Sei sulla pagina 1di 68

02/10/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

Prof.ssa Melosi

Aula Shakespeare

Pagina docente, didattica, programma materia.

Prove di valutazione: una intermedia scritta, e prova finale orale; le ultime quattro ore del corso saranno
riservate a questo.

Oggetto della prova intermedia è solo esclusivamente ciò che è stato detto a lezione (prima parte).

Oggetto della prova finale è il profilo di letteratura italiana e la seconda parte del corso.

Studenti frequentanti – solo loro possono affrontare la prova intermedia: limite di programmazione,
quando si è presenti almeno al 75% delle lezioni. Presentare il proprio cognome, nome e classe di
frequenza (L-10) entro due settimane dalla prima lezione.

Tematica corso di quest’anno: da Dante a Leopardi, lavoro di ricognizione della lunga durata della
tradizione letteraria, faremo un’antologia di brani. I brani sono tutti nel profilo docente (bibliografia del
corso): è bene disporre dei testi e non delle fotocopie - no >15% - oppure si utilizzano i materiali didattici
nella sezione del docente. Lì sono a disposizione i testi letti in aula. Delle edizioni segnalate bisogna leggere
l’introduzione e studiarla per conto proprio, poi la lettura del libro sarà effettuata in classe. “La piccola
storia della letteratura italiana”, dalle origini all’Unità d’Italia, Manzoni e Scapigliatura comprese, è il
manuale di letteratura, facoltativo se si ha già un proprio libro di letteratura delle superiori.

Questo è un corso di ingresso, ci si muove tra il pregresso e lo studio specialistico dei testi letterari.

È gradita la partecipazione attiva dello studente, gli interventi e le considerazioni proprie.

Per rendersi meglio conto di cosa si sta leggendo è bene fare una lettura ad alta voce, anche in compagnai,
per capire cosa passa tra la lingua quotidiana e quella letteraria.

Per i non frequentanti c’è un meccanismo compensativo, la lettura di un libro aggiuntivo, “Per studiare la
letteratura italiana, strumenti e metodi”.

La prima settimana di lezione è dedicata alla “Vita Nova”: bisogna procurarsi il testo, ma da stasera è già
nella pagina docente e si può scaricare lì. È opportuno venire a lezione con il testo. Le slide possono essere
stampate e ci si possono annotare le cose.

DANTE.

Testo di approfondimento: “Vita Nova”.

Stefano Carrai, Prof. della Scuola Normale di Pisa, esordisce dicendo che Dante sarebbe comunque rimasto
nella storia della letteratura italiana attraverso questo libro, anche senza le altre opere. È un libro poetico,
che Dante scrive intorno ai trent’anni; non è esattamente un’operetta giovanile, ma presenta anche dei
versi scritti in precedenza. Possiamo dare come data presunta di composizione il periodo dal 1293 al 1295;
Dante era nato nel 1265. Giunto ai trent’anni, Dante realizza una riflessione retrospettiva, guarda il suo
passato letterario ed esistenziale, e mette insieme questo libro selezionando una serie di testi che lui dice di
aver già scritto in precedenza.
 Vicenda amorosa – centrale in tutta la vita dantesca, l’amore per Beatrice; nella “Vita Nova” più che
nella commedia, Beatrice è la protagonista assoluta. Il suo amore per Beatrice è la vicenda, la storia
raccontata.
 Messa a fuoco dello sviluppo stilistico del proprio percorso poetico.

Lui parla di sé come innamorato e poeta, parla anche delle tappe del suo percorso poetico. Non si dà l’uno
senza l’altro. È essenziale la riflessione di Dante sul rapporto con la poesia, la riflessione poetica.

“VITA NOVA”.

A che genere letterario appartiene? Ha valenza per la cronologia letteraria, non tanto per la
contemporaneità. Fino a metà 800 la scrittura in prosa era narrativa e i testi erano fatti in un certo modo, si
è rispettato fino a larga parte dell’800 una codificazione dei generi letterari che viene da lontano. La prima
domanda è sempre capire di che natura è, se è scritto in versi o in prosa.

Prima novità/originalità! La “Vita Nova” è un PROSIMETRO, un’opera in versi che sono alternati a brani di
prosa; ci sono quindi poesie, in prevalenza sonetti e canzoni, alternate a brani in prosa. Dante si è inventato
questo genere ex novo o aveva modelli? La “Vita Nova” è il primo prosimetro scritto in un volgare italiano, il
volgare toscano fiorentino, e il modello che lui probabilmente tiene presente era la “De Consolatione
Philosophiae” di Severino Boezio, prosimetro scritto in latino e non in volgare.

I testi poetici che sono raccolti nella “Vita Nova” sono 31, 25 sonetti 5 canzoni e 1 ballata. Questo è il nucleo
poetico dell’opera. A che servono allora le parti in prosa? La “Vita Nova” è un’ANTOLOGIA D’AUTORE, una
scelta di Dante di raccogliere nel libro alcuni versi scritti in precedenza, acquisendo un suo senso narrativo;
ma non è una cosa da prendere alla lettera. È probabile che Dante abbia scritto anche testi poetici nuovi
(novità del memento), da inserire nell’opera al fine di integrare il suo percorso narrativo o di esemplificare
meglio sviluppi della poetica.

Nel corso con la prof.ssa Matellini studieremo i generi poetici e letterari.

Nell’opera si individuano fasi poetiche ben evidenti; Dante crea un’antologia d’autore a cui integra delle
aggiunte. Ogni capitolo è costituito di: una prima parte in prosa, il testo poetico e una seconda parte in
prosa. Ci sono in totale 31 capitoli, corrispondenti al numero di poesie.

Gli inserti in prosa svolgono diverse funzioni - RAGIONI:

 Spiegano le circostanze autobiografiche che hanno portato alla composizione dei singoli testi (in
particolare nella prima prosa).
 Integrano con il racconto episodi svoltisi nell’intervallo tra un testo poetico e l’altro, quindi si
occupano di raccordare due momenti poetici integrando ulteriori informazioni alla narrazione.
 Svelano i valori profondi delle poesie e le intenzioni dell’autore nel comporli, fornendo un vero e
proprio autocommento. Gli inserti sono quindi in prima persona: Dante non chiede al lettore di
commentare i testi poetici, ma suggerisce lui stesso come vanno intese le poesie; lui fa un’analisi
del testo, e in questo modo suggerisce come interpretarli -> autocommento al testo.
 Scomposizione testo poetico - spiegazione interpretativa Dante.

- DIVISIONI: scomposizioni del testo poetico.

Prosa e poesia costituiscono quindi il racconto di una storia. Dante si auto commenta (funzione didattica dei
testi, dà un suggerimento di lettura -> elaborazione di esegesi della poesia – lettura + spiegazione testo;
l’auto esegesi è la spiegazione propria del proprio scritto, ed è ciò che fa Dante).
APPROFONDIMENTO CRITICO G. FOLENA.

G. Folena, professore di Letteratura Italiana presso l’Università di Padova, scrive nel suo saggio critico
“Scrittori e scritture. Le occasioni della critica”, che la “Vita Nova” di Dante è “un testo unico costituito da
tre testi: le poesie originali, le loro occasioni narrative, o provenzalmente ragioni, e le loro divisioni” (=
divisioni delle poesie, sonetti e ballate). È necessario spiegare cosa si intende dire con “ragioni”. All’epoca
circolavano i canzonieri, manoscritti dei trovatori provenzali, la cui struttura era di per sé piuttosto simile:
costituita dalla presentazione della vita dell’autore + “razos”, un termine provenzale per indicare la
spiegazione della composizione dei testi. Si ipotizza che Dante abbia usato questi manoscritti a modello
della costruzione della “Vita Nova” <- operazione analoga.

 “razos”: le spiegazioni dei significati del testo e delle circostanze che ne avrebbero ispirato la
composizione.

Autocommento e manipolazione.

 Autocommento: è il commento proprio, l’auto esegesi – l’autore fornisce una chiave interpretativa
del testo. Presenta una parte più didattica e tradizionale (= divisione del testo in parti per renderne
chiara l’articolazione interna), ma offre anche complesse discussioni sulle scelte poetiche compiute
(un autocommento non di tipo formale ma contenutistico).
 Manipolazione: tendenza già a livello dei testi poetici, selezionati e in parte composti per
l’occasione, e nelle prose, con qualche forzatura rispetto a quanto detto in poesia - Dante scrive
spesso versi nuovi, non si limita a raccogliere i precedenti; inoltre a volte nelle prose ci sono delle
forzature rispetto a ciò che viene detto nelle poesie.

“Canzoniere”, etimologia.

Con “canzoniere” si intende “raccolta di testi poetici”. In essi sono contenuti le “vidas” e le “razos”.

“Vidas”.

Significa “vita” in provenzale. Con questo termine si intendono i brevi cenni biografici nei testi provenzali,
testi in prosa che accompagnavano le poesie dei trovatori provenzali raccolte nei canzonieri. Potrebbero
essere state un modello per Dante? Non tutti sono concordi. G. Gorni è totalmente in dissenso rispetto a
questa posizione.

APROFONDIMENTO CRITICO G. GORNI.

La “Vita Nova” non ha niente a che vedere con “vidas”, proprio perché Dante in quest’opera non parla di
sé, non si dice nulla sulla sua biografia, di conseguenza l’associazione non sta in piedi.

Gorni: “Patria, famiglia, studi, professione, circostanze della morte di Beatrice sono taciuti, e anche
dell’autore non si danno notizie di rilievo storico.”. Le vidas non sono quindi un moodello.

“RAZOS”.
Significa “ragioni” in provenzale. Si tratta di rapide spiegazioni dei significati del testo e delle circostanze
che ne avrebbero ispirato la composizione. Sull’associazione tra “razos” e le ragioni intese come spiegazioni
dei testi poetici danteschi il Gorni è più concorde.

“Il racconto delle occasioni in cui sono nati i vari testi poetici è la caratteristica che avvicina il libello alle
razos provenzali.”.

03/10/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

IL 23 E 24 OTTOBRE NON C’È LEZIONE DI ITALIANO. C’È UN CONVEGNO A RECANATI, NEL NUOVO SPAZIO
DI STUDI ITALIANI, A CUI SIAMO INVITATI.

IL 18 OTTOBRE È LA GIORNATA DELL’UNIFESTIVAL, CHE SI SVOLGE ALLA BIBLIOTECA DEL CASB PER UN
INCONTRO SU LEOPARDI.

Sito da imparare ad usare: “www.bibliotecaitaliana”, contiene larga parte del patrimonio letterario italiano,
è una biblioteca digitale. Molto spesso i testi caricati nel web non sono criticamente sorvegliati, mentre
questo sito è stato realizzato da studiosi, propone quindi solo testi che abbiano un’attendibilità scientifica,
nel periodo che va dal Medioevo al Novecento. Sono circa 3500 testi.

Edizione 1996, a cura di G. Gorni, “Vita Nuova”, lo divide in 31 capitoli, organizzazione secondo lui più
attendibile. Prima di Gorni ci fu M. Barbi, filologo del 900, che aveva suddiviso la sua edizione in 42 capitoli,
non 31 (“stemma codicum” - edizione come albero genealogico dell’essere umano: il risultato a valle siamo
noi, dai rami della famiglia che si sono intersecati precedentemente; filologia della copia: lavoro del
filologo). Barbi suddivide in 42 capitoli perché ha tenuto presente un ramo della “Vita Nova”. Il testo qui è
un’altra edizione della “Vita Nova”, ci sono differenze tra i critici. Carrai ha scelto di attenersi a un
manoscritto unico, il migliore, il manoscritto fiorentino, scritto verso la metà del 300, forse il più antico, il
“Chigiano L8305”, il più fededegno, quello che ha meglio e più trasmesso la mentalità di Dante. Di
conseguenza ci sono lievi differenze tra le varie edizioni: Barbi e Gorni sono andati a vedere l’albero
genealogico della “Vita Nova”, mentre Carrai si è affidato a un manoscritto unico.

SCANSIONE DEL TESTO – EDIZIONE GORNI RIPRISTINA L’ORIGINARIA DIVISIONE IN 31 PARAGRAFI.

L’edizione Gorni ripristina l’originaria divisione in 31 capitoli, rispetto alla edizione di M. Barbi in 42
paragrafi. Studiando ci si rende conto che Dante era molto attento ai numeri (numerologia Medioevale vera
e propria scienza, attenzione essenziale e radicata). Il testo può essere diviso in due parti: la parte in cui
Beatrice è ancora viva (18 paragrafi), e la parte successiva alla sua morte (13 paragrafi). Un po’ come la
morte di Laura di Petrarca, che muore di peste nel 1348. Stessa cosa vale per la “Vita Nova”, in anticipo sul
“Canzoniere” di Petrarca, che prende avvio nel 20; Petrarca nasce nel 1304. Petrarca conobbe la Vita Nova
di Dante, ma non l’ha copiata: c’è un criterio di impostazione acuto delle opere letterarie. La prima parte si
compone di 18 paragrafi, la seconda di 13. Il rapporto non è proprio simmetrico.

 I parte: paragrafi 1-9: rime più antiche, composte negli anni 80, dove Dante vive l’innamoramento
di Beatrice. Lo stile delle poesie dichiara l’antichità delle prime rime, presentano influenze cortesi
(poesia corti provenzali -> 200, Corte Federico II in Sicilia) e guittoniane. Alcuni elementi dichiarano
chiaramente le influenze cortesi, che appartengono al primo momento della poesia di Dante.
 I parte: paragrafi 10-18: ribaltamento situazione poetica, Beatrice è ancora viva, cambia lo stile di
Dante, che diventa STILE DELLA LODE (ribaltamento stilistico, scoperta). Beatrice muore.
 II parte: paragrafi 19-27: vicende successive alla morte di Beatrice.
 II parte: paragrafi dal 28-31: dal 28-30 Beatrice beata, assunta in cielo, il 31 è l’annuncio della
mirabile visione, Beatrice beata è cantata in un’altra opera (ce lo dice verso il 1295), la “Divina
Commedia”.

C’è quindi un primo progetto, alla fine della “Vita Nova”, per una futura opera. Ragionando più in dettaglio
nei numeri (passione numerologica), il numero 9 equivale al miracolo; Dante chiama Beatrice “uno 9”,
quindi 9 è la cifra di Beatrice -> “Beatrice è un miracolo”, tanto che Dante dice di aver incontrato Beatrice
per la prima volta a 9 anni, e di averla rincontrata 9 anni dopo. 9 è 3x3, rimanda alla Trinità, Dio è uno e
trino. 9 si ripete tre volte nella scansione in paragrafi, poi in 3 alla fine (l’ultimo capitolo è isolato, è il
capitolo della mirabile visione, l’assunzione di Beatrice in cielo) -> 9+9+9+3+1. La numerologia è un modo di
metaforizzare il testo stesso, così è chiaro lo snodo tra vita e morte di Beatrice; Beatrice è il miracolo
perché Dante parla di lei in termini miracolosi, è la “donna salute”, dove “salute” è intesa come “salvezza
dell’anima”; Beatrice è la donna che conduce alla salvezza dell’anima. Anche su questo si basa la scelta di
Gorni di suddividere l’opera in 31 paragrafi anziché 42; il codice “Chigiano” tenuto presente da Carrai ha lo
stesso una suddivisione in 31 capitoli. La linea più recente di questa versione tiene presente questa
suddivisione nel meccanismo interno.

Ci si pone anche un problema di interpretazione letterale, legato al codice comunicativo dell’epoca in cui
l’opera è stata scritta. Beatrice è “donna angelo”, donna bella e aggraziata, ma anche donna che eleva
l’uomo al cielo, consente l’elevazione spirituale del poeta (codice interpretativo medievale).

RILEGGERE 200 E 300 SUL MANUALE.

MINI GLOSSARIO.

 “salute” = salvezza
 9 = miracolo
 “tradizione” = da “thradere”, “trasmettere”, trasmissione, modo in cui un testo antico è arrivato
attraverso i secoli fino a noi.
 “asemplare” = “trascrivere”, come se Dante fosse un copista che scrive dalla sua memoria nel
libello che sta componendo.

Molte opere hanno fatto “un dolce naufragio” nella storia (Leopardi, dal “Parini”); solo poche sono state
riconosciute per importanza, copiate fino al 500 e poi stampate più tardi. Molte hanno incontrato svariate
traversie: solo il fatto stesso che i trascrittori non avessero la stessa cultura e lo stesso carattere è un
elemento importante. Con “tradizione” si intende tutta la modalità con la quale il testo è stato trasmesso e
tramandato fino noi, è una ricerca molto accurata. Al lettore interessa un’edizione più vicina possibile
all’ultima volontà dell’autore.

TITOLO.

“Vita Nova” e “Vita Nuova”, è un’oscillazione, una situazione che dipende dalla tradizione del testo. Il primo
è un titolo latino, il secondo è il titolo del Gorni, italianizzato. Le opere antiche non hanno mai un titolo,
Dante non ha mai intitolato il testo. La titolatura dei testi è qualcosa di moderno. Noi titoliamo i sonetti con
l’incipit, il primo verso del sonetto stesso. “Incipit VITA NOVA” è un titolo latino che si applica a un’opera in
volgare, come nel caso di Comedìa.

Perché è una vita nuova?

1. La giovinezza con le sue esperienze amorose e poetiche.


2. Una vita rinnovata alla presenza miracolosa di Beatrice e dell’amore.
3. L’originalità dell’opera – primo prosimetro in volgare.

LETTURA - I Capitolo.

I Paragrafo.

Dante dice “Io immagino che la mia memoria sia come un libro, quindi vado a ripescare il mio passato, e in
quel libro dove dinanzi si può leggere quella parte della mia memoria dopo la quale non è successo molto
altro, in quella parte lì si trova una RUBRICA (nei codici medievali era una segnalazione scritta in colore
rosso, “ruber”, e serviva a dare delle indicazioni; si scriveva tutto di seguito, e a margine c’era un
segnaletica) dove c’è scritto “Incipit vita nova””. È una metafora, sono due righe di testo metaforico, dove si
trova il “libro della memoria” e ci fa capire che dalla rubrica la sua vita è stata completamente rinnovata.
Per segnalare quando iniziava un testo diverso si scriveva proprio “incipit”.

“Sotto la rubrica sono scritte le parole (= “ricordi”) che è suo intento di asemplare in questo libello.” -> sono
i ricordi che lui intende far conoscere a chi sta leggendo. “E se proprio non potrà scriverle tutte, almeno
trascriverà la loro sententia (= sintesi di ciò che è accaduto, e senso di ciò che è accaduto)”.

Il titolo è quindi latino, quello che avrebbe scelto (come “Comedia” latina): sotto quella rubrica trova dei
ricordi che vuole trascrivere in sintesi in questo libro. La Vita Nova è la giovinezza, con le sue esperienze
amorose e poetiche, ma vuole dire anche “vita rinnovata” dall’esperienze con Beatrice, dalla salvezza della
sua anima. La “Vita Nova” fa anche riferimento al fatto che la sua è la prima opera in prosimetro, quindi un
genere che ha forte componenti di novità.

II Paragrafo.

“Erano trascorsi nove anni dalla sua nascita (uso perifrasi astronomica)/Avevo nove anni (mese di maggio
1275 – primavera 1274, incontro con Beatrice) quando ai miei occhi apparve per la prima volta la gloriosa
donna della mia mente (madonna = “mea donna”, “domina”, donna che ha potere su di lui, sul suo cuore e
il suo intelletto; è già salita in cielo, per questo “gloriosa”) la quale fu chiamata da molti Beatrice (nome
biografico: Beatrice Di Folco Coltrinari) senza che sapessero sarebbe stata la donna gloriosa.”.

Dante è ANTOLOGISTA DELLA SUA MEMORIA, ha trascritto parte delle sue memorie fino al rinnovamento
della sua vita con l’incontro con Beatrice.

III-IV Paragrafo

“Mentre io avevo quasi nove anni (carattere astronomico della perifrasi, ci sono dei mesi di differenza nelle
età anagrafiche dei due, Beatrice ha quasi un anno in meno rispetto a Dante – uso sistema Tolemaico),
Beatrice aveva otto anni e qualche mese, vestita con un abito consono alla sua giovane età, umile, onesto e
di colore rosso.”.

Questo è il primo incontro di Dante con Beatrice; il secondo avverrà nove anni dopo. E la spiegazione del
sonetto si trova alla sua fine. Nel secondo sonetto Dante rivolge un invito ai suoi lettori a tentare di
interpretare il suo sogno. Dopo aver raccontato il suo primo incontro con Beatrice lui si chiude nella sua
camera e sogna, per poi chiedere nel suo secondo sonetto una “questio” letteraria ai suoi contemporanei
(usanza diffusa, si chiede di interpretare reciprocamente i propri versi). La critica ruota ancora intorno a
questa tematica: la canzone provenzale come luogo di molte forme narrative usaste da Dante nella sua
“Vita Nova”.

04/10/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

V Paragrafo.

Nei tre paragrafi successivi Dante fa riferimento a una serie di nozioni che fanno parte dei trattati di
filologia amorosa del 200 e 300.

Dante comincia a descrivere le sensazioni fisiche che gli provoca la visione di Beatrice (poetica cortese
amorosa: gli spiritelli portano l’amore dagli occhi al cuore). “Lo spirito della vita, la forza vitale che dimora
nel cuore, cominciò a tremare così forte che si vedevano tremare i polsi, e disse: “Ecco il dio più forte di me
che viene e mi dominerà.””. Dante percepisce che l’amore sta entrando in lui e da quel momento lo
dominerà. Contemporaneamente si manifesta anche un altro spirito, l’ANIMALIS SPIRITUS, l’ANIMA
SENSITIVA (Alberto Magno, “De spiritu et respiratione”, trattati per capire come funzionava l’essere umano,
trattatistica che riguarda le sensazioni umane). L’anima sensitiva, che ha sede nel cervello, si meraviglia e
parlando attraverso il viso (occhi = espressione volto), dice: “Finalmente è apparsa la vostra felicità.”. È un
senso animale, che attraverso il cervello si manifesta nell’espressione visiva. Si attiva un altro spirito, quello
NATURALE, che è SPIRITUS NATURALIS, è l’ANIMA VEGETATIVA, quella che presiede alla sussistenza del
corpo, e ha sede nello stomaco. Amore è il signore che può portare felicità, ma anche colui che poterà tante
pene.

I tre spiriti non sono un’invenzione dantesca, ma fanno parte della cultura fisico-medica di un poeta
medievale, che ragiona in termini di spiriti. “Da quel momento in poi, dopo aver capito attraverso la
commozione di tutti questi spiriti, Amore (divinità) signoreggiò sulla mia anima, e la mia anima fu
immediatamente a lui sposata, e Amore cominciò a prendere sopra di me tanto potere a causa del fatto che
io pensavo continuamente a Beatrice, che era per me più conveniente fare tutto ciò che Amore mi
comandava e farlo in maniera compiuta.”. Il sentimento amoroso prende sempre più forza sull’amante: qui
è chiaro il trattato “De Amore” di Andrea Cappellano, poeta e intellettuale di corte in Francia, che spiega in
maniera dettagliata tutta la filologia amorosa. Qui Dante è molto pratico, definisce i sentimenti fisici
dell’amore (“L’amore è una passione immoderata, che nasce dalla visione e dallo smodato pensiero
dell’aspetto della persona dell’altro sesso.” -> l’amore deriva dallo smodato pensiero dell’altro sesso), e non
tratta in modo aulico l’argomento. Il trattato di Cappellano era una bibbia per i poeti che si sono trovati ad
affrontare la tematica amorosa, è l’Amor.

IX-X Paragrafo.

Egli (Amore) lo comandava molte volte di cercare di vedere Beatrice, e lui nella sua giovane puerizia è
andato in giro cercando di incrociare Beatrice. Beatrice già da bambina ha qualcosa di divino, a un che di
essere trascendentale, molto più vicina al divino che non all’umano. E sebbene la sua immagine fosse
continuamente davanti a lui, e accrescesse e trasformasse questo dominio (Amore) su di lui, Beatrice era di
così nobile virtù, che non capitò mai che Amore non lo sorreggesse.

È un Amore savio, contemperato dalla ragione (perché Beatrice è donna di nobilissima virtù, ispira un
Amore temprato da ragione e non è folle), è un Amore intellettivo.

XI Paragrafo.
“E perciò/poiché sembra che io stia raccontando cose inventate (favolose) per non rischiare e dare di me
l’impressione di uno che sta mentendo, mi fermo qui con ciò che è accaduto in età fanciulla, trascuro molti
ricordi che io potrei trarre sempre da quel libro della memoria, e racconterò quelle cose che sono scritte
nella mia memoria sotto grandi paragrafi (trascuro ciò che è accaduto dai nove anni in poi, e riporto
qualcosa relativo a una maggior età).”

Nove anni dopo…

XII Paragrafo.

C’è un altro episodio memorabile dopo l’episodio sopra descritto, dove Beatrice ricompare vestita di
bianco, accompagnata da due gentili donne assai più grandi di lei (> 18 anni), e passando per una via volse
gli occhi verso di lui, molto impaurito (paura nata dall’incontro), e grazie alla sua ineffabile (= indescrivibile,
ciò che non si può dire) cortesia (= nobiltà, gentilezza), che è oggi riconosciuta e ricompensata nell’aldilà
(“grande secolo” = mondo celeste; Beatrice, mentre Dante scrive, è morta e assunta in cielo grazie alle sue
virtù terrene), a Dante parve di vedere tutti i confini di questa beatitudine nel momento in cui Beatrice l’ha
saluta.

Beatrice è gentilissima perché è la donna gentilissima per antonomasia, è l’identificazione stessa della
persona.

XIII Paragrafo.

L’ora in cui ciò è accaduto è la nona ora (ritorno del numero, equivale alle tre del pomeriggio; Dante non fa
riferimento alle 24 re della giornata, ma alla divisione nelle ore canoniche – iconografia che fa spesso
riferimento all’ora d’incontro con Beatrice). È un motivo topico il loro incontro.

Alle tre del pomeriggio incontra Beatrice, e ode per la prima volta la sua voce (nuova sensazione sonora, c’è
una figurazione quasi fisica delle parole). La tanta dolcezza lo fece scappare dalla strada, si andò a chiudere
nella sua cameretta e si pose a pensare di lei, e gli sopraggiunse un sonno soave in cui gli apparve una
visione meravigliosa.

XIV-XV-XVI Paragrafo.

Mentre pensa a Beatrice si assopisce, e in questo sonno gli apparve una meravigliosa visione. Dante
descrive un sonno vero e proprio, una visione che apparve in uno stato di incoscienza (nella trattatistica
medievale ci sono anche altre modalità di sogno, come il “sognum obulis apertis” – quello di Dante è un
vero e proprio sonno, che non sta tanto ad indicare l’immagine, ma la meraviglia suscitata dalla situazione
dell’inatteso, un fatto fuori dall’ordinario). Dante sogna un fumo rosso, ardente, e dentro di questo
riconosce una figura paurosa, spaventosa, e lui, il signore, “pareami” (= “mi si mostrava”) con tanta gioia,
cosa stupefacente, mi diceva tante cose, e io non capivo tutto, salvo questa frase: “Io sono il tuo signore”. È
Amore che nel sogno si manifesta a lui. Amore tiene tra le braccia un corpo nudo avvolto da un drappo di
colore rosso: si tratta di Beatrice, la “donna della salute” che lo aveva salutato precedentemente; nell’altra
mano Amore tiene una cosa che sta bruciando, il suo cuore.

Tutto il sogno non è che un’allegoria dell’amore che Dante prova per Beatrice, ma ha un significato che lui
non coglie.

NOTA AL TESTO NELL’EDIZIONE DELLA “VITA NOVA” <- NON CI SONO DOMANDE A RIGUARDO NELLA
PROVA INTERMEDIA.

Il sogno continua dopo un po’, quando era passato un po’ di tempo, gli sembrava che Amore svegliasse la
donna che stava dormendo, e cercava sforzandosi/si ingegnava di fargli mangiare questa cosa che ardeva
nella mano, e che lei mangiava con riluttanza. Sta facendo un incubo: dopo un po’ succede che la sua letizia
si convertisse/cambiasse in pianto amaro, e così piangendo questa donna si raccoglie nelle braccia di
Amore, e Amore con lei se ne va verso il cielo.

 Insistenza sul verbo “parere” – Dante non ricorda ciò che ha sognato, è un ricordo fragile

Di fronte a questa visione il suo sogno si rompe e Dante si sveglia.

XIX-XX Paragrafo.

Non si tratta di un sogno ma di una “visione”, apparsagli nella quarta ora della notte, la prima delle nove
ore della notte. Pensando a ciò che gli era apparso (tenta di interpretare la visiona avuta in sogno) pensò di
chiedere il parere a coloro che ai suoi tempi erano i più famosi trovatori, e nonostante (poiché) avesse lui
già scritto delle poesie, si propose di fare un sonetto nel quale lui salutava tutti i fedeli d’amore, e scrisse
loro ciò che lui aveva veduto. È una “questio”, un invito in forma epistolare a interpretare il sonetto
(“salutare” = “invitare”).

Il sonetto non ha titolo, si cita come titolatura il primo verso.

I Sonetto – “A ciascun’alma presa”.

In questo sonetto già dalla lettura Dante sta esattamente raccontando ciò che ha sognato, qui abbiamo la
parte delle DIVISIONI: il sonetto è diviso in due parti, la prima “saluto e mando risponsione” (“invito poeti a
darmi una risposta”), la seconda “descrivo le cose a cui bisogna rispondere”, e la seconda parte comincia
con la seconda quartina.

 Prima quartina – I parte.


 Dalla seconda quartina per i successivi quattordici versi – II parte.

Dante si rivolge a tutti coloro che hanno vissuto esperienza d’amore e hanno un cuore gentile. Dante spesso
usa il termine “epistola” ma qui si parla di “epistola poetica”, quindi un testo che viene inviato a qualcuno
in forma di lettera.

 Prima quartina – SALUTATIO, è il saluto che Dante rivolge ai suoi destinatari, tutti coloro che hanno
cuore gentile e sono stati presi da amore. La salutatio è la forma abbreviata del “salutem dico”, il
“dire salve”, il vocativo inziale con cui ci si rivolge a qualcuno.

Parla del momento in cui si svolge l’episodio che sta per raccontare, la terza ora della notte, e la visione
spaventosa di Amore, che gli sembrava allegro tenendo il suo cuore in mano e tra le sue braccia Beatrice
dormiente. Svegliatasi lei, “paventosa” (= “non convinta”), mangia in maniera forzata il suo cuore, e Amore
in quello stesso momento cambia espressione da allegria a pianto, e se ne va con Beatrice.

Sono due quartine e due terzine, per un totale di 14 versi, è un sonetto tradizionale. Lo schema delle rime è
A-B-B-A; le lettere vanno indicate maiuscole perché si tratta, nelle quartine, di endecasillabi. Nelle terzine
cambia con C-D-C, C-D-C. forse è uno dei primi sonetti composti da Dante, lo si fa risalire verso il 1283; il
cuore che brucia è un elemento poetico che si trova nella lirica di Guinizzelli, e ciò fa pensare che si tratta
davvero di un componimento che appartiene alla prima fase della produzione dantesca.

Termina così il sonetto, a cui segue la seconda parte del racconto. Chi rispose al sonetto? Era consuetudine
rispondere. Nel 1883 Dante avrebbe avuto 18 anni, ed è molto probabile che avesse realmente fatto questo
sogno. Carrai ripropone al termine della “Vita Nova” una sezione, “Le risposte in versi alla “Vita Nova”. Fra
le varie risposte che arrivano, di quelle che si sono conservate è riprodotta la risposta di Dante Da Maiano. I
poeti riprendono lo stesso schema delle rime proposto dall’epistola in versi del mittente, riprendendo poi
anche le stesse tematiche (elemento costitutivo di queste forme poetiche, la TENZONE: botta e risposta,
sconto poetico).
Dante da Maiano gli risponde in modo molto polemico e aggressivo, consigliandogli di “farsi le coglia” e di
raffreddarsi un po’. Dante scrive un sonetto con un’immagine molto alta, mentre il secondo usa toni molto
burleschi. Non sappiamo se si tratta di un vituperio volontario, sta di fatto che Dante scrive una cosa seria e
ottiene una risposta molto meno seria.

09/10/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA

TRAMA “VITA NOVA” + NOTIZIE STORICO-BIOGARFICHE SU BEATRICE.

Anche di Dante è stata scritta la vita; l’ultima di questi tempi è quella di M. Sant’Agata, “Dante, il romanzo
della sua vita”, ha un taglio romanzesco, è una biografia fondata su dati certi.

Altri poeti rispondono al sonetto dantesco in maniera più seria e meno scherzosa. Fra questi Guido
CAVALCANTI, il primo amico, colui che da un certo momento in poi nell’esperienza poetica di Dante si pone
come sodale dell’elaborazione tecnica dei temi. Questa esperienza, modalità di relazione tra poeti, è
fondativa dell’origine dello Stil Novo.

Secondo le convenzioni dell’epoca, l’amore di Dante per Beatrice deve rimanere nascosto, così si inventa la
cosiddetta “donna dello schermo”: in una chiesa, Dante guarda verso Beatrice, e posa lo sguardo su una
donna, che si trova tra i due, lui e la gentilissima, così la donna crede che l’oggetto del suo interesse sia lei.
Dante vede in lei la donna che può schermare il suo sentimento per Beatrice, e tutto funzionerebbe più o
meno bene se non fosse che questa donna lascia Firenze, e viene meno in questo modo la difesa. Dante
così comincia a comporre poesie d’amore per un’altra donna, ma il gioco non funziona più, perché i
malpensanti cominciano a dire che Dante è un po’ farfallone, non costante nei suoi sentimenti (elemento di
biasimo). Tutto ciò arriva alle orecchie di Beatrice, il che è anche peggio. Siccome Dante mette molto zelo
nella passione fittizia, va “oltre li termini della cortesia”, supera le convenzioni del vivere civile e sociale, e si
attira il biasimo, danneggia la propria reputazione e quella della donna oggetto delle sue attenzioni. Nei
modelli di poesia cortese ci sono proprio dei personaggi che svolgono la funzione narrativa degli invidiosi,
coloro che mettono in giro la voce su Dante: per difendere Beatrice dal suo amore, si espone al biasimo
collettivo. Ciò fa capire che nel sistema dei rapporti sociali dei tempi di Dante ci sono delle contraddizioni:
queste convenzioni del tempo creano contraddizioni, non era facile rapportarsi all’altro nel sistema sociale
dell’epoca, fortemente strutturato sulla base di convenzioni. A questo punto Beatrice reagisce sdegnata, si
offende anche se lei sa che quello che Dante ha fatto è dettato dall’obbligo sociale di dover nascondere
quella passione. Dante non si può rivelare, deve trovare un’altra via di scampo; Beatrice non può che
offendersi, quindi decide di TOGLIERGLI IL SALUTO (SOTTRAZIONE A DANTE DELLA POSSIBILITÀ DI ELEVARSI,
SOTTRAE A DANTE LA SALVEZZA). A questo punto accade qualcosa che porta direttamente nel cuore
dell’estetica stilnovista: quando Dante perde il saluto di Beatrice, si rende conto che questo era l’obiettivo
del suo amore, quindi non il possesso della donna amata (lirica cortese), ma tutto ciò che lui ha davvero
desiderato è il suo saluto, ciò che gli infondeva umiltà e gli faceva provare beatitudine. Perderlo equivale a
perdere la propria anima.

