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2. L’area Umbra
3. La poesia in Sicilia
2. I volgarizzamenti
5. Dino Campagni
Il maggior cronista vissuta tra i due secoli è Dino Campagni; di lui si conservano alcune rime ma l’opera più
importante è la Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi: non ancora rimosso è il retaggio di paradigmi
medievali, persiste la visione provvidenzialistica della storia e si ricorre all’implorazione dell’intervento
divino al fine di agire contro la malvagità.
6. La prosa narrativa
2. La <<Vita nova>>
3. Le <<Rime>>
5. L’esilio e i trattati
7. La <<Commedia>>
4.1 Le epistole
Petrarca è uno scrittore che affida la sua fama alle opere latine, che in verità rappresentano la massima
parte della sua ricca produzione, distribuendosi in vari generi: dalla storiografia alla filosofia morale, dalla
bucolica all’invettiva polemica, all’epistolografia. La fondazione dell’epistolario quale genere letterario si
deve proprio a Petrarca. E’ lui infatti il primo a non abbandonare le lettere alla precaria trasmissione
extravagante, provvedendo invece a sistemarle in raccolte organiche. Le epistole petrarchesche
soggiacciono a un lento e puntiglioso processo di elaborazione, proprio in quanto estranee a una finalità
pratica e proiettate, invece, sullo schermo dei valori universali. La silloge fondamentale delle lettere
petrarchesche è costituita dai Familiairum rerum libri XXIV, che comprende 350 epistole in latino.
Scritte tra il 1342 e il 1358 sono le diciannove lettere che compongono la silloge Sine nomine, così intitolata
perché vengono omessi i nomi dei destinatari, per ragioni di prudenza, in quanto si trattava di lettere di
contenuto politico e ideologico.
A un orizzonte di temi e di motivi delle Familiari ci riportano le 120 epistole distribuite in 17 libri che sono
raccolte nel volume delle Seniles, comprendente lettere scritte tra il 1361 e il 1364.
L’Epistola ad posteros, racconta la sua vita dalla nascita al 1351.
4.2 Gli scritti polemici
Capace di inserirsi in animate prese di posizione d’ordine culturale, Petrarca si segnala per alcuni interventi
che si caratterizzano per il piglio dell’invettiva e per il vigore con cui, in reazione a convincimenti ideologici
contrari, lo scrittore afferma le proprie idee. Ricordiamo in proposito i quattro libri delle Invective contra
medicum quendam.
4.3 Le opere latine in versi
Una serie di 66 epistole in esametri, composte tra il 1333 e il 1354, sono raccolte nei tre libri delle Epistole
metrice. Per certi tratti si configurano come sede di appunti di un diario privato che offrono per la presenza
di alcuni indugi riflessivi prossimi alla materia e ai toni del Canzoniere.
4.4 Le opere storiografiche e il manualetto storico-geografico
Nel lavoro della prima redazione del De viris illustribus si rivela il metodo storiografico del Petrarca il quale,
con mossa di deciso scarto rispetto all’eclettico enciclopedismo medievale, scrupolosamente attinge a una
pluralità di fonti; anticipando la tendenza umanistica, il Petrarca storiografo si rivela attratto dalle grandi
figure del passato perché solo in esse è possibile riscoprire le virtù scomparse, da riproporre ai
contemporanei. Esperienze personali di viaggiatore e nozioni libresche ed erudite, conoscenze storiche e
geografiche si uniscono in quella singolare operetta che è l’Itinerarium Syriacum.
4.5 Le opere morali
Scritto nel 1346 e successivamente revisionato ed ampliato è il De vita solitaria, in cui lo scrittore tesse
l’elogio di uno dei suoi miti esistenziali più profondamente avvertiti, quello della vita solitaria. Il trattato nel
quale in misura più complessa Petrarca organizza l’insieme delle sue riflessioni morali è il De remediis
utriusque fortune: è un libro sui due volti della Fortuna, sulla buona e sulla cattiva sorte; la novità del libro
consiste nel particolare punto di vista dello scrittore.
5. Il <<Secretum>>
La più analitica indagine introspettiva tesa a mettere a nudo i contrasti che dilacerano la sua anima è
condotta da Petrarca nel Secretum: al poeta appare una donna, la Verità, accompagnata da un vecchio
-sant’Agostino- che per tre giorni lo sottoporrà ad esame. Una dialettica entro la quale Agostino occupa il
posto di confessore e Petrarca quello di penitente, alla presenza della muta Verità. Nel primo libro Agostino
sollecita l’appello alla misericordia divina, ma il distacco dalle incombenze terrene sembra arduo da
realizzarsi. Nel secondo libro l’interrogazione di Agostini si incentra sui sette peccati capitali. Nel terzo
dialogo Agostino mette alle strette Petrarca, imputandogli i peccati per lui più rovinosi: l’amore per Laura e
il desiderio di gloria. Per Francesco non c’è assoluzione perché anche se riconosce i propri peccati, di
dimostra impotente a resistere alle tentazioni: l’attrazione del cielo è forte, ma la debole volontà non sa
sottrarlo ai vincoli dei <<mortalia negotia>>.
