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Testi:
FRANCESCO BAUSI, La filologia italiana, Bologna, il Mulino, 2022.
UBERTO MOTTA, "Lingua mortal non dice". Guida alla lettura del testo poetico, Roma, Carocci, 2020.
GIANLUCA COLELLA, Che cos'è la stilistica, Roma, Carocci, 2010
Può essere utile la consultazione di
GIANFRANCA LAVEZZI, Breve dizionario di retorica e stilistica, Roma, Carocci, 2004
Che cos’è la filologia
Filologia: ‘studio dei testi’, dal greco e dal latino philologia, ‘amore per la parola e per il discorso’
«La filologia non è il tutto, né il fine, né l’essenziale della critica; non ne è neppure l’accessorio; ne è, semplicemente, la
condizione. In effetti, essa presuppone meno l’apprendimento di certi metodi e di certe procedure di ricerca, che una disciplina
generale di lavoro, un abito intellettuale, uno spirito: e questo è essenzialmente la volontà di osservare prima di immaginare, di
osservare prima di ragionare, di osservare prima di costruire; è il partito preso di verificare tutto il verificabile, di cercare sempre
più verità, ricordandosi, come dice uno dei nostri maestri, «che non ci sono verità minori, verità indifferenti, o verità trascurabili»
Joseph Bédier
Filologia è dunque sinonimo, generalmente parlando, di «ricerca storica» finalizzata all’accertamento della verità, ossia alla
ricostruzione quanto più esatta possibile di un frammento di passato, sia esso un evento, un manufatto o un testo (letterario o
meno).
Di fronte a un testo il filologo non si preoccuperà in prima istanza della sua interpretazione complessiva e non si interesserà a
questioni di ordine generale, ma si porrà innanzitutto precise domande:
1. che cosa esattamente quel testo significa, non genericamente, ma parola per parola e alla lettera;
2. chi ne è l’autore, e se ha fondamento la sua attribuzione a un autore piuttosto che a un altro;
3. quando quel testo sia stato scritto, e se la cronologia tradizionalmente fissata sia esatta o plausibile, o se invece possa e debba
essere modificata e corretta;
4. se ciò che si legge in quel testo corrisponde a ciò che davvero l’autore scrisse, o se, invece, nel testo si trovino parole sbagliate
(errori) o arbitrariamente sostituite da altri a quelle originarie (varianti di trasmissione), e parti mancanti (lacune) o aggiunte da
persona diversa dall’autore (interpolazioni).
Il testo nel tempo
Come ogni prodotto umano anche i testi hanno una vita e si trasformano nel corso del tempo.
Al contrario di quello che accade solitamente, non molti hanno la consapevolezza che le edizioni dei testi che leggiamo sono
il frutto di una ricostruzione.
Della Commedia di Dante non possediamo l’autografo e sono giunti fino a noi circa 800 manoscritti. Quando leggiamo la
Commedia, non leggiamo il testo di Dante, ma una proposta di ricostruzione fatta dagli editori.
I diversi editori nel corso dei secoli hanno ricostruito il testo del poema seguendo uno o più testimoni (copie manoscritte o a
stampa), scegliendo tra le diverse lezioni (ciò che un testimone legge in un determinato punto).
Es. Edizione Petrocchi (27 manoscritti dell’antica vulgata) – Edizione Trovato (11 manoscritti settentrionali)
Inf., v 80
Tradizione diretta: formata dai testimoni che tramandano il testo direttamente (i testimoni sono stati creati con l’intenzione di
trasmettere un testo).
Tradizione indiretta: è formata da testimoni di altre opere nei quali si trovano citazioni, frammenti, traduzioni o rifacimenti di
un testo.
Capire come venivano allestiti i testimoni per capire come si trasmettevano i testi
Lato carne: la
pergamena è
chiara e liscia
Lato pelo: la
pergamena è più
scura e ha tracce di
peli
Fasi di lavorazione della carta
Gli stracci venivano triturati in pezzi di pochi centimetri e messi a mollo per
settimane.
Si creava così una pasta che veniva passata su un setaccio e una volta essiccata dava
vita al foglio.
I fogli erano impressi con delle filigrane (grazie alle quali possiamo datare
approssimativamente i manoscritti cartacei; vd. Briquet online: https://briquet-
online.at
Fascicolazione
non avrebbe
non avrebbe
Rigatura
Linea
p = per (superbi) convessa = r
(parve)
Usata principalmente dai mercanti; è una scrittura corsiva e veloce, raramente usata per la produzione dei libri
(quando troviamo un libro in mercantesca è molto probabile che un mercante lo abbia ricopiato per sé stesso).
ʃ=s
Non si
distingue u/v
Manoscritto miscellaneo: quando
trasmette più opere.
Errore: lezione che rende inaccettabile un passo nella sostanza e nella forma.
Convivio I, 2, 15: lo pane del mio formento è purgato dalla prima sua macula.
Formento (frumento) è errore, poiché prima Dante ha presentato il Convivio come pane grazie al quale la vivanda (le
canzoni da lui commentate nell’opera) potrà essere gustata (compresa dal pubblico). Il copista ha sostituito
automaticamente comento con una parola molto simile nel suono (formento), legata semanticamente al sostantivo
precedente («pane»).
-Aplografia: omissione di una sillaba in una parola che ne presenta due uguali di seguito (filogia per filologia);
-Dittografia: duplicazione di una sillaba o di una parola (se ne ne andrò per se ne andò; biolologia per biologia);
-Omeoteleuto: due parole vicine che terminano con lo stesso gruppo di lettere vengono fuse in una (avvoc<ato
abbindol>ato = avvocato);
-Errore di anticipazione: una parola che ricorre più avanti nel testo viene anticipata;
-Errore di ripetizione: una parola già trascritta viene ripetuta;
-Errore polare: si sostituisce una parola con una di senso opposto (caldo-freddo)
-Saut du même au même: (salto dallo stesso allo stesso) salto di parti del testo
racchiuse tra parole uguali o simili («In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale
poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo
scritte le parole le quali è mio intendimento d'assemplare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro
sentenzia»).
Errori d’autore:
1. Anche gli autori possono commettere errori di scrittura (es. errori di distrazione o lapsus).
A Machiavelli, che aveva criticato duramente la sua austera villa di Finocchieto (nel Mugello), Francesco
Guicciardini indirizzò una autodifesa della proprietà, giuntaci solo nell’autografo. La villa replica parlando in prima
persona, come se fosse un’austera nobildonna
La villa afferma che Machiavelli non può apprezzare la sua bellezza poiché abituato a frequentare una donna di facili
costumi. E benché è un errore di copia generato dalla presenza delle stesse parole poco oltre (errore d’anticipo).
L’errore è rimasto inalterato poiché Guicciardini non ha mai più rivisto il testo e non lo ha inviato a Machiavelli
2. Anche gli autori commettono errori di fatto, dovuti alla conoscenza che possedevano e ai testi che leggevano.
Es. Novella IV 5 del Decameron: Lisetta afferma che nel vaso dov’era la testa del suo amato aveva piantato del
«bassilico salernetano». In realtà, nella canzone popolare siciliana che Boccaccio ha utilizzato come fonte per la
novella, si parla di «basilico salemontano»
Poiché «salernitano» si trova in tutti e 3 i codici principali del Decameron (autografo compreso) è poco
plausibile che si tratti di un errore di copia; probabilmente è errore dello stesso Boccaccio, dovuto a una cattiva
conoscenza del testo siciliano.
**L’editore non deve correggere l’errore, poiché esso risponde alla volontà dell’autore (la lezione è erronea in
sé, ma non lo era per Boccaccio).
3. Non tutti gli autori padroneggiano allo stesso modo la lingua e la metrica
I versi 1 e 3 sono sbagliati perché hanno l’ultimo accento sull’11° sillaba. Tuttavia, Palmieri fu autore
anche di un poema in terzine di imitazione dantesca, la Città di vita, all’interno del quale vi sono una
quarantina di endecasillabi sbagliati (probabilmente Palmieri credeva che l’endecasillabo fosse
semplicemente un verso di 11 sillabe).
Il segmento è sbagliato poiché «lasciare parte delle proprie truppe alla difesa dell’assedio» non è accettabile.
Occorrerebbe emendare il testo: «lasciato parte delle sue gente alla defesa della città [o di
Siracusa] dalla obsidione».
**L’intervento, anche se minimo, è sconsigliato, poiché Machiavelli non ha revisionato il testo e non esiste
una vera e propria volontà ultima dell’autore.
5. Attenzione a valutare come errore determinate espressioni o forme che nei testi dei primi secoli potevano
essere legittimi.
Nel primo capitolo della Vita nuova, il manoscritto Chigiano L VIII 305 (K) testimonia pelagrafi al posto di paragrafi.
La forma è stata scartata anche dagli editori che scelgono K come testimone base per la veste linguistica della Vn.
Pelagrafi è una forma linguisticamente giustificabile, ma popolare e non riconducibile a Dante, ma al sistema
linguistico del copista del manoscritto K o a quello dell’antigrafo.
Naturalmente, non va accolto a testo tutto ciò che si trova in un manoscritto, ma l’editore deve valutare lo stile e la
lingua dell’autore del testo e applicare le opportune modifiche.
Difficoltà nel riconoscere gli errori
Cacciaguida rimpiange la virtù delle antiche donne fiorentine che non si abbellivano con collane, corona, cinture.