Il tema del saluto della donna è utilizzato anche da Guinizzelli; nel momento in cui Beatrice nega il saluto a
Dante, lui si rifugia al solito nella sua cameretta, per elaborare gli effetti di questa azione di Beatrice. Gli
appare di nuovo Amore in sogno e gli spiega i motivi per cui Beatrice lo ha privato del suo saluto.

 Inizio fase pessimistica e negativa.

Senza la speranza del saluto, Dante non trova più il fine del proprio amore; peraltro diviene incapace di
sostenere la vista di Beatrice. Quando la incontra per strada, il suo aspetto cambia, e diventa oggetto di
scherno di lei e le sue amiche (il “gabbo”), e dunque viene schernito, gabbato (francese provenzale “gap” =
“derisione”). Dalla crisi che viene provocata dalla negazione del saluto c’è una svolta decisiva: capisce che
l’unica cosa che lo può far stare bene è cantare la lode di Beatrice: la finalità della poesia non è più l’amore
di Beatrice, ma cantare le lodi della donna amata.

 Nascita STILE DELLA LODE, STIL NOVO, stile poetico che ha come finalità esclusivamente la lode
della donna amata.

Altera il rapporto che prevedeva l’uomo vassalo della donna (TERMINE POETICO), per ottenere qualcosa in
cambio. Ora nello Stil Novo questo non ha più senso, non c’è altro che conti (trasfigurazione dell’oggetto
d’amore da fisico a trascendentale, forma di astrazione poetica – c’è il porsi del poeta che canta le lodi di un
essere superiore).

Questo ribaltamento è illustrato rispondendo a quelle domande che hanno le donne che hanno intelletto
d’amore, alle quali spiega qual è diventato il fine della sua poesia. Prima il fine era il saluto di Beatrice, ora è
“in quelle parole che lodano la donna mia” (stile della lode); trova la soddisfazione amorosa nella
composizione di testi in lode di Beatrice. Le donne fanno notare a Dante che il suo turbamento nei
confronti di Beatrice è a contrasto con la sua nuova finalità; il disagio che prova, dice lui, deriva dallo stato
doloroso di aver perso il saluto di Beatrice.

A questo punto ci sono dei nuovi segnali premonitori: muore un’amica di Beatrice, muore il padre di Dante,
e al XIX paragrafo avviene anche la morte di Beatrice. A questo punto il meccanismo estetico si è incanalato
nella sua soluzione, lo stile della lode si è affermato, quindi la seconda parte ci racconta il punto di vista di
Dante-poeta. La parte più teorica, meno interessante, che ci conduce all’ultimo paragrafo del libello, e alla
conclusione dove Dante parla appunto della “mirabile visione”: dopo averla lodata, Dante ha la netta
convinzione che ci sarà un momento in cui potrà di nuovo parlare di Beatrice, ma adesso è necessaria una
pausa. Il “dire di lei ciò che mai fu detto ad alcuna” è l’allusione alla composizione della “Divina Commedia”.

Ciò che nota Sant’Agata è che Dante utilizza tre calendari diversi. È certa però la data di nascita di Beatrice,
e la data di morte, a 24 anni (1290). Dante Alighieri è di un lignaggio inferiore a quello dei Portinari e dei
Bardi, la famiglia del marito di Beatrice, Simone Bardi, banchiere di Firenze. C’è anche da fare tutto un
discorso di carattere politico, le fazioni in cui è divisa all’epoca Firenze, ma altra cosa è la creazione di
vincoli familiari per i matrimoni. Anche Dante si sposa, e avrà dei figli che resteranno a Firenze mentre
Dante è in esilio; sposa Gemma Donati, esponente di una famiglia molto più importante degli Alighieri. La
donna non può ambire a un matrimonio con una famiglia di rango superiore, mentre l’uomo può sposare
una donna di rango superiore (dalle alleanze matrimoniali si capisce l’inferiorità del sesso femminile – caso
Paolina Leopardi). Dante fa quindi un salto nella scala sociale, addirittura i Portinari sono soci del Banco dei
Cerchi. Sembra che Gemma Donati non fosse ambitissima come moglie (Boccaccio, trattatello sulla vita di
Dante Alighieri, fu il primo a rendere pubbliche le cantiche di Dante, oralmente). Secondo Boccaccio, i
parenti avevano convinto Dante a sposarsi per non pensare alla morte di Beatrice, ma di certo non furono
queste le spiegazioni. “Quel legame gli procurò noie e pene {…}” come dice Boccaccio, è questo quanto si
dice del matrimonio. Dopo l’esilio di Dante ci furono degli scontri anche con i Donati, che non lo avevano
protetto più di tanto (poco nella “Divina Commedia”, gli aspetti biografici sono trattenuti).

Matrimonio combinato e politico.

COMPRARE “DECAMERON” DI BOCCACCIO.

LEZIONE CON IL PROF. LAURO.

Punti focali “Divina Commedia”.


Linea di continuità discorso in costruzione.

C’è il riferimento alla fondazione dello Stil Novo; il XIX capitolo è dedicato all’inizio della poetica della lode o
“della loda” di Dante. A Dante è stato negato il saluto di Beatrice, segno di salvezza, che ogni medievale
ragiona in questo modo (Angelo dell’Annunciazione). Sono necessari riferimenti di cultura cristiana. Il
Cristianesimo è il codice della nostra civiltà, della nostra tradizione. Questo capitolo segna sul piano
biografico l’inizio dell’esperienza stilnovistica di Dante.

Dante narra vicende dal 1273, anno del primo incontro con Beatrice, al 1290, anno di morte di Beatrice, è
questo il tempo della narrazione. Il passaggio alla poetica dello Stil Novo (“Vita nova” = opera più
rappresentativa) è importante, e l’autore di riferimento di Dante è Cavalcanti (forza distruttiva dell’amore,
teatralizzazione dell’io). [Ora il punto di riferimento è Guinizzelli: Dante fondamentalmente non ha mai
usato la parola “stil novo”, la sua definizione è A POSTERIORI. Si parla di “dolce stil novo” (Guinizzelli
appartiene a una generazione precedente a Dante) nella “Commedia”, nel XXIV Canto del Purgatorio; Dante
incontra Bonaggiunta Orbicciani, che in vita era entrato in polemica con Guinizzelli, aveva dato lui la colpa
di essersi allontanato dalla poetica di Guittone D’Arezzo. Abbiamo una palinodia - termine che indica ogni
componimento poetico che si configura come una ritrattazione di parole o idee precedentemente espresse,
Dante fa dire a Orbicciani il contrario di quel che lui ha detto in vita . Le nove rime iniziano con la canzone
“Donne che avete intelletto d’amore” (riferimento: Guinizzelli), c’è una netta corrispondenza tra la lode
poetica e il dettare d’amore. Qui inizia la nuova esperienza poetica di Dante, e Bonaggiunta dice “che cosa
impediva a me di stare al di qua della poesia”. Quando Dante scrive queste parole, la poetica stilnovistica è
bella che andata. Incontreremo Guinizzelli nel XIV Canto del Purgatorio; Guinizelli è il corrispondente tra la
donna amata e il cor gentile, è un grande modello per la poetica della loda e dell’amata. <- ????] Altro
aspetto importante è il quadro politico medievale, molto frastagliato, ma possiamo considerare in
particolare due grandi partiti, i Guelfi e i Ghibellini. Nel partito dei primi c’erano due fazioni, i bianchi
filoimperiali, i neri filopapali. Il partito Ghibellino in Italia era stato spazzato via con la morte di Federico II
(1250). Manfredi di Svevia, figlio illegittimo di Federico II e capo della fazione ghibellina, viene sconfitto a
Benevento (1266) e qui si conclude il partito ghibellino. La “Vita Nova” si conclude con quanto è stato detto,
“io spero di dire di lei quanto non è stato detto da alcuna”, qui si individua il grande preannuncio di una
nuova opera, la “Commedia”.

Dante finisce pressappoco (datazioni con margine di elasticità) nel 1295, prima di arrivare alla “Commedia”
passeranno più di 6 anni, quasi 10, ci sarà l’esilio del 1301 e altre due opere importanti, rimaste incompiute,
il “De Vulgari Eloquentia” e il “Convivio”, la prima scritta tra il 1303 e il 1305, la seconda tra il 1305 e il 1307.
Come mai queste opere sono incompiute? Dante era ormai tutto proiettato verso la “Commedia”, il sui
inizio secondo alcuni potrebbe essere nel 1306, secondo altri prima, verso il 1304 (ci potrebbero essere
state sovrapposizioni).

La “Commedia” è un’opera che non ha precedenti, così come non ha avuto imitazioni. È un unicum, un
“apax”, un qualcosa di unico. La “Commedia” può essere definita (chiamata “Divina” solo da Boccaccio, che
ha iniziato una grande opera di divulgazione sul campo fiorentino) un poema allegorico didascalico, o
allegorico didattico perché la vicenda narrata è un’allegoria, rappresenta qualcos’altro rispetto a quello che
noi vediamo (il viaggio di Dante = viaggio di redenzione dell’essere umano, da una condizione di
disorientamento, al distacco e alla salvezza); didascalico perché vuole offrire insegnamenti ai lettori. Il titolo
è “Commedia”, o “Comedìa” in alcuni luoghi dell’opera stessa. L’aggettivo è stato aggiunto da Boccaccio
perché parla di cose religiose, ma è divina anche per la sua fattura stilistica (oggetto/materia + grandezza
stilistica).

“Commedia” è quel genere, quella storia che ha un inizio tragico e un esito positivo, ma ciò non basta. Inizia
con il disorientamento e finisce con la salvezza. Per capire il significato del titolo bisogna far riferimento alla
poetica medievale: tragedia - stile alto, commedia – stile medio, elegia – stile basso. La commedia è lo stile
medio, e in quanto tale è predisposta a ospitare una molteplicità di stili, è un genere aperto. La commedia
rappresenta pluristilismo e plurilinguismo, registro alto e basso, non vincolante, ospita al suo interno più
registri stilistici. La commedia è anche un genere che consente di parlare non soltanto degli eroi (“Eneide”
di Virgilio), è tale anche per la materia affrontata. Non abbiamo solo personaggi mitici, come Enea, ma ci
sono personaggi ed eventi che appartengono anche al tempo storico. Inoltre la commedia è il titolo
dell’opera perché Dante nella lettera a Cangrande della Scala dice che la commedia è tale perché scritta in
maniera volgare.

Importanza titolo.

 Scritta in lingua volgare (Lettera a Cangrande della Scala).


 Ospita eventi e personaggi eroici e mitici, ma anche della cronaca (chiave salvifica e provvidenziale).
 Stile aperto, predisposto a inserire più registri linguistici e stilistici (plurilinguismo e pluristilismo).

Nella commedia c’è la varietà del genere umano, che Dante riconosce e presenta i personaggi in una chiave
salvifica.

TEMPI DI COMPOSIZIONE.

Attenzione alla colorazione storico-temporale dei fatti letterari.

Secondo gli studiosi Dante compone la commedia negli anni dell’esilio (1301) che vedrà Dante peregrinare
per tutta l’Italia. È priva di fondamento la notizia di Boccaccio nel famoso trattatello, secondo cui Dante
avrebbe scritto i primi sei canti dell’Inferno prima dell’esilio. Le cantiche della Commedia sono state scritte:
Inferno – 1304-1309, Purgatorio – 1309-1312, Paradiso – 1316-1321. Questa è la datazione della
commedia. Ogni cantica è lavorata in un arco diverso della sua vita.

L’Inferno dantesco è concepito da Dante come una voragine a forma di imbuto il cui ingresso è collocato nei
pressi di Gerusalemme. Qual è l’ordinamento morale? Dante segue l’ETICA NICOMACHEA di ARISTOTELE,
secondo cui esistevano tre cattive disposizioni dell’animo: l’INCONTINENZA, la BESTIALITÀ, la MALIZIA.
Secondo la codificazione morale ci son queste tre. Troviamo i peccati di incontinenza dal secondo al quinto
cerchio; il primo peccato che troviamo è la lussuria, poi la gola, gli avari e prodighi, e gli iracondi e accidiosi
(Palude Stigia). Vanno dalla seconda alla quinta cornice. Prima di entrare nell’Inferno, Dante incontra già
una schiera di peccatori, collocati nell’anti Inferno, e sono gli IGNAVI (sono talmente pusillanimi e
inconsistenti che neanche l’Inferno li vuole, si trovano al di qua del fiume Acheronte). Superato il fiume
troviamo la prima cornice, il Limbo, tutti coloro che non hanno avuto il battesimo, che non hanno
conosciuto Cristo (Virgilio, Omero, Aristotele, …). Dopo il Limbo comincia l’Inferno vero e proprio, c’è la
figura mitologica di Minosse, giudice di fronte al quel si presentano le anime per essere giudicate. La
bestialità si trova la sesta cornice, sede degli eretici e degli epicurei (Farinata degli Uberti, personaggio
politico della fazione di Dante – canto X), poi abbiamo la malizia, che troviamo nelle tre cornici successive:
la settima cornice è quella dei violenti, l’ottava è quella dei fraudolenti, divisa a sua volta in 10 fosse, le
“male bolgie”, la nona è quella dei traditori, in corrispondenza di un lago ghiacciato, il Cocìto, sotto il quale
c’è il Conte Ugolino, e l’ultimo personaggio è Lucifero, creatura con tre bocche in ognuna delle quali mangia
eternamente Giuda, Bruto, Cassio.

10/10/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA


ORGANIZZAZIONE PROSSIMA SETTIMANA: MERCOLEDÌ 16 CONVOCAZIONE ALLE 14.30 IN PUNTO, FINO
ALLE 16. IL GIORNO 18 C’È L’UNIFESTIVEL 2019 A MACERATA, DAL 14 AL 25 OTTOBRE. IL 18 È IN
PROGRAMMA “OLTRE I CONFINI” h10, SALA SBRICOLI DELLA BIBLIOTECA UNIVERSITARIA CASB. QUINDI LA
LEZIONE DALLE 9 ALLE 11 DI VENERDÌ 18 SI SPOSTA AL CASB.

“DECAMERON” DI BOCCACCIO.

Lettura del proemio all’opera, la novella IX della quarta giornata, la novella VIII della quinta giornata, e la
novella IX della quinta giornata. Anche l’introduzione all’opera sarà affrontata.

Inizio composizione: 1349 c.a., data stimata. Non può essere stata composta prima perché, trattandosi di
un’opera che prende anche spunto dall’epidemia di peste che raggiunge l’Europa per lunghi mesi nel 1348,
ed essendo stata questa l’occasione narrativa, deve averci lavorato almeno dopo quell’anno.

Proemio: ingresso, porta di accesso a un testo letterario, preceduto da queste parole appena viste. Alcune
cose della definizione sono chiare: il libro si chiama “decameron” (= dieci novelle alla greca), sono 100
novelle raccontate da 10 giovani in 10 giornate (10 novelle al giorno). Vedremo che in realtà i giorni sono
15, perché i novellatori raccontano novelle (“novellano”) cinque giorni alla settimana con pausa del venerdì
e sabato. La storia ha una cornice, le novelle non sono raccontate in maniera estemporanea, c’è una
situazione molto elaborata. Il titolo si accompagna con “il cognominato Principe Galeotto”. A che cosa fa
riferimento? A Dante, V canto dell’Inferno, dove l’azione è quella di Francesca da Rimini e Paolo Malatesta
che vengono scoperti da Giangiotto mentre leggono le storie di Lancillotto e Ginevra. Ciò fa riferimento al
fatto che c’è sotto un libro nella storia recente della poesia, che ha fatto scoccare la scintilla tra due amanti
e ha fatto scattare la tragedia (tematica amorosa importante!). L’amore viene affrontato nella quarta e
quinta giornata, percorre largamente l’opera. Altro riferimento è a un autore provenzale, Chrétien de
Troyes, che nella sua opera ripropone il tema dell’innamoramento. È un modo recuperare una tradizione
precedente, che fa riferimento alla tradizione provenzale. C’è sempre una tradizione a cui si agganciano –
piena consapevolezza nel riadattamento dei temi. È un incipit importante, una specie di segnaletica che ci
fa capire qual è l’argomento di interesse, quello AMOROSO.

SOTTOTITOLO.

 Dante, Inf. V – azione di Francesca da Rimini e Paolo Malatesta che vengono scoperti da Giangiotto
mentre leggono le storie di Lancillotto e Ginevra;
 Chrétien de Troyes, Le chevalier de la Charrete – tema dell’innamoramento;

PARTI AUTORIALI.

Le novelle vengono narrate da 10 giovani, ma Boccaccio non scompare totalmente dalla scena, in alcune
parti lui compare come autore che parla in prima persona, non lascia la parola ai 10 narratori, ma dà una
serie di elementi che aiutano a definire il “Decameron”: il PROEMIO, l’INTRODUZIONE ALLA QUARTA
GIORNATA, la CONCLUSIONE dell’autore sono AUTORIALI. Ci muoviamo all’interno di un qualcosa che
Boccaccio ha definito chiaramente. Dopo l’introduzione alla quarta giornata, lavorando gli autori in maniera
simmetrica, ci si sarebbe aspettati l’introduzione alla quinta giornata: era successo che dopo aver composto
le prima 30 novelle, Boccaccio fa una prova, manda in giro questi testi per ricevere pareri, per capire se il
pubblico possa essere interessato, e siccome riceve diverse critiche, allora prima di raccontare le 10 novelle
della quarta giornata, fa un’introduzione e risponde alle critiche mosse, tra cui quella di “amare troppo le
donne”. Il “Decameron” è un’opera per le donne, siamo in piena fase di filoginia di Boccaccio, che poi si
trasformerà in misoginia. Nelle conclusioni dell’autore si sigla in discorso e si chiude il cerchio.

 UN “CODEX” CHIUSO
Quando si parla del “Decameron” non si parla di una raccolta di novelle, ma di una forma chiusa, un CODEX
CHIUSO, un libro che ha una sua forma molto precisa e compatta. Questa definizione è chiara se messa in
contrapposizione a qualcos’altro, libri di novelle che sono insiemi di racconti diversi, come il “Novellino”,
una raccolta di novelle di argomento vario, non c’è una struttura che lega il percorso narrativo come nel
“Decameron”.

 LE RUBRICHE – PRINCIPI NARATIVI DELLE RUBRICHE RISPETTO ALLE NOVELLE – NOVELLE “SENZA
TITOLO”

Il modo in cui questo legame viene intessuto dall’autore è attraverso l’uso di RUBRICHE, parti trovate in
corsivo e graficamente staccate, dove si trova il riassunto delle novelle, e che servono a raccordare
l’insieme della narrazione. Queste novelle sono tutte SENZA TITOLO, il che significa che non c’è un titolo
preciso e in questa scelta Boccaccio riproduce una scelta fatta da OVIDIO negli “AMORES”. Questi libri
erano conosciuti come “sine titulo”; anche il modello di Boccaccio, Ovidiano, fa sì che anche queste
vengano chiamate “novelle senza titolo”.

LIVELLI DIEGETICI, DI NARRAZIONE.

 Livello più esterno del testo, EXTRADIEGETICO, quello che definisce la linea che unisce l’autore alle
sue lettrici (libro destinato a donne).
 Livello INTRADIEGETICO, livello in cui si trova il piano dei 10 novellatori; Boccaccio sparisce e
entrano in scena i novellatori (si incontrano, scelgono di lasciare Firenze e si spostano sul contado
fiorentino – commentano le novelle, concludono con danze e canti, fanno una serie di attività).
 Livello DIEGETICO della novella vera e propria.
 Livello METADIEGETICO: ci sono tra le novelle del Decameron alcune novelle che a loro volta
raccontano una novella (c’è una novella nella terza giornata che racconta la novella dei Tre Anelli –
tradizione novellistica, intreccio novella abbastanza codificato – le storie inventate da Boccaccio in
alcuni casi riprendono le tradizioni narrative, altra sono di invenzione diretta dell’autore).

“diegesi” -> “raccontare”, atto del raccontare.

Non è una raccolta di novelle, ma un codex chiuso.

 STRUTTURA DELLE SINGOLE GIORNATE


Introduzione
Novella
1. Rubrica con il tema.
2. Breve introduzione tematica in cui si stabilisce anche il rapporto con le novelle precedenti.
3. Cosa il novellatore intende dimostrare.
4. Conclusione.

I 10 giovani raccontano le 100 novelle nell’arco di 10 giornate. Ogni giornata ha un’INTRODUZIONE, quella
alla quarta giornata è la più ampia; serve a definire il passaggio da un tema all’altro. Abbiamo la NOVELLA
vera e propria con la RUBRICA, dove viene sintetizzato il tema (prima parte); poi una BREVE INTRODUZIONE
TEMATICA, una breve introduzione dove vengono stabiliti i rapporti con le novelle precedenti – spazio dove
l’autore crea quel filo che lega le novelle internamente. L’altro aspetto è che cosa l’autore intende
dimostrare. A rigore la novella inizia con l’introduzione dei protagonisti del racconto; fino a prima sono
elementi che Boccaccio usa per collegare.

La CORNICE del Decameron non è qualcosa che sta fuori dal testo, è una struttura dinamica che interagisce
con i vari livelli di narrazione – introduzione tematica nella quale l’autore rilancia all’esterno del libro, e
ricollega la novella a tutto il resto – RILANCIO DI CORNICE: la cornice non è un elemento fisso o statico,
dialoga continuamente con la narrazione.
Arrivati alla CONCLUSIONE della novella, della giornata, la DINAMICITÀ della cornice diventa evidente: al
termine di ogni novella avviene l’elezione di re e regina, la definizione del tema della giornata seguente,
musica e ballo con anche il canto di una CANZONE.

Anche il “Decameron” può essere in una piccola percentuale definito prosimetro – la canzone non può
avere un sistema troppo elaborato, dev’essere molto musicale (struttura metrica – affreschi nel Campo
Santo Monumentale di PISA). Ci sono degli affreschi di B. Di Buffalmarco, che fra il 1337 e il 1341 affresca le
ampie pareti del Campo Santo con delle scene, le più famose sono di vita cortese. Quando Boccaccio
immagina queste scene cortigiane fa riferimento a un sistema di vita sociale che era quello delle corti del
suo tempo – cultura figurativa medievale.

Nella cornice del “Decameron” compare una TRADIZIONE ORIENTALE, all’interno della quale il passaggio da
un testo all’altro è reso in forma di DIALOGO (CHERASAD), per allontanare il pericolo della morte; si usano
anche COLLEGAMENTI IN FORMA DI RACCONTO-PERIPEZIA, che hanno tutti la forma dell’AVVENTURA, è un
modo di dilazionare il pericolo e di intrattenere la compagnia (funzione novellieri orientali).

 LA CORNICE

La CORNICE del Decameron è espressa in sintesi nelle poche righe dette prima. C’è però qualcosa di
ulteriore prima di arrivare ai racconti veri e propri, nella cornice Boccaccio ci spiega la situazione nella quale
si muovono i giovani: Boccaccio ci dice che la BRIGATA si costituisce in un giorno di agosto, dove avviene
l’INCONTRO tra delle giovani e tre ragazzi nella Chiesa di Santa Maria Novella, e discutono su cosa sta
avvenendo in quel momento a Firenze: è in preda alla peste, molte persone sono morte (decimazione città),
c’è il pericolo igienico (2/3 popolazione morta – ecatombe, evento epocale, riduzione sensibile dell’Europa).
I giovani prendono la DECISIONE di lasciare la città di Firenze e andarsene nel contado, la campagna fuori
dalla città. La peste c’è comunque, ma la decisone ha a che fare con il tentativo da parte dei giovani di
riappropriarsi di una dimensione di vita ordinata e onesta: la peste ha sovvertito tutte le regole del vivere
civile, figli e genitori non si assistono più vicendevolmente. Si cerca di riprendersi dello spazio e del tempo
per reimpostarsi una vita, e lasciano la città: la decisione è presa dalle sette ragazze, che però si rendono
conto di non poter andare in giro liberamente; quando entrano i tre giovani, legati con le ragazze da
rapporti di parentela, questi decidono di partire con le ragazze, e il gruppo si costituisce in maniera
ONESTA, non c’è scandalo al vivere civile. Decidono di recarsi fuori dalla città ma non si danno un tempo
predefinito (DURATA); rientreranno una volta che il loro SCOPO sarà stato raggiunto, quello di ricostruire
una modalità di vita civile e sconfiggere la paura della morte. Alla fine di queste due settimane avranno
raggiunto proprio questo risultato. Il FONDAMENTO narrativo del Decameron è fortemente etico (vulgata
del Decameron come “libro licenzioso” – il fondamento narrativo è morale, questa è una trasfigurazione),
tutta la vicenda si basa su questo assunto per recuperare una dimensione di vita civile, armonica, morale,
etica, per sconfiggere la pura della morte.

Gran parte delle storie raccontate hanno come ambientazione un GIARDINO, “IMMAGINE CENTRALE DEL
LIBRO” (Battaglia Ricci 2000): quando si riuniscono per raccontarsi le novelle, questo accade sempre in un
prato verde, un giardino, per novellare; lo fanno sempre intorno alle tre del pomeriggio, dopo aver
pranzato (DIECI GIOVANI NEL VERZIERE – scena cortese). La scelta di questo passatempo è etica. I giovani
decidono di non giocare perché il gioco ha in sé un elemento di agonismo (stimolare l’aggressività, la
competitività), invece i giovani vogliono ricreare una dimensione armonica, e il raccontare non ha nulla di
agonistico. Il re o la regina decide qual è il tema, e a turno ognuno racconta la sua storia (creazione di una
dimensione di unità ed equilibrio tra le persone). Il giardino non è un’immagine penitenziale (recupera il
modello culturale cortese – ci si intrattiene anche raccontando e leggendo, hanno grande spazio nel
modello cortese); hanno una MORALE EDONISTICA, “rispettosa della vita e delle passioni” (Battaglia Ricci
1988), una morale del piacere.
È un libro vitale che ha come fondamento il CELEBRARE IL PIACERE DELLA VITA, IL BELLO DEL VIVERE,
proprio quando la vita è messa a repentaglio ogni minuto (-> modo di imporsi, di sconfiggere la morte). È
questo l’elemento che determina il fascino di questo libro: Boccaccio non fa alcun proclamo, è ciò che si
intuisce leggendo. Boccaccio dirà che l’amore è fatto per i giovani, i giovani devono amare (inno alla vita):
ciò che per Boccaccio è licenzioso sono le relazioni improprie, extraconiugali (es. Guglielmo Da Rossiglione –
è una novella tragica, ma la simpatia di Boccaccio va tutta per gli amanti – libro V dell’Inferno di Dante).

PRESENZA DI DANTE.

Abbiamo già visto la sua presenza nel SOTTOTITOLO, altro aspetto importante è la NUMEROLOGIA: il
numero dieci è formato da 3+3+3+1, tutti richiami secondo la critica della presenza del mondo dantesco.
Dante ha costruito la Commedia di tre cantiche, con rispettivamente 33 canti, che costituiscono 100 canti,
abbiamo qui la ripresa della stessa forma numerica. Boccaccio usa come modello proprio l’opera di Dante.

 LA BRIGATA

La BRIGATA è composta da 7 donne e 3 uomini, con età media compresa tra i 18 e i 28 anni; la più grande è
Pampinea, la più saggia e colei che prende l’iniziativa della partenza e le redini della prima giornata. La
brigata è definita ONESTA, “ONESTA BRIGATA”, perché decide di darsi una DIRITTURA MORALE NELLA VITA
LIETA del soggiorno, un comportamento etico rispettoso degli altri, mettendo in atto le regole sociali
nell’ambito etico del rispetto. La mettono in partica perché si astraggono dal sistema. Devono osservare un
comportamento rispettoso della loro estrazione culturale; la DIGNITÀ DEL PROPRIO ORIZZONTE SOCIALE E
CULTURALE è un elemento che fa parte della loro educazione, che prende parte al NOVELLARE, come
GIOCO “ONESTO” E NON CONFLITTUALE, che non conduca alla sopraffazione.

RIVEDERE TRADIZIONE PROVENZALE.

11/10/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

Morale EDONISTICA: ha nel piacere il proprio obiettivo.

Chi ha letto Boccaccio in termini borghesi, lo vede interprete di una visione realistica del proprio tempo,
dove vivere in termini edonistici non è sbagliato, purché non si superino gli eccessi.

ANALISI STRUTTURA OPERA.

 MODELLI.

Sono 100 novelle ben organizzate secondo la fissazione numerologica. La critica ha elaborato due modelli
destinati per dare raffigurazione del modello questo libro:

 VITTORE BRANCA, Università di Padova, critico, interprete e filologo (scoperta Codice Hamilton 90)
– CODICE AUTOGRAFO di Boccaccio, scritto di mano di Boccaccio (non c’è un codice antecedente - il
codice può essere scritto dall’autore stesso, oppure può essere preso e conservato nella tradizione
- la trasmissione scritta da copisti, paternità delle copie); Branca sembra aver riconosciuto nel
codice la stessa mano di Boccaccio.

Secondo Branca nella struttura del brano di può trovare un MODELLO ASCENSIONALE (Branca 2010), un
percorso spirituale di ascesa ETICA, perché la prima giornata è dedicata a novelle a tema libero, poi nel
corso dell’opera ogni giornata avrà un tema, quali le peripezie al termine delle quali ottengono uno
scioglimento positivo (altri temi: amore, beffa, ecc.); nelle ultime giornate, soprattutto IX e X, le novelle
hanno contenuto morale, e in particolare l’ultima giornata ha come tematica centrale la MAGNIFICIENZA, il
massimo innalzamento spirituale dell’anima (idea di grandezza morale).

 STEWART 1977, PICONE 1989, FIDO 1995 – MODELLO A BARICENTRO, c’è un PUNTO DI CADUTA,
alla fine della VI giornata, dove viene interrotto lo svolgimento per poi riprendersi nella seconda
parte in un secondo svolgimento; un punto centrale simmetricamente tracciato (prima novella
della sesta giornata: 51esima, la novella di Madonna Oretta Malaspina, dove il tema è il BEN
RACCONTARE, come si narra una storia, l’arte del raccontare – la novella vede lei protagonista, la
donna viene accompagnata a cavallo da un cavaliere che comincia a raccontare una storia così male
da indurla a scendere) -> la prima parte è organizzata in un modo, la seconda in un altro, ma la
centralità del tema sta nel BEN NARRARE, il ben raccontare la storia.

PRESENZA DANTE: SOTTOTITOLO E NUMEROLOGIA.

LA BRIGATA.

Hanno un proprio status sociale che non può essere trasgredito, non possono perdere la loro dignità
sociale.

NARRATORI INTRADIEGETICI.

Sono 10, e ai loro nomi è stata data una connotazione che i potesse avvicinare a precedenti opere o a una
simbologia boccaccesca; non manca la sua fantasia.

Pampinea – “la rigogliosa”, da “pampi”, il pampino è ciò con cui Bacco si cinge la testa – è la più grande e la
più saggia – matrice incerta.

Lauretta – personaggio di Petrarca nel “Rerum Vulgarium Fragmenta”.

Neifile – “la nuova innamorata”, omaggio alla “Vita Nova” di Dante.

Elissa – nome alternativo di Didone.

Filomena – dedicataria del poema in ottave di Boccaccio, “Filostrato”.

Emilia – protagonista del “Teseida” di Boccaccio.

Fiammetta – creato da Boccaccio ne “Elegia di Madonna Fiammetta”.

Filostrato – “l’abbattuto d’amore”.

Panfilo – il “tutto amore”, amante di Fiammetta nell’Elegia, ama e celebra la donna.

Dioneo – Dione, padre di Venere, fa riferimento alla sfera della sensualità. Ha uno statuto particolarissimo
nell’opera, fa le cose più strane, entra in scena per essere provocatorio e burlesco. Ottiene a un certo punto
del soggiorno il permesso di raccontare la NOVELLA FUORI TEMA, la novella che più gli piace senza attenersi
al tema scelto. Ha un margine di libertà derivatogli dalla sua eccentricità che gli altri novellatori non hanno.

 SCELTA POLITICA.

La scelta di lasciare Firenze è un punto centrale e importantissimo. Quando i giovani decidono di lasciare
Firenze NON LO FANNO PER UN DESIDERIO DI ISOLAMENTO, la scelta non è dettata alla volontà di fuggire
da ciò che sta accadendo, MA loro VOGLIONO RILANCIARE LA VITA ASSOCIATA, la vita frantumata dal
passaggio della peste. Sanno bene che si tratta di una parentesi, non vogliono abbandonare la loro città, e
lo scopo è proprio quello di riprendere la dimensione urbana nel contesto cittadino e rilanciare il modello di
vita associata. Vogliono rifondare dal punto di vista MORALE e CIVILE la propria città.
 RIFONDAZIONE MORALE E CIVILE.

Paragone tra EXAMERON e DECAMERON. Sant’Ambrogio racconta la creazione dell’Universo; Boccaccio la


ri-creazione della società civile.

 AMBIENTAZIONE DEL “DECAMERON” – LUOGHI.

Non si tratta dell’ambientazione delle novelle, ma dei LUOGHI INTRADIEGETICI. Per la REALTÀ EXTRA-
URBANA ci sono VILLE, PALAZZI e il CONTADO. Quando i ragazzi lasciano Firenze si trasferiscono in una villa
non molto lontano da Firenze nel contado; soggiornano in una bella casa di campagna, e dopo un po’
lasceranno il luogo per trasferirsi in un altro palazzo in campagna. Avendo la peste decimato anche in
campagna, i ragazzi trovano un ambiente perfettamente allestito ma vuoto. Questa è la realtà extra-
urbana. Poi abbiamo la REALTÀ URBANA: CITTÀ COME LUOGO FONDATIVO DELLA VITA ASSOCIATA; LA
PESTE È DESCRITTA IN CITTÀ E SOLO DI SFUGGITA NEL CONTADO - nel Medioevo nella campagna ci stavano
i contadini; non è un caso che nell’introduzione della prima giornata, alla descrizione dell’”orrido
cominciamento”, Boccaccio descrive gli effetti della peste in città e parla della fuga in campagna (REALISMO
BOCCACCESCO BORGHESE).

 LE INVARIANTI NARRATIVE e LA CORNICE.