2. La tradizione lirica
3.2 I cantari
Una delle novità più significative della letteratura trecentesca è costituita dall’affermarsi di un gusto
popolare del narrare nel genere dei cantari, che sono scritti in prevalenza da canterini e giullari di
professione, vaganti di piazza in piazza e disponibili a tagli o rimaneggiamenti in funzione dell’area
territoriale e del pubblico e che ricorrono all’impiego dell’ottava rima, su cui si fonderà la lunga e fortunata
stagione del poema cavalleresco. Il primo dei cantari è il Cantare di Fiorio e Biancifore, a fonti francesi si
rifanno cantari come Liombruno, Ponzela Gaia, Bel Gherardino e La donna del Vergiù. Uno dei più prolifici
autori della letteratura municipale toscana è Antonio Pucci.
1.1 Le <<Rime>>
Giovanni Boccaccio nasce probabilmente a Firenze nel 1313, figlio di un mercante, segue il padre a Napoli
per essere avviato alla pratica della mercatura, assieme allo studio del diritto canonico. Sono esperienze
che il Boccaccio sopporta di malavoglia, anche se la frequentazione di corsi giuridici ha una parentesi
positiva nell’incontro con Cino da Pistoia. Attraverso Cino ha modo di essere sensibilizzato alla lettura dei
poeti dello stil novo e di Dante. L’arricchimento culturale procede con l’avanzamento nell’apprendistato
letterario, che si svolge in latino e in volgare, in prosa e in versi. Boccaccio non costruì mai un suo
canzoniere; le influenze rintracciabili nella sua opera, sono quelle di Dante, di Cino da Pistoia e di Petrarca
(soprattutto nei componimenti di meditazione sul tempo e sulla morte). Lo sguardo sensualmente attratto
dal fascino delle bellezze naturali e delle bellezze femminili caratterizza la poetica dalle soluzioni più
originali di Boccaccio lirico.
1.2 La vocazione narrativa: in prosa e in versi
Non l’ispirazione lirica, ma la dimensione narrativa rappresenta la reale vocazione del Boccaccio scrittore; e
lo attesta molto bene la sua prima opera importante, il Filocolo (secondo un’errata etimologia greca
<<fatica d’amore>>). Il Filocolo racconta in una prosa d’arte lavorata e preziosa le disavventure e le
peripezie amorose di Florio e Biancifiore che innamorati e costretto a separarsi per volontà dei genitori di
lui, avversi ad una relazione del figlio con una donna ritenuta non degna per stirpe, alla fine si
ricongiungono e si sposano; rappresenta il primo esempio nella letteratura italiana di quel genere che è il
romanzo in prosa. Il Filocolo si configura da ultimo come un testo rappresentativo di un’operazione
culturale diretta a congiungere le due anime della cultura della corte angioina: una cultura “alta”,
scientifica, naturalistica, erudita, e una cultura “bassa”, di svago, mondana, affascinata dai versi d’amore e
dalle prose dei romanzi. Il progetto di Boccaccio è quello di saldare i due poli e di approdare ad una
letteratura “mezzana” conciliando l’invenzione narrativa con il sapere, unendo due fasce di pubblico fino
allora nettamente separate: i dotti e le donne. Il Filostrato che nell’etimologia greca sta a significare “vinto
d’amore”, è un poema in ottave che per argomento risale al mondo omerico, accostato attraverso
rimaneggiamenti dell’epica classica scritti in latino e in francese nel Duecento e nei primi anni del Trecento.
Entro un contesto di avventure d’armi, Boccaccio isola l’episodio relativo al rapporto amoroso fra Troiolo e
Criseida, culminato con la scoperta del tradimento della donna e con la risoluzione di Troiolo di prendersi
immediata vendetta del suo rivale Diomede: ma, entrato furiosamente in battaglia, è infine ucciso da
Achille. Importante in senso storiografico perché inaugura l’uso dell’ottava narrativa come strumento
metrico destinato a straordinario successo nella letteratura italiana; costituisce la fonte per due opere di
due grandi della letteratura inglese: il poema Troiolo e Criseida di Geoffrey Chaucer (1383) e il dramma di
William Shakespeare Troiolo e Criseida. Boccaccio si cimenta anche nella stesura di un poema epico: il
Teseida. A Dante che nel De vulgari eloquentia aveva scritto di aver riscontrato che fino ad allora nessuno
aveva scritto di argomenti epici in volgare, intendeva rispondere il Boccaccio scrivendo il Teseida. La sfida
lanciata da Boccaccio al genere epico non si può dire che si risolva in modo vincente, perché il rapporto tra
armi ed amore è nettamente squilibrato a favore del secondo.
