biblioteche principesche continuavano ad essere esclusi, come prodotti dozzinali di una
lavorazione fatta in serie, i libri a stampa accettati soprattutto negli ambiti scolastici, avevano
un’agevole leggibilità e cominciarono a conquistare il mercato; dopo la fine del 400 l’ambiente
che lavorava il manoscritto pregiato dovette cedere il posto all’ambiente che si occupava delle
stampe: il manoscritto dovette cedere il posto al libro stampato, nonostante ci fosse un certo
rispetto nelle corti principesche che avevano biblioteche con all’interno testi ricercati disprezzo
verso il libro stampato (es: vespasiano da bisticci che rivelerà che Federico da Montefeltro, non
tollerava nella sua biblioteca alcun libro a stampa, se ne sarebbe vergognato) .

Andando avanti la concorrenza del libro a stampa divenne insostenibile e il manoscritto dovette
cedere il passo. Ai primi stampatori venuti dalla Germania si affiancarono degli stampatori di
origine italiana e nel giro di pochi anni in tutte le maggiori città la produzione fu avviata.

Il primato, per quantità e qualità fu di Firenze e, più ancora, di Venezia, dove nell'ultimo decennio
del XV secolo e nel primo del seguente operò il più celebre dei tipografi italiani, Aldo Manuzio
(1449-1515). Le botteghe che producevano manoscritti accusarono il colpo, e molti copisti si
diedero ad apprendere la nuova arte.

Il libro a stampa mise in crisi soltanto la produzione di libri manoscritti venali, allestiti su
commissione da professionisti e quindi inevitabilmente costosi. Sopravvisse invece, in tutte le sue
molteplici forme, il libro manoscritto messo insieme a uso proprio dal privato, che poteva
addirittura trovar più comodo e conveniente (il caso non era raro) trarre copia manoscritta da un
libro a stampa. E naturalmente prosegue la produzione casalinga di zibaldoni, libri di memorie,
cronache, antologie di prosa o poesia. Il libro a stampa è d'altra parte soltanto l'approdo
conclusivo di un processo che per il resto si svolge su carte manoscritte; un caso particolare, che
ha attirato recentemente l'attenzione degli studiosi, è quello del manoscritto che l'autore o il
curatore preparano in vista della stampa e che spesso reca le tracce evidenti (comprese le
"ditate" di inchiostro tipografico) del trattamento subito in officina.

Le conseguenze che il graduale passaggio dal libro manoscritto a quello stampato ebbe sulla
tradizione dei testi letterari in volgare e sul modo di pubblicarli furono diverse e decisive. Lo
stesso concetto di “edizione” cambia radicalmente.

L'edizione manoscritta, sia essa allestita dall'autore o da altra persona, si identifica pur sempre in
un esemplare unico: se non ne vengono tratte copie la sua funzione di trasmettere il testo fallisce;
se viceversa se ne ricavano altri esemplari manoscritti, questi recheranno inevitabilmente
alterazioni più o meno gravi e frequenti, e per il testo inizierà un nuovo processo di
deterioramento. L'edizione a stampa invece, mettendo in circolazione un numero elevato di
esemplari identici (l'eccezione alla regola, vale a dire l'esistenza di modifiche apportate al testo
durante la tiratura degli esemplari, produce casi interessanti, ma la sua incidenza è modesta),
fissa il testo in una forma molto più stabile, rendendone più facile la sopravvivenza e la diffusione.

L'edizione a stampa di un testo, promossa da un imprenditore che agisce per interesse


economico e che non ha di solito competenze letterarie (il caso appena ricordato di Aldo Manuzio
non è la regola), richiede spesso l'intervento di un curatore che procuri il testo e lo predisponga
alla realizzazione tipografica. Nei casi più fortunati a sorvegliare la stampa sarà lo stesso autore, e
in tal caso il libro a stampa avrà a tutti gli effetti valore di originale (ciò che non esclude,
naturalmente, la presenza di errori, da imputare al tipografo ma anche allo stesso autore, poco
attento nella revisione); quando non si possa o non si voglia ricorrere all'autore, il curatore potrà
essere un collaboratore scrupoloso, che valuta le varie fonti disponibili per scegliere la più
autorevole e sicura su cui fondare il testo, si astiene dal modificarlo senza necessità, assiste il
tipografo in ogni fase del lavoro e ne sorveglia l'operato. Più frequente è però il caso che il
curatore lavori in fretta e senza scrupoli, limitandosi a riprodurre una stampa già disponibile o, se
non ve ne siano, il manoscritto più agevolmente raggiungibile, e intervenendo sul testo con
aggiustamenti e modifiche, tagli e integrazioni più o meno giustificabili. A questo proposito
bisogna ricordare che chi stampa e vende libri ha per primo scopo quello di offrire un prodotto
che soddisfi le vere o presunte esigenze del pubblico; accade quindi che alle sue pretese si
debbano piegare tanto l'autore, che con l'invenzione della stampa comincia a sperimentare
l'imposizione delle " correzioni coatte", quanto il curatore, che è spesso indotto o costretto a
intervenire sul testo per adattarlo al gusto dei lettori.

Le manipolazioni, interventi del curatore mirano in primo luogo a completare e sistemare testi
incompiuti o lacunosi, a tagliare parti ritenute superflue o inadatte, a intervenire sulla lingua per
adeguarla all'uso corrente. Non c'è dunque da meravigliarsi se con la diffusione della stampa
accade molto spesso di vedere sacrificato al gusto e alle abitudini del lettore (e dunque alle
esigenze del tipografo o, più tardi, dell'editore) il rispetto della volontà dell’autore.

Una forma di violenza diffusasi con l’avvento della stampa è: la censura che soprattutto a partire
dal 500 si diffonde e diviene sempre più pesante, in questo modo le autorità sia civili che religiose
intervenivano sui testi fino al punto di vietarne la stampa o di rassettare, correggere il testo
originario in modo da togliere alcuni parti da loro non accettate.

Gia nel 400 molti autori iniziano ad occuparsi dell’edizione a stampa delle proprie opere
soprattutto nei primi tempi della stampa capita che non sopravviva nessun esemplare e che
l’opera ci sia tramandata solo da manoscritti e da edizioni non originali, capita che l’esemplare
(editio princeps) non ci sia —> questo è il caso dell’opera del Boiardo: l’innamoramento de
orlando che nel 1482 ebbe una prima edizione a stampa, limitata ai primi due libri e probabilmente
sorvegliata dallo stesso Boiardo, di quest’edizione non se ne è conservato neanche un’esemplare.
È un’opera incompiuta a cui successivamente verranno fatte delle giunte, la più celebre è
l’orlando furioso di Ariosto che è una sorta di completamento e ampliamento dell’orlando
innamorato; per molti secoli l’originale del boiardo viene soppiantato da rifacimenti condotti in
modo vario oltre ad Ariosto intervennero anche altri. L’edizione critica di questo testo usci nel
1999 presso la ricciardi in due volumi e strutturata da due studiose e attraverso questa edizione le
studiose hanno cercato di ricostruire la storia della tradizione di quest’opera; si tratta di una storia
editoriale affidata quasi interamente a stampe che si sono conservate in un unico esemplare dopo
che gli originali di mano dell’autore andavano perduti. C’è stato tramandato un solo manoscritto
che però è copia di una stampa, il manoscritto è il codice trivulziano 1094 che sembra il risultato
di una copia di una stampa perduta. Oltre alla prima edizione (editio princeps) scompare anche
quella del 1495. I testimoni più antichi di questo componimento sono: da una parte l’edizione
parziale del testo ossia Piasi del 1487 e poi rimane una copia unica una edizione che è completa
del poema uscita a Venezia nel 1506 (la princeps non rimane, quella integrale del 95 neppure
rime solo l’edizione del 1506).

Più fortunata, nel Cinquecento, la sorte di opere importanti di cui si conservano le edizioni
originali, come le Prose della volgar lingua, che il Bembo poté curare personalmente, esse
consistono in tre dialoghi e viene dimostrata la superiorità del fiorentino sugli altri dialetti ed
abbiamo le prime regole della grammatica (anche se la prima grammatica è stata quella di
fortunio).

Notissimo ed esemplare il caso del Furioso, che fu stampato sotto il controllo dell'autore nella
prima (1516), nella seconda (1521) e nella terza edizione (1532), ampliata e corretta. La cura che
l'autore dedicò all'ultima edizione del capolavoro fu attentissima, al punto che errori di stampa
identificati dall'Ariosto durante la lavorazione furono corretti prima che si completasse la tiratura,
con il risultato che le copie residue del poema rivelano alcune differenze. (Sorte analoga avrà,
nell'Ottocento, la seconda edizione (1840) del Promessi Sposi).

Non mancano, naturalmente, edizioni uscite senza che l'autore eserciti alcuna forma di controllo
(è il caso della Mandragola del Machiavelli) o che l'autore è indotto a pubblicare per contrastare
una diffusione, a stampa o manoscritta, avvenuta contro la sua volontà caso esemplare di
pubblicazione avvenuta, non solo senza, ma contro l'espressa volontà dell'autore, sarà quello
della Gerusalemme Liberata del Tasso.

Infine, non sono poche le opere, anche fra quelle oggi considerate capitali, che rimangono inedite
fino alla morte dell'autore, e che hanno una più o meno vasta circolazione manoscritta: basterà
ricordare che le Stanze furono edite a Bologna solo poche settimane prima della morte del
Poliziano (che probabilmente non arrivò a vedere il volume), il Principe venne stampato solo nel
1532, mentre le opere del Guicciardini rimasero in massima parte sconosciute fino a molti anni
dopo la morte dell’autore.

Il cinquecento
L’edizioni di Petrarca e dante curate dal bembo e da manuzio sono: 1501 “le cose volgari di
messer Francesco Petrarca” e nel 1502 “le terze rime di dante” curate dal bembo presso
Manuzio.

Sullo stesso originale del Petrarca (vaticano latino 3195) bembo correggerà il testo allestito nel
1501 per Aldo Manuzio; quest’edizione curata dal bembo ebbe molta fortuna però non è fedele
alla lingua originaria del testo, questa lingua originaria viene spesso trasformata secondo la norma
grammaticale.

Nel 1502 collaborò con manunzio per curare un’edizione della commedia di Dante. Bembo nel
fare questo lavoro si basò sul codice di dante posseduto dal Petrarca ossia il vaticano latino
3199, da questo codice bembo aveva tratto una copia per la tipografia (ossia esce fuori il
manoscritto vaticano latino 3197).

Con le edizioni di dante e Petrarca bembo e manuzio recuperavano il prestigio della letteratura
volgare che era stata messa in secondo piano dagli umanisti nel 400 e poi con le prose della
volgar lingua verrà additato a modello per la poesia Petrarca e per la prosa boccaccio.

Come Petrarca, Boccaccio e i primi umanisti avevano rintracciato e trascritto i codici dei classici
latini e greci, cosi lo stesso Bembo e altri letterati della sua cerchia si mettono a ricercare libri
volgari (soprattutto raccolte di rime, ma anche prose narrative) due-trecenteschi: spesso ne
traggono copie che, quando gli esemplari non sopravvivono, acquistano valore di testimonianza
primaria. Sui margini di quelle copie, o delle stampe via via disponibili, vengono annotate lezioni
alternative: sono quei "collettori di varianti" che, riproponendo modelli ben noti alla filologia
umanistica, già si configurano come abbozzi di edizioni critiche.

Riemergono codici volgari le cui tracce si erano perdute (o riperdute, dopo il primo recupero
all'epoca del Magnifico e della Raccolta Aragonese): Bembo mette le mani su un canzoniere, poi
disperso, affine al Chigiano L. VIlI. 305, e si procura, tramite l'amico Giulio Camillo, la copia (ora
codice Vat. Lat. 3214) di un altro manoscritto, oggi pure irreperibile, contenente il Novellino e
un'antologia poetica duecentesca.

Altre figure nella ricerca di essi in volgare: Mario Equicola ritrova l'Escorialense, Angelo Colocci il
Vaticano Latino 3793, su cui lascia annotazioni e postille e da cui fa trarre copia (l'attuale Vaticano
Latino 4823), mentre da tre diversi codici appartenuti al Bembo, a Giovanni Brevio e a Lodovico
Beccadelli attinge l'abate fiorentino Lorenzo Bartolini per mettere insieme una sua preziosa
raccolta, ora alla Biblioteca dell'Accademia della Crusca. L'eccellenza riconosciuta al modello
petrarchesco stimola nuove ricerche sulla sua produzione volgare: lezioni desunte da perduti
autografi dei Trionfi sono scrupolosamente annotate nei cosiddetti "apografi" cinquecenteschi,
mentre, giovandosi di abbozzi più abbondanti di quelli ora raccolti nel Vat. Lat. 3196, ancora il
Bembo può istituire, nelle Prose raffronti di ordine stilistico che possono essere considerati come i
primi tentativi di critica delle varianti.
Filologia 16 novembre
Ieri siamo giunti no al Bembo che si mette a raccogliere manoscritti e a collazionarli di vari autori
importanti creando come un gruppo (collettore) di varianti del testo che viene preso in esame,
confrontato con altri manoscritti. Questa operazione ci introduce alla lologia moderna dove,
secondo il metodo stemmatico, laddove non c’è l’originale, bisogna collazionare le varianti. Quindi
lui ha fatto la collazione e ha creato gruppi di varianti per singoli passi. E ora sono importanti delle
istituzioni sia del 500, 600, 700, istituti che si creano con l’interesse per i testi, per la restituzione
del testo e anche biblioteche per la conservazione del testo.

Uno di questi è l’Accademia della Crusca: risale al decennio 1570-80, i cui intenti erano rivolti
soprattutto alla lettura di opere di autori volgari, l’importanza in questa istituzione viene data agli
autori volgari.

Uno dei principali promotori fu Leonardo Salviati, chiamato l’infarinato (il nome dell’accademia
della Crusca ricorda la farina, il pane) il quale diresse l’accademia verso lo studio dei problemi
della lingua volgare tenendo presente il modello di lingua che aveva promulgato il Bembo, che
prevedeva il primato del volgare orentino modellato sugli autori del ‘300.

Bembo propone il Petrarca per la versi cazione (la poesia) e Boccaccio per la prosa.

Spiegazione del nome Accademia della Crusca:


Questa accademia doveva separare il or di farina, cioè la buona lingua, dalla crusca, cioè la
lingua inquinata (contaminazione con vari dialetti).

Si decise che gli oggetti di proprietà dell’Accademia dovessero avere nomi attinenti al grano, alla
farina, al pane, persino gli stemmi degli accademici (avevano ognuno uno stemma personale ed
evocavano elementi di costituzione del pane). Nel 1590, dopo 10 anni, l’attività dell’accademia si
concentra nella preparazione del vocabolario. I primi autori consultati furono Dante con la
Commedia, Boccaccio con il Decamerone, Petrarca con il Canzoniere. Quindi le tre corone, cioè i
tre autori di rilievo per le origini della storia della letteratura italiana.

I vocabolaristi si proponevano di mostrare e conservare la bellezza del orentino del ‘300, infatti
Dante tra ne ‘200 e 300 (primo ventennio), Boccaccio e Petrarca del ‘300. Furono anche
consultati anche testi successivi di autori non orentini per esempio del Bembo ed Ariosto. Si
a rontarono questioni di metodo, in particolare su come andavano a rontati li problemi delle voci
dell’uso (voci=parole usuali dell’uso) e quello dell’inserimento delle etimologie: studiare quali
erano le parole più divulgate era uno scopo importante per i vocabolaristi e anche le etimologie
delle parole che potevano avere delle origini latine o greche.

La prima edizione del vocabolario uscì nel 1612, suscitando interesse ma anche disputa, in
particolare non era condivisa da tutti la scelta di privilegiare apertamente la lingua orentina e in
particolare la lingua che utilizzavano i vocabolaristi era il orentino antico. Questo vocabolario
godette di un’ampia fortuna, divenne il modello seguito anche in Europa per la redazione dei
vocabolari, altri vocabolari simili nell’intento presero a modello il vocabolario della crusca.

Attualmente l’Accademia della Crusca rimane il più grande centro di ricerca scienti ca dedicato
allo studio e alla promozione della lingua italiana. L’intento è la ricerca e approfondimento della
lingua italiana in generale.

Nel corso nel ‘600 uscirono le prime tre edizioni del vocabolario, però gli studi lologici italiani, fa
eccezione la lologia classica, sono piuttosto trascurati.

La lologia italiana dei testi volgari delle origini e andando avanti no alla ne del ‘500, vengono
trascurati perché era diminuito l’interesse da parte dei letterati e dei lettori per le opere del
passato; si salvavano solo alcune come ad esempio la Commedia che continuò ad essere di usa
in tutte le classi sociali.

Fa eccezione la lologia classica perché l’attenzione verso gli autori classici è rimasta più a lungo
e più costante.