Varietas: principio costitutivo del libro, principio che serve a dilettare e incuriosire. In mezzo a tanta varietà
ci sono delle invarianti narrative, il ripetersi meccanico di alcuni elementi che servono a dare organizzazione
del libro:

 Turni narrativi fissati e rispettati - organizzati, non c’è anarchia né nei turni né nell’ordine della
giornata (eccezione: Dioneo).
 Il commento della brigata ala novella appena ascoltata - al termine del racconto c’è sempre una
parte di commento da parte della brigata, che prende la parola per commentare ciò che ha appena
ascoltato. I personaggi intradiegetici non sono quindi fissi, non servono sol a fare progredire il
racconto, nel corso dell’opera vengono fuori i loro tratti e le loro caratteristiche.
 Introduzione alla novella con una massima morale o una riflessione generale - novella sempre
introdotta da qualche riga di avviamento al racconto, presentata sempre come una massima
morale o una riflessione generale – c’è sempre un tentativo di elevare, educare, insegnare qualcosa
al lettore.

Questi ELEMENTI INVARIANTI, insieme alla CORNICE, sono segnali del RUOLO DINAMICO
dell’organizzazione del testo. La cornice ha anche un ruolo STATICO di tenuta della dispersiva materia
narrativa, ma ha anche un ruolo DINAMICO di passaggio tra la parte intra e extra diegetica.

La vita della brigata è come un PROCESSO DI CONOSCENZA MORALE E RETORICA. È un processo, una
questione che si svolge IN PROGRESS e non si basa su tavole di legge: i personaggi agiscono e a mano a
mano conquistano quella certezza; c’è un andamento dinamico e progressivo che porta da uno stato di
confusione e grande disagio iniziale verso una progressiva conoscenza della propria forza e della resistenza
etica e morale e la morte.

 VARIETAS e DELECTATIO.

A. Quondam ha parlato di “BULIMIA” NARRATIVA di Boccaccio, attratto dalla più ampia varietà di casi
narrabili sul piano storico, geografico, sociale, culturale, di genere, ecc. Dall’intreccio di casi e situazioni
deriva il piacere dell’ascolto, la DELECTATIO. L’uno si spiega con l’altro.

 DEFINIZIONE DEL GENERE NARRATIVO.


Proemio, 13: “Intendo di raccontare 100 novelle, o favole, o parabole, o storie raccontate in 10 giorni da
un’onesta brigata di sette donne e tre giovani nel pistilenzioso (fa riferimento alla peste) tempo della
passata nobiltà.” <- questa è l’intenzione dell’autore.

Gli autori hanno sempre una fisionomia di genere, dei riferimenti di genere. Sono molto chiari nel
“Proemio” del “Decameron”, ma si ammette la difficoltà di definizione del genere. La critica si è chiesta se
le quattro definizioni congiunte fossero SINONIMICHE (“novelle, favole, parabole, storie”), oppure se
fossero SOTTOGRUPPI di novelle: quindi le novelle hanno una fisionomia leggermente diversa tra di loro.
L’interpretazione ha messo in campo spiegazioni diverse, ma comunque questa è l’intenzione dell’autore. Si
fa riferimento alla NARRATIO BREVIS: Boccaccio non vuole raccontare una storia, ma 100 novelle, quini la
narrazione è breve. Facendo riferimento alla “Rhetotica ad Hernnium” di Cicerone si individuano “tria
generes narratiorum”: l’HISTORIA – racconto delle res gestae, delle imprese, l’ARGUMENTUM – res fictae,
cose che potrebbero avvenire, la FABULA – storie né vere né possibili.

Si tratta di precisazioni che fanno tutte riferimento ai contenuti. Lui si pone il problema da autore, sa bene
di aver variato molto nel corso dell’opera, ma si tratta comunque di 100 narrazioni brevi.

Novella = testo caratterizzato da “novitas”; tra tutti i sinonimi possibili, “novella” è quello che gli piace di
più, anche se possono aver contenuti con fatti edificanti, o far rifermento a qualcosa in particolare. C’è una
tradizione novellistica, ma di per sé la novella porta un contenuto nuovo, piegato anche all’exemplum,
all’ammaestramento secondo la tradizione sacra (San Bernardino da Siena, ecc. – pediche, racconto di fatti
esemplari che servivano ad educare, ad ammaestrare – predicatori grandi inventori di “novelle”, di
exempla, di casi esemplari).

 CONTENUTO caratterizzato da NOVITAS;


 CONTENUTO piegato all’ammaestramento (EXEMPLUM);

RIPASSO OPERE DI BOCCACCIO.

Abbiamo un INCUNAMBOLO, un libro stampato tra la prima edizione della Bibbia di Magonza fino al 500. Si
tratta di libri neonati, sono fasce con cui si fasciavano i bambini.

Già scorrendo l’indice ci si rende conto della grande varietà di temi che fanno parte dell’opera.

LETTURA PROEMIO OPERA.

Dopo l’attenzione al titolo e sottotitolo dell’opera, si passa al PROEMIO. La sintassi del “Decameron” non è
delle più semplici, e neppure la scelta linguistica (fondamento codifica linguistica cinquecentesca).

La COMPASSIONE verso coloro che soffrono è richiesta da chi non soffre, ma massimamente da coloro che
hanno sofferto e sono stati consolati nella loro sofferenza. Boccaccio si dice essere uno che ha sofferto, e
nella sofferenza ha trovato il conforto degli altri. Dice e spiega anche perché ha sofferto: lui è uno che dalla
prima giovinezza fino ad ora (1313 -> 1349: 36/40 anni, età di Dante quando scrive la “Vita Nova”) è stato
“acceso da altissimo e nobile amore” (= ha amato e ama), e per questo ha sofferto, non per la crudeltà della
donna amata, ma perché ha amato in maniera smodata (lui è una vittima d’amore, che ha concepito una
passione molto forte che lo ha fatto soffrire). In questa “noia” (fastidio, condizione di sofferenza) lo ha
sostenuto il parlare della sofferenza con gli amici (consolazione). C’è grande musicalità della prosa, il
periodare di Boccaccio è pieno di subordinate, molto complesso, costruzione latina, periodo ciceroniano
elaborato. Dio infinto ha invece dettato una legge che le cose nel mondo sono finite: così anche le sue pene
d’amore sono finite, il pensiero si è affievolito tanto che nella mente al presente gli ha lasciato come
quando ci si mette in salvo dopo aver navigato il mare e scampato pericoli, gli è rimasta una sensazione di
“piacevolezza” (serenità), di scampato pericolo – l’amore, anche il più forte, con il passare del tempo
smette di fare male. Nonostante la pena sia finita però non ha dimenticato i benefici di coloro che l’hanno
consolato, la gratitudine non passerà mai se non con la morte. Costruzione latina – poiché ritiene che la
gratitudine sia la virtù sommamente da “commendare” (= “commendatore” = colui che viene omaggiato
per le sue virtù), omaggiare, e al contrario l’ingratitudine, “io mi sono proposto che, in cambio di ciò che ho
ricevuto, se non a color che mi aiutarono, offrirono il mio aiuto a me, se non perché assennati, quindi
l’aiuto non sarebbe necessario, aiutare altri che hanno vissuto la mia stessa situazione. Quantunque il mio
conforto possa essere poca cosa anche per coloro che ne hanno bisogno – dichiarazione di modestia e
umiltà, non di meno mi sembra di dover prestare aiuto laddove il bisogno è maggiore, perché avrà più
utilità e sarà oggetto di maggior gratitudine a parte di coloro che lo ricevono – aiuto agli afflitti, sollievo al
cuore tormentato dall’amore provato dall’amante.”.

PUNTO CENTRALE: Chi negherà che convenga far dono della propria attenzione alle donne piuttosto che
agli uomini? Descrizione sociologica della condizione esistenziale delle donne del tempo – le donne
tengono nascosto l’amore che provano, non lo mostrano all’oggetto del proprio amore (contrariamente a
quanto può fare un uomo, nonostante le numerose convenzioni sociali) per timore e per vergogna, un
amore nascosto ha molta più forza di un amore che può essere palesato, manifestato. Oltre a ciò le donne
sono costrette al volere dei genitori, del fratello e poi del marito, e per questa condizione di vita la maggior
parte del tempo la trascorrono in casa (ambiente ristretto, immense pene d’amore concepite). Questa
condizione di costrizione e di solitudine le rende particolarmente bisognose di conforto, per un amore che
non può che essere doloroso, non può che portare pene e sofferenza. Quando le donne concepiscono un
fuoco amoroso, sopportano una pena ancora maggiore degli uomini; questo perché gli uomini, anche se
afflitti da malinconia e pensieri, hanno molti modi di “alleggiare”, di alleggerirsi, di distrarsi attraverso la
caccia e la pesca, il gioco, possono fare il lavoro dei mercanti (hanno distrazioni, non tengono la mente fissa
sul pensiero d’amore). Allora dato che gli uomini hanno maggior forze e le donne sono più sfortunate,
attraverso di me che porto loro soccorso, voglio soccorrere le “donne d’animo” (le donne cortesi, gentili, di
alto intelletto e cuore nobile, che concepiscono una passione amorosa nobile), non coloro che si dilettano
(passione solo fisica) {…} In queste novelle loro leggeranno aspri e fortunati casi di amore, avvenimenti
avvenuti in tempi moderni e antichi (bulimia Boccaccesca), da cui potranno trarre diletto e sollievo dalle
loro pene. E se ciò accadrà, dovranno renderne grazie ad Amore.

 Individuazione precisa del pubblico a cui è rivolta l’opera: sono le donne nobili, coloro che hanno
sofferto per amore, che più degli altri vivono in condizione di ristrettezza e solitudine.

16/10/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

Lezione dalle 11 alle 13 di giovedì 17 con la prof.ssa Martellini.

La prossima settimana, 23-24-25 ottobre, le lezioni sono sospese. Mercoledì 23 alle ore 9:00 inaugurazione,
alle 10:00 la prima sessione del convegno; il giorno dopo dalle 9:30. Vedere programma iniziativa sul sito.

 Convegno: “INDETERMINATI SPAZI”.

LETTURA NOVELLA IV, 9.

Già considerata inizialmente per spiegare il significato della rubrica, è la novella di Guglielmo Rossiglione, è
una novella con tema amore tragico, il cui giovane che la introduce è Filostrato, che subisce una forte pena
d’amore.

La novella 8 era la novella narrata da Neifile, che ha fortemente toccato tutti; il re decide di riprendere
quelle note e lascia a Filostrato il compito di procedere con la nona novella della quarta giornata.
L’ambientazione di questa novella è la Provenza, un ambiente cortese, con due nobili cavalieri ognuno de
quali è proprietario di un castello. C’è un importante elemento narrativo, ciò il fatto che entrami i
personaggi si chiamano Guglielmo; non un dettaglio di poco conto, è come se ci fosse una sovrapposizione
delle figure maschili, che hanno un’identità nel nome, sono figure interscambiabili, trattandosi di un
tradimento, entrambi sono anche “prodi nelle armi”, cavalieri abili, con una destrezza spiccata, andavano
ad allenarsi ai cortei indossando la stessa armatura (tratto distintivo: emblema araldico, con proprie armi e
insegni; i due cavalieri sono così analoghi nella partecipazione ai tornei che si vestono di una sola insegna,
sono un’unica cosa, un’unità). Guglielmo Rossiglione ha una bellissima e “vaga”, piacente donna, di cui
Guglielmo Guardastagno si innamora, e lei di lui. Cade la discrezione, Rossiglione se ne accorge, trasforma
l’amicizia fraterna in odio mortale e dentro di sé decide di ucciderlo. Comincia a tramare un inganno: c’è un
torneo in Francia – chi resta a cavallo vince, Rossiglione lo propone a Guardastagno e decidono di
incontrarsi il giorno dopo a cena. Rossiglione parte con un servitore e si mette di guardia nel percorso che
Guardastagno avrebbe dovuto fare: Rossiglione lo assalta da brigante, vede Guardastagno disarmato, come
anche i suoi due servi. Dice Filostrato “fellone e pieno di maltalento”, Rossiglione sta uccidendo a
tradimento, non è un duello in campo aperto. Essendo i due servitori disarmati fuggono. Il Rossiglione, pago
di averlo ucciso, con un coltello estraeva il core di Guardastagno, lo dà a uno dei suoi servi e lo raccomanda
di portarlo al castello, senza farne parola con nessuno. La donna, venendo a sapere dal marito che
Guardastagno non sarebbe venuto a cena, rimane un po’ “turbatetta”; chiede al cuoco di fare con il cuore
una “vivandetta”, che a malapena lui assaggia. La donna lo assaporò e lo mangiò tutto. Come atto di sfida
rilancia alla moglie tutto il suo disprezzo, facendole sapere che quello in realtà era il cuore di Guardastagno.
La slealtà del marito è consistita del fatto che non ha fatto oltraggio di lei che lo ha fatto responsabile, ma di
lui. Il furore, l’odio e la gelosia si sono palcate nel momento in ci la moglie, buttandosi dalla finestra, si
suicida. Il cavaliere se ne va, abbandonando il castello.

È una storia terribile, una vera e propria tragedia. C’è un segnale interessante della presenza di una
tematica tradizionale, il CUORE. Il cuore è già comparso in Dante nella “Vita Nova”: mentre in Dante il cuore
brucia, qui l’amore compare reificato nell’organo che lo rappresenta, l’organo fisico, il perno di tutta la
vicenda. La vendetta vera si compie solo quando il cuore viene mangiato dall’amante; nella novella si
descrive quello che nella “Vita Nova” era stato soltanto all’uso qui il topos narrativo è sviluppato fino alle
estreme conseguenze. Nella rubrica Boccaccio ci dice che i due verranno seppelliti insieme, c’è il gesto di
raccogliere le spoglie dei due amanti e di seppellirli insieme. C’è anche una lapide dove in versi vengono
raffigurati i nomi e la ragione della loro morte. Il caso ha per protagonisti due personaggi di alto lignaggio.
Nella quarta giornata però si trovano personaggi di un livello sociale anche inferiore, e poi c’è anche una
novella che ha pe protagonisti due operai, la 7 della IV giornata: secondo Boccaccio l’amore non è un
sentimento che possono provare solo le persone nobili di lignaggio, ma è qualcosa che pertiene anche nelle
persone di basso lignaggio, a patto cha abbiano un cuore gentile. Cosa importante è che i protagonisti di
queste novelle sono sempre molto giovani (gioventù collegata al sentimento d’amore).

 Ricchezza di forme arcaiche.

Le altre due novelle proposte sono più allegre, ma anche queste complesse dal punto di vista di
illustrazione del sentimento concepito. Siamo sempre in un contesto sociale elevato. L’ottava e nona
novella della quinta giornata sono strettamente correlate: il comportamento della donna è lo stesso,
caratterizzato dal rifiuto della proposta d’amore, dalle cosiddette donne “negative”, le donne che dicono di
no.

NOVELLA V, 8.

La prima è la novella di, che amando una dei Traversari, spende le sue ricchezze senza essere amato, per
ottenere le grazie di questa donna. Nastagio Degli Onesti è u cavaliere di Ravenna, nobiluomo, mentre
Chiassi è la pineta di classe; Nastagio si è innamorato di questa donna dei Traversari, ma dopo aver speso
tutte le sue ricchezze è costretto ad abbandonare la casa e a rifugiarsi a Chiassi. C’è una “visio apertis
obulis” nella pineta, ha una sorta di visione: un cavaliere che insegue una donna, in seguito assaltata da una
muta di cani. Allora Nastagio si inventa una situazione: invita i suoi parenti e quelli della donna amata da lui
a un desinare, e mentre la tavola è imbandita e si cena avviene la stessa scena, la donna viene sbranata.
Questa è la rubrica della novella.

Dopo la rubrica c’è sempre una parte introduttiva che presenta l’AMMONIMENTO, l’exemplum, la morale
di ciò che si va a raccontare. È Filomena a parlare: “Noi dobbiamo essere pietose, e la giustizia divina ci
condanna se siamo invece crudeli; affinché io vi dimostri di dover cacciare del tutto la crudeltà, io vi
racconterò una novella piena di compassione ma anche dilettevole.”.

 Notare aggettivi che vengono apposti alle donne nelle novelle.

C’è una differenza di ordine sociale tra i due protagonisti: la donna è molto più nobile del cavaliere, e forse
per questo motivo la nobildonna sdegna Nastagio (ammonimento di Filomena). Nastagio tenta con le sue
opere di indurla ad amarlo. La giovinetta di singolare bellezza e di alto lignaggio lo sdegna con durezza e
crudezza: prima Nastagio si vuole uccidere, poi sceglie di lasciarla stare, poi decide di odiarla come lo odia
lei.

 Ottima descrizione dell’amore impossibile.

Gli viene detto di allontanarsi dalla città; li non vuole concedere all’assennato consiglio degli amici, ma
decide di farlo. Esce da Ravenna – sembrava di partire per la Francia o per la Spagna, porta molte cose e
mette su padiglioni sontuosi, e si reca a Chiassi, cercando di distrarsi e facendo la più bella vita che mai
avesse fatto. Un giorno, lasciato solo, passo dopo passo si addentra nella pineta di classe; viene distratto nel
suo pensiero da un pianto e da lamenti provenienti da una donna, e la visione gli desta una forte
meraviglia. Vede una donna nuda, bellissima, che gridando e piangendo veniva morsa da due mastini, e
dietro di lei un cavaliere bruno, con il viso crucciato, con una lancia in mano che la insulta e la minaccia di
morte. Nastagio tenta una reazione di difesa della donna minacciata, ma il cavaliere – gli si rivolge
chiamandolo per nome -> Visione infernale – gli dice di non impicciarsi; le doti di nobiltà di Nastagio sono
sicuramente superiori a quelle di Rossiglione, a quelle del cavaliere scuro.

Ritorna l’Inferno di Dante, con l’anima condannata a riprodurre nell’Inferno la stessa scena <- Il cavaliere si
è dannato e uccisosi; come Paolo e Francesca si sono condannati insieme, qui Guido degli Anastagia è
condannato a ripetere per sempre la stessa scena (stessa logica dell’INFERNO DI DANTE). Ritorna la scena
del cuore strappato dalle viscere dell’amante e dato in pasto ai cani. Così ogni venerdì alla stessa ora lui
giunge qui e compie lo strazio. È inutile che Nastagio si frapponga al cavaliere, Guido è condannato a
ripetere la cosa. Nastagio si è spaventato, ha assistito a quella che nella topica medievale è chiamata la
CACCIA INFERNALE, dove l’amante non può vivere l’amore della donna. Nastagio prova pietà o paura per
quanto ha visto? Lui va dai parenti e, dicendo loro che l’hanno tanto istigato a smettere di amarla, gli chiede
un favore: che gli consentano di desinare con lei e i suoi parenti venerdì alla pineta. Tronati a Ravenna, loro
invitarono la giovane e i parenti e, pur con difficoltà, vennero. Nastagio le dà il osto d’onore, la fa sedere di
fronte al luogo dove la scena dovrà svolgersi; sentendo le grida disperate della donna, tutti si meravigliano
e nessuno sa cosa fosse; a un certo punto si alzano tuti in piedi, e vedono la giovane e i cani. Tutti si fanno
avanti per aiutare la giovane, ma il cavaliere, come con Nastagio, dice loro di allontanarsi e di non
intromettersi; nel pubblico di donne, parenti al pranzo, c’è anche qualcuno che ha saputo della storia
d’amore del cavaliere rifiutato. Chi resta si mette a ragionare sulla cosa, e la nobildonna capisce di essere lei
l’imputata della situazione. Lei tramuta l’odio in amore, manda una cameriera a dare lui il messaggio. La
storia finisce bene, la giovane dei Traversari si rende conto di rischiare e Nastagio, da nobile, decide di
sposarla.

 Stoccata finale contro le Ravignane, che divennero da quel momento paurose e più arrendevoli.
Questa novella ha finale lieto, tutto termina con l’amore che si ricompone nella maniera socialmente più
giusta. I tratti di crudeltà e di crudezza della vicenda sono molto forti, vicini alla novella successiva, ancora
una volta compare il meccanismo narrativo del cuore mangiato dantesco.

17/10/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

Lezione con la prof.ssa Martellini.

FRANCESCO PETRARCA.

È un autore che ha una produzione letteraria bilingue; con Dante succede di meno, in Petrarca la maggior
parte della sua traduzione è in latino.

1304-1374 -> Arco di vita di Petrarca, nato ad Arezzo, vissuto in Provenza, trasferitosi ad Avignone, è
vissuto in diverse città finché non si è stabilito nl padovano, ad Arquà, e muore nella notte tra il 18 e il 19
luglio.

“RERUM VULGARIUM FRAGMENTA”.

Opera basilare, fondamentale per la lirica, ha segnato tutta la lirica italiana ed europea successiva, è una
produzione di capitale importanza. È un titolo in LATINO per un’opera scritta in VOLGARE. Noi lo chiamiamo
“Canzoniere” per la struttura, quindi per ragioni ben precise. Petrarca compone solo due opere in volgare: i
“Rerum vulgarium fragmenta” (= “frammenti di cose volgari”) e i “Triumphi”, un poemetto allegorico-
didascalico fatto di 6 poemetti (silloge) composti in terzine dantesche (modello: “Commedia”di Dante)
trasferito in altre tematiche, strettamente legate a quelle del “Canzoniere”. Questa disparità quantitativa
potrebbe equivalere a un diverso grado di importanza, ma non è così – Petrarca grande PREUMANISTA, vive
fuori dal suo tempo, ha segnato un cambiamento e un’innovazione; è stato incoronato poeta, sua massima
aspirazione, dovuta al Petrarca latino.

La storia compositiva dell’opera “Rerum vulgarium fragmenta” è importante, Petrarca vi ha dedicato tutta
la sua vita, è importante la STORIA REDAZIONALE e la maniera di composizione; da un certo punto in poi di
questa storia Petrarca mirerà a confermare la sua fama di poeta anche nella lingua volgare. Petrarca
compone liriche in volgare nel corso di tutta la sua vita, però il progetto di organizzarle in un “Canzoniere”
non emerge fin dalle prime attestazioni che possediamo relative alla composizione di queste liriche;
possiamo parlare di ATTESTAZIONI, sulla base delle quali ricostruiamo la storia della letteratura italiana; è
uno degli autori che ci ha lasciato più MATERIALI AUTOGRAFI, materiali scritti da lui, aiuto molto
importante, attestazioni a volte poche e a volte indiziarie, attraverso le quali si è costruito un determinato
quadro. Solo da un certo punto in poi emerge l’intenzione di creare un “Canzoniere”.

Due fasi evolutive: la PREISTORIA – raccolte di rime (sinonimo di liriche, componimenti), che poi sceglie di
raggruppare, ma non secondo un preciso e calcolato progetto (hanno carattere sparso, non c’è
organizzazione interna o un’intenzione particolare), e la STORIA – progetto di un vero e proprio
“Canzoniere” testimoniato dalle attestazioni. “Progetto di un Canzoniere” vuole dire voler comporre
un’OPERA ORGANICA, unitaria, che ha compattezza e una corrispondenza interna nella forma, nello stile,
nella metrica e nel contenuto che si vuole creare attraverso le liriche (creazione di un RACCONTO).
Andrebbe letto come un romanzo, leggendo lirica per lirica si perde la forma d’insieme.

Il tema centrale intorno al quale il racconto è costruito è l’AMORE PER LAURA, la cui precisazione storica è
indefinita, che lui ama e che poi muore. L’elemento della MORTE DELAL DONNA AMATA è un tema cardine.

PREISTORIA.
 1° Attestazione: 1330.

In un codice contente le opere del poeta latino Orazio Petrarca scrive una POSTILLA nella quale fa
riferimento a un LIBELLO – termine specifico, classicheggiante. Nel Medioevo i codici e i manoscritti
equivalevano ai nostri libri attuali: quando i poeti volevano leggere qualche autore e opera, ci si doveva
procurare un manoscritto; Petrarca acquistava codici o se li faceva inviare dagli amici in Europa attraverso
lettere. Attraverso la continua trascrizione di copie Petrarca arriva a possedere una biblioteca molto ricca.

Postilla = annotazione scritta sul margine della carta del manoscritto – appunto.

Le postille sono una miniera preziosissima per ricostruire i legami che lui aveva con i suoi testi. Sono questi i
LEGAMI INTERTESTUALI: in un codice di Orazio lui scrive appunti in relazione alla sua opera; è un
riferimento importante in Petrarca.

1327 – Incontro STORICO con Laura ad Avignone – il libello va identificato come una piccola raccolta di rime
volgari su modello della tradizione lirica che lui aveva alle spalle (francese e italiana – tradizione romanza).

 2° Attestazione: 1336-1338.

Si è trovata una trascrizione dentro un codice di Petrarca, il “VATICANO LATINO 3196” (= l’ultima è una sigla
di catalogazione bibliotecaria), dove si trova una TRASCRIZIONE IN PULITO (= una sorta di bella copia, che
viene da una brutta da copia, da correzioni, e lui arriva alla finalità), una piccola raccolta di 25
componimenti (in totale saranno 336 liriche). Trovare una trascrizione di questo tipo ci fa capire cosa è
accaduto: sono 22 sonetti + 2 sonetti di poeti corrispondenti (= pratica tipica di poeti stilnovisti – sonetti
indirizzati a un poeta che in risposta componeva altri sonetti) + l’inizio di una canzone. La raccolta
corrisponde a una selezione dei componimenti scritti da Petrarca in quegli anni, che contengono già la
CELEBRAZIONE DI LAURA e dell’AMORE PER LEI, nonché la SIMBOLOGIA DEL LAURO (= una delle più
importanti COSTRUZIONI METAFORICHE).

 3° Attestazione: 1342.

C’è un’altra SILLOGE, una postilla che si trova sempre nel “Codice Vaticano 3196”, un ABBOZZO, un CODICE
DI LAVORO, che lui utilizzava per mettere tutte le sue trascrizioni, per copiare in bella copia tutte le stesure
della sua opera, cambiano a seconda dell’intenzione che a mano a mano Petrarca matura. Siamo ancora nel
livello di raccolta di rime: dai 25 testi precedenti ha selezionato 13 testi. Cosa c’è di centrale nella silloge?
C’è un SONETTO DI APERTURA, che si rivolge ad Apollo (centrale il MITO DI APOLLO; tra le varie prerogative
della figura, il MITO DI APOLLO E DAFNE assume una posizione basilare, ci si riaggancia alla simbologia del
lauro). È bene collegare cosa è accaduto in quegli stessi anni nella vita. Il mito di Apollo si collega al
concetto di poesia; un anno prima, nel 1341, Petrarca è stato incoronato poeta. Si possono mettere in
relazione quindi l’avvenimento storico e la scelta del mito.

STORIA.

 4° Attestazione: 1349-1350.

Abbiamo la prima REDAZIONE PROVVISORIA del “Canzoniere”; c’è un’organizzazione delle liriche vecchie e
di quelle nuove, tutte organizzate in un “Canzoniere”. Nel “Codice Vaticano 1396” ci sono due postille che
lui scrive a margine di due liriche – notizia prima redazione provvisoria, e c’è il sonetto “Voi ch’ascoltate in
rime sparse il suono” – sonetto proemiale, il “Canzoniere” si aprirà con questo sonetto. Per quanto riguarda
la data di composizione, non è facile ricostruire la cronologia. Nel costruire un racconto, è attuata una
TRASFIGURAZIONE IDEALE del dato reale, una CRONOLOGIA LETTERARIA che crea all’interno del racconto,
ricostruisce una CORRISPONDENZA INTERNA DI DATI E FATTI CRONOLOGICI NON REALI. Gli studiosi
vogliono aiutarci a capire qual è la reale composizione dell’opera, bisogna capire che cosa è accaduto al di
là della composizione letteraria. Il sonetto proemiale risale al 1349-1350, sulla base di corrispondenze
letterarie; il sonetto ha funzione di PROEMIO, orienta i lettori su cosa leggeranno e su come sarà costruita
l’opera, su come devono effettuare una LETTURA CONTINUA – racconto, romanzo, lettura collegata di tutti i
componimenti del “Canzoniere”, strettamente connessi. Da questa PRIMA REDAZIONE PROVVISORIA si
passa alla PRIMA REDAZIONE ORGANICA.

 Il DATO REALE si incrocia e deve entrare nella CRONOLOGIA LETTERARIA

Laura morirà nel 1348.

 5° Attestazione: 1357.

PRIMA REDAZIONE ORGANICA del “Canzoniere”, nota come “REDAZIONE DEL CORREGGIO”, trascrizione di
cui Petrarca dà notizia, effettuata su un papiro regio e destinata a un suo amico, un personaggio che aveva
legami sociali molto alti, AZZO DI COREGGIO, per questo la redazione viene chiamata così. Il poeta concede
di far una trascrizione del “Canzoniere” per un amico intellettuale che lo voleva leggere, concede una
trascrizione per leggere l’opera. È una trascrizione selezionata di cui non abbiamo nulla; gli studiosi hanno
pareri discordi: alcuni pensano a una divisione di ‘rime in vita’ e ‘rime in morte’ di Laura, altre a una
raccolta di 170 liriche.

 6° Attestazione: ??

Nuova redazione del “Canzoniere”, la conosciamo come “FORMA CHIGI”, trascrizione di un “Codice
Chigiano” compiuta da Boccaccio nella Biblioteca Apostolica del Vaticano. C’è la struttura BIPARTITA di 215
liriche: le ‘rime in vita’ – 174, e ‘rime in morte’ – 41. Dobbiamo pensare che di queste 215 liriche solo una
non resterà nella versione definitiva, le restanti 214 sì. Da qui in avanti lui va solo ad aggiungere. Il titolo che
Boccaccio segna in testa a questa trascrizione ricalca quello che sarà scritto in linea definitiva da Petrarca,
“{…} fargmentorum liber”.

Lunga attestazione, la REDAZIONE DEFINITIVA prende corpo in un progressivo aumentare di liriche fino alla
morte. È contenuta in un altro codice, il “Codice Vaticano Latino 3195”, nella quale all’inizio si trova una
trascrizione, fatta in parte da un copista, GIOVANNI MALPAGHINI, e in parte da Petrarca, che completa
dove il copista aveva lasciato interrotto. Dal dicembre 1366 all’aprile 1367 Malpaghini compone 241 liriche,
completate da Petrarca a 363.

1372-1373.

Amici di Petrarca chiedono lui la lettura aggiornata del “Canzoniere”; lui ogni tanto deve acconsentire, e
estrae dal “Canzoniere” non concluso due TRASCRZIONI PARZIALI a ridosso dell’anno di morte, dotate di
una coerenza interna. Sono altre DUE FORME, la “FORMA MALATESTA”, indirizzata al Signore di Rimini
PANDOLFO MALATESTA, in cui c’è una parziale ridistribuzione di liriche, dove c’è sempre un elemento di
novità (conclusione assegnata alla canzone alla Vergine -> già da questo si arriva a un epilogo di
INVOCAZIONE RELIGIOSA). Poi c’è la “FORMA QUERINIANA”, il cui destinatario è sconosciuto, è stata
trovata in un codice del tardo 300 conservata nella Biblioteca Queriniana di Bresca (-> elementi di novità:
esclusione di una ballata, “Donne mi vene”, la prima sezione ‘in vita’ riordinata secondo l’ordine definitivo,
la seconda ‘sezione in morte’ con una successione diversa rispetto a quella definitiva).

REDAZIONE DEFINITIVA: 1366-1374.

366 liriche definitive (modello numerologia stabilito sul canone liturgico, 365 + 1); le ‘rime in vita’ vanno da
1-263, le ‘rime in morte’ hanno un ordinamento diverso che poi più tardi arriveranno a una forma definitiva
da 264-366. Si mantengono le posizioni dette, la FUNZIONE PROEMIALE del sonetto e la FUNZIONE
CONCLUSIVA della canzone alla Vergine. Infine il titolo, “Rerum vulgarium fragmenta”.

CARATTERISTICHE SALIENTI.

Il “Rerum vulgarium fragmenta” assume caratteri definitivi e non più modificabili con l’avvenimento della
MORTE DI LAURA, che fa da perno alla divisione ‘rime in vita’ e ‘rime in morte’. La morte è la FINE DI
TUTTO: la fine della contemplazione della sua bellezza – amore fisico, TERRENO, non è tutto spostato sul
significato religioso, Laura diventa STILNOVISTICA quando muore, lui ci dà un tormento dell’amore come
sentimento della vita: Laura muore, Petrarca si deve rassegnare a non poterlo più vedere; la fine
dell’amore, la fine dell’aspirazione alla gloria poetica – la morte di Laura sembra corrispondere alla sua
morte, tutte le morti sono uno specchio per lui (discorso della vita che passa, discorso ESISTENZIALE). Con il
suo progetto Petrarca vuole affermarsi come poeta in volgare e non solo come poeta in latino, desiderio
spentosi con la morte di Laura. Così anche il mancato appagamento dell’amore di Laura.

Petrarca, per come costruisce la dinamica interna, ci porta a porre attenzione a determinate cose: la
bipartizione non trova la sua RAGIONE ESCLUSIVA nella MORTE DELLA DONNA; della morte di Laura si trova
rifermento già nella lirica 267, mentre le altre parlano dello stato e dei sentimenti di Petrarca. Ma in
particolare la canzone 264 contiene la tematica del RAVVENIMENTO: tutto il travaglio interiore di Petrarca
si conclude alla fine nel pentimento e nel ravvenimento, è centrale nel percorso morale di Petrarca, dove
l’amore rientra in un sistema di valori che appartengono alla vita di Petrarca. Il travaglio del sentimento non
si verifica solo nella morte di Laura. Lui si pente di aver seguito solo i valori della vita umana, fisica,
pentimento che arriva prima della morte di Laura. Lui cambia vita, questo è un RACCONTO DELLA
MEMORIA, Petrarca scrive ricordando, ricorda l’amore per Laura, la sua vita, racconta il pentimento a cui lui
è arrivato nella sua vita. La costruzione della sequenza costituisce il modo in cui Petrarca vuole far arrivare il
messaggio ai suoi lettori. Famosa la canzone 128, canzone ispirata all’Italia, parla delle guerre combattute in
Italia all’epoca (PARTICOLARISMO POLITICO, suddivisione politica della penisola in signorie che creavano
ostilità tra loro – guerre intestine, gli intellettuali stessi ne subivano le conseguenze – TEMA POLITICO); poi
ci sono i sonetti rivolti ai membri della FAMIGLIA CLONNA, che nel corso della sua vita lo avevano sempre
sostenuto negli studi – passaggio tra ‘rime in vita’ e ‘rime in morte’, lui subisce un pentimento.