La presenza della parola donne sembrerebbe un errore, perché interrompe l’elenco di oggetti indossabili dalle
donne; inoltre, contigiate è stato interpretato come «ornato di contigie» (decorate con ricami e fregi di cuoio
stampato).
Molti editori hanno editato donne con gonne. Altri hanno proposte doghe (fasce di stoffa applicate alle calzature),
o calze.
Tuttavia, Lanza (1995), Sanguineti (2001) e Inglese (2021) conservano donne.
L’Ottimo commento alla Commedia si riferisce a donne contigiate come femmine mondane (prostitute),
dimostrando che donne contigiate poteva significare «donne che calzavano contigie» (contigia vale sia per la
decorazione, sia per la calzatura decorata).
Perché un mercante di Asti, per ritornare da Bologna prende la strada per Ferrara e Verona?
Branca emendò Asti in Esti (Este, tra Rovigo e Padova), ma ripristinò Asti quando fu
accertato come autografo l’Ham. 90.
La lezione è erronea o no? Il fatto che sia attestata nell’autografo basta a salvarla?
Ham. 90 è rimaneggiato
Diffrazione: sfrangiarsi della tradizione in più varianti in luoghi particolarmente difficili da comprendere.
Diffrazione in presenza: se tra le lezioni attestate c’è anche quella buona.
Diffrazione in assenza: se nessuna delle lezioni è ritenuta soddisfacente.
Ed. Petrocchi (prima terzina): sei varianti formali o grafiche e nessuna variante sostanziale;
È presente un solo errore dricta-drita che rendono il verso ipometro.
A v. 8 si trova la prima variante sostanziale
Varianti adiafore: qualitativamente equivalenti a livello semantico o linguistico-formale (tanto che, almeno in
teoria, potrebbero entrambe risalire all’autore).
Capaneo sta seduto incurante sotto la pioggia di fuoco e non sembra che questa ammorbidisca la sua
altezzosità o lo tormenti.
Altri tipi di innovazione
E come fu la mia risposta udita,
Sordello ed elli in dietro si raccolse
Oltre a quelle involontarie, esistono innovazione volontarie di copisti e stampatori come gente di sùbito smarrita. 63
Interpolazione: inserimento di parti di testo; L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse
Censure: tagli o riscritture (cause religiose o politiche). che sedea lì, gridando: «Sù, Currado!
vieni a veder che Dio per grazia volse». 66
Purg., viii: incontro con Nino Visconti Nullo bel salutar tra noi si tacque;
Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
pur là dove le stelle son più tarde,
poi dimandò: «Quant’è che tu venisti
sì come rota più presso a lo stelo. 87
a piè del monte per le lontane acque?». 57
E ‘l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
«Oh!», diss’io lui, «per entro i luoghi tristi
E io a lui: «A quelle tre facelle
venni stamane, e sono in prima vita,
di che ‘l polo di qua tutto quanto arde». 90
ancor che l’altra, sì andando, acquisti». 60
L’edizione del testo
L’ecdotica consiste nello studio e nell’applicazione delle procedure che portano all’edizione del testo, cioè alla sua
pubblicazione (oggi a stampa o digitale, un tempo manoscritta).
Tipologie di edizione
Ed. diplomatica: prevede la riproduzione fedele dell’assetto testuale presentato dal manoscritto. Nei testi in prosa si
aggiungerà la segnalazione degli a capo del codice con barre verticali; nei componimenti poetici si rispetterà
l’impaginazione del manoscritto anche laddove i versi siano scritti a mo’ di prosa o siano due per rigo.
Ed. diplomatico-interpretativa: l’editore introduce una serie di soluzioni grafiche al fine di facilitare la lettura
(scioglimento delle abbreviazioni solitamente tra tonde, separazione delle parole, distinzione di u da v, segni diacritici,
normalizzazione delle maiuscole, punteggiatura secondo l’uso moderno).
https://www.dante.unina.it/public/preview/mirador/idms/278132
Ed. interpretativa: opera una più completa riduzione del testo agli usi editoriali e linguistici moderni, introducendo
in base ad essi anche la punteggiatura e i segni diacritici e paragrafematici (i tratti e gli accorgimenti grafici, cioè,
che guidano il lettore nella comprensione sintattica e nella lettura di una frase), e regolarizzando l’alternanza di
maiuscole e minuscole
Edizione critica: si stabilisce testo di un’opera grazie alla ricognizione e all’interpretazione delle sue fonti (i testimoni
manoscritti e a stampa) seguendo i criteri dell’operazione ecdotica. Ciò si traduce, se l’opera non è inedita, nel rifiuto
della vulgata, ossia del testo comunemente adottato e circolante (il textus receptus), e nell’allestimento di un testo nuovo.
Apparato: solitamente posto al di sotto del testo, in corpo minore, contiene le lezioni non promosse a testo (varianti e errori).
Apparato positivo: riporta sia i testimoni che presentano la lezione messa a testo, sia le lezioni scartate con i relativi
testimoni. Apparato negativo: contiene solamente le lezioni scartate e i manoscritti che le tramandano.
Apparati multipli
In linea generale, la filologia della copia parte da uno o più testimoni non autografi dell’originale non posseduto al fine
di provare a ricostruire la fisionomia di tale originale o della prima copia derivata da esso (archetipo).
Questa ricostruzione avviene grazie all’individuazione e all’eliminazione degli errori e delle varianti non originali,
ripulendo il testo dalle incrostazioni che si sono sedimentate nel corso del tempo.
La collazione è il confronto tra il testo dei diversi testimoni. Si effettua prendendo un testimone base
(esemplare di collazione) e annotando tutte le divergenze degli altri testimoni.
La recensio consiste nell’esame critico della tradizione. Dopo aver collazionato il testo e individuato gli errori è
possibile stabilire i rapporti di parentela tra i testimoni (stemma codicum).
Si prendono in considerazione gli errori significativi (errori guida) che devono essere:
-monogenetici: tali che due o più copisti non possono averli commessi indipendentemente l’uno dall’altro (in caso
contrario gli errori si dicono poligenetici);
-tali da non poter essere corretti per congettura.
A B C
Elli mi comandava molte volte Egli mi comandava per vedere Elli mi comandava molte volte
che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima; che io cercasse per vedere
questa angiola giovanissima; onde io ne la mia purezza questa angiola giovanissima;
onde io ne la mia puerizia molte volte l'andai cercando, e onde io ne la mia puerizia
molte volte l'andai fischiando, vedeala di sì nobili e laudabili molte volte l'andai cercando, e
e vedeala di sì nobili e portamenti, che certo di lei si vedeala di sì nobili e laudabili
laudabili portamenti, che certo potea dire quella parola del portamenti, che certo di lei si
di lei si potea dire quella poeta Omero: “Ella non parea potea dire quella parola del
parola del poeta Omero: “Ella figliuola d'uomo geniale, ma di poeta Orazio: “Ella non parea
non parea figliuola d'uomo deo” figliuola d'uomo geniale, ma di
geniale, ma di deo” deo”
A B C
Elli mi comandava molte volte Egli mi comandava Elli mi comandava molte volte
che io cercasse per vedere per vedere che io cercasse per vedere
questa angiola giovanissima; questa angiola giovanissima; questa angiola giovanissima;
onde io ne la mia puerizia onde io ne la mia purezza onde io ne la mia puerizia
molte volte l'andai fischiando, molte volte l'andai cercando, e molte volte l'andai cercando, e
e vedeala di sì nobili e vedeala di sì nobili e laudabili vedeala di sì nobili e laudabili
laudabili portamenti, che certo portamenti, che certo di lei si portamenti, che certo di lei si
di lei si potea dire quella potea dire quella parola del potea dire quella parola del
parola del poeta Omero: “Ella poeta Omero: “Ella non parea poeta Orazio: “Ella non parea
non parea figliuola d'uomo figliuola d'uomo geniale, ma di figliuola d'uomo geniale, ma di
geniale, ma di deo” deo” deo”
Elli mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa angiola
giovanissima; onde io ne la mia puerizia molte volte l'andai cercando, e
vedeala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire
quella parola del poeta Omero: “Ella non parea figliuola d'uomo
mortale, ma di deo”
A B
Tanto gentile e tanto presta pare Tanto gentile e tanto presta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta, la donna tua, quand'ella mi saluta,
ch'ogne lingua, tremando, devèn muta, ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di pensare. e li occhi no l'ardiscon di pensare.
C D
Tanto gentile e tanto onesta pare Poco gentile e poco onesta pare
madonna mia, quand'ella altrui saluta, la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne fiamma devèn, tremando, muta, ch'ogne fiamma devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di pensare. e li occhi no l'ardiscon di pensare.
A B
Tanto gentile e tanto presta pare Tanto gentile e tanto presta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta, la donna tua, quand'ella mi saluta,
ch'ogne lingua, tremando, devèn muta, ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di pensare. e li occhi no l'ardiscon di pensare.
C D
Tanto gentile e tanto onesta pare Poco gentile e poco onesta pare
madonna mia, quand'ella altrui saluta, la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne fiamma devèn, tremando, muta, ch'ogne fiamma devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di pensare. e li occhi no l'ardiscon di pensare.
drama meça
N2 (Napoli, Biblioteca Oratoriana dei Girolamini, CF 1.9), c. 110r
N2 (Napoli, Biblioteca Oratoriana dei Girolamini, CF 1.9), c. 122r N1 (Napoli, BNN, VIII. C. 94), c. 90r
In base allo stemma, si cerca di ricostruire la lezione dell’archetipo e si costituisce il testo critico grazie a tre operazioni:
-valutazione della bontà di ogni lezione tradita (examinatio).