3. Il Decameron
4. Dopo il Decameron
1. I volgarizzamenti
Continua nel Trecento l’attività dei volgarizzatori; rivelante novità è la comparsa di volgarizzamenti in prosa
di opere di poesia della letteratura latina.
2. La letteratura religiosa
3. La storiografia
5. La narrativa
5.1 I romanzi
La narrativa romanzesca del Trecento non ha tratti di originalità e si presenta o come risultato di
rielaborazione o come opera di compilazione (Andrea da Barberino, Bosone da Gubbio).
5.2 La novellistica
Nella novellistica la prosa narrativa si concretizza in prove più originali, fra cui spiccano le novelle di Franco
Sacchetti. Il suo libro di maggior rilievo è il Trecentonovelle; il Sacchetti è un dichiarato ammiratore del
Boccaccio, tanto da piangerne la scomparsa come si trattasse della morte della poesia stessa. Nei suoi scritti
però, prende le distanze da Boccaccio; le novelle non sono collocate entro una cornice ma procedono alla
spicciolata. Il che non significa che siano allineate in modo del tutto disorganico, in quanto al loro interno si
formano dei raggruppamenti per associazione di argomenti e di personaggi. L’universo di Sacchetti viene
ripercorso attraverso il filtro della nostalgica memoria degli anni della giovinezza oppure affrontato con
atteggiamento di critica dei costumi degradati, con toni espressivi che variano dalla polemica arguta al
risentimento aspro. Numerosi ed eterogenei sono gli aspetti del costume che sottostanno al suo giudizio e
alla sua reazione: dalla delusione per l’eclisse della cavalleria all’amarezza per l’arbitrio capriccioso dei
signori, si riscontrano spinte di irritazione verso i preti e gli uomini di chiesa in generale e contro qualsiasi
forma di superstizione e di risentimento per l’ipocrisia che ha falsificato la vera fede, per i guasti prodotti
dal denaro; parallelamente si sviluppano digressioni sulla fortuna, sull’attenzione a non giudicare dalle
apparenze.
Altri scrittori di novelle sono Giovanni Fiorentino (che riprende il sistema boccacciano) e Giovanni Sercambi.
5. Libri e biblioteche
2. Lorenzo il Magnifico
3. Luigi Pulci
4. Agnolo Poliziano
3. Matteomaria Boiardo
3.1 Le accademie
Se quelle umanistiche del Quattrocento rappresentavano circuiti di cultura alternativa, legati
all’avanguardia dei nuovi studi classici, le accademie cinquecentesche, sono organismi votati alla
divulgazione della cultura. L’accademia si distingue dalla corte per il suo carattere non gerarchico.
3.2 Le università
Rispetto alla vitalità dei circuiti cortigiani e accademici, le università non attraversano nel Cinquecento un
periodo particolarmente brillante; esse si attardavano a coltivare saperi ormai arretrati (Aristotele,
Tolomeo) mentre il nuovo veniva maturando in circoli, accademie e liberi rapporti intellettuali. Dal 1564 Pio
IV prescrisse il giuramento di fedeltà cattolica a tutti i laureandi.
3.3 Le tipografie
Un centro nuovo e propulsivo della cultura cinquecentesca, è la tipografia.
4. La condizione degli intellettuali
All’inizio del Cinquecento gli scrittori si affaticano per entrare al servizio di qualche principe; l’Ariosto si
descrive malpagato e poco apprezzato. I tumulti e i travagli delle guerre d’Italia spingono il cortigiano laico
verso l’approdo ecclesiastico, sentito più tranquillo e sicuro. Questo trapasso sarà possibile fino a quando il
Concilio di Trento non disciplinerà con maggior rigore le carriere del personale ecclesiastico.
5. La stampa, la filologia, la censura
Nella sua organizzazione culturale, il Cinquecento vive una paradossale contraddizione, da una parte il
mercato del libro si espande presso ogni classe sociale; dall’altra la chiusura autoritaria
tardocinquecentesca esige un controllo capillare delle opinioni e delle idee e di conseguenza, un controllo
sulla carta stampata. Fino alla comparsa della stampa, la Chiesa aveva avvertito la pericolosità della nuova
tecnologia. Nel 1559 usciva l’Indice dei libri proibiti emanato da papa Paolo IV Carafa: un indice che
proibiva oltre agli scritti eretici ed eterodossi, anche molti autori volgari (Boccaccio e Machiavelli) e molte
edizioni in latino della Bibbia e tutte quelle in volgare. I protestanti non furono da meno nelle repressione e
nel controllo delle idee diffuse a mezzo stampa. Nel perseguire gli stampatori di idee eterodosse
Melantone, invocava la censura sulla stampa per impedire la diffusione di <<impia dogmata>>. Tutta
l’Europa cristiana cerca di limitare i “danni” della stampa. La censura non si limitava a distruggere i libri
proibiti ma censurava anche nel senso di riscrivere, tagliare (es. il Decameron venne censurato perché
troppo licenzioso).