30/10/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

L’amore è una tematica centrale, Laura e la sua morte costituiscono una tematica centrale, ma non è solo
un’opera d’amore. Petrarca racconta anche della sua vita, e ciò che costruisce nel “Canzoniere” è il proprio
PROFILO MORALE – tematica moralità importante, forte componente filosofica, parlare di filosofia morale
ha un suo determinato significato, che s abbina alla filosofia della religione. C’è l’espressione di questo
contrasto tra la vita di UOMO CRISTIANO, e la vita di uomo legato alla VITA TERRENA (amore, fama poetica
e altre ambizioni). Non è stata una vita da religioso contemplativo, vuole mostrare la figura di un UOMO
PENTITO E RAVVEDUTO, che ricade sempre nell’ERRORE – sorta di lezione che non si impara mai, ricade
sempre nello stesso contrasto.

 PROFILO DI INTELLETTUALE E POETA – rapporti politici, sociali, culturali illustri.

IL “CANZONIERE”

Il “Canzoniere” appare sempre come una sorta di romanzo, raccolta di rime d’amore, ma la prospettiva va
estesa. Ci sono una serie di spiegazioni:
 È un racconto, una sorta di romanzo in versi (<- indicazione generale, è un’opera organica che
racconta una storia e ha una struttura fatta tutta di rispondenze interne) – cambia anche il modo in
cui ci viene presentata la figura di Laura, tra le ‘rime in vita’ e le ‘rime in morte’; Laura diventa
l’anima che è salita al cielo, una figura femminile completamente diversa, diventa la donna buona,
non più quella che fugge e non lo ricambia (figura di soccorso e aiuto – donna stilnovistica).
 È un racconto che ha una DIMENSIONE BIOGRAFICA PERSONALE E INTIMA, che copre gli aspetti di
morale personale e pubblica.
 È il racconto di un’ANIMA – PROSPETTIVA RELIGIOSA, dove l’amore è inserito in una visione intima
ed esistenziale, spesso paradigma della vita umana in genere.
 È in racconto di una MUTATIO ANIMAE, va incontro a un percorso di cambiamento, è una MUTATIO
VITAE – rinnegare ciò che è accaduto finora, errore giovanile che ha condiiato tutta la vita.
 È un racconto di PENTIMENTO E REDENZIONE.
 È racconto di una vicenda che da PERSONALE diventa UNIVERSALE.

Come si pone la struttura del “Canzoniere” rispetto al titolo, “Rerum vulgarium fragmenta”? sembra esserci
un’opposizione tra il CONCETTO DI FRAMMENTARIETÀ e l’ORGANICITÀ E LA COMPATTEZZA del
“Canzoniere”. Il rapporto non va inteso nel senso di un libro che riproduce una produzione frammentaria,
perché a storia redazionale mostra che l’opera è cresciuta su sé stessa. I frammenti che lui intende
raccogliere sono quelli della propria anima, simbolicamente rappresentanti dalle LIRICHE, SIMBOLO
POETICO della FRAMMENTARIETÀ della sua anima – il primo sonetto ci dà le chiavi di lettura della sua
poetica (rfc. “Secretum” libro III: costruzione tutta collegata tra le opere). La frammentarietà dell’anima che
va raccolta è il percorso autobiografico che Petrarca vuole rappresentare nell’opera, il percorso attraverso
cui la disgregazione morale e intellettuale del peccatore cerca di recuperare la MORALE INTEGRA del
SAGGIO – forte componente stoica, attraverso un DISSIDIO INTERIORE che passa per il PENTIMENTO e la
REDENZIONE.

MITO DI APOLLO E DAFNE

Il mito di Apollo è importante e resterà nella poetica del “Canzoniere”, secondo le varie prospettiva: una di
queste è il “Mito di Apollo e Dafne”. P., grande scopritore dei classici e innovatore, trasforma il mito e
attraverso questo ne crea uno suo. Il mito viene da un’opera antica, le “Metamorfosi” di OVIDIO. Il fio
Apollo, affascinato dalla bellezza della ninfa Dafne, figlia della Terra, se ne innamora, ma lei tenta di
fuggirlo, e Apollo implora la madre Terra di trasformarla in un albero di lauro, prediletto da Dio. Dafne
significa lauro (meccanismo che ricalca il rapporto Petrarca-Laura).

 Dafne = lauro.
Laura = Dafne > Laura = lauro
 laurea = corona con cui Apollo intreccia le fronde dell’amate Dafne-lauro
laurea = simbolo della gloria poetica

Quindi Laura è sia l’OGGETTO D’AMORE E DESIDERIO IRRAGIUNGIBILE, sia rappresenta la GLORIA POETICA.

Nel “Canzoniere”, oltre alla doppia identificazione di Laura, c’è anche una doppia identificazione di
Petrarca.

 Apollo = amante (colui che ama Dafne)


Petrarca = Apollo > Petrarca = amante (colui che ama Laura)
 Apollo = protettore della poesia
Petrarca = poeta

Petrarca riprende il mito per crearne uno nuovo, il proprio.


Per il mito di Apollo non bisogna considerare solo il riferimento antico. Oltre a Ovidio, c’è anche il
RIFERIMENTO DI DANTE. Nella “Divina Commedia”, nell’esordio del I Canto del Paradiso c’è l’invocazione ad
Apollo, un tipo di mito che ritorna in tutti questi poeti. Dante deve concludere il suo viaggio con un esordio
alto, deve descrivere il mondo celeste e invoca Apollo per sostenere il compito così difficile. Petrarca
richiama Apollo nel sonetto 34 nel “Canzoniere” finale, ma nella silloge del 1342 era il sonetto di apertura. Il
mito di Apollo è una DICHIARAZIONE DI POETICA, il poeta vuole misurarsi con la più alta poesia volgare; lui
era sommo poeta nella poesia latina, ma voleva presentarsi anche come sommo poeta della poesia volgare.
Nel sonetto Petrarca chiede ad Apollo di far tornare bel tempo perché Laura possa uscire furori e lui possa
rivederla; non lo chiama per essere sostenuto, è una RICHIESTA PROFANA, TERRENA, che ritorna sull’amore
e il desiderio. Concettualmente c’è poi l’IDENTIFICAZIONE.

 Dante – misticismo, tensione verso la contemplazione di Dio.


 Petrarca – amore profano e terreno.

I SONETTO, “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”.

Invocazione con interiezione inziale. Il periodo principale sta nella seconda quartina, che va rimessa
all’inizio. Qui ci sono quattro sezioni principali che riguardano il sonetto.

La datazione: nel ripercorrere le varie redazione il sonetto ha acquisito la posizione proemiale e non l’ha più
lasciata. La data proposta da F. Rico nel 1986 è la composizione tra il 1349 e il 1350, ed è la più attendibile,
in coincidenza con l’elaborazione nel progetto di un “Canzoniere”.

Essendo un proemio, rispetta alcuni canoni tipici dell’exordium, sono canoni class e romanzi, utilizzati da
alcuni poeti latini antichi ma anche da alcuni autori romanzi, medievali, europei, francesi e romanzi. Canoni
sono la CAPTATIO BENEVOLENTIAE di alcuni autori, cioè il fatto di catturare il favore dei lettori per tirarli
dalla propria parte, espresso con il verso 1 (l’appello si circoscrive a coloro che sanno cos’è l’amore). Altro
canone è la DICHIARAZIONE DEL GENERE LETTERARIO, della poetica, sempre al verso 1, con l’espressione
“rime sparse”. C’è separazione tra ciò che dice nelle due quartine e ciò che dice nelle due terzine,
corrispondente alla bipartizione del libro in ‘rime in vita’ e ‘rime in morte’. Importante anche la quarta
questione, dove si pone la PROSPETTIVA NARRATIVA: le liriche hanno un percorso, la prospettiva del
FLASHBACK, il ricordare, il ritornare indietro nel racconto – Petrarca che racconta, da vecchio, le cose che
gli sono successe da giovane.

1° Quartina.

“voi ch’ascoltate” = apostrofe ai lettori/ascoltatori, tipica nella lirica e nella prosa, è un topos. Lo inserisce
anche Dante nelle Rime LXXX, vv. 1-2 “Voi che savete ragionar d’Amore {…}” e Boccaccio nel Filostrato, I 6,
vv. 1-5.

“suono-sospiri” = c’è chi lo interpreta in senso FISICO – suono prodotto dalla voce e percepito dall’orecchio,
e chi in senso FIGURATO – la voce, l’espressione. C’è una CORRISPONDENZA SEMANTICA tra le parole
“suono-sospiro-ascoltare”.

“sospiri-cuore” = i sospiri sono cibo per il cuore, nutrimento. Il sospirare è condizione del Petrarca, è la
manifestazione del suo stato interiore, fisicamente concentrato nel cuore, sede del dolore e dell’amore (cfr.
130, v. 5).

“rime sparse” = dichiarazione di genere dell’opera, rime composte e diffuse singolarmente -> in riferimento
al genere letterario, la lirica -> corrispondenza con il titolo “Rerum vulgarium fragmenta”: opera unitaria
formata da testi singoli –> motivo storico della dispersione e dell’instabilità del volgo in opposizione
all’unità e all’autocontrollo del saggio (aspirazione di Petrarca, anche nel “Secretum”).
“primo errore giovanile” = il tempo d’inizio del racconto è la prima giovinezza, alla quale risale l’errore ->
errore = innamoramento per Laura -> polisemia di ‘errore’ > ‘errore’: deviare dalla diritta via e sbagliare.

“ero un uomo in parte diverso da quel che sono” = a ricordare oggi è un Petrarca maturo, pentito e
ravveduto, una persona diversa dal giovane innamorato che era -> ‘in parte’: il cambiamento non è stato
completo, sempre permarranno aspetti del passato -> motivo della mutatio animi, ma attenuata da una non
piena adesione -> il perenne dissidio.

2° Quartina.

“vario stile” = elemento retorico e morale della varietas -> varietà stilistica (elemento retorico) derivante
dalla varietà dei temi e dei toni (varietà morale) delle liriche.

“piango e ragiono” = pianto e parola contemporaneamente -> la parola rimanda all’espressione dei pensieri
nella poesia, il pianto è manifestazione del dissidio interiore, che passa attraverso gli occhi (collegati con il
cuore) -> crf. ad esempio Dante, Inf. V, v. 126 “dirò come colui che piange e dice” e XXXIII, v. 9 il parlar e
lagrimar di Ugolino.

“vane speranze e vano dolore” = speranza e dolore rappresentano la varietà dei toni delle liriche -> sono
due condizioni collegate tra loro e accomunate dal concetto di vanitas -> speranza e dolore non portano a
nulla, la vanità del tutto.

“speranza di pietà e di perdono” = nella vanità generale delle proprie speranze l’unica speranza espressa è
quella di trovare comprensione (la pietà alla quale segua il perdono) per la ‘varietà’ delle liriche (sia dello
stile sia dei toni generati dall’instabilità degli stati d’animo) -> topos dell’esordio.

“chi per esperienza sa cos’è l’amore” = la comprensione può venire solo da coloro che per esperienza sanno
cosa significa l’amore -> cfr. Dante, Tanto gentile e tanto onesta pare, v. 11 “che ‘ntender no la può chi no
la prova”.

1° Terzina.

“ma ben veggio or sì” = forte avversativa (da notare la congiunzione ‘ma’, l’avverbio di tempo ‘ora’, la
particella ‘sì’) che segna il passaggio dalle quartine alle terzine: presa d’atto, consapevolezza, presa di
coscienza nel presente di quanto accaduto in passato, vedere bene e chiaramente è sapere -> continua
l’alternanza dei tempi verbali presente/passato, legata a modulo narrativo del flash-back:

1° quartina -> voi ascoltate / io nutriva era / i’ sono

2° quartina -> piango e ragiono chi intenda spero

1° terzina -> veggio / fui / mi vergogno

2° terzina -> è piace è (il presente della sentenza universale)

“favola al popol tutto” = quello della fabula vulgi è un motivo di lunga tradizione, biblica, classica e
mediolatina, nonché tipico anche in altre opere di Petrarca -> la paura della derisione, di essere additato, la
paura che gli altri possano ‘vedere’ e ‘riconoscere’ dall’esterno gli stati d’animo interiori e segreti.

“mi vergogno” = la vergogna dal punto di vista sentimentale e dal punto di vista letterario, in quanto la
poesia è strumento con il quale il poeta canta le vicende e i sentimenti del proprio passato, una produzione
lirica in volgare risalente anche alla gioventù ‘sviata’ dall’errore.

“con me di me stesso” = fortissimo ripiegamento in sè stesso, fortissimo senso di pentimento e di vergogna


innanzi tutto dentro di sé, fortissimo autogiudizio morale -> si noti la mancata allitterazione me medesmo
meco mi (ma in tutto il sonetto ci sono evidenti allitterazioni).
2° Terzina.

“vaneggiare” = è un richiamo alla vanitas del v. 6 (‘vane speranze’ e ‘van dolore’), ma vi si riconosce anche
un’allusione alla follia.

“frutto” = il frutto prodotto dal ‘vaneggiare’ è la maturazione di un processo di conoscenza, pentimento e


ravvedimento: la vergogna (richiamo al ‘mi vergogno’ del v. 11), il pentimento e il chiaro riconoscimento
(richiamo al ‘ben veggio or sì’ del v. 9) -> la verità raggiunta in questo processo è quella espressa dall’ultimo
verso (‘quanto piace al mondo è breve sogno’), che rappresenta una massima universale della condizione
umana.

“quanto piace durante la vita terrena” = i piaceri, le illusioni che gratificano la vita dell’uomo sulla terra (per
Petrarca l’amore, la gloria letteraria, gli affetti familiari, i sodalizi poetici e sociali), le azioni che si compiono
nella vita, le motivazioni che le fanno compiere: tutto ciò non costituisce lo scopo della vita dell’uomo, e in
particolare dell’uomo cristiano, perché la vita si concluderà nella morte e dopo la morte c’è solo Dio – nella
vita terrena tutto è fallace, transitorio, effimero, solo una salda vita morale crea un ponte di collegamento
con la vera vita che sarà quella eterna e celeste dell’anima divisa dal corpo.

“il breve sogno” = qualcosa di non pienamente reale, di momentaneo, un’immagine destinata ad
interrompersi -> cfr. 248, v. 8 “la cosa bella mortal passa, e non dura”.

Petrarca deve fare i conti con un’esistenza che non comprende, la RELIGIONE.

31/20/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

SONETTO III “ERA IL GIORNO CH’AL SOL SI SCOLORARO”

Nel sonetto II Petrarca parla del dio Amore, antico, preposto alla mansione del provocare l’innamoramento.
Ovviamente Amore era nel mondo antico il braccio destro di Venere, che metteva in atto ciò che la dea
dell’amore voleva; è Eros poi a fare il lavoro concreto nella divisione dei compiti. Amore è caratterizzato in
un modo tale, come nel sonetto III, nel quale si racconta il famoso GIORNO DELL’INNAMORAMENTO DI
LAURA (il “Canzoniere” inizia da qui, dal suo primo giovanile errore, in cui lui cade e svia).

Parafrasi -
“Era il giorno in cui al sole si scolorirono <- temporale, che richiama il giorno dell’incontro.

I raggi (= soggetto della prima frase) per il dolore del suo Creatore

Quando io fui catturato, e non mi tenni in guardia da ciò (“ne” = particella pronominale, azione dalla quale
Petrarca non si è messo in guardia)

Poiché i vostri occhi belli, o’ donna (= vocativo) mi legarono.

Quel giorno non mi sembrava tale da dovermi difendere contro i colpi di Amore

“Però” (= “perciò”) me ne andai sicuro, senza sospetto

Per cui i miei guai (= travagli, tribolazioni)

incominciarono/ebbero inizio nel dolore comune.


Amore mi trovò (particella enclitica) del tutto disarmato

(e trovò) la via per gli occhi al cuore aperta

(gli occhi) i quali (= relativa) sono fatti per essere uscio e varco delle lacrime;

per questo motivo, secondo il mio parere non fece onore a lui (pronome che si riferisce a qualcuno =
Amore)

ferirmi con la sua saetta in quello stato

e a voi (terzo referente, v. 4 = donna), che eravate armata, non mostrare neppure l’arco.

L’importanza del sonetto sta nel fatto che racconta il giorno dell’innamoramento, e mostra un aspetto del
“Canzoniere”, il CONTRASTO TRA LA CRONOLOGIA INTERNA DEL RACCONTO e LA CRONOLOGIA “STORICA”,
della realtà, al di fuori della costruzione letteraria, dal punto di vista biografico, e la CRONOLOGIA REALE
TRA LA DATA DI COMPOSIZIONE DELLE LIRICHE. Bisogna ricostruire quando le liriche sono state composte,
cronologia che contrasta con quella interna del racconto. Capire la data di composizione è stata una
questione che si è intrecciata con il capire quando è avvenuto l’innamoramento.

In questo sonetto si può intuire che coincida con la PASSIONE DI CRISTO; nel sonetto 211 si precisa la data,
il 6 APRILE DEL 1327 all’ORA PRIMA (coincidenza diretta con la data di morte di Laura, ora prima del 6 aprile
1348). Gli studiosi hanno visto storicamente se quel giorno fosse effettivamente il Venerdì Santo, mentre i
quell’anno cadeva il 10 aprile – dibattito già da ‘500). Fino ad oggi ci sono varie interpretazioni. P. STOCCHI
nel 1981 propone due ipotesi: o Petrarca ADOTTA UNA TRADIZIONE che fissa una data e basta, per
costruire la sua vita, e la attribuisce alla Crocifissione di Cristo; o Petrarca ha sostituito il 6 aprile con il
venerdì santo, il 10 aprile. In conclusione, la data di composizione del sonetto è fissata nel 1349.

Poi c’è stato un altro studioso, SANT’AGATA, che si è espresso per la seconda ipotesi dello studioso
precedente: Petrarca ha fatto una SOSTITUZIONE SIMBOLICA – coincidenza con la figura di Cristo,
sovrapposta a Laura, fondamentale. Non è d’accordo sulla data di composizione del sonetto, fissata al 1351
o alla primavera del 1352, anno in cui il venerdì santo cadeva il 6 aprila (coincidenza data storica e
letteraria). Tiene anche conto alla datazione della NOTA ABITUARIA, nota che non ha natura letteraria, ha
una datazione in base al codice in cui si trova (?). Tutti gli elementi devono trovare n accordo, una
giustificazione, una logica).

COSTRUZIONE SIGNIFICATO –

1° Quartina:

I primi due versi ci dicono che quel giorno era il giorno della PASSIONE DI CRISTO, indicato on una perifrasi
che si rifà al racconto del Vangelo di Luca, dove al tempo in quel giorno ci fu un sovvertimento cosmico
(terremoto): le tenebre sono scese sulle terra fino all’oscuramento del sole (-> cosa impossibile, la perdita
di luce è motivata dal dolore, dallo strazio subito dal Creatore – “pietà” suscitata dal dolore sofferto da Dio).
Il discorso ci porta a due aspetti: il motivo dell’oscuramento del sole viene utilizzato per indicare la MORTE
DI LAURA (sonetto 275, v. 1 – Laura è un sole che si è oscurato, oscuramento vista e luce – sofferenza
mondo). Questo è uno degli elementi in cui Petrarca ricorre alla mescolanza, alla sovrapposizione tra
SACRO e PROFANO (incontro Laura – passione cristo; morte laura – morte Cristo). Tanto che alla fine il
“Canzoniere” si conclude con la lode alla “Vergine”, dove la Vergine è la figura che si pone da intermediaria
tra Dio e gli uomini (sovrapposizione con Laura).
Si riprende il lessico riconducibile alla METAFORA DELLA CACCIA: Amore è un cacciatore, e la caccia sta a
rappresentare l’innamoramento. La cattura amorosa coglie di sorpresa: la dea e Amore devono agire, e
attendono fino a che non colgono l’uomo di sorpresa (non si possono attuare difese preventive). La cattura
avviene per il tramite degli occhi della donna, attraverso cui passa la bellezza (occhi = funzione in anatomia,
filologia dell’innamoramento; funzione assunta da Petrarca per parlare di lacrime).

2° Quartina:

Richiamo all’effetto sorpresa dell’innamoramento, che avvien nel giorno della commemorazione della
passione della morte di Cristo, giorno che non fa pensare alla possibilità di un incontro amoroso (porta a
penitenza, peccato, preghiera – innamoramento avvenuto in coincidenza con la cerimonia liturgica - senso
di peccato, coincidenza amore-morte). L’innamoramento è presentato attraverso la personificazione di
Amore, che colpisce con saette. Nel dolore comune, universale di tutti i Cristiani si inserisce il DOLORE
PRIVATO del poeta, di tipo PROFANO, è il dolore dell’amore (v. 1-2 – dolore espresso co il ricordo del
sovvertimento cosmico, dolore comune, del Creatore e del creato).

1° Terzina:

Ritorna il lessico della caccia, il “prendere al laccio” (= “legare”); il dio Amore riesce a cogliere il momento
opportuno per cacciare la preda, e Petrarca si trova completamente disarmato, inerme. La via attraverso
cui passa l’amore è la via che dagli occhi raggiunge il cuore, penetra e si impossessa della persona. Gli occhi
sono anche una soglia, una finestra, una porta, un limen di passaggio per le lacrime: di ingresso – le lacrime
entrano perché attraverso gli occhi entra un sentimento d’amore, che darà ardere il poeta e lo renderà
infelice – metafora amore-fuoco; di uscita – le lacrime usciranno nuovamente sotto forma di pianto –
modulo fondamentale, topos occhi).

2° Terzina:

L’Amore non ha comportamento onorevole, o correttezza (colpirlo a tradimento, nessuno si può opporre
alla volontà della dea). Al contrario, c’è un altro motivo tradizionale: la donna possiede le armi per resistere
ad Amore (rappresentazione tipica nella lirica d’amore -> sofferenza d’amore, uno ama e l’altro no), e di
fronte a lei Amore rinuncia anche solo al tentativo di minacciarla.

SONETTO 272 “LA VITA FUGGE, E NON S’ARRESTA UN’ORA”

Tematica fondamentale: cultura filosofica legata alla filosofia della morale e a quella della religione, alla
base della condizione esistenziale che Petrarca ci vuole presentare.

PRAFRASI –

La vita fugge e non si arresta un attimo

e la morte viene dietro a grandi tappe

e le cose presenti e le cose passate mi danno

affanno, e anche le cose future

da un lato e dall’altro mi angosciano il ricordare (le

cose passate) e l’aspettare (le cose future), cosicché

in verità, se non fosse che io ho paura di me stesso,


sarei già fuori da questi pensieri.

Mi torna alla mente se il cuore tristo ebbe mai alcuna

dolcezza; e poi dall’altra parte vedo venti turbati,

avversi al mio navigare;

vedo tempesta nel porto e ormai stanco il mio

nocchiere e spezzati l’albero e le sàrtie

e spenti i bei lumi che solevo guardare.

COSTRUZIONE DEL SIGNIFICATO -

1° slide:

Inafferrabilità tempo, la realtà non ci appartiene (angoscia continua).

2° slide:

l’uomo deve far in modo che l’anima arrivi a quello per guadagnarsi la vita celeste, non il contrario.

3° slide:

Riflessione passato-presente-futuro: mistizia provocata da un forte dolore; “dolce” è UN LATINISMO,


CORRISPONDE A UN AGGETTIVO SOSTANTIVATO, LA “DOLCEZZA”; dal passato ci si rivolge al futuro, e si
vedono “venti turbati” (METAFORA NAVIGAZIONE, VITA COME NAVIGAZIONE – Dante – la vita futura non è
altro che tempeste e temporali, ostili al suo vivere; anche il porto, normalmente approdo, tranquillità,
salvezza, anche lì c’è tempesta. Anche il nocchiere è stanco (= ragione, guida della vita), e sono spezzati
l’albero e le sàrtie, i punti saldi, tengono il tutto, la nave è fatiscente (punti saldi = virtù, quello che rendono
la vita morale salda). I lumi (polisemico = luci che possono indicare la luce delle stelle – metafora
navigazione, ma sono anche gli occhi di Laura). C’è anche un riferimento a GUITTONE (stesse parole:
metafora navigazione – legno, sineddoche per nave; cuore = nave di ogni tempesta, va incontro al
naufragio). Non si ferma, non si arresta, non c’è un attimo in cui non corre verso la morte (PROGRESSIONE
CONTINUA).

LETTERA FAMOSA DELLE “FAMILIARES”

Lettere indirizzate a persone che lui conosceva, che lui pensava come lettere da pubblicare, utilizzate per
fare piccoli trattati sui suoi pensieri; fanno parte della produzione latina, si è già fatto molto, sono state
fatte delle edizioni con traduzione italiana (principio intertestualità – mettere insieme testi diversi per
trovare la CORRISPONDENZA nelle interpretazioni).

XXIV Libro delle “Familiares”, 1° lettera.

Indirizzata a FILIPPO VESCOVONI DE CAVEION (relazioni autolocate), sottotitolata “De inextimabili fuga
temporis” (fuga inafferrabile, che non si riesce a contrastare).
Trent’anni fa (digressione della premessa, ricorda al destinatario che conosce da tanto tempo ciò che è
accaduto -> angoscia, il passato non ha misura – senso percezione del tempo); parla del tempo, ed
enumera tutti i passi degli autori antichi che parlano di questo tema. Tutti non fanno altro che parlare del
tempo che fugge, della vita che è nulla e della morte che sta sempre lì. Trasferisce il motivo nella sua
poesia, all’interno della sua costruzione poetica. Notavo non le decorazioni verbali, ma la sostanza di ciò
che dicevano: l’angustia della vita, la brevità, la velocità, ecc. Lui poi ne trova riscontro nella vita, quanto
allora lui prevedeva è realtà. Vede bene la tanta rapida fuga della vita, appena misurabile con il pensiero.
Più si va avanti, più il tempo alle spalle cresce. Non ci sono età nella vita che abbiano una loro consistenza.
{…}

La lettera si chiude con un richiamo a un passo di Aristotele: una curiosa notizia di un animaletto che vive
un giorno solo

FINIRE!

06/11/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

NICCOLÒ MACCHIAVELLI – tre lezioni.

Coordinate storiche, essenziali notizie biografiche, fondamenti pensiero politico.

 “Il principe” (3 capitoli: Dedica, XVIII Capitolo, XXV Capitolo) + analisi e commento resti selezionati
+ Lettera 10 Dicembre 1513.

Macchiavelli – recezione diversa nelle sue opere d’arte.

Coordinate storiche – importanza, storia intrinsecamente legata alla storia di Firenze, fatti politici e storici
(intera penisola Italiana): 1469-1527. Le date sono simbolicamente importanti: 1469 – Firenze vive una
fase importante, comincia il governo di Lorenzo De Medici; 1527 – Sacco di Roma da parte dei
Lanzichenecchi. Solo riflettere sulla simbologia delle date fa comprendere la densità del periodo storico.

Firenze tra 400 e 500 vive la TRASFORMAZIONE POLITICA, gradualmente dall’istituzione della REPUBBLICA
al PRINCIPATO (famiglia De Medici). La fase più prestigiosa è quella di Lorenzo (1469-1492 – Lorenzo
mecenate, punto di vista politico e culturale, fase di giovinezza di Macchiavelli). Dopo la morte di Lorenzo, il
principato viene ereditato dal figlio Piero (principato effimero), e dopo la cacciata dei Medici comincia la
fase Repubblicana, con al Repubblica di Savonarola (1494-1498), poi la repubblica di Pier Soderini (1498-
1512).

Cosa ha fatto Macchiavelli? È stato segretario della seconda cavalleria, si è occupata di affari esteri. Nel
1512 i Medici tonano a Firenze, prima con Giuliano De Medici, fratello di Piero e poi con Lorenzo De Medici,
nipote del Magnifico. Anche questa è una fase delicata della vita di Macchiavelli (1508-1512 attività poetica,
1513-1515 attività letteraria, 1527 parentesi repubblicana, poi di nuovo mano Medici).

Notizi biografiche: figlio di Bernardo Macchiavelli e di Bartolomea Nelli, di famiglia aristocratica decaduta,
trascorre infanzia e giovinezza sotto Lorenzo De Medici, sarà poi oppositore di Savonarola. Nel 1498 inizia
l’attività politica, prima di allora non sappiamo quasi nulla. Le poche notizie le abbiamo dal libro dei ricordi
del padre Bernardo – educazione di carattere umanistico, non conosceva il greco. Durante la giovinezza ha
ricopiato il “De Rerum Natura” di Lucrezio (formazione culturale). Ma c’è un vuoto. Nel 1498 entra in
politica, prima come segretario della Seconda Cancelleria – politica interna, poi nominato nella
Magistratura dei Dieci – attività politica intensa ed estera, è un ANIMALE POLITICO (anni di esclusione
forzata dalla politica molto sofferenti), durante i quattordici anni di attività politica compie missioni
diplomatiche in Francia (1500-1502) e presso il Cesare Borgia (duca valentino figlio del papa Alessandro VI –
personaggio importante, modello di principe virtuoso -> qualità non appartenente al campo semantico
della morale, per lui è altro). Cesare Borgia fu spietato, cercò di costituire un unico stato, ma non ci riuscì.
Lo addita come ESEMPIO DI PRINCIPE VIRTUOSO, non aiutato dalla fortuna (Capitolo VII del “Principe” –
Cesare Borgia ha fatto tutto quello che poteva fare, l’unica cosa che non poteva prevedere per di ammalarsi
<- errore: fare eleggere suo avversario politico Giulio II sul trono pontificio, acerrimo nemico). Ci sono due
categorie importanti del pensiero di Macchiavelli: VIRTÙ e FORTUNA. Nel 1506 riceve l’incarico da Pier
Soderini di costituire una MILIZIA CITTADINA (importanza indipendenza stati dalle milizie mercenarie –
bisogno di apprezzarsi militarmente, costruendo eserciti autoctoni – importanza di armi proprie). Nel 1512
cade la Repubblica di Pier Soderini e arriva Giuliano De Medici (fine carriera politica di Macchiavelli –
spodestato e arrestato, perché sospettato di simpatizzare con una congiura contro i Medici – liberazione
nel marzo 1513, andrà in esilio a Sant’Andrea e si farà da parte).

 1508-1512 – attività politica.


 Anni successivi, 1513-1525 – attività letteraria, si nutrirà del ricordo della sua esperienza politica:
“Il Principe”, “I Discorsi sopra la prima decade di Livio”, “La Mandragola”, “L’arte poetica”, “Le
Storie Fiorentine”.

Nel 1527 scendono i Lanzichenecchi in Italia, e in seguito alla sconfitta del papa si vive la temporanea
restaurazione della repubblica. Ebbe ricadute sociali, politiche, psicologiche – saccheggio: un rande certezza
è ormai crollata).

Pensiero politico: quali sono le sue fonti? Le pere più importanti, “IL PRINCIPE” e “I DISCORSI SOPRA LA
PRIMA DECADE DI TITO LIVIO” (1513-1518), tre libri, oggetto: Repubblica. Macchiavelli è un repubblicano
sul piano politico, tanto è vero che studiosi come Gennaro Sasso dicono che si trova il suo pensiero nei
DISCORSI che includono anche la trattazione monarchica del PRINCIPE. I discorsi contengono la trattazione
più organica. Oggetto dei discorsi è la REPUBBLICA. L’opera nasce come commento alla lettura e allo studio
dei primi dieci libri dell’AB URBE CONDITA d Tito Livio. Altra grande opera è “Il Principe”. Ci sono due
possibilità di datazione: 1513-1514, o 1513-1518.

Cos’è? L’opera più importante di Macchiavelli, per la quale lui è conosciuto e deve la sua fortuna,
problematica. Ha creato scandalo, già nel 500 nasce una linea politica ANTI MACCHIAVELLIANA (Botero –
“Della ragion di Stato”), professa idee che nessuno era stato in grado di esplicitare, rifermenti di condotta
dell’uomo politico. Molti politici si vantano di ave letto e meditato sul “Principe”, diventato un riferimento –
non circoscritta alla dimensione letteraria e culturale – per tutti, che va oltre. La sua fortuna è importante.
“Il Principe” è un trattato di 26 capitoli, che ha per oggetto a differenza dei discorsi il principato o
monarchia. Per semplificare: il pensiero politico di Macchiavelli ha una duplice inclinazione: riflette su
REPUBBLICA e PRINCIPATO, pur essendo di fede repubblicana. Perché? Perchè i tempi non sono pronti per
la repubblica, non è possibile istituire ex novo una repubblica – il principato dovrà esser poi traghettato
verso la repubblica (il principe, ma anche il pensatore deve adattarsi ai tempi) -> PRINCIPATO. La repubblica
ha bisogno di tempi più lunghi, ma il principato di Macchiavelli deve trasformarsi in repubblica, è un
principato a sfondo popolare.

Macchiavelli è consapevole che i tempi non sono pronti per la repubblica, riflette sulla crisi del suo tempo
(PENSIERO DELLA CRISI), gli stati italiani vivono la DESTABILIZZAZIONE, l’Italia è anello debole dell’Europa
(crisi stati italiani dinnanzi all’affermazione in Europa di stati nazionali – cruccio: rivendicazione stato
italiano forte – XXVI Libro del Principe, addita Lorenzo De Medici come promotore azione politica).
L’esperienza politica lo rende consapevole della crisi del tempo: politica (frammentazione italiana, stati
nazionali europei, invasione + discesa Carlo VIII in Italia nel 1384, tentativo di equilibrio), militare (Italia
dipende da truppe mercenarie – elemento punto debole politica italiana), morale (perdita valori antichi –
discorsi). Alla luce di questa crisi di cui lui fa diretta esperienza come politico, lui tenta di uscirne e con “Il
Principe” tenta di fornire gli termini per fronteggiarla. Macchiavelli non è umanista, ma di certo lui ha
ancora qualche elemento tipico dell’Umanesimo – speranza, fede dell’intellettuale come capace di
intervenire sulla realtà, sulla vita pubblica (contributo). Ma il vero pensiero di Macchiavelli è quello che
sgorga dalla vita reale, tenta di uscire dalla crisi. “Il Principe” non è che una GUIDA PER LA SOPRAVVIVENZA
DI UNO STATO, dell’uomo politico, un manuale sull’arte del governatore. In particolare, si sofferma su qesti
aspetti nella seconda parte, dove delinea i comportamenti che il principe deve adottare per sopravvivere ed
evitare sconti (il principe, se necessitato, deve compiere il male per il bene pubblico – scandalo Gesuiti, va
contro morale cristiana che il principe dovrebbe avere <- assunto incompatibile con la trattatistica politica
di stampo cristiano). È una guida per la sopravvivenza del politico e dello stato, un’opera in cui Macchiavelli
rifonde tutta la sua speranza. È anche un’OPERA UTOPICA (XXVI Capitolo – esorta alla costituzione di uno
stato unitario <- dimensione utopica, speranza). È necessario per cominciare a porre argine alla potenza
straniera in Italia.

OPERA SULL’ARTE DI GOVERNARE, ma anche OPERA MILITANTE, con cui Macchiavelli interviene sullo
scenario politico.

Ci sono due forze nel trattato di Macchiavelli: la LUCIDITÀ, il RIGORE, e l’UTOPIA, lo SLANCIO. Non è solo
analista, lucido e critico, ma è anche animato da forte passione politica.

L’opera risente del momento storico-politico, ed è il principato la forma che i tempi rendono possibile.
Perché Macchiavelli è importante? È, dopo Dante e Petrarca, l’autore più studiato all’estero, molto più di
Leopardi. Segna una SVOLTA nella filosofia politica, è il fondatore della POLITICA come SCIENZA A SE’,
AUTONOMA. Per capire le leggi dell’agire politico dobbiamo fondarci sulla fenomenologia dell’agire politico
stesso, non si può pensare di governare con precetti morali idealistici. La politica obbedisce a leggi
specifiche, Macchiavelli ne spiega le forze intrinseche e leggi. Macchiavelli è fondatore perché: la politica
deve esser sganciata dalla morale cristiana; non è possibile sempre seguire i dettami della morale; il
principe deve essere valutato non in base alla sua CAPACITÀ DI RISPECCHIARE I VALORI DELLA MORALE, ma
in base agli OBIETTIVI, AL SUCCESSO DELL’AZIONE POLITICA.

Non deve giustificare nulla. Nel XVIII Capitolo de “Il Principe” Macchiavelli dice che se il principe vince, il
popolo loderà i mezzi, ma non c’è giustificazione dei mezzi, è un tentativo sottile di interpretare il passo
citato. Se il principe vince, sarà lodato.

“Il fine giustifica i mezzi.” -> Chi lo ha detto? Genealogia della massima.

Se è necessario, il principe dev’essere anche crudele e malvagio, mentitore, simulatore e dissimulatore, non
deve avere tutte le qualità, ma intendere di averle. Dev’essere non solo uomo ma anche bestia, a volte
volpe a volte leone; il principe deve usare questi sentimenti perché deve far fronte a uno scenario
politico/umano malvagio. secondo Macchiavelli gli uomini sono malvagi, il principe deve essere in grado di
adattarsi alle situazioni, essere flessibile – dev’essere in grado di adattarsi a situazioni e tempi. Si è parlato
di PESSISMISMO, crede nella malvagità degli uomini. “Il Principe” non è solo un trattato politico, ma anche
un’OPERA ANTROPOLOGICA, che riflette e analizza la natura umana.

Fondamenti pensiero politico: svolta alla tradizione – prima di lui i trattati delineavano il principe ideale che
mette in pratica i valori di morale classica e cristiana. È RIVOLUZIONARIA perché nel XV capitolo dice di
basarsi sulla “VERITÀ EFFETTUALE” della cosa, la sua riflessione si radica sulla riflessione dell’AGIRE
POLITICO, non sull’immaginazione di essa. Fondamenti: l’insegnamento politico si fonda sulla conoscenza
delle leggi di natura e storia, in particolare le sue fonti sono l’ESPERIENZA DIRETTA – Macchiavelli
osservatore dei comportamenti umani, dei processi naturali, fonti ideali natura e storia.
Dedica: nella dedica del principe il frutto del trattato è l’ESPERIENZA DIRETTA DELL’AGIRE POLITICO DEGLI
UOMINI, ma crede anche nel VALORE UNIVERSALE DEI CLASSICI (capaci di fornire ancora modelli). PRATICA
POLITICA + MODELLI CLASSICI – ESPERIENZA POLITICA + STUDIO CALSSICI.

 DEDICA “IL PRINCIPE”.

Lo studio dei classici: Macchiavelli crede, a differenza di Guicciardini, che i classici possano ancora proporre
modelli di comportamento universale (formazione di stampo materialistico - storici: Tito Livio). Le due fonti
sono quelle che legittima la competenza politica, l’autorità della sua trattazione politica: la STORIA sia come
AGIRE POLITICO sia come STORIA CULTURALE (osservazione realtà -> deduzioni comportamento politico –
verità effettuale della cosa, l’osservazione parte da base empirica – osservazione realtà, SCIENTIFICA +
MODELLO ANTICHI). Lo studio dei classici, sapere come gli uomini antichi si sono comportanti permette di
avere modelli ancora validi, perché Macchiavelli crede che l’uomo sia sempre lo stesso (cambiano solo i
dettagli). “Se l’uomo è portato per natura a imitare – VI Capitolo – a questo punto è meglio imitare i
grandi”. Due riferimenti sono l’IMITAZIONE – PRINCIPIO ANTROPOLOGICO/BIOLOGICO, forza
caratterizzante con l’ADATABILITÀ (contraddistingue esseri umani).

Le due categorie di pensiero: se leggiamo “Il Principe” e “I Discorsi”, incontriamo le categorie di VIRTÙ e
FORTUNA. Un grande autore si incontra attraverso grandi categorie di pensiero: Leopardi – natura e
ragione, Manzoni – vero, etc. Macchiavelli desume le categorie dai classici. Ciò garantisce la capacità di
entrare nelle pieghe del testo de “Il Principe”: la FORTUNA è vox media, è “CASO, SORTE, VOLGERE CIECO
DEGLI EVENTI” situazioni che si vengono a creare per il confluire delle azioni. Nella fortuna si intrecciano le
decisioni umane, ma anche ciò che loro non riguarda, la natura (es. Borgia – figura tragica, scacco uomo
come artefice del proprio destino). “Il Principe” è un’opera tragica, tentativo di governare i capricci della
fortuna. Macchiavelli è umanista nella misura in cui sa che l’uomo deve fare i conti con la fortuna, che è
nocciolo del principe. L’opera è un tentativo di fornire insegnamenti che possano salvare l’uomo politico dai
capricci della fortuna, di gran lunga superiore a “Il Principe” (non tutto è nelle mani dell’uomo, per quanto
lui possa prevedere – Cacciari, “La mente inquieta”, Macchiavelli pensatore tragico). L’uomo può solo
contenere i danni e addomesticare la fortuna nei limiti del possibile. È un incontro della FORZA DELLA
FORUNA, ci sono pochi slanci positivi. La fortuna è la sorte, il volgere cieco degli eventi rispetto al quale
l’uomo deve esser virtuoso. La VIRTÙ non afferisce al campo della trattatistica morale e religiosa, il virtuoso
è un principe con determinate caratteristiche. Leggendo il trattato non dobbiamo pretendere da
Macchiavelli il rigore sistematico di pensatori come Hobbes, Locke, nella sua opera noi troviamo
oscillazioni, Macchiavelli vuole dare delle soluzioni (opera che porta il lettore a interrogarsi sull’opera
stessa). La virtù è la capacità di cogliere l’occasione che ti dà la fortuna, il principe virtuoso la coglie e
agisce, ma è anche la capacità di previsione e calcolo di ciò che può accadere (principe = personaggio in
grado di prevedere scenari politici), e cosa importante, un principe virtuoso è capace di adattarsi alle
situazioni, sapendo essere bestia e non solo uomo (riscontro con i tempi). Queste sono le declinazioni del
concetto di virtù del pensiero politico di Macchiavelli soprattutto ne “Il Principe”.

In che grado possiamo autodeterminarci nella vita? Solo fino a un certo punto, non possiamo prevedere
tutte le situazioni, la fortuna è superiore alla nostra capacità di AUTODETERMNAZIONE.

Nel suo pensiero politico si possono riscontare principi che afferiscono al campo antropologico e biologico.
Una delle fonti è la NATURA e la sua OSSERVAZIONE. A una lettura attenta, Macchiavelli enuclea la
dimensione naturale in alcuni principi: nel VI Capitolo parla di IMITAZIONE – principio azione umana,
antropologico, che caratterizza l’uomo dalla nascita alla morte, e vale anche perché la politica –
predisposizione ad imitare, meglio i grandi uomini del passato; l’ADATTABILITÀ – Darwin, teoria
dell’evoluzione – il principe deve sopravvivere in uno scenario politico caratterizzato dalla variazione, deve
sopravvivere in un contesto di guerra tutti contro tutti, tutti i mezzi e le azioni sono leciti per la
sopravvivenza. Macchiavelli dice che il principe è tenuto ad applicare tutti gli strumenti per la sopravvivenza
politica, e per garantire alla comunità la sopravvivenza (adattamento alle situazioni + azione, arditezza
d’animo, ma anche situazioni di rispetto, di cautezza). Il principe ideale secondo Macchiavelli deve essere
all’occorrenza IMPETUOSO e RISPETTOSO; in parte contraddice ciò che si è appena detto. Altro principio è
l’UGUAGLIANZA, FISSITÀ, PREVEDIBILITÀ dei comportamenti umani – Macchiavelli dice al tempo stesso che
un politico/principe ha difficoltà nell’adattamento alle situazioni (riscontro di una DRAMMATICA
PREDISPOSIZIONE DELL’UOMO ad assumere comportamenti stabili, uguali, fissi); un principe crede nel fatto
che se una volta è andata bene, andrà sempre bene (stessa strategia). Allora come si spiega l’adattabilità?
La capacità di adattamento del principe è il top, ma nella realtà dei fatti il principe segue sempre la stessa
strategia: data la loro fissità, è meglio essere IMPETUOSO che RISPETTOSO – clausola del XXV Capitolo del
Principe, misogina. C’è una simbologia sulle raffigurazioni della Fortuna, donna, dinnanzi alla quale è meglio
esser impetuosi. Altro grande principio è la MALVAGITÀ dell’uomo, per cui bisogna mettere in campo tutti
gli strumenti per il bene proprio e comune (PESSIMISMO MACCHIAVELLIANO).

Questi sono punti interessanti, riconducibili alla SFERA ANTROPOLOGICA e BIOLOGICA.

XXV Capitolo – scontro polarità FORTUNA – fiume in piena, alzare gli argini nei momenti di pace, per poterla
affrontare; ma se non si ha lavorato, la fortuna è spietata + concetto della componente naturale – e VIRTÙ.
L’opera è drammatica per questo, per la componente naturale: si cerca di fornire all’uomo politico ciò di cui
ha bisogno per sopravvivere.

“Il Principe” o “De Principatibus”: unica notizia che abbiamo sulla sua composizione è nella “LETTERA DEL
10 DICEMBRE 1513 A FRANCESCO VETTORI”, non sappiamo altro. Per questo i critici si sono interrogarti
sulla sua datazione: alcuni lo collocano tra il 1513 e 1514 (2013 – ricorso dei 500 anni dalla composizione) –
GENNARO SASSO e GIORGIO INGLESE; poi altri, come MARIO MATELLI, propende per 1513-1518 (ritorno
frequente, ci sono ance delle contraddizioni, cosa che non tornano). Macchiavelli, come pensatore politico,
include anche forze e tensioni che non si riescono a risolvere.

Struttura: la DEDICA, la PRIMA PARTE – 1 (Prologo, procedimento dilemmatico) - Primo Undicesimo – parla
dei principati e delle tipologie: ereditari, nuovi, e i modi di conquistarli, assumerli, e poi mantenerli. Sasso si
è accordo di una coincidenza: nella Lettera c’è una corrispondenza. La SECONDA PARTE – 12-14 – tema
milizie; TERZA PARTE – come si deve comportare il principe (scandalosa); capitoli 24-25 – situazione politica
italiana/rapporto virtù-fortuna; capitolo 26 importante finale alla costituzione dello Stato italiano.

07/11/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

 Info organizzazione settimana prossima e prova intermedia:

La prossima settimana non c’è lezione giovedì 14 novembre.

Settimana seguente regolare.

Dal 25 al 29 novembre no lezione.

5 dicembre – CONVEGNO alla BIBLIOTECA MOZZI BORGETTI su “Le traduzioni dell’Infinito”.

Prova intermedia di verifica: MERCOLEDÌ 11 DICEMBRE (4 ore), ogni gruppo ha un’ora di tempo per la
prova, quattro domande a risposta aperta con una risposta di max 3 righe (oggetto: tutto ciò detto sugli
autori, ma non i testi che leggiamo, mentre le introduzioni non saranno richieste esplicitamente – lavoro
sommario -> esame orale), non serve l’integrazione con il manuale.

Bisogna presentarsi!
Esame orale: verifica storia letteratura + parte domande testi letti (lettura, spiegazione, commento).

Rapida ricapitolazione: coordinate storiche (400-500), notizie biografiche Macchiavelli, illustrazione punti
essenziali pensiero politico (“Il Principe” e i “Discorsi”), {…} componenti antropologiche-biologiche del
principe (contraddizione al XXV Capitolo), idea natura umana (pessimismo Macchiavelliano).

STRUTTURA DE “IL PRINCIPE”

Macchiavelli non è un pensator sistematico (pensiero coerente), ma ci sono anche nodi irrisolti e
contraddizioni, tipiche del pensiero che ‘rincorre la vita’, cerca di stare al passo ma è incalzata dalla vita
stessa. Essendo un’opera militante, non sempre i conti quadrano. Si divide in linea di massima (divisione
convenzionale, didattica, ci sono anche sottosezioni) in: DEDICA, PRIMA PARTE (1-2), SECONDA PARTE (15-
18 – principi nuovi, che si trovano ad affrontare i temi della situazione contemporanea), CAPITOLI 24-25,
ESORTAZIONE FINALE.

Dimensione filologia de “Il Principe”: qual è la tradizione che il Principe ha? Le informazioni che abbiamo
sono tratte da uno studioso (scritto sotto la slide), una peculiarità della redazione critica italiana. Tradizione:
nella filologia è l’insieme di testimoni che tramandano un’opera, possono esser manoscritti o a stampa.
Tradizione manoscritta: è pubblicato postumo nel 1532, prima edizione a Roma poi a Firenze. Prima
dell’edizione a stampa ci fu una circolazione manoscritta. Definita da Inglese TRIPARTITA; tre capostipiti:
CODICE D (biblioteca universitaria Monaco, CODICE G (Gota), CODICE Y. L’ultimo avrebbe dato vita
all’ANTICA VULGATA (tratte delle copie che avrebbero dato vita a una tradizione 1915-1932, che svanisce
con la stampa); da questo derivano altre due famiglie: ALFA – codice Y, dedica capitolo XI, e dipendente per
il resto da Beta - e BETA – deriva dal Codice Y - e il CODICE M (Biblioteca Marciana di Venezia). D e G
attesterebbero attestazioni più avanzate rispetto a Y. Comunque il tutto è ancora oggetto di critica e
opinione.

Testo critico: testo filologicamente stabilito.

La tradizione n è molto complessa, però il dibattito sul testo critico è ancora discusso. Fissato un test critico,
non è finito lì, è una “proposta di lavoro” (Contini).

Composizione principe e LETTERA 10 DICEMBRE 1513 (testo):

È uno dei testi più belli della letteratura italiana, per freschezza narrativa e spontaneità. È una descrizione
della giornata tipica di Macchiavelli durante il suo esilio a Sant’Andrea (1513, dopo caduta repubblica
Soderini nel 1512; liberazione a marzo, ma decide di farsi da parte). È l’unica testimonianza di
composizione: nella prima parte Macchiavelli si rassicura sulla ragione per cui non ha più avuto notizie su
Vettori – rappresentante Santa Sede, tramite mondo Mediceo (che vedeva Macchiavelli esponente fazione
repubblicana). Dato che Vettori ha raccontato lui della sua giornata tipo, anche Macchiavelli lo vuol fare.

Macchiavelli si è interrogato sul perché l’ambasciatore non gli abbia più scritto, e non vorrebbe che la causa
fosse la conservazione gelosa delle sue lettere, che mostra solo a poche persone. Ha riavuto la sua grazia il
23 novembre dell’anno passato, e de è stato contento di constatare come, senza darsi troppo da fare,
Vettori svolga il suo ufficio, e lo esorta a continuare: chi mette da parte i suoi affar per quelli degli altri,
perde i propri, e dei servigi ad altre persone non ha riconoscenza.

Riferimento FORTUNA, padrona del mondo.

Nella prima parte: la Lettera è divisibile in tre parti, nelle quali sia articola a giornata di Macchiavelli a
Sant’Andrea: occupazioni mattutine, primo pome e tardo pome.

Nella prima parte: si sveglia all’alba - quindi la mattina si dedica alla caccia dei tordi per tutto settembre, va
a far tagliare la legna nel bosco (aspetto peculiare Macchiavelli nell’esilio: uomo A CONTATTO CON LA
REALTÀ QUOTIDIANA, ASCOLTA E OSSERVA COMPORTAMENTI UOMINI SEMPLICI), poi a una fonte dove
mentre sorveglia le sue trappole legge classici, poi prima di pranzo va in un’osteria dove chiede notizie agli
avventori (clima comico-realistico, da commedia – Macchiavelli si intrattiene a giocare con persone del
popolo, prova PIACERE NELLA DEGRADAZIONE -> sfogo alla malignità della Fortuna, modo per ‘sentirsi
ancora vivo’, richiamo alla fortuna). Poi un MOMENTO CRUCIALE: venuta la sera c’è un cambio di registro,
dalla commedia di mattinata e pomeriggio viene espletato un rito, di togliersi la veste quotidiana per
indossare panni ‘regali e curiali’, per appropinquarsi allo studio dei classici (LETTURA CLASSICI = APERTURA
A TEATRO MENTALE MACCHIAVELLIANO). È un processo di sublimazione che viene dallo studio dei classici.
Se nella prima parte il registro è comico-realistico – Macchiavelli guarda e vive il popolo – e in mattinata
legge POETI ELEGIACI, la sera veste panni reali, il clima è solenne, si dedica la sera alla LETTURA DEGLI
STORICI (soprattutto Tito Livio).

GERARCHIA DI GENERI? Certamente per Macchiavelli sono più importanti gli storici, gli elegiaci hanno la
funzione di tenerlo occupato mentre sorveglia altre cose, ma la questione resta aperta. “Il Principe” è
un’opera di grado fortuna, anche se controversa, si è prestata a molte attualizzazioni. I classici vanno
studiati rispetto al proprio tempo -> cautela verso attualizzazioni. “Il Principe” e i “Discorsi” nascono da
un’ATTUALIZZAZIONE DEI CLASSICI, quindi la nostra prudenza è in realtà una sensibilità moderna
(Macchiavelli – rapporto diverso con classici). Dev’essere fatta una distinzione verso il rapporto dei classici:
il riuso, per farne qualcosa di nuovo; qui c’è l’esigenza di Macchiavelli di capire i meccanismi di Tito Livio, e
capire quanto siano universali e riproponibili (quando capisce che ci sono dei fondamentali, l’applicazione al
proprio tempo è una riattualizzazione, senza tradire la propria base, i concetti vigenti nei propri tempi).
L’uso attuale ha invece un carattere più estorsivo, la funzione è diversa dal punto di vista estetico.

 “Il Principe”: opera politica, ma anche di natura umana – Macchiavelli antropologo, si nutre
dell’osservazione dell’agire umano.

Macchiavelli non è un’umanista, ma lo è in un ceto senso nel momento in cui legge i classici (modelli di
orientamento nel presente).

Notizia principe: partizione nel sommario dei Capitolo I de “Il Principe”. Perché Macchiavelli non porta a
Vettori anche gli altri capitoli? Il Principe non era forse stato all’epoca integralmente composto? Alla prima
decade di dicembre forse fu composto fino all’undicesimo capitolo (dilatazione datazione principe 1514),
l’opera è rivolta a un principe nuovo, è in fieri (work in progress), il Vettori leggerà solo una parte dell’opera
(composizione non ancora integrale). Successivamente dice che pensava di inviarlo a Giuliano De Medici,
ma ha il timore che qualcuno possa attribuirsene la paternità.

La lettera fornisce una sorta di guida del principato, e manda a un destinatario che dev’essere un principe
nuovo (idea successiva di inviare l’opera a Giuliano De Medici, dedicatario opera, poi Lorenzo De Medici,
nipote di Lorenzo Il Magnifico); alla fine c’è una bella constatazione dell’esperienza politica macchiavelliana,
soprattutto alla corte del Duca Valentino (RIVENDICAZIONE PROPRIA COMPETENZA POLITCA). Scrive “Il
Principe” e lo invia a Giuliano per reinserirsi nel circuito politico, e accreditarsi di fronte a questi personaggi.
È stato fedele finora, non può mutare a quarant’anni (FISSITÀ COMPORTAMENTI UMANI), e la sua attività di
politico non è stata data per incamerare danari (vita parca, modesta).

Rivendicazione CONDIZIONE TECNICO POLITICO + rivendicazione ONESTÀ, BUONA FEDE.

DEDICA: l’opera doveva esser dedicata a Giuliano De Medici, figlio di Lorenzo Il Magnifico; poi viene
dedicata a Lorenzo De Medici, nipote del Magnifico (-> cambio di idee successivo al 1513, composizione
trattato, ma anteriore al 1515).
Cosa contiene il libello presentato come dono? La COGNIZIONE DELL’AGIRE UMANO, in particolare quello
degli uomini politici, imparato con i quattordici anni della Repubblica di Soderini (attività politica) e con lo
studio dei classici.

È il dono più importante che lui può fare, il più prezioso, è qui che ha concentrato tutto ci che ha imparato
sula politica, anche attraversando pericoli.

[2] All’interno della dedica c’è una DICHIARAZIONE DI POETICA: l’opera non presenta uno stile elevato, “Il
Principe” è presentato come opera ANTIRETORICA, che a Macchiavelli non interessa abbellire il testo sul
piano formale, vuole dilettare il lettore attraverso le cose, la materia, la varietà delle cose stesse. A onorare
l’opera DEVONO ESSERE LE COSE, e la dedica rivendica il primato delle cose (centro opera: insegnamento
cose) sulla forma. Poi c’è una diminutio, Macchiavelli si difende dall’accusa di ubris (bassa condizione, ha a
pretesa di parlare di principati), vi si difende con la similitudine letta dopo. Dice che la conoscenza necessita
della distanza dall’oggetto che si intende conoscere, la distanza è dimensione della conoscenza (indicazione
epistemologica: distanza necessaria tra chi scrive e l’oggetto di cui si intende scrivere).

[3-4] Cosa contiene la dedica? Macchiavelli la presenta come “dono più importante che lui potesse fare a
un principe”, “Il Principe” è la testimonianza più alta della sua fedeltà e servitù, è un trattato in cui
condensa la sua conoscenza degli uomini attraverso l’esperienza politica, delle cose moderne e lo studio dei
classici. Le due fonti sono state oggetto d profonda meditazione. Nella dedica c’è una dichiarazione di
poetica, lo stile dell’opera non è ricercato o elegante, il primato è riconosciuto alle cose, al subietto (=
oggetto di cui si parla), la varietà della materia è la sua gravità. Si difende dall’accusa di presunzione
dicendo che è necessaria la distanza dall’oggetto di cui si parla. Questo è il nocciolo.

È certo che, come dice Macchiavelli steso alla fine, lo scopo della scrittura in qualche modo è dichiarato alla
fine: spinta di natura politica ed esistenziale, vuole rientrare nel panorama politico de tempo. Ha patito le
sue disgrazie. Riuscirà poi a riaccreditarsi in parte, ma poi gli capiterà che una volta restaurata la repubblica
a Firenze, si riperderà.

 UOMO TECNICO DELLA POLITICA, APPASSIONATO, che indipendente dalla forma politica vuole
stare nel gioco.

Lui non è un cortigiano, la sua attenzione è rivolta alla COSA PUBBLICA, non ha chi la detiene (il trattato
s’intitola “De Principatibus”).

Introduzione Capitolo XVIII – il più scandaloso, rientra nella sezione che trattano i comportamenti del
principe, come si deve comportare alla luce della crisi italiana. Di cosa parla? Del modo con cui bisogna
MANTENERE FEDE AI PATTI. Mi è venuto in mente un precedente letterario sulla FEDE AI PATTI (“I patti
vanno rispettati” = sunto giurisdizionalismo): XXVII Canto Inferno, Guido da Montefeltro, convocato da
Papa Bonifacio VIII, che gli chiede il segreto del successo politico – “in politica bisogna dire molto e
mantenere poco”). È un precedente; Machiavelli dice che i patti è preferibile rispettarli, però a seconda
delle circostanze, i patti per un bene più grande si possono anche non rispettare.

 Importanza concetti VIRTÙ e FORTUNA.

La fortuna è la forza cieca, sorte, caso, verso il quale bisogna difendersi, attuare tutti i mezzi possibili per
contrastarla (fortuna di gran lunga superiore). Macchiavelli dice che allora tutti i mezzi sono leciti per la
sopravvivenza del principe e dello stato, nel “Il Principe” si consuma tragicamente una lotta per la
sopravvivenza. I rivoltamenti storici-politici cambiano i parametri della politica, e i a questi bisogna cercare
nuovi metodi di sopravvivenza. Uno dei capitoli scandalosi, dice ciò che nessuno ha detto prima.

È lecito a un principe non mantenere la parla data, è inviolabile il pacta sunt servanda? “Che i patti vadano
rispettati è cosa lodevole, cha debbano rispettarsi tutta osano intenderlo, ma nondimanco (Macchiavelli
TEORICO DELL’ECCEZIONE) le cose moderne ci insegnano che i principi che non hanno rispettato i patti
hanno avuto più successo di chi l’ha fatto”, perché sono saltati i parametri del tempo. È il primo a dire
“pacta non sunt servanda”, ma non in modo arbitrario, nel momento in cui cambiano le condizioni con le
quali sono state stipulati.

[1] La storia recente ci insegna che i principi che non hanno rispettato i patti hanno avuto più successo di chi
li ha rispettati. Abbiamo in luce dei principi che verranno detti dopo: la politica è una lotta per la
sopravvivenza, dove vigono le leggi dello stato di natura, quindi ogni mezzo è lecito.

[2] Come combattere in politica? Due generazioni, due modi di combattere: le LEGGI – proprie degli uomini,
e la FORZA – propria della bestia. Devono esser CONCILIATI, il principe è una figura originale, dev’esser
uomo e bestia) PRINCIPE VIRTUOSO = colui che si riscontra con i tempi, si adatta alle situazioni).

PRINCIPE = FIGURA ORIGINALE che deve saper CONCLIARE le modalità.

Anche gli antichi lo dicevano, sotto forma di allegoria (centauro precettore di Achille: educare a dimensione
umana e animale). Il principe nuovo deve saper operare come uomo e bestia.

[3] Uomo che dev’essere, se bestia, golpe – astuzia, capacità d riconoscere i lacci – e lione – forza, sa
spaventare i lupi. Se si è ASTUTI si possono conoscere i lacci degli avversari politici. Il ragionamento non è
sfilacciato. È più importante esser golpe che lione perché gli uomini sono malvagi, la loro malvagità fa sì che
nella pratica politica i patti siano anche non rispettati. Allora bisogna attrezzarsi di conseguenza, essere
anche predisposti eventualmente a non mantenere i patti qualora questi si ritorcano contro di noi, contro la
comunità, per “la ragion di Stato”.

Si è tirato dietro strali e polemiche, ma ciò che si ritrova nel principe è ancora riscontrato in politica. Molti
politici attuali se ne vantano.

Allora il principe deve saper “colorire l’inosservanza”, dev’essere simulatore – colui che fa finta che una
cosa sia o non sia - e dissimulatore – nasconde pensieri e sentimenti propri all’interlocutore, facendo
credere il contrario (es. di Macchiavelli: Papa Alessandro VI, il padre di Cesare Borgia – inganno uomini ->
grande governante perché ha saputo dissimulare). Il principe ha così gioco facile perché gli uomini sono
ingenui, credono nella buona fede, il politico smaliziato ha buon gioco perché gli uomini sono cattivi ma
anche semplici, ingenui.

08/11/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

Siamo nel cuore del nostro percorso, entriamo nel pineo della trattazione sui concetti di virtù e fortuna,
soprattutto nel Capitolo XXV, nocciolo dell’opera in cui già si rivela quello slancio che ci porterà al capitolo
XXVI.

Capitolo XVIII: “In che modo debba essere rispettata la parola.”

Macchiavelli mete in discussione uno dei fondamenti della tradizione giurisdizionalista, tra i quali la
proposizione-principio “pacta sunt servanda”. La trattazione inizia con questo tipo di questione.
Macchiavelli autore d’eccezione: parte dalle idee della tradizione e inserisce la sua opinione che si fonda
sull’ECCEZIONE.

Dalla discesa di Carlo V in Italia la situazione è destabilizzata, saltano tutti i riferimenti alla prassi politica e
bisogna modificare la configurazione politica del principato.
Di conseguenza, come deve un principe combattere? Quali armi, quali strumenti ha? Esistono “dua
generazione di combattere”: le LEGGI – proprie dell’uomo, e la FORZA – propria delle bestie. Un principe
virtuoso – capace di adattarsi alle situazioni, cogliere la fortuna e prevedere gli eventi – sa contemperare
uomo e bestia (figura centauro Chirone). Il principe deve usare la testa, ma se è il caso anche la forza, tutto
per un bene superiore e comune. Essendo necessitato a essere bestia, quale particolare comportamento
animale del principe deve assumere? Deve esser “sia golpe che lione” (simbologia medievale: furbizia e
forza – “riconoscere i lacci”, gli inganni degli avversari politici, e “sbigottire i lupi”), è una qualità di
estrazione antropologica, sociale, biologica. Forse nella trattazione macchiavelliana è più importante esser
golpe, perché gli uomini sono malvagi (Capitolo XVIII – malvagità umana <- non è una trattazione
sistematica, è un pensiero che ricorre la vita e affronta la crisi, cade in qualche sviluppo concettuale che non
necessariamente rientra con ciò detto in precedenza – pensiero con questioni irrisolte, polarità, non s trova
conciliazione – malvagità umana, principe golpe vs principe simulatore e dissimulatore). Bisogna essere
golpe per intercettare astuzia e malizia della cattiveria umana (malvagità, mancato rispetto dei patti -> il
principe nuovo non deve comportarsi diversamente, ma di conseguenza). L’astuzia rimanda al sunto
iniziale, e qualora cambino le condizioni iniziali della stipula del patto, il principe è tenuto “per la ragion di
Stato” (“Trattatistica politica” di Botero, fronte macchiavelliano). Il carattere volpino è da tenere per
contrastare la malvagità umana.

Impostazione filologica verso gli autori, critica, uso testi (non applicare ai testi categorie critiche che non gli
appartengono) – modo proprio della scuola italiana e tedesca <- RICORSO A FILOLOGIA.

Attualizzazione del classico: interpretazione del classico alla luce di categorie elaborate nel presente del
nostro secolo. Macchiavelli come Vico, cerca i principi universali della storia, i paradigmi. Macchiavelli viene
studiato come classico nella politica, più che negli studi umanistici.

Prefazione di Giulio Procacci, “Edizione degli editori riuniti” – concezione ANTI MACCHIAVELLISMO -
Macchiavelli “coadiutore del demonio”, il pensiero anti macchiavelliano fu riconosciuto da numerosi
gesuiti, ma anche da Federico II e da altri personaggi. È un autore estremamente affascinante.

[2] Parentesi che non appariva sull’interpretazione allegorica dei testi antichi. {…} Nel momento in cui il
principe non mantiene la parola data, deve “colorire la sua assenza”, mascherarla, mascherare la natura
della golpe. Nello stesso capitolo c’è l’oscillazione tra a malvagità e la credulità degli uomini.

È necessario che un principe abbai tutte le qualità richieste dalla natura pubblica? No, non è necessario,
deve dare l’impressione di esserlo, perché se si è integri, religiosi, pietosi, tutte queste qualità possono
diventare impedimento per l’esercizio delle virtù. Bisogna dare l’impressione di avere tutte queste cose in
base alla circostanza, soprattutto la RELIGIOSITÀ.

Il dogma è lo Stato, è il bene più importante. Ma abbiamo esempi di politici che in nome della ragion di
Stato compiono cose non proprio ortodosse. Il ben assoluto i chi ragiona in politica è il MANTENIMENTO
DELLO STATO.

[5] il principe deve sapersi volgere agli eventi della fortuna e alla variazione (Macchiavelli – “variazione” nel
campo semantico negativo, a proposito di guerre che sconvolsero l’Italia) delle situazioni. Se un principe è
davvero integro, è meglio non avere tali qualità (pietà, etc.), deve volgersi alla variazione delle cose per fare
il bene dello Stato.

È un principio difficile da accogliere moralmente. Bisogna andare oltre il male, impiegare le qualità in senso
tecnico e non morale verso lo Stato. Si parla di società ancora di antico regime, che ha fine con la
rivoluzione francese (fino al 700), c’è un modo di gestire il potere diverso dal nostro, attuale.
Prima è stato citato Voltaire: in epoca illuministica Macchiavelli ha avuto un’interpretazione
“DEMOCRATICA”. Ai tempi, l’interpretazione era stata quello di far conoscere al popolo la vera natura del
principe, smascherandolo.

BIBLIOGRAFIA PER APPROFONDIRE LA LETTERATURA MACCHIAVELLIANA.

Biblioteca Palazzo Ugolini, sezione Umanistica, scaffale con le storie letterarie.

 Capitoli di storia della letteratura, “Letteratura Italiana” di Einaudi e “Storia della Letteratura
Italiana” della Salerno.
 Edizioni di Gennaro Sasso.
 Video di Riccardo Bruscagli.
 Video “Interviste Impossibili” (anni 60-70), interpretazione di Giorgio Albertazzi.

Le sopraddette qualità possono quindi esser di impedimento: il popolo che deve giudicare giudica in base a
ciò che VEDE, non in base a ciò che sente e percepisce, e i pochi che si renderanno conto della tua vera
natura non potranno andare contro il popolo.

[6] Ogni cosa che dice il principe dev’esser in linea con le cinque qualità sopra dette. Non c’è cosa più
necessaria che far sembrare che abbia la qualità di essere religioso.

Il principe deve guardare al fine, al successo, al risultato, ciò che importa è ciò che si vede e non ciò che si
sente. I pochi che riusciranno a smascherarlo non avranno nessuna incidenza sull’opinione pubblica.

[7] Il vulgo va preso con ciò che appare, il risultato. Quando sei sostenuto dal popolo, hai tutto.

Il principe non si deve preoccupare di giustificare i mezzi che utilizza: se va bene verrà lodato, altrimenti no.
“Il fine giustifica i mezzi” è una misinterpretazione, che non sta alla lettera del testo. Il principe dee pensare
a vincere se vince sarà acclamato dal popolo (concetto benessere popolo). È una questione importante di
ricezione di Macchiavelli.

Obiettivo principe: VINCERE, qualunque siano i mezzi utilizzati.

Concetti classici – rifermenti: la scrittura di Macchiavelli ne è impregnata, ma non sono sempre dichiarati.
Nel caso del XVIII capitolo, quando parla di bestia, c’è il “De Officis” di Cicerone, nel caso di simulatore e
dissimulatore Sallustio.