-correzione di eventuali errori (emendatio); se l’originale è per sua natura privo di errori, tutti gli errori individuati
devono essere corretti.
-scelta delle varianti (meccanica o ragionata – selectio).
Emendatio ope codicum: quando si corregge un errore presente in parte dei testimoni grazie alla lezione corretta
presente negli altri testimoni.
Emendatio ope ingenii: l’editore congettura quale possa essere la lezione esatta e introduce nel testo una correzione.
Ancora più difficile è colmare le lacune comuni a tutta la tradizione e causate da danni del supporto scrittorio dell’originale.
Es. Franca Brambilla Ageno individua nel Convivio 19 lacune riconducibili all’archetipo e non sanabili in nessun modo
(segnalate con [………]).
Nella tradizioni dei testi volgari è difficile trovare molti errori, ma si trovano varianti, soprattutto adiafore.
Es. Per la canzone cavalcantiana Donna me prega, Guido Favati – nella sua edizione critica del 1957 – costruisce uno stemma
tripartito, denominando k, x e y le sue tre famiglie, composte nell’ordine da sette, dodici e ventitré codici (esclusi i descripti); al
v. 19, esse si dividono nel modo seguente
> Usus scribendi: si sceglie la lezione più vicina allo stile e alla prassi scrittoria dell’autore.
> Lectio difficilior: si sceglie tra le varianti quella «più difficile» poiché è più probabile che un copista abbia
banalizzato una lezione difficile e non il contrario (si applica soprattutto nei casi di diffrazione in presenza).
Dove le altre lezioni nui e lui, presenti nella tradizione, sono più semplici rispetto a uhi.
Il metodo di Bédier
Principale alternativa al metodo di Lachmann. Joseph Bédier era un filologo romanzo che lavorava sui testi francesi medievali
e capì i limiti che il metodo lachmanniano si trovava ad avere se applicato ai testi volgari:
1. Scientificità apparente: le soluzioni meccaniche si possono applicare in pochi casi e il filologo deve ricorrere spesso al
iudicium, poiché la maggior parte degli alberi si presenta bifida.
2. Incertezza e instabilità dello stemma: in molti casi è possibile creare diversi stemmi per la stessa opera e la scoperta di
nuovi testimoni può cambiare l’assetto di uno stemma.
3. Astoricità del risultato: il testo creato alla fine non è veramente mai esistito, ma creato assemblando pezzi di diversi
testimoni.
Nella sua edizione del Lai de l’ombre di Jean Renart, Bédier rinuncia a proporre uno stemma codicum, e seleziona un solo
codice sul fondamento del quale stabilire il testo. Quello che è definito bon manuscrit non è ritenuto dall’editore più vicino
all’originale rispetto agli altri, ma offre un testo generalmente «molto sensato e coerente», forme grammaticali «molto
francesi», un’ortografia «molto semplice e molto regolare», e infine perché è quello che «presenta meno spesso lezioni
singolari» (lezioni testimoniate in un solo codice). Emenda solo le lezioni palesemente erronee.
Attenzione a non confondere il bon manuscrit con il codex optimus dei filologi pre-lachmanniani (generalmente il più antico
della tradizione sul quale si basa il testo dell’edizione).
Solitamente si ricostruisce il testo critico con il metodo di Lachmann e si usa il bedierismo per la resa formale.
Si sceglie per la lingua e per la grafia un testimone base per ragioni di antichità o di congruenza regionale.
Pur non potendosi ritenere sempre del tutto soddisfacente, e pur fornendo una risposta puramente convenzionale al
problema, la soluzione bédieriana ha il vantaggio di affidare la scelta della veste linguistica a un dato in sé coerente e
oggettivo (quello costituito dalle forme di un solo manoscritto).
Testimone unico
Per i testi trasmessi da un solo testimone sono comunque da applicare l’examinatio e l’emendatio. L’editore deve
pubblicare il testo basandosi su un solo testimone e correggendo le lezioni palesemente erronee.
Altri metodi
-Textus receptus: si sceglie di adottare il testo della vulgata o quello di una stampa autorevole impostasi nel tempo;
-Codices plurimi: collazione di molteplici testimoni, ma senza la fase di recensio utile a raggruppare i testimoni in
famiglie e senza l’eliminazione dei descripti (tutti i mss. hanno lo stesso peso ecdotico);
-Codex optimus: si sceglie solitamente il codice più antico;
-metodo dei loci critici: individuazione di un congruo numero di passi filologicamente problematici.
Es. Commedia
Canone di 396 loci stabiliti da Barbi
Canone di loci stabiliti da Petrocchi > per eliminare i manoscritti; edizione basata su 27 codici
Canone di oltre 630 loci stabiliti da Trovato > per eliminare i manoscritti; edizione basata su 11 codici (tutti
settentrionali)
Problemi e limiti del metodo di Lachmann
-Trasmissione degli errori: affinché il metodo sia valido gli errori devono trasmettersi in maniera verticale e la
tradizione deve essere quiescente (meccanica e poco innovativa), ma la tradizione può essere anche attiva (i
copisti possono modificare o correggere il testo) e gli errori possono trasmettersi in maniera orizzontale
(contaminazione).
-Archetipo: per i testi in volgare, la tendenza dei copista a correggere gli errori, limita il numero di errori significativi
comuni a tutti i testimoni e fa sì che a sopravvivere nella tradizione siano errori poligenetici; per questo nei testi
volgari gli errori d’archetipo sono pochissimi.
Nell’edizione del Convivio di Franca Brambilla Ageno sono individuati circa 1000 errori d’archetipo, supposizione
oggi impensabile e che porta a supporre una corruttela dello stesso autografo, probabilmente fermo allo stato di
abbozzo.
Molto spesso gli errori d’archetipo sfuggono all’attenzione dell’editore, poiché sono stati nel tempo corretti dai
copisti.
Es. Tre errori d’archetipo individuati da Barbi nella sua edizione della Vita nuova.
Par., VIII 117 Sì», rispuos’io; «e qui ragion non cheggio»] non veggio Mart; né
veggio Triv
La contaminazione poteva essere generata anche dalla pratica, diffusa negli scriptoria dei librai e delle università, di far
copiare testi di grande estensione in fascicoli separati (detti pecie, ossia ‘pezze’), per i quali poteva accadere che il copista si
servisse via via di antigrafi diversi simultaneamente disponibili nella bottega. In casi del genere si parla di contaminazione
di esemplari o per giustapposizione di esemplari, fenomeno molto diffuso nella tradizione della Commedia dantesca,
anche per la divisione del poema in tre parti distinte e separate, e per la circolazione autonoma di cui godettero le prime
due cantiche
Lacune condivise:
Purg., XX 106-11
Purg., XXII 112-14
Purg., XXXI 82-84
Purg., XXXII 46-48
Uno dei più antichi manoscritti della Commedia di cui si abbia notizia fu copiato nel 1330-1331 da Forese Donati, che vi
appose la seguente soscrizione (del manoscritto, perduto, ci resta solo la collazione eseguita da Luca Martini nel 1548 su
una sua copia della stampa aldina della Commedia impressa nel 1515):
Dieci anni dopo la morte di Dante, il Donati provvede a una sorta di «edizione», eseguita servendosi di vari manoscritti e
confrontandoli in modo da poter eliminare gli errori («respuendo quae falsa») e da accogliere – sulla base del
proprio iudicium – le lezioni «autentiche» o comunque compatibili con il senso.
Esempio contaminazione
A B C
Elli mi comandava molte volte Egli mi comandava Elli mi comandava molte volte
che io cercasse per vedere per vedere che io cercasse per vedere
questa angiola giovanissima; questa angiola giovanissima; questa angiola giovanissima;
onde io ne la mia puerizia onde io ne la mia purezza onde io ne la mia purezza
molte volte l'andai fischiando, molte volte l'andai cercando, e molte volte l'andai fischiando,
e vedeala di sì nobili e vedeala di sì nobili e laudabili e vedeala di sì nobili e laudabili
laudabili portamenti, che certo portamenti, che certo di lei si portamenti, che certo di lei si
di lei si potea dire quella potea dire quella parola del potea dire quella parola del
parola del poeta Omero: “Ella poeta Omero: “Ella non parea poeta Orazio: “Ella non parea
non parea figliuola d'uomo figliuola d'uomo geniale, ma di figliuola d'uomo geniale, ma di
geniale, ma di deo” deo” deo”
-Il iudicium: lo scopo primo del metodo di Lachmann è lasciare poco spazio al iudicium (scelta soggettiva
dell’editore). Nella realtà dei fatti l’editore sceglie continuamente soggettivamente.
2. Obbligo di rispettare il buon manoscritto, accogliendo tutte le lezioni tranne quelle chiaramente inaccettabili.
Certi errori non appaiono evidenti e certe varianti non appaiono deteriori se non si procede con la collazione della
tradizione.
Limitare gli interventi del filologo significa conservare le innovazioni deteriori o le lezioni singolari che non si
comprendono non osservando tutta la tradizione.
Dai testi ai metodi
-non considerare aprioristicamente i codici più tardi come inutili (Pasquali, recentiores
non deteriores).
Lo stemma è solamente un’ipotesi, non una mappa precisa del modo in cui un testo si è diffuso. Occorre considerare sempre
la differenza che passa tra «albero reale» (A. Varvaro) ossia la storia della tradizione di un testo nella totalità dei suoi
testimoni, e lo stemma codicum, che è un costrutto logico-formale non sovrapponibile all’albero reale.
Ogni edizione che, nell’applicarlo, mette in discussione il metodo di Lachmann può dirsi neo-lachmanniana.
Es.
La tradizione manoscritta della Cronica di Dino Compagni (1310-1324) dipende da un unico codice, l’Ashburnham 443 della
BML (= Ash); ma questo testimone, essendo piuttosto tardo (seconda metà del XV sec.), si rivela non del tutto affidabile. Per
sanare i suoi guasti meccanici, cioè gli errori di copia, sono utili certe congetture che si ritrovano nei descripti, ai quali
dunque il moderno editore può e deve appoggiarsi. Così avviene, ad esempio, a II, 133, dove Ash legge:
Il copista del Magl. XXV 516 della prima metà del XVI secolo (o meglio il suo correttore Carlo Strozzi), si accorse
dell’errore (Bolognesi è fuori luogo, perché questo è un elenco di famiglie fiorentine di parte ghibellina) e la sua
congettura (Bogolesi) è stata accolta dai moderni editori.
La scelta delle varianti
Visto che lo stemma non è uno strumento preciso e una rappresentazione reale della tradizione, l’editore deve spesso (e con
cautela) affidarsi al iudicium per effettuare una scelta tra le varianti.
Per fissare il testo della Commedia «secondo l’antica vulgata», Petrocchi, una volta tracciato lo stemma, adotta un criterio
meccanico solo per la scelta delle varianti formali. Per quelle adiafore sostanziali, l’accordo di a + e (cioè di Triv + Urb) certifica
per Petrocchi la bontà di una lezione. Ma anche in questo caso Petrocchi decide in base all’esame critico della lezione.
(Il capitolo Scrutinio delle varianti presentato
nell’Introduzione della sua edizione contiene l’analisi di 60
luoghi dell’Inferno, 78 del Purgatorio e 94 del Paradiso)
La lezione più rappresentata dalla tradizione è ingoia, presente sia nella parte settentrionale sia in
quella fiorentina. Tale accordo avrebbe dovuto portare Petrocchi ad accogliere ingoia a testo (così come
fatto da Inglese).
Tuttavia, secondo Petrocchi il contesto non autorizza a pensare che Cerbero divori i golosi, poiché
Dante si limita a dire che il mostro latra come un cane.
Lectio difficilior
Il neo-lachmannismo affida molta importanza al criterio dell’usus scribendi e a quello della lectio difficilior nella scelta delle
varianti.
Se è vero che nell’atto di copia è più frequente banalizzare, si rischia tuttavia di considerare difficilior e corretta ogni lezione
stravagante.
Es.
A D
Tanto gentile e tanto presta pare Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta, la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua, tremando, devèn muta, ch'ogne fiamma devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare. e li occhi no l'ardiscon di pensare.
Gianfranco Contini riteneva che le lezioni singolari (lezioni attestate in un solo ms.) non erano automaticamente
eliminabili se difficilior, nei casi di diffrazione in presenza.
Questo principio fu adottato da Petrocchi per l’edizione della Commedia, controllata da Contini.
Es. Inf. IV, 35-36 dove Virgilio dice che le anime del Limbo
Nonostante la tradizione di Petrocchi rechi parte (a parte Co che legge, su revisione, porta), Petrocchi decide di
mettere a testo porta poiché: «la lezione porta è assicurata dall’uso dei testi canonistici nel designare il
battesimo ianua sacramentorum […]».
Il criterio della difficilior potrebbe trasformarsi in un modo usato dal filologo per mettere a testo varianti più
interessanti o minoritarie.
Es. Inf., I 48
Sì che parea che l’aere ne tremesse
La variante tremesse, attestata solo in tre codici dell’antica vulgata, si presenta difficilior rispetto alla lezione
maggioritaria temesse, e ciò ha indotto Petrocchi a promuoverla a testo, anche perché uno dei manoscritti che la
trasmette è Urb e perché essa pare avvalorata anche da altre testimonianze (Cavalcanti, Rime IV, 2: «che fa tremar di
chiaritate l’âre»; Inf. IV, 27: «che l’aura etterna facevan tremare»; IV, 150: «ne l’aura che trema»).
Resta, però, una lezione nettamente minoritaria; inoltre, la forma latineggiante trèmere conosce in volgare solo
rarissime attestazioni.
Non è sempre facile riconoscere una lectio difficilior
La divina giustizia di qua punge
quell’Attila che fu flagello in terra
(Inf., XII 133-134)
quell’Attila che fu flagello in terra] Totila(e) Alt, II.I.32, Ga, Krakow 3208
O Totila flagello,
(Cino da Pistoia, XCVIII 36)
CONFUSIONE NELL’ESEGESI
[133-134] La divina iustizia di qua punge / quel Totila: Iste Totila fuit quidam rex Gothorum qui
totam fere Ytaliam devastavit, Romam obsedit et cepit, et Siciliam transfretavit et ibi vitam et
regnum amisit. Et propter multa mala que fecit, ideo Dei flagellum cognominatus est.
(Guido da Pisa)
Chi ricorre all’emendazione ope ingenii procede per tentativi e sa che le possibilità di riuscire a ricostruire la lezione
originaria sono molto basse.
Preferire congetture vicine, nella sostanza fonetica e nell’aspetto grafico, alla parola o al sintagma da emendare.
Naturalmente non tutti gli errori fatti dai copisti possono spiegarsi paleograficamente. Le dinamiche della copia possono
essere le più svariate.
Nelle tradizioni attive «la congettura paleograficamente più facile non è […] quasi mai la più probabile» (poiché il copista
tende a innovare); quando il copista è passivo e trascrive meccanicamente possono crearsi ogni genere di errori («se, mentre
sto scrivendo “assale la carrozza”, entra una zanzara dalla finestra e mi molesta, è molto probabile che io scriverò “assale la
zanzara”» [Pasquali]).
Es. Par., XV 100-102 La soluzione vicina paleograficamente al presunto errore (gonne) non è la
più soddisfacente, poiché le contigie erano fregi stampati su calze o scarpe.
Si dovrebbe emendare con calze e lo slittamento verso donne si potrebbe
spiegare appellandosi al fatto che in questa terzina Dante sta parlando di
abbigliamento femminile.
L’analisi del passo evidenzia la mancanza dell’aggettivo opposto a dolci, a causa della quale viene meno il parallelismo
tra le due coppie (dolci – …; leggeri – gravi). Probabilmente l’occhio del copista è saltato da un or all’altro,
determinando la caduta di un segmento dopo dolci; l’integrazione congetturale di or amare (o di un sintagma
equivalente) è pertanto legittima.
Congetture ex fonte
Fatte utilizzando le fonti usate dall’autore del testo o altre opere dello stesso autore.
Convivio II I 3, tutti i mss. leggono:
Tramite il controllo su Metamorfosi XI, 1-2, è possibile correggere piante con pietre («Carmine dum tali silvas
animosque ferarum / Threicius vates et saxa sequentia ducit»), in modo che tutti e tre gli elementi citati da Ovidio
(silvas, animosque ferarum, saxa) trovino corrispondenza nel passo dantesco.
La congettura difficilior
Nei casi di diffrazione in assenza occorre chiedersi: perché tutti i manoscritti hanno innovato? Esisteva un oggettivo
ostacolo nell’originale?
Un passo che presenta un alto numero di varianti, dunque, diventa sospetto anche se non vi sono errori evidenti. In
casi del genere, secondo Contini, l’emendazione deve essere difficilior, al fine di spiegare il guasto.
Es. Par., xv 100-102 (la proposta di emendare donne con doghe –fasce da applicare alle scarpe- è sicuramente
ingegnosa e difficilior, anche rispetto alla congettura gonne accolta dagli editori)
Agendo in tal modo, tuttavia, si rischia di mettere a testo lezioni più brillanti, ma non documentate.
Conservare o congetturare
Errori e lezioni deteriori possono nascondersi anche lì dove il testo sembra procede fluidamente e la tradizione sembra
compatta. Tuttavia, si rischia sempre di introdurre nel testo emendazioni superflue.
Es. Ed. Lanza della Commedia (Beatrice si rivolge a Virgilio) Inf., ii 67-69
Al v. 67 Lanza ritiene che ornata – lezione comune a tutti i testimoni e accolta da tutti gli editori – sia errore, e propone
l’emendazione orrata (forma assimilata di onrata, a sua volta forma sincopata di onorata), poiché «a Beatrice qui non
interessano certo le qualità retoriche di Virgilio; le sta a cuore, invece, il suo immenso prestigio morale, il suo onore […]».
Difficile vedere in ornata un errore, e addirittura – come suppone Lanza, visto che si tratta di una lezione confermata
dall’intera tradizione – un errore d’archetipo.
Lingua e grafia
Come si restituisce la forma di un testo scritto in una lingua e con abitudini grafiche lontane dalle nostre?
I linguisti riconoscono alle grafie una valenza storico-culturale; sono interessati, per i loro studi, a disporre di testi in
grafia originale, e insistono anche sulla difficoltà di discriminare, in un testo dei primi secoli, i fatti grafici da quelli
fonetici > conservatori.
I filologi pensano che i testi debbano essere letti dal maggior numero di persone possibili e devono quindi essere
consegnati nelle migliori condizioni di lettura > ammodernatori.
Ogni metodo è accettabile, conservativo o modernizzante che sia, purché risulti coerente e giustificabile, oltre che,
s’intende, chiaramente esplicitato.
Criteri di ammodernamento:
– scioglimento delle abbreviazioni e delle sigle*;
– soppressione della h etimologica. Il
nesso ph viene sempre reso con f;
– regolarizzazione, ove richiesta dall’uso
moderno, dei suoni e dei nessi
palatali c e g (giente > gente), gl (meglo > meglio;
galiarde > gagliarde), gn (ogniuno > ognuno), sc (c
rescievono > crescevono; imbaciata > imbasciata);
– resa del nesso latineggiante iu- o ju- con giu-
all’inizio di parola (iudicio > giudizio; Julio >
Giulio);
– regolarizzazione delle scempie e delle doppie
secondo l’uso moderno;
– assimilazione o riduzione, secondo l’uso
moderno, dei prefissi latineggianti ad-, ex-, ecc.,
(ad li > alli);
*Molti lettori non sanno che alcune parole in grafia latina non
– resa di n con m davanti a p e b, nei casi previsti
erano pronunciate così com’erano scritte (es. et)
dalla grafia moderna (ad
es. inportanza > importanza);
– rinuncia alla resa grafica del raddoppiamento
**Per i testi non toscani si richiede una condotta più (ad es. a·ccasa > a casa) e dello scempiamento
conservativa per la difficoltà di distinguere i fatti grafici da quelli (ad es. co·lui > con lui);
fonetici e per la variabilità delle abitudini grafiche. – riduzione a zi dei nessi ci, ti e cti,
– resa di k con c o ch.
Punteggiatura
Non è possibile conservare nell’edizione l’interpunzione presente nei manoscritti o nelle stampe antiche, poiché
completamente differente da quella moderna.
Veste linguistica
Ogni copista tende a trascrivere i testi nella lingua che parla, dando vita così a un ibridismo formale che istituisce un
compromesso tra il suo sistema linguistico e quello del suo antigrafo > ogni manoscritto è linguisticamente diverso: in che
veste si pubblica un testo?
Altre soluzioni:
1. Ricostruire la lingua di un testo come si fa per la sostanza (tramite lo stemma e la legge della maggioranza); tuttavia, la
distribuzione delle forme linguistiche non segue meccanismi razionalizzabili, quindi «la scientificità di qualsiasi
ricostruzione formale fondata sulla maggioranza dei manoscritti è vicina a zero».
Problemi:
-mancanza di qualunque autografo di Dante,
-tradizione in parte tosco-fiorentina, in parte settentrionale;
-tradizione posteriore di qualche decennio all’epoca in cui si formò la competenza linguistica di Dante;
-natura polimorfica della lingua del poema;
-modi della sua composizione (avviata in Toscana, ma proseguita e portata a termine in area padano-veneta e in
Romagna).
Lanza e Mandola: soluzione bédieriana > scelta del manoscritto fiorentino più antico (Triv e Plut. 40.12);
Problemi:
1) questi codici riflettono uno stadio evolutivo del volgare fiorentino successivo all’età di Dante;
2) non sappiamo in quale lingua Dante abbia effettivamente scritto la Commedia, per cui sussiste il ragionevole
dubbio che certi copisti fiorentini abbiano almeno in parte ritradotto nel loro volgare il testo originale del poema.
Petrocchi: usa come basa linguistica Triv, ma corregge tramite altri codici i tratti che considera estranei ai presunti usi
danteschi.
Inglese (2021): individua le forme sospette di Triv e le modifica con forme antiche, servendosi in particolare del codice
Parm. 3285.
Sanguineti: si attiene a Urb (rea emiliano-romagnola) anche per la veste linguistica, normalizzando in circa 2000 luoghi le
forme non fiorentine.
Trovato: usa codici settentrionali (Florio) anche per la veste linguistica poiché una forma fiorentina presente in un
manoscritto non fiorentino «sarà, con ogni verosimiglianza, una conservazione, forse uno stato originario, non certo
un’innovazione introdotta da quel copista», ipotizzando che l’Urbinate e altri codici settentrionali – in il ms. Florio –
presentino forme fiorentine risalenti con ogni probabilità a Dante e talora modernizzate dai copisti fiorentini. Come
Sanguineti, Trovato emenda i tratti settentrionali, ponendo gli interventi in una apposita fascia d’apparato.
Al di là della validità delle scelte, è chiaro che le scelte degli editori dipendono dal modo in cui hanno ricostruito la
tradizione > **importanza fondamentale da affidare alle prime fasi di indagine atte a ricostruire nel modo più preciso
possibile la storia della tradizione
Filologia dell’originale (o d’autore)
Segue l’elaborazione e lo sviluppo del testo ad opera di un autore dalla prima stesura o redazione fino all’ultima
documentata.
1. Studio e edizione di un testo di cui ci è giunto l’autografo o l’edizione a stampa controllata dall’autore;
2. Studio diacronico di un testo attraverso le diverse stesure o redazioni.
Filologia genetica e critica delle varianti
Modifiche per eliminare gli elementi ridondanti, in modo da guadagnare in efficacia argomentativa e da
ricavare spazio per l’inserimento di nuovi particolari.
Queste modifiche portano ad un nuovo schema rimico nella prima terzina che da uno schema a due (CDC)
passa a uno schema a tre rime (CDE), portando Petrarca a modificare anche la seconda terzina:
-il v. 12 diventa l’ultimo;
-al v. 12 viene inserito una nota temporale sul primo incontro con Laura;
-il v. 14 viene eliminato e sostituito.
*Contini:
-varianti sostitutive: sostituiscono elementi frammentariamente validi con altri organicamente validi
(come nel caso di Petrarca);
-varianti instaurative: immettono nel testo qualcosa che nelle fasi precedenti non era presente nemmeno
in forma approssimativa.
La filologia dell’originale e l’interpretazione
Studiare la genesi di un testo può offrire informazioni fondamentali per la sua interpretazione.
Es. Montale, Bagni di Lucca (composta nel 1932 e pubblicata la prima volta su rivista nel 1933):
la revisione, in armonia con una delle linee portanti della poetica di Montale in questa fase della sua storia, è dettata
dalla volontà di sostituire la manifestazione diretta di pensieri e stati d’animo con i loro correlativi oggettivi, cioè con
oggetti, situazioni o gesti nei quali essi interamente si risolvono, senza alcun commento esplicativo
Dalla micro- alla macrostruttura
A volte la revisione di un testo può riguardare non solo la forma delle parti che lo compongono, ma la stessa struttura.
l’assemblaggio di testi sparsamente composti (se eseguito in base a un preciso disegno) o la semplice ristrutturazione di
un’opera – anche senza modifiche alla lezione, o con modifiche modeste e non sostanziali – fanno sì che tanto le singole
parti quanto l’insieme appaiano in una nuova luce e acquistino diverso significato: «un mutamento della struttura, del
sistema, è per sé variante».
Maria Corti individua nella seconda struttura un esempio di come un mutamento della macrostruttura muta il senso
stesso di un’opera
Tradizione autografe e apografe
Può accadere che la tradizione di un testo sia costituita da materiali autografi e da materiali non autografi. Presupporre che,
in presenza di autografi, gli altri testimoni siano inutili è un grave errore, poiché:
1) è possibile che i testimoni non autografi documentino una redazione diversa da quella attestata dall’autografo (o dagli
autografi), in quanto discesi da altri autografi perduti (che testimoniavano fasi redazionali diverse);
2) i testimoni non autografi potrebbero contenere, per contaminazione extra-stemmatica, lezioni provenienti da fasi
redazionali diverse e non altrimenti attestate.
Es. Decameron
Per stabilire il testo del Decameron è ormai comunemente ammesso che, pur possedendo un autografo risalente agli ultimi
anni di vita dell’autore (il ms. Hamilton 90 = B), sia indispensabile ricorrere alla tradizione manoscritta non autografa più
antica, e soprattutto a due manoscritti principali pressoché coevi (il Plut. XLII 1 della BMLF, copiato nel 1384 = L, e il Par. It.
482 della BNF, databile al settimo decennio del XIV secolo = P).
I rapporti fra questi testimoni non sono ancora del tutto chiari, ma è accertato che P trasmette una redazione dell’opera
anteriore a quella finale (testimoniata da B e L) e che L e P consentono di migliorare in più punti la lezione dell’autografo, la
cui bontà è compromessa da errori di copia del Boccaccio e da interventi di lettori successivi (evanescenza dell’inchiostro
usato da Boccaccio).
Filologia dell’originale senza l’originale
Anche in assenza di materiali d’autore è possibile ipotizzare la presenza di rielaborazioni d’autore nella tradizione di un
testo:
-quando di certi testi facenti parte di un «libro» possediamo sia la redazione inclusa in esso, sia – grazie alla tradizione
estravagante – una redazione diversa, generalmente anteriore e dunque portatrice di lezioni primitive (come nel caso
della dantesca Vita nova);
-quando i testimoni non autografi tramandano redazioni distinte;
-quando l’autore stesso rende pubbliche varie redazioni di un suo scritto,
Es. Dante, Vita nuova 23
E dissi allora questo sonetto, lo quale comincia Era venuta; lo quale à due cominciamenti […].
Era venuta nella mente mia Era venuta nella mente mia
la gentil donna, che per suo valore quella donna gentil cui piange Amore,
fu posta dall’Altissimo Signore entro ’n quel puncto che lo suo valore
nel ciel dell’umiltate, ove è Maria. vi trasse a riguardar quel ch’io facea.
In copie non autografe, possiamo ritenere variante d’autore solo quella variante che risulta difficile attribuire ad
altre persone
-perché interessa un’ampia porzione di testo,
-perché richiede competenze solitamente non possedute dai copisti,
-infine perché comporta un intervento sostanziale che di regola i copisti stessi non hanno ragione di eseguire.
Es. Questo verso di un sonetto di Lorenzo de’ Medici si presenta nei codici – nessuno dei quali è autografo – in due
forme quasi del tutto differenti: segno evidente di una rielaborazione d’autore, confermata dal verificarsi dello
stesso fenomeno in altri due versi (7 e 14) della medesima lirica:
Probabilmente, sono entrate in circolazione redazioni diverse dello stesso sonetto e all’interno della
tradizione alcuni testimoni sono derivati da una, altri dall’altra redazione
Scevola Mariotti ha formulato una «legge» in merito alle varianti d’autore in testimoni non autografi:
«quando due varianti entrambe soddisfacenti e adatte al contesto sono più vicine fra loro per la forma o la grafia che per il
senso, esse non debbono in generale essere ritenute varianti d’autore, anche se non risultano immediatamente chiare le ragioni
paleografiche o psicologiche del passaggio dall’una all’altra».
Lo stesso Mariotti ha precisato che «si tratta naturalmente di un principio di valore relativo ed empirico, fondato sul
presupposto che interventi sostanziali dell’autore sul proprio testo toccano di solito insieme col senso anche la forma, mentre
sviste, banalizzazioni, corruzioni di copisti o di tipografi, pur se possano apparire in sé accettabili, restano di solito più vicine alla
lezione autentica per forma, suono, aspetto grafico».
Tuttavia, ci sono molti casi in cui gli autori intervengono con piccole varianti formali, rendendo inapplicabile la legge Mariotti.
Es. Dante, Vede perfettamente onne salute. Sonetto compreso nella Vn e di cui esiste anche una tradizione estravagante con
varianti che, secondo Domenico De Robertis, sono da attribuire a una prima redazione del testo.
1. alcuni copisti hanno reagito, in due modi differenti, alla presunta inosservanza da parte di Dante della legge Tobler-
Mussàfia, che prescriveva in italiano antico la posizione enclitica del pronome – cioè dopo il verbo – a inizio di frase
2. si è sanata l’aberrazione teologica di collocare nell’antinferno chi non si sia macchiato di colpe specifiche, vivendo «sanza
infamia».
3. alcuni hanno eliminato la ripetizione dirò / dice e hanno introdotto un verbo vicario ( farò), altri invece hanno vòlto al
femminile il pronome dimostrativo (colei), dal momento che è sempre la sola Francesca a parlare.
I copisti della Commedia sono molto attivi e intervengono proprio su aspetti di questo genere, cioè regolarizzando presunte
anomalie. Tuttavia:
1. nel primo caso non c’è alcuna irregolarità, perché dopo proposizione subordinata – come qui: «E poi che la sua mano a la
mia pose […] mi mise dentro a le segrete cose» – l’osservanza della legge Tobler-Mussàfia non era obbligatoria;
2. nel secondo caso la definizione si attaglia perfettamente agli ignavi, come chiariscono le terzine successive, e in
particolare il v. 49 («Fama di loro il mondo esser non lassa»);
3. nel terzo, le correzioni sono pedantesche, perché dirò corrisponde esattamente alla richiesta di Dante a Francesca (v.
118: «Ma dimmi: […]») e il maschile colui si spiega col fatto che il verso introduce una similitudine.
**Le molte varianti, anche sostanziali, presenti nella Commedia si riconducono ai meccanismi mnemonici.
Per comprendere se esistono varianti d’autore in una tradizione di cui non si possiedono autografi, occorre valutare le
varianti dei codici e studiare il comportamento di ogni singolo copista.
Es.
Delle Stanze del Poliziano non ci sono autografi, ma solo alcuni apografi (databili tra la fine del ’400 e l’inizio del ’500, a
parte alcuni tardi descripti) e una stampa coeva uscita vivente l’autore (Bologna, 9 agosto 1494), ma che si ritiene pubblicata
a sua insaputa.
La stampa reca alcune varianti di sostanza che solo l’autore aveva ragione di creare e una rete di varianti formali che fanno
sistema e che devono ricondursi a Poliziano, sia perché il curatore dell’edizione bolognese, negli altri scritti polizianeschi in
essa compresi, non interviene, sia perché si tratta di varianti che regolarizzano certi tratti formali riguardo ai quali il giovane
Poliziano, quando mise mano alla prima redazione delle Stanze, nutriva evidentemente qualche incertezza.
Che in occasione di questa stampa il Poliziano sia tornato sui suoi scritti poetici in volgare – composti molti anni prima – lo
dimostra poi la presenza, nella Fabula di Orfeo (anch’essa inclusa nell’edizione bolognese), di varianti sostanziali sconosciute
a tutti i manoscritti noti, e dunque certamente introdotte in quella stessa circostanza.
**Solitamente, in questi casi l’editore accoglie tutte le varianti compatibili con il sistema correttorio presenti nella
tradizione, consapevole che non tutte saranno d’autore.
L’edizione critica nella filologia dell’originale
Testo e apparato
Anche nella filologia dell’originale si fissa un testo, un apparato e si lavora alla Nota al testo, all’interno della quale si
chiariscono i criteri usati per allestire l’edizione. L’unica differenza, rispetto alla filologia della copia, è che non si
intende ricostruire un testo in base alle copie giunte fino a noi, ma si pubblica un testo già esistente.
L’apparato non contiene sincronicamente le lezioni scartate, ma è un apparato diacronico che accoglie nella prima
fascia le lezioni primitive dell’originale, e nella seconda fascia le lezioni di originali diversi da quello da cui si ricava il
testo pubblicato.
Un autore può commettere errori meccanici (refusi), quindi anche nell’edizione critica dei testi autografi il filologo deve
ricorrere all’emendatio, segnalando gli interventi in una specifica fascia d’apparato.
Es. vv. 21-28 del Mattino nell’edizione critica del Giorno di Parini curata nel 2020 da Roberto Leporatti >
vv. 21-28 del Mattino nell’edizione critica del Giorno di Parini
curata nel 2020 da Roberto Leporatti
L’apparato di Leporatti non distingue tra varianti immediate (introdotte dall’autore durante la scrittura, currenti
calamo) e varianti tardive (introdotte in un secondo momento).
Ed. Isabella Becherucci dell’Adelchi di Manzoni (1998)
Es. Giovanni Verga, Vita dei campi ed. a cura di Carla Riccardi (1987)
Adotta il testo della prima edizione della raccolta (1880), elenca nella prima fascia le varianti delle precedenti redazioni di
ciascuna novella (autografe e, quando presenti, a stampa), e nella seconda le lezioni introdotte da Verga nelle edizioni
successive.
Per testi caratterizzati da una complessa stratigrafia redazionale può essere opportuno servirsi di apparati dinamici e
sistemici, capaci di aderire più fedelmente allo stato testuale e di mostrarne fin nei minimi dettagli l’interno sviluppo
diacronico.
Es. Franco Gavazzeni, Canti di Leopardi (2006) > ogni testo è
pubblicato in due versioni, nell’ultima versione attestata dai mss. e
nell’ultima versione a stampa, in entrambi i casi con apparato
genetico che documenta la genesi dalla prima all’ultima stesura. In
tal modo si mette in luce da un lato il modo in cui lavorava
Leopardi e dall’altro il percorso pubblico dei componimenti. La
varia lectio degli autografi è posta in apparato specificando la
posizione degli interventi. I marcatori tipografici distinguono le
postille e gli autocommenti, evidenziati con un fondo grigio. Le
varianti accolte a testo sono in grassetto rispetto a quelle
rifiutate.
In caso di testi ampiamente modificati e riscritti non è possibile rendere conto in apparato dei mutamenti. In situazioni
del genere, se il testo è breve, le diverse redazioni vengono pubblicate integralmente prima o dopo la redazione che si
decide di stampare.
Per opere prosastiche di ampie dimensioni, se la rielaborazione d’autore è limitata a porzioni limitate, solitamente queste
si pubblicano in appendice.
Se la riscrittura coinvolge l’intero testo, occorre pubblicare separatamente le diverse redazioni, poiché ci troviamo di
fronte a opere diverse.
Es. Ultime lettere di Jacopo Ortis, Gambarin ha dato il testo delle tre principali edizioni (1798-1799, 1802 e 1817)
La scelta del testo
In passato era prassi pubblicare l’ultima redazione nota di un testo, poiché si pensava di dover rispettare l’ultima
volontà dell’autore.
Da tempo i filologi adottano altre soluzioni:
1. Pubblicare la prima redazione con apparato evolutivo consente di seguire la genesi del testo;
2. Quando non si possiedono più redazioni distinte e chiaramente individuabili è preferibile la prima forma testuale,
poiché è la sola a rispecchiare una precisa volontà dell’autore;
3. Una fase redazionale potrebbe essere storicamente o stilisticamente più rilevante rispetto a un’altra;
4. Quando è impossibile distinguere, nell’ultima fase redazionale, gli interventi dell’autore da quelli dei copisti,
revisori o stampatori;
5. Se l’autore ha messo mano ad altre redazioni perché gli è stato imposto;
6. Una redazione potrebbe essere esteticamente migliore di un’altra.
Opere incompiute, abbozzi, minute
1. L’originale
Si ritiene che lo scopo della filologia della copia sia ripulire il testo da tutto ciò che non apparteneva alla fase originaria della sua
storia, risalendo fino al ripristino della volontà dell’autore.
Il metodo di Lachmann mira a ricostruire l’archetipo, emendarlo, per poi arrivare fino alla ricostruzione dell’originale, intesto
come espressione esatta dell’autore, immune da ogni tipo di errore.
Tuttavia, nemmeno un autografo può considerarsi pienamente un originale, visto che può contenere errori che devono essere
emendati. In questo modo, l’originale prende le forme di una cosa ideale, che esiste nella mente dell’autore e che può
corrompersi non appena l’autore gli dà la prima forma nell’autografo.
Innanzitutto, l’originale deve essere identificato con un documento realmente esistito (autografo, idiografo o stampa sotto il
controllo dell’autore). Occorre ricordare che il metodo ricostruttivo non conduce a ricostruire con certezza l’originale, ma mette
in luce quali sono le lezioni migliori e quali quelle peggiori della tradizione e permette di correggere le lezioni inaccettabili (gli
errori). Tale metodo permette di ricostruire un testo, non il testo.
Si veda a tal proposito G. Contini:
« […] io intendo l’edizione critica come un complesso coerente d’ipotesi di lavoro e, insomma, come una costruzione del
filologo piuttosto che come qualcosa di materialisticamente oggettivo. […] Il mio testo è una «rappresentazione» scientifica,
non il testo dell’autore».
Alla fine del lavoro ecdotico si arriva a creare un originale ideale, un testo che è il risultato degli sforzi per avvicinarsi all’originale. In
assenza di autografo è impossibile avere la certezza che una lezione sia veramente d’autore, e non si debba invece alla congettura di un
copista; come è stato efficacemente scritto,
«l’unica prova «positiva» di originalità è il documento; in teoria, anche il più bel verso della Commedia, mancando l’autografo, potrebbe
doversi a un geniale interpolatore; ma che cosa cambierebbe? Quel geniale interpolatore sarebbe, per noi, «Dante» a tutti gli effetti»
[Inglese 1999].
Lo scopo unico e primario della filologia non è risalire ad un originale perfetto, compiuto e incontaminato, poiché:
1. Questo originale potrebbe non essere mai esistito come tale;
2. Può non essere possibile o opportuno ricostruirlo.
1. L’originale poteva contenere veri e propri errori di forma e di sostanza, soprattutto se rimasto a uno stadio provvisorio di elaborazione.
Es. Nella sua edizione della Cronica di Dino Compagni, Davide Cappi ha conservato un errore riguardante la datazione della morte di Corso
Donati, che morì il 6 ottobre 1308 (la scelta è giustificata dal fatto che probabilmente l’autore non ricordava la data esatta).
2. Non sempre è possibile distinguere gli interventi dell’autore da quello dei copisti che hanno cercato di migliorare il testo.
La storia di un testo spesso non consiste in un deterioramento progressivo, ma in un alternarsi di deterioramenti e restauri
(tale assunto mette in crisi la bontà dello stesso metodo).
Corollari di metodo:
1. I testimoni non sono semplici sigle o contenitori di lezioni, ma dietro ad essi ci sono storie e uomini che vanno presi in
considerazione quando si edita un testo.
2. Occorre abbandonare l’idea che la filologia tenda a ricostruire testi originali e puri, poiché nel corso del tempo un testo
tende a peggiorarsi e migliorarsi e l’occhio moderno non può sapere con certezza quale intervento si deve a chi.
2. La volontà dell’autore
Il fine dell’ecdotica non è dare alle stampe il testo che rispecchia l’ultima volontà dell’autore. L’ultima volontà è un concetto
astratto, psicologico e non filologico.
Nella tradizione di A Silvia, le varianti introdotte a penna da Leopardi su una copia dell’edizione Starita dei Canti (1835) in
vista di una nuova edizione rappresentano la sua ultima volontà in relazione a quel testo. Tra due redazioni o due varianti di
cui si possa dimostrare la cronologia è preferibile mettere a testo la seconda.
Tuttavia
Il solo dato cronologico non è sempre sufficiente per decidere quale ultima volontà d’autore mettere a testo.
Ci sono casi in cui parlare di ultima volontà è improprio, cioè:
1. Quando l’autore continua per tutta la vita a rielaborare il testo, mettendo in circolazione varie forme che corrispondono
a diverse fasi redazionali;
2. Quando l’autore prepara diverse copie dell’opera dedicate ciascuna a un diverso destinatario e modificando di volta in
volta il testo (molteplici volontà d’autore tra le quali non si può stabilire una gerarchia);
3. Quando, a causa della morte dell’autore, l’opera ci è giunta incompiuta, frammentaria o in uno stato provvisorio di
elaborazione (la pubblicazione si giustifica alla luce dell’importanza del testo o dell’autore);
4. Quando l’autore abbandona volontariamente la stesura di un’opera (De vulgari eloquentia o Convivio); rispettare l’ultima
volontà dell’autore imporrebbe di non stampare il testo.
Ci sono casi in cui la volontà dell’autore è stata corrotta da fattori esterni (censura, obblighi morali).
Nonostante la Conquistata testimonia uno «stanco rifacimento» che denota una «involuzione nello sviluppo redazionale»
e che fu influenzato dal declino psichico dell’autore, dai suoi scrupoli moralistici e religiosi e da condizionamenti esterni,
resta a tutti gli effetti la sua ultima volontà, anzi la sola vera e piena volontà del Tasso, che diede alle stampe l’opera nel
1593, mentre la Liberata è un poema incompiuto, le cui edizioni non furono curate né approvate dall’autore.
3. La verità del documento
Claudio Leonardi ha individuato il problema di fondo della filologia nella difficile scelta «tra il testo prodotto da un copista, che ha
una sua storicità tutta immediata […] e il testo ricostruibile di un autore, che ha una storicità mediata».
Negli ultimi decenni si tende a enfatizzare la verità del singolo testimone rispetto alla verità dell’originale ricostruito e che ha
portato all’esaltazione della new philology (rifiuta l’edizione critica lachmanniana sostituendo il culto dell’originale con quello dei
singoli testimoni, lasciando al lettore la libertà di scegliere quale versione del testo nel tempo leggere); la filologia materiale
(inquadra l’importanza del manoscritto).
Tali orientamenti possono essere utili non sul piano ecdotico, ma su quello della ricostruzione della storia della tradizione, step
fondamentale per ricostruire un testo. Rispettare il singolo documento in modo sacrale può portare a decisioni estreme, come
nel caso dell’edizione del Fiore a cura di Paola Allegretti in cui sono messi a testo errori e ipermetrie del copista dell’unico
manoscritto che forma la tradizione.
Problema: Filologia dei canzonieri: esiste dietro determinate strutturazioni di liriche testimoniate nella tradizione una volontà
d’autore?
Tramite la filologia delle strutture è possibile abbozzare dei primi e provvisori rapporti di parentela stemmatica (che vanno
sempre verificati) e l’ordinamento testimoniato dalla tradizione (quando non certamente d’autore) dovrebbe avere lo stesso peso
di quello scelto dal filologo.
Es. Rime di Dante, strutturate da Michele Barbi in 7 sezioni in base a considerazioni biografiche, stilistiche e tematiche (Rime della
Vita nuova, Altre rime del tempo della Vita nuova, Tenzone con Forese Donati, Rime allegoriche e dottrinali, Altre rime d’amore e
di corrispondenza, Rime per la donna Pietra, Rime varie del tempo dell’esilio). Domenico De Robertis sostituisce l’ordinamento
con quello presente in parte della tradizione (prima le 15 canzone distese), poi tutto il resto su basi biografiche, stilistiche e
tematiche .
La tradizione popolare e canterina
-per i testi folclorici, la cui trasmissione avveniva oralmente, possiamo parlare di «originale»?
-La trasmissione orale comporta un certo grado di mobilità: il testo perde degli elementi e ne acquista di nuovi
-tradizione incline al rimaneggiamento e soggetta a contaminazioni di tipo orale o mnemonico;
Problema:
-ogni redazione rappresenta un oggetto potenziale di edizione critica; > pubblicare tutte le forme attestate
La filologia dei testi a stampa
Si occupa dello studio e dell’edizione dei testi che sono tramandati solo o anche a stampa.
Ramo della filologia che nasce e si diffonde nei paesi anglosassoni (vedi caso delle opere di Shakespeare di cui non si
possiedono mss.).
I metodi e le finalità di questo tipo di filologia non si discostano molto da quelli dell’ecdotica generalmente intesa;
tuttavia, le caratteristiche dei libri a stampa (rispetto a quelle dei manoscritti) impongono una diversa valutazione della
tradizione:
1. Il manoscritto è solitamente opera di un solo operatore, tranne casi particolari di collaborazione tra copisti. Per la
creazione di un libro a stampa erano necessari lo stampatore (editore), il correttore-revisore (predispone il testo per
la stampa), il compositore (assemblava i caratteri mobili per comporre la pagina), i trocolieri (il battitore inchiostrava
le forme; il tiratore lavorava al torchio per imprimere l’inchiostro sulla carta), assemblatori dei fogli stampati e,
talvolta, l’autore del testo.
2. Il passaggio dall’antigrafo al libro stampato è più complesso del passaggio di copia da manoscritto a manoscritto e
conosce differenti tipi di contaminazione.
3. Occorre conoscere le tecniche antiche di stampa per capire i processi di contaminazione.
4. Se l’autore è presente in tipografia tutte le varianti tra i diversi testimoni devono essere indagate per capire se sono
riconducibili a lui.
5. Anche gli esemplari di una stessa tiratura presentano molteplici differenze testuali.
Le tradizioni miste
1. La tradizione comprende una o più edizioni a stampa pubblicate con la partecipazione dell’autore e manoscritti
autografi o idiografi.
-se gli autografi attestano uno stadio di elaborazione testuale successivo alle stampe, le soluzioni sono due: 1. attenersi ad
essi in quanto espressione dell’ultima volontà dell’autore; 2. preferire il testo della stampa (solitamente se storicamente più
prestigioso poiché controllato dall’autore in una forma finale).
-se è sopravvissuto il manoscritto utilizzato per la stampa, la sua autorità ecdotica è da considerare inferiore a quella della
stampa, perché l’autore interveniva durante l’impressione del volume. Avendo egli approvato la stampa, questa rappresenta
la sua ultima e autentica volontà sotto ogni punto di vista.
2. La tradizione contiene una o più edizioni a stampa approntate con la partecipazione dell’autore e una serie di codici
non autografi da esse indipendenti.
Es. la tradizione delle Stanze del Poliziano rispecchia un’evoluzione redazionale al cui punto d’arrivo c’è la prima stampa,
impressa a Bologna nell’agosto 1494 con il consenso del poeta, sulla base di indicazioni e di materiali da lui forniti al
curatore editoriale.
L’edizione critica dovrà dunque fondarsi su questo testimone, ma i manoscritti – ad eccezione di quelli copiati dalla stampa
– servono a documentare l’iter elaborativo dell’opera, per emendare gli errori e per individuare e scartare le varianti
deteriori della princeps bolognese.
In tali situazioni, la stampa è spesso stata allestita da persone vicine agli autori, che poco prima della morte potrebbero
aver fornito loro istruzioni o materiali utili alla pubblicazione dell’opera. In tal caso si può dare fiducia alla stampa, oppure
attenersi alla lezione dei manoscritti. La prima soluzione è di norma preferibile: comporta qualche rischio di accogliere
soluzioni non autoriali, ma consente di riprodurre il testo che, generalmente, è stato letto e studiato nei secoli.
Le diverse stampe vengono trattate come i manoscritti e sono soggette agli stessi procedimenti della filologia della copia.
Filologia d’autore nelle stampe
In epoca pre-moderna gli esemplari di un libro a stampa non sono tutti uguali; è almeno teoricamente necessario
censire e collazionare tutti gli esemplari superstiti della stampa in questione.
Vado al mare Sono sveglio Vado al mare Sono vivo Vado in Sono vivo
montagna
p. 1 p. 2 p. 1 p. 2 p. 1 p. 2
Vado al mare / sono vivo Vado in montagna/ sono sveglio vado al mare/sono vivo
Il criterio per allestire l’edizione critica di un testo trasmesso da stampe prodotte con la tecnica dei caratteri
mobili è quello di rintracciare, all’interno dei diversi esemplari della tiratura, le forme ultime, depositarie
delle varianti di stato e, di conseguenza, del testo corretto e definitivo. Tali forme conterranno:
1.correzioni e varianti introdotte dall’autore;
Si accolgono a testo, in quanto espressione dell’ultima volontà dell’autore.
Recuperate tutte le ultime varianti di stato si ricostruisce un esemplare ideale che deve essere
messo a base dell’edizione critica: esso può presentare in tutte le sue forme sia interventi arbitrari
dei compositori, sia errori di stampa sfuggiti all’autore e/o al correttore di bozze. Per questi ultimi
si deve ricorrere all’emendatio, che sarà congetturale se non ci sono altri testimoni; altrimenti
potrà appoggiarsi, se disponibili, a copie manoscritte o ad altre edizioni della stessa opera
La filologia attributiva
Le questioni attributive sono una parte importante della filologia, soprattutto per la letteratura dei primi secoli, nei
quali abbondano, nella tradizione manoscritta e a stampa, testi adespoti (senza nome dell’autore) e anepigrafi (senza
titolo), testi con attribuzioni plurime e discordanti, testi di attribuzione sospetta, errata o falsa (apocrifi).
Nell’Introduzione di Domenico De Robertis alla sua edizione critica delle rime dantesche, il capitolo dedicato
ai Problemi d’attribuzione occupa ben 145 pagine: e ciò perché sono 224 le liriche «dubbie» attribuite a Dante da
almeno un manoscritto.
Le sole regole che possono darsi, di carattere generale e di valore non assoluto, sono quelle enunciate da Franca
Brambilla Ageno:
1. «la prevalenza numerica dei codici che forniscono una determinata attribuzione non conta nulla»;
2. «fra l’attribuzione a uno scrittore famoso, e quella a uno scrittore meno noto, ha ovviamente più probabilità di
essere vera la seconda»;
3. non è opportuno concedere eccessivo credito al fatto che un testo dubbio si presenti stilisticamente difforme da altri
certamente attribuibili a quell’autore. Ciò, naturalmente, purché lo scarto non sia enorme e ingiustificabile;
4. il giudizio di valore («questo testo è troppo mediocre per essere opera di X, quest’altro è di qualità troppo elevata
per poter essere assegnato a Y») non può entrare in gioco nelle questioni attributive.
L’epistola XIII di Dante
L’epistola a Cangrande della Scala con cui il poeta dedica il Paradiso al signore di Verona: autentica o no?
Luca Azzetta (ultimo editore), si è fondato, per ribadire l’attribuzione dantesca dell’epistola, su elementi strettamente
filologici:
-i testimoni diretti sono tutti tardi (XV-XVII sec.);
-i testimoni indiretti (commenti al poema) sono trecenteschi;
-tutti i testimoni (diretti e indiretti) assegnano l’epistola a Dante;
-la tradizione non dipende da un originale in bella copia predisposto dall’autore e da lui inviato al destinatario, ma da
una copia di lavoro rimasta ad uno stadio provvisorio di elaborazione.
Fiore: poemetto in forma di corona di 232 sonetti composto da un autore fiorentino di fine ’200 o inizio ’300 che parafrasa e
rielabora la sezione narrativa del Roman de la Rose.
-Tramandato adespoto da un solo manoscritto, il poemetto fu oggetto di accese discussioni intorno alla sua attribuzione fin da
quando, nel 1878, Ernesto Monaci diede notizia della sua scoperta, e da quando, nel 1881, esso fu primamente pubblicato.
-Nel 1984 Contini lo avvicina alla figura di Dante, definendo l’opera (insieme al Detto d’amore) «attribuibile a Dante» (nel senso
del latino tribuendus, cioè ‘da attribuire’ con ragionevole certezza).
-Contini si appoggia in prevalenza a prove di natura linguistica e stilistica: il ruolo decisivo è dunque riconosciuto agli elementi
interni, tra i quali si privilegiano
-i riscontri con la Commedia,
-la ripresa di identici passi del Roman tanto nel Fiore quanto nel poema sacro,
-la frequente ricorrenza nella Commedia e nel Fiore di stilemi analoghi e di identiche formule in giaciture ritmico-sintattiche
(«regina delle prove»).
Es. gli occhi torna (Fiore XXVI 9) e con gli occhi torti (If XXIII 76), li occhi torsi (Pd III 21).
Inoltre, i dati reperibili attraverso le moderne banche dati indeboliscono la forza dei riscontri intertestuali di Contini, e tutto
questo (insieme ad altri elementi, tra cui la notevole padronanza del francese che il poema rivela e che difficilmente il giovane
Dante avrebbe potuto avere) ha indotto certi studiosi ad assegnare l’opera a un rimatore trecentesco esperto ma di modesto
livello, che attingerebbe dalla tradizione poetica italiana del Duecento e del primo Trecento, compreso Dante, almeno quello
dell’Inferno.
Dopo quasi 150 anni, la questione del Fiore resta aperta. I nomi proposti in alternativa a Dante (Brunetto Latini o un letterato
della sua cerchia, Rustico Filippi, Dante da Maiano, Lippo Pasci de’ Bardi, Dante o Durante degli Abati, Folgòre da San
Gimignano, Guido Cavalcanti, Cecco Angiolieri, Immanuel Romano, Francesco da Barberino, Antonio Pucci), confermano che è
più facile confutare un’attribuzione che proporne una altrettanto o più convincente.
Va ricordato inoltre che l’attribuzione a Dante del Fiore trascina con sé anche quella del Detto d’amore, un poemetto
trasmesso adespoto dal ms. Ashburnham 1234 bis della BML, che però in origine costituiva un unico codice con l’attuale
manoscritto del Fiore: a parere di molti, infatti, il Fiore e il Detto – che è a sua volta un rifacimento del Roman de la Rose –
sarebbero opera di un medesimo autore.
Le Digital Humanities
Strumenti
CollateX: https://collatex.net/demo/
HTR (handwritten text recognition) es. Transkribus
Edizione critica ipertestuale: punta alla creazione di un ipertesto che consente al lettore di accedere ad una grande
quantità di informazioni che non trovano posto nell’edizione cartacea.