Poi vi è un ambito di cui vi parla Bentivogli su cui voglio richiamare l’attenzione sulle biblioteche e
la costituzione di queste ultime nel ‘600 e ‘700. Le biblioteche sono simbolo del momento della
conservazione dei testi prima che vengano ricostruiti e studiati lologicamente, quindi è
importante conservarli bene. Per esempio è ricordata la Biblioteca Ambrosiana che ha sede a
Milano, che per iniziativa del Cardinale Federico Borromeo (citato nei promessi sposi del
Manzoni), fu aperta al pubblico nel 1609 e un’altro caso il fondo dell’Erudito Antonio Magliabeti,
siamo in pieno ‘600, questo fondo costituisce uno due più antichi nuclei della biblioteca nazionale
di Firenze. Un’altra raccolta è quella del letterato e scienziato Francesco Redi, vissuto in pieno
‘600, in questa raccolta ci sono opere importanti della letteratura delle origini e questo raccolta
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(seicentesca) nirà nel 1820 alla Laurenziana di Firenze, biblioteca di Firenze. Questa raccolta sarà
uno dei fondi più importanti della Laurenziana infatti si dice quando si cita un manoscritto del
fondo Redi: il rediano: perché fa parte del fondo Redi.

Un’altro personaggio che ha operato molto nel campo di conservazione dei testi è Fulvio Orsini
(morto nel 1600) era prevalentemente uno studioso di lologia classica e in particolare di Cicerone
ed ha il merito di aver raccolto e donato alla biblioteca Vaticana (la prof non ricorda se ha ricevuto
qualcosa in cambio o è stato donato) il suo fondo di libri che conteneva numerosi codici volgari
tra i quali i due originali del Canzoniere e cioè il Vaticano latino 3195 (codice u ciale di tutti i 366
componimenti del Canzoniere) e anche il codice Vaticano latino 3196 (codice degli abbozzi, quello
di cui vedete l’edizione critica di Laura Paolino. Gli abbozzi vuol dire minute, brutte, che Petrarca
preparava in vista di poi copiare l’ultima redazione nel codice u ciale: il Vaticano latino 3195).

Tutti e due dopo esser stati nelle mani nel Bembo, nirono nel fondo di Fulvio Orsini, e da li
quando mori andarono alla Vaticana, dove sono tutt’oggi.

Ritornando alla prima biblioteca ricordata, l’ambrosiana di Milano, il Cardinale F. Borromeo si era
prodicato per creare un collegio di alunni presso la sede della biblioteca che venissero istruiti in
quella facoltà e anche in varie lingue, per insegnarle in futuro. E riunì anche una sorta di stamperia
per le opere in lingue orientali, in particolare in ebraico, in caldeo, in arabo, persiano ed armeno
che interessano la letteratura cristiana. Poi abbiamo nell’Ambrosiana il famoso Virgilio Ambrosiano
annotato dal Petrarca e le postille sono state edite da Marco Petoletti e proviene appunto dalla
biblioteca ambrosiana e dovrebbe essere la segnatura S ARM10, SCAT27 (S= sala del Prefetto;
ARM= armadio; SCAT=scatola). È uno dei testi classici che il Petrarca ha studiato e guarnito di
più. Questo codice era letto ed annotato da Petrarca a partire dal 1338, no all’ultimo periodo
della vita e poi fece parte della biblioteca dei Visconti, dove alcuni codici della ricca biblioteca del
Petrarca, alla sua morte andarono a nire ai Visconti, quindi ha girato diverse biblioteche ed ha
molti codici.

Il Cardinale Borromeo lo fece acquistare dall’Abate Ma a nel 1600 per la biblioteca ambrosiana,
visto che era rivolto a curare, arricchire. Fece acquistare questo codice molto importante,
testimonianza dell’attività esegetica del Petrarca.

Poi tra le raccolte librarie va ricordata quella che nel 1714 fu legata alla città di Firenze, dal
biblio lo Antonio Magliabechi, quest’ultimo ha costituito un fondo della biblioteca nazionale di
Firenze, Magliabechi è vissuto in pieno 600 e questa diventerà il nucleo della biblioteca nazionale
centrale. Nel 2000 c’è stato uno studio speci co di Maria Mannelli Goggioli sulla biblioteca
magliabecchiana, dal titolo appunto “La biblioteca Magliabecchiana: libri, uomini, idee per la
prima biblioteca pubblica a Firenze”. Sulla discussione di quale sia stata la prima biblioteca
pubblica a Firenze ci sono vari studi e teorie. Anche il Petrarca aveva avuto l’intenzione di donare
il suo fondo a Venezia, al convento di San Marco in particolare e sembrava che tutto andasse in
porto ma poi ebbe uno screzio con dei neo loso della or ore delle famiglie veneziane che lo
avevano criticato come un uomo ignorante, quindi decise di cambiare direzione e abbandonare
l’intenzione di donare la sua biblioteca. Cosi altri come Boccaccio, Niccoli e altri si erano
adoperati per la creazione di una biblioteca pubblica dove tutti potessero entrare.

Sempre a Firenze, centro più attivo per i libri della letteratura italiana delle origini, si costituiranno
la Riccardiana, dove il primo nucleo risale alla ne del ‘500, raccolto dal poeta Riccardo Romolo
Riccardi. Questa è un’altra biblioteca orentina insieme alla Laurenziana, al fondo Magliabechi
della nazionale, il fondo Redi.

La raccolta di Redi l’abbiamo vissuta in pieno ‘600, qualche notizia più particolareggiata sul fondo
Redi: in questo fondo c’è uno dei più antichi Canzonieri che è conservato nella Laurenziana di
Firenze (laurenziano rediano 9, base dell’edizione di meravigliosamente di g. Da lentini).

Poi la biblioteca Vaticana ricevette il fondo di Fulvio Orsini, il suo fondo viene donato alla sua
morte nel 1600. Notizie su di lui: è un personaggio noto, glio illegittimo della grande famiglia
Orsini di Roma, dovette l’indirizzo dei suoi studi e la sua carriera a un dotto canonico chiamato
Gentile Del ni della Chiesa di san Giovanni Luterano di Roma e più tardi alla protezione della
famiglia Farnese per i quali svolse la mansione di bibliotecario. Alcuni dotti ed eruditi ricoprivano il
ruolo di bibliotecari presso grandi famiglie che potevano possedere fondi librari. Orsini fu studioso
e collezionista, amava la raccolta di manoscritti seguendo la tipica tradizione rinascimentale.
Scrisse anche delle opere come il Virgilius Illustratus, panorama della cultura letteraria di Virgilio,
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curò l’Editio Princeps, la maggior parte dei libri frammentari di Polibio, storico greco che si pone
accanto a Tucidide, a Senofonte, a Erodoto e Tucidide però è uno dei più fede degni.

Poi contribuì molto agli studi classici, questo suo contributo è caratterizzato dall’ampiezza di
interessi che aveva, che abbracciavano tutte le forme dell’arte antica. Raccoglieva, collezionava
anche reperti di monumenti antichi, monete. Aveva interessi vasti, come la scultura, le iscrizioni,
tutte realtà tangibili ed antiche, non necessariamente letterarie.

Tra gli autori che studiò a ondo c’è Cicerone. Poi ebbe contatti con importanti eruditi stranieri,
come ad esempio Giusto Lipsio, Jan Gruter, dunque era anche interessato anche ai contatti con
altri Paesi.

Mentre la sua raccolta letteraria e storica nì alla Vaticana, la raccolta archeologica dove c’erano
esemplari nì a Napoli (museo o biblioteca non lo sa).

Tra i libri con uiti alla Vaticana c’erano molti autogra di umanisti, per esempio Petrarca ma anche
codici molto antichi come Virgilio Augusteo: Vaticano Latino 3256, vi era anche un Pindaro:
Vaticano greco 1312 e anche il Virgilio Vaticano: Vaticano Latino 3225 ed anche Terenzio scritto in
capitale rustica: Vaticano Latino 3226.

Ci sono stati vari studi anche recenti su Fulvio Orsini, non è da dimenticare però lo studio di Pierre
De Nolhac, studioso francese di Petrarca ed Erasmo, che pubblicò “ La Biblioteque de Fulvio
Orsini”, uscito a Parigi 1887 ma resta sempre un punto di riferimento importante, come per
Petrarca, Nolhac scrive “Petrarca et l’humanisme” mettendo in evidenza tutte le caratteristiche
umanistiche del Petrarca. Questo libro è composto di due volumi, è la ricostruzione della sua
biblioteca. Molti studiosi del medioevo ed umanesimo tra cui anche Augusto Campana, diceva
che per conoscere la formazione di un umanista, bisogna ricostruire la sua biblioteca, perché solo
ciò contribuisce a riconoscere la personalità e gli interessi di un autore.

Settecento, 18esimo secolo


Non vi sono grandi progressi sul piano del metodo lologico. Passiamo ad esaminare le
biblioteche in rapporto alla lologia, importante è il riaccendersi dell’interesse per la letteratura
antica nell’Arcadia. Tra gli eruditi del secolo troviamo: Ludovico Antonio Muratori, vissuto a
cavallo tra ne ‘600 e prima metà del ‘700, egli recupera tra le varie opere storiche “la cronica di
anonimo romano”—> una cronaca che narra vari eventi relativi a Roma, composto verso la metà
del ‘300; muratori ritiene importanti le indagini sulla tradizione manoscritta e nuove edizioni di testi
poetici delle origini (presta attenzioni ai testi delle origini 200-300).

Ottocento
I primi decenni dell’ottocento non furono fecondi per la lologia in Italia. La tradizione erudita
settecentesca ebbe pochi eredi ( tradizione arcadia, muratori) e si debbono attendere gli anni
sessanta dell’800 quando si a ermerà la cosiddetta: scuola storica, che accerterà la storicità dei
racconti, della descrizione degli eventi, sarà rivolta alla ricostruzione documentata del quadro
storico in cui opera un certo autore (ricostruzione del quadro storico in cui opera l’autore del testo
per il quale ci si interessa) ed anche una corretta restituzione dei testi (ricostruzione storica si deve
basare su documenti a dabili).

Rimane signi cativo come evento nel 1860 la nomina su due cattedre di letteratura italiana
rispettivamente di Giosuè Carducci (a Bologna) e di Alessandro D’Ancona (Pisa), due studiosi
fondamentali rivolti a ricostruzione storica dell’ambiente in cui nascono i testi ed anche a corrette
restituzioni dei testi.

Sempre nel 1860 viene fondata a Bologna la commissione per i testi di lingua, di cui facevano
parte anche Carducci e d’ancona. Questa commissione aveva il compito di ricercare e pubblicare
testi letterari dei primi secoli, ricorrendo alle biblioteche che con l'unità erano state aperte al
pubblico.

La presidenza della commissione era stata a data a Francesco Zambrini (primo editore di un
cantare noto: il bel Gherardino); queste persone della scuola storica erano rivolte a pubblicare
testi inediti, poco noti e pubblicarli secondo criteri che garantissero l’obiettività, la correttezza del
testo. Lo zambrini come altri suoi contemporanei si può de nire un “purista”—> cos’è il purismo?:
il purismo linguistico tende a tornare agli autori del trecento come a modelli di lingua letteraria (si
segue quello che era stato il progetto del bembo: prendere due autori come modelli della lingua
letteraria italiana); con il purismo nasce di nuovo il gusto vigile della disciplina stilistica cioè lo stile
che lingua si deve usare, che strutti sintattici si devono usare.

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๏ Carducci e la sua scuola non possedettero gli strumenti lologici adeguati del metodo del
lachmann, però si deve riconoscere che la sua attività editoriale (come editore curatore di testi),
rivela interessi e competenze di ordine lologico in parte nuovi (cioè pretende alcune
considerazioni che si faranno poi nell’ecdotica successiva nella disciplina della ricostruzione dei
testi, la lologia). Curerà delle edizioni, per esempio cura edizioni solo di cantilene, ballate,
strambotti e madrigali sempre della poesia delle origini cioè del duecento e trecento, curò delle
poesie di M.Cino da Pistoia e di altri. Per alcune sue edizioni lavorò spesso su materiale di
prima mano, cioè su manoscritti, in particolare orentini e dimostrò si saper valutare con cura le
varianti e di proporre convincenti correzioni.

Secondo Carducci l’indagine erudita, storica e lologica deve preparare il giudizio critico, (prima
di giudicare bisognerebbe fare un’indagine erudita e lologica del testo).

C’è un passo tratto dalla premessa dell’edizione delle rime del Petrarca : “La prima cura di chi
pubblichi e commenti l'opera d'uno scrittore classico ha da essere intorno al testo. Qual è la
lezione, non che piace più a me o a questo o a quel critico, non che si a accia allettatrice
improvvisa da questo o quel codice più o meno antico, ma che usci ultima dalla penna
dell’autore?” “Tale è la domanda che un editore non materiale e non empirico dee aver sempre
innanzi alla mente per rispondervi con la maggior certezza ch'ei possa”.

๏ Alessandro D'Ancona, caposcuola riconosciuto del metodo storico, privo di una solida cultura
umanistica (che possedeva carducci) di base, però attese all’edizione interpretazione di vari
testi dei secoli delle origini; curò l’edizione del codice, uno dei codici dei più antichi canzonieri:
il vaticano latino 3793.

Nel 1883 ci fu la fondazione di una rivista: giornale storico della letteratura italiana, nella redazione
c’erano nomi noti: Francesco Novati, Rodolfo renier e Arturo graf. è una rivista, periodico che
diventerà l’organo u ciale della scuola storica; gli studi che vengono pubblicati su questa rivista
si concentrano sulla ricostruzione erudita, sulla ricerca di dati particolari del testo pubblicato, il
recupero di materiali d’archivio e la lettura e consultazione di testi manoscritti noti per dare loro
notorietà. Nell’ambito dell’iniziativa di questa rivista troviamo l’edizione dell’epistolario di Coluccio
Salutati curato dal novati (ma il promesso volume, che avrebbe dovuto illustrare i criteri adottati
nella ricostruzione del testo, non fu mai pubblicato).

✦ Una delle prime applicazioni del metodo stemmatico si ritrova nel campo della lologia
romanza, in particolare quest’applicazione si ritrova in Pio Rajna che si serve di un’applicazione
rigida di questo metodo lologico soprattutto nel suo lavoro di ricerca nelle fonti dell’ orlando
furioso ed anche nell’edizione del de vulgari eloquentia (1896). Ricopri la prima cattedra di
letterature romanze (1874).

Tra i testimoni del de vulgari eloquentia prese in considerazione due codici importanti: il
manoscritto trivulziano 1088 e il manoscritto di Grenoble (biblioteca civica 580), non essendo
ancora stato ritrovato il codice di Berlino della Staatsbibliothek.

Come è il suo metodo—> esamina e confronta sistematicamente questi testimoni, quindi applica
la vera collazione (quello propugnata da lachmann); sono de niti i rapporti, si giusti ca la scelta
delle varianti, sono anche corretti gli errori sulla base dello stemma .

Le sue pagine introduttive intitolate “testi critici”, pubblicate in appendice alla seconda edizione di
un testo chiamato “avviamento allo studio critico delle lettere italiane di guido mazzoni”, da
un’accurata illustrazione del metodo del lachmann. Testi critici può essere considerato come il
capostipite della numerosa famiglia di manuali novecenteschi di lologia italiana.

Anche Michele barbi applica il metodo lachmaniano, nella sua edizione critica della vita nuova di
dante. Questa edizione diventa esemplare nel campo dei testi delle origini per il tentativo di
scienti cità e obiettività di restituzione dei testi. Qualche notizia: fu allievo di Rajna e di d’Ancona,
quest’ultimo lo avviò agli studi danteschi; fu direttore di una rivista “il bullettino della società
dantesca italiana” e poi degli “studi danteschi”.

L’edizione della vita nuova che è stata edita più volte a partire dal 1907 e poi 1932, può ritenersi
esemplare per l’equilibrata valutazione delle varianti e chiarezza dell’apparato critico.

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Un problema riguardava la resa gra ca, problema degli editori di testi antichi delle origini,
soprattutto in una traduzione come quella della vita nuova che è una tradizione a testimonianza
plurima (con più testimoni dove l’originale è perduto).

A questo proposito, Barbi sostenne che l'aspetto fonetico andava in tutto salvaguardato, che cioè
nessun elemento sostanziale della lingua antica doveva essere alterato, ma che viceversa, per
non intralciare il lettore, si dovevano ridurre all'uso moderno quelle gra e che nei primi secoli
erano state introdotte per adattare l'alfabeto latino ai suoni della lingua volgare (come cha e cie
rispettivamente per ca e ce, ngn per gn, (g/ per g/ ecc.); allo stesso modo, venivano abbandonate
tutte quelle gra e latineggianti, etimologiche o pseudoetimologiche, di cui scrittori e copisti fecero
largo uso no a tutto il Quattrocento e oltre, ma che già allora non avevano rispondenza
nell'e ettiva pronuncia (ct e pt per tt, x per s o ss, ph per fecc.). In altre parole, la lingua antica
veniva scritta con la gra a odierna.

Filologia d’autore
Con questo termine si indica l’insieme di metodi e problemi relativi all’edizione di opere
conservate da uno o più manoscritti autogra o idiogra ( ossia il testo scritto da un’altra persona
ma rivisto dall’autore, oppure anche la stampa vista dall’autore), riguarda soprattutto i testi
moderni e contemporanei.

Studia in particolare le varianti d’autore cioè i cambiamenti che l’autore apporta nel corso del
tempo.

Nel campo della lologia classica dove l’originale dista secoli dalle copie è stato a rontato questo
problema nel caso di varianti o erte dalla tradizione che si rivelano come varianti d’autore
(Problema a rontato da Pasquali e Mariotti).

Sia Pasquali che Mariotti per i classici greci e latini avvertono di usare molta prudenza nel voler
scoprire varianti d’autore nella tradizione classica dei testi greci e latini. Abbiamo un articolo di
Mariotti: “varianti di autore e varianti di trasmissione (meccaniche)”, uscito negli atti di un
convegno tenuto a Lecce nel 1984 che rimane fondamentale come discorso sulle varianti d’autore
come rimangono anche fondamentali le osservazioni del pasquali sul problema varianti d’autore ,
come si fa a ritenere varianti d’autore una variante di un testo classico antico.

In età moderna è attestato che abbondano i testi originali, spesso autogra che recano modiche
volute dall’autore a seguito del lavoro di lima, pulitura cioè i ritocchi dovuti a ripensamenti
(abbiamo parecchi casi, prima vi citavo come autori moderni: Morante, Pasolini, Moravia); qui si
parla anche del poliziano in quanto è stato uno dei primi ne 400 a sentire l’importanza di alcuni
aspetti della ricostruzione dei testi che saranno poi confermati dalla critica del testo dell’età
moderna, dell’ecdotica moderna (come eliminatio codicum descriptorum).

In alcuni casi la sua edizione degli opera omnia uscita presso manuzio nel 1498 discordano in
molti casi dai testimoni manoscritti autorevoli che sono rimasti e ci può far dubitare se queste
lezioni dell’aldina sono varianti d’autore o varianti dei copisti trasmesse poi nella stampa (si ha
anche per uno del 400 abbastanza noto dei dubbi nel giudicare se quelle varianti sono dovute
all’autore o al tipo di trasmissione).

Spesso come dichiarano molti studiosi di lologia come il perosa, che studiò la tradizione delle
poesie latine del poliziano (specialista del poliziano latino) è secondo lui quasi impossibile
distinguere la variante d’autore da interpolazioni (cioè ritocchi dovuti ad altre persone) quindi ad
esempio nel caso di poliziano editore ed autore provengono dallo stesso ambiente culturale e
sono soggetti agli stessi errori e alle stesse deformazioni stilistiche.

Prendiamo come esempio due casi del problema se giudicare variante d’autore o no un ritocco
fatto da una mano che sembra quella dell’autore. —> questo riguarda un codice: il codice della
laurenziana (laurenziano) acquisti e doni 441.

Uno studioso Vincenzo fera ha ravvisato una tta serie di note che sono sicuramente di origine
petrarchesca, note che commentano il testo dell’africa, che è un suo poema che riguarda la lotta
tra i romani e gli africani. Due casi ricorda molto particolari:

1. Africa libro V 550— le varianti petrarchesche sono due, a margine c’è convincti (legati insieme)
e coniuncti (congiunti) quindi entrambe andrebbero bene; fera osserva che queste parole sono
quasi identiche nella scrittura e che sarebbero potute essere considerate delle banalizzazioni
ma lui le ritiene di sicura origine petrarchesca.

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2. Africa libro VIII 276—altro caso di variante petrarchesca, il problema riguarda la parola
monens e a margine troviamo vel movens, sono verbi che semanticamente sono diversi:
monens vorrebbe dire rompendo il silenzio, mentre l’altro provocare il silenzio. Anche in
questo caso fera assicura l’ascendenza petrarchesca ma potrebbe anche esserci la
banalizzazione.

Però è di cile esprimere un giudizio sull’ascendenza di queste varianti. Lui le ritiene varianti
d’autore ma è di cile dirlo per certo.

Dictata= note prese dagli alunni durante la lezione del docente. Ci si trova difronte a una
tradizione orale, le annotazioni sono dovute ad una traduzione di resoconto orale da parte del
docente quindi si pongono dei problemi diversi perchè ci sono errori d’udito.

È un caso del tutto particolare quello della tradizione orale, anche la predica annotata è
testimonianza di tradizione orale con problemi diversi dalla tradizione di copia scritta. Questo dei
dictata è un caso del tutto particolare perchè da un certo punto di vista si può considerare un
autografo dell’alunno e documenta la cultura degli allievi in quel tempo. Essi inoltre rappresentano
anche il testo nato, scritto dall’alunno durante lo svolgimento di una lezione, rispecchiano anche il
pensiero del maestro. È nato per essere orale e realizzato nell’oralità, in questo genere di testo
rimane particolarmente di cile distinguere le varianti dell’autore o no ( di chi sono le varianti
dell’alunno o del maestro). Anche qui è di cile descrivere le varianti d’autore.

Ad esempio componio leto, durante un corso tenuto sul de lingua latina di varrone (testo che
interessava molto gli umanisti del tempo per gli interessi per le antichità ) commentando il libro
V.29 c’è una frase in uno dei dictata “sopra il ume Volturno i romani creano una colonia” prima
della parola deduxerunt l’allievo aveva scritto condiderunt (fondarono), parola che poi ha
cancellato: di chi è questa variante dell’alunno o del maestro qui si può osservare che si tratta di
una precisazione di componio il quale avrebbe voluto ripetere “colonia deducere”l’espressione dei
classici che ricorre in fonti classiche. In un contesto del genere che registra un discorso orale
sono frequenti gli errori d’udito, in questo caso le parole hanno una certa somiglianza per il suono
ed un signi cato completamente diverso.

Un’esempio moderno di varianti d’autore è citato da Mariotti a proposito di varianti fonicamente


simili ma semanticamente molto diverse. Lui cita un caso dell’opera di Pavese “il mestiere di
vivere” dove la parola in questione è sfoghi che sarebbero smancerie, sfoghi è variante
soprascritta a un altra “svaghi” sollecitata dall’a nità del suono; anche in questo caso non siamo
certi se si tratti di variante d’autore o di stampa.

Per quanto riguarda la lologia d’autore un caso emblematico è rappresentato dal Canzoniere di
Petrarca, conservato nel codice degli abbozzi (edizione del codice: vaticano latino 3196)
composto di 20 carte che conservano con correzioni, varianti e postille alcuni testi che entreranno
poi a far parte dell’originale del canzoniere. Alcuni di questi componimenti cosi come sono
entreranno nel canzoniere u ciale che è quello che comprende 366 componimenti (vaticano
latino 3195), sono in parte tutti e due autogra .

Lo stato de nitivo del canzoniere fu raggiunto attraverso un lungo processo evolutivo che si rivela
dagli abbozzi presenti del vaticano latino 3196.

È un caso questo del Petrarca eccezionale per l’epoca in cui ritroviamo questi testi autogra . Ma
quando per gli autori più recenti questi casi diventano frequenti allora può intervenire il metodo
della lologia d’autore, l’attenzione dell’editore è rivolta al momento creativo e si formulano ipotesi
sia nella fase di gestazione sia nella fase dei rifacimenti avvenuti dopo la prima pubblicazione.

Per i moderni (anche autori 800: Manzoni) ci possono essere ritocchi avvenuti anche dopo la
pubblicazione cosi anche per l’Ariosto, fa ritocchi anche sulle stampe.

Viene citato il caso di Proust, il quale dichiarava: “non mi è molto gradito il pensiero che a
chicchessia (se ci si occuperà ancora dei miei libri) sarà consentito di compulsare i miei
manoscritti, di confrontarli col testo de nitivo e di trarne ipotesi sempre sbagliate sulla mia
maniera di lavorare, sull'evoluzione del mio pensiero ecc.» lui non voleva che si conservassero
alcuni suoi appunti dopo la sua morte.

Ma ai manoscritti e dattiloscritti proustiani è stato necessario far ricorso perché A la recherche du


temps perdu rappresenta un caso esemplare di opera il cui autore è morto prima d'arrivare a
completarne la stampa e mentre stava lavorando al rimaneggiamento di parti già pubblicate.

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È di cile dare un giudizio sulle varianti ‘autore sui ripensamenti quando le opere non sono state
portate a termine durante la vita dello stesso autore. Per proust il resto dell’opera fu pubblicata a
cura dei familiari sulla base dei suoi appunti manoscritti. Poi bisogna vedere se questa produzione
è quella che avrebbe voluto proust se fosse in vita e avesse potuto controllare il suo testo.
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Filologia lezione del 22 novembre

Il codice degli abbozzi, Vat. Lat. 3196 ed. curata da Laura Paolino

[I fogli che precedono questa edizione di L.Paolino, sono delle pagine dello stoppelli altre sono
tratte dai criteri di edizioni da contini. Perlopiù abbiamo la scansione delle varie redazioni come è
presentata da stoppelli].

L’opera di Petrarca de nita: canzoniere, raccolta di rime si compone di 366 componimenti di cui il
primo è proemiale più 365, uno per ogni giorno dell’anno (diventano 366 comprendendo anche il
proemio).

È distinto in due parti: il primo blocco di 262 poesie; il secondo blocco di altre 103. Il racconto
inizia con il giorno dell’innamoramento del poeta (vediamo che anche qui Petrarca crea giorni
date non reali secondo la sua immagine letteraria), il 6 aprile del 1327, venerdì santo.

La ricostruzione delle tappe attraverso le quali l’opera raggiunge il suo assetto de nitivo è il
percorso necessario per cogliere i signi cati dell’opera. Ed è un percorso costruito sui manoscritti
che ne documentano lo sviluppo e i personaggi (dedicatari, amici e copisti) che hanno parte nella
sua storia.

‣ Chi ha dedicato uno studio particolareggiato alle varie redazioni del canzoniere è: Ernest
hatch Wilkins, (importante per gli studi su Petrarca).

Gia intorno al 1350, Petrarca deve aver avuto l’idea di un libro di liriche come romanzo
autobiogra co, una raccolta di rime che all’interno delle quali si doveva scorgere la sua biogra a,
sul modello della vita nuova di dante (prosimetro composta da poesie in versi e prosa).

Fin dai primi anni ’30 scriveva poesie seguendo la tradizione stilnovista, e secondo Wilkins la
prima forma del canzoniere risale al 1342 ed il Petrarca avrebbe gia pensato in quella data di
mettere insieme una raccolta delle sue rime.

- Secondo invece un’altro studioso: marco sant’agata, la raccolta del 1342 non si può
considerare la prima forma del canzoniere (cioè lui ancora non aveva bene in mente la
creazione di questa raccolta, di questo canzoniere), ma è semplicemente una raccolta di rime
non ancora implicata con un vero progetto che a quella data Petrarca non aveva ancora
elaborato. Sostiene che quella del 1342 sia soltanto una raccolta di rime messe insieme ma
non c’era ancora un progetto di canzoniere vero e proprio.

‣ Wilkins a conferma di quello che lui riteneva nel 1342 la prima forma, cita una nota presente
nel codice degli abbozzi 3196 (composto da sole 20 carte) quello 3195 (codice u ciale di
tutto il canzoniere).

Cita questa nota che è presente nel codice degli abbozzi al foglio 9 verso e posta sopra il sonetto
numero 34: “ceptum (iniziato) trascribi (ad esser trascritto) et inceptum (e cominciato) ab hoc loco
(da questo luogo) nel 1342 21 agosto ora sesta”—> quindi sembrerebbe confermare che la prima
forma è del 42; anche se non parla di canzoniere.

Questa nota dimostra che il numero 34 è stato il sonetto iniziale della nuova raccolta, questo
numero 34 avrebbe potuto costituire un buon componimento introduttivo date le parole ed il
contenuto: inizia con un invocazione classica ad apollo e fa riferimento sia al tema di Laura sia al
tema del lauro (pianta strettamente collegate a Laura). Secondo lo studioso non c’è alcun altro
componimento almeno fra i primi 50 (primi della raccolta) che sia più adatto del numero 34 a
servire d’introduzione alla raccolta.

Redazione Correggio

Si dovrà attendere il 1358 per poter parlare di una prima vera redazione del canzoniere: la
cosiddetta Correggio; il manoscritto che la tramandava è andato perduto. Questa redazione
sarebbe stata preparata negli anni compresi tra 1356 e 1358, da un’esame interno dell’opera si
deduce che questa redazione doveva comprendere i componimenti corrispondenti ad un certo
blocco di numeri e cioè: dall’ 1 al 142 (prima parte); il secondo dal 264 al 292. Questi due blocchi
di poesie si conserveranno sostanzialmente stabili negli anni avvenire. Uno degli elementi che
conferma questa disposizione e dei bocchi è la ripetizione di una parola: altro , infatti abbiamo
che nel sonetto nale del primo blocco, il 142 per ben 6 volte c’è la comparsa della parola “altro”
che compare anche nel primo sonetto del secondo blocco, cioè nel 264, questa è una guida, un
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indizio che i due blocchi dovevano seguire l’uno all’altro per questo ripetersi della medesima
parola alla ne del primo blocco e all’inizio del secondo.

Secondo stoppelli il sonetto 292 ha di per se le caratteristiche di un componimento conclusivo (Or


sia qui ne al mio amoroso canto: / secca è la vena de l'usato ingegno, / et la cetera mia rivolta in
pianto).

In questa redazione chiamata Correggio dal nome del destinatario l’ordinamento delle poesie è
fondamentalmente ma non rigorosamente cronologico (non è costante questo ordine
cronologico). A Petrarca venne naturale osserva Wilkins di collocare le poesie generalmente
nell’ordine in cui si erano succedute l’esperienze di vita ri esse nelle poesie (ricordiamo che aveva
anche l’intento di creare un opera di tipo autobiogra co).

Non ci sono prove che egli si sia mai preoccupato di stabilire un preciso ordinamento cronologico
per i suoi componimenti (non ha avuto esplicitamente questo intento), e non ci sono neanche
dichiarazioni che abbia voluto dare ai lettori l’impressione che i suoi componimenti apparissero in
un ordine cronologico esatto.

Riportando qualche osservazione di questa redazione Correggio, scorgiamo una grande varietà di
forme stilistiche nelle poesie che sono messe (per esempio tra le quali come forma metrica
prevale il sonetto, ma ci sono anche canzoni, ballate, madrigali che hanno un verso diverso—
varietà metriche).

Nella prima parte c’è anche varietà di contenuti, tema di molti sonetti è l’amore ma ce ne sono
anche altri come quello dell’amicizia (lui non voleva dare l’idea che fossero tutte poesie d’amore),
il tema politico, religioso (tematiche quindi che si mescolano alla tematica amorosa più costante).

Questi componimenti sono di solito distribuiti in modo da impedire che si formino una serie
troppo lunga su uno stesso tema , ad esempio una serie troppo lunga sui sonetti amorosi, vuole
interrompere con un contenuto diverso la serie di questi sonetti amorosi.

๏ Nel 1363, il Boccaccio durante la sua visita al Petrarca (che risiedeva a Venezia) aveva potuto
consultare il canzoniere questa sua raccolta di rime, durante questa visita è quindi probabile
che boccaccio abbia avuto l’opportunità di trarre una copia del canzoniere (era ammiratore di
Petrarca, desideroso di conoscere e poter leggere le sue poesie).

Tornato a Firenze ne mise in ordine un’esemplare di sua mano, un’esemplare che sarebbe poi
stato assemblato in un codice composito, che conteneva questa sua copia autografa e un’altro.
Questo codice conteneva: la biogra a di dante, la vita nuova, la canzone donna me prega di
cavalcanti, un carme dello stesso boccaccio, quindici canzoni di dante e le poesie del canzoniere
di Petrarca, poi ne nasce un secondo dove c’era la commedia intera: le poesie del Petrarca era
presumibilmente nel numero e nell’ordine di quelle lette a Venezia. Quel manoscritto, formato gia
originariamente di parti diverse giustapposte, sarebbe stato in seguito smembrato in due codici: i
testi no al Petrarca incluso sarebbero andati a formulare l’attuale Chigiano L v 176 (autografo del
boccaccio), la commedia avrebbe costituito un’altro Chigiano L VI 213, oggi entrambi nella
biblioteca apostolica vaticana.

Redazione Chigi
Il manoscritto Chigiano L V 176 dove c’è il canzoniere di Petrarca, costituisce la redazione
chiamata Chigi, la prima sicamente attestata.

I componimenti sono 215, di cui 174 nella prima parte e 41 nella seconda. I due blocchi che erano
presenti nella redazione Correggio rimangono qui compatti.

I termini cronologici dell’allestimento del chigiano si ricavano dalle testimonianze congiunte di


alcune postille presenti nel codice degli abbozzi ed anche in una lettera “la senile V 2”, da questa
lettera (diretta al boccaccio) risulta che boccaccio aveva potuto consultare il canzoniere durante la
sua visita veneziana, avvenuta nel 63.

➡ Vita di Petrarca: il lavoro del canzoniere l’ha condotto no alla ne della vita. Aveva uno stretto
rapporto con il collaboratore che viveva nella sua casa e che lo aiutava nelle trascrizioni:
Giovanni Malpaghini. Capita una vicenda che ci fa capire che atteggiamento ci fosse a ne
‘300 verso le opere in volgare negli ambienti eruditi; terminata la trascrizione della parte del
canzoniere che Petrarca gli aveva a dato, il malpaghini il 21 aprile del 1367 manifestò al
Petrarca la sua intenzione di abbandonare il lavoro di copista, dal quale si sentiva ormai poco
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grati cato. Petrarca gli chiede se qualcuno della sua famiglia lo avesse o eso ma Giovanni
disse di no ma dichiara di non riuscire più a scrivere e copiare, si era raggelata la passione di
scrivere, questa testimonianza l’abbiamo nella senile libro V 5. Si allontanò dalla casa del
Petrarca che lo aveva invitato a rimanere (non come copista, ma come un glio) e malpaghini
disse di essere diretto ad Avignone dove poteva fare nuove esperienze, dopo l’esperienze
andranno male, e sarebbe poi tornato dopo varie vicissitudini ad abitare con Petrarca.
Petrarca quando torna non insiste a fargli scrivere altre poesie del canzoniere, ma gli a dò
un’altro lavoro e cioè la trascrizione delle traduzioni di omero eseguite da lionzo pilato. Uno
studioso ha avanzato l’ipotesi che Giovanni fosse stato spinto ad agire in questo modo per
non voler sottomettersi al lavoro di copia di poesie in volgare che nel suo giudizio non
avevano il valore di un classico.

Per il canzoniere, decise di portare avanti personalmente la copia, quindi abbiamo molte parti
autografe del canzoniere soprattutto nel vaticano latino 3195; il completamento dell’opera con
l’aggiunta di altre poesie richiese 7/8 anni e nel trascrivere i componimenti Giovanni ha tralasciato
spesso le iniziali che furono disegnate da un miniatore professionista.

Sulla prima carta del codice vaticano latino 3195 si legge il titolo de nitivo cioè: Francisci
Petrarche laureati poete Rerum vulgarium fragmenta (frammenti di cose volgari), questo è il vero
titolo della raccolta del canzoniere. Queste raccolte di poesie sono tutte chiamate canzonieri, però
a volte hanno un titolo preciso a seconda dell’autore.

Andando avanti nel tempo ci si avvicina alla data della morte: luglio del ’74, negli anni che vanno
dal ’71-72 al ’73, Petrarca acconsenti che si traessero delle opere dal manoscritto che lui andava
allestendo ed una di queste copie era destinata a Pandolfo Malatesta ed era accompagnata da
una lettera del Petrarca datata 4 gennaio 1373, poi rielaborata in una delle senili (XIII,11). Il codice
di questa redazione che viene chiamata Malatesta non è conservato, ne abbiamo però una copia
che risale ad esso: il codice Laurenziano 41.17 , che documenta la cosiddetta redazione
malatestiana. I numeri dei vari componimenti non corrispondo a quelli delle precedenti redazioni
ma questo è imputabile allo stesso Petrarca che tra i suoi ritocchi aveva anche un po la mania di
cambiare l’ordine, la numerazione ai suoi testi. Questa lettera del 4 gennaio 1373 che con uisce
poi nella senile (XIII,11), è chiamata questa la redazione Malatesta di cui abbiamo solo una copia.

Poi fece fare un’altra copia da questo suo manoscritto (no solo quella di Malatesta), anche per
questa non è rimasto il codice originario della copia, però è rimasta una copia del codice fatto
allestire dal Petrarca; questa copia è conservata nella biblioteca queriniana di Brescia , la
segnatura è la seguente D. II.21, è una copia di età più recente della pretendete, contiene lo
stesso numero dei componimenti presenti nella redazione malatestiana però con una disposizione
diversa. Questo testo prende il nome di redazione queriniana.

Redazione vaticana (redazione u ciale)


Rappresenta la conformazione nale assunta dal codice vaticano, il Vaticano 3195, ci sono qui
altri interventi, aggiunte fatte dal Petrarca in periodi successivi a quelli della redazione Malatesta.
In questa redazione possiamo distinguere due periodi: il primo è dall’ inizio ’73 all’inizio 74; il
secondo è dall’inizio ’74 no al luglio del ’74 ( no alla morte del petrarca).

La sequenza dei testi, cioè come si susseguono è quella che tuttora si può vedere sull’autografo
(codice 3196) e costituisce la cosiddetta redazione vaticana, chiamata cosi dal codice che lo
trasmette. Sono completi i 366 componimenti secondo il numero dei giorni più uno che è
proemiale, e sono divisi in due parti. Petrarca però ebbe un ripensamento alla ne, che riguardava
l’ordine delle ultime 31 poesie (quelle che vanno da 336 a 366), era di cile eradere i testi e
riscriverli nell’ordine desiderato.

Petrarca risolse il problema in questo modo: a partire dal componimento 336 e ne a quello 366
(la canzone alla vergine) mise accanto ad ogni componimento un numerato da 1 a 31 che indicava
la posizione desiderata nella parte conclusiva del libro.

Come risulta anche da questo riepilogo nale, la costruzione del Canzoniere è stata una vicenda
lunga e complessa. Ciò che noi leggiamo è la redazione de nitiva di un'opera che è passata
attraverso forme diverse, ognuna delle quali rispondente, seppure in maniera non sempre ben
delineabile, a una diversa nalità.

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Il codice degli abbozzi
Quest’edizione è concentrata su questo sonetto del codice degli abbozzi, il vaticano latino 3196,
è un manoscritto cartaceo, si compone di solo 20 carte tutte simili tra loro per aspetto e
consistenza ad eccezione dalle carte che vanno da 15 a 16 di qualità diversa e di formato
originariamente un po più grande; ci sono poi le carte da 17 a 20 che sono più scure, più spesse e
tendenti ad assorbire l’inchiostro della scrittura poi ci sono ligrane diverse, è vergato dallo stesso
petrarca ma anche da malpaghini, vergato a più riprese tra il 1336 e il 1374. C’è una numerazione
in cifre arabe che va da 1 a 20 e risale alla prima metà dell’800 ed è stata quasi completamente
ritoccata questa numerazione in occasione di un restauro che il codice ha avuto all’inizio del 900.
Il manoscritto è interfogliato, tra i fogli ha 18 cartoncini bianchi, le carte del codice sono staccate
tra loro e poi raccolte insieme (non costituisce fascicoli); tutte le carte mostrano tracce di antiche
piegature sia in orizzontale che in verticale che risalgono ad un epoca anteriore alla confezione del
codice perchè prima erano sciolte (c’è Petrucci che diceva che quando un codice presenta molte
piegature sia che sia stato confezionato dopo o prima erano fascicoli sciolti messi poi insieme,
soprattutto le piegature orizzontali indicano che era un codice destinato all’insegnamento che gli
studenti portavano facilmente in borsa, in tasca—> però non è il caso di questo, forse era stato
piegato così perché un erudito del 500 testimonia che queste carte furono ritrovate in una bottega
e che sarebbero servite ad avvolgere gli alimenti che vendeva e forse piegate per questo, perchè
per arrivare e stare in una bottega dovevano essere piegati e sciolti i fogli—questa è un’ipotesi del
Pinelli che lo attesta in un codice dell’ambrosiana numero 201, dove alla carta 70 verso sono
elencati degli oggetti petrarcheschi presenti nello studio del bembo).

I tipi di scrittura
I tipi di scrittura usati nel codice sono principalmente due:

La minuscola cancelleresca;

La corsiva usuale;

Si incontra poi una terza scrittura di tipo mercantesco esclusivamente alla carta 10 retto ed in altri
due luoghi.

Il codice contiene abbozzi delle poesie del petrarca e i trion , poi oltre a quelli del petrarca e
malpaghini c’è anche una mano che ha portato una annotazione in senso verticale nel margine
inferiore della carta della 1 retto (quella che precede il foglio uno) che dovrebbe risalire all’inizio
del ‘600; poi un’altra mano che ha vergato in carattere calligra co la segnatura nel margine
inferiore della carta 1 retto.

Il testo dei sonetti è disposto su due colonne, due versi per riga. La prima parte è la prima
redazione del sonetto che lui cancella con tre tratti bi ; il secondo è la revisione del primo senza i
tratti, lui accetta e nisce col coincidere (con quasi per tutto escluso qualche segno di
punteggiatura) con la redazione del sonetto compreso nel codice u ciale 3195.

Vediamo che i versi:

Esempio--> almo sol, quella fronde ch’io sola amo (1 verso) ; il secondo verso è a destra: tu prima
amasti (colonna di destra) e poi si procede tornando a sinistra ed il quarto si torna a destra, il
quinto a sinistra dove c’è quel pasticcietto, correzioni a ne del verso ed il sesto a destra. Quindi
per de nire questo tipo di divisione i numeri dispari sono nella colonna di sinistra, i numeri pari in
quella a destra ed in mezzo c’è uno spazio.

Quando si arriva in fondo al codice, alla parte dei trion questi sono versi incolonnati, disposti su
una sola colonna però questa caratteristica di dividere il componimento in due colonne (i dispari a
sinistra e i pari a destra)era usuale nel tempo.

La rilegatura risale alla prima metà del ‘900, le applicazioni in pelle marrone dei piatti e del dorso
ornati da una doppia cornice di fregi impressa e dorata (ci sono le ornamentazioni nel dorso e nei
piatti cioè la copertina del codice). Queste ornamentazioni provengono da una precedente
rilegatura sempre dell’800 e questo ce lo mostra gli stemmi presenti in queste rilegature: uno
stemma è di Bartolomeo Cappellari; l’altro è del bibliotecario della vaticana luigi lambruschini.

-Alla ne del ‘400 e agli inizi del ‘500 cominciò a ridursi l’interesse per il Petrarca latino.

soprattutto durante il ‘400 il secolo dell’umanesimo l’attenzione era rivolta di più a opere come le
familiari, ad opere di carattere ascetico come de vita solitaria le opere in latino; invece si riduce
andando avanti nel tempo anche agli inizi del ‘500 e sorge l’interesse per il Petrarca volgare, un
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motivo di questo cambiamento è dovuto anche dal fatto che il bembo pone come modello
petrarca per la versi cazione questo incide nel gusto del tempo e pone boccaccio come modello
della prosa e propone il petrarca come modello per il volgare.

La storia di queste schede, fogli che compongono il vaticano latino 3196 il codice degli abbozzi è
strettamente legata alla storia del codice u ciale il 3195 ed anche all’attività di Bembo.
Nell’edizione del canzoniere e dei trium curata da Aldo Manuzio in una postilla si legge che il
testo pubblicato è tolto dallo scritto di mano medesimo del poeta avuto da messer Pietro bembo.

Sia il codice vaticano latino 3195 che l’altro, il primo è nito nella biblioteca di bembo il quale lo
avrebbe acquistato da un signore padovano, anni prima dall’acquisto del canzoniere u ciale
3195 il bembo era entrato in possesso degli abbozzi del 3196; la presenza di questi abbozzi
petrarcheschi nello studio del bembo non è documentabile prima del 1528.

Come erano giunti gli abbozzi nella mano del bembo? Anche attraverso suo padre che era un
collezionista di manoscritti di antichità di ogni genere, c’è il riferimento alla miscellanea autografa
dell’erudito padovano gianvincenzo pinelli, che in un manoscritto della biblioteca ambrosiana
numero 201 trasmette a carta 70 verso un elenco di oggetti non solo libri che erano stati del
petrarca e che erano presenti nello studio del bembo. Riguardo agli abbozzi in un appunto il pinelli
ci dice che furono ritrovati in mano di un pizzicagnolo, questo appunto era stato segnalato da uno
studioso pio rajna.

Il testo
Nel manoscritto che è 1 verso vediamo che il primo è barrato, il secondo complimento è invece
quello che lui coglie e mette poi nel codice u ciale.

Ci sono delle correzioni in margine che vediamo sul margine sinistro ad esempio “amor ti
richiamo” è una correzione dello stesso petrarca e la fa precedere da un trattino con un punto (un
suo caratteristico segno di richiamo, lo vediamo che anche nell’interlinea) con questo segno
petrarca mette a margine la lezione giusta.

-TRS, vuol dire trascritto, copiato c’è un “per” che in latino vuol dire “da”.

Tutte queste cose possiamo vederle in apparato in quanto la Paolino le legge:

—Ad esempio vediamo un cambiamento a destra “sol al bel”—> che corregge “sola al bel” che
poi passa “al suo bel”;

—alla ne del secondo, sulla seconda colonna vediamo una parole scritta su rasura (quella più
scura), su cancellatura; come anche probabilmente nella colonna di sinistra “a mirarla” è scritto
sui rasura.

La Paolino cerca di conservare nel modo più fedele possibile tutte le gra e e le forme che usa
Petrarca, ad esempio: nel primo sonetto, seconda riga della colonna a destra, vediamo “Adamo”
che è un nome proprio che è però scritto con la minuscola e la Paolino essendo conservatrice lo
scrive anche lei con la minuscola.

[ Su moodle possiamo vedere i criteri adottati dalla Paolino, quelli gra ci e l’apparato].

—adotta il canone di contini per l’interpunzione, e dove è possibile conservare quella del Petrarca
la Paolino la mantiene.

L’apparato di questo testo sarà diacronico (come tutti gli apparati della lologia d’autore)
evolutivo, cioè quando in apparato sono registrate le varianti che seguono il testo; invece
nell’edizione precedente a questa di romanò lui mette a testo l’ultima volontà dell’autore e mette
in apparato le varianti che l’hanno preceduta che sono venute prima, quindi questo apparato si
chiama genetico non evolutivo.

La Paolino mette a testo la prima volontà dell’autore, mentre romanò mette a testo l’ultima
volontà dell’autore e in apparato le antiche varianti che sono state superati ( e il modus di romanò
è quello che ha avuto più di usione per vari testi).
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Filologia italiana lezione del 23 nov
Il codice degli abbozzi edizione della Paolino
Apparato
È un apparato diacronico, vengono registrate soprattutto le varianti d’autore ed è di tipo evolutivo
(ci sono due tipologie: evolutivo e genetico)in quanto la studiosa mette a testo l’antica volontà
dell’autore e invece mette in apparato cioè varianti successive nel tempo cioè i ritocchi che lui ha
fatto gradualmente nel tempo.

Mentre l’edizione curata da romanò presenta l’altra tipologia ossia un apparato diacronico
genetico, in quanto mette a testo l’ultima volontà dell’autore (sarebbe la seconda versione del
sonetto che abbiamo nel manoscritto) e invece mette in apparato le varianti che precedono,
quelle più antiche che invece vediamo a testo nella Paolino. Questo tipo di apparato chiamato
genetico registra la genesi, l’origine come nasce il documento in apparato; nel campo dell’edizioni
della lologia d’autore è importante guardare e studiare l’apparato perché da li si ricostruisce la
storia dei ripensamenti, delle varianti.

[nelle pagine che precedono l’apparato ci sono delle osservazioni ricavate dalla sua introduzione
in cui spiega ad esempio le scelte gra che, è un’edizione molto conservativa ad eccezione per la
punteggiatura dove è portata a normalizzare a ricondurre un po ai criteri moderni.

Apparato 1 versione:

-i due punti in quadra li usa quando non riesce


v.5 Stiamo a vederla : al suo amor [..] chiamo a leggere due lettere, ci sono due lettere un po
evanescenti che lei stenta a leggere e non
vuole esporsi. Nell’apparato indica che alcuni
studiosi precedenti e li cita: ubaldini, Appel, pelaez leggono qualcosa che poi nel tempo era meno
leggibile a causa dell’evanescenza dell’inchiostro.

In apparato dice:

amor, scritto su rasura (cioè scritto su una cancellatura precedente), è seguito da una o due
lettere nascoste da un tratto cancellante, decifrate “ti” da Ubaldini 1642, decifrate invece “i” (cioè
i’ chiamo) da C, Appel 1891 e Pelaez 1910; chiamo è sormontato da due lettere cancellate che
Appel 1891 legge “ri”; amor [..] chiamo > amor ti richiamo (scritto a margine, scritto su tre righe
nel margine sinistro e collegato al testo da opportuno rinvio).

-v.9 humil è scritto su rasura; sul margine sinistro c’è la postilla, cancellata con due tratti, at(tende)
illu(m), riferita forse alla lezione erasa.

Poi sotto crea una sezione di NOTE: Il sonetto è cancellato con tre righe oblique.

Apparato 2 versione: (in questa seconda redazione ci sono dei cambiamenti che sono messi in
evidenza dallo studioso romanò).

v.1 Almo sol, quella fro(n)de ch'io sola amo, -in apparato:v.2 sola al bel è scritto su rasura
di al suo do; (poi passa ad indicare i vari
v. Tu prima amasti, or sola al bel soggiorno

passaggi di sol a bel in altre espressioni per


poi tonare al sola a bel) sola al bel > al suo bel
> sola al bel: quest’ultima correzione è scritta
sopra la riga, a sinistra di al suo bel cancellato. Quindi è un apparato con una descrizione
topogra ca della carta del manoscritto molto dettagliata.

-è un’ aggiunta, una correzione che petrarca


v.3 Verdeggia, (et) sença pari poi che l'addorno fa al verso che viene sotto,( fa una linea che lo
cancella, non avendo spazio lo mette sopra al
sonetto per cui a noi sembra che inizi cosi).
Verdeggia è scritto su rasura e in parte fuori allineamento: la lezione sottostante è letta vivesi da
Appel 1891; Verdeggia, (et)(tra parentesi perché la Paolino mette tutte le note tironiane tra
parentesi) sença pari > stassi a cui par no(n) fu (scritto sul margine sinistro e riferito alla lezione
respinta con un segno di richiamo); cancellate anche la correzione marginale e le parole poi che
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l’addorno, petrarca ha ripristinato la precedente lezione: Verdeggia, (et) sença pari poi che
l’addorno (scritta sopra il sonetto e collegata al testo con un segno di richiamo).

v.5 Stiamo a mirarla: i' ti pur p(re)go (et) chiamo, -a mirarla (vediamo che è scritto stretto e con
inchiostro più scuro): scritto su rasura in una
gra a compressa per mancanza di spazio
(piccola falla della carta nell’interlinea
superiore).

-me(n)tr'io parlo: su rasura; tolle: è


v.12 Crescendo me(n)tr'io parlo, agli occhi tolle
considerato un errore, nel margine destro
ttolle; scritta su quattro righe, la variante .(ve)l.
cresce me(n)tre ch'io parlo e agli occhi tolle,
successivamente cancellata con una riga verticale.

Poi ci sono le POSTILLE, cioè annotazioni che non hanno nulla a che fare con il testo:

1. Sopra il sonetto, nel margine sinistro della carta: tr(anscriptus) p(er). Io(hannem).

2. Sotto la postilla c’è un Y, secondo la Paolino ed altri studiosi indicava il luogo che il sonetto
doveva occupare all’interno della raccolta contando le lettere dalla A alla Z.

Edizione di Romanò del 1955


Il suo è un’apparto diacritico genetico, romanò mette a testo l’ultima volontà dell’autore (ossia
quello che ha fronde), e lo indica a margine con V1a (che è la prima versione dove abbiamo luce),
V1b (è la seconda che coincide con V2 ossia la redazione u ciale quella del 3195.

-Fa un apparato a colonna, mette le varianti in colonna e ricorre anche a degli arte ci tipogra ci di
mettere in neretto alcune lezioni che indicano qui la lezione nale di approdo.

Commento di bentivogli, vecchi galli che lo sottraggono da romanò e riassumono il suo operato

Del sonetto (dopo il capoverso) è indicata anzitutto la numerazione all'interno di RVF (188). E poi
riprodotto il testo nella versione de nitiva trasmessa dal ms., corredato dell'apparato di passaggio
da V1 (Vat. Lat. 3196) a V2 (Vat. Lat. 3195). Nel nostro caso, le stesure del componimento presenti
nel codice degli abbozzi sono due, e due, perciò, i testi pubblicati dall'editore (V1a e V1b: precede
la seconda redazione, ultima in ordine di tempo e coincidente con la versione accolta nel Vat. Lat.
3195). Nell'apparato "genetico" Romanò torna sugli interventi correttori del Petrarca, segnalando
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in neretto «la lezione corrigente che coincide con la lezione de nitiva», fra parentesi quadra le
lezioni corrette, e in tondo normale la lezione corrigente non de nitiva.

-Nella seconda foto vediamo che mette anche le varianti gra che.

-poi c’è un altra sezione dove le sue osservazioni sono rivolte soprattutto alla punteggiatura.

—Nel suo lavoro di edizione lui fa delle osservazioni, commento sui cambiamenti: fronde al posto
di luce, la parola frode entra più nello speci co, c’è l’allusione al mito di apneo, di dafne che fugge
rincorsa da apollo e l’esempio di dafne che si trasforma in pianta per salvarsi dalle brame di
apollo è ripreso da Petrarca nel rapporto con Laura, il cui simbolo è il lauro.

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Filologia italiana lezione 29 nov
Fahy
È un teorico studioso della bibliogra a testuale, essa si distingue anche un po dalla lologia
d’autore anche se a volte ricorrono i suoi schemi. La bibliogra a testuale si propone di utilizzare
l’aspetto, i criteri esterni del libro (come la fascicolatura, la sua numerazioni, varianti ecc) per
aiutare il lologo a ricostruire il testo.

Fahy punta sullo spiegare come potrebbe essere una nuova edizione del furioso, in particolare
l’ultima del 32 con l’aiuto di alcuni dati che si ricavano dalla bibliogra a testuale.

Edizioni dell’orlando furioso


Un caso particolare per l’applicazione della bibliogra a testuale è dato dalle edizioni dell’orlando
furioso.

1. Edizione del 1516


-Uscita a Ferrara presso Giovanni Mazzocco e solo di questa è uscita un edizione a cura di
Dorigatti. Chiamata A

2. Edizione del 1521


Uscita a Ferrara presso Giovanni battista della pigna . Viene chiamata B, è quella intermedia.

3. Edizione del 1532


Uscita a Ferrara presso Francesco rosso da valenza. Viene chiamata C ed è quella su cui si
so erma l’articolo di fahy.

Il caso del furioso ha richiamato l’attenzione degli studiosi sul problema delle cosiddette varianti
interne, che secondo la prof niscono con il coincidere con le varianti dette di stato, cioè le
varianti presenti all’interno di ogni edizione.

-La prima edizione nella storia di questo testo, dell’edizione di questo testo è quella di De
Benedetti, risale al 1928 e gia lui aveva notato che gli esemplari dell’edizione del 1532 si
di erenziavano tra loro per una notevole varietà di varianti.

Ci sono molte più varianti in quest’opera che era di un’altro di questi studiosi di bibliogra a
testuale che non nelle opere di Shakespeare, che presentavano meno varianti di quante se ne
trovano nel furioso.

Passo di De benedetti, preso da uno studio di Susanna villari “che cos’è la lologia dei testi a
stampa”.

In una pagina (88) lei riporta un’osservazione molto signi cativa sull’orlando furioso, ci dice:

“Non conosco due esemplari del furioso che siano identici e non parlo degli errori di stampa e
delle varietà tipogra che. Ci troviamo innanzi ad uno dei casi più strani che siano o erti dalla
tradizione tipogra ca; la tiratura era vigilata foglio per foglio e per tanto certe mende derivate da
semplice distrazione del compositore venivano corrette (perchè c’era la vigilanza, il controllo, il
monitoraggio di questa stampa). Ed egli Ariosto, l’incontentabile, poteva ancora fare accogliere
qualche suo pentimento, ma nulla fu sacri cato ne quel mezzo foglio guasto da tante lezioni
cattive ne alcun altro qualunque fossero gli errori”.

Un esemplare in carta grande


De benedetti, primo editore e studioso dell’edizione del 28, aveva assunto come testo base
un’esemplare detto in carta grande, l’Ariosto dopo aver e ettuato tutte le ultime correzioni delle
forme di stampa (foglio nelle sue dimensioni originali, è la matrice di stampa) che contengono il
foglio da stampare prima su un lato e poi sull’altro (lato esterno, lato interno); l’Ariosto aveva fatto
passare sotto il torchio mentre era in corso la tiratura fogli di carta più grande (ecco perché si dice
“esemplare in carta grande”), in modo che venissero assemblati insieme e venissero distinti dai
fogli scorretti che erano destinati a con uire in altri esemplari con gli scarti della tiratura. quindi
escono degli esemplari che hanno fogli in carta più grande, e li di solito recano la lezione ultima
dell’autore quella che voleva si a ermasse. Se una variante è attestata in un esemplare in carta
grande acquista subito autorità di lezione de nitiva .

Il fatto che de benedetti abbia scelto come testo base un esemplare in carta grande (era più
a dabile, era sicuro che li c’erano le ultime volontà dell’autore), fece si che il testo da lui restituito
coincidesse negli aspetti sostanziali con quello de nitivo.

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Apparato edizione di segre
Segre, riprese l’edizione di de benedetti e curò un’edizione del furioso nel 1960, utilizzando alcuni
appunti di de benedetti e fornì il testo di apparato critico. L’edizione di de benedetti non aveva
apparato critico, chi lo introduce è segre che quindi completa l’edizione di de benedetti.

L’apparato di segre registra le varianti sostanziali delle edizioni delle due edizioni che precedono
la prima quella del 16 e la seconda quella del 21, e registra anche le varianti di stato che sono
state scartate dall’edizione del 32, quelle che sono state sostituite da nuove varianti.

Variante di stato: è una divergenza rilevabile tra gli esemplari di una medesima edizione
realizzata al tempo della stampa manuale, varianti dovute spesso all’intervento dell’autore o di chi
curava il testo accanto al tipografo e risultano poi presenti in alcuni esemplari dell’edizione non in
tutte.

Segre nella sua edizione mette quelle che sono scartate, non sono accolte a test. Queste sono
varianti di stato particolari cioè che si inseriscono nella tiratura cioè nell’emissione di tante copie.

Nell’apparato, le sigle ABC indicano le tre edizioni: A=1516;B=1521;C=1532.

Edizione orlando furioso 32


Dell’orlando furioso del 1532 si conoscono adesso 24 esemplari, di cui 5 stampati su pergamena,
17 su carta normale, 2 su carta grande; 11 sono quelli utilizzati da de benedetti per la sua
edizione del 28, a questi poi si aggiungono altri esemplari individuati identi cati dopo. Sono
elencati in quest’appendice chiamata “appendice A” da fahy.

La tiratura ha avuto molta di usione, doveva arrivare alle 1000 copie e superarle. Il formato del
volume è in-quarto, costituito da 31 fascicoli, ognuno dei quai costituito dall’unione di due fogli di
stampa per cui nisce col comprendere 8 carte. Un libro in-quarto con fascicoli costituiti di due
fogli si de nisce “4º in otto”, risultando ogni fascicolo di 8 carte: negli in-quarto normali i fascicoli
sono invece di sole quattro carte.

Gli esemplari dell’edizione del 1532 sono classi cati in base la tipologia del foglio A interno e
vengono chiamati “tipo 1” e “tipo 2”. Il foglio A interno ha il testo nella forma primitiva che viene
chiamato “cancellandum”; il tipo 2 presenta la nuova tiratura del foglio A interno che viene
chiamato “cancellans”.

Lui dice ho aggiunto tra parentesi quadre la segnatura dei vari esemplari, dei 21 esemplari
esaminati 9 sono imperfetti, l’imperfezione interessa quasi sempre A1 o H7 con decorazione
xilogra ca di alta qualità, come risulterà chiaro dal testo del mio contributo le designazioni tipo 1 e
tipo 2 si riferiscono alla presenza del cancellandum (quello da abolire tipo 1)o del cancellans
(quello che agisce e si accetta le sue varianti tipo 2), che sono presenti nel foglio A interno.

Negli esemplari cartacei questa distinzione è rispecchiata dalla diversa tipologia delle ligrane: per
esempio negli esemplari di tipo 1 c’è l’ancora come disegno; nel tipo 2 c’è il ordaliso. Questo
dimostra che la ricomposizione e la nuova impressione del foglio corretto, richiese ricorso di
nuove risme di carta, perchè gli esemplari con parte del testo di tipo 2 cioè che rappresentano
l’ultima volontà hanno nella carta impressa questa ligrana diversa dagli altri ossia il ordaliso.

All’interno dell’edizione del 1532, sono state registrate 250 varianti interne di stato (ossia quelle
che vengono introdotte durante la tiratura). La villari osserva che nel caso dell’orlando furioso
l’individuazione delle lezioni de nitive sarebbe impossibile con un metodo tradizionale cioè
stemmatico perchè spesso ci si trova di fronte a varianti adiafore. Esaminando questa edizioni,
molte di queste varianti sono adiafore cioè hanno lo stesso valore, e di fronte a queste varianti
interviene la scelta soggettiva dello studioso.

Le varianti che lei riporta sono per lo più equipollenti e si può in questo caso identi care la lezione
de nitiva attraverso l’esame della struttura materiale del libro.

Per il foglio esterno H, dopo il passaggio al torchio la tiratura fu sospesa e la forma di stampa del
foglio esterno H ritornò tra le mani del compositore per l’introduzione delle varianti (questo lo si
dice a proposito di queste sei varianti che questo fascicolò H elenca come esempio la villari nel
suo lavoro). La villari osserva che c’è un unica variante che non è adiafora e che ha il carattere di
correzione banale e ci dice che dobbiamo seguire di fronte a varianti adiafore le lezioni che sono
presenti nel testo.

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Fahy nel suo studio del 1989, fece ricorso all’analisi bibliogra ca partendo dall’esame della forma
interna del foglio G e notando ulteriori varianti di stato, varianti nell’esito di una determinata fase
della tiratura. Lui esamina la forma interna di un altro foglio (che fa parte di un fascicolo poi G), ed
osserva che stono ulteriori varianti di stato (esempio nel fascicolo G alla carta 4 retto canto 12
strofa 49,8 c’è “che per bisogno le battaglie armato” “che per bisogno ha le sue imprese armato”
(seconda lezione che dovrebbe essere scelta) e cosi sempre fascicolo G carta 5 verso abbiamo
“con tal lo stuol barbari cui era mosso” e invece come ultima scelta “con tal, lo stuol barbarico era
mosso”). Poi dice che i manoscritti migliori sono: I quello di Bologna; L quello della melziana
esemplare in carta grande ed ha il tipo 2 di cancellans del glio A interno.

Fahy ragiona sulla direzione correttoria nel caso di quelle varianti (battaglie, imprese, tal con
virgola e senza), questa correzione correttoria dovrebbe essere: la prima battaglie e tal senza
virgola.

Fahy nel suo articolo elogia l’edizione di de benedetti e gli riconosce di aver capito per primo l
‘origine e la natura delle numerose varianti interne (per la prof coincidono con quelli di stato)cioè
varianti tra i vari esemplari della stessa edizione. Lui aveva collazionato 11 esemplari dell’edizione
de nitiva e aveva identi cato due fonti diverse di variazione (de benedetti si basa sull’edizione del
32).

Quali sono i motivi di variazioni?:

- varianti introdotte nelle forme tipogra che durante la tiratura, queste varianti possono essere
introdotte dal curatore che lavorava co il tipografo oppure dallo stesso autore( come ariosto);

- Varianti determinate dalla sostituzione in alcuni esemplari di un intero foglio di stampa (per es
un foglio interno del fascicolo A che comprende determinate carte A3,A4,A5,A6).

Il lavoro di edizione del de benedetti può tuttavia essere continuato e perfezionato, in particolare
in due direzioni:

1. Inquadrando i risultati raggiunti in un contesto bibliogra co adeguato, si raggiunge la scelta di


una variante perchè ad esempio ci sono delle “r” scritte male, ci sono delle “u” confuse con le
“n”, allora bisogna scegliere la variante che noi troviamo nell’ultimo stato del testo.

2. Poi estendendo la collazione ad esemplari non utilizzati da lui nell’allestimento della sua
edizione, come dicevamo e come osserva fahy lui si è basato su 11 esemplari, nel tempo ne
sono stati individuati altri (dal 12 al 24). Però come si può completare il lavoro della sua
edizione? Collazionando anche gli altri esemplari.

Un concetto importante ribadito in questo studio di bibliogra a testuale (cioè di lologia dei testi a
stampa), si diceva in passato che una tiratura (es quella del 32), tutti gli esemplari come oggi al
tempo nostro dovevano essere uguali; nelle stampe antiche di ne 400 e 500 con questi interventi
degli autori, dei collaboratori del tipografo ci sono esemplari della stessa medesima tiratura cioè
ad esempio quella del 32 che non sono del tutto uguali, quindi la collazione dovrebbe essere
condotta su tutta la tiratura (200 esemplari, 200 copie andrebbe collazionato il testo per tutte 200,
e non è semplice perchè ci possono essere degli esemplari di copia che hanno delle divergenze,
delle varianti. A questo ne di collazionarli tutti si è ricorso a delle lastre trasparenti con il testo
scritto dentro la lastra sovrapponendo la lastra foglio per foglio (foglio retto, foglio verso) per tutti
gli esemplari così è più rapido che salti all’occhio la divergenza tra una lettera e un’altra.

Fahy e i tre aspetti


Fahy che ha intitolato il suo lavoro “per un edizione critica nuova” del testo del 32 a ronta tre
aspetti relativi alla prospettiva di una futura edizione del furioso:

- 1.osserva che sono molto numerose le varianti introdotte durante la tiratura, per rendersi conto
in 20 esemplari fahy ne ha identi cate 253, varianti che si sono realizzate durante la tiratura. Tra
le varianti oltre a correzioni di errori e obblighi che posso attribuirsi al tipografo ci sono molte
correzioni linguistiche e stilistiche alcune di un intero verso (che vengono attribuite
principalmente all’autore). 2.Queste correzioni fatte durante la tiratura non sono che l’ultimo
stadio di un lavoro correttorio spesso intenso eseguito su bozze di stampa prima dell’inizio
della tiratura dei singoli fascicoli. Queste varianti introdotte durante la tiratura rappresentano un
fenomeno molto di uso nella stampa del 500, però è raro trovare un’edizione come l’ultima del
furioso che abbia queste varianti intere o di stato dall’inizio alla ne.

- Poi abbiamo osservazioni a cui dedica un capitoletto sul: foglio sostituto, è un foglio di tipo 1
(redazione precedente), rappresenta il cancellandum, questo foglio è all’interno del fascicolo A.
Esso da una parte rappresenta un progresso di fronte a B (edizione 21) dall’altra a sua volta è
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superato da quello di tipo 2 (cioè il nuovo foglio che ha la redazione cancellans) questo è quello
che ci riserva le ultime intenzioni del poeta.

Cosa cambia nel foglio di tipo 2? Cambia l’assetto linguistico, e in quest’ambito questi
cambiamenti di lingua sono spesso dovuti all’intervento dell’autore, per esempio nel foglio di tipo
1 per questo foglio sostituito cambia l’assetto linguistico ed abbiamo fahy che non condivide
completamente la spiegazione dell’esistenza di questo foglio di tipo 1 che da de benedetti,
vediamo quello che dice fahy:

Nel considerare questa sostituzione, possiamo cominciare dalle osservazioni del Debenedetti,
basate su considerazioni linguistiche e stilistiche:

il mezzo foglio di Tipo 1 [cioè il foglio sostituito = cancellandum), mentre rappresenta un


progresso di fronte a B (l'edizione del '21), è a sua volta superato da quello di Tipo 2 (cioè il nuovo
foglio = cancellans), il quale pertanto ci serba le ultime intenzioni del Poeta.

Fahy dice: A questa osservazione non ho niente da eccepire: solo con il foglio di Tipo 2 abbiamo
un assetto linguistico del tutto conforme a quello del testo stampato in altri fogli. Come spiegare,
allora, l'esistenza del foglio di Tipo 1? Prosegue il Debenedetti:

Sappiamo che l'Ariosto lavorò sopra esemplari di B ad allestire l'ultima edizione. Ora, ritengo
probabile che per sua distrazione (era distrattissimo) alcune pagine di B con correzioni provvisorie
siano da lui state inserte entro la copia de nitiva data in stamperia. Furono tirati i primi canti,
persino in qualche copia su pergamena (ci rimane h), né piú fu possibile rimediare; poi, e non si
saprà mai né il quando né il come, l’errore fu avvertito, e per nostra fortuna il mezzo foglio venne
rifatto. Non usava a quel tempo, o in ogni caso era un lusso da gran signore, mandare al macero i
fogli ri utati, che penso fossero in molte copie: cosi s'ebbero esemplari scorretti ed esemplari
buoni."

Secondo fahy in base al ragionamento fatto da de benedetti basato sulla diversità dell’unità
bibliogra ca (costituita di solito dal foglio intero), ragionamento basato su un foglio intero
dell’edizione del 32 ed anche sull’unità bibliogra ca dell’edizione del 21, ritiene che: l’esemplare
mandato dall’Ariosto in tipogra a abbia avuto un’assetto linguistico omogeneo, cioè questo
esemplare che mandò in tipogra a basato su B (edizione del 21) non aveva tanti errori secondo
fahy (secondo de benedetti si e sono stati corretti), aveva un assetto linguistico omogeneo e che
la di erenza che noi vediamo tra la lingua del foglio di tipo 1 ed il resto del poema sia dovuta a
qualche infortunio accorso durante la stampa dell’edizione del 32. Fahy sottolinea il lavoro
condotto dall’Ariosto nella sua opera, di questo lavoro abbiamo una sola traccia nel foglio di tipo
1 e in quello di tipo 2. Lavoro correttorio notevole che coinvolgeva non solo aspetto linguistico
del testo ma anche quello stilistico no alla sostituzione di un verso. Quindi la motivazione portata
da de benedetti che avesse mandato un esemplare con degli errori non è possibile perchè era
molto attento, soprattutto poi agli interventi linguistici che dovevano avere una certa omogeneità,
per interventi linguistici cita ad esempio il passaggio del testo dal 21 al 32: c’era “dui” come prima
lezione che si trasforma in “duo”; ma ci sono anche a livello stilistico e c’è addirittura la
sostituzione di un verso (canto 1 stanza 46 verso 7).

È strano dover constatare che su 20 esemplari dell’orlando furioso, 18 hanno il foglio di tipo 1,
con il cancellandum, e solo due cartacei hanno quello di tipo 2 e sono I ed L.; I tre esemplari
pergamenacei H,N e Z hanno il tipo 1, questo fa pensare che l’errore del foglio sostituito sia stato
scoperto a stampa ultimata dopo che alcuni esemplari avevano gia lasciato la tipogra a.

Sulle cause di questa situazione di sostituzione di un foglio, che vuol dire manomissione della
tiratura fahy mostra di avere molte incertezze, cioè perché è stato sostituito un foglio? Le
motivazioni addotte sono diverse: quella portata da debeneeetti che non condivide a pieno.

Gli esemplari buoni del furioso


Tra i buoni esemplari, testi cita I ed L e segnala la loro importanza.

Debenedetti tira le somme della sua considerazione delle trentasette varianti che ha discusso,
tutte pertinenti alla costituzione del testo: Non conosco due esemplari del furioso che siano
identici: e non parlo degli errori di stampa e delle varietà tipogra che! Ci troviamo innanzi ad uno
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dei casi piú strani che siano o erti dalla tradizione tipogra ca. La tiratura era vigilata foglio per
foglio. Se l'Autore non poté presenziare al lavoro dei primi canti - sí che accadde quello che noi
sappiamo - in seguito è probabile che visitasse frequentemente (si può immaginare con che
piacere per l'ospite!) la stamperia di maestro Francesco Rosso. E pertanto, sia per attenzione sua
o del maestro, certe mende derivate da semplice distrazione di compositore - la copia data in
stamperia era un esemplare di B [= 1521] tto di ritocchi e cassature - venivano corrette; ed egli,
l'incontentabile, poteva ancora fare accogliere qualche ultimo suo pentimento. Ma nulla fu
sacri cato: né quel tal mezzo foglio guasto da tante lezioni cattive, né alcun altro, comunque
fossero gli errori. Tra i fogli tirati l'Ariosto scelse i migliori a formar qualche esemplare che meglio
rispondesse alle sue ultime intenzioni: i ed I sono, a nostro giudizio, quelli che vincono tutti gli altri
per la bontà del testo.

Poi per concludere il suo articolo fa delle considerazioni un po particolari:

L'ipotesi di esemplari « buoni » di un'edizione del Cinquecento, composti di fogli scelti


coscientemente dal tipografo o dall'autore perché contenevano stati corretti delle forme, va
contro i principi della bibliogra a testuale. Cita McKerrow: «It is ... quite unscienti c to speak of a
more or less corrected copy of a book - unless indeed it only consists of a single sheet, or
indeed ... of a single forme»(non avrebbe senso di parlare di una copia corretta o meno);

E ribadisce in questa sezione che I ed L sono gli unici esemplari cartacei a possedere il foglio
cancellans.

Edizioni di Dorigatti del 16.


Dorigatti con questa pubblicazione dell’orlando furioso del 16 valorizza la princeps che era uscita
a Ferrara presso il tipografo giovanni mazzocco, anche segre riconosceva l’importanza del 1516,
importanza che aveva di per se indipendentemente dai miglioramenti cambiamenti apportati
dall’Ariosto nell’edizione del 21 e poi 32. Curando l’edizione critica del 16, dorigatti si colloca in
una posizione di distacco rispetto ai metodi della lologia d’autore (che richiede l’osservazione
diacronica delle varie edizioni), nell’introduzione adduce al perché di questa scelta, i motivi
essenziali sono:

1. È gia stata realizzata la composizione di tre edizioni dove segre riprende l’edizione di
debenedetti ma l’arrochisce di un apparato critico con varianti ri utate.

2. Il ricorso ai metodi della bibliogra a testuale induce a ripensare ad una stampa curata
dall’autore stesso in modo completamente diverso rispetto al passato.

Dice esplicitamente: non interessano i ripensamenti avvenuti dopo e testimoniati dall’edizioni del
21 e 32, l’attenzione è rivolta agli obiettivi realizzati dall’Ariosto nel 1516.

Nella nota a testo dove da la spiegazione dei criteri editoriali: fa la collazione, descrizione
particolareggiata dei 12 esemplari superstiti del 16 e da anche l’indicazione del esemplari che
erano noti ma che sono scomparsi.

L’esemplare ideale
La nota a testo inizia con un discorso sull’esemplare ideale—> è una copia del libro integra di
ogni sua parte formata da fogli preservati cosi come uscirono dalla tipogra a; è un concetto che
gli stessi bibliogra testuali ad esempio uno inglese ha contestato, perchè sembra un concetto
loso co. È l’esemplare della stampa, di una tiratura che sia il tipografo sia l’autore del testo
scritto avrebbero voluto che fosse uscito dalla tiratura di stampa (non è detto che è sempre
uscito, spesso se ci sono stati interventi abbiamo esemplari con varianti da togliere, oppure puo
essere scomparso, andato perduto, nel caso del 16 ci sono esemplari esistiti materialmente che
però non sono più reperibili.

De nizione di Fahy: nel caso speci co si può considerare esemplare ideale una copia del libro
integra di ogni sua parte formata da fogli preservati cosi come uscirono dalla tipogra a, ognuno
contenente l’ultimo stato (tipo 2 in questo caso), l’ultima volontà dell’autore, l’esito di una
determinata fase della tiratura, l’ultimo stato di stampa accertato attraverso il confronto con gli
esemplari superstiti.

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Per l’edizione del 1516 non esiste un testimone perfetto che possa rappresentare il cosiddetto
esemplare ideale, questo dovrà essere ricostruito deduttivamente sulla base dei 12 esemplari
superstiti. (Una costruzione dello studioso della lologia dei testi a stampa, ricostruzione virtuale).

Questo discorso lo fa all’inizio della nota a testo: l’esemplare ideale di A

Oltre a parlare dell’esemplare ideale di A, sono descritti nei particolari i procedimenti che ha
seguito lo studioso nell’edizione di questo testo:

-descrizione della stampa e della formula di collazione, cioè come l’esemplare della stampa scelto
come l’esemplare base viene descritto nei fascicoli, in tutti i suoi aspetti sici materiali e descrive
in sintesi anche la marcatura dei fascicoli con esponente il numero delle carte per ogni fascicolo,
sono 33 fascicoli composti da due fogli (lato interno ed esterno del foglio), ogni foglio è composto
da due forme (esterna ed interna), queste due forme sono disposte su due lati del foglio,
all’interno di esse ci sono 4 facciate.

- descrizione dei paratesti e ricostruzione della vicenda redazionale del privilegio di stampa
ponti cio (prima edizione ha avuto privilegio di stampa da parte del ponte ce—privilegio di
stampa deve garantire agli autori editori la facoltà esclusiva di stampare una determinata opera
entro un certo numero di anni). Originariamente redatto da Pietro bembo.

- Poi tiene presente nella nota a testo tutte le particolarità tipogra che, le particolarità dei
caratteri di stampa ecc, illustra le varianti di stato, c’era anche un’errata corrige degli autori e
poi la de nizione del testo critico, da motivazioni di come ricostruisce l’esemplare ideale e di
come vengono corretti gli errori segnalati nell’errata corrige della stampa.
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Filologia italiana 30 nov
Edizione princeps del 1516 dell’orlando furioso di Dorigatti
Questa edizione del 1516 fu molto curata dall’Ariosto anche nell’aspetto della resa tipogra ca,
teneva che la resa dei caratteri fosse buona. Dorigatti dichiara di aver voluto presentare l’edizione
critica non solo del testo della redazione ma dell’intero libro uscito (non ha curato solo un testo
come avrebbe fatto un lologo ma ha anche indicato le carte bianche preseti nel volume
dell’edizioni, ha curato i paratesti ecc).

Nella sua edizione sono riproposti i paratesti ed anche gli apparati iconogra ci (le immagini,
gure), c’è il frontespizio con la marca tipogra ca dello stampatore tipografo cioè Giovanni
Mazzocco, il privilegio papale rilasciato all’editore e all’autore ed una xilogra a cioè un incisione
sul legno dell’immagine delle api con il motto “pro bono malum” (cioè in cambio del bene , il
male).

Dorigatti interviene su tutte le anomalie estranee alla volontà dell’autore, ad esempio sugli errori
tipogra ci che non sono dovuti all’autore ma al tipografo o al collaboratore dell’autore; regolarizza
anche i segni diacritici e l’interpunzione, cioè riconduce l’interpunzione ai criteri moderni anche
per rendere il teso più comprensibile, non solo nei manoscritti ma anche nelle stampe rimanevano
criteri d’interpunzione del 300 tipo quelli del petrarca.

Il testo è trascritto sulla base di un esemplare, in particolare l’esemplare Fe di Ferrara, biblioteca


comunale Ariostea, (la collocazione che equivale alla segnatura di questo esemplare è) S.16.1.21.
il testo contenuto in questo esemplare viene controllato, collazionato con il testo degli altri
esemplari di questa tiratura; quindi anche se sono stampe, uno potrebbe dire che gli esemplari di
stampa sono tutti uguali le copie di stampa, ed invece no perchè nella stampa antica non era
detto che fossero tutti identici cosa che accade oggi nella stampa moderna, perciò devono essere
confrontati.

Un’altro punto che dorigatti tiene presente nella sua edizione è: la ricognizione e la classi cazione
delle varianti di stato (varianti che si veri cano durante una medesima tiratura per cui alcuni
esemplari escono mentre è in corso la tiratura con delle varianti altri senza esse. Spesso sono
dovute o ad interventi del tipografo o quando è vivente l’autore ad interventi dell’autore stesso.

Tutti gli esemplari di questa stampa del 1516 hanno un errata corrige, cioè un elenco di errori da
correggere; dorigatti presta attenzione a queste correzioni contemplate nell’errata corrige e le
segnala nell’introduzione. Si puo notare che in alcuni casi il testo critico cioè il testo che viene
restituito di A (prima edizione), a volte questo testo viene a correggere il testo di C, aiuta a
correggere loci di cili del testo di C (Questo lo osserva dopo aver fatto la collazione sistematica
di tutti gli esemplari).

È un edizione dotata di apparato critico, l’apparato registra:

- gli errori sia tipogra ci che testuali (che possono essere attribuiti al tipografo);

- Alcuni emendamenti, correzioni dovute all’autore o al tipografo (ovviamente vicino al tipografo


c’è sempre la gura del collaboratore, curatore); alcuni emendamenti vengono segnalati in
apparato, non tutti perchè alcuni sono taciti vengono ricordati in una sezione dell’introduzione.

- In apparato critico sono presenti le varianti di stato, con accanto i gruppi degli esemplari
indicati con le sigle che testimoniano queste varianti di stato (quindi c’è a volte una variante che
ha dietro 5/6 sigle).

- Poi vengono segnalate le correzioni degli errori che sono contemplate nell’errata corrige.

- Gli esiti delle due redazioni successive, le lezioni di B e C quando riguardano la lezione di A
vengono segnalate.

Gli interventi che lui chiama taciti, non sono segnalati in apparato (alcuni presenti
nell’introduzione). Essi riguardano soprattutto le varianti accidentali (ad es: più scritto con accento
o senza, in anti che vuol dire innanzi ecc), questi interventi li troviamo in una sezione
dell’introduzione.

Considerata la cura con cui l’Ariosto segui la stampa, i refusi di stampa di A si limitano a casi
banali facilmente emendabili con l’aiuto di B e C (vedremo un esempio di un verso in cui dorigatti
sceglie la lezione di B e C perchè non c’era altra soluzione che poteva essere confermata dalla
bibliogra a testuale per scegliere l’altra lezione, sceglie quella di B e C perché gli da più sicurezza.
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Alcuni interventi banali ad esempio sono l’inversione dei caratteri metallici ad esempio l’inversione
di “n” con “u” capovolta per cui invece di “un” abbiamo “uu”perchè è stato invertito il carattere
dal compositore che compilava la riga. Quest’ errore si corregge tacitamente, sono errori banali.

Esempi di errori
• La strofa 40 verso “di voler prima i barbari assalire” è una variante presente in B e C. Lui
spiega: non essendoci i motivi bibliogra ci in quanto è l’unica variante presente nella forma
tipogra ca di A, dorigatti si a da alla lezione conservata in B e C, quindi questi due
confermano che la lezione “di voler prima i barbari assalire” è lezione giusta.

Apparato:
- 40,4 di voler prima] varianti d'esser il primo A1 (Dr Fe Fi M N P); di voler prima A2 (Ca Ch Du LR
T).Le varianti sono adiafore. Trattandosi dell'unica variante presente nella forma tipogra ca, non
sussistono altri elementi utili a stabilire la successione degli stati su basi bibliogra che, per cui
occorre a darsi al criterio evolutivo e considerare l'ultima volontà dell'autore rispetto ad A la
lezione conservata in BC, pur ulteriormente modi cata (di dover prima i Barbari assalire).

(A1,A2,A3= sono ognuna delle varianti di stato presenti in un determinato luogo di A, da non
confondere con gli stati della forma spiegato alla pagina 16 numero romano).

- 24,2 (qui abbiamo la questione di apostrofo) se 'I] sel A; 20,2 B; è presente in se 'I XXXVI 20,2
C. Soluzione del nesso tramite aferesi dell'articolo il, che precede sempre terren(o) tranne in un
caso (XXVI 63,4). Questo è un intervento che si basa sull’usus scribendi delle stampe che
devono ri ettere l’uso dell’autore.

Problema: l’uso delle maiuscole e delle minuscole—> in base alle stampe lui ha notato e dice che:
il sistema arrostisco è particolare, per esempio nella prima ottava del poema (I 1,7-8) “di vendicar
la morte di Troiano sopra Re Carlo Imperator Romano”, qui vediamo come ariosto ha messo la
maiuscola per “Re” che essendo nome comune avrebbe dovuto presentare la minuscola; questo
perchè e prece dorigatti lo conserva perché ariosto avrebbe voluto dare con re in maiuscolo
l’importanza a Carlo e farà la stessa cosa anche più avanti (II 22,1) in cui vuole dare importanza ad
angelica “bramoso di ritrarlo ove fosse Ella”. Un altro caso lo troviamo in “e la foglia con rami in
modo è mista, ch’el Sol non v’entra, non che minor vista”,siamo di fronte all’ombroso albergo in
cui si rifugia Angelica per ripararsi dalla calura estiva: il sole scritto in maiuscola diventando cosi
una presenza maschile che viene ad inserirsi quasi a spiare angelica in un momento di privacy,
dando al verso una leggera venatura erotica. Un altro esempio è quello di un cavallo che
comprende l’intelletto umano : “il Destrier c’havea intelletto humano”, per dare importanza al
destriero lo scrive con la maiuscola, è un cavallo particolare a cui viene attribuita la capacità
intellettiva.

Dorigatti nei criteri d’edizione dice di aver conservato la gra a originale di quella stampa che lui ha
scelto come testo base e cosi anche forme che a volte hanno aspetti eterogra ci (es: africa a
volte è scritto con la “F” a volte con il “ph”), lui conserva quello che trova nell’esemplare su cui si
è basato. Sono rispettati anche gli scempiamenti, cioè l’abolizione delle doppie (addolora >
adolora) ed anche i raddoppiamenti, una sola consonante viene raddoppiata.

Rapporto tra manoscritto e stampa


Ora torniamo ai problemi della stampa ed al rapporto tra manoscritto e stampa.

Abbiamo parlato tenendo presente l’articolo di Petrucci, che vedeva uno stretto legame tra
manoscritti e stampe.

La prof si è basata sul libro della braida che esamina la storia della stampa a livello europeo.

Prefazione di Aldo Manuzio al lascaris


Manuzio nelle sue edizioni principalmente di classici greci ma poi anche latini (lucrezio) e poi
verso la ne della vita si accorge anche dell’importanza del volgare, pubblicando cosi anche testi
in volgare come l’epistole di s.caterina, il sogno di poli lo ed anche l’arcadia di sannazzaro e la
commedia di dante e le rime di petrarca con la collaborazione del bembo.

Ai suoi testi metteva le prefazioni.

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La prefazione che vedremo è presa da: Aldo Manuzio editore. Dediche . Prefazioni. Note ai testi.
Introduzione di dionisotti. Testo latino con traduzione e note a cura di Orlandi, due volumi usciti a
Milano nel 1975.

(Slide testo latino), ora vediamo la traduzione fatta da Orlandi:

Durante i primi del ‘500 gli stampatori continuavano a lavorare con gli stessi metodi degli anni
dell’esordio e per la maggior parte di loro il modello del libro a stampa è ancora il libro
manoscritto; dai codici manoscritti la stampa riprendeva sia le caratteristiche di organizzazione
del testo e delle immagini, sia le caratteristiche materiali—> quindi come diceva anche Petrucci
stretta relazione tra manoscritto e stampa.

Pensiamo al corsivo aldino, che riprende la scrittura di alcuni famosi copisti di manoscritti; ed
anche al carattere romano che riprende la scrittura di molti testi conservati in manoscritti.

Come la maggior parte dei manoscritti i libri a stampa non avevano all’inizio un frontespizio (titolo,
autore, luogo e data di edizione ), cominciavano subito dalle prime righe del testo dall’incipit del
testo e terminavano con le ultime parole unite talvolta a una forma di commiato (explicit, colofon
dove c’era scritto il nome del tipografo, l’anno di stampa il luogo e la data). Molti tipogra però
continuarono per anni ad omettere il luogo e anno di stampa, cosa che rende di cile
l’identi cazione di molte edizioni.

Per alcuni anni la tendenza fu quella di formulare titoli brevi senza indicare il nome dell’autore, poi
il titolo si allungò sino a diventare un riassunto dell’opera; bisogna aspettare i primi decenni del
500 perchè si incomincino stabilire le caratteristiche del frontespizio (che deve avere: titolo, nome
dell’autore, luogo e anno dell’edizione e nel colofon ma anche nel frontespizio si ha il nome del
tipografo che ha stampato l’opera). Per dare sempre importanza al tipografo si a erma
gradualmente la marca del tipografo, prima è una semplice sigla con le iniziali del nome e
cognome, alcune sono marche parlanti (es: renuar tipografo francese che sceglie la testa di
moro, dato che si rifa al suo cognome che signi ca nero) , altri scelgono un simbolo (es: l’ancora e
il del no, manuzio ad esempio ha entrambi i simboli, o anche il ramo orito); in alcuni edizioni
compare l’uso di un motto in versi posto sotto la marca e poi l’indirizzo dello stampatore nel
margine in basso del frontespizio.

I caratteri:

I primi tipogra cosi i lettori ritenevano che la bellezza dei caratteri risedesse nella loro leggibilità,
nel fatto che sembrassero addirittura scritti con la penna e nella corrispondenza tra il carattere
usato ed il tipo di testo edito. La scelta del carattere dipendeva anche dal tipo di testo edito per
esempio: per le opere dei classici o per umanisti si utilizzava il carattere romano che imita la
scrittura carolingia che era la scrittura degli antichi riproducendo la cosiddetta lettera antiqua che
per gli antichi era la scrittura carolingia; mentre per le opere di carattere religioso, teologico
loso co o giuridico si imitava la scrittura gotica, essendo numerose le varianti di scrittura gotica
si sceglieva la gotica di tipo italiano soprattutto quella che veniva chiamata “littera bolognensis”
(ossia littera usata a Bologna) che aveva una forma più arrotondata rispetto alle altre. Aldo
Manuzio non fece uso di carattere gotici dal momento che nel suo catalogo delle opere che
stampava vi erano esclusivamente opere classiche.

Per porre l’attenzione su un esempio dell’importanza che davano ai caratteri vediamo che in una
stamperia di un tipografo inglese pynson usci un testo di un autore vissuto tra 400 e 500 (brant),
un testo scritto in latino dove immagina una nave con della gente strana sopra che poi va a nire
male (rappresenta il mondo, gli uomini), dove vediamo che il testo latino è in carattere romano
mentre la versione inglese a fronte è in gotico.

La scelta del formato:

I tipogra fecero riferimento ai modelli di libri manoscritti che circolavano nel secolo 15esimo,
come abbiamo visto anche in Petrucci 3 erano i principali formati: Il libro scolastico ed anche il
libro da banco; il libro umanistico di formato medio scrittura e ornamentazione ispirate ai modelli
tardo-carlini; il libro popolare di carta di formato piccolo e rozzo nell’ornamentazione.

Come nei manoscritti cosi nei primi libri a stampa all’inizio le pagine non erano numerate poi
gradualmente si a ermò l’abitudine di contrassegnare ogni fascicolò con una lettera dell’alfabeto
sul recto di ogni carta, l’ordine alfabetico guidava la successione dei fascicoli.

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Riguardo all’ornamentazione all’inizio si ricorreva alla miniatura anche nelle stampe ma a partire
dagli anni 70 si ricorre alla xilogra a (i primi sono stati i tedeschi, in Italia il primo ad introdurre le
iniziali xilogra che inserite nella forma di stampa è stato regio montano).

L’ illustrazione del libro fatta con questo sistema xilogra co traeva spesso ispirazione dalla pittura
contemporanea (ad esempio l’edizione orentina di dante del 1477 riportava incisioni che
imitavano lo stile del Botticelli, ma ci furono anche alcune immagini di libri di stampe famose
come quelle dell’ipneromachia in uenzarono l’immaginario degli artisti).

La riproduzione simultanea di un testo, in un gran numero di copie e la diminuzione del prezzo


del libro avevano colpito alcuni tra i più noti umanisti (fanno osservazioni su quanto fosse sceso il
costo del libro).

Tipologie di opere nei primi 50 anni di stampa (1460-1510):

Si dividono in tre tipologie anche in base a tipologie come il formato del libro, della scrittura
(gotica o corsi rotondo romana): il primo tipo erano le bibbie, i libri teologici, loso ci e giuridici
della tradizione medievale (libri che avevano caratteri gotici), domina il latino ed erano testi scritti
tra il 12esimo e 14esimo secolo (ritorna la stessa classi cazione anche nel formato); il secondo
tipo erano classici antichi greci o latini oppure opere degli stessi umanisti (il primo a dare la sua
opera alla stampa fu Marsilio cino che nel 1476 diede alle stampe la sua opera e dietro di lui
verranno altri come alberti, Landino, il carattere usato era la littera antiqua, cioè il carattere
romano che somigliava molto alla scrittura carolingia; il terzo tipo era il libro con opere di larga
circolazione che poteva essere di contenuto letterario, rime, presi anche la commedia poteva
essere considerata di larga circolazione.

Il testo base secondo la braida erano le sentenzie.

L’ opera deve il suo successo non tanto alla forma letteraria che è piuttosto mediocre, quanto
all’assetto ordinato e completo e proporzionato in cui si trovano riuniti tutti i problemi che erano
ritenuti problemi di base dell’insegnamento, problemi principalmente sul piano religioso. Queste
sentenze ebbero un grande successo nel 500 ed ebbero 22 edizioni di cui 11 uscite a Basilea
presso Kessler e c’erano anche delle bibbie in latino che erano il predominio degli stampatori
tedeschi, la prima bibbia a stampa in latino compare anche a Roma nel 1471 per opera dei due
prototipogra di origine tedesca ed essi introdussero il carattere romano in Italia. Anche a Venezia
ci furono stampatori di classici pero tedeschi.

A partire gia dal 1470 si veri cò una sovrapproduzione di edizioni di classici latini che il mercato
non era più in grado di assorbire.

Il libro di larga circolazione (3 tipo):i stampatori tedeschi seppero sfruttare per primi la potenzialità
del libro volgare puntando anche sulle illustrazioni.

In Italia il primo volgarizzamento della bibbia apparve a Venezia nel 1471 nella traduzione di
Niccolò malermi, l’autore sottolineava l’importanza del fattore linguistico nella di usione della
scrittura.

Notizie su Aldo
La braida passa al principe dei tipogra : Aldo manuzio, che esordi nel 1494 a Venezia nel mondo
dell’editoria in società con un altro stampatore Andrea torresani e collaborò anche con
l’esponente di una famiglia patrizia politicamente in uente Pietro Francesco barbarico. È
importante che abbia avuto questa collaborazione con il barbarigo perchè altrimenti
nanziariamente manuzio non sarebbe andato da nessuna parte, e l’aiuto nanziario del glio del
doge fu notevole (barbarico deteneva il 50% delle quote societarie), con l’istituzione di questa
società iniziò una delle più signi cative imprese editoriali Europee senza l’aiuto nanziario di
torresani e barbarigo manunzio non avrebbe fatto nulla.

Prima di diventare il principe dei tipogra era insegnante presso piccole corti principeshe come
quelle della mirandola e quella dei principi di carpi. Fu autore di una grammatica latina e greca,
conosceva a fondo la letteratura classica con una preferenza per gli autori greci; dal 1495 al 98
pubblicò importanti testi greci.
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Lezione del 6 dicembre
Prefazione di Aldo manuzio al lascaris, traduzione curata da dionisotti ed Orlandi con anche
note a testo.
Nel 1494 esordi a Venezia aldo nel mondo dell’editoria ed entrò in società con un tipografo noto
Andrea torresani, stampatore di grande esperienza che divenne un punto di riferimento per aldo,
accanto a lui ci fu l’intervento dal punto di vista economico di Pietro Francesco barbarigo glio del
doge che investe nella società con aldo manuzio e torresani che si sarebbe occupata delle nuove
edizioni.

Manuzio era particolarmente colto, era umanista che conosceva il greco e il latino, insegnò presso
piccole corti principesche come quella della mirandola ed anche dei principi di carpi, lo
prendevano come docente e precettore privato. Prima di essere tecnico fu autore di una
grammatica greca ad imitazione delle grammatiche antiche e spesso venivano chiamate
“erotemata” basate sul criterio della domanda e risposta.

Negli anni che vanno soprattutto dal 1495 al 1498 pubblicò importanti testi greci: per esempio
Aristotele che era stato fondamentale nel medioevo fondamentale per dante; tra gli scrittori di
drammi Aristofane; e poi varie grammatiche e dizionari.

Erotemata del lascaris


Questa che viene edita nel 1495 è la grammatica greca del lascaris chiamata erotemata basata
sulla domanda e risposta.

(Notizie su Costantino lascaris: fu fatto prigioniero dai turchi durante la presa di Costantinopoli nel
1453, si era riscattato dalla prigionia versando una considerevole somma di denaro e nel 1460
insegnava greco a Milano dove conobbe Ippolita sforza, che sposerà poi Alfonso duca di Calabria
trasferendosi a Napoli dove la seguirà anche Costantino e gli verrà conferito un carico di
insegnamento preso lo studium napoletano. Tre anni dopo il 65 va Messina dove riceve un
incarico presso il convento dei monaci basiliani di san salvatore e questo insegnamento
messinese gli da un grande successo, importanza in tutta Italia tanto che pietro bembo e un altro
giovane e nobile veneziano vanno da Venezia a Messina per seguire le sue lezioni , in quel periodo
Messina veniva chiamata novella Atene per il successo che ebbe l’insegnamento di greco del
lascaris).

Nella sua formazione riteneva (questo è ben visibile dalle sue prefazioni) come fosse importante
conoscere le fonti greche non solo per la letteratura ma anche per la loso a, la scienza la
matematica soprattutto; queste dediche le troviamo pubblicate in un opera composta da due tomi
di grande formato dal titolo “aldo manuzio editore” dove viene esaminato l’aspetto di editore di
manuzio “dediche, prefazioni, note ai testi. Introduzione di Carlo dionisotti traduzione a cura di
Orlandi”.

Riguardo alle sue edizioni di autori antichi greci pubblicò direttamente in greco nel 1499 senza
illustrazioni l’opera di dioscoride, autore del primo secolo dopo cristo e quest’opera era
conosciuta solo in edizioni con traduzioni in latino e in alcuni casi anche con i volgarizzamenti.
Dioscoride è noto per l ‘opera “de materia medica” considerata fondamentale nella medicina
occidentale per la preparazione dei farmaci, è un opera di carattere scienti co.

La politica letteraria di manuzio nei primi anni sembra più rivolta al recupero dei testi loso ci,
scienti ci più che letterari, soprattutto testi greci. I testi greci erano gia stati stampati in Italia oltre
a questa qui del lascaris, anche la grammatica di Manuele trisolora che fu il primo ad avere
l’incarico di docente u ciale di greco a Firenze per tre anni; vennero però pubblicati anche testi
letterari come Erodoto, teocrito, esopo.

Questa del lascaris è del 1495, invece risale al 1512 la prefazione di manuzio all’edizione della
grammatica greca del trisolora.

Nel 1499 aldo si apre agli autori latini e tra essi dionisotti dice (cito quello che dice
nell’introduzione di queste dediche): era naturale date le premesse che alla letteratura classica
latina aldo giungesse per la via greca della loso a della scienza. Si è rivolto ad un autore latino
che era lucrezio e pubblica la sua opera nel dicembre del 1500, era infatti quest’opera un
esposizione chiara della loso a di epicuro e quindi questo autore latino fa da tramite tra i loso
greci e il mondo latino.

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La sua attenzione al volgare nasce alla ne del 400 ed inizia nel 1499 ed andrà avanti no a tutta
la vita con la pubblicazione della cavia di sannazzaro . Inizia con alcune opere in vogare del 1499
con Hypnerotomachia Poliphili, che fu considerato il più bel libro illustrato del rinascimento per
la presenza di 200 incisioni in legno. Scritto in un linguaggio ibrido tra il italiano ed il latino, viene
de nito scritto in lingua volgare; fu attribuito al domenicano Francesco colonna, ma dagli ultimi
studi degli storici dell’arte sembrerebbe che non sia stato lui l’autore ma un altro colonna, sarebbe
stato un colonna romano ad aver scritto quest’opera.

Questa edizione dell’ipneromachia sarebbe stata realizzata su commissione e nanziamento di un


gentiluomo veronese Leonardo crasso, questa è un’osservazione che fanno sia dionisotti (nel
libretto gli umanisti ed il volgare) che Orlandi. Dionisotti osserva che l’estraneità di questo genere
di testi ai gusti di manuzio fa pensare che aldo fosse stato indotto alla pubblicazione del poli lo
da alcuni amici legati alla famiglia crasso.

Tra le ornamentazioni, incisioni che corredano il testo ci sono molti fregi lapidi medaglie, sembra
che l’autore fosse anche interessato ai reperti tangibili e parlava di questi, nelle incisioni disegni
compaiono anche queste lapidi, giardini e tempietti nelle incisioni di questo libro.

Il contenuto: è un romanzo d’amore, il protagonista poli lo è avido di conoscere e mostra una


notevole passione per l’arte; visita in sogno il regno dell’arte guidato da logistica (ragione
personi cata da immagini di donna), dalla volontà e visita anche il regno della libertà e da questo
regno della libertà passando per altre fantasiose visioni entra nel regno del piacere della voluttà e
viene guidato dalla sua amata polia e perviene alla contemplazione della felicità perfetta il regno
della voluttà con la contemplazione di venere. Qui c’è l’operazione di trasferimento in un mondo di
sogno di un’amore sensuale trasferito in un amore di sogno, però tutto no alla ne del racconto è
incentrato sul piacere, sulla voluttà. Nel secondo libro è narrata la storia dell’innamoramento verso
polia, è un romanzo simbolico e cioè a dio cantato molto dai scrittori medievali subentra la divinità
della Natura, la natura che sostituisce il dio cristiano. L’autore sfoggia questa prosa in una lingua
pedantescamente ricca di latinismi, anche di vocaboli particolari, ellenismi, lo stile è ampolloso,
c’è questa minuziosa descrizione di giardini verdeggianti, di sontuose architetture, di vesti e
gioielli, di tutto ciò che a che fare con il bello; inoltre sfoggia anche le sue conoscenze di
architetto esperto di monumenti classici.

Particolarmente interessante è il libro di dioniostti “umanisti e il volgare”, in cui esamina


l’atteggiamento degli umanisti, ed inizia con aldo manuzio. Questo libretto è uscito nel 68 poi
riedito da fera.

Nell’introduzione dionisotti dice: a Venezia la svolta decisiva nella storia dei rapporti tra lettere
latine e volgari fu segnata dall’apparizione nel 1501-02 dall’edizioni aldine del petrarca di dante
curate dal bembo e vennero compresi nella nuova collana di classici che apri manuzio; i testi
furono scritti in corsivo chiamato poi aldino, erano di piccolo formato quasi come un libro
tascabile e non avevano traduzione. Dante e Petrarca escono nel 1501-02 compresi nella collana
dei classici in corsivo in piccolo formato che era iniziata con Virgilio.

Inoltre in questo libro è documentata la posizione di aldo nei confronti del volgare, verso l’età
matura dal 1499 al 1515 si dedica all’edizioni di opere in volgare; nel 1496 prima del poli lo
pubblicò una raccolta di scritti grammaticali greci : per esempio thesaurus corno copia ed horti
adonidis, nella prefazione di una di questi due testi (osserva dionisotti nella sezione delle dediche)
fa un paragone aldo con la lingua greca e latina, volgare paragonato con il greco ed il latino e
giunge alla conclusione che la lingua greca è di gran lunga superiore al latino e che invita gli autori
italiani ad imitare la tecnica dei greci (alcune a nità ci sono: l’articolo c’è in greco e italiano, ci
sono i dialetti). In questa prefazione di uno di questi testi greci manuzio dice in latino parlando del
latino: o magari noi avessimo tanta abbondanza ricchezza di lingua come hanno i greci l’avessimo
nel latino di gran lunga supereremmo i greci—> un rovesciamento dell’ideale retorico su cui si
basava la tradizione umanistica latina da cui deriva quella volgare.

Poi continua nella stessa prefazione dicendo: imitiamo tuttavia questa varietà di lingua e ricchezza
nella lingua volgare, e porta l’esempio di una parola “caput”>”capo, testa” che assume forme
diverse nei vari dialetti ad esempio in veneto si dice “cao”, a Padova “co” c’è varietà all’interno
dello stesso dialetto regionale a seconda delle città, la molteplicità dialettale del volgare si
avvalora agli occhi di aldo ma anche di altri umanisti del precedente greco. Non era interessato al
volgare come lingua letteraria e non dava la preferenza al volgare orentino come invece faranno
gli altri (bembo); in un opera le epistole di s.caterina farà capire nella prefazione che non era
particolarmente interessato tanto alla lingua di Caterina ma al contenuto.

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Nell’ Hypnerotomachia Poliphili veniva proposta una soluzione, umanisticamente accettabile
dell’incognita linguistica volgare cioè la lingua volgare ha in fondo latinismi, grecismi ,francesismi;
poi è un tipo di linguaggio letterario (diverso da quello di Caterina) ed era il risultato in fondo
dell’innesto sul volgare di una tradizione umanistica che ricercava il latino classico. Poi il suo
interesse per questo testo del poli lo può anche esser sorto per le varie citazioni di fonti che ci
sono, fonti antiche a volte citate esplicitamente ed a volte in modo esplicito che poteva stimolare
aldo stesso umanista di individuare di quale fonte stesse parlando l’autore.

Riguardo il contenuto gli umanisti riscontrarono in quest’opera la grande passione retorica


antiquaria, mitologica.

Per quanto riguarda la lingua di questa opera c’è stato uno studio di marco Mancini uscito nel
rinascimento e uno studio di gallo.

Aldo nella questione del volgare, per lui inizialmente non era stata cosi importante, lui era attratto
soprattutto nell età giovanile dai testi greci; nella questione del volgare nisce con l’aderire nella
sostanza alla tesi del bembo: modello per la poesia Petrarca, per la prosa boccaccio, ed anche
forse per questa collaborazione che ci fu con il bembo relativa alla pubblicazione del canzoniere
di petrarca e la commedia.

Un altra opera che pubblica è l’arcadia 1514.

La questione del volgare oltre che nelle prose della volgar lingua bembo ne parla anche negli
asolani, che sono dei dialoghi che si immagina essere avvenuti nella villa ad Asolo alla corte di
carolina corner, sono dialoghi discussioni su vari temi come l’amore, la distinzione tra amore
spirituale e amore sensuale, poi si scorge anche una tendenza verso una poesia in versi che fosse
fedele al modello più alto della lirica moderna cioè petrarca; nella prosa si distacca dall’ibridismo
volgare e pone come modello boccaccio della ammetta e non del decamerone. Questa sua
teoria si impone a tutti i dotti contemporanei o anche successivi quindi avremo autori che
prenderanno a modello due autori precedenti della letteratura italiana.

Quel che dice fera nell’introduzione all’opera di dionisotti è che bembo ebbe la capacità di
trasferire quello che era il problema dell’imitazione classico antico (cicerone) e l’imitazione libera;
lui favorì, riprodusse nella letteratura del tempo nelle origini della letteratura italiana un modello
come gli antichi prendevano a modello ad esempio cicerone e Virgilio.

Una delle sue ultime opere è l’arcadia di sannazzaro, è un romanzo pastorale in cui trova
espressione un certo particolare sentimento che è prevalso nella poesia del rinascimento
soprattutto tra la ne del 400 ed inizio del 500 e cioè è la nostalgia di un mondo idillico di pace
(che trova anche in componimenti antichi un esemplare), che trova realizzazione nella vita
pastorale, la ricerca di una perfezione morale e poi c’è un rapporto di simbiosi con la natura che
permette di dar pace all’uomo stanco. È una prosa volgare che è modellata dal sannazzaro che è
napoletano sul toscano illustre (a ermazione del orentino illustre e soprattutto riguardo la prosa
su boccaccio). Nella prosa volgare di quest’opera sono anche assimilati i modi stilistici del latino,
cioè trasferire alcuni espressioni proprie dello stile latino in un altra lingua senza cadere in
stravaganze linguistiche.

c’e un altra opera in volgare chiamata “La vita, et sito de Zychi, chiamati Ciarcassi, Historia
notabile” è il risultato del viaggio che Giorgio interiano fece in oriente. In quest’opera racconta in
particolari le caratteristiche dei territori caucasici, descrive i costumi degli abitanti. Aldo nella
dedica di questo libro chiede a sannazzaro di poter stampare in edizione perfetta digna
sannazzaro tutte le sue opere latine e volgari, poiché quelle che si hanno stampate molte sono
corrotte dagli stampatori.

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Prefazione degli erotemata del lascaris
Aldo Manuzio romano agli studiosi

— qui c’è una nota 2 con il riferimento a


Che il trattato grammaticale del dottissimo Costantino questa guerra portata da Carlo 8: Si allude
Lascaris,' quanto mai utile per introdurre i giovinetti alla ovviamente alla svolta segnata nella storia
conoscenza dei testi greci, fosse come un preludio alle italiana, e non solo italiana, dalla calata di
fatiche e spese gravissime e ai grandi preparativi che Carlo VIII nel 1494. Tuttavia non si
facciamo per la stampa d'ogni sorta di libri greci, è comprende bene, in questo lungo periodo
dipeso dal gran numero di coloro che aspirano ad iniziale della prefazione, quale nesso logico
apprender le lettere greche - giacché non erano più in sussista tra temperie politica e richiesta di
vendita grammatiche stampate e ce ne veniva fatta strumenti per intendere il greco, tra la
insistente richiesta - e inoltre dalla situazione generale «situazione generale dei nostri tempi» e la
dei nostri tempi, dalle immani guerre che ora, a causa stampa degli Erotemata del Lascaris; nesso
dell'ira divina per le nostre colpe, devastano tutta l'Italia e che d'altronde è chiaramente segnato, sotto
tra breve par che sommoveranno il mondo intero n dalle un pro lo sintattico, dalla correlazione cum .
fondamenta (nota2).” . . tum e dall'in nitiva retta da fecit. Per una
possibile interpretazione, rinvia
all’introduzione dove si dice che questo
disorientamento per una guerra poteva favorire il rinchiudersi di uno studioso in un mondo privato
di studioso lontano dalle faccende civili e politiche e quindi questo studioso rinchiuso in u mondo
privato di studi trovava la salvezza e la serenità che il mondo civile politico non permetteva.

Motivo di ciò sono i delitti d'ogni sorta dell'umanità,. assai -Nota 3 c’è il rinvio a Valerio massimo,
più numerosi e gravi di quelli che un tempo indussero la I,1, ext .3. Era un autore molto letto,
divinità irata a sommergere e a sterminare con le acque il aveva scritto i “facta et dicta..”, un ‘opera
genere umano. Oh' quanto è vera quella tua sentenza, o di carattere storico ma con tanti eventi
Valerio Massimo, e aurea e degna d'esser rammentata: racconti che hanno anche un po
«L'ira divina giunge a lento passo a vendicarsi, e il tardar dell’inventato che però interessano il
della punizione è compensato dalla sua gravità».' C'è un lettore, fu molto amato in età medievale.

noto proverbio* in lingua volgare: «A peccato vecchio, pena - Nota 4. Proverbio molto di uso,
nuova». Chi è colpito da disgrazia, deve accettarne le attestato nelle forme: “a colpa vecchia,
conseguenze. Così dicono. « Ma - obietterà forse qualcuno - pena nuova” e “peccati vecchi, penitenza
tocca anche a te». Ebbene, non lo negherò; lo ammetterò nuova”, rinvia al dizionario dei proverbi
anzi francamente: siamo uomini. E volesse il cielo che italiani di giusti e capponi. ( Per i proverbi
fossimo uomini sia di fatto sia di nome, non uomini di nome un opera importante sono gli adagia di
soltanto, di fatto appartenendo ad un gregge di pecore. Erasmo da Rotterdam).

(Nota5) Giacché, come dice Cicerone' vi sono parecchi -Nota 5. Cicerone, De o ., 1, 105.
uomini non di fatto ma solo di nome. Ma basti di ciò; anche Nemmeno in questa parte della
a queste cose Dio metterà ne - presto, speriamo.
prefazione sono del tutto chiari i nessi
logici. Il senso è probabilmente che Aldo
intende assumersi virilmente (sumus
homines . .. et re et nomine, non nomine solum) la sua parte nelle sciagure del tempo suo;
riconoscendosi al tempo stesso partecipe delle colpe che han provocato l'ira divina. Il richiamo
a cicerone è esplicito (ci sono uomini non di fatto ma solo di nome). “Anche a queste cose dio
metterà ne” questa frase è derivata da Virgilio, è una citazione implicita eneide 1, 199.

- nota 7. Erano la cit. editio princeps


Ecco frattanto a voi, amanti della buona letteratura, la milanese del 1476 (cfr. sopra, nota 1)
grammatica elementare di Costantino Lascaris, in forma molto stampata da Dionigi Paravicino sotto
più corretta di quelle che si vedono circolare la supervisione del cretese Demetrio
stampate.Costantino stesso, infatti, l'ha migliorata in circa 150 Damilas; la ristampa del 1480,
passi, come risulterà facilmente da un confronto: vi si sempre a Milano, opera di Buono
troveranno alcune parti soppresse, molte corrette, moltissime Accorsi, accompagnata dalla
aggiunte. Il libro, con le suddette correzioni di mano dello stesso versione latina di Giovanni Crastone;
Costantino, ci è stato messo a disposizione. da Pietro Bembo le ristampe vicentine (con la stessa
ed Angelo Gabriele, patrizi veniti, giovani di gran nobiltà e di versione) del 1489 e del 1491 per i
insigne talento, che da poco hanno appreso le lettere greche tipi di Leonardo Achates. Cfr. A.
nell'isola di Sicilia da quel medesimo Lascaris'° e ora a Padova" PeRTUsi, 'Eporriuore cit., pp. 326 sg.

attendono insieme allo studio delle arti liberali.


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-nota 8. Fa riferimento al soggiorno di
Di nostra iniziativa abbiamo aggiunto la traduzione latina a
Pietro Bembo a Messina presso il
fronte, reputando che ciò sarebbe stato non poco
L.ascaris e la sua importanza per la
opportuno e utile a coloro che iniziano l'apprendimento del
cultura del giovane letterato, si veda C.
greco.' Spero che mi scuserà chi preferisce questo genere
DIONISOtTI, S. V. P. Bembo, in Dizion.
di testi senza versione latina: perché abbiamo procurato di
biogr., (1966),L'accoglienza riservatagli
stampare la grammatica del Lascaris ad uso di persone
dal Lascaris al suo arrivo in Messina è
inesperte e a atto ignoranti di lettere greche; ben presto,
ricordata dallo stesso Bembo in una
coll' aiuto di Gesù Cristo, per gli eruditi e i dotti si
lettera (Ad fam., 1, 4); su questo punto e
stamperanno tutte le opere migliori dei Greci. Addio.
sull'insegnamento messinese del
Lascaris, si veda J.J. Fraenkel, in C.
Lascaris, Greek Grammar cit., Pp. 12-3.

- nota 9. Angelo Gabriele, patrizio veneto, compagno di studi del Bembo a Messina sotto il
Lascaris, fu anche negli anni seguenti tra i più assidui collaboratori di Aldo. Verso il 1501 aldo gli
dedicò la stampa di un'edizione più completa del trattato grammaticale di Costantino Lascaris),
pubblicazione da lui caldamente raccomandata all'editore; fu altresì promotore dell'edizione di
Demostene.
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