Capitolo XXV: capitolo in cui noi incontriamo, come gli è accaduto in precedenza, la DICOTOMIA, il
BINOMIO VIRTÙ-FORTUNA, già trattati nel Capitolo VI e VII. Ne abbiamo già parlato, l’ultimo capitolo
presenta uno slancio, un’esortazione e prendere le armi e difendere l’italianità (Macchiavelli campione
italianità). Lo slancio ottimistico lo troviamo in pare anche qui: il principe è un’opera tragica, drammatica,
contiene il tentativo di imporre limiti alla forza impetuosa della fortuna, in uno scenario politico senza
riferimenti, dove tutto è saltato. Si parla di scenario Hobbesiano, di lotta tutti contro tutti (in quest’ottica,
dal momento che sono saltate tutte le regole, che può fare il politico? Macchiavelli enuncia la linea
dominante, che molti credono che il mondo sia dominato da dio e dalla fortuna, e non si può far altro che
essere dominati dalla fortuna.

[1] Data la situazione politica-storica, molti credono che il mondo sia governato da fortuna e dio, e che non
s ossa far altro che rimettersi nelle mani della fortuna, della quale siamo in balìa.

La fortuna ci lascia la possibilità di autodeterminarci, Macchiavelli crede che non siamo messi così male, la
fortuna lascia la metà delle possibilità. -> Ciò non deve lasciarci condizionare sulle interpretazioni
macchiavelliane della fortuna. Macchiavelli non sta professando un’idea con tono assertivo. “Perché il
nostro libero arbitrio non sia spento (finale, con tono di augurio) giudico possa essere vero che (forme
attenuative, ritardanti)”, Macchiavelli pensa a uno scenario di ? umanistica (principe vittima del mondo,
della fortuna), vuole farci capire cosa la fortuna ci lascia.

DISTINZIONE FORTUNA-VIRTÙ: LA FORTUNA è UN FIUME ROVINOSO, POTENTE, SRARIPANTE, CHE SE NON


TROVA ARGINI DISTRUGGE TUTTO ciò che ha attorno (forza cieca, straripante); tuttavia il principe virtuoso
può prevederne i danni alzando argini e ripari (PRINCIPE PREVIDENTE), perché o sia incanalato, o il suo
impeto non risulti così incontrollato, licenzioso.

Paragone: la fortuna è venuta in Italia attraverso le truppe europee. Magia classica di fortuna come fiume
rovinoso che si muove incontrollato dove non ci sono argini, il principe deve prender tutte le precauzioni
possibili per evitarne gli effetti devastanti sullo Stato.

[2] I principi perdono in due modi: abbandonandosi totalmente alla fortuna (capitoli precedenti), oppure
perché non si adattano alle situazioni (no riscontro con i tempi). Un principe mantiene il potere quando si
adatta alle situazioni.

Fino a ieri era un principe solido, in poco tempo diventa rovina. Carattere peculiare del principe è la fissità,
la staticità dei comportamenti. La rovina di un principe nasce dalle ragioni prima discorse (principe che si
appoggia in tutto sulla fortuna -> rovina), e rovina come la fortuna cambia vento.

Qual è la ricetta per avere successo? Come si deve regolare un principe? Dev’esser, a seconda delle
situazioni, RISPETTOSO o IMPETUOSO, e sarà la qualità dei tempi a suggerirgli.

Apertura dramma: nel principe è insito il DRAMMA, la TRAGEDIA. Questo è il principe ideale, quello che si
adatta alla situazione e sa dosare il comportamento. Quando vede una strategia andare bene una serie di
volte, continua così, ma non è così. Da un lato Macchiavelli delinea il principe IDEALE – rispettoso e
impetuoso, ma si rende conto d’altro canto che al variare della realtà e del tempo il principe non varia (non
si possono assumere atteggiamenti univoci). Questa forza impetuosa della fortuna, varia e mutevole,
travolge gli uomini perché non sono in grado di uscire dai loro schemi – Giulio II, principe sempre
impetuoso su richiesta della situazione, gli è andata bene). Alla MUTEVOLEZZA DEGLI EVENTI, AL DIVENIRE
DELLA FORTUNA si contrappone la FISSITÀ DEI COMPORTAMENTI DEL PRINCIPE, la staticità delle strategie.
Perché gli uomini non mutano il modo di procedere? Per NATURA – un principe si rovina perché ha una
natura caratteriale e tale resterà - e perché quando è tempo di venire a lo impeto non lo sa fare.

Natura mutevole (VARIARE, MUTARE - DIVENIRE) vs uomini ostinati nel modo di procedere (STARE,
PERMANERE – ESSERE). C’è un problema ora. La verità effettuale della cosa ci dice che gli uomini non sono
in grado di adattarsi ai tempi. Dato che l’uomo non è in rado di cambiare comportamento, è meglio esser
impetuosi che rispettosi.

[4] Che si può fare, che possiamo fare per contrastare la fortuna? La fortuna è caria, noi tendiamo ad essere
conservatori sul piano delle strategie.

Tradizione raffigurazione Fortuna come donna, che ha i capelli alla nuca e va presa quando passa.

[Macchiavelli sa che i tempi non sono pronti per la repubblica; analizzando la storia di Roma, ci sono
momenti in cui non è possibile instaurare la repubblica, ci sono momenti in cui il principato è necessario.
C’è un calcolo nella composizione de “Il Principe” che consiste nel rivolgersi al principe per esser compreso
negli affari politici ma c’è anche la costatazione che i tempi non sono adatti alla repubblica (Macchiavelli –
principato con base popolare, che va traghettato verso la repubblica, quella forma di stato che stimola di
più il popolo, dà lui più forza, che permette maggiormente al popolo di esercitare la sua virtù).]

13/11/2019
ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

SLIDE DI PETRARCA SU INTERNET.

VENERDÌ 15 NOVEMBRE: prof. Dimitrov – lezione tecnica sulla traduzione, lavoro su “Palinodia al Marchese
Gino Capponi”, Leopardi (1335).

5 DICEMBRE: Giornata di Traduzione di Leopardi.

Argomento: idillio “Infinito” di Leopardi, aspetti di filologia e interpretazione.

È uno dei testi più intrepretati e analizzati della nostra tradizione letteraria. Diversi anni fa è stato
pubblicato un volume di quasi 400 pagine – letture dell’”Infinito” da De Sanctis fino al 2000 (6.400
interpretazioni circa).

L’Infinito non è un sonetto (scomparsa R. Bodei – partecipazione alle celebrazioni leopardiane del 1998 a
Roma, ha fatto l’errore di definire l’Infinito sonetto). Sono 15 rime (no sonetto caudato, dovrebbero essere
sedici), non ci sono rime, e Leopardi l’ha infatti chiamato IDILLIO – idea di poesia orientata sull’osservazione
della natura (poesia greca antica), non ha dato un nome che si riferisca a una struttura schematica. Ogni
verso presenta una ‘cosa’ materiale e immateriale, dislocate nei versi, e sono esattamente 15 come il
numero stesso dei versi (vedi versi).

‘Pensiero’ torna due volte, le cose sono quindici considerata la ripetizione di pensiero, le azioni compiute
sono abbastanza lineari, la siepe esclude dallo sguardo l’ultimo orizzonte, il soggetto siede/sta e guarda
(situazioni di stasi), il pensiero si finge qualcosa (significato particolare: “si costruisce”, costruzione mentale
– motore azione), tutta la logica e il significato si spiegano attraverso questa operazione mentale. Il vento
stormisce tra le piante, il soggetto lo compara all’infinito silenzio, l’immaginazione porta in superficie il
ricordo del tempo eterno, del tempo storico e del presene. Lo scioglimento della situazione immaginativa
avviene con il dolce naufragio del pensiero in questa immensità. Sulla parola ‘immensità’ è oscillato il
rovello di Leopardi, verso ‘infinità spaziale’.

Composizione: 1819, ma non tutti i critici sono concordi, qualcuno ritiene settembre 1819 (più
probabilmente autunno semplicemente). Perché l’anno è così importante? Agli inizi del 1819 escono le
prime canzoni, “Sull’Italia” e “Su, con data però 1818, ma in realtà la pubblicazione è agli inizi del 19. Oggi il
titolo della prima è “All’Italia” (all’altezza della prima edizione c’era una proposta diversa da parte di
Leopardi). Cosa significa uscire con le prime die canzoni? Lopardi si affaccia sulla scena letteraria nazionale,
ma solo ora riesce finalmente a ottenere da Monaldo il permesso di pubblicare le due canzoni (forma più
tradizionale, anche se la canzone Leopardiana non è quella Petrarchesca – innovazione). Nell’opuscolo di
Bologna dovevano esserci altre due canzoni, che Monaldo proibisce a Leopardi di pubblicare, in quanto
l’argomento è molto attuale, riguardo casi abbastanza scabrosi (fattaccio di cronaca ad Ancona, donna
morta in seguito a un maldestro tentativo di aborto, praticato da un medico prezzolato dall’amante + altro
testo. Padre e figlio convengono per le prime due canzoni di intonazione civile, si parla dell’Italia, c’è il
placet del padre. Leopardi si affaccia sullo scenario come poeta civile, si occupa di temi che hanno a che
fare con una rivendicazione di autonomia in virtù della sua grandezza. Queste sono le due canzoni non
pubblicate: “Per una donna inferma di una malattia lunga e mortale” e ?, che Leopardi tenterà ancora di
pubblicare all’inizio del 1820, ma saranno pubblicate postume insieme alle altre opere di Leopardi.

Marzo-maggio 1819 – Leopardi si dedica a un romanzo autobiografico (ha letto il “Werter”, “La vita di
Alfieri” nel 17), vuole un’opera narrativa in prosa ispirata a sé stesso e alle sue vicende in cui emerge l’io
intimo dell’autore. Il progetto, rimasto allo stato di appunti slegati, viene chiamato con il titolo di “Vita
abbozzata di Silvio Sarno”, ma in realtà i critici, che ne conoscevano l’esistenza fino al 1906, hanno per
lungo tempo parlato di “Ricordi di infanzia e adolescenza”, poi F. Lintino li pubblica nel 1955 con questo
titolo, di cui trova un riferimento nello “Zibaldone”.
Aprile-settembre 1819 – scrittura maggior parte idilli, tra cui “Infinito” (termini lati per l’indicazione). A
maggio sospende la scrittura del Sarno perché inizia a soffrire di una malattia agli occhi, che lo riduce quasi
alla cecità.

26 luglio 1819 – scrive a Giordani dicendo di non esser capace più di scrivere (tappa di arresto devastante).
A fine luglio progetta la fuga da Recanati, probabilmente pe la disperazione esistenziale, che è tale da
cercare di lasciare la città (lo zio Antici scrive a Monaldo dell’imminente partenza di Giacomo a Milano –
Monaldo lo viene a sapere in questo modo, la fuga viene sventata).

Questo è il quadro esistenziale/biografico, e i critici hanno gioco facile a parlare di ANNUS HORRIBILIS, ma
può esser considerato anche ANNUS MIRABILIS (forma dei sei idilli, vena sorgiva poesia Leopardiana).

PAGINA 143-144 DELLO “ZIBALDONE” – condizione esistenziale di Leopardi.

La sua è una poesia fatta di immagini poetiche fantastiche (fantasia legata all’antico, all’invenzione
mitologica e alla mitopoiesi antica), ma non sa esprimere affetti in poesia, non sa parlare del proprio intimo.
L’impossibilità di leggere blocca anche la possibilità di attivare la fantasia, obbligano l’io a rifletter su sé
stesso (rivolge l’attenzione al “sentire la propria infelicità”, in modo tenebroso – inspessirsi sensazione di
negatività). Proprio in questo cambiamento interiore va cercato il passaggio dalla forma della canzone
(“All’Italia”, miti e immagini poetiche) all’idillio. Nel 1828 parlerà di quegli idilli in termini di “esperimenti,
situazioni, affezioni, esperimenti, avventure storiche del mio animo”.

CITAZIONE.

“Il metodo di Leopardi” di Paolo Italia – momento di passaggio composizione canzoni e idilli, Italia si
addentra nello scrittoio del poeta per capire come lavora un autore, un poeta. Dichiara qui che la sua
poesia nasce da un’ispirazione, una frenesia, e in due minuti crea il disegno, la distribuzione del
componimento (Biblioteca di Napoli – abbozzi che ne testimoniano la modalità). Al di là di ciò che si può
pensare, che la poesia sia forma di ispirazione, per Leopardi è più complessa: dopo aver buttato
l’ispirazione su carta, c’è uno stop di addirittura diversi mesi, per trarre l’abbozzo dalla sua informalità, da
suo stato grezzo (momento di lentezza nel raffinamento del pensiero – 2 o 3 settimane, contrapposto alla
frenesia dell’ispirazione). Non è così semplice quindi trovare una data di composizione dell’Infinito. Lui qui
risponde a un amico che gli ha chiesto di fare versi per un’occasione particolare, a cui risponde che non
funziona così l’ispirazione poetica.

AUTOGRAFO DELL’ “INNO AI PATRIARCHI” – 7° canzone (poesie frutto di fantasia accesa).

C’è un gran lavorio sopra gli autografi di Leopardi, e un gran tormento nel correggere, scrivere e rivedere.

Cosa non abbiamo dell’Infinito? Non abbiamo gli abbozzi (fine ‘800 – un canonico creò i falsi abbozzi
dell’infinito, riconosciuti da Companati Sebastiano come falsificazioni). Il primo testimone autografo di
Leopardi è il cosiddetto “Autografo Napoletano” (conservato in un piccolo quadernetto tra le “Carte
Leopardi” di Napoli), in un livello di pulizia molto maggiore rispetto all’Autografo dell’”Inno ai Patriarchi” ci
sono solo alcune correzioni (cassature e correzioni). Di certo non si tratta della prima formulazione, ma
avviene dopo la prima ispirazione e il primo recupero. Le parole in rosso sono le varianti, e i filologi cercano
di riconoscere in che tempo siano state apportate al testo. (VEDI VARIANTI SU SLIDE) Non si tratta sempre
di varianti immediate (correzioni che Leopardi apporta al testo mentre lo sta scrivendo o ricopiando), ma si
tratta di varianti tardive, portate al testo i un secondo momento, anche a distanza di qualche mese. Ci sono
molti studi sulle varianti dell’Infinito, chi l’ha studiato bene ha recuperato quattro momenti diversi, per
studiarlo bene bisogna vederlo dal vivo e conoscer bene, oltre i metodi di Leopardi, i rudimenti della
filologia.
Poi abbiamo il “Manoscritto di Visso”, conservato ufficialmente nella Biblioteca del Comune di Visso, si è
capito che probabilmente per essersi in tal modo conservate si trovavano nel caveaux di una banca. Sono
stati esposti in varie città italiane, ambasciatori delle Marche in Italia. È un’altra copia degli idilli, che è
possibile datata al 1825, fatta qualche tempo dopo, con una funzione precisa. La prima edizione delle due
canzoni è nel 18-19, le dieci canzoni escono invece a Bologna nel 1824, quello è il suo libro vero e proprio di
poesie, le “Canzoni”. Dopo questa data importante, Leopardi ha ancora nel cassetto gli idilli e altre poesie,
che decide di pubblicare in volume nel 1826 a Bologna, in un second libro poetico, “Versi”. Come si usa fare
spesso tra i poeti contemporanei, prima di raccogliere in volumi i versi inediti nel suo cassetto, sceglie di
anticipare i volumi in rivista in due fascicoli, dicembre 25 e gennaio 26, sullo spettatore italiano, mette
insieme il tutto e manda all’editore. Quando deve dare in stampa le poesie inedite, pensa di farne una
copia, non manda gli originali agli editori perché un po’ pasticciati. Leopardi li trascrive nuovamente nl
secondo quadernetto, quello di Visso, e trascrivendoli apporta qualche altra piccola correzione.

Varianti “Manoscritto di Visso”: sono solo due, molto importanti (VEDI VARIANTI SU SLIDE).

A questo punto che cosa si può dire per Leopardi esser stato l’”Infinto” dal punto di vista teorico?

Zibaldone 177, pagine tra il 12-13 luglio 1820, “Teoria del piacere”. (<- titolo grande).

Si riflette sull’inclinazione uomo all’infinito: l’uomo ha di per sé una capacità immaginativa tale da
concepire le cose che non esistono, e quelle che invece esistono nella maniera diversa da cui esistono (<-
capacità immaginativa umana); considerata l’aspirazione dell’uomo al piacere, inattingibile, e
all’immaginazione, concepisce in maniera naturale pensieri sul piacere (pensa e immagina condizioni sul
piacere), che può figurarsi infinito “in numero, in durata(non temporaneo ma permanente), in estensione”.
Il piacere infinito non esiste nella realtà, ma può esser creato con l’immaginazione. <- PENSIERO
ASSIOMATICO – Leopardi mostra attraverso presupposti la condizione umana, inclinata all’infinito e dotata
di facoltà immaginativa: la felicità umana esiste solo nell’immaginazione e nelle illusioni, dunque anche
l’infinito è frutto dell’immaginazione e delle illusioni. L’INFINITO è un’ILLUSIONE che dà PIACERE, bisogna
fare ragionamenti puntuali e precisi. A volte Leopardi si contraddice, non ha costruito una teoria dove tutto
torna (sistematica), c’è sempre una forte proposizione conoscitiva.

L’uomo desidera qualcosa che non è sempre manifesto agli occhi, ma qualcosa che si vede e non si vede; il
pensiero “si finge”, si forma dentro di sé l’idea di infinito. In luogo della vista lavora l’immaginazione (->
pensiero si figura dentro di sé, la cosa nasconde, ma a quel punto l’anima erra in uno spazio immaginario
che l’anima non si potrebbe figurare se tutto fosse ben visibile). Prima della mutazione del 1819, Leopardi
costruiva i suoi miti sulla base della fantasia e non dell’immaginazione, la mutazione arriva perché Leopardi
ha scoperto il processo di immaginazione (Romanticismo Europeo). <- ??

 FANTASIA – accesa da letture infantili, sono letture antiche.


 IMMAGINAZIONE – qualcosa di personale, molto meno legato al concetto storico, si attiva da
stimoli esterni – è anche capacità di astrazione (Coleridge – fancy e imagination).

Perché Leopardi viene considerato un poeta ROMANTICO nonostante le dieci canzoni (classicismo
formale)? Perché accanto alle canzoni, dal contenuto formale, ci sono gli idilli, che sono tutt’altro e
vengono dopo il 1819. La sensibilità romantica è la capacità di vivere le proprie sensazioni interiori e di
metterle in poesie (GRANDE RIVOLUZIONE ROMANTICA, i poeti finora hanno parlato di dei ed eroi, qui il
romantico è spiegato nei suoi elementi costitutivi).

“ZIBALDONE”, 1° AGOSTO 1821 (pensieri “Zibaldone” = pensieri non compiuti).

Leopardi cita sé stesso, e richiama l’idea di una campagna declive che aleggia, la stessa che si vede dal colle
dell’”Infinito”. Secondo Leopardi è un’IMMAGINE SUBLIME e POETICA perché INDEFINITA – processo
piacevolissimo, Teoria del Piacere, che dà piacere alla vista.
LETTURA E INTERPRETAZIONE FORMALE, STILISTICA, in questo caso FONICA.

Quali sono gli elementi formali che creano l’effetto di piacevolezza? Abbiamo un TRIANGOLO VOCALICO,
nel passaggio da latino al volgare le vocali danno luogo ai fonemi italiani: si parte dalla vocale “a”, la più
aperta, poi verso le più chiuse, poi all’estremo “i” e “u” (dall’apertura massima di “a” alla chiusura massima
di “i” e “u”).

Un critico, L. PLASUCCI, ha spiegato l’effetto di piacevolezza, di analogia delle parole dell’”Infinito” con il
suo concetto attraverso la PREDOMINANZA DEI TIMBRI VOCALICI IN “A”, che in quanto aperta apre verso
l’infinito. La sua presenza continua di per sé allude a fenomeni psichici di un’idea di LARGO, AMPIO
(concetto infinito).

Altro elemento che crea l’effetto di non concluso, aperto: l’”Infinito” è una poesia dove Leopardi ricorre
continuamente all’enjambement, l’inarcatura – la misura metrica de verso non corrisponde alla sintassi, alla
misura del pensiero, quindi è come se si dovesse inseguire il pensiero da un verso all’altro. Il pensiero
scivola, da un punto di vista semantico, al verso successivo (il lettore non si può fermare perché altrimenti
non torna il senso di ciò che ha scritto). Mai come in questa poesia l’enjambement diventa un SISTEMA.
Questo meccanismo torna in un numero di versi considerevole, non c’è un’idea di blocco o chiusura, ma di
CIRCOLARITÀ.

Con questo gioco di rinvio da un verso all’altro di senso e metro, finisce per creare endecasillabi ulteriori
rispetto a quelli presenti, che C. DI GIROLAMO chiama “ENDECASILLABI OMBRA”, nuovi endecasillabi che si
formano tra un verso e l’altro. Questa poesia non dà quindi un’idea di chiusura (rivoluzione compiuta da
UNGARETTI).

Su questi quindici versi solo il primo e l’ultimo hanno senso compiuto, all’interno è un rilancio continua tra
un verso all’altro, c’è una specie di cronice con un centro, il 6° verso.

15/11/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

 Prof. Emil DIMITROV, Accademia di Scienze della Bulgaria

Poesia di Leopardi, “Palinodia”, scritta a Napoli nel 1835, e condivisione considerazioni lavoro traduzione
opere in questione. Riguardo il pessimismo leopardiano, il prof. ci propone un indovinello bulgaro: è
possibile peggiorare, e il fatto che ci sia un panorama, quindi uno slancio verso il progresso, una possibilità
fa di questo un paradosso.

“Palinodia” di Leopardi – memorabile per due aspetti: componimento più lungo (279 versi endecasillabi
sciolti) ed è di difficile comprensione. La parole deriva dai termini greci “palin”, “luogo”, e “ode”, “campo”
(composizione del X secolo, la capitale del mondo romano è Costantinopoli; si tratta di un testo autorevole
importante per culture bizantine e bulgare medievali -> “canto opposto” o “dire il contrario di quanto detto
prima”, genere raro in cui l’autore ritratta le sue affermazioni precedenti o tratta l’argomento in maniera
opposta – VI secolo a.C., Stesicoro, elegia in cui l’autore propose un’altra versione del ruolo di Elena –
Leopardi ne conosceva l’opera, e come greco redivivo, diede prosecuzione al genere nel’800).

Il componimento manifesta la sconfessione e reinterpretazione delle proprie composizioni, esplicite nelle


opere precedenti; Leopardi è lontano dall’aver cambiato pensiero. È un sommario, una professione di fede
della propria vita, esprime la sua “visione del mondo”, è difficile perché il senso è molto condensato. La
poesia è scritta come epistola a Gino Capponi (politico, scrittore italiano, amico, fondatore con G. Vischio
nel 1821 della rivista “Antologia”, con cui Leopardi collaborò). Nella palinodia Gino è un uomo concreto,
amico del poeta, nato nel 1792 a Firenze e morto nel 1876, sepolto nella Basilica di Santa Croce a Firenze.
“Palinodia” è in primo luogo un colloquio, una conversazione con un amico; il destinatario del testo, Gino,
appare quattro volte (nel testo: linee 1, 38, 110, 227) nella poesia (in un’altra poesia, dedicata al Conte C.
Epuli, il suo nome compare 1 volta). Appare due volte all’inizio della poesia e due alla fine. In questo piccolo
dettaglio si esprime una specifica peculiarità di tutta la produzione leopardiana: l’EQUILIBRIO. Il mondo di
Leopardi potrebbe interpretarlo come un equilibrio molto grande, ma troppo fragile, di elementi diversi, tra
antichità, modernità, etc.

“Palinodia” è un monologo ad alta voce davanti a un amico vero, rappresentate del suo tempo, un cattolico
liberale che ha fiducia nel mito del progresso (punto essenziale). De Sanctis, in “Storia della Letteratura
Italiana”, osservando il periodo a cavallo tra 700 e 800, spiega: “Il secolo del progresso ha costituito il
secolo dell’Illuminismo”: possiamo immaginarci come è difficile per un poeta così fragile stare contro tutto
il flusso del suo tempo? Rivolgendosi al suo amico Capponi, contemporaneamente si rivolge al popolo
(contrapposizione Leopardi-Illuminismo). Ogni lettore è un incerto Gino Capponi, “Palinodia” è un dialogo
del poeta con tutta l’umanità. A mio parere alla poesia è presente un AMPLIAMENTO DEL DESTINATARIO:
all’inizio è solo un uomo concreto, alla fine è tutta l’umanità. Potremmo menzionare nel testo che quando
Leopardi si rivolge verso tutta l’umanità, l’ironia precedente sparisce.

Ogni poesia consiste di parole, elementi della poesia. La poesia non consiste di idee e suggerimenti. Ecco
perché ogni poesia ha le proprie parole importanti. L’importanza del significato e la sua collocazione, in
particolare l’incipit e il finale sono di gran valore: con il primo si introduce il tema e l’effetto generale, con il
secondo si ottiene coronamento e conclusione.

La prima parola è “Errai candido Gino”, la parola “errai” è la parola più giusta per introdurre il tema
dominante dell’antico genere. È una specifica della natura umana (“Errare umanus est”), la natura si può
conoscere in due modi diversi: 1. Positivo, 2. Tendente al negativo. Nella teologia cristiana e medievale ci
sono due modi di pensare la natura di Dio: 1. Teologia positiva - pensiero occidentale, San Tommaso
D’Aquino – la natura di Dio è un’accumulazione delle caratteristiche positive e assolute (incipit del “Cantico
delle creature”, prima opera della letteratura italiana, si dice “Altissimo onnipotente buon Signore”), 2.
Teologia negativa - pensiero orientale, San Donisio Areopagheta (conosciuto dal VI sec. d.C.) - Dio si
conosce come accumulazione delle caratteristiche che superano tutte quelle positive). C’è un esempio
semplice: quando si chiede come va, in Italia si dice “Bene”, nelle lingue slave si dice “Non è male”.
Leopardi indubbiamente è sui generis, occidentale indubbiamente, ma allo stesso tempo per il suo modo di
pensare è molto vicino al modo di pensare orientale, lui pensa sempre all’altro. Dobbiamo svelare il famoso
pessimismo di Leopardi, e vedere che sotto il pessimismo c’è un altro, diverso Leopardi, un realismo
metafisico. Leopardi si può definire come “liberatore dalla dittatura del presente”, che fa prigionieri.

Leopardi afferma la “fragilità delle cose”, e proprio oggi noi possiamo vedere la stessa cosa. La famosissima
Madre Teresa di Calcutta (nata a Sophia in Skopje, capitale della moderna Macedonia settentrionale)
afferma che “è necessaria l’infelicità per capire la gioia, il dubbio per capire la verità, la morte per
comprendere l’arrivo”. Possiamo dire le stesse parole per il pensiero di Leopardi. Con questa attività si
potrebbe affermare che la traduzione dà un’esperienza straordinaria, si può vedere come è costruita la
poesia, come è fatta all’interno.

La traduzione è una cosa faticosa, il prof. si sta occupando della traduzione di “Palinodia” in lingua bulgara
(esigenze cultura bulgara moderna, poesia in linea con il modo di sentire degli odierni cittadini europei –
ardua interpretazione, la complessità dei pensieri dell’autore è espressa da un periodare e da un lessico
lontani dalla lingua corrente). Al v. 83 troviamo il toponimo di origine latina “Anglia” (nelle lingue slave),
unico punto in tutto il testo in cui il prof. dice di poter tirare fiato. Cosa nel testo rende la traduzione
difficoltosa? Il fatto che il contesto del componimento appaia già remoto ai contemporanei del nostro
poeta (es. v. 34, espressione “per l’estremo del boa” - nota esplicativa di Leopardi, unica del componimento
– senso parola potrebbe andare in dimenticanza, difficile per i contemporanei di Leopardi, incomprensibile,
per gli odierni il senso del dettaglio è superfluo). L’autore non dovrebbe spiegare le sue parole, il suo zelo
rappresenta un dettaglio irrilevante per i lettori bulgari moderni; altri studiosi affermano che la traduzione
della poesia fa perdere la poesia stessa – un accurato lavoro di traduzione, oltre che la sostanza, può
preservare il senso dell’arte poetica.

Tema nuovo: LEOPARDI E DOSTOEVSKIJ. La diversità culturale fa capire che Dostoevskij non conosce
Leopardi alla fine dell’800, ma i due autori sono simili in profondità e pensiero. Frase di Dostoevskij,
caratteristica del pensiero: la natura umana si è ‘inceppata’, significa che la natura è come ‘una chiave che
non gira’, l’autore umano non può ‘girare la chiave’ in quanto la natura umana è una barriera giusta contro
gli esperimenti di potere, di modifica dell’uomo in conformità ai desideri di qualsiasi autorità. È impossibile
per l’uomo diventare un essere completamente diverso, la natura umana lo impedisce, e secondo il prof.
alla profondità del pensiero i due autori affermano che la natura umana non è avversa all’uomo e ai suoi
slanci, ma sostenitrice dell’uomo.

Altra cosa, potremmo dire perché sia Leopardi sia Dostoevskij parlano delle sofferenze umane. Loro due,
non solo hanno una soglia del dolore (concetto scienza: la minima intensità al quale uno stimolo è percepito
come doloroso) molto bassa, sentono tantissimi dolori che noi non sentiamo (fragilità umana). Lo stesso De
Sanctis afferma che la metafisica Leopardiana è compendiata nella sentenza “Arcano è tutto” (“Ultimo
canto di Saffo”). Nelle opere di Dostoevskij c’è una frase chiave molto simile: “L’uomo è un secreto, un
mistero”.

È ben conosciuto il tema Leopardi-Voltaire. Potremmo menzionare la seconda parola del testo “Palinodia”,
“candido”. Tutti i commentatori italiani, studiosi dei nostri colleghi, affermano che la parola non solo è
sinonimo di “semplicità”, è un rimando, allusione al libro di Voltaire “Candido Ottimismo”, che mira a
confutare le mire del filosofo Leibeniz. Il “candido” di Voltaire è ammirato da Leopardi che lo riprese,
estremizzando certi temi: le “Operette morali”, i “Dialoghi”, “Prometeo”.

L’eco della lezione del prof. si sente nella “Palinodia”, dalla seconda parola del componimento: nella poesia
di un così alto poeta ogni parola è così importante, si parla di tantissime altre cose. Anche il 24 dicembre
1877, Dostoevskij scrisse nel suo quaderno di appunti “Memento per tutta la vita: scrivere il candido rosso,
scrivere un libro su Gesù Cristo, scrivere le sue memorie”. Non scrisse nulla di queste cose. Il prof. ripone
grande fiducia nel fatto che Leopardi debba diventare intermediario tra le culture, protagonista della
letteratura modera; non deve rimanere relegato nel passato, ma deve esser visto come un nostro
contemporaneo, compagno di vita. La poesia è un evidente testimonianza di questo fatto.

Una breve digressione: due settimane fa è stato inaugurato a Milano un monumento a Slavejkon (1866-
1912, poeta bulgaro che visse in Italia l’ultimo anno della sua vita). Due anni fa, a fine marzo 2017, il prof.
ha tenuto una conferenza nell’Università di Macerata, intitolata “Giacomo Leopardi e Penco Slavejkon”,
esplicando la somiglianza tra i due poeti; in questa conferenza i versi “Arcano è tutto” sono epigrafe della
poesia di Slavejkon “Il Placato” (info). L’incontro del poeta bulgaro con l’Italia avvenne nel 1911, nei mesi di
aprile, con la sua compagna fecero una crociera nel Mediterraneo, a visitare Istambul, Atene, Bari, la
costiera Amalfitana; Napoli, Roma. Nel primo soggiorno a Roma, aprile 1911, i due vissero in un albergo a
Piazza Montecitorio, e vicino alla piazza, a una distanza di soli 150-200m, su Via del Corso, si trovava il
“Caffè Aranio”, principale cento culturale, che raggiunse l’apice della fama negli anni 30 del 900 (riunione
nella terza saletta, O. Vergani nel 1938 lo definì “Sancta sanctorum”, nel 1929 A. Bartoli dipinse “Gli amici al
Caffè”, nel 1911-1912; Slavejkon fu frequentatore, con ospiti d’onore vent’anni dopo, come Ungaretti). Da
novembre 1911 a maggio 1912 vissero a Roma a Via Boncompagni 79. Il poeta bulgaro entrò in un circolo
intellettuale locale, divenne amico di A. Crivellucci, ordinario alla “Sapienza” da 1909 e preside dal 1911 al
1913, che lo presentò a G. Chialvo, filosofo del diritto e autore di circa 35 libri, vive a 200-300m dal poeta
bulgaro. Dopo il primo incontro, nel novembre 1915, Chialvo divenne il più caro amico del poeta, nonché
suo insegnante privato di lingua italiana. Tenne un discorso funebre per l’amico bulgaro, e questo giorno, il
14 giugno, è lo stesso giorno in cui nel 1937, a Napoli, morì Leopardi. Lo stesso Chialvo conservò una rivista
in sua memoria. Slavejkon fu conoscitore dell’antichità, conobbe Boni. Siamo venuti a conoscenza dei suoi
rapporti personali dallo stesso poeta, subito dopo il suo ritorno da Roma a Sophia il 13 aprile. Negli ultimi
mesi della sua vita compì i veri passi verso questa cultura, interruppe un’opera per occuparsene. Alla fine
del 2017, una scoperta straordinaria: l’ultimo manoscritto di Slavejkon è scritto in italiano. È evidente che la
poesia “Amo” è scritta in italiano, un’auto traduzione della poesia, pubblicata nel 1910 in un bellissimo
libro. Ma in realtà la poesia non è un’auto traduzione, è l’ultimo manoscritto del poeta bulgaro composto
tra febbraio e maggio 1912, prima della crisi. Prova inconfutabile paternità testo, scritta forse nel corso di
una lezione di lingua italiana, la poesia è testimonianza non solo della mirabile padronanza dell’autore
dell’italiano, che lo studiò per 3-4 mesi, ma anche delle sue ultime ricerche poetiche.

“Palinodia Gino Capponi” – testo di critica radicale all’idea dell’ottimismo, compare il tema del PROGRESSO
e quello dell’OTTIMISMO (lancio sulla “Scommessa di Prometeo”, problema critica ottimismo Leibeniziano).
È uno dei canti più lunghi dell’interno libro Leopardiano, anche messo in stretta relazione con l’ultima
operetta morale, “Dialogo di Tristano e di un amico” (1832, “Palinodia” è scritto nel 1855). Cosa mette in
parodia? Tutti elementi che, contrariamente a quello che pensava Leopardi, sono rimasti. Sono due dialoghi
del 1832, le “Operette morali”, per i primi 20 dialoghi, sono stati scritti nel 1824; c’è uno sparti acque
all’altezza del “Dialogo della natura e di un Islandese”, si passa al pessimismo cosmico materialista,
acquisizione che non riguarda più solo il singolo infelice, ma è condizione esistenziale di tutta l’umanità.
Prima di questa puntualizzazione era una cosa individuale: tra la visione del 24 e quella del 32 corre tutta la
produzione Leopardiana ispirata da questo pensiero negativo. Nel manoscritto delle “Operette morali”
scrive i giorni di composizione delle singole operette: tra la composizione delle canzoni 21-22, idilli 19-21,
prime operette morali 24, c’è una pausa dal 22 al 23 di soggiorno a Roma, dove scrive gran parte delle
pagine dello “Zibaldone” (incubare qualcosa che arriva su carta a partire da gennaio 24; da ottobre-
novembre 24 al 1928 c’è silenzio poetico, con l’unica epistola a Pepoli). Cosa accade? Nuove operette
morali e lavori editoriali, commenti a Petrarca, edizione opere ciceroniane, lavoro con “Stella” a Milano, ha
problemi di salute gravi. I canti pisano-recanatesi sono tra il 28 e il 30, ritorno a Firenze, possibilità di
mettere a punto le idee di progresso e ottimismo nella “Palinodia” del 35 e nel “Tristano” del 32.

20/11/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

FOSCOLO – “Ultime lettere di Jacopo Ortis”.

Tre incontri su Foscolo, guidati dal prof. L. Abbate (prof. di Critica Letteraria). 05/11 -> contrattempi
organizzati, la giornata è rinviata a febbraio 2020; mercoledì 4 non c’è lezione; giovedì 5 la lezione è in Aula
Erodoto.

“Ultime lettere di Jacopo Ortis” - Importanza letteraria e bellezza testi: lettera datata 11 ottobre 1797 (=
lettera di apertura) e 17 marzo (termine iter, particolare per temi e momento di inserzione nell’opera).

UGO FOSCOLO, vita.

 Sonetto: autoritratto di Ugo Foscolo, vera e propria descrizione fisica; passa poi a qualcosa di
diverso, parla della sua indole, impulsiva, sincera, umana e leale. Si definisce tanto avverso al
mondo, quanto lo sono gli eventi verso di lui, verso la sua stessa persona. Sviluppa un’attività
meditativa, è pronto all’azione, ma al contempo quiete e tenace. Vede la vita come una lotta
continua, solo la morte gli darà fama, legata ai posteri, e quiete. La sua vita si sosta in diversi centri,
sono tutti avversi a un normale iter biografico (vedere la vita come una lotta continua, solo la morte
gli darà riposo).
 Vicenzo Monti, “Lettera a Urbano Lampredi”, 1827 – attrito tra Monti e Foscolo, trascorsi forti a
livello letterario – ambedue si erano cimentati nell’esperimento di traduzione dell’”Iliade” (Monti
grande traduttore di Omero, anche se Foscolo ci dice che non conosceva il greco - Monti “traduttor
dei traduttor d’Omero) – sia a livello esistenziale – lo descrive come un personaggio falso, che
arrivò addirittura a cambiare nome; è un ladruncolo, che cerca guadagno da ogni aspetto della vita.
Tutto ciò detto da Monti, è visto da molti come “poeta del pensiero dominante”, che cede la penna
al potente di turno e scrive per l’autorità. Su 14 versi ci sono quasi 30 aggettivi, è un sonetto
costruito sull’aggettivazione, con una sintassi e una parafrasi chiara e lineare.

Foscolo nasce nel 1778 a Zante, in Grecia (tutte le isole dello Ionio erano sottoposte al protettorato di
Venezia), da madre greca (greco prima lingua appresa), Diamantina Spathis, anche se il padre Andrea
Foscolo era italiano e parlante italiano, come la madre.

 Passaggio di una lettera autobiografica scritta da Foscolo a Bartholdy (scrittore, autore di “Un
viaggio in Grecia”, resoconto romanzato di viaggio + interesse a questioni politiche riguardo la
Grecia) nel 1808 – origini, lettera autobiografica.

Benché sia diventato italiano di educazione, seguì un ‘cursus studiorum’ in Italia dopo il trasferimento a
Venezia, ma anche prima a Spalato, non dimentica mai le sue origini (segno costante su percorso
intellettuale, letterario e politico di Foscolo, costante riferimento alla patria di origine). Vede una Grecia
alquanto idealizzata, in quanto non si trovava benissimo per le vicende politiche. Dopo la nascita a Zante
nel 1785 si trasferisce con la famiglia a Spalato e segue un corso di studi che segue nel Seminario
Arcivescovile di Spalato (centro di radiante cultura), funestato dalla morte del padre Andrea (-> getta la
famiglia nello sconvolgimento economico, la madre si traferisce senza i figli a Venezia, per cercare un lavoro
– tipo Pascoli). La madre tenta la ricostruzione del nucleo familiare in un ambiente nuovo, stato dominante,
centro importante letterario e culturale ma un po’ in decadenza, Venezia. Per alcuni il trasferimento è uno
sconvolgimento della vita di Foscolo, per altri è coronamento delle sue esperienze (ha 14 anni quando
avviene). Gli si aprono una serie di nuove prospettive, continua il cursus in un Monastero laico a Murano,
poi seguendo le Scuole dei Gesuiti, sperimenta le sue aspirazioni artistiche fin da subito.

 1794, uno dei principali momenti di gioventù di Foscolo (Traversi), “RACCOLTA COSTANTINO
NARANZI” – silloge di poesie che il giovane Foscolo mette insieme e invia al cugino – raccolta
giovanile, mai messo a stampa e tuttora sconosciuto; è il primo momento in cui Foscolo tenta la
composizione di un libro poetico, ‘all’antica’, più del 600-700, non proiettato verso l’800 – ci sono
vari generi di componimenti, un’ode petrarchesca in morte del padre, vari sonetti di occasione e
soprattutto ANACREONTICHE, genere in voga nel 700 che prevede versi molto brevi (settenari o
ottonari) con rime semplici e versi tronchi o sdruccioli.

Ricorda le “ODI”, componimenti che adotteranno nella fattispecie un sistema metrico anacreontico,
sconvolgendone poi i contenuti. Si presenta al resto della cittadinanza veneziana come poeta e intellettuale
impegnato, frequenta i salotti letterari (buona parte del 700 e 800 – la cultura si faceva in questi salotti –
riunioni di persone propense al confronto, presieduti spesso da una dama che faceva da mediatrice e
moderatrice -, sono salotti particolarmente importanti, uno è quello di Giustina Renier ? e l’altro è quello di
Isabella Teotochi Albrizzi. Intrattiene relazioni amorose con queste donne (tema amoroso centrale nella
produzione Foscoliana), la seconda avrà un ruolo costante importante nella vita di Foscolo, è una donna
intellettualmente attiva, traduttrice, scriverà ritratti di personaggi noti da lei conosciuti (primo saggio critico
su Foscolo nella storia della critica), concentra nel suo salotto il meglio di Venezia (Cesarotti e Ippolito
Pindemonte). Foscolo sperimenta ed entra a contatto con il mondo esterno, Cesarotti e Pindemonte
saranno dei riferimenti costanti a livello intellettuale per Foscolo, nel 1795 entra in contatto con Cesarotti,
nel 1797 è un autore affermato, compone due tragedie, il “Tieste” - rappresentato a Venezia, riscuote un
enorme successo, Foscolo si afferma - e l’”Edipo” (Foscolo giovanissimo, debutta presto e ha gran voglia di
affermarsi sulla scena Veneziana).

1796-1797, componente letteraria e storica.

Nel 1796 iniziano le campagne d’Italia (Triennio Giacobino 96-99) – del 1796 è uno scritto non
antologizzato, ma importantissimo, Foscolo redige un “Piano di studi”, manoscritto di grande formato dove
scrive tutto ciò che ha composto e che vuole comporre nella sua vita, ciò che è pronto per la stampa, quelle
che sono state le sue letture e quelle future, un MEMORANDUM per sé con parte proiettiva per il futuro. In
questo manoscritto nel 1796 c’è un accenno, “Laura-lettere”, dove si nasconderebbe un PROTO-ORTIS,
l’inizio della storia redazionale dell’Ortis. Nel 1796 conosce fisicamente Cesarotti, e nel settembre compie
un viaggio da Venezia ai Colli Euganei dove rimane per un mesetto circa (-> viaggio che ispirò Foscolo nella
composizione della sua opera – nel 1797 la vita di Foscolo vira bruscamente, lui si era allontanato da
Venezia dopo aver pubblicato alcuni articoli di stampo politico che non erano stati ben accetti dal governo;
in quel periodo Venezia era una repubblica feudale, secondo Alfieri era un ‘governo fantoccio’, una
tirannide travestita da repubblica, c’è una certa libertà). Nel 1797 Foscolo scappa, inizia le sue
peregrinazioni, si sposta a Bologna, nella neonata Repubblica Cispadana, dove compone un’ode, l’ode “A
Bonaparte liberatore”, in un atteggiamento costantemente diffidente verso Napoleone (adesione mai
completa all’ideale e al movimento napoleonico, prende parte alle truppe sempre con timore di
quest’uomo, che sembra propagandare la libertà; Foscolo è cosciente che questo personaggio possa
tramutarsi in despota). L’ingaggio del 1797 nelle truppe della Repubblica Cispadana ha durata breve.

Foscolo si affretta poi a tornare a Venezia, si sta effettuando un cambio politico, si passa dalla Repubblica, la
Serenissima di Venezia, con il doge al comando, a un governo rappresentativo (verso un’effettiva libertà, un
mutamento evidente nel sistema amministrativo), che durerà molto poco. Diventa segretario della “Società
di Istruzione Pubblica”, commissione preposta al riordino della materia dell’istruzione. L’esperienza
repubblicana, indipendente da Napoleone (repubblica non ammessa all’Impero francese, con dei margini di
libertà), finisce tragicamente il 17 ottobre 1797, alla firma di Napoleone del Trattato di Campoformio
(principale fautore di un baratto vero e proprio – Napoleone si trova in una situazione molto complessa),
attraverso cui decide di cedere il protettorato sulla Repubblica di Venezia all’Austria (bratto per ottenere
condizioni più favorevoli), per ottenere cose quali per primo il riconoscimento della Repubblica Milanese
(Regno d’Italia legittimato, che comprendeva Milano, Lombardia e altre regioni), e per sanare
sull’appropriazione del Belgio e dell’Olanda Austriaca (due territori al confine con i rinato Sacro Romano
Impero -> necessità di equità nella spartizione dell’Europa). Foscolo prende bene il passaggio di governo
all’Austria: lui si era spostato al favore di una repubblica indipendente, quindi vedere lo Stato consegnato, o
meglio barattato all’Austria significava la fine di qualsiasi speranza a livello di auto regolamentazione dello
Stato, perché l’Austria era una monarchia imperiale (Impero Austro-Ungarico, con una sorta di monarchia
assoluta) con un forte impegno poliziesco, si era sempre imposto con le sue leggi anche con il sangue alle
richieste di costituzione dei popoli, non avrebbe lasciato a Venezia la sua autonomia.

 Testimonianza di VON HUMBORG, funzionario austriaco e spia di quel frangente. Il dato storico e
biografico verrà trasfigurato all’interno della sua opera.

Il Trattato di Campoformio è del 17 ottobre 1797, allora perché la prima lettera dell’Ortis è datata dai Colli
Euganei l’11 ottobre 1797 (dà per scontato l’avvento del Trattato e la sua attuazione), con 6 giorni di
differenza? Tra la ratifica e l’ufficializzazione dell’accordo passava un certo lasso di tempo, Foscolo come i
veneziani erano venuti a sapere della volontà di Napoleone di firmare il Trattato (11 ottobre: data in cui
Napoleone effettivamente incontra il governo Austriaco -> i giochi erano fatti), e questo è il perché della
discrepanza cronologica. Foscolo non ha quindi nessun tipo di speranza, deve fuggire da Venezia, il governo
Austriaco ha promulgato delle liste di proscrizione, il governo proponeva al pubblico una lista di nomi
sgraditi al governo, con un mandato alla polizia di arresto e una condanna. Foscolo (come poi Jacopo) parte
in un esilio volontario, fino a un certo punto però, non aveva molte altre possibilità. Inizia una serie di
peregrinazioni (le vite dei due ancora coincidono), va a Firenze e poi a Milano, dove conosce Parini (una
delle ultime lettere – considerazioni sociali e letterarie, Parini è il “primo poeta della nuova letteratura”, De
Sanctis: il primo ad aver cercato di far aprire gli occhi all’Italia sulla sorte alla quale era condannata) e
Monti. Foscolo non si stabilisce a Milano, si trasferisce a Bologna nel 1798 come aiutante del tribunale
(facilità di trovare ingaggi nelle repubbliche post-napoleoniche, Foscolo aveva una patente di perdente
repubblicano e di perdente ambizione alle idee repubblicane e napoleoniche). Il 1798 è l’anno del primo
tentativo di stampa dell’opera (una parte o tutta l’opera sono già state scritte), che non viene terminata,
esce solamente il primo volume. La motivazione di interruzione della stampa è molto stringente: crolla la
Repubblica Cispadana (di cui Bologna faceva parte), e arrivano gli Austriaci a restaurare l’ordinamento
statale precedente. Foscolo è quasi braccato dalla polizia Austriaca, lascia Bologna con la stampa
incompiuta dell’Ortis lasciata lì, passa a Firenze e Livorno e si reca a Genova (98-99: assedio poderoso,
Foscolo si asserraglia nella città e difende gli ideali repubblicani e bonapartisti). In quegli anni stampa l’ode
“A Luigia Pallavicini” (cronaca nera, nobildonna che cade da cavallo e si sfregia il viso). Da questo evento di
non grande importanza nasce però una raccolta di componimenti in prosa e versi alla quale Foscolo appena
arrivato in città vuole a tutti i costi partecipare, e scrive la prima versione dell’ode, che poi modificherà in
maniera molto forte. È un momento importante, ha iniziato la stampa dell’Ortis, e continua anche il suo
lavoro poetico: dopo la “Raccolta Naranzi”, questo è uno dei primissimi frutti del Foscolo maturo. L’ode è
stata interpretata molto variamente una delle più importanti è quella di inquadrarla come una dei
capolavori del classicismo completo, con accenni al romanticismo.

 1800-1802.

Biennio molto travagliato per Foscolo. Si suicida il fratello Dionigi in circostanze poco chiare, e lui dopo
l’esperienza genovese si trasferisce a Milano, dove inizia un exploit letterario con una produzione
sovrabbondante, scrive la maggior parte dei sonetti, vive l’amore Antonietta Fagnani Arese, compone in suo
onore l’ode “All’Amica risanata” e finalmente stampa la prima edizione completa dell’Ortis.

Amore per ANTONIETTA FAGNANI ARESE: figura particolarmente importante, amore sconvolgente, di cui ci
rimane una testimonianza eccezionale, sono un gruppo di quasi 200 lettere scambiate tra i due amanti
nell’arco di poco più di un anno, che rappresentano per molti aspetti un PROTO-ORTIS o un ORTIS
PARALLELO, e da questo Foscolo comincia ad attingere dal proprio epistolario personale per immetterle
all’interno dei nuovi romanzi e scritti (tendenza costante, confluiscono lettere o accenni ad Antonietta e a
Isabella – nella sua corrispondenza Foscolo sperimenta i temi che saranno poi propri della sua operazione
artistica effettiva).

 1804-1806.

Foscolo si arruola tra le truppe napoleoniche, passa molto tempo a Calais e a Valenciennes (forte impegno
militare si potrebbe pensare non coincida con la produzione artistica, ma in realtà Foscolo continua a
scrivere, anche perché è ormai conscio che la sua carriera militare non potrà avere un proseguo molto
ampio). La carriera militare non procede a causa di MURAT nell’”Orazione a Bonaparte” (sottolineata la
doppiezza e la “volpineria” di Foscolo – capacità di calcolo e tradimento molto spiccata). C’è un’altra
relazione importante, quella con Fanny Emerytt Hamilton, da cui nascerà l’unica figlia di Foscolo, Floriana
(incontro in Inghilterra). Nel 1806, dopo il servizio a Calais, rientra in Italia con alcune opere già preparate
per la stampa, aveva tradotto il “Viaggio Sentimentale” di Sterne, ed era iniziata la scrittura di vari “scritti
didimei” (J. Ortis sorta di alter ego di Ugo Foscolo, ma vi è anche un altro personaggio in cui Foscolo riversa
il suo io, ed è DIDIMO CHIERICO, altro alter ego attraverso cui Foscolo intende presentare parte della sua
produzione, come quella del “Viaggio sentimentale” o quella di “Ipercalissi”). Secondo alcuni in questo
periodo inizia anche a scrivere il “Carme delle Grazie”, cosa però molto dibattuta.
Tra il 1806 e il 1807 il rientro in Italia è pieno di novità a livello artistico per Foscolo, infatti tra giungo e
settembre, in maniera veloce, scrive il “Carme dei Sepolcri” (fama pressocché immediata), uno dei
capolavori della letteratura contemporanea, affermazione poetica non molto chiara, i contemporanei si
divisero tra chi l’approvò subito e chi la stroncò senza colpo ferire. Nel 1807 Foscolo pubblica anche nuove
opere, come l’”Esperimento di traduzione dell’Iliade” (stampa da parte dell’editore Bettoni insieme alla
traduzione di Monti e Pindemonte -> massimo grado traduzione ottocentesca dei poemi omerici) che poi
abbandonerà, continuando nel suo ‘periodo inglese’ senza mai giungere a un’effettiva conclusione. La
traduzione di Foscolo dell’”Iliade” viene divisa in tre grandi volumi nell’edizione nazionale, perché per ogni
singolo canto omerico abbiamo anche più di 15 versioni diverse, è un lavoro approdato mai approdato a
una definitività, per le continue modificazioni stilistiche.

 “Edizione nazionale” – edizione di tutta l’opera di un autore promossa e finanziata dallo stato, che
istituisce una commissione di esperti che ha il compito di dirigere l’evoluzione cartacea in volumi di
tutte le opere di un autore (completa quella di Alfieri, quasi completa quella di Petrarca, ecc.).
 1808-1809.

Periodo di svolta, la pubblicazione dell’”Esperimento dell’Iliade” e la traduzione del “Callimaco” è un


tentativo di accreditarsi sul mondo letterario del periodo come erudito oltre che come poeta per aprirsi una
nuova via lavorativa (via militare preclusa, Foscolo punta allora sull’insegnamento universitario). Riesce a
centrare l’obiettivo per un breve periodo, presiede un corso di Eloquenza a Pavia (lo deterrà per un anno,
non arrivando neppure al compimento per varie vicissitudini), di cui ci rimangono le bozze di alcune lezioni,
come “Dell’origine e dell’ufficio (“finalità”) della letteratura” (prima lezione del corso - all’epoca non
esistevano le cattedre di Letteratura italiana, ma di Eloquenza; il termine “letteratura” è abbastanza
recente, settecentesco, Tiraboschi scrive nel 1782 una “Storia della Letteratura Italiana”, ma fino a quel
momento si parla di “Belle Lettere”).

Il periodo successivo, fino al 1813, è relativamente tranquillo, soggiorna prevalentemente a Firenze e scrive
molti versi, scandendo due operazioni letterarie predominanti: ritorna alla scrittura tragica e compone la
tragedia “Ricciarda” e nello stesso periodo, dalla collina di Bello Sguardo (sovrastante Firenze), Foscolo
riprende la composizione delle “Grazie”, opera che si sente sempre nominare, secondo molti culmine della
poetica Foscoliana ma anche la più grande incompiuta della letteratura italiana (secondo alcuni come
Palumbo, Foscolo non volle arrivare effettivamente a una conclusione, compose una serie di materiali che
non riuscì più a sistematizzare insieme -> disgregazione opera – prima opera frammentaria, anticipazione
del 900, dove i frammenti convivono per giustapposizione <- azzardato, l’Edizione Nazionale di Foscolo ha
un volume di oltre 700 pagine dedicato alla sola Edizione Critica di questo poema, del quale si hanno
diverse relazioni, tra le quali quella di questo periodo contenuta nel cosiddetto “Quadernone”).
“Quadernone”: Foscolo tenta di sistematizzare i frammenti in un insieme organico composto di 3 canti
distinti, ma non arriverà comunque a compimento e l’opera continuerà a ingrandirsi. Il filone è di continuità
con i “Sepolcri” (neoclassicismo irrorato da una fortissima componente preromantica, che si evince dalla
sua sensibilità e dall’io sempre presente dell’autore, componente che non si si aspetterebbe essere così
sovrabbondante).

Nel 1814 vi è la migrazione di Napoleone a Fontainebleau, e un altro evento noto e rilevante, il Congresso
di Vienna (sconfitta di Napoleone -> gli stati si riuniscono per decretare il ritorno a quella che era la
situazione degli stati europei prenapoleonica). Vi è l’abdicazione di Napoleone, e successivamente a Milano
il Regno d’Italia viene a crollare, e al rientro degli Austriaci a Milano Foscolo si trova lì, il governo austriaco
per un primo momento vuole cercare di includere gli intellettuali a favore della repubblica, e non emana le
liste di proscrizione come abbiamo visto essere stato fatto a Venezia, ma tenta una mossa più intelligente,
quella di riunire intorno a sé tutti gli intellettuali del periodo, e viene proposto a Foscolo di compilare e
dirigere un giornale letterario (sorvegliato dall’Austria, è un tentativo di tenere sotto controllo gli ufficiali,
ex ufficiali ed intellettuali). Foscolo in un primo momento sembra propenso a pensarci, ma quando
nell’anno successivo (1915) viene richiesto a tutti gli ex ufficiali napoleonici un giuramento di fedeltà
all’Austria, non può sottostare a tale condizione, non riesce a vendere i suoi ideali e fugge da Milano,
abbandonando l’idea di pubblicazione del giornale, che viene affidata ad altri intellettuali di spicco, e
diverrà la “Biblioteca Italiana”, rivista importante nell’ambito del dibattito tra classicisti e romantici. Fugge
in Svizzera, sta lì per un anno e dà alle stampe un’edizione fondamentale dell’Ortis, del 1816, e un altro
libro, con lo pseudonimo di Chierico, l’“Ipercalisse” (titolo in latino). Foscolo fu prosatore e anche poeta
latino di estrema grazia (uno dei più grandi prosatori di lingua latina dall’Umanesimo in poi), latino dove si
sente palpitare sotto l’italiano ed è percepibile lo stampo greco (inserzione di determinate parole greche o
italiane, a rendere meglio la complessità di una lingua morta che vuole essere rivitalizzata). Nel 1816, dopo
la stampa dell’Ortis, Foscolo si trasferisce a Londra.

 Francesca San Vitale – “Il figlio dell’impero”.


 Fase Londinese/inglese.

Stamperà un’altra edizione dell’Ortis, ma sua attività principale e la più soddisfacente è l’attività
giornalistica e di critico letterario (recensisce libri, scrive trattati e opere di letteratura italiana, scrive in
italiano -> problema per noi: conosciamo la traduzione in inglese, non l’originale italiano scritto da Foscolo).
In un primo momento la vita è finalmente rosea, ha molti contatti letterari, ma ben presto le eccessive
spese lo portano in ‘bancarotta’, morirà nel 1827 nella più completa povertà, senza avere neppure i soldi
per pagare il suo stesso funerale. Unica nota positiva, nel 1822 rincontrerà la figlia Floriana, che lo assisterà
fino alla morte, cercando di sovvenzionarlo (piccola eredità della madre, dilapidata da Foscolo – acquisto di
un cottage). È stato sepolto a Firenze, le ossa di Foscolo arrivarono a Santa Croce negli anni del nostro
Risorgimento. All’inizio Foscolo venne tumulato nelle fosse comuni, poi arrivarono dei soldi dall’Italia, che
consentirono una tumulazione a parte.

Storia dell’opera: necessaria, è bene conoscere l’iter redazionale del romanzo, per capre come sia cambiato
nel tempo.

 1796, edizione “Laura-lettere”: si pensa a un proto-Ortis (aveva già iniziato a scrivere l’Ortis); è
l’anno del soggiorno Colli Euganei, ci sono delle coincidenze, ma la spia che lo ha fatto pensare è il
fatto che all’interno dell’opera compare un frammento narrativo, la “Storia di Lauretta”, edificante
a livello morale ma deprimente. Si è cercato di ricondurre l’edizione del romanzetto al piano studi,
ma oltre a ciò non ci sono grossi appoggi. Ci sono però anche alcune coincidenze cronologiche,
come il caso avvenuto del suicidio di Girolamo Ortis (marzo 1796, studente universitario di Padova
che si tolse la vita perché perseguitato < caso di cronaca nera), nello stesso anno Foscolo si sposta
sui Colli Euganei (il suicidio e il soggiorno per ragioni politiche a Venezia: fusione per dar vita allo
sviluppo del nucleo narrativo dell’Ortis).

Si parla di due fasi letterarie:

 1° ORTIS: fase letteraria, dove confluiscono due edizioni, la prima è l’EDITIO PRINCEPS (1798,
editore Marsili di Bologna), Foscolo si trova a Bologna e pubblica la prima parte del suo romanzo,
cosa si interrompe con l’arrivo degli Austriaci (interruzione brusca, è costretto a fuggire -> lascia
l’opera e la stampa interrotte). Secondo alcuni critici il romanzo venne completato da Angelo
Sassoli, secondo altri venne completato sulla base di una bozza già scritta da Foscolo (Sassoli si
sarebbe avvalso di materiali autoriali -> solo una parte è autografa, la restante parte travia
completamente il senso inziale e stravolge la trama, non è chiaramente di ispirazione Foscoliana). I
critici si dividono nel voler vedere un barlume di Foscolianità nella seconda parte, ma le opinioni
sono contrastanti (studio di Mario Martelli, “La parte del Sassoli” – Marsili aveva la necessità di
completare l’opera e di venderla, era un romanzo epistolare, genere in voga al tempo; dà l’incarico
a Sassoli, che trasformò questo romanzo di amore tragico in un romanzo a lieto fine. Quando
Foscolo, che intanto era impegnato nell’Assedio di Genova del 99 probabilmente, disconosce
l’opera e pretende che quella tiratura venga messa da parte e probabilmente lui poi lavorerà fino
all’edizione del 1802 sul suo testo, quella che noi conosciamo, che sarà poi rivista nel 1816 a
Zurigo). Foscolo diede l’incarico a Sassoli di completamento, ma quest’ultimo dà un lieto fine
probabilmente non previsto nella storia di amore tragico (<- non è il romanzo vero e proprio fa solo
parte della tradizione genetica – dal 96, dal romanzetto amoroso, passano vent’anni prima
dell’edizione che noi conosciamo). Dopo la prima edizione naufragata, tra il 1799 e il 1801 Foscolo
riprende il progetto e lo propone all’editore Mainardi a Milano ma la stampa approda di nuovo alla
Lettera XLV (dove finiva la prima stampa, quella del 1798), perché Foscolo litiga brutalmente con
l’editore che decide di distruggere tutte le copie del romanzo, se ne sono salvate solo due, tra cui
quella inviata a Goethe. Non abbiamo ancora il romanzo completo pubblicato, la forma letteraria è
ancora quella del 1798, Foscolo aveva probabilmente completato l’Ortis, ma non aveva ancora
cambiato ciò che aveva pensati, bisognerà arrivare al 1802 (anno di svolta, prolifico: nell’ottobre, in
seguito alle passate esperienze, spende tutti i proventi da militare e stampa il romanzo IN PROPRIO,
così da non sottostare alle esigenze di mercato – da romanzetto d’amore a romanzo intellettuale e
politico). In questo modo poteva combinare proprio l’Ortis che lui aveva ideato, e non sottostare
alle esigenze di mercato, era ovvio che l’editore prediligesse un romanzetto d’amore che potesse
avere un buon riscontro ed esser letto da tanti. L’Ortis è quindi un romanzo intellettuale e politico,
ha due istanze diverse, quello amoroso e soprattutto quello politico.

21/11/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

NASCITA DEL 2° ORTIS – nasce nell’ottobre del 1802, da elaborazioni precedenti. È la prima edizione
completa, che però poi cambierà ancora per aspetti linguistici (nel 1798 è incompiuta, Sassoli, ripresa,
pubblicazione in ottobre della prima edizione). Fa entrare molto del suo, soprattutto riguardo ‘argomento
amoroso.

Differenze fondamentali tra 1° Ortis e quello del 1802: nel 1° vennero pubblicate solo 45 lettere, nel 2° il
numero sale a 67 (no scelta autoriale, prima era un’edizione incompleta). Nel progetto del 1° Ortis,
parzialmente incompleto - l’arco temporale nel quale si svolge la vicenda è molto ristretto, e va dal
settembre del 97 fino al maggio del 98; nel secondo Ortis, sia per l’aggiunta di lettere riguardo la parte
finale della vita dell’Ortis (no cambio della trama), abbiamo una dilatazione dell’arco cronologico, c’è la
narrazione egli eventi dall’ottobre del 97 al marzo 99. Per quanto riguarda i temi e la storia dei due
romanzi, nel 1° Ortis le motivazioni di carattere politico che spingono Ortis al suicidio rimangono in secondo
piano, pur essendo comunque presenti, è prevalente la tematica amorosa nello spingere Ortis al gesto
estremo; nel 1° Ortis, e questo lo capiamo sia dal completamento del Sassoli sia da indizi interni che
troviamo nella prima parte dell’Ortis, il suicidio che si preannuncia sin dalle prime lettere (punto costante
nell’Ortis) non ha sapore di sconfitta politica o biografica, ma è più un gesto estremo ed esistenziale, è
l’animo dell’Ortis esacerbato che lo conduce al suicidio, come normale evoluzione della sua biografia. Al
contrario, nel 2° Ortis la tematica politica e amorosa convivono in maniera forte, vedremo poi come la
tematica politica prenderà il sopravvento; in questo caso Ortis non è più un ragazzo con problemi a livello
politico e sociale, ma è un innamorato e un cittadino (“cittadino” non è un termine casuale, proprio perché
nel periodo repubblicano e rivoluzionario tutti gli abitanti della Francia e anche nelle repubbliche associate
dovevano essere appellati come cittadini, non esistevano più i titoli nobiliari). In Italia la situazione è un po’
differente, in Francia la Rivoluzione Francese ha completamente spazzato via i titoli nobiliari, in Italia la
situazione è un po’ edulcorata, permangono alcuni privilegi della casta nobiliare, ma comunque l’indicarsi
come cittadino indicava il fatto di essere effettivamente parte di questa rivoluzione (Alfieri, nel 1792 lascia
Parigi prima dell’arresto – in Francia la Rivoluzione porta alla totale scomparsa de ceto nobiliare, o
comunque alla loro messa al bando, in Italia la situazione non è così drastica). Questo aspetto lo vedremo
bene nella lettera del 17 marzo, dove Foscolo fa chiaro riferimento al cambiamento che è avvenuto in Italia
con la rivoluzione, nella fattispecie a Venezia, ma non si è attuata a livello completo, perché sia i monaci
(chiamati da Foscolo in modo dispregiativo “preti”) sia i ceti nobiliari hanno comunque mantenuto buona
parte delle prerogative originarie, di conseguenza la rivoluzione non potrà mai essere attuata se non
nell’uguaglianza completa dei cittadini.

TRAMA: differenze, soprattutto in relazione ai personaggi, nella fattispecie due in particolare e un terzo solo
accennato. I due personaggi sono centrali nella storia, una è TERESA, personaggio che rimane stabile in
entrambe le versioni dell’Ortis, ed è la donna di cui Ortis si innamora.

 TERESA, donna di cui Ortis si innamora.

Nel 1° Ortis la figura di Teresa è quanto mai diversa rispetto a quella che conosciamo, e che conosceremo
meglio con la lettura dei testi, di fatti si tratta di una giovane donna, che però nel 1° Ortis è vedova, on una
bambina al seguito (trama differente, è una donna che si avvia al secondo matrimonio con addosso già un
figlio da un precedente matrimonio). Nel 1802 Teresa si trasforma in una giovanissima fanciulla, che per
molti critici è paragonabile alla donna angelo (Petrarca), vive ancora con la famiglia, nella fattispecie con il
solo padre, ed è prossima al matrimonio (assimilabile all’ideale di donna perfetta, la donna angelo).

L’altro personaggio che vive una brusca variazione è ODOARDO, che noi conosciamo come l’amato e
promesso sposo di Teresa, personaggio totalmente odiato da Ortis, incarna tutto ciò che non è e che non
può essere, è un proprietario terriero con nessun tipo di velleità rispetto all’impegno politico e all’azione
civile.

 ODOARDO, personaggio odiato a Ortis.

Nel 1° Ortis è un ragazzo, un uomo stimabile e per molti aspetti invidiabile, mentre nel 2° Ortis avverrà una
mutazione totale, Odoardo serve come espediente narrativo per incarnare il perfetto contrario di Ortis, è
un’invenzione letteraria utile a Foscolo per giocare sugli estremi e sui contrari.

 LORENZO ALDERANI, amico di Ortis.

LORENZO F. o LORENZO A., chi è? Un personaggio un po’ onnisciente, Lorenzo Alderani è l’amico a cui Ortis
scrive le proprie lettere e colui che raccoglie le lettere e le pubblica, tutto nella finzione letteraria di Foscolo,
nella volontà di avvalorare le lettere come documento originale, effettivamente scritte da un altro
personaggio, appunto Ortis. Tra il 1° e il 2° Ortis il passaggio è effettivamente minimo, c’è solamente un
cambio di nome, da Lorenzo F. a Lorenzo A.

Grosse differenze si riscontrano almeno rispetto allo STILE. Il 1° Ortis presenta uno stile letterario
estremamente elaborato, ricercato ed elegante, tentativo di Foscolo di sperimentare n tipo di prosa
diversa, al contrario nel 2° Ortis la lingua sembrerebbe semplifica in un certo qual modo, Minni ha parlato
nella fattispecie di “stile Tacitiano”: lo stile si semplifica effettivamente, ma è necessaria una spiegazione.
Tacito presenta uno stile estremamente grammatico, concitato, e in questo senso c’è una semplificazione
dello stile, si passa da uno stile tipico della poesia nel 1° Ortis, a uno stile più drammatizzante del 2°.

Per concludere il quadro delle edizioni, è bene citarne altre due complete: nel 1816 Foscolo è a Zurigo, in
Svizzera, passerà un inverno terribile e investe il suo tempo in una ristampa dell’Ortis, che appare nel 1816
ma viene retrodatata da Foscolo al 1814 (usanza tipica dell’800, quella di pubblicare un’opera in un anno
ma dire che è stata stampata in un altro anno – modo per eludere la censura, fingere altre questioni, ci
possono essere varie motivazioni). In questo caso Foscolo stampa effettivamente l’opera a Zurigo nel 1816,
ma la pubblica con l’insegna tipografica a Londra nel 1814. Successivamente, una volta arrivato a Londra,
Foscolo stamperà effettivamente l’Ortis (ristampa di Londra) e in questa ristampa di Londra l’opera,
modificata in effetti solo per piccole varianti, quali degli aggiustamenti linguistici, serve a Foscolo per
accreditarsi appunto nel mondo anglosassone con l’Ortis, che era già diventato il suo più grande
capolavoro, con grande fortuna e un numero enorme di stampe non autorizzate. Con ciò si conclude la
tradizione dell’Ortis.

Parliamo un po’ della TRAMA dell’opera. J. Ortis è un giovane veneziano di buona famiglia, che a causa dei
suoi ideali giacobini viene perseguitato dalla polizia austriaca (Venezia non è più una repubblica nelle mani
dell’Austria, Foscolo viene perseguitato; si parla di esilio ‘volontario’ sui Colli Euganei, aveva davanti a sé la
galera o la fuga), si ritira con l’intenzione di tumularsi vivo in casa, di ammantarsi nel buio, ma in realtà il
soggiorno sugli Euganei si rivela piacevole per la conoscenza di Teresa e con il padre di Teresa (funzione
importante). È un amore quello tra Teresa e Ortis, che non può essere a lieto fine (modello 800), è
osteggiato perché il padre di Teresa ha stabilito per lei un matrimonio vantaggioso, sia a livello economico,
ma anche che salverà il padre di Teresa dal sospetto di giacobinismo, con Odoardo (ricco possidente che
non si è mai schierato dalla parte della repubblica, il padre di Teresa ha avuto invece dei forti
interessamenti verso la repubblica veneziana -> con questo matrimonio il buon nome della famiglia è
risanato). Teresa nell’800 non può scegliere del suo destino: sulla carta le donne avevano la possibilità di
scegliere per sé stesse il marito, ma nelle convenzioni dell’epoca e a livello sociale ciò non era ammesso,
era la famiglia a scegliere il pretendente. Tersa è scissa tra quello che è un amore ricambiato verso Ortis e il
senso di dovere, di dover ubbidire alla volontà paterna e salvare la famiglia. Dopo un bacio tra Ortis e
Teresa, Ortis si rende conto della male che può fare la storia d’amore a lui e a Teresa, si allontana dai Colli e
comincia una lunga peregrinazione per l’Italia (DIVISIONE NETTA – il romanzo dell’Ortis è diviso in due parti,
secondo i critici questa divisione netta è qualcosa di forzato e artificiale). Lo stacco tra le due parti è molto
marcato: Ortis nella prima parte racconta a Lorenzo delle sue traversie amorose e politiche, nella seconda
parte Ortis scende direttamente in un mondo che va a esplorare città per città, toccherà molte città nel suo
percorso (soprattutto Firenze e Milano), capirà che da tutte queste peregrinazioni dalle quali in realtà Ortis
cercava una via di salvezza intellettuale ma anche un allontanamento da questo amore così forte, in realtà
troverà un aggravarsi della sua situazione psico-fisica, perché dai diversi luoghi che visiterà capirà che la
situazione da lui vissuta a Venezia e sui Colli Euganei è una situazione di stallo generalizzato, dal quale non
è possibile trovare una condizione di miglioramento in Italia, e l’amore lo accompagnerà tale e quale in
tutte le sue peregrinazioni (città che sono patria dei grandi scrittori italiani, che ricordano i grandi della
letteratura italiana – inaugurazione gran modo di viaggiare, il TOUR ATTRAVERSO LE CITTÀ, peregrinazione
sulle tombe dei grandi – 1802, “Urne dei forti” nei “Sepolcri” di Foscolo, mito dell’omaggio sulla tomba dei
grandi italiani nasce qui, comunanza con Alfieri – tour sulle tombe dei grandi –; l’ideologa dei padri
fondatori e degli avi che tracciano la tradizione italiana, che è stato e nazione, realtà di lingua, sangue e
cuore, questa tradizione si forma in questo momento, le città sono scelte con la finalità di rendere omaggio
ai grandi della nostra tradizione letteraria). Durante le peregrinazioni Ortis viene a sapere del matrimonio
avvenuto tra Odoardo e Teresa, ritorna sui Colli e già in questa fase ha progetti di morte, dopo un ultimo
saluto a Teresa con una lettera si toglie la vita.

Come si uccide Ortis? Si trafigge al cuore con un pugnale modo di uccidersi tragico degli antichi). Benedetto
Croce si è concentrato su questo particolare, non trascurabile: il “Werter” di Goethe è un suo modello, uno
dei principali, e cambiare modo di morte secondo i critici è spia di qualcosa di molto importante e
fondamentale. Se da un lato Werter sparandosi alla testa uccide il ragionamento, la mente, Ortis
pugnalandosi al cuore uccide il sentimento (-> morte più nobile e meno moderna, è una rimembranza di
antichità).

MODELLO GOETHIANO: per tutto il 700, fino a fine 800 si sviluppa il genere del ROMANZO EPISTOLARE,
dell’epistolografia, nel 700 abbiamo la fortuna alcuni romanzi che non sono impostati come quelli di oggi
(prosa senza sostanziali interruzioni), in questo caso la trama si svolge in uno scambio di lettere tra alcuni
personaggi (scambio tra una pluralità di soggetti riguardanti un argomento). Esempi: 1750, “Pamela” di
Richardson; 1761, “Nouvelle Eloise” di Rousseau; 1772, “Le lieson dangerous”, La Claus. Vi è in tutti questi
romanzi lo scambio di una pluralità di soggetti di lettere riguardo un argomento, che va a comporre la
trama effettiva. La differenza con il “Werter” di Goethe, la principale, è quella che da una coralità di
corrispondenti che compone la trama, vi è lo scambio di lettere tra due corrispondenti, un soggetto, un
mittente, e un corrispondente. Questa divisione va ancora ridimensionata, sia nel “Werter” sia anche
nell’”Ortis” abbiamo le lettere solo di un corrispondente, il mittente (unica voce in campo, quella del
mittente – caratteristica contraria a quella dei romanzi epistolari, circolarità epistolare - informazione
rilanciata da coloro che partecipano alla conversazione epistolare). Le lettere qui, prodotte da una sola
voce, finiscono per assomigliare molto a un diario, a un genere dell’io (diario – qualcosa che si rivolge alla
propria intimità riflessiva, ed ha come destinatario sempre sé stesso, mentre qui il corrispondente c’è, per
quanto muto). Chi racconta allora del loro triste evento, se Weter e Ortis sono morti? Lo veniamo a sapere
grazie a Lorenzo A., che nell’ultima parte dell’Ortis prende la parola per raccontare degli ultimi momenti
dell’Ortis, inframezzando le sue parole con quelle di Ortis, portando a conclusione il romanzo. Per quanto
riguarda le innovazioni dovute al modello del “Werter”, vi è anche da segnalare che nei romanzi citati per
quanto riguarda il romanzo, si hanno sempre lettere che narrano qualche evento; in questa nuova formula,
con un io narrante e un tu ricevente e basta, molte lettere sono svincolate dalla trama stessa (trama molto
semplice, lineare ed esile): c’è di conseguenza uno spazio narrativo ampio per approfondire l’io del
personaggio, molte lettere sono semplicemente di introspezione, nelle quali i personaggio parla dei suoi
sentimenti, e ciò ci aiuta a comprendere la trama.

Si è parlato di SPAZIO PER L’INTROSPEZIONE. Utilizzare le categorie di romanticismo e classicismo è


qualcosa da fare con molta cautela, ma è una sorta di semplificazione, sono delle formule che ci aiutano a
comprendere le spie di cambiamento ed evoluzione letteraria. Foscolo viene inserito nel preromanticismo.

 Formule di PRECLASSICISMO e di PREROMANTICISMO – qualcosa portato avanti da alcuni studiosi,


si passa da alcune tendenze ad altre (fasi di transizione e di convivenza di tendenze letterarie). Per
quanto riguarda il 1° Ortis c’è una forte influenza PREROMANTICA, nel 1° Ortis in particolare si
trova un’ammissione esplicita del modello del “Werter”, cosa che nel 2°, fino alla stampa del 17 è
fortemente negata.

Esempio per conoscere il fattore di ispirazione dell’”Ortis” al “Werter”.

 LETTERA INDIRIZZATA A GOETHE – il 10 gennaio 1802 mandò un’edizione Mainardi, incompleta


(1779-1801, edizione milanese del 10 Ortis, seconda edizione incompleta), a Goethe –
testimonianza palese di un contatto tra i due scrittori, un’occasione di spiegare i suoi intenti agli
occhi del giovane Goethe.

Si è favoreggiato molto a livello critico ed ideologico di questa lettera, sappiamo invece da corrispondenze
archivistiche che questa lettera ci fu effettivamente, e che Goethe si guardò bene dal rispondere a Foscolo.
La lettera è particolare per più aspetti. Vi è un’INTESTAZIONE (“Al signore Goethe, illustre signore tedesco”
– siamo nel periodo repubblicano, una formula normale di indirizzo avrebbe previsto la formula “Al
nobiluomo”); la lettera ha inoltre una data - datazione topico-cronica. La lettera inizia ex abrupto, in medias
res, non ci sono parti di “captatio benevolentiae”. Foscolo usa due diminutivi, “volumetto” e “operetta”
(sminuimento del valore – sorta di captatio benevolentiae del mittente -> ricevente della lettera più ben
disposto alla lettura, non si incorre in sospetto di superbia da parte del mittente). Importante l’ultima parte
della frase: “{…} quest’operetta que forse diè origine il vostro Werter” <- Foscolo non nega la derivazione
parziale e ipotetica dal “Werter”, è uno dei pochi punti dove la ammette, successivamente la bannerà
completamente.

C’è un’effettiva derivazione, l’idea, la trama è molto simile, ma l’originalità di Foscolo sta nell’aver preso un
modello, averlo rinnovato a suo modo e irrorato di un particolare che nel “Werter” manca completamente,
l’ASPETTO POLITICO: non c’è solo un aspetto di struggimento amoroso, ma c’è una forte componente di
attualità socio-culturale e socio-politica in Foscolo. Sta parlando ora del primo volume, in caso poi vedremo
il continuo. Lui dice di aver travestito la propria esperienza personale sotto la veste di un suo amico – forse
non si conobbero effettivamente, lui conobbe probabilmente la morte suicida di questo studente di Padova
dai giornali. Se all’inizio parla del modello del “Werter”, successivamente si riappropria dell’opera dicendo
che al suo interno “ha dipinto sè stesso e le sue passioni” (accento sul fatto che il tutto è un’opera
autonoma e autoriale, per di più dovuta a una sorta di mimesi, di fusione tra autore e personaggio). Dopo
aver detto che è tutta farina del suo sacco, dice di non aver merito come autore, è tutto trattato dal vero
(spie testuali: parole “Werter” e “vero” in corsivo – nel manoscritto le parole erano sottolineate, volontà di
dare un’enfasi particolare). Sta sottolineando un altro aspetto importante, il fatto che secondo lui i suoi
concittadini italiani abbiano apprezzato particolarmente lo stile dell’opera (espressione vanagloriosa, non si
sa se ci siano effettivamente dei riscontri – finora l’opera non ha circolato molto, ha circolato l’edizione
completata dal Sassoli, non si può ancora parlare di “stile Foscoliano”, e poi l’edizione è del 1801, anch’essa
incompleta). Ciò su cui pone l’accento Foscolo è l’aver creato uno STILE PROPRIO per in mancanza di
modelli, e ciò è vero, in Italia il genere epistolare ha una lunghissima tradizione, ma il genere del romanzo
epistolare non aveva ancora avuto una vera e propria canonizzazione, per tutto i 700 è piano di romanzi
anche in lingua italiana sul genere epistolare, ma si tratta di uno statuto di genere, un genere trascurato,
visto come ‘da donne’ e non particolarmente elevato, a cui non si dà quindi una particolare attenzione
stilistica. Foscolo ribalta tutto e costruisce un capolavoro con una vera e propria canonizzazione del genere
epistolare e della lingua corrispondente al genere.

Lui dice di non essere particolarmente felice di quest’opera, ma dice di aver “sdegnato il titolo di autore e di
essersi arrogato quello di uomo”. Cosa significa? Potrebbe esser il fatto che Foscolo non si era arrogato il
titolo di autore in quel periodo, nelle prime due edizioni non si arroga il titolo di autore, lui si è arrogato il
titolo di uomo, di persona narrante. Foscolo ha messo il proprio nome come autore, ma ha riversato tutta la
sua umanità e i suoi sentimenti dentro il romanzo, di conseguenza non risulta autore ma è l’effettivo
autore, l’ha detto anche prima. Non ha commesso un atto di vanagloria firmando le lettere, ma ha
semplicemente ribadito chi è e qual è il vero sé stesso.

Nel finale presenta Antonietta Fagnani Arese, che ha fatto una traduzione del “Werter” (Antonietta
conosceva il tedesco, è probabile che abbia chiesto aiuto a lei per la traduzione del romanzo, ma non c’è
notizia, non risulta traduzione italiana, circolava solo una traduzione francese del Salomon). Il “Werter” è
fondamentale per Leopardi nella “mutazione dell’animo” – passaggio dal bello al vero, dove compare la
lettura del “Werter”. Al 1819 è pervenuto un progetto di componimenti letterari di Leopardi, dove lui dice
voler scrivere un qualcosa sulle orme di Ortis e Werter – modello presente, comincerà a scrivere scritti
biografici, come la “Vita di Silvio Sarmo”.

La LINGUA del 1° Ortis: la lingua del 1° Ortis in molti punti sembra ingenua (palese sfruttamento massiccio
di alcuni autori e opere – sfruttamento intensivo poesia di Vincenzo Monti – principe dei poeti dell’epoca
ancora in vita -, nemico di Foscolo, che prese ispirazione dal “Werter”, scrivendo versi d’amore, come i
“Versi d’amore” in endecasillabi sciolti – Foscolo, nel 1° Ortis ha come modello il “Werter” mediato anche
dall’esperienza di Monti). È una prosa calibrata, costruita con arte e raffinatezza, tramite diverse fasi di
revisione del testo, cosa che porta a una lingua poco spontanea (ingenuità, modelli sono sempre presenti in
qualsiasi opera letteraria); importante il tentativo di Foscolo di costruire una PROSA D’ARTE, che attraversa
tutto l’800, e tutti si interrogano sulla modernizzazione della poesia del periodo. Foscolo tenta di plasmare
una prosa che possa avere la stessa canonizzazione dei versi. Ci sono delle forme linguistiche che si
protraggano invariate nel tempo; la prosa non era altrettanto curata in questo periodo, e Foscolo vede
questo spiraglio di azione innovatrice e vi si concentra (romanzo - genere moderno, che nasce nel 700 –
anche nel 600 si scrivono romanzi - si parla di un genere che deve necessariamente trovare le sue forme
espressive – la lingua del 600 non va bene per un romanziere dell’800, lo stile del 600 viene avvertito come
antiquato – la questione degli scrittori dell’800 è quella di inventare, creare una lingua adatta ad esprimere
la novità dei generi affrontati nel momento storico – Leopardi, “Operette morali”, Manzoni <- tema di
riflessione della scrittura, QUESTIONE DELLA LINGUA, si protrae dal 500 in avanti). Foscolo tenta la stessa
creazione di una lingua adatta al genere epistolare italiano: in un primo momento, trattando di temi
amorosi, si rivolge a una PROSA LIRICA (maestro Monti), e prende in prestito soluzioni poetiche, ma si
rende conto che la lingua non lo soddisfa, che è poco prosastica, continua a lavorare intorno alla prosa
(PROSA D’ARTE, letteraria, adatta a scrivere contenuti nuovi – discorso diverso da poesia, canonizzata, ha
conosciuto un’evoluzione ma ha comunque mantenuto delle forme fisse – lingua Petrarchesca c’è stato il
Barocco e il Marinismo, ma la linea maestra del classicismo è quella Petrarca-Leopardi). Il tentativo di
Foscolo di creare una lingua ad ok è finalizzato dal tentativo di svincolare il genere epistolare da tutte le
influenze settecentesche (romanzi Chiari, uso lingua non adatta alla grande divulgazione di massa, tentativo
di addomesticamento dei lettori a un genere e stile letterario decisamente più ampio – lingua che manca di
naturalezza, la lingua non aveva la necessità di essere particolarmente innovativa o artistica, si tratta di
letteratura di intrattenimento). La lingua del 1° Ortis è un risultato importante per quanto riguarda lo
sperimentalismo, ma un fallimento sostanziale fallimento per Foscolo, è una lingua che non gli consente di
esprimere in maniera libera i suoi sentimenti.

La mutazione totale a livello linguistico e stilistico si avrà con il 2° Ortis, si assiste a una
DRAMMATIZZAZIONE della trama e della lingua, Foscolo passa da periodi lunghi e quasi inconcludenti a
periodi serrati, semplici, alle volte spezzettati in sentenze, semplici, composti da una sola proposizione (idea
di un Ortis pensatore quasi irrefrenabile nella sua voglia di comunicare). Agiscono in questa mutazione una
serie di modelli letterari nuovi (ispirazione alle tragedie di Alfieri – capolavoro, invenzione di una lingua
nuova, spezzata, fuori dai campi poetici, stile franto – “Tacitismo Alfieriano”, scolpito, fatto di poche
battute, con poco spazio all’architettura ampia del periodo – influisce su Foscolo, le tragedie di Alfieri
vengono composte alla fine degli anni 70 e 80 del 700, sono note, e Foscolo anche nei suoi primi lavori
ALFIERIZZA la sua creazione letteraria - importanza nella messa a punto dello stile del 2° Ortis). Importante
anche il fatto che la creazione di lingua franta si accompagna all’inserzione di frasi aforismatiche, concluse
in sé, che racchiudono un mondo al loro interno, ampie nel significato ma ristrette nei termini (“aforisma” =
verità, frase che ha in sé un valore di prescrizione e di raccomandazione).

Ricapitolazione genere epistolare e dettami classici: quadro – Vittorio Alfieri con la Contessa D’Albani
(sposata con un pretendente al trono d’Inghilterra, Carlo Odoardo Stewart, si sposarono a Palazzo Mare
Foschi a Macerata), che sta leggendo una lettera (sarà sua compagna dal 1790 al 1799) – nell’800 le lettere
sono divise in due blocchi: la funzione COMUNICATIVA e quella RETORICA. Buona parte delle pubblicazioni
era fatta sotto forma di lettera retorica (argomento vario, si scriveva come se ci si stesse indirizzando a un
destinatario). Alcune delle parti fondamentali: la formula di apertura, la datazione topico-cronica, il
messaggio epistolare e le formule di chiusura (divise in parziale e assoluta). Oltre a queste parti, la lettera
fisica poteva avere altri elementi, e si parla di paratesto epistolare.

1.05.54

 LETTERA FOSCOLIANA – AUTOGRAFO.

Lettera dell’11 ottobre 1797.

Ci fa capire diversi aspetti del romanzo, è la lettera di apertura del romanzo che compare per la prima volta
nell’edizione di Milano del 1802. Rivestiva un valore importante, e dopo le prime due edizioni parziali,
Foscolo decise di cancellarla e riscriverla totalmente. Spacciava la lettera come non facente parte dell’Ortis,
trova escamotage per giustificare la finzione.

Analisi lettera.
Un primo problema parte dalla DATA, datazione non corrispondente al contenuto della lettera, perché si fa
riferimento al Trattato di Campoformio, divulgato pubblicamente il 17 ottobre 1797, ma i preliminari
dell’accordo erano già noti (valenza determinata). Dai Colli Euganei, fin da subito si entra nella storia
dell’Ortis. Serve a giustificare l’argomento e la motivazione di questa scrittura, siamo posti davanti a uno
sbarramento cronologico (tragedia Ortis già esule in terra straniera).

Il periodo è scandito dalla punteggiatura, la prima frase è aforismatica e immaginifica (Trattato non
specificato esplicitamente, ma noi lo riconosciamo). “Il sacrificio della patria nostra è stato consumato”,
tutto è perduto, e la vita sarà consacrata al pianto e all’infamia. Inizia una serie di interrogative retoriche, è
una frase ripartita: sacrificio, perdita totale, e riferimento alla vita (che troveremo anche in conclusione alla
lettera). Perché parla della “nostra infamia”? Di che si tratta? È l’infamia di non aver difesa abbastanza la
patria, o quella di aver creduto alle lusinghe napoleoniche? Chi ha tradito Foscolo? La Francia. “Commetta”
significa “consegnarsi”, tutta la prosa è intessuta di arcaismi e latinismi. Continua a non fare riferimento al
Trattato, ma ci dice che Ortis ha lasciato Venezia (non è necessario, Lorenzo Alderani sa perfettamente cosa
è successo + rischio, la censura poteva rivalersi ancora di più). Ha obbedito alle sue richieste e ha lasciato
Venezia perché iscritto nelle liste e per evitare le persecuzioni. Si interroga in maniera retorica sul fatto che
ora dovrà lasciare anche i Colli Euganei, che lui chiama “solitudine antica”: Ortis on è andato a ramingo, ma
in un luogo già caro, per il suo rapporto con il passato e per la vicinanza strategica a Venezia (può sperare
ancora in qualche giorno di pace). Gli italiani sono colpevoli di lavarsi le mani nello stesso sangue degli
italiani, sono gli italiani stessi che si applicano per la distruzione degli italiani stessi. Foscolo cerca in qualche
modo di ricomporre quell’Italia unita che non c’è, sarà uno dei grandi ispiratori del Risorgimento anche
grazie a Mazzini (mitizzazione di Foscolo, con Alfieri e Leopardi, come ispiratori reali del Risorgimento).

22/11/2019

ISTITUZIONI DI LETTERATURA ITALIANA

Mercoledì 4 e giovedì 5 (lezione 9-11) ci sarà lezione, venerdì 6 no.

LETTERA DELL’11 OTTOBRE 1797.

Frase aforismatica – aggancio Dantesco, unga tradizione di accuse agli italiani di non coalizzarsi insieme per
la patria.

“Per me segua ciò che può” -> abbandono di F e O agli eventi, perché hanno perso ogni fiducia sia verso la
patria sia verso me stesso, aspetto tutto ciò che può succedere.

Chiusura lettera: nell’angoscia del proseguo della sua vita, propone una tripartizione della sua vita (soggetti:
sacrificio, tutto vita) + associazione di Ortis con il corrispondente, legame intellettuale e di ispirazione
politica con Lorenzo – compagni spettatori delle miserie della patria – senso che si riallaccia alla solitudine
antica, morirà nella terra dei suoi padri.

Lettera breve ma densa, disinganno verso vita e non curanza verso morte -> preannuncio Jacopo, che non
ha timore della morte e non avrà scrupoli verso il suicidio.

Notazioni stilistiche: Cesare Segre, tripartizione iniziale e finale (3 numero simbolico, non è religioso ma la
tripartizione è una forma tipica della letteratura – ambiente letterario sacrale, verità inappellabili e assolute
-> idea presente e puntuale della personalità del personaggio, fermo nelle sue idee). Lo stile è sentenzioso,
laconico e incessante. Importante l’utilizzo di interrogative di tipo positivo (tentativo di confronto, che si
spezza con Lorenzo, sono domande retoriche che si pongono in opposizione con l’interlocutore) + ricorso a
forme lessicali desuete + espressioni enfatiche (immagini forti non necessarie che rendono l’idea).
Con la lettera dell’11 siamo nella seconda edizione dell’Ortis, è possibile riscontrare una miglioria letteraria
(critica che si è opposta fortemente alla lettura della prima edizione fino a pochi anni fa, è importante
riconoscere la genesi).

Differenze: la datazione (3 settembre 1797) + Foscolo tenterà di ammettere che in realtà il completamento
è stato operato da Sassoli. Il senso è di per sé lo stesso, presenta un lato più autobiografico (trasferimento
ai Colli Euganei – rapporto intimo e forte con la madre che si spezza), lo stile cambia (frasi secche, stile
sentenzioso e fermo), e c’è un’ammissione dell’importante ruolo giocato da Lorenzo.

“In un paese dove io, fremente per questa passione di libertà, sono entrato in conflitto con le altre sfere
degli Austrici.” <- frase centrale. Sceglie l’esilio in sé stesso, una separazione sia fisica sia esistenziale, una
separazione dal mondo affettivo e della società. è una lettera poco comunicativa. L’uomo dabbene
(principio settecentesco, persona con validi principi) in questa fase non s può occupare della pubblica
gestione (dopo averlo svenduto al nemico), non favorirebbe né sé stesso né lo stato. “Quando sia i doveri
che i diritti risiedono nella forza bruta del conquistatore, il conquistatore scrive le leggi con il sangue di
coloro che vengono sopraffatti, ed esige il sacrificio della virtù.” <- frase sentenziosa, sacrificio di
indipendenza e libertà. Di qui inizia un nuovo capoverso, è bene farci caso. Il porre un rientro al capoverso è
importante, inizia la fine di un periodo/argomento e l’inizio di un nuovo passaggio. La prima parte è più
riflessiva, ora abbiamo una parte proiettiva. C’è una corrispondenza tra l’inizio e la fine del periodo, prima è
molto fermo, ora sembra sospirare, fermarsi a riflettere. Il desiderio di spostamento dell’amico si basa su
una costatazione, il vivere in una patria denudata dalla libertà, venduta/barattata. “Involati”, “vola via”,
scappa l’aspetto della scelleraggine e dei crimini, coloro che hanno mercanteggiato i popoli. Nuova
demarcazione, il “-“, che indica un inciso. C’è un’altra frase retorica: “A te è chiaro l’otium impegnato che si
può avere in campagna? Qui ci faremmo beffe dell’ideale della gloria: è infelice chi persegue solamente il
desiderio di gloria (topos del sembrare disinteressati verso la fame gloria <- LUSUS LETTERARIO), colui che
lo persegue non gusta il piacere di una vita mediocre (perché mediocre? C’è un riallaccio alla tradizione
letteraria all’AUREA MEDIOCRITAS, il mantenimento della mezzanità, mirando non a una gloria eterna ma
piuttosto a una vita pacifica) e pacifica. E qui una frase proietta della vita di Ortis, che si occuperà di un
amore fedele che porterà al sepolcro solo uno dei due amanti. Vedere Lorenzo è un desiderio impossibile:
non sappiamo perché Lorenzo non può arrivare sui Colli Euganei, è una volontà narratologica, Lorenzo è il
destinatario delle lettere, non può incontrarsi con lui. Nella formula più tarda non c’erano formule di saluti
nella lettera, qui c’è una FORMULA DI CHIUSURA PARZIALE, manca la sottoscrizione, la chiusura totale della
lettera. Si chiude l’attenzione familiare e amicale che troviamo anche in apertura. Mana la chiusura totale,
la firma nella lettera, sia per evitare di essere rintracciato (paura intercettazioni), sia perché nelle lettere tra
amici molto stretti non si usava la firma (solo in corrispondenze di grande intimità – es. dell’800, Foscolo
non si firma nelle lettere alla madre, come Leopardi non si firma in quelle del fratello).

Considerazioni generali: sono due redazioni completamente diverse. Nella seconda c’è rispetto dei canoni
epistolari, uno stile che si fonde con le caratteristiche del personaggio che scrive, irruento. Nella seconda ci
sono moltissimi topoi letterari (es. aurea mediocritas, elogio della campagna -> mira a formare un orizzonte
letterario comune, livello di pareggiamento); nella prima abbiamo una maggior confessione.

LETTERA 17 MARZO 1798.

Compare per la prima colta nell’edizione di Zurigo del 1816, dove troviamo aggiunta alla fine dell’Ortis una
notizia bibliografica, dove ammette la diversità dalle edizioni precedenti; qui ammette la comparsa della
lettera in un’edizione clandestina, “Italia 1802”, che non è mai esistita (non è nuovo a queste invenzioni,
era uno strumento letterario). Quando fu composta la lettera? La questione è dibattuta, ci sono divere
possibilità interpretative: chi l’ha fatta risalire al 1816, chi al 1802 (Foscolo ha effettivamente fatto una
stampa dell’Ortis, perché non l’ha inserita). È una lettera molto feroce verso Napoleone, c’è un giudizio
impietoso su Napoleone, che lancia idee sul futuro dell’esperienza napoleonica (o aveva un giudizio molto
chiaro, o la lettera è stata scritta dopo la fine dell’esperienza – non ci può essere esperienze premonitrice di
Foscolo). La datazione è 1814-1815, scritta probabilmente dopo il regime napoleonico, qui Foscolo si
immedesima nel personaggio e si fa idee sul futuro che non fanno altro che riferimento al presente. Foscolo
parla della redazione clandestina, ma non è così: Levi parla di Foscolo come personaggio tutto d’un pezzo,
non può parlare male di una persona che è caduta in sciagura, ma anche questo è sciocco (contesto socio
cultuale e politico che rinnegava l’esperienza napoleonica, dopo il Congresso di Vienna). Dall’ 11 al 14
abbiamo la campagna di Russia, poi il primo esilio sull’Isola d’Elba, il 26 febbraio 1815 Napoleone torna in
Francia, passano i cosiddetti 100 giorni, la battaglia di Waterloo e la consegna agli inglesi, che lo portano in
esilio a Sant’Elena, isoletta sperduta in Africa. La lettera potrebbe essere stata scritta dopo il giugno 1815, a
disfatta avventa d Napoleone. Qui ancora una volta ci aiuta la filologia, casi di intertestualità ci aiutano a
definire la datazione di questa lettera.

 Passo dalla LETTERA DEL 17 MARZO 1798 – J dice di esser isolato nell’inverno terribile che passa, ha
come compagni un vecchio prete e degli uccelletti <- non è un passo originale, scritto da Foscolo
per una tematica particolare;
 Lettera del 20 dicembre 1815 a Hottingen, in Svizzera (esilio, inverno terrificante) – ritorna il
contesto dell’isolamento, l’unica compagnia muta è quella degli uccelli (eccessivo ricorso alla figura,
dà quattro pasti agli uccelletti) <- immagine identica, non è frase una prova definitiva, potrebbe
solo esse un’immagine poetica, ma abbiam già il sospetto che la lettera sia della fine del 15 e
dell’inizio del 16;
 Lettera del 21 dicembre 1815 ala moglie di Alfieri, la Contessa d’Albani - tornano l’inverno freddo, il
prete e gli uccelletti;

La lettera è stata scritta come TERMINUS ANTE QUEM, alla fine dell’esperienza napoleonica.

 Lettera del 17 marzo 1798 <- parla di libri a lui prestati dal padre di Teresa;
 Lettera del 21 dicembre 1815, a Hottingen <- immagini che si rifanno alla sua memoria, che si
riprendono nell’Ortis;

LETTERA 17 MARZO 1798.

La datazione topico-cronica che deve aprire la lettera è ridotta all’osso, non vi è menzione dell’anno, e
manca anche la datazione topica. Come visto nel primo caso, non c’è formula allocutiva di saluto, la lettera
inizia direttamente in medias res; siamo in una FASE RESPONSIVA della lettera, Jacopo risponde a qualche
accusa mossa da Lorenzo (lettera successiva a due mesi di silenzio). Ci sono lettere messe in corsivo (prima
stava ad indicare un punto di maggior attenzione), sta riportando nelle lettere delle parole che
probabilmente erano all’interno della lettera di Lorenzo Alderani. Lo chiama “fratello mio”, si è instaurato
un rapporto di fratellanza d’intenti, accomunati dalla loro condizione. Questo punto e virgola dopo
“spegnersi” è un utilizzo della punteggiatura un po’ diverso, va inteso come virgola (punto e virgola non va
inteso per forza come una pausa decisa – pausa enfatiche per la punteggiatura, immaginate durante la
lettura delle lettere). Si riferisce al “desiderio di patria”, che irrita le altre passioni, e l’amore agisce insieme
al desiderio di patria in un’anima “esulcerata”, “amareggiata/addolorata”, è una forza irrefrenabile,
soprattutto quando l’anima è squassata da altri desideri, ma che questo desiderio di patria e di amore
riesca funesto, è sbagliato, Ortis sarebbe già morto senza questa speranza di amore. Si innalza il tono di
conversazione, si sgancia dalla valenza comunicativa (testo a cui stava lavorando nel 1815 – avvalorazione
scrittura della lettera). C’è una demarcazione temporale/cronologica precisa, si utilizza il riflessivo, si
mancava di prospettive al tempo nell’Italia i tempi attuali hanno ridestato negli animi generosi le forti
passioni native, il desidero italiano di una patria unita e indipendente, un normale desiderio per il popolo
italiano. non si tratta di una sentenza “metafisica” (sinonimo di “astratto”), è una verità che risplende/è
attestata nella vita di molti mortali gloriosamente infelici. Il risveglio dell’Italia è una verità di cui si è
accertato vivendo con i Veneziani, che non può che compiangere e ammirare. Se Dio non ha pietà
dell’Italia, gli spiriti generosi dovranno chiudere nel loro secretum (intimo) il desiderio di patria. È un
desidero funesto, che o strugge o addolora tutta la vita. Piuttosto che abbandonare il pensiero, saranno
disposti ad affrontare il pericolo, l’angoscia che segue e la morte.

È un vero e proprio MANIFESTO DEL RISORGIMENTO, è esplicito il desiderio di unificazione dell’Italia, un


simbolo premonitore. Lui è uno degli animi he desidera la patria, e lo è anche Lorenzo. Ma se io venissi a
scrivere ancora di quello che io vidi durante le mie peregrinazioni d’Italia (desiderio dell’universalità
italiana), ridesterei ancora le vostre passioni, che poi si ridesterebbero in me, cosa inutile, è Dio l’ultima
speranza. “Piango per la paria e desidero ardentemente che le mie lacrime si spargano sole” (“Rerum
vulgarium fragmenta”, Petrarca, sonetto). Vuole che le lacrime siano solo le sue. Importante il fatto che si
iniziano ad instaurare topoi nuovi del Risorgimento (leaders immaginifici: Dante, Petrarca, Leopardi,
Foscolo). Altra tipologia di amanti dell’Italia si lamenti ad altissima voce a suo piacimento, sono amatori
teorici dell’Italia unita, che si lamentano di esser stati traditi, ma se si fossero armati sarebbero
probabilmente stati sconfitti (tradimento dovuto alla non azione). Se queste persone, il popolo di Venezia,
si fosse difeso fino all’ultimo sangue, non ci sarebbe stata possibilità del baratto orribile della patria. Molti
hanno la presunzione di sperare che i nemici vengano in Italia e si scannino reciprocamente per il bene
dell’Italia; ma i Francesi, che hanno fatto sembrare disprezzabile la speranza della libertà (sostituzione
regime monarchico con una repubblica dominata dalla Francia stessa, o hanno venduto Venezia all’Austria).
Timo Leone era un filosofo siracusano vissuto nel IV sec. a.C., che esacerbato dalla fondazione di una
monarchia nelle città greche, tenta di spodestare Dionigi ?

Potrebbero piacerti anche