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CODICOLOGIA - prof. Paolo ELEUTERI

14/09/2020

Ogni manoscritto è un pezzo unico: tutte le copie di un libro a stampa sono uguali, mentre ciascun
codice manoscritto presenta disuguaglianze e diversità che in tutti i suoi aspetti, materiali e
immateriali.
La scrittura, la lingua, le decorazioni sono chiarissimi segni di differenziazione, (la pergamena no
perché il materiale è sempre lo stesso) così come l’alfabeto e il tipo di scrittura che viene usato. La
legatura che chiude i codici è fatta di un altro materiale (cartone, cartoncino, legno…): la legatura è un
oggetto nell’oggetto perché nei secoli la legatura è la prima cosa che si rovina e che quindi va
sostituita. Il nuovo possessore o la nuova biblioteca può far fare una nuova legatura, motivo per il
quale le legature originali che sono arrivate a noi sono poche eccezioni e in generale le legature sono
più recenti del codice stesso.

Perché studiare i codici? Per molto tempo il ne ultimo dello studio dei codici è stato quello di
analizzarne il testo da un punto di vista lologico. Capire dove e quando il codice è stato creato fa una
differenza notevole, perché il codice risponde a dei precisi criteri di creazione dietro ai quali vi sono
sempre dei motivi ben precisi. Il testo non poteva che essere quello, ma se degli scrivani hanno
messo insieme quel materiale in quel modo, pensato e organizzato in quel modo, per copiarci quel
testo, è perché quello era il testo che interessava, se qualcuno non fosse stato interessato a quel
testo non si sarebbe copiato; o il copista stesso o un’altra persona era interessata ad avere quel testo.
Per copiare un determinato testo, il copista ne doveva avere un altro esemplare da cui effettuare la
sua copia, e quindi studiare le copie di quel testo, quante sono, dove sono state copiate, fa capire la
sua diffusione: dove era letto, dove non era letto o era letto poco e che tipo di manoscritti l’hanno
tramandato, che caratteristiche hanno per copiare quel testo lì. L’ornamentazione aiuta a capire la
diffusione culturale del testo: questo si capisce solo e soltanto dal vettore, dall’oggetto che mi ha
tramandato il testo direttamente. Codici di studio? O codici di lusso —> qualcuno che ha
commissionato il codice voleva avere un bell’oggetto. Lo studioso copia o fa copiare il testo perché ci
deve lavorare su, il ricco o il collezionista vuole avere una bella copia. Un codice misero, con un
materiale di riciclo, scritto con una gra a poco curata è molto probabilmente un codice di studio.
Pergamena morbida, chiara, non è un codice di uno studioso, si vede subito la differenza, era
interessato ad avere un bel codice come oggetto culturale. Un codice di studio sicuramente avrà
interventi posteriori sulla pagina perché lo studioso interveniva sul testo: il tipo di codice ci restituisce
tipologie di testo differenti, anche lologicamente parlando.

L’oggetto codice dovrebbe sempre essere analizzato nel suo insieme, senza tralasciare nessun
elemento (paleogra a, linguistica, miniatura…). La scrittura —> perché si esamina la scrittura? La
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scrittura è la prima cosa che si osserva aprendo un codice, è l’elemento principale per la datazione e
ubicazione di un codice. Come si fa? Dal XVII secolo le scritture cominciano a perdere le loro
caratteristiche peculiari che le rendono diverse da altre: non solo dal punto di vista geogra co, ma
anche della professione di chi scrive. Fino a quella data, infatti, la scrittura di un mercante era
differente da quella di un teologo… si usano determinate scritture in base a ciò che si copia, ad es.:
l’Antico Testamento non si copiava con la stessa gra a di un documento qualsiasi. Fino all’Impero
Romano tutti scrivevano nella stessa lingua, gra camente c’era unità. Alla ne dell’Impero Romano le
scritture seguono gli sviluppi politico-amministrativi: la scrittura segue la disgregazione dell’Impero —>
si può dire più o meno dove e quando è stato scritto un documento. Il range di datazione e
localizzazione normalmente non è così ampio, normalmente si trova una datazione alla metà o quarto
di secolo. La scrittura deve essere de nita: si sono create denominazioni —> gotica = barbara, scritta
da chiunque; Carolina = ricorda Carlo Magno, ma non l’ha inventata lui, viene chiamata così perché
accompagna la diffusione del regno carolingio; scrittura professionale: scrittura mercantesca ha
determinate caratteristiche peculiari, scrivere la Bibbia in scrittura mercantesca è quasi un’eresia. Si
scrivono conti della spesa, contratti, ecc., e testi profani, scienti ci, matematici, di astronomia, di
navigazione. Non si copiano testi di cultura, c’è una sorta di opposizione ideologica tra una cultura
aulica e il pragmatismo mercantesco.

15/09/2020

Segnature dei codici

La segnatura del codice è il modo in cui viene indicato un codice per riconoscerlo. A differenza del
libro a stampa in cui il titolo, l’autore, la città sono sempre gli stessi, il manoscritto ha necessità di una
segnatura che lo rappresenta all’interno della biblioteca e anche quando deve essere citato in un
lavoro scienti co.
La segnatura comprende: città, biblioteca, fondo, numero/sigla con cui è identi cato quel singolo
manoscritto. Tradizionalmente impera il latino, un po’ per tradizione, e imperano soprattutto i modi
abbreviati di indicare la biblioteca, la città o il fondo.

I nomi latini della città o a volte della biblioteca o del fondo e spesso abbreviati: es. Vat.lat.1 codice
che sta per Vaticanus Latinus, fondo Vaticano Latino 1. Parigi Biblioteque National de France:
Par.Lat.1 - Parisinus Latinus 1. Se la biblioteca non è quella nazionale, si speci ca di quale biblioteca
si tratta.

Vindo Bonensis = Vienna


Lugd. Bat. = Leiden
Neo Eboracensis = New York
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In Italia ci sono 11 biblioteche nazionali

I sistemi tradizionali di segnatura indicano il formato del libro a stampa o del manoscritto: a seconda
dell’altezza e della larghezza delle pagine. Formato in folio (formato più grande) è il foglio di carta di
dimensioni normali piegati in due; una piega in più è il formato in quarto; ottavo; sedicesimo;
trentaduesimo.

21/09/2020

Descrizione dei manoscritti

Collocazione, materiale, misure, numero di fogli, datazione

- Collocazione ( foliazione o paginazione): la prima indicazione che si deve dare nella descrizione di
un manoscritto è la sua collocazione all’interno del codice. Le pagine sono il doppio dei fogli (il foglio
ha un recto e un verso). La paginazione nei manoscritti è rara, è più comune la foliazione. Spesso la
foliazione (o la paginazione) non è presente nel codice originariamente, ma frutto di una foliazione
moderna o contemporanea perché l’abitudine dei copisti, soprattutto di quelli medievali, era quella di
non segnare i singoli fogli ma, ad esempio, i fascicoli. Recto e verso vengono abbreviati con una r o
una v minuscole.

- Datazione: la datazione di un manoscritto può essere stabilita attraverso alcune caratteristiche dello
stesso: la scrittura, la decorazione o altri elementi simili (come ad esempio che sia nominata una
persona, che ci sia la rma di qualcuno, eccetera) possono fornire degli indizi utili per risalire alla data
di copiatura del manoscritto. Bisogna tuttavia considerare che ogni codice è il risultato di una serie di
strati cazioni, ciò signi ca che per creare ciascun codice sono state messe insieme o assemblate
(casualmente o volontariamente) varie parti, ciascuna delle quali apparteneva ad altri codici. Ciò che
ne consegue è semplicemente il risultato, casuale o no, di gruppi di fogli che originariamente non
dovevano nire rilegati insieme o dovevano appartenere ad altri codici. In alcune occasioni, può
capitare che la datazione del codice sia molto lunga poiché il codice in analisi risulta da una serie di
assemblaggi: es. “secolo X-XV” datazione molto larga che indica questo fattore.
Quando invece la data è espressamente indicata nel manoscritto bisogna andare con molta cautela. I
copisti usano il sistema di espressione della data che conoscono. Nel corso del medioevo, tuttavia, ci
sono state numerose modi che dei sistemi di datazione e solo alla ne del Medioevo si trova un
sistema più o meno univoco. Spesso, dunque, il copista aggiunge qualche altra espressione, oltre alla
data, che fa capire qual è il sistema cronologico che ha utilizzato, ad esempio: 753 ab urbe cond —>
anno 0 / 1 gennaio dell’anno 1. Non in tutte le culture, inoltre, si conta l’inizio del calendario a partire
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dalla stessa data: ci sono tradizioni locali che fanno iniziare il computo in una data diversa, esempi di
questo fenomeno sono le indicazioni ab incarnatione domini / a nativitate domini —> 25 marzo / 25
dicembre. I bizantini: computano dal 1 settembre 5508 aC (giorno della fondazione del mondo) —> se
il copista bizantino e scrive 6800, l’anno da tenere in considerazione è il 1302/1303 (1 settembre 1302
- 31 agosto 1303).
Un altro fattore da considerare è l’indizione: un numero da 1 a 15 (es. inditione septima). Si aggiunge
3 e si divide per 15, il resto è l’anno che interessa, se il resto è 0 l’indizione è la quindicesima.
Calendario perpetuo.

- Materiale: i due materiali principali sono la pergamena (diffusissima no al XIII secolo) e la carta (XIV
e XV secolo la carta supera la pergamena, con l’introduzione della stampa ancora di più).
L’indicazione che bisogna dare è cartaceo o pergamenaceo (membranaceo). Esistono codici che
contengono sia pergamena che carta, o per casualità o perché la pergamena veniva usata all’esterno
dei fogli cartacei perché più resistente. Bombìcino: indicazione che si usava per descrivere una carta
mediorientale, nei vecchi studi potrebbe comparire indicata così.

- Formato: oggi prevale l’indicazione in millimetri dell’altezza x larghezza del foglio. Un codice di
grande, medio o piccolo formato già può far ipotizzare un possibile uso del codice. Bisogna prestare
attenzione ai cambiamenti di formato dei fogli, oscillazioni di diversi millimetri possono indicare che è
successo qualcosa o che il codice sia il risultato di un assemblaggio. Si può indicare le oscillazioni
siologiche nelle dimensioni dei fogli con la dicitura “circa”. Bisogna segnalare solo le oscillazioni
importanti, ad es. tra blocchi di fogli di misure sensibilmente diverse.

22/09/2020

- Numero di fogli: insieme agli altri, questo è un elemento che può fornire l’identikit del manoscritto. È
un criterio oggettivo di descrizione e identi cazione di un manoscritto, un elemento distintivo. Se è
presente una foliazione, comunque bisogna contare i fogli nuovamente perché potrebbe variare il
numero rispetto alla foliazione precedente. Fogli di guardia del manoscritto —> foglio o fogli
(solitamente 2) messo tra la legatura e l’inizio del testo e tra la ne del codice e il secondo piatto della
legatura. Servono da protezione. Di solito i fogli di guardia sono coevi al manoscritto, ma le legature
dei manoscritti si rovinano facilmente e bisogna sostituirle. Nella sostituzione, si rimpiazzano anche i
fogli di guardia —> legatura moderna, quasi certamente i fogli di guardia saranno della stessa epoca.
Spesso i fogli di guardia sono il luogo in cui si annotano diverse cose: la nota di possesso, una dedica,
il copista che prova l’inchiostro (prove di penna / probatione scala), note delle precedenti segnature.
Anche i fogli di guardia fanno parte della consistenza del codice, per cui vanno contati. Ci sono
diverse teorie su come contarli: una dei queste teorie non li conta nel computo delle pagine, ma lo
spiega nella descrizione successiva; si contano tutti (la parte incollata al contropiatto e quella sciolta li
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conta come due fogli diversi); un’altra conta solo la parte mobile. Su come si indicano i fogli di guardia
c’è, invece, molta omogeneità: si indicano in numeri romani, separati dai numeri arabi con un segno. I
primi fogli di guardia si differenziano dagli ultimi con un segno qualunque in apice o un asterisco.

La descrizione di un codice comprende una serie di attività che sollecitano le più diverse abilità e
curiosità dello studioso che sta descrivendo quel codice. La catalogazione e studio di un manoscritto è
un’attività estremamente rara proprio perché i campi in gioco sono i più disparati e gli errori possibili
sono in niti; questi aspetti fanno sì che non molti studiosi di manoscritti si dedichino alla descrizione
dei manoscritti. La seconda parte del manuale di Petrucci è dedicata a quella che l’autore chiama “i
cataloghi speciali”. I codici sono in biblioteca, l’attività di una biblioteca è anche quella di catalogare il
proprio patrimonio. I manoscritti non sono catalogati in tutte le biblioteche, sono relativamente poche
le biblioteche che vantano cataloghi con i occhi, non tutte hanno cataloghi. Le biblioteche ormai da
decenni si stanno trasformando in qualcosa di più di un deposito di libri e la formazione di un
bibliotecario è rarissimamente omologabile al manoscritto (bibliotecario conservatore di manoscritti) —
> il catalogo è fatto da esterni alla biblioteca. Il gruppo di ricercatori o il ricercatore che fa quel
catalogo lo fa perché alle spalle c’è un interesse o un progetto di ricerca per il quale è necessario
catalogare dei manoscritti. La parte istituzionale non è più appannaggio delle biblioteche, ma
casualmente appannaggio di uno studioso. Questo fa sì che ci siano centinaia di cataloghi ogni anno,
ma ognuno di essi risponde a diversi criteri di catalogazione, in base all’interesse concreto dello
studioso o del gruppo di studiosi che si occupano di fare un determinato catalogo.

Lo stato di conservazione è un’informazione utile e interessante da indicare nella descrizione.

Descrizione interna

Autore e titolo: prima questione da affrontare. Bisogna documentarsi ricorrendo alla bibliogra a
disponibile relativa all’autore indicato nel manoscritto (se viene indicato).

Incipit/explicit: primo e ultimo verso (nel caso di opere in versi); nel caso delle opere in prosa non c’è
una regola su dove nisce l’incipit e dove comincia l’explicit. Gli studiosi e i catalogatori parlano della
prima/ultima frase di senso compiuto. Incipitari, generali o più speci ci, raccolgono e censiscono gli
incipit di un determinato gruppo di scritti.

23/09/2020
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Edizioni del testo: casi in cui è obbligatorio rinviare all’edizione del testo —> nel caso in cui il testo è
incompleto, manca qualcosa o è stato aggiunto qualcosa, devo speci care cosa. Per ogni tipologia di
testo ci sono serie, collane che tradizionalmente offrono sempre delle ottime edizioni.

Descrizione delle antologie

Varie metodologie:

Titolo e inventario e basta

Oppure

Descrizione analitica. Descrivo ogni singolo testo, per ognuno di essi dico autore, titolo, incipit e
explicit…

Oppure

Elencare solo alcune informazioni: solo l’autore (spesso il compilatore dell’antologia commette errori o
imprecisioni, quindi bisogna veri care l’attribuzione di ogni testo); autore, incipit ed explicit di ognuno;
autore, incipit ed explicit solo dei primi tre e degli ultimi tre, più elenco di tutti gli autori. A volte (spesso)
il compilatore dell’antologia citava a memoria e commetteva, dunque, degli errori di copia; oppure
cambiava alcune paroline dei testi pur copiando il testo dalla fonte per legare meglio due testi fra loro.

Commenti ai testi: abbiamo il testo dell’autore originale e il testo può (non è detto che lo sia) essere
accompagnato da un commento, ritenuto utile per la comprensione del testo. Il commento può essere
di tanti tipi. Può essere una spiegazione di alcune parole o alcune frasi che vengono parafrasate per
spiegarle meglio, oppure può essere qualcosa di un po’ più organico e attento alla spiegazione del
contenuto, no ad arrivare al commento continuo, cioè la spiegazione di tutto il testo. Queste forme di
commento si accompagnano al testo, situandosi accanto ad esso. I testi commentati sono spesso
quelli di grande diffusione (testi religiosi, loso ci, letterari molto conosciuti, ecc.). Ci troviamo dunque
di fronte a due testi distinti (il testo e il commento) che bisogna descrivere separatamente. Si
propongono gli stessi problemi del testo: attribuzione, datazione…
Glossa o scolio: commento puntuale, spiegazione, a una parola dif cile, rara, che merita una qualche
spiegazione. Il glossatore o scoliasta mette un commento per spiegare una parola: si scriverà “il testo
è accompagnato da glosse (puntuali, sporadiche, ecc) all’inizio/ ne/metà… del testo”.

Commento continuo: il testo e tutto attorno il commento che può essere tratto da un autore o da più
autori. Dunque, dopo aver descritto il testo bisogna descrivere il commento. Datazione, mano,
locazione… Il commento può darci informazioni spazio-temporali sulla diffusione e circolazione del
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testo manoscritto principale. Le annotazioni (commenti, parafrasi, note al testo…) aprono un versante
storico culturale

Bisogna de nire se siano andati persi fogli del codice. Come si fa? Un modo empirico è quello di
confrontare il codice con un’edizione a stampa, de nendo quanto e cosa manca nel codice rispetto
all’edizione a stampa. Un altro metodo è osservare la fascicolazione. Il caso più dif cile è se manca
qualcosa perché il copista ha saltato (volontaria o involontariamente) parti importanti del testo (capitoli
interi, libri interi) e non li ha copiati perché non li ha trovati nell’antigrafo o perché, per qualche motivo
ideologico, non li ha voluti copiare. Si tratta di mancanze piuttosto importanti (non due o tre righe, ma
porzioni notevoli). Se noto che è andato perso uno o più fogli, il modo per comprovarlo è, se esiste
l’edizione a stampa di quel testo, andare a controllare l’edizione a stampa e stabilire
approssimativamente se la porzione di testo mancante può essere contenuta in quel numero di fogli
che ritengo mancare dal codice.
Le divisioni in volumi dei testi rispecchiano determinati ordinamenti antichi: es.: ogni volume aveva
dieci libri. È importante, in caso di perdite di fogli, capire cos’altro c’era per capire anche come quel
determinato autore o opere come venivano trasmesse, con quali altre opere veniva trasmesso, può
dare chiavi di interpretazione. In alcuni casi è facile capire cosa manca: tipologie testuali che hanno
sempre uno schema sso, es. Antico Testamento: se comincia con i Numeri signi ca ovviamente che
manca qualcosa. Cataloghi, elenchi, qualunque strumento che può farci capire se esiste un altro
manoscritto con il quale confrontare il manoscritto che sto analizzando io e probabilmente così capire
anche quando sia avvenuta la perdita di fogli.

29/09/2020

Fascicolazione, materiale scrittorio pergamena.

La fascicolazione

I fascicoli vengono pensati e messi insieme dal copista inserendo fogli copiati uno dentro l’altro no a
raggiungere il numero desiderato. Quando il testo è stato scritto si procede alla cucitura sul bifolio
centrale: il copista prima scrive e poi, per ultimo, cuce.
In una situazione normale, il mio compito è quello di capire la struttura originale del codice (a meno
che non sia identica a quella attuale) ed eventualmente capire cosa quando e come è avvenuta
l’eventuale modi ca al codice. Comincio a contare i fogli no a quando non arrivo al centro del
fascicolo (vedo la cucitura) e continuando a contare la seconda metà mi aspetto che ci sia un numero
identico di fogli rispetto alla prima pagina. Questa operazione può essere complicata da vari fattori: ci
possono essere state perdite o aggiunte che complicano l’analisi, ma normalmente mi può aiutare la
segnatura dei fascicoli. Normalmente, i copisti nel medioevo non segnavano i fogli ma normalmente
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segnavano i fascicoli, che era sentita come l’unità di misura. I copisti di professione venivano pagati a
fascicolo, non a foglio. Li segnavano in vari modi e in varie posizioni. Normalmente, la segnatura del
fascicolo si trova o all’inizio e/o alla ne del fascicolo: sul primo recto e sull’ultimo verso del fascicolo.
La posizione in genere è, sul primo recto, normalmente nel margine superiore del foglio, al centro o un
pochino spostato verso destra; molto più di rado è in basso. La stessa cosa, speculare, si ripete alla
ne. Normalmente la segnatura sta in basso, al centro o verso destra.

il copista di norma compie tutte le operazioni: rilegatura, cucitura, fascicolazione.

Segnatura: Come viene espressa la segnatura? Mediante numeri, lettere, numeri e lettere. Lettere a
seconda degli alfabeti; numeri, nel basso medioevo si usava la numerazione mediana, a partire dal X
secolo cifre arabe; numeri e lettere: registri notarili. Di norma, con questa metodologia di segnatura, il
copista segna soltanto la prima metà dei fogli, non la seconda (A1, A2, A3, A4). Questa segnatura
permane no all’Incunabolo, cinquecentine, seicentine… Numero del fascicolo e, all’interno del
fascicolo, il foglio. La segnatura del fascicolo e una qualche forma di numerazione, anche se soltanto
a metà. Alla ne del fascicolo vengono anticipate le prime parole con cui comincia il fascicolo
successivo. Non è un’indicazione numerica, è un’indicazione per il rilegatore che doveva ordinare
correttamente il fascicolo. In basso a destra, in orizzontale o in verticale, è il copista che fa questa
operazione. Questi si chiamano richiami o reclamans/reclamantes. Io devo, fascicolo per fascicolo,
guardare che sistema di segnature usa il copista o i copisti e quindi dire che tipo di segnatura ha
utilizzato, descriverla, descriverne la natura (segnatura in lettere latine/greche…, dove comincia e
dove nisce es. da A a Z), la posizione nel foglio, eventuali richiami e se questi sono in orizzontale o in
verticale.
Le segnature, siccome non fanno parte direttamente del testo, i copisti cercano di mettere ai margini,
in alto o in basso che sia, per farle vedere il meno possibile. A volte sono decorate, nei codici più
preziosi. Questa posizione può creare qualche problema perché, essendo sul margine e venendo i
codici sottoposti a procedimenti di aggiustamento, il cambio di legatura provoca spesso che, per
adattare la legatura nuova ai vecchi fogli, talvolta si cerchi di ri lare i fogli, di farne una squadratura;
dato che i codici in origine non sono ri lati, ma chi li voleva particolarmente curati li faceva ri lare a
mano, la ri latura spesso tira via la segnatura, tutta o in parte. Quando è in parte può esserci traccia
della segnatura e posso azzardare a darne una descrizione; ovviamente non posso dirne nulla, però
posso azzardare a dire qualcosa. A volte non si vede niente e quindi resta il dubbio che ci fosse una
segnatura e che sia stata ri lata o che non ci fosse del tutto. In ogni caso bisogna speci care anche in
negativo quando la segnatura non c’è o non si vede.
Di solito le segnature sono tutte nello stesso posto; quando cambia la collocazione della segnatura dei
fascicoli bisogna chiedersi perché. Il copista comincia a copiare un nuovo testo, se la segnatura è in
un posto diverso, potrebbe signi care che tra la copiatura del testo precedente e quello attuale sia
passato un lasso di tempo considerevole. Perché un copista cambia sistema?
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La fascicolazione è direttamente collegata allo studio del testo. Manca una parte del testo —> bisogna
guardare se mancano fogli dalla fascicolazione.

Esempi pratici:

Ricomincia da capo la segnatura —> cambia antigrafo, cambia il copista, c’è un lasso di tempo fra una
copia e l’altra.
Più copisti: ogni copista ha copiato la sua parte del testo e poi i testi sono stati messi insieme, quindi
segnature diverse.
Più copisti, segnatura omogenea: i tre copisti lavoravano insieme. Signatura dei fascicoli, ognuna
ricomincia da capo e poi c’è un ulteriore copista o possessore che riconta i fascicoli e mette una
segnatura omogenea.

Foratura: il copista fora i fogli. Può tracciare i fori in svariati modi. Prende un foro per volta e fa i fori
oppure prende due fori per volta e fa il foro sul primo che passa poi nel secondo; può fare l’operazione
con tre fogli e li può fare da un lato o dall’altro. Jones ha studiato la foratura. Raramente si trovano
indicazioni di questo tipo, però è corretto parlarne nella descrizione del manoscritto. Il copista sa cosa
deve copiare e come deve copiarlo, è lui che stabilisce l’impaginazione del testo.

Rigatura: i singoli fogli del codice vengono rigati, normalmente con uno strumento a secco (senza
inchiostro) quindi generalmente con un punteruolo di metallo o di legno, che traccia in un certo modo
le righe che serviranno per poggiare la scrittura e di delimitazione laterale della super cie scrittoria
(spazio che sarà occupato dalla scrittura). Può essere una rigatura molto semplice e banale, già se
sono due colonne il tipo di rigatura è più complesso. Se è il testo da solo può non essere complicata,
se il testo prevede un commento marginale il testo ha una rigatura e il commento marginale un’altra; il
commento può avere più di una rigatura, a seconda di come era disposto il testo (destra, sinistra, in
basso, in alto…) a seconda dell’importanza che io do a quel commento. Spesso, soprattutto per certi
tipi di testi ( loso ci, testi sacri, …), succede questo nei codici che accolgono dei commenti
abbastanza ampi. Il testo da commentare è più o meno al centro della pagina e tutto attorno il
commento. L’importanza dei commentatori: il più importante più vicino al testo, i meno importanti più
lontano. La strutturazione della pagina non è solo materiale, ma a volte corrisponde a un’idea e
questo si riverbera sulla rigatura che va impostata in un certo modo. Più tipi di rigature presenti nello
stesso testo, l’unità di misura è il fascicolo. Va analizzata sempre con il fascicolo. Devo capire il
sistema che il copista ha utilizzato per la rigatura: ha tracciato le linee un foglio per volta; oppure per
far prima ha fatto due/tre/quattro fogli per volta. Per capire come ha tracciato la rigatura (da quale
verso) mi servo della vista e del tatto.
Codi cati 12 sistemi di rigatura: Leroy. Sistema di rigatura —> tipo di rigatura. Le righe orizzontali e
quelle verticali quante sono e dove sono. Il tipo di rigatura dipende molto dal tipo di testo che devo
copiare, dal tipo di codice che devo proporre. Migliaia di tipi di rigatura. Devo riconoscere il tipo di
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rigatura del mio codice sulla base del repertorio di Leroy, che è stato poi proseguito da Sautel.
Ritrovare lo schema di rigatura nel repertorio tipo di rigatura= Leroy Sautel…
Devo capire quali e quante sono le righe orizzontali e quelle verticali.
Con la speranza che uno studio comparativo aiutasse a precisare le tappe della carriera di un copista,
a confermare o in rmare delle attribuzioni, a datare o a localizzare delle pratiche e, di conseguenza, a
de nire la cronologia e la produzione di un dato centro.

Impaginazione: super cie scrittoria, numero delle linee, misurazione delle parti non scritte —>
Quante righe per pagina traccia il copista? Si possono distinguere tipologie di codici. Il copista tende a
usare lo stesso numero di linee per ogni foglio. Cambia testo: potrebbe usare diverso numero; due
copisti: entrambi usano lo stesso numero di righe, sarà un caso?; due copisti: usano numero diverso -
non era stato concepito come un codice unico. Se si sta facendo un tipo di descrizione analitica: le
linee, 28, circa 28, se ci sono oscillazioni più forti 26-29; se stabilite che non oscilla a caso, ma per
qualche motivo in particolare è il caso di precisarle. Scrivere in millimetri lo spazio occupato da ogni
colonna di testo e gli spazi bianchi.

Palinsesto: pergamena. Si raschia, si lava quindi si cancella un testo dalla pergamena per
sovrascrivere un altro. È possibile leggere il testo sottostante tramite la lettura a raggi ultravioletti o la
fotogra a digitale. In molti casi la pergamena è molto più ingiallita, più scura e più rigida per via dei
trattamenti che sono stati fatti per cancellare la prima scrittura.

30/09/2020
La carta

La fascicolazione vale anche per la carta, anche se la preparazione è diversa e questo capire come a
differenza della pergamena il materiale carta veniva preparato ha un’importanza per lo studio del
manoscritto cartaceo. Quello che ci interessa della fabbricazione e dei vari tipi di carta per rapportarlo
ai vari studi del manoscritto.

La carta entra nella storia dei codici più avanti rispetto alla pergamena. Le prime testimonianze
dell’esistenza della carta applicata ai manoscritti, risale, per quanto riguarda l’Europa, al periodo arabo
(VIII secolo). Invenzione cinese, passata tra il VII e l’VIII secolo al Medio Oriente e poi all’Africa
Settentrionale e, nalmente, alla Spagna. Per quanto riguarda l’Europa, la produzione di carta
comincia in Italia dalla seconda metà del XIII secolo. In particolare le prime cartiere testimoniate sono
a Fabriano (nelle Marche). Dalla seconda metà del XIII secolo la produzione della carta è via via
cresciuta soppiantando la pergamena (costo più basso), e poi con l’arrivo della stampa si è affermata
la produzione di prodotti cartacei. La pergamena è riservata, tra il XV e il XVI secolo, a prodotti più di
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lusso; tradizionalmente, nel XVII secolo si continua a produrre codici dei pergamena nell’ambito
liturgico.

Come si produceva la carta nel Medioevo? La produzione della carta aveva come materiale di
partenza gli stracci, panni che non erano più usati, consunti, che si sarebbero buttati via. Già qui è
chiara la differenza di costo. Si produceva nella cartiere, inizialmente piccole, poi le cartiere con
l’espansione dell’uso della carta diventano più grandi e importanti, soprattutto nei luoghi in cui si
producevano molti manoscritti cartacei. I luoghi di produzione della carta dovevano avere delle
caratteristiche: per la produzione della carta serviva molta acqua, quindi grandi centri abitati nelle
vicinanze di corsi d’acqua. Come avveniva la produzione della carta? Più o meno omogenea. Stracci
triturati, sminuzzati, tagliati, ridotti di forma in pezzettini. Il materiale veniva immerso in grandi tini dove
c’era acqua, ma anche delle soluzioni variamente acide che contribuivano a rendere la macerazione
degli stracci accelerare la macerazione e ridurli in una poltiglia acquosa. Il processo durava qualche
giorno. A questo punto comincia la fase della produzione della carta. Quello che noi vediamo sulla
carta del manoscritto è il risultato della produzione della carta.
Normalmente erano due i lavoranti che lavoravano contemporaneamente alla produzione della carta.
Lo strumento era un telaio, normalmente di legno, con un contorno rettangolare di legno e una base in
li metallici o vegetali che lasciavano scolare i liquidi. Pezzi di legno a sezione triangolare, sopra a
questi legni venivano fatti passare dei li metallici ovverosia vegetali che venivano ancorati alla parte
superiore di questi pezzi di legno triangolari. Il primo lavorante prendeva, immergeva, il telaio nel
tinozza dove c’era questa poltiglia, tirava su il materiale, faceva scolare l’acqua e lo pareggiava
scuotendolo leggermente in modo che fosse uniforme, e poi la parte superiore di questo telaio era
fornita di una chiusura che teneva pressato il materiale; una volta fatto questo, persa l’acqua e ridotto
uniformemente il materiale, il lavorante prendeva lo staio e rovesciava il telaio su dei fogli assorbenti,
pareggiava questo materiale e lo lasciava lì. L’operazione si ripeteva più volte, alternandosi i due
lavoranti. Per fare un foglio ci volevano pochi minuti. Si lasciava essiccare il materiale no a
raggiungere un’omogeneità del materiale (dipendeva anche dalle condizioni meteorologiche), si
impilavano i fogli, poi venivano puliti e ri niti e in ne venduti in blocchi.
La parte centrale sono il telaio, i li di ferro, una serie di li paralleli al lato lungo del telaio e questi
venivano ssati con altri li di ferro o vegetali sul bordo superiore di quei pezzetti di legno triangolari
che venivano messi perpendicolari al bordo superiore e si tenevano insieme con i li lunghi. I li lunghi
venivano chiamati vergelle, i pezzi di legno si chiamano capitelli o loni. La misura del telaio è la
misura del foglio che ne risultava. Se vedo il foglio in controluce vedo l’ombra delle vergelle e dei loni
(o capitelli). Nel luogo di produzione vi erano due telai più o meno uguali, fatti a mano. Ho una serie di
fogli del telaio numero uno e una serie di fogli del telaio numero due, che possono essere
leggermente diversi fra loro.

Fino a qualche decennio fa, nella descrizione dei manoscritti si parlava di carta orientale (bombicino) e
carta occidentale; oggi questa denominazione non è più molto usata. Nello studio della carta
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12 di 35 CODICOLOGIA Paolo ELEUTERI

bisognerebbe distinguere almeno quattro tipi di carta: mediorientale, araba occidentale (= quella che
proviene dall’Egitto), carta spagnola (= usata nel resto della Spagna non araba), carta europea (=
Italia e Europa occidentale). Si distinguono molto facilmente per il formato e per alcune caratteristiche
empiriche. Orientale da occidentale si distingue innanzitutto per l’aspetto della carta: la carta orientale,
in genere, ha un aspetto chiaro, tipo ghiaccio, la carta occidentale invece è più scura e più ruvida e più
spessa. La carta orientale ha vergelle che non sempre si vedono chiaramente ri esse nel foglio
controluce, perché spesso venivano usati li vegetali che si rompevano più spesso di quelli di ferro,
quindi l’impronta che lasciano è più sottile rispetto al solco che lasciavano i li di ferro della carta
occidentale. I loni (4/5) perpendicolari alle vergelle sono rari, però non sempre sono disposti a
distanza regolare tra l’uno e l’altro (in Oriente), mentre in occidente sono più regolari le distanze. Terzo
punto: la distanza delle vergelle è molto diversa tra carta orientale e carta occidentale, nella carta
orientale sono più tte e in quella occidentale più rade, si dovrebbe contare il numero di vergelle nello
spazio di trenta cm: se sono più di trenta è carta orientale, se meno di trenta occidentale. Come
appare, ruvidezza, spazio occupato dalle vergelle, spazio tra i loni —> danno quasi sempre un
risultato positivo per la distinzione fra carta occidentale e carta orientale. È chiaro che la distinzione
viene a monte: se ho un codice arabo è dif cile che la carta sia inglese… Il criterio fondamentale,
tuttavia, è la presenza di quella che si chiama ligrana e che è il segno distintivo di una determinata
cartiera. Animali, armi, oggetti, piante, ori, lettere, combinazioni di tutti i simboli precedenti. All’inizio i
disegni erano banali, semplici, già dalla prima metà del XIV secolo questo fenomeno diventa
massiccio e l’uso della ligrana quasi obbligatorio no al XVI secolo e anche dopo. Fino a diventare
disegni molto complicati, quasi barocchi, stemmi. Determinate aree possono avere simboli preferiti e
caratteristici es. l’ancora nella zona veneziana. La presenza o meno della ligrana: se vedo una
ligrana non ci sono dubbi né eccezioni, è solo carta occidentale; al contrario, se non c’è la ligrana
probabilmente è orientale, tranne che non sia una carta occidentale dei primi decenni di produzione
della carta occidentale, 1282 potrebbe essere la data della prima ligrana. Fino ai primissimi decenni
del 400 non è detto che ci sia la ligrana e dunque intervengono i criteri di prima, ma solo e soltanto
per questo periodo. Seconda metà del XIII secolo comincia la produzione di carta in occidente, quindi
se trovo un codice di carta di prima di questo secolo sono sicuro che sia orientale. Il disegno stava al
centro di una delle due metà del formato bifoglio; nel formato in quarto la ligrana non si vede intera, e
si vede nella maggior parte dei casi sulla piega, un pezzo da una parte e un pezzo dall’altra; in ottavo,
la vedo solitamente sui bordi e ne vedo una porzione ancora minore. La ligrana non è su tutti i fogli,
ma normalmente è la stessa carta, uscita dallo stesso telaio. Le ligrane, se ben analizzate, danno
qualche indicazione sulla localizzazione e sulla datazione del manoscritto. Dalla ne dell’ottocento ma
soprattutto all’inizio del Novecento si è cominciato a studiare le ligrane in rapporto ai codici.
Repertorio di ligrane: C. M. Briquet pubblicò tre tomi in francese sulle ligrane, ha repertoriato
migliaia di tipi di ligrane traendoli da documenti (perché ha data e luogo in cui è stato prodotto e
quindi c’è un ancoraggio preciso a un luogo e a una data) lui ha preso documenti e ha ricalcato a
mano i disegni che vedeva sui fogli di carta dei documenti da cui voleva trarli, li ha organizzati in
ordine alfabetico, numerati, e per ognuno ha indicato da dove l’aveva tratto e i dati essenziali di luogo
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13 di 35 CODICOLOGIA Paolo ELEUTERI

e data in cui li aveva trovati; poi ha aggiunto, a ogni singolo esempio di ligrana, ulteriori ligrane che
avevano un disegno simile a quella che lui aveva riprodotto, poi però ci può aggiungere anche
documenti fatti in un altro luogo con un documento simile. La produzione della carta, comincia nella
seconda metà del XIII secolo, ma quanto dura? Quanto tempo è in commercio quella carta uscita da
quel telaio? Normalmente si dice due o tre anni. Briquet indica anche quanto tte erano le vergelle e
ricalca anche i loni. Cosa devo fare? Riprodurre le ligrane e confrontarle con i repertori per trovare
le ligrane che più assomigliano alla mia perché più ci assomiglia e più posso confrontare quella
ligrana con quella x del repertorio y, se la carta circolava per circa due o tre anni, posso capire che la
ligrana usciva da quello stesso telaio, ne ricavo che il codice possa essere databile in un arco di circa
sei anni intorno alla data che trovo nel repertorio.

05/10/2020

Dalla seconda metà del XV secolo si cominciano a vedere delle ligrane più complesse, in particolare
con una aggiunta che si chiama contromarca. Sul telaio si intreccia un lo, intorno alla metà di una
delle due metà del foglio, ma della parte opposta ci si aggiunge un qualcosa in più, un altro segno, in
genere è un segno molto più semplice e quindi molto frequentemente delle lettere o dei orellini,
lettere e orellini… l’importante è capire questo. Ho un bifoglio, al centro di una delle due metà c’è il
disegno principale, sull’angolo opposto c’è la contromarca. Quando cerco la ligrana nel repertorio
devo cercarla accompagnata con la ligrana. Due laboratori: ligrane gemelle.

Ciò che mi interessa capire tramite lo studio della ligrana (e del suo eventuale gemello) è l’inizio e la
ne di uno stesso tipo di carta. Non c’è bisogno di dire in quali fogli si trova la ligrana, ma l’intervallo
di fogli in cui si ritrova quella determinata ligrana; la ligrana potrebbe anche non esserci, ma
comunque dovrei studiare, tramite il numero di vergelle e loni, il tipo di carta. Se ci sono più ligrane,
bisogna speci carlo.

• Un copista usa sempre lo stesso tipo di carta (una sola ligrana) —> il copista ha comprato la
carta e ha copiato, ragionevolmente nello stesso periodo, negli stessi giorni e nella stessa località.
• Un copista usa due tipi di carta (due ligrane) —> può essere un caso, quando i due tipi di carta si
mescolano tra loro è verosimilmente casuale; quando nisce un tipo di carta e ne comincia un
altro, il secondo tipo di carta potrebbe corrispondere ad una stesura successiva, diversa dalla
prima.
• Più di un copista usano lo stesso tipo di carta (una ligrana) —> evidente questi copisti lavoravano
insieme perché per usare tutti lo stesso tipo di carta quasi certamente lavoravano
contemporaneamente.
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14 di 35 CODICOLOGIA Paolo ELEUTERI

• Più copisti ognuno usa un tipo di carta diverso (più ligrane) —> erano in origine parti diverse che
sono state messe insieme successivamente. Bisogna vedere se le ligrane sono dello stesso
periodo.

www.piccard-online.de —> catalogo online di ligrane.

Una volta individuata la ligrana del mio codice, dunque, dovrei cercare riscontro in quanti più
cataloghi possibile.

Rigatura della carta

Per la rigatura della carta il copista usa, nella stragrande maggioranza dei casi, una mina di colore. Di
solito i colori sono un grigio chiaro, beige molto chiaro, tutti colori che non si vedono troppo. Molto di
rado i copisti che utilizzano la pergamena, oltre alla rigatura a secco, usano il colore.

Scrittura

Se la scrittura è riconoscibile come un qualche tipo codi cato, noto universalmente con quel nome,
dirò scrittura gotica, scrittura umanistica, scrittura Carolina… corrisponde a una codi cazione delle
scritture molto in voga nell’Ottocento e per buona parte del Novecento che corrisponde a una
terminologia già in uso nel Seicento e Settecento, ma che oggi non trova più grande fortuna. Per le
scritture in alfabeto latino c’è una grande tradizione di studi e di classi cazioni terminologiche e
paleogra che, quindi una maggiore attitudine a capire e usare determinati termini. Questo ha dei
motivi anche storici, perché dalla ne dell’Impero Romano la frammentazione degli stati e città che
vengono fuori nei secoli successivi porta con sé anche una frammentazione gra ca, quindi certe
scritture sono facilmente riconoscibili perché provengono da una zona geogra ca ben precisa. In
Oriente la situazione è più complicata: l’impero Bizantino si poneva come l’erede dell’Impero Romano
e questo ha delle implicazioni anche sulla scrittura; la scrittura greca e bizantina è molto più uniforme
delle scritture occidentali che invece rispecchiano la varia frammentazione della situazione politica,
culturale e gra ca. L’impero Bizantino è un solo impero, Asia Minore, parte del Medioriente no
all’Egitto e Italia meridionale. Abbastanza uniformi. Poi comincia anche lì la frammentazione delle
scritture. C’è una grandissima dif coltà per avere una terminologia proprio perché sembra che si
assomiglino tutte, anche se non è vero. Vi sono dei recuperi gra ci, delle reazioni gra che, si riprende
una scrittura di due, tre o quattro secoli prima, anche per motivi culturali. Si torna indietro, ci si rifa a
una scrittura ma in realtà si può dire a un periodo considerato più bello. Anche il problema
terminologico è più complicato.
Individuare, distinguere le diverse mani che hanno copiato i testi, più tutte quelle che hanno lasciato
una qualche traccia all’interno del manoscritto, e in quali fogli si trovano.
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15 di 35 CODICOLOGIA Paolo ELEUTERI

Sottoscrizione del copista

Da’ informazioni su luoghi, persone, istituzioni che hanno a che fare con quel manoscritto. Possono
essere semplicissime o più complesse, bisogna comunque prestarvi attenzione e documentarsi sulle
varie informazioni che si possono evincere. Può essere anche alla ne di una parte del codice: es. il
copista copia due testi e mette la sottoscrizione alla ne dei due testi. Se la mette a metà, signi ca
che è la sottoscrizione di quella parte, non del resto.

07/10/2020

Ricostruire una parte della storia del manoscritto: dati possono trovarsi anche all’esterno. Precedenti
segnature, precedenti collocazioni del manoscritto che non è chiaro a chi o a che cosa si possano
riferire, oppure è chiaro e in questo caso è necessario accertarsi se esistono inventari di quella
biblioteca, convento, monastero, ecc. Anche quello può essere un indizio. Se esistono studi che
provino a ricostruire la storia di quella biblioteca, convento, ecc. Provare a relazionare quel
manoscritto con una traccia presente nel catalogo. Gli inventari sono presenti già nell’epoca antica,
inventari soprattutto di istituti religiosi ma non solamente, meno frequenti gli inventari delle biblioteche
private se non a partire dal tardo medioevo. L’inventario medievale è costituito da indicazioni molto
brevi che non mi portano univocamente a riconoscere il mio manoscritto come presente in
quell’inventario. Normalmente negli inventari la singola indicazione è molto breve, limitandosi al
contenuto del manoscritto, anche quando siano presenti indicazioni di datazione sono piuttosto
generiche. A volte l’indicazione può essere onnicomprensiva del manoscritto, cioè molto generica, o a
volte viene indicato magari solo il primo dei testi presenti nel manoscritto.

Tutti i manoscritti hanno una storia di trasmissione. La testimonianza di alcuni degli spostamenti dei
manoscritti può essere trovata attraverso gli scrittori, lettere degli scrittori, introduzioni o prefazioni ai
testi. Nel XV secolo, ad esempio, in pieno Umanesimo. Gli umanisti andavano a caccia di manoscritti,
non solo per studiarne e leggerne i testi, ma anche per possederli o per farsene fare una copia. Sono
frequenti le lettere di molti umanisti che spesso e volentieri fanno riferimento a manoscritti,
scambiandosi opinioni e dati grazie alle quali spesso si può risalire al manoscritto di cui parlano (se
forniscono dati suf cienti a riguardo). A volte ci sono delle indicazioni anche nelle prefazioni delle
edizioni a stampa dei testi contenuti nel manoscritto che possono aiutare. Vi possono essere dei casi,
inoltre, anche se non molto frequenti, in cui noi possediamo il manoscritto usato dal curatore per fare
un’edizione a stampa; pochi sono dimostrabili, ma si capisce in vari modi: dallo studio testuale del
manoscritto confrontato con l’edizione a stampa si può dimostrare che quel manoscritto sia l’antigrafo
dell’edizione a stampa. Talvolta, invece, c’è la possibilità materiale di capire che il manoscritto che era
in tipogra a era esattamente quello in mio possesso; lo capisco dalle tracce che ci sono sul
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16 di 35 CODICOLOGIA Paolo ELEUTERI

manoscritto: se il manoscritto è parzialmente rovinato, magari era stato sfascicolato o reca delle tracce
evidenti, magari reca ditate di inchiostro, o magati ha segnato le pagine di un manoscritto con delle
indicazioni precise per il tipografo. Informazioni veri cabili con la collatio. Sono informazioni che
permettono anche di datare il manoscritto, perché se l’edizione a stampa risale a un certo anno e a
una certa città, è veri cato che quel manoscritto fosse in una determinata città in quell’anno.

Per fare un’edizione critica bisogna prendere in considerazione tutti i manoscritti del testo. Attraverso
la collatio bisogna ricostruire l’archetipo, cioè il codice originario da cui deriva il manoscritto, quello più
vicino a ciò che l’autore avrebbe scritto. Metto in relazione i manoscritti fra loro e poi raggruppo
manoscritti che sono in qualche modo apparentati tra di loro, stabilendo le varie relazioni che ci sono
fra loro: ci sono due manoscritti gemelli, oppure uno è copia dell’altro, e cosi via, cercando di capire le
famiglie, i gruppi di manoscritti che si avvicinano di più a quello scritto dall’autore.

Le miniature

La presenza di decorazione abbastanza ricca o di una miniatura, grande o piccola che sia, signi ca
già che ci troviamo davanti a un manoscritto particolare. Le varie forme di decorazione accompagnano
o evidenziano alcune parti del testo o, addirittura, mettono in secondo piano il testo, prevalendo su di
esso. La qualità della tipologia testuale presente in questi codici riccamente miniati è pressoché
scadente, perché la nalità era quella di possedere un manoscritto pregiato, d’apparato, quasi da
esposizione, più che di leggerlo. Fra questo tipo di manoscritti e quelli totalmente privi di decorazioni,
vi è una vastissima scala di ricchezza delle decorazioni. Cosa fare davanti a una miniatura? Prima di
tutto, si capisce se la miniatura, o decorazione che sia è coeva al testo o successiva. Dif cilmente il
copista è anche miniatore, è più probabile che siano persone diverse.

Descrizione delle miniature: può essere molto breve (localizzazione nel manoscritto, descrizione breve
del soggetto); oppure molto speci ca (descrizione esatta e dettagliata del soggetto o del disegno della
miniatura e localizzazione all’interno del manoscritto) —> problema dell’indicizzazione: bisogna
indicizzare tutte le occorrenze presenti nella descrizione della miniatura. Il problema fondamentale è:
n dove mi spingo nella descrizione della miniatura, tenendo in considerazione che dovrò darne conto
nell’indice? Questo si ripete per ogni miniatura, per ogni immagine o, peggio ancora, per miniature che
comprendono scene.

13/10/2020

Fare l’indice
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17 di 35 CODICOLOGIA Paolo ELEUTERI

Indice di un catalogo cartaceo. Il catalogo dei manoscritti delle biblioteche mi permette di fare ricerche
speci che su un nome, su un elemento in concreto. Catalogo dei cataloghi: sono elencati tutti i
cataloghi dei manoscritti di tutte le biblioteche di uno stato, di una regione, del mondo…

Si fa un indice complessivo che contenga tutte le informazioni, tranne incipit ed explicit che sono
sempre a parte. Vanno indicizzate tutte le informazioni descritte nel catalogo: es. le ligrane = àncora,
Briquet 561, vd codice 3.

14/10/2020

La nalità è connessa al tipo di descrizione che sto facendo e al tempo che ho a disposizione per fare
la descrizione. Non da ultimo, anche il nanziamento che ho a disposizione gioca un ruolo importante:
la valorizzazione delle biblioteche no a un po’ di tempo fa dipendeva dalle regioni, poi è tornata allo
Stato, ma, al di là del nanziamento puntuale di determinati progetti, gli aiuti economici sono scarsi.
Dare coerenza alla descrizione.
Armando PETRUCCI, La descrizione del manoscritto. Storia, problemi, modelli. Roma, Carocci, 2001
(Seconda edizione).

Premessa

Si intende per manoscritto: un complesso di materiale scrittorio generalmente composto in forma di


libro e più o meno parzialmente ricoperto di scrittura a mano, di solito conservato, integralmente o in
frammenti, in un’istituzione pubblica o privata a ciò addetta.

Nonostante i vari dibattiti metodologici, si può dire che si intende per descrizione l’esposizione,
espressa in ordine sso e in modo omogeneo, di una serie di dati relativi agli elementi di natura sica,
testuale e storica di ciascun manoscritto ritenuti essenziali e capaci di permetterne l’esatta
individuazione patrimoniale e scienti ca. Una descrizione, così intesa, si con gura come uno
strumento di studio e analisi per il lettore, e dovrebbe riuscire a rendere un’idea quanto più accurata
possibile dell’oggetto descritto, comprendendo quindi gli elementi necessari a una fedele ricostruzione
e alla comprensione del processo di fattura e degli usi nel tempo che si sono fatti di quell’oggetto. Gli
elementi scelti per la descrizione, dunque, non possono essere scelti a caso, ma devono rispondere a
una prassi convenzionalmente riconosciuta e utilizzata dagli studiosi: denominazione anagra ca del
manoscritto, aspetto materiale in quanto oggetto di un processo di produzione, contenuto (in quanto
elemento base della sua funzione) e notizie storiche relative al suo uso nel tempo. Il linguaggio con
cui si descrive deve essere, anch’esso, convenzionale.

La descrizione dei manoscritti serve, oltre che per permettere di localizzare a distanza il materiale
conveniente a una ricerca, alla catalogazione e alla conoscenza dei singoli codici e dei fondi a cui
appartengono e perciò, alla n ne, alla loro migliore conservazione e tutela.
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18 di 35 CODICOLOGIA Paolo ELEUTERI

1. Tentativi e modelli: la descrizione nel tempo

1.1 Le origini

L’esigenza di descrivere i manoscritti è stata determinata nel suo insorgere e nel suo modi carsi nel
tempo da fattori diversi, tra i quali:

• La FUNZIONE DEI LIBRI MANOSCRITTI nella società colta;


• I MODI in cui sono state ORGANIZZATE ed utilizzate le BIBLIOTECHE;
• Le MODALITÀ di PRODUZIONE E DIFFUSIONE del libro (manoscritto/manoscritto e a
stampa).

Nel corso dell’intero Medioevo non si può parlare di una vera e propria descrizione e catalogazione
dei manoscritti, anche se vi sono prove di un interesse e di una relativa conoscenza del patrimonio
libresco (dell’epoca e di epoche precedenti) sin a partire dal Trecento e per tutto il 1500. Documenti
come l’elenco dei manoscritti della biblioteca di corte di Vienna redatto da Hugo Blotius (1576), la
lettera a Francesco Barbaro di Ambrogio Traversari riguardo ai criteri essenziali di un inventario, o
ancora la riprova che Angelo Poliziano conoscesse e valutasse criticamente i manoscritti di altre età,
dimostrano che si possedevano già gli strumenti per giungere ad una descrizione critica dei documenti
manoscritti. A Cinquecento inoltrato, Antonio Agustín è il primo a redigere un inventario critico di codici
medievali con indicazioni suf cientemente accurate sia del loro aspetto esterno, che del loro
contenuto con datazioni perlopiù esatte.

1.2 Lambeck e Montfaucon

Nel Seicento si ha una prima produzione diffusa e sostanzialmente omogenea di elenchi di manoscritti
intesi a fornire agli studiosi notizie critiche di interi fondi di codici redatti con nalità scienti che e non
puramente inventariali.

Massimo esempio della codicologia dell’epoca sono i Commentariorum de Augustissima Bibliotheca


Caesarea Vindobonensi libri VIII di Peter Lambeck, prefetto della biblioteca di Vienna, in cui tuttavia si
descrivono solo i codici greci e senza dare una datazione esatta. La descrizione contiene elementi
essenziali, seppure bene articolata fra dati esterni e dati di contenuto. In Italia, si ricordi il caso di
Giacomo Filippo Tommasini che descrisse le biblioteche padovane e venete.

Ancora più maturo risulta, in ne, il lavoro di Montfaucon che, insieme al contemporaneo Mabillon, era
membro della congregazione benedettina di San Mauro di Parigi; i due furono autori di un gran
numero di opere di grandissimo rilievo. Montfaucon fu autore della Bibliotheca bibliothecarum
manoscritta e del catalogo dei manoscritti greci del vescovo di Metz (1715). Nella lettera di
presentazione dell’opera Montfaucon mostra consapevolezza della novità del suo metodo rispetto ai
precedenti catalogatori e indica che il proposito della catalogazione è quello di facilitare la creazione di
edizioni lologiche di testi antichi ancora inediti o editi scorrettamente. Lo schema di descrizione è il
seguente:

• datazione per secoli con giusti cazione;


• opere con identi cazione dell’autore e del titolo e incipit;
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19 di 35 CODICOLOGIA Paolo ELEUTERI

• estratti di varianti e edizione di brevi testi inediti;


• tavola di concordanza e indice dei nomi di persona e luoghi.

1.3. Vecchio e nuovo: Biscioni e Bandini

Nel corso del Settecento la natura delle biblioteche subisce un cambio profondo:

• formazione di nuove biblioteche,


• passaggio da biblioteche di corte a biblioteche di Stato,
• accrescimento dei fondi e al loro uso pubblico,
• interesse verso i manoscritti e sempre più diffuso collezionismo.

Ciononostante, la moderna metodologia catalogra ca elaborata e proposta da Montfaucon con il suo


catalogo del 1715 non si impone immediatamente. Già inoltrato il secolo, infatti, i cataloghi delle
biblioteche francesi e inglesi sono ancora redatti sul vetusto modello del viennese Lambeck, con
descrizioni secche e scarne. In Spagna la lezione di Montfaucon fu raccolta piuttosto tardi da Juan
Iriarte, il quale nel 1769 pubblicò un primo volume della sua descrizione dei codici greci della
biblioteca reale di Madrid, ricco di dati descrittivi ma con un indice conclusivo piuttosto povero.
In Italia, i primi esempi accurati di catalogazione sono quelli di Giuseppe Pasini e di Antonio Maria
Biscioni. Giuseppe Pasini è autore del Codice manoscritti Bibliotheacae regia Taurinensis Atenei,
Taurini, 1749; il suo catalogo, fondato su basi scienti che e condotto con grande scrupolo, presenta
un’accurata indagine paleogra ca con relativa speci cazione della data, oltre ad essere presente
l’indicazione degli incipit e delle note di possesso; frequenti, in ne, sono le riproduzioni di specimina
paleogra ci. A Firenze, Antonio Maria Biscioni è autore di un catalogo dei codici laurenziani per il
quale vagheggiava di essersi ispirato a modelli stranieri. I criteri di catalogazione sono, tuttavia,
sommari e antiquati e, rispetto ai modelli foranei ai quali si sarebbe ispirato, Biscioni realizza un’opera
troppo secca e inadeguata.

Fu solo con Angelo Maria Bandini, successore del Biscioni nell’incarico di bibliotecario laurenziano,
che il metodo Montfaucon penetrò in Italia. Bandini riprese il catalogo iniziato da Biscioni
continuandolo da dove questi lo aveva interrotto, ma mutandone completamente i criteri, ora ispirati a
Montfaucon e Pasini. Nella Praefatio, Bandini ssa con molta chiarezza la sua metodologia descrittiva,
intesa a fornire un’immagine esatta del codice, una sua precisa collocazione nel tempo ed una sua
completa analisi testuale. Per raggiungere tali ni, Bandini cercò di elaborare una descrizione
suf cientemente minuziosa sia dal punto di vista storico e paleogra co che dal punto di vista testuale
e lologico, ricostruendo la compagine dei codici disordinati, dando notizie sullo stato di
conservazione, fornendo fac-simili per i confronti gra ci e soprattutto mirando alla particolareggiata
identi cazione degli autori e dei testi mediante il confronto con i risultati della lologia contemporanea,
fornendo tutti i dati possibili (titoli, incipit, explicit, referenze bibliogra che) al lettore. Si tratta di criteri
ancor oggi sostanzialmente validi.

1.4. La nuova catalogazione scienti ca

Una forte spinta innovativa si ha, nell’ottocento, a partire dalla Germania, dove le tensioni romantiche
portarono all’istituzione di una nuova lologia (Lachmann, fra gli alti) e a un rinnovato interesse verso i
codici latini e greci, così come verso gli studi paleogra ci e diplomatistici. Nel 1825, Friedrich Adolf
Ebert fu autore di un volume in cui fondava la moderna codicologia come disciplina a sé stante e
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20 di 35 CODICOLOGIA Paolo ELEUTERI

forniva i criteri per una descrizione scienti ca dei manoscritti tendente a raggiungere una più completa
conoscenza del codice come prodotto materiale e dei testi come testimoni di una tradizione, legando
alla tradizione catalogra ca precedente la paleogra a e la lologia testuale. Pochi anni dopo, il
bibliotecario dell’Università di Erlangen, Iohann Conrad Irmischer, realizza la descrizione di 249 codici
(in tedesco invece che in latino), accurata in tutti i suoi particolari e nell’analisi lologica dei testi, che
si con gura come la prima applicazione concreta delle teorie di Ebert. Rispetto alle altre nazioni
europee, ancorate ai vecchi modelli scienti ci, la Germania forniva agli studiosi dei nuovi strumenti
catalogra ci.

1.5. Il modello sommario

Rispetto alla Germania, l’Inghilterra si muoveva in senso opposto, prediligendo indici, elenchi e
cataloghi sommari molto più schematici.
Descrizione periodica delle nuove accessioni librarie del British Museum (inizio: 1830) —> contiene
stampati e manoscritti con uno schema di descrizione molto sommario di entrambi; anche quando, nel
1843, si edita il primo volume separato per i manoscritti, essi vengono comunque descritti col metodo
dei libri a stampa. Il sistema si modi ca solo nel 1850 (Madden) con l’ampliamento dei dati forniti e
l’aggiunta di profusi indici. La prevalenza degli indici è un carattere tipico dei cataloghi inglesi, si veda
l’esempio di Henry O. Coxe per la biblioteca Bodleiana di Oxford. Fra prima e seconda metà del
secolo l’esempio inglese fu raccolto in Belgio, Francia, Baviera e nell’impero austroungarico.

1.6. L’Italia: da Peyron a Narducci

Il processo di unità nazionale porta il neonato stato italiano a ereditare una serie di problemi relativi al
patrimonio manoscritto:

• disorganicità del sistema;


• cattiva conservazione del patrimonio librario;
• ristrettezza dei mezzi nanziari;
• scarsa preparazione professionale dei bibliotecari.

In questo contesto la situazione della catalogazione dei codici, ovviamente, ristagna. Peyron (Torino) e
Palermo (Firenze) sono i due eruditi che si occupano di catalogazione di manoscritti, producendo dei
risultati tuttavia insoddisfacenti, ora troppo stringati ora assurdamente prolissi.

Narducci —> Roma. Bibliotecario del principe Baldassarre Boncompagni, redige un catalogo della
biblioteca del principe dapprima in ordine alfabetico, successivamente redatto ex novo in ordine
topogra co, fornendo indici “guida sicura” per qualunque ricerca. Nel 1893 pubblica la sua opera
maggiore, il catalogo della Biblioteca Angelica, nella quale descrive stringatamente ma precisamente
più di 1500 codici.

1.7. “La primavera fortunata”

L’ultimo ventennio del 1800 è un periodo prospero per il mondo delle biblioteche italiane. L’in uenza
del nuovo modello lologico tedesco, unita al rinnovamento generato dall’attività di Ferdinando Martini
come ministro della Pubblica Istruzione che creò un nuovo modello più razionale di biblioteca,
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portarono lo studioso Giuseppe Fumagalli a de nire gli anni di poco successivi al 1855 come una
“primavera fortunata”.
Nel 1884 lo Stato italiano acquistò 2000 manoscritti che con uirono nella Biblioteca Medicea
Laurenziana di Firenze.

Nel 1885 Ferdinando Martini dava il via a una collana uf ciale intitolata Indici e Cataloghi, destinata ad
ospitare inventari e descrizioni di fondi stampati e manoscritti di particolare interesse o pregio
conservati nelle biblioteche italiane. Di questa collana fanno parte due importanti cataloghi di codici:
quello de I codici Palatini della Nazionale di Firenze, redatto da Luigi Gentile, e quello de I codici
Ashurnhamiani della Biblioteca Mediceo-laurenziana, redatto da Cesare Paoli; si tratta di due esempi
piuttosto difformi fra loro, in quanto il primo è discontinuo ed eccessivamente verboso, mentre il
secondo catalogo è più essenziale ed ef cace. I due cataloghi furono inseriti come esempio nella
traduzione italiana del Manuale di biblioteconomia di Arnim Grasel, ma senza un adeguato
approfondimento sul loro valore teorico. La collana perse poi d’interesse e si arenò nel 1897.

Nel 1891 vedeva la luce il primo volume di una serie, gli Inventari dei manoscritti delle biblioteche
d’Italia, promossa da Giuseppe Mazzatinti. Il proposito del Mazzatinti era quello di dar conto dei
numerosi manoscritti posseduti dalle diverse biblioteche italiane, ma la sua scarsa formazione
lologica e paleogra ca non gli permise di fornire all’opera un’unità e una scienti cità suf cienti.

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2. I problemi

2.1. Premessa

Qualsiasi sia il tipo di descrizione prescelto il catalogatore deve affrontare e risolvere numerosi
problemi di fondo:

- la datazione e localizzazione dei codici;


- la de nizione delle scritture;
- l’identi cazione degli autori e dei testi;
- la descrizione della struttura e delle o di alcune delle tecniche di fattura.

Per questo genere di problemi non esiste un manuale di istruzioni sso e sempre ef cace, poiché è
molto dif cile che la stessa problematica si riproponga esattamente uguale. È necessario, pertanto,
ricorrere ad una buona dose di empirismo e all’aiuto dell’esperienza.

2.2. La datazione

La datazione è l’elemento costitutivo della descrizione codicologica. Datare signi ca collocare più o
meno esattamente un determinato reperto entro una griglia codicologica divisa per secoli; ma
idealmente si dovrebbe datare in modo meno largo ed impreciso, secondo periodi più brevi e
comunque storicamente più signi cativi, poiché all’interno dei secoli non si può trovare quell’uniformità
di distribuzione cui la datazione per secoli automaticamente tende. Sarebbe molto più razionale datare
al quarto di secolo o nell’ordine di settanta o ottant’anni piuttosto che al secolo intero.
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La datazione di un manoscritto può essere stabilita attraverso alcune caratteristiche dello stesso: la
scrittura, la decorazione o altri elementi simili (come ad esempio che sia nominata una persona, che ci
sia la rma di qualcuno, eccetera) possono fornire degli indizi utili per risalire alla data di copiatura del
manoscritto. Bisogna tuttavia considerare che ogni codice è il risultato di una serie di strati cazioni, ciò
signi ca che per creare ciascun codice sono state messe insieme o assemblate (casualmente o
volontariamente) varie parti, ciascuna delle quali apparteneva ad altri codici. Ciò che ne consegue è
semplicemente il risultato, casuale o no, di gruppi di fogli che originariamente non dovevano nire
rilegati insieme o dovevano appartenere ad altri codici. In alcune occasioni, infatti, può capitare che la
datazione del codice sia molto lunga poiché il codice in analisi risulta da una serie di assemblaggi: es.
“secolo X-XV”.

Anche quando la data è espressamente indicata nel manoscritto, bisogna procedere con molta
cautela prima di trarre conclusioni avventate. I copisti che redigono un determinato manoscritto, infatti,
hanno usato il sistema di espressione della data che conoscono, non necessariamente uguale a
quello che conosciamo e utilizziamo correntemente. Nel corso del medioevo, ci sono state numerose
modi che dei sistemi di datazione e solo alla ne di quest’epoca si è trovato un sistema più o meno
univoco. Spesso, dunque, il copista aggiunge qualche altra espressione, oltre alla data, che fa capire
qual è il sistema cronologico che ha utilizzato, ad esempio: 753 ab urbe cond —> anno 0 / 1 gennaio
dell’anno 1. Non in tutte le culture, inoltre, si conta l’inizio del calendario a partire dalla stessa data: ci
sono tradizioni locali che fanno iniziare il computo in una data diversa, esempi di questo fenomeno
sono le indicazioni ab incarnatione domini / a nativitate domini —> 25 marzo / 25 dicembre. I bizantini:
computano dal 1 settembre 5508 aC (giorno della fondazione del mondo) —> se il copista è bizantino
e scrive 6800, l’anno da tenere in considerazione è il 1302/1303 (1 settembre 1302 - 31 agosto 1303).

Un altro fattore da considerare è l’indizione: un numero da 1 a 15 (es. inditione septima). Si aggiunge


3 e si divide per 15, il resto è l’anno che interessa, se il resto è 0 l’indizione è la quindicesima. Per
risalire a tutti questi dati si può ricorrere all’uso di un calendario perpetuo.

Come datare? In linea di massima si possono considerare alcune osservazioni generali che occorrerà
tener presenti in via preliminare e in virtù delle quali la data di fattura e di copia di un manoscritto non
può che essere:

a) posteriore alla data di compilazione del testo che contiene;


b) posteriore all’esemplare da cui è copiato;
c) anteriore alle glosse, note e aggiunte appostevi nei margini e negli spazi bianchi lasciati liberi
dal testo;
d) anteriore all’epoca nota di cessazione dall’uso del tipo di scrittura in cui in tutto o in parte è
scritto;
e) posteriore all’epoca o data di fattura o di primo uso della materia sulla quale è scritto o riscritto:

- se papiraceo su papiro già adoperato su uno dei due lati, posteriore all’epoca di scrittura
del primo testo;
- se membranaceo o palinsesto, posteriore (per la scrittura superiore) alla datazione della
scrittura inferiore; a volte con termini a quo assai ristretti.
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Il catalogatore deve inoltre ricordare di trarre elementi per la datazione non soltanto dalla scrittura e
dall’eventuale ornamentazione del codice, ma da tutti i suoi elementi costitutivi: dal testo e dal suo
aspetto linguistico e ortogra co; dalle tecniche di fattura (rigatura e foratura, fascicolazione, legatura
se originale, e così via), dalle notizie sulla sua storia e sulla sua provenienza. Al catalogatore deve
essere chiaro che egli non deve datare la o le scritture presenti nel codice, ma il codice stesso nel suo
complesso; e la differenza fra le due operazioni non può sfuggire.

- Colpo d’occhio ed esperienza (Montague Rhodes James);


- studio sistematico dei centri scrittori e raccolta di facsimile di tutti i codici datati (Giorgio Cencetti);
- vincolare la datazione con la localizzazione e poi ambedue con l’evoluzione degli stili di scrittura e
dei modi di produzione del libro manoscritto;
- analizzare i dati ricavati non dalla scrittura ma dalla legatura, dal formato, dalla materia, dal numero
delle carte, dallo specchio di scrittura, dal numero delle righe, dalla costituzione e numerazione dei
fascicoli, dall’ornamentazione e dall’inchiostro —> applicabile a materiale omogeneo;
- ligrana —> occorre che la ligrana sia ben descritta e che sia possibile un suf cientemente ampio
confronto;
- elementi gra ci generali (modulo, contrasto, inclinazione) e particolari (forma delle lettere,
abbreviazioni, ecc.) e posti a confronto con analoghi elementi estratti da testimoni sicuramente
datati scalati entro il periodo di un secolo circa —> possibile solo per determinate epoche della
storia della scrittura in cui il numero di testimoni è suf cientemente tto.

Qualsiasi tecnica si scelga e si applichi, occorre tener presente che si possono fornire criteri validi
soltanto per alcuni limitati periodi di tempo e per determinati tipi di scrittura e di libro. Dopo un esame
e un confronto puramente stilistici e formali della scrittura (paleogra a) bisogna considerare tutti gli
elementi minori, gra ci ed extragra ci che vengono usati su larga scala e possono avere una validità
generale e sicura. Così è per esempio per alcune abbreviazioni, alcuni usi codicologici come il
richiamo, il rinvio a capo, il puntino tondo, il dittongo. Un confronto basato su queste caratteristiche tra
il codice che si intende studiare e altri codici datati sicuramente, in modo selezionato, confrontando fra
loro prodotti gra ci analoghi, può portare ad una datazione accettabilmente ristretta.

2.3. La localizzazione

Localizzare un codice, a differenza della datazione, non è un’attività indispensabile. Anche quando i
cataloghi recano questa indicazione, infatti, nella maggior parte dei casi si tratta di informazioni
dubbiose e molto ipotetiche.

Localizzare un codice signi ca identi carne il luogo o la zona di origine, e cioè dove esso è stato
materialmente prodotto. Il concetto di origine va nettamente distinto da quello di provenienza, poiché
mentre per origine si intende il luogo o la zona dove il codice è stato prodotto o scritto, per
provenienza si intende l’ultima sede nella quale il codice è stato conservato. La localizzazione può
essere più o meno precisa.

È indispensabile che il catalogatore possieda una buona base paleogra ca e una certa esperienza
nello studio dei manoscritti, poiché il colpo d’occhio della pagina e la valutazione dello stile generale
della scrittura sono elementi fondamentali per un’attribuzione geogra ca attendibile.
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Sono elementi utili alla localizzazione (secondo Falconer Madan, autore del Summary Catalogue della
biblioteca Bodleiana di Oxford):

- abbreviazioni;
- forma delle lettere e di alcune di esse in particolare;
- dati codicologici (materia, struttura, rigatura, numerazione dei fascicoli);
- dati liturgici e in particolare menzione di determinati santi oggetto di culto locale.

Lowe aggiunse:

- luogo di conservazione (in realtà poco af dabile);


- connessione con persone particolari (committenti, primi possessori);
- la sottoscrizione dello o degli esecutori (scrivente, o scriventi, miniatori, ecc.);
- zona in cui erano state eseguite eventuali correzioni ed aggiunte coeve o di poco posteriori all’età di
fattura del codice;
- testo com elementi di contenuto e linguistici;
- sintomi più propriamente gra ci.

È fondamentale ricorrere alla valutazione degli elementi propriamente gra ci quali gli stili che
contraddistinguono le diverse province scrittorie, le scritture speciali, gli stili particolari che si precisano
dei diversi centri.

2.4. La nomenclatura paleogra ca

Molto spesso i catalogatori si trovano a dover inserire in un determinato catalogo il dato relativo al tipo
di scrittura o delle scritture adoperate nel codice o nel manoscritto descritto. Pur essendo un elemento
di non poco conto all’interno del lavoro di catalogazione, quello della nomenclatura paleogra ca è un
terreno scivoloso poiché non si è mai giunti, nel corso dei secoli, a denominazioni e descrizioni
suf cientemente chiare e univoche, cadendo spesso in de nizioni ambigue e poco coerenti.

1953: a Parigi si svolse un congresso che vide radunati vari paleogra intenti a discutere il problema
delle nomenclature delle scritture librarie latine. Il congresso non diede riscontri postivi, ma le
discussioni tenutesi in quella sede hanno dato frutti molto rilevanti che sono stati raccolti negli anni
seguenti da altri paleogra (Cencetti, Autenrieth, ecc.). Tuttavia, gli strumenti oggi in nostro possesso
non sono ancora soddisfacenti, in quanto ogni terminologia paleogra ca è legata ad una particolare
visione storica del fenomeno scrittorio e le terminologie gra che adoperate dalle varie scuole
paleogra che o dai vari studiosi sono troppo eterogenee. Ciononostante, ogni descrizione
paleogra ca basata su premesse metodologiche rigorose può ritenersi valida. In linea di massima,
una buona metodologia per orientarsi nella selva di nomenclature paleogra che, qualora non si riesca
ad accostare la scrittura in analisi ad una tradizione scrittoria ben riconoscibile, è quella di ridurre le
varie scritture a categorie largamente comprensive in modo da farne risaltare il fondo comune che ne
giusti ca l’accostamento e le tendenze che ne autorizzano la distinzione, inserendo nella de nizione il
tipo di scrittura individuabile cui ciascuna di esse maggiormente si avvicina, talvolta indicandole con
formulazioni complesse alle quali vengono in aggiunta precisazioni ulteriori (es.: corsiva di tipo
umanistico, con presenza di elementi semigotici) (vd. Cencetti).

2.5. Il contenuto
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Il catalogatore deve risolvere tutti i problemi di identi cazione di autori e di testi. La descrizione del
contenuto di un manoscritto, e perciò l’identi cazione dei testi che esso tramanda, sono compiti
primari dell’opera di catalogazione. Nel caso di manoscritti di età moderna, tale compito può essere
sempli cato dalla presenza di edizioni a stampa del manoscritto, che rendono più aderenti alla realtà
le ipotesi tracciate dal catalogatore. Nel caso di manoscritti medievali, sono diffusissimi i testi
pseudonimi o erroneamente attribuiti a nomi più celebri con il criterio dell’autorità; in tal caso, lo
studioso dovrà avvalersi del confronto con le edizioni dell’autore cui è attribuita l’opera, ricerche sulla
bibliogra a più recente dell’autore presunto, ricerche sui repertori es gli incipitari relativi al genere
letterario cui l’opera appartiene.

Quando l’opera si presenta anonima, il catalogatore inizierà una paziente opera di ricerca partendo
dagli incipitari; qualora questa ricerca non andasse a buon ne, il seguente passo è quello di trarre
elementi di identi cazione dal testo stesso, cercando parole poco comuni o nomi propri rari, che
vendono registrati nei dizionari linguistici o negli Onomastica con il rinvio alle poche citazioni che li
riguardano; e, in ne, avviare un vero e proprio studio del testo complessivo dell’opera per tentare di
collocarla nell’ambito del suo genere letterario e della sua epoca e per arrivare ad attribuirle la
paternità che le spetta. Il nome dell’autore deve anche essere reso nella sua correttezza gra ca e in
lingua originale, avvalendosi di appositi cataloghi e repertori.

2.6. La descrizione esterna

Ai catalogatori viene richiesto di fornire notizie circa la fattura sica del codice, la sua struttura, le
tecniche impiegate dagli artigiani che lo hanno materialmente composto. La struttura del codice e tutte
quelle caratteristiche che non possano essere osservate a distanza tramite micro lm devono essere
inserite nel proprio catalogo, mentre l’inserimento di altre informazioni più dettagliate può essere
valutato in base al tipo di descrizione che si intende fare; nel caso di una descrizione analitica è bene
rendere conto anche delle diverse tecniche di fattura.

La struttura di un codice consiste nella sua costituzione in più fascicoli, fatti ciascuno di un certo
numero di fogli ripiegati al centro, inseriti l’uno dentro l’altro e cuciti fra loro lungo la piegatura centrale.
Spesso la struttura risulta irregolare o perché tale sin dall’inizio o perché divenuta tale col tempo, per
perdida o aggiunta di carte o di fogli. Ne deriva la necessità di analizzarla sia per rilevare i sistemi di
fattura nel manoscritto che possono variare in base al centro o all’epoca, sia per segnalare le sue
vicende nel tempo e le eventuali perdite o aggiunte subite dal testo.
Occorre innanzitutto accertarsi se il codice rechi una numerazione originale dei fascicoli e i cosiddetti
richiami; dopodiché bisogna registrare su un foglio le carte dove compaiono numeri o richiami e,
successivamente, individuare i fogli centrali di ciascun fascicolo, cioè quelli attraverso la cui piegatura
è visibile la cucitura; ciò fatto, basterà risalire dall’una e dall’altra parte dino ad incontrare la ne del
fascicolo precedente e l’inizio del fascicolo seguente per ricavare la struttura completa di ogni
fascicolo. Basandosi anche solo sul conteggio delle carte si potrà risalire facilmente alla struttura
originaria dei fascicoli e capire se questi hanno subito perdite o eventuali aggiunte; il tutto dovrà poi
essere registrato ricorrendo a dei gra ci esplicativi o a formule numeriche e a simboli, o ancora all’uso
di forme verbali descrittive.
Primo sistema (R. M. James): indicare il numero delle carte (non dei fogli) che formano ciascun
fascicolo con un numero arabico progressivo e con un’altra cifra arabica in esponente; es.: 8^8
signi ca che il fascicolo ottavo è un quaderno, fatto di quattro fogli e perciò di quattro carte; eventuali
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mancanze sono segnalate in parentesi di seguito; es.: 13^8 (manca 7) vuol dire che il fascicolo 13 è
un quaderno mancante della settima carta; così anche le aggiunte, segnate con un asterisco 14^8
(+8*). Le carte di guardia sono indicati con lettere minuscole.
Secondo sistema (Paul Carnart): esposizione verbale della struttura, eventualmente resa più corta
tramite abbreviazioni.

Rigatura: può essere descritta tramite segni >< o ricorrendo agli schemi registrati da Leroy o da Lake.
Foratura: Webber Jones.

3. Il catalogo analitico

3.1. Premessa

Catalogo analitico = catalogo totale, il cui ne è di contenere una descrizione quanto più possibile
accurata ed esauriente di tutti gli aspetti di ogni singolo codice, da quelli esterni a quelli relativi al suo
contenuto testuale. Ogni particolare, se analizzato criticamente, è rilevante. I risultati dell’analisi vanno
trasferiti in una trattazione che renda più possibile gli elementi e le vicende del processo di produzione
del codice. Il risultato è una trattazione piuttosto ampia che di solito viene articolata in più sezioni e
sottosezioni relative a quattro diversi aspetti del manoscritto: la sua facies esterna; la sua storia
posteriore alla fattura; il suo contenuto testuale; la bibliogra a ad esso relativa.

3.2. Analisi del codice

1. Sfogliare il codice, facendo attenzione sia al suo aspetto esterno, sia al suo contenuto, in modo da
ricavarne un’idea complessiva e da rendersi conto se il codice è unitario o composito. È opportuno
prendere nota degli elementi rilevanti che emergono da questa prima analisi, in lando nei luoghi
relativi sottili liste di carta non iscritta e del minimo spessore. Quindi il catalogatore prepara quattro
cartelline leggere, destinate a contenere rispettivamente le notizie sull’aspetto esterno e la fattura
del codice, quelle sul suo contenuto, quelle sulla sua storia e in ne le schede bibliogra che delle
opere e degli articoli in cui esso è descritto o citato; il tutto va inserito in una cartella più grande
con il numero e la segnatura del relativo codice.
2. Analisi dell’aspetto esterno del codice: il catalogatore si può fornire di una scheda-tipo oblunga e
abbastanza ampia contenente tanti spazi orizzontali quanti sono i fascicoli di ciascun codice per
segnarvi per ciascun fascicolo la natura e la consistenza (quaderno, quinterno, ecc.. e estensione
da carta a carta), le eventuali mancanze o aggiunte, le eventuali tracce di segnatura fascicolare
sia con numerazione romana per fascicolo, sia con numerazione a registro per ciascun foglio,
l’esistenza di ligrane con riferimento di identi cazione al repertorio adoperato, la mano o le mani
identi cate con la signa alfabetica maiuscola progressiva (es. mano A da c. a c.; mano B da c. a c.,
ecc.) Per la struttura si può far riferimento a un gra co e per la ligrana si può inserire un disegno
con l’indicazione delle dimensioni in mm., e si può anche calcolare in mm lo spazio occupato da
venti vergelle e quello intercorrente fra i loni. Ove opportuno, il catalogatore potrà compilare
schede analitiche particolari nelle quali analizzare i sistemi e i tipi della rigatura e, con metodo
paleogra co, la scrittura delle singole mani.
3. Descrizione interna: compilare una scheda separata per ciascun testo rilevato nel codice,
riportandovi testualmente l indicazioni di autore e di titolo in esso fornite, cui far seguire, via via
che le operazioni di controllo, collazione e identi cazione si sviluppano, i dati progressivamente
emersi e i risultati dei confronti con le edizioni e dei riscontri bibliogra ci.
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4. Su un’altra scheda oblunga il catalogatore disporrà notizie e giudizi circa le diverse mani che
hanno apposto annotazioni nei margini del codice, la loro età e il tipo delle annotazioni stesse:
notabilia, rimandi ad altri testi, osservazioni e giudizi, note di commento, brani di commentario
continuo o note di collazione con altro esemplare (di solito precedute da “al.” per “alias”.
5. Schedatura di tutte le note in possesso; lettura completa, datazione ed eventuale individuazione
dello scriba.
6. Descrizione de nitiva, in forma di testo continuo, più o meno diffuso.

3.3 Descrizione esterna (materia; aspetto e ordinamento; struttura; tecniche di fattura;


scrittura)

- Segnatura del manoscritto: quella attuale seguita, se necessario, da quella immediatamente


precedente, ove sia citata da studiosi in tesi relativamente recenti. Le eventuali segnature antiche
andranno indicate nella sezione relativa alla storia del codice. La segnatura che si deve indicare è
quella correntemente in uso nella biblioteca di appartenenza. Se il codice è composito, ognuno dei
suoi manoscritti deve essere descritto a sé, sia per quanto riguarda la descrizione esterna, sia
quella interna, distinguendoli fra loro con numerazione progressiva in cifre romane.
- La materia: speci care se il codice è di pergamena («membr.») o di carta («cart.») o ambedue se il
codice è composto da entrambi i materiali, es.: «cart e membr.; sono membr. i fogli esterni di
ciascun fascicolo e precisamente le cc. 1, 8». La materia può essere ulteriormente descritta
indicandone la natura, la preparazione o l’aspetto. Per la pergamena si può descrivere l’origine
animale, lo spessore, la differenza al tatto tra la parte di pelo e quella di carne, i fori e residui di
peli… Per la carta, spessore, consistenza, colore, ligrana, vergelle e loni.
- La data: espressa in secoli, con ulteriori precisazioni in abbreviazione (in. = ineunte , cioè degli
inizi; m. = medio, cioè della metà; ex. = exeunte, cioè verso la ne) o con indicazione di più brevi
periodi o in quarti di secolo o in cifre.
- Le misure: fornita in mm., altezza x larghezza. Le misure sono calcolate sulla carta e non sulla
legatura, la cui misura va espressa separatamente. Nel caso di oscillazioni nelle misure delle carte
si può fornire i dati estremi o un’approssimazione di essi.
- La consistenza: riportare i dati della numerazione esistente, generalmente espressa in carte,
quindi chiamata “cartulazione”. Ove quella precedente sia sbagliata, lo si avverte senza modi carla
sull’originale. Nella numerazione si distinguono le carte di guardia, facenti parte della legatura, da
quelle del corpo del codice, indicando le prime con cifre romane e le seconde con cifre arabiche,
es.: III + 252 + II. Si da notizia della o delle numerazioni esistenti fornendone anche la data e
indicandone, ove lo si conosca, l’autore. Si indicano le omissioni di numerazione dovute a errore o a
reali mancanze, le eventuali duplicazioni, le catte lasciate bianche; il recto e il verso delle singole
carte si indica con le sigle r e v, le colonne del testo A e B.
- La struttura: consiste nella sua costituzione in fascicoli fatti ciascuno di un certo numero di fogli
ripiegati, inseriti uno dentro l’altro e cuciti fra loro; la descrizione avviene usando una nomenclatura
numerica (james), o un’esposizione verbale; si segnala la presenza eventuale di fascicolazione o di
richiami.
- Sistema e tipo di rigatura: di solito si omette.
- La scrittura: in sede di catalogazione analitica, il catalogatore dovrà fornire una de nizione
terminologicamente attendibile del tipo di scrittura adoperato nel codice; nel caso che il codice sia
stato scritto da più mani, occorrerà riconoscerle una per una, dandone l’estensione e per ciascuna
ripetendo la de nizione gra ca ed eventualmente una breve descrizione delle caratteristiche
peculiari che ne permettono l’identi cazione, Nel caso che il testo rechi nei margini commenti o
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annotazioni tracciati da altre mani, se ne dà notizia, identi cando il numero, l’epoca rispettiva e il
tipo di scrittura adoperato da ciascuno degli annotatori. Si fornirà anche la misurazione dello
specchio di rigatura e cioè le misure dello spazio rigato per ricevere la scrittura, il numero delle
colonne in cui il testo è diviso e delle righe del testo stesso; ove il numero di queste ultime sia
variabile, lo si avvertirà, fornendo le cifre limite o le cifre riscontrate in una delle carte iniziali di
ciascun fascicolo. Se il copista ha sottoscritto e datato il codice si riporterà testualmente ed
integralmente la formula di sottoscrizione e di datazione; se il copista è noto lo si dirà, fornendo in
nota o nel testo, di seguito e fra parentesi, le relative referenze. Se il codice è per qualche ragione
databile, la si esporrà con i relativi riferimenti giusti cativi.
- L’ornamentazione: descrizione schematica, distinguendo per le miniature quelle a piena pagina da
quelle inserite nel esto, ove appaia opportuno; si indichi l’esistenza di fregi, di iniziali gurate (nelle
quali l’elemento gurativo antropomorfo, zoomorfo o tomorfo risulti prevalente), decorate o
calligra che, dando per le prime due categorie anche il numero complessivo e l’indicazione delle
carte in cui si trovano. Se il codice reca stemmi li si descrive secondo la nomenclatura in uso e, se
possibile, li si identi chi (vd. V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, I, Milano, 1928, pp.
13-68).
- La legatura: data di fattura espressa in secoli e materie di cui la legatura stessa è fatta.

3.4. Storia del codice

In sede di analisi bisogna raccogliere i dati relativi alla storia del codice, che verranno poi riportati con
il massimo scrupolo, cercando di fornire per ciascuno di essi una datazione quanto più precisa
possibile e disponendoli in ordine di successione cronologica: note di possesso esistenti in qualsiasi
parte del codice, le annotazioni di studio o di consultazione rmate, e così via; i timbri di appartenenza
e le vecchie segnature, anche se non più comprensibili nei loro elementi; numeri, sigle, ecc., prove di
penna, disegni tracciati posteriormente e altre eventuali note occasionali ed estranee al contenuto del
manoscritto; dati desunti dall’archivio della biblioteca (prestiti esterni, esposizioni in mostre); cataloghi
di vendita, lettere, documenti che attestino eventuali passaggi di proprietà, citandone le fonti.

3.5. Descrizione interna

Una volta risolti i problemi relativi all’identi cazione dell’autore e del testo, o degli autori e dei testi
contenuti nel codice, il catalogatore deve esporre i risultati della sua analisi testuale in modo chiaro e
ordinato.
Ogni testo viene contraddistinto da un numero progressivo in cifre romane; ove esso sia a sua volta
diviso in partizioni che vanno singolarmente descritte, esse saranno distinte con numeri progressivi in
cifre arabiche. Segue l’indicazione delle carte che il testo stesso occupa, posta fra parentesi tonde, e
quindi, il nome dell’autore espresso nella forma consueta e nella sua lingua.
Il nome dell’autore è seguito dal titolo dell’opera, dato nella lingua del testo e nella forma presente nel
codice quando non sia diversa da quella comunemente adottata; altrimenti si dà quella normale, cui
fra parentesi tonde si fa seguire quella del manoscritto, racchiusa fra virgolette. Seguono gli incipit e
gli explicit del testo, scelti in modo da fornire un passo signi cativamente identi cabile, anche se
breve.
Si introducono poi notizie sullo stato del testo nel codice, fornendo innanzitutto fra parentesi il
riferimento all’edizione collazionata; per i classici alla migliore o più recente edizione critica; per gli
autori medievali e moderni all’editio princeps (anche quattrocentista) o ad altra edizione antica o
moderna raggiungibile. Si danno quindi informazioni sulle eventuali mancanze del testo, sulle sue
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mutilazioni all’inizio e alla ne, su eventuali aggiunte; se si ritiene che il codice occupi una posizione
importante all’interno della tradizione del testo, lo si riporta, fornendo un eventuale rinvio allo studio
che ne tratta; sempre si fornisce qualche informazione sulla posizione del testo tràadito, rispetto a
quello offerto dall’edizione collazionata.
Se il manoscritto contiene una silloge di poesie di uno o più autori, le si descrive singolarmente, con
incipit ed explicit di ciascuna e rinvio all’edizione collazionata.
Se il manoscritto contiene appunti, estratti, minute, abbozzi di opere e così via, si dà a ciascuna serie
un titolo generico in italiano, racchiuso tra parentesi quadre, facendo quindi seguire una sommaria
descrizione delle singole sezioni identi cabili all’interno della serie, distinte con numeri arabici. Per gli
epistolari, si fornisce l’elenco di tutte le lettere presenti, indicando per ognuna di esse le cc limite, il
mittente, destinatario, la data e il luogo di spedizione, ove indicato.

3.6. Bibliogra a

Deve fornire il quadro esatto, storicamente e criticamente, degli studi eseguiti in qualsiasi epoca e per
qualsiasi scopo sia manoscritto ovvero per i quali il manoscritto sia stato utilizzato. Deve essere
completa, estendendosi no alle semplici citazioni, ed ordinata in rigido ordine cronologico.

4. Il catalogo sommario

Esempi celebri:
- Summary Catalogue dei manoscritti della Bodleian Library di Oxford, Falcone Madan;
- Inventario general de manuscritos de la Biblioteca Nacional di Madrid;
- Catalogo Sommario del Fondo Rossi (Sezione Corsiniana) della Biblioteca dell’Accademia dei
Linacei di Roma.

Di dif cile de nizione in quanto poiché de nibile per sottrazione rispetto al catalogo analitico e per
addizione rispetto al mero inventario. Dovrebbe fornire tutte quelle informazioni non ricavabili dalla
riproduzione in micro lm, omettendo tutto ciò che è frutto di una ricerca specialistica. Non contiene i
dati più speci catamente codicologici e neppure notizie sulla tradizione dei testi in esso contenuti,
limitandosi a una secca identi cazione degli stessi. Il linguaggio deve essere secco e conciso,
meramente formulare e con largo ricorso alle abbreviazioni.
Il catalogo sommario dovrebbe, quindi, comprendere:

1. Descrizione esterna: indicazione della materia; datazione; misure in mm; carburazione;


eventualmente struttura; tipi di scrittura; speci cazione se di una o più mani; mani di annotatori;
cenni sull’ornamentazione; ligrane; eventuale giudizio sull’origine; cenno descrittivo (materia,
datazione ed eventuali stemmi) della legatura.
2. Descrizione interna: Autore, titolo; eventuali incipit ed explicit solo di opere anonime o non
identi cate; eventuali annotazioni (fra parentesi tonde) sulle mancanze del testo e sulle sue
partizioni.
3. Storia: trascrizione di tutte le note di possesso, delle iscrizioni, dei timbri; altre notizie sulla storia.
4. Bibliogra a: evitare citazioni rituali di seconda e di terza mano, come quelle ricorrenti nelle tavole
dei manoscritti di alcune edizioni critiche.

5. Il repertorio di manoscritti
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Introdotti con l’arrivo della computerizzazione: offrono molti vantaggi, quali la possibilità di accedere
all’informazione da qualsiasi luogo, ma anche delle dif coltà, come ad esempio la necessità di trovare
un linguaggio tecnico uniforme ed omogeneo.

6. Gli inventari

Emil Wallner —> inventario = forma di descrizione limitata ed essenziale, basata su di una scelta più o
meno arbitraria degli elementi e di dati e nalizzata a scopi amministrativi, pratici e, si potrebbe dire,
parascienti ci.
Tuttavia, si potrebbe de nire come appartenente al genere dell’inventario una vasta gamma di esempi
di descrizione, da secche liste di nomi, a descrizioni piuttosto dettagliate.

Delisle e Omont diedero due esempi diversi di inventario, il primo (inventario dei manoscritti latini della
Biblioteca Nazionale di Parigi) compilando una lista brutalmente essenziale, il secondo (manoscritti
greci della stessa biblioteca) una descrizione più accurata, anche se schematica.

Caratteristiche di fondo del modello:

- sommarietà dell’informazione, per cui soltanto una parte dei dati possibili, e ritenuti indispensabili, è
fornita all’utente; naturalmente la soglia dell’indispensabilità rimane arbitraria: onde la diversità
notevole dei risultati;
- Rapidità di esecuzione e perciò la pratica fattibilità del prodotto entro un tempo limite;
- Estensione contenuta e costo relativamente basso;
- Provvisorietà dei risultati.

Tre tipologie diverse:

- inventario sommario: preferibile quando si devono descrivere fondi mai descritti e particolarmente
numerosi, o si debbano redigere liste conoscitive di materiale manoscritto per uso interno;
- inventario vero e proprio: qualche dato in più sulla descrizione esterna;
- inventario analitico: prevalenza della descrizione interna.

Indispensabili: segnatura; autori, titolo originale o moderno e ttizio; materia; datazione, carburazione;
misure in mm.; legatura; eventuale indicazione della provenienza.

7. I cataloghi speciali

7.1. Premessa

La distinzione fra cataloghi generali e cataloghi speciali è stata oscurata dalla varietà di forme che il
catalogo generale ha assunto. La differenza fra le due tipologie risiede nella materia trattata, piuttosto
che nella forma, in quanto il catalogo speciale, diversamente da quanto succede per quello generale,
non ha come obbiettivo la descrizione di tutti i codici appartenenti ad un determinato territorio o
biblioteca, bensì quello di trattare, all’interno di essi, solo alcuni i quali presentino determinate qualità
tipologiche e testuali che costituiscono appunto la loro singolare specialità.
I cataloghi speciali sono dunque costruiti su una rigorosa selezione dei manoscritti da descrivere,
fondata silla natura particolare della ricerca che un determinato studioso o un gruppo di ricercatori ha
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deciso di intraprendere e che può riguardare sia i testi tramandati (ad esempio tutti i testi di un
determinato autore o di un particolare settore disciplinare) sia la tipologia esterna dei codici (miniati,
datati, ecc.) oppure la loro età. Se ne deduce quindi che i cataloghi speciali sono contraddistinti da un
soggetto speciale e da una speciale nalità.
Essi sono prodotti in genere non dai bibliotecari conservatori, ma da studiosi esterni alle biblioteche,
mossi da proprie ragioni tematiche e di ricerca e perciò indotti a darsi norme di descrizione
particolarmente studiate in funzione di esse; ne consegue che i cataloghi speciali sono fra loro
fortemente difformi.

7.2. Catalogo dei manoscritti di una singola opera o di un singolo autore

L’operazione che è alla basa di questi cataloghi costituisce la fase preliminare di ogni edizione critica
(la recensio della tradizione manoscritta di un determinato testo) ed è spesso rappresentato da
semplici e nude liste recanti soltanto indicazioni di massima di ciascun manoscritto. Un buon catalogo
di questo genere deve dare descrizioni ricche e complesse di ciascun codice recensito, ma pur
sempre chiare e sobrie, e fornire un ampio quadro della diffusione nel tempo dei testi rispettivamente
presi in esame e della loro tradizione manoscritta complessiva, individuandone fattori, vettori e utenti.

7.3. Catalogo dei manoscritti contenenti testi relativi a un determinato settore disciplinare

Di solito ampi e af dati ad equipe di studiosi, piuttosto che a una singola persona. Es. indice
descrittivo dei manoscritti giuridici di diritto romano no al 1600, catalogo dei manoscritti loso ci nelle
biblioteche italiane, ecc.

7.4. Catalogo di codici datati o databili

Datato = codice recante con chiarezza un’indicazione originale di data o di luogo compilata e scritta
dal copista o dai copisti che ne hanno materialmente vergato il testo. Bisogna comunque prestare
attenzione a questo aspetto perché l’indicazione di una data potrebbe essere fuorviante. La data
espressa potrebbe rappresentare la data di composizione dell’opera da parte dell’autore (in questo
caso potrebbero esistere più manoscritti con la stessa data), oppure essere la data dell’esemplare da
cui è tratto il codice o quella di confezione di un exemplar uf ciale.

Databile = codice che per elementi interni, cioè contenuti nel testo (dedica, citazione di personaggi e
di fatti, ritratti, ecc.) o esterni (identi cazione del committente, annotazioni datate immediatamente
successive alla fattura) può essere verosimilmente datato entro un arco di tempo inferiore ai trenta
anni, inferiore cioè ad ogni possibile datazione effettuata su base paleogra ca.

7.5. Catalogo di codici miniati

Poiché sono molto frequentemente redatti da storici dell’arte, spesso si con gurano come cataloghi
descrittivi delle miniature contenute piuttosto che come cataloghi descrittivi dei codici con miniature.
In ogni caso, essi dovrebbero senza eccezione riportare le seguenti informazioni:
- strumenti e tecniche di esecuzione
- colori adoperati
- iconogra a delle gure o scene rappresentate
- tipologia degli elementi costitutivi della decorazione.
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8. La descrizione dei manoscritti di natura documentaria

8.1.

Archivi e biblioteche hanno in comune il settore dei manoscritti, cioè dei documenti e dei libri, antichi e
moderni, scritti a mano e conservati nelle serie e nei fondi con costituiscono il nucleo storicamente più
importante di ciascuna di queste istituzioni. Gli sviluppi recenti della codicologia e dell’archivistica
avvicinano tanto queste due discipline che oggi si può parlare di una “archivistica dei manoscritti”,
consistente nella storia dei fondi che li conservano.
Questo settore comune costituisce anche un elemento di contrasto fra le due categorie di enti poiché il
materiale che appartiene ad un’istituzione spesso si trova nell’altra, a causa delle peripezie alle quali i
documenti sono sottoposti a volte anche per cause arbitrarie o sfortunate. In particolare in Italia ogni
biblioteca di antica formazione conserva fra i suoi manoscritti ricchi fondi documentali e la irrazionale
distribuzione del materiale manoscritto seguita alla soppressione dei monasteri e alla costituzione di
nuovi enti di conservazione ha provocato, dopo il 1861, lo smembramento di intere serie archivistiche
e la dispersione di organici fondi librari. Sono frequenti anche i casi di fondi di manoscritti che sin dalla
loro origine comprendevano intere serie di documenti pubblici relativi alle attività politiche o religiose
del fondatore di quella biblioteca.

8.2.

Si può ridurre il materiale documentario contenuto nelle biblioteche alle seguenti categorie:

a) manoscritti di natura storico-documentaria, in genere di età moderna, in volumi o codici;


b) archivi letterari, costituiti dalle carte di un intellettuale defunto, appunti di lavoro, varie redazioni
delle sue opere, il suo carteggio, eventuali documenti patrimoniali e familiari;
c) serie di documenti sciolti, soprattutto se membranacei;
d) interi archivi, sopratutto familiari o personali, o parti, più o meno estese, di archivi di pubbliche
istituzioni.

Di fronte a tale casistica il bibliotecario non potrà certamente restituire il materiale alla sede più propria
per esso, cioè all’archivio, ma si può limitare a pubblicarne un buon inventario. Il problema dunque è
di carattere scienti co, piuttosto che giuridico, e risiede nell’urgenza di trovare un modello di
descrizione coerente e funzionale al materiale documentario di cui si dispone.

8.3.

Il problema è dunque innanzi tutto quello di saper distinguere fra materiale manoscritto che è meglio
descrivere con metodi bibliotecari e materiale manoscritto che, per la sua natura particolare, è meglio
descrivere con metodi archivistici. I manoscritti che costituiscono dei codici andrebbero pertanto
descritti con metodo bibliotecario, quelli che invece fanno parte di una serie documentaria
individuabile secondo criteri archivistici.

Ordinare un complesso di carte o di lze di documenti signi ca ridare loro l’ordinamento originario,
cioè quello corrispondente al funzionamento dell’organismo di cui esso costituiva emanazione
documentaria. Una volta raggiunto tale ne, si tratta di tradurre tale ordinamento in un inventario
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ragionato, nel quale non sarà tanto importante la descrizione di ciascun pezzo a sé stante, quanto
piuttosto l’inquadramento storico generale e l’illustrazione del funzionamento dell’uf cio da cui le carte
provengono, da esporre nell’introduzione, breve o lunga che sia.
Cencetti —> saggio sulle diversità fra inventario dei libri e inventario archivistico (1939), preferisce un
inventario sommario che descriva ciascun contenitore riferendo sommariamente del suo contenuto,
arricchito da un’introduzione storica; D’Addario (1980) un inventario analitico che contenga la
descrizione di ciascun documento.
Compilata la trattazione introduttiva, il catalogatore dovrebbe limitarsi a fornire per ciascuna lza o
mazzo o cartella di documenti i dati cronologici limite, la natura sica del pezzo (fascio di tot
documenti o di tot carte se si è preferita la carburazione, consigliabile solo per i pezzi rilegati in forma
di codice), l’autore o gli autori della documentazione, la natura degli atti contenuti.

9. Redazione degli indici e dell’introduzione

L’indice è un elemento di estrema importanza all’interno di un catalogo di manoscritti perché


costituiscono la chiave interpretativa fondamentale della descrizione e lo strumento principale di
consultazione per lo studioso. Ogni indice è il frutto della scelta e dell’accurata organizzazione di tutti i
principali elementi costitutivi del catalogo.

9.2. I dati

Gli indici non contengono soltanto un numero maggiore o minore di dati a seconda della natura del
catalogo di cui costituiscono l’indispensabile complemento, o a seconda della volontà del compilatore,
ma anche una qualità diversa di dati a seconda degli orientamenti dominanti nella scienza
codicologica e nella tecnica catalogra ca del momento. Ciononostante, alcuni dati di base sono
ineliminabili da qualsiasi tipo di indicizzazione:

a) i nomi degli autori dei testi descritti;


b) I titoli delle opere anonime;
c) Tutti gli incipit presenti nel catalogo, in ordine alfabetico;
d) I nomi di persona comunque presenti nella descrizione;
e) L’indicazione dei codici datati o databili o in un indice a sé o nell’indice generale sotto voce
apposita;
f) l’indicazione dei codici interamente o parzialmente palinsesti;
g) In indice a parte l’identi cazione bibliogra ca completa di tutte le opere e di tutti gli articoli citati in
forma abbreviata nel testo del catalogo e nell’introduzione ad esso.
Ogni citazione deve essere munita di un rinvio al catalogo, che in genere è effettuato secondo il
numero del codice cui il dato si riferisce.

9.3. Struttura e caratteri

- I nomi degli autori vanno stampati in grassetto, gli altri in maiuscoletto; oppure nomi di autori in
maiuscoletto e altri il corsivo minuscolo;
- i titoli in corsivo e così in corsivo tra parentesi angolari o quadre, tutti gli interventi critici del
compilatore;
- nel caso di indice ampio e ricco di voci di materia, occorre disporlo di un prospetto iniziale;
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- categorie di persone come copisti o possessori, possono essere contraddistinte con esponenti
letterali (C e P);
- l’indice va preceduto da una breve avvertenza che ne speci chi i caratteri e fornisca qualche
consiglio utile per l’uso.

9.4. L’introduzione

Proposizioni metodologiche del compilatore; notizie sulle sedi siche che i manoscritti hanno avuto nel
tempo; catalogazioni e inventariazioni precedenti l’ultima con autori e criteri; notizie sui bibliotecari
responsabili del settore dei manoscritti; notizie sugli accrescimenti nel tempo del fondo; notizie su
eventuali dispersioni o furti di codici; notizie su eventuali campagne di rilegatura o di restauro. Criteri
seguiti nella descrizione, ringraziamenti. Tavole di concordanza delle segnature.

10. La scelta funzionale

10.1.

Se nora si è catalogato poco è anche e soprattutto al fatto che di volta in volta, ubbidendo a
motivazioni culturali e ideologiche diverse, si è descritto ciò che si è voluto o potuto con i metodi che
ciascuna volta sono stati ritenuti necessari. La consapevolezza di tale situazione e l’accettazione del
principio che a motivazioni diverse devono corrispondere metodologie diverse di descrizione, sono
atteggiamenti auspicabili in tutti gli operatori del settore, perché capaci di sgomberare il terreno di
molti equivoci, primo fra tutti quello della obbligatorietà di un modello unico di catalogazione.

10.2.

La proposta che ne può derivare, è quella di una descrizione funzionale, cioè generale e completa, ma
differenziata nei metodi in base alle diverse nalità. Essa dovrebbe comprendere:

a) Una inventariazione generale del patrimonio manoscritto nazionale, secondo modalità af ni a


quelle che caratterizzano il Catalogo generale dei beni culturali ed ambientali.
b) Una catalogazione con metodo analitico o sommario di singoli fondi di manoscritti o di gruppi di
codici scelti per speci che esigenze di ricerca; si tratta di iniziative di catalogazione prese a livello
locale o da operatori interni alle strutture bibliotecarie.
c) La semplice inventariazione a ni non scienti ci, quanto piuttosto patrimoniali, che funga da banca
dati e che deve essere messa a disposizione del pubblico e di cui deve essere permessa la
riproduzione.

10.3.

È importante sottolineare la differenza che corre tra:

- teoria della descrizione, che deve servire soprattutto a stabilire lo standard minimo di informazioni
che una descrizione deve contenere per risultare suf cientemente utile; compito dei teorici della
bibliogra a e della catalogazione;
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- politica della descrizione, che deve servire a impostare e nanziare modelli diversi cati di
descrizione a seconda delle diverse esigenze e a fornire ciascuna area territoriale e ciascun centro
di una inventariazione di base completa; compito dei responsabili a livello nazionale e locale della
politica di tutela e di conservazione dei beni culturali;
- metodologia della descrizione, che deve servire a stabilire i modi e le tecniche di realizzazione dei
singoli modelli di descrizione possibili; compito dei codicologi e dei conservatori di manoscritti